Sulla pubblicità dei lavori:
Alessandri Angelo, Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SULLE POLITICHE PER LA TUTELA DEL TERRITORIO, LA DIFESA DEL SUOLO E IL CONTRASTO AGLI INCENDI BOSCHIVI
Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale bonifiche, irrigazioni e miglioramenti fondiari (ANBI) e dell'Associazione per la difesa del suolo e delle risorse idriche (Gruppo 183):
Alessandri Angelo, Presidente ... 3 7 11
Tortoli Roberto, Presidente ... 12 13 14
Mariani Raffaella (PD) ... 13
Martuccelli Anna Maria, Direttore generale dell'Associazione nazionale bonifiche, irrigazioni e miglioramenti fondiari ... 3 12
Nucara Francesco (Misto-LD-MAIE) ... 11
Zazzi Michele, Presidente dell'Associazione per la difesa del suolo e delle risorse idriche ... 7
ALLEGATO: Nota consegnata dai rappresentanti dell'Associazione nazionale bonifiche, irrigazioni e miglioramenti fondiari ... 15
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE.
[Avanti] |
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 9,40.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle politiche per la tutela del territorio, la difesa del suolo e il contrasto agli incendi boschivi, l'audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale bonifiche, irrigazioni e miglioramenti fondiari (ANBI) e dell'Associazione per la difesa del suolo e delle risorse idriche (Gruppo 183).
Cedo subito la parola ai nostri ospiti, ai quali diamo il nostro benvenuto, cominciando dall'avvocatessa Martuccelli, direttore generale dell'Associazione nazionale bonifiche, irrigazioni e miglioramenti fondiari.
ANNA MARIA MARTUCCELLI, Direttore generale dell'Associazione nazionale bonifiche, irrigazioni e miglioramenti fondiari. Presidente, anzitutto desidero ringraziare lei e la Commissione per aver invitato l'Associazione nazionale bonifiche a questa audizione, a cui diamo molta rilevanza tenuto conto dei problemi fondamentali per la politica del territorio.
Uniamo anche un'espressione di compiacimento perché essa rappresenta una continuità nella tradizione del Parlamento. Infatti, sui temi della difesa del suolo, sin dal 1976, si sono svolte, spesso proprio presso la Camera dei deputati, numerose indagini conoscitive, a iniziare da quella condotta dalle Commissioni Lavori pubblici e Agricoltura del Senato, il cui documento conclusivo, noto come relazione Noè Rossi-Doria, fu un riferimento importante per la stesura della legge n. 183 del 1989, in quanto proprio in quel documento furono individuate le linee fondamentali di una nuova politica per la difesa del suolo.
Intervennero poi alcune modifiche ordinamentali, costituzionali e istituzionali, compresa l'istituzione del Ministero dell'ambiente, ragione per cui anche se la legge n. 183 del 1989 si discosta dal documento Noè Rossi-Doria in alcuni punti, il sistema, sostanzialmente, è quello in esso ipotizzato.
Dopo l'approvazione della legge n. 183 del 1989 vi furono dei problemi, sia all'avvio della sua applicazione che in un momento successivo. Ricordiamo quindi l'ulteriore indagine conoscitiva sulla difesa del suolo condotta nella XIII legislatura, congiuntamente, dalle Commissioni Ambiente di Camera e Senato, presieduta dal senatore Veltri, che ha tracciato le criticità del sistema e ha suggerito alcuni adattamenti.
Come è noto, poi, la delega legislativa intervenuta per una nuova disciplina della difesa del suolo nel 2004, al termine di tre anni di dibattito, ha determinato certamente una minore attenzione e una minore azione da parte delle istituzioni preposte, fino alla formulazione del decreto legislativo n. 152 del 2006, la cui applicazione, come insieme di sistema, è tuttavia rimasta costantemente sospesa, ad eccezione di due provvedimenti atti ad ipotizzare delle proroghe per le autorità di bacino che erano state istituite.
In questo quadro, esaminando sia le audizioni già svolte presso questa Commissione, sia il documento che la Commissione ha elaborato come programma dell'indagine, credo che attualmente il problema di fondo sia stabilire cosa fare rispetto al fatto che il decreto legislativo n. 152 del 2006 non trovi puntuale applicazione. Infatti, rispetto all'impellenza di interventi e di azioni determinati dalla sempre maggior vulnerabilità del territorio italiano, è necessario stabilire quale debba essere l'orientamento del Parlamento per intervenire sull'ordinamento della difesa del suolo.
Ritengo che il sistema complessivo, disegnato prima dalla legge n. 183 del 1989 e poi dal decreto legislativo n. 152 del 2006, vada mantenuto relativamente al fatto fondamentale che il governo e la gestione della difesa del suolo non possono che avere come riferimento territoriale i bacini idrografici e non già i confini amministrativi.
Resta, invece, aperto il dibattito, peraltro nato subito dopo l'approvazione del decreto legislativo n. 152 del 2006, intorno alla questione sintetizzabile in questi termini: essendo il governo del territorio - e quindi la difesa del suolo - materia rientrante, secondo la Costituzione, nella competenza legislativa concorrente dello Stato e delle regioni, da parte delle regioni si è sostenuto che il decreto legislativo n. 152 del 2006 fosse troppo orientato verso lo Stato, ossia verso il centro, sottraendo così quella partecipazione che, viceversa, la legge n. 183 del 1989 consentiva, sia pure attraverso dei comitati.
Pertanto, il primo problema da risolvere è: qual è l'ambito territoriale di riferimento per la difesa del suolo? A nostro giudizio - parlo a nome dell'Associazione nazionale bonifiche -, l'ambito di riferimento deve essere un ambito idrografico e no amministrativo.
Inoltre, mentre la legge n. 183 del 1989 prevedeva bacini idrografici nazionali, regionali e interregionali per trovare soluzioni di mediazione sul governo Stato-regioni, la direttiva europea impone oggi, per quanto riguarda le acque, che fanno parte della difesa del suolo, un riferimento ai distretti idrografici. Il problema è quindi: come vanno disegnati in Italia i distretti idrografici?
Si ritiene che i distretti idrografici individuati dal decreto legislativo n. 152 del 2006 non siano idonei, con riferimento anche alla situazione orografica del nostro territorio. Personalmente ritengo che, se si esaminano le proposte di suddivisione del territorio del Paese in bacini idrografici così come indicati in un fondamentale documento sulla difesa del suolo presentato dalla Commissione De Marchi nel 1971, forse si possono trovare delle linee guida corrette.
Ad esempio, sicuramente la suddivisione del Mezzogiorno, operata con la legge n. 183 del 1989, tra un bacino nazionale, che era il Volturno Liri-Garigliano, e altri bacini regionali e interregionali, ha creato dei problemi. A nostro giudizio, quindi, bisognerebbe trovare delle aggregazioni funzionali di bacini idrografici che costituiscano i distretti in maniera più corretta rispetto a quelli previsti dal decreto legislativo n. 152 del 2006. Questa dovrebbe essere l'impostazione.
Individuati questi distretti idrografici - quindi l'ambito territoriale di riferimento a carattere idrografico - bisognerebbe individuare gli organi di governo e di gestione al loro interno, e qui si pone il problema dei rapporti tra Stato e regioni.
A mio avviso, se si vuole uscire dalla confusione, dal dibattito, dalle inevitabili questioni di costituzionalità che si pongono, occorre individuare degli organi dei
distretti idrografici nei quali si trovi un momento di concertazione tra lo Stato e le regioni. Dovrebbero essere organi di cooperazione, anche perché nella prima fase di attuazione della legge n. 183 del 1989, i comitati tecnici e istituzionali a cui partecipavano Stato e regioni hanno funzionato, sia pure dopo un primo periodo di avvio.
Riteniamo pertanto che gli organi previsti per il governo e per la gestione dei distretti idrografici debbano realizzare questa cooperazione, in modo particolare distinguendo tra governo e gestione.
Indubbiamente, infatti, l'aspetto del governo, e quindi della programmazione, sarà di pertinenza dello Stato e delle regioni; della gestione, invece, con il principio di sussidiarietà ormai diventato nel nostro ordinamento un principio costituzionale, dovrebbero occuparsene i soggetti presenti sul territorio, quindi comuni, province, consorzi di bonifica e di irrigazione e comunità montane, laddove siano presenti.
Questo tipo di impostazione renderebbe anche più facile la pianificazione, perché questo organo di governo dei distretti deve avere come compito fondamentale e principale quello della pianificazione dei bacini idrografici, o meglio del distretti idrografici.
A proposito della pianificazione, anche il decreto legislativo n. 152 del 2006, che avrebbe voluto fare chiarezza, viceversa non l'ha fatta, dal momento che prevede: i piani di distretto, i piani stralcio, i piani straordinari per le opere urgenti e i piani di tutela delle acque, che non sono però affidati agli organi dei distretti idrografici, ma alle singole regioni (e qui si creano ulteriori problemi).
Nell'adeguamento di questo sistema, quindi, è importante trovare il rapporto e il raccordo tra i vari momenti di pianificazione considerando che, in ogni caso, anche l'aspetto della tutela deve passare attraverso le autorità di bacino idrografico. Infatti, se le autorità di bacino o di distretto devono disegnare il bilancio idrico che, tra i compiti fondamentali, ha quello della regolazione idraulica e l'utilizzazione delle acque, tale bilancio deve sicuramente essere collegato con i piani di tutela che, altrimenti, sarebbero un elemento autonomo e indipendente mentre il bilancio idrico rimarrebbe un atto astratto.
In questo ambito, credo che vada salvaguardato con grande forza un dato fondamentale, ovvero la nuova nozione di difesa del suolo, che risale alla legge n. 183 del 1989 ma che è stata riconfermata, e a mio giudizio migliorata, con il decreto legislativo n. 152 del 2006.
Intendo dire che la legge n. 183 del 1989 ha introdotto nell'ordinamento una nozione di difesa del suolo che non comprende solo le opere idrauliche bensì un insieme di opere e di attività finalizzate alla sistemazione idraulica, alla regolazione delle acque e alla loro razionale utilizzazione, ai problemi dell'inquinamento e alla manutenzione: la nozione di difesa del suolo è multisettoriale e polivalente.
A mio giudizio, il decreto legislativo n. 152 del 2006 ha apportato un miglioramento accentuando l'aspetto della prevenzione e della riduzione del rischio idraulico. Pertanto, nell'ambito della nozione di difesa del suolo, di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006, alla indicazione proveniente dalla legge n. 183 del 1989 si sono unite anche tutte quelle opere e quelle azioni finalizzate alla prevenzione e alla riduzione del rischio idraulico, che è un aspetto importantissimo agli effetti della difesa del suolo.
Bisogna proprio cercare di evitare che la politica di difesa del suolo sia fondata soltanto su interventi di emergenza conseguenti al verificarsi di alluvioni. L'azione di difesa del suolo è permanente, è un'azione soprattutto di manutenzione delle opere, degli impianti e del suolo in via di prevenzione, ossia per ridurre il rischio idraulico. Questo è un concetto che, a mio giudizio, nel decreto legislativo n. 152 del 2006 è molto accentuato e ben individuato.
A questo punto, andrebbe considerato un ulteriore elemento, relativo alla programmazione e alle risorse finanziarie
necessarie. La legge n. 183 del 1989 prevedeva un sistema, a nostro parere valido, di programmazione triennale da realizzarsi attraverso piani annuali.
Questo schema dovrebbe essere confermato; infatti, in una materia così complessa e così rilevante per la sicurezza del territorio, delle popolazioni e degli insediamenti produttivi, non si può fare una politica di investimenti improntata alla quotidianità, che non abbia una sua organicità.
Sotto questo aspetto, la programmazione delle risorse finanziare deve guardare con molta attenzione ai problemi della manutenzione.
Tengo a esprimere in questa sede l'apprezzamento della risoluzione in materia di manutenzione del territorio approvata a fine aprile da questa Commissione su iniziativa dell'onorevole Dussin, e nella quale si sottolinea l'esigenza di un programma coordinato e poliennale di interventi e di azioni mirati alla manutenzione.
Abbiamo molto apprezzato questa iniziativa e riteniamo che, se i tempi per la modifica del decreto legislativo n. 152 del 2006 dovessero essere troppo lunghi, ovvero se ci fosse ancora bisogno di molto tempo e di approfondimento, il Parlamento dovrebbe quanto meno tener presente l'esigenza di impostare un provvedimento legislativo che regoli un programma di manutenzione del territorio e, quindi, di interventi volti alla conservazione del suolo e alla sistemazione di tutto quel complesso di opere che, costruite nel nostro Paese magari cinquant'anni fa, tenuto conto delle trasformazioni del territorio dovute all'urbanizzazione, agli insediamenti produttivi e anche allo sviluppo economico, hanno bisogno di essere ristrutturate e meglio adeguate.
Sicuramente, infatti, l'impermeabilizzazione del territorio ha determinato l'esigenza di acque che arrivino a destinazione molto più velocemente e che, di conseguenza, per essere raccolte e per avere un deflusso regolare necessitano impianti adeguati; è dunque un discorso complessivo di manutenzione in funzione di questo aspetto della sicurezza territoriale, che è un bene a carattere generale non solo per la sicurezza delle popolazioni, ma anche per gli insediamenti produttivi e turistici, e per tutto quello che su un territorio avviene.
Svolgerò infine una considerazione che riguarda specificamente il nostro settore. I consorzi di bonifica e di irrigazione, nella loro storia plurisecolare, hanno avuto varie conferme nell'ordinamento.
Come certamente la Commissione ricorderà, a fine 2008 vi è stato un intenso dibattito su questo tema. Con il decreto-legge n. 248 del 2007, convertito dalla legge n. 31 del 2008, il Parlamento ha previsto che le regioni procedano al riordino della materia sulla base di criteri e di indirizzi definiti «di intesa tra lo Stato e le regioni».
Il settore ha dato una risposta molto positiva perché, in data 18 settembre 2008, dopo un dibattito durato qualche mese, in attuazione di quella norma nazionale è stato sottoscritto un Protocollo d'intesa fra lo Stato e le regioni che fissa i criteri e i princìpi fondamentali per il settore delle bonifiche e delle irrigazioni, valorizzando l'istituzione consortile in virtù del principio di sussidiarietà.
Ormai la Costituzione del nostro Paese prevede più livelli di governo, che devono essere realizzati sul territorio, nel rispetto del principio di sussidiarietà.
Sicuramente i consorzi di bonifica, quali enti aventi personalità giuridica pubblica ma struttura associativa privatistica, sono le istituzioni più vicine agli utenti; sono coloro i quali interpretano le esigenze del territorio in via diretta, e rappresentano una comunità parziale, espressione sul territorio di interessi collegati con la sicurezza territoriale e alimentare, attraverso la corretta provvista e utilizzazione delle acque e la salvaguardia ambientale.
Per questo i consorzi sono istituzioni che tanto la legge n. 183 del 1989 quanto il decreto legislativo n. 152 del 2006 contemplano tra i soggetti che contribuiscono alla realizzazione della difesa del suolo.
Recentemente, alla luce del protocollo di intesa Stato-regioni, la regione Veneto
ha approvato una nuova legge organica sui consorzi di bonifica, provvedendo anche a un riordino territoriale e ad un loro accorpamento, e riconfermando funzioni importanti nel settore della difesa del suolo. Un mese fa la regione Emilia-Romagna ha approvato un provvedimento di riordino territoriale dei consorzi di bonifica; la giunta regionale della Campania lo ha approvato da poco, mentre in altre regioni sono ancora in corso le indicazioni per realizzare delle fusioni.
Riteniamo pertanto che, o all'interno di un adeguamento del decreto legislativo n. 152 del 2006 o dell'approvazione di una nuova legge per la difesa del suolo - o qualunque altra scelta il Parlamento riterrà opportuna -, si debba tenere conto, come è stato fatto sino ad ora, del ruolo importante svolto dai consorzi di bonifica, che gestiscono un patrimonio imponente di opere e di impianti. Basti pensare ai circa 200 mila chilometri di canali, ai 1.100 impianti idrovori, agli 800 impianti di sollevamento, briglie e quant'altro: in sintesi, alla presenza costante sul territorio dei consorzi di bonifica che fa sì che oggi questi siano gli unici enti rimasti con funzioni di presidio, sorveglianza, custodia e, nel contempo, di realizzazione di tutti quegli interventi necessari per gestire questo patrimonio di opere.
Infine, un dato molto importante è la partecipazione dei privati ai consorzi, non soltanto nella struttura associativa e nel governo - perché sono enti di autogoverno, cioè amministrati dagli stessi interessati - ma anche sul piano finanziario, perché questo complesso di opere è gestito dai consorzi non con risorse pubbliche ma con la contribuenza dei proprietari privati, siano essi di immobili agricoli o extra agricoli.
È questo della partecipazione finanziaria dei privati un dato particolarmente importante, riconosciuto anche nel decreto legislativo n. 152 del 2006, laddove si individuano le fonti di finanziamento e si delinea tutto ciò che resta a carico pubblico si dice «fatta eccezione per quelle entrate derivanti, secondo le norme vigenti, per le opere rientranti nei comprensori di bonifica».
Concludo il mio intervento e chiedo scusa se mi sono dilungata più di quanto solitamente le Commissioni consentono di fare.
Voglio augurarmi che qualunque provvedimento il Parlamento ritenga di assumere, che sia l'adeguamento del decreto legislativo n. 152 del 2006 o addirittura un nuovo integrale provvedimento, si tenga però conto dell'esigenza delineata nella risoluzione Dussin approvata da questa Commissione.
PRESIDENTE. La parola al dottor Michele Zazzi, presidente dell'Associazione per la difesa del suolo e delle risorse idriche.
MICHELE ZAZZI, Presidente dell'Associazione per la difesa del suolo e delle risorse idriche. Mi unisco ai ringraziamenti per l'invito fatto alla nostra associazione di partecipare a questa audizione, invito che spero vada anche a testimonianza del riconoscimento dell'attività che l'associazione svolge ormai da una quindicina di anni.
La nostra associazione ha visto, tra i suoi fondatori e promotori, figure che hanno contribuito anche in origine alla redazione e promulgazione della legge n. 183 del 1989; per questo motivo ci sentiamo partecipi delle vicende che hanno accompagnato la formazione di quella legge che, tra l'altro, tra pochi giorni festeggerà i vent'anni, una data significativa che colloca questa indagine in un momento anche simbolicamente importante.
Spendo poche parole per descrivere qual è il nostro modus operandi, ovvero come cerchiamo di proporre le nostre iniziative e quali sono le nostre attività.
L'associazione è formata da rappresentanti di tutti i soggetti che operano nel campo della difesa del suolo e della gestione e tutela delle risorse idriche. Abbiamo punti di vista differenti, che cerchiamo di sintetizzare mediante documenti
che vengono poi proposti all'attenzione pubblica.
Le nostre principali linee di attività sono due. La prima è la proposta di documenti che tentino di influire sui percorsi di formazione delle leggi o, più in generale, sul dibattito riguardante il tema della difesa del suolo e della gestione e tutela delle risorse idriche. Questo avviene anche mediante l'utilizzazione del sito Internet del Gruppo 183, il principale sito Internet dedicato a questi temi in Italia e quello con il maggior numero di contatti.
Il secondo tipo di attività che svolgiamo consiste nel tentativo di creare osservatori su quanto, in attuazione della legge n. 183 del 1989, è stato fatto in Italia. La principale attività al riguardo è stata, nel 2003, la redazione del rapporto sullo stato della pianificazione di bacino, che ha riguardato una ricognizione completa sulle attività delle autorità di bacino nazionali e che ancora oggi, purtroppo, per certi versi rimane forse l'unica iniziativa fatta in tal senso nel nostro Paese, l'unica almeno che ha una sistematicità nel leggere, nell'analizzare e nel tentare di interpretare in maniera comparata quanto, in quel caso le autorità di bacino nazionale, avevano fatto.
Peraltro, mentre il campo delle autorità di bacino nazionale è comunque conosciuto, per la rilevanza delle attività svolte e delle competenze che le autorità di bacino nazionale hanno messo in gioco, molto più sconosciuto è, tuttora, in maniera sistematica e comparata, quanto fatto dalle autorità di bacino interregionali e regionali che, ad oggi - occorre riconoscere -, insieme alle autorità di bacino nazionali hanno comunque prodotto una mole significativa di materiali e di strumenti che incidono sul governo delle trasformazioni territoriali.
La successione dei provvedimenti che hanno integrato e modificato la legge n. 183 del 1989 hanno portato oggi sostanzialmente, perlomeno, ad ottenere che il piano per l'assetto idrogeologico sia strumento esistente su quasi tutto il territorio nazionale. Questo è un primo risultato di cui dobbiamo sicuramente tenere conto.
Il processo di revisione della legge n. 183 del 1989, che ha poi influito sul processo di redazione del cosiddetto «testo unico sull'ambiente», ha messo mano su alcuni aspetti fondamentali della legge stessa, che richiamo brevemente. Principalmente, mi riferisco alla modifica degli enti deputati al governo della difesa del suolo, ovvero i distretti idrografici. Su questo tema la nostra associazione ha evidentemente un parere molto negativo.
Purtroppo non abbiamo potuto produrre un documento da presentare oggi in questa sede, a causa dei tempi troppo brevi. Io stesso sono tornato dall'estero pochi giorni fa. Abbiamo fatto fatica a sintetizzare in un documento quanto prodotto nel corso del tempo, ma ci impegniamo a consegnarvi a breve uno scritto.
Esistono tuttavia documenti disponibili pubblicamente sul sito internet, che danno conto di quanto da parte nostra non si sia condivisa l'individuazione dei distretti elaborata nel decreto legislativo n. 152 del 2006, principalmente in relazione ai distretti dell'Italia centrale e meridionale continentale.
Se nel Nord Italia il distretto del Po e il distretto dell'Alto Adriatico rispondono effettivamente ad una corretta individuazione degli aspetti sia di natura idrografica che di omogeneità gestionale delle prerogative che vengono attribuite ai distretti, sicuramente nella parte peninsulare ciò non avviene.
Principalmente - per dare un'indicazione operativa -, ci pare che la suddivisione della parte peninsulare in senso orizzontale, lungo la direttrice Est-Ovest, per «fette», non sia giustificata, proprio per le condizioni genericamente ambientali dei bacini idrografici che a questi territori appartengono e che, evidentemente, dipendono fortemente dello spartiacque appenninico. Altre sollecitazioni che compaiono in maniera sistematica nei nostri documenti riguardano il fatto che nell'individuazione dei distretti idrografici debbano essere contemplati sicuramente
diversi aspetti. Tra questi, senza dubbio, oltre alla perimetrazione del bacino idrografico nella sua morfologia fisica affiorante, hanno altrettanta importanza - tema che di questi tempi è di attualità - le acque sotterranee e, non ultimo, soprattutto nel Meridione, l'organizzazione della distribuzione dell'approvvigionamento, quindi della rete acquedottistica.
L'insieme integrato di questi tre aspetti può guidare in maniera significativa l'identificazione dei distretti nelle diverse parti del nostro Paese.
Richiamavo la questione delle acque sotterranee per sottolineare un altro punto, sicuramente di interesse anche per le attività del Parlamento di questi mesi: il fatto che, oltre ad avere recepito la direttiva comunitaria n. 60 del 2000, siamo oggi in una fase di recepimento della direttiva n. 60 del 2007, relativa alla difesa dalle alluvioni, e della direttiva n. 118 del 2006 sulle acque sotterranee.
Pertanto, questa è sicuramente un'occasione significativa per cercare di considerare in maniera integrata le esigenze che derivano e che sono inserite all'interno delle direttive europee relative a questi temi.
In merito alla direttiva europea sulla difesa dalle alluvioni, il nostro Paese ha una storia consolidata e significativa, dato che già la legge n. 183 del 1989 ha anticipato gran parte dei temi che sono entrati nell'agenda europea in tempi successivi. Crediamo che uno dei compiti principali, ovviamente oltre al miglioramento o all'affinamento di tali contenuti rispetto a quanto ci richiede la direttiva europea, sia anche quello di tentare uno sforzo per l'integrazione dei temi e degli aspetti gestionali.
Anche in questo caso, è stata precedentemente richiamata l'esigenza di avere un'integrazione tra gli strumenti che oggi si occupano di difesa del suolo, di gestione delle risorse idriche e della loro tutela. Ma oltre a questa esigenza, che potremmo chiamare, per così dire, di «coerenza interna» degli strumenti previsti all'interno di un corpo legislativo ragionevolmente omogeneo, esiste anche - io vengo dal mondo della pianificazione territoriale - una necessità di integrazione con quella che definiamo «pianificazione generale del territorio», ovvero la pianificazione territoriale regionale e provinciale, e la pianificazione urbanistica comunale.
Molte leggi regionali e anche alcuni disegni di legge relativi al governo del territorio richiamano l'esigenza di riportare in sede comunale la formazione di una carta unica del territorio, che dia una certezza degli elementi di diritto che esistono in tutte le porzioni del nostro territorio nazionale. Occorre pertanto un coordinamento a monte tra tutte le disposizioni legislative strumentali, di modo che possano trovare sintesi e chiarezza nel piano che attribuisce i diritti di uso del suolo. Questa è una catena di strumenti: pianificazione generale del territorio e pianificazione di settore quale il piano di bacino e i piani paesaggistici, che devono trovare sicuramente una loro forma di integrazione.
Riguardo agli organi di gestione del futuro distretto, evidentemente si affronta uno dei nodi problematici ritenuti fondamentali nel campo della pianificazione di bacino e di quanto espresso originariamente dalla legge n. 183 del 1989 e poi dal decreto legislativo n. 152 del 2006.
Ho parlato più volte, anche in audizioni precedenti, soprattutto delle autorità di bacino e del nodo del rapporto Stato-regioni.
Anche in questo caso, noi abbiamo una posizione abbastanza chiara e delineata, che si rifà anche ad alcune sentenze ormai lontane nel tempo. Mi riferisco principalmente a quella del 1990 della Corte costituzionale dove si ribadiva, a fronte di alcuni ricorsi regionali, il fatto che il tema della difesa del suolo e forse, più in generale, della tutela dell'ambiente richiede, al di là delle attribuzioni specifiche, una leale cooperazione tra Stato e regioni. Evidentemente, il nodo sta nell'attribuzione «leale», un termine qualitativo che tuttavia dice molto.
«Leale cooperazione» significa che, al di là delle attribuzioni formali, questi campi tematici, questi campi di attenzione
vengono affrontati su tutti i livelli di governo del territorio. Occorre quindi che l'organizzazione legislativa e normativa in genere vada il più possibile nella direzione della semplificazione tali rapporti.
Nel caso delle autorità di bacino, a nostro avviso, quanto individuato dal decreto legislativo n. 152 del 2006 trasforma l'originaria composizione dei comitati istituzionali delle autorità di bacino in senso centralistico.
Al di là dell'aspetto formale e burocratico - che poi è sostanza -, esso prevede infatti per le nuove conferenze permanenti la maggioranza di membri del Governo, quindi dei rappresentanti del Ministero, rispetto ai rappresentanti della regione. Pertanto, se le decisioni, come deve avvenire, vengono prese a maggioranza, lasciano in capo al Governo un potere notevole, e a noi pare proprio che nella linea di evoluzione storica, sia per quanto riguarda le autorità di bacino ma, più in generale, il nostro Paese - quindi il rapporto tra Stato, regioni ed enti locali - occorre riconoscere tale evoluzione e pensare ad una conferenza permanente con rappresentanze delle regioni e con la rappresentanza esclusiva del Ministero dell'ambiente, al quale attribuire eventualmente potere di veto su alcune questioni fondamentali, in modo da garantire l'interesse nazionale e la coerenza su scala nazionale di alcune competenze relative alla difesa del suolo e alla
tutela e gestione delle risorse idriche. Questa è un'ulteriore sollecitazione che riteniamo utile portare in evidenza.
In maniera più problematica, quindi senza poter formulare un'ipotesi del tutto dettagliata, ci pare anche che si potrebbe avere maggiore flessibilità nella definizione dei distretti idrografici. In tal senso, nella recente discussione parlamentare riguardo alla conversione in legge del decreto-legge n. 208 del 2008, noi avevamo avanzato, in una fase transitoria in attesa dell'eventuale legge delega che rimetta mano ai contenuti del decreto legislativo n. 152 del 2006, la proposta che, forse impropriamente, viene chiamata di «sostanziale delegificazione della individuazione dei distretti».
Si proponeva, in sostanza, di lasciare in capo ad un decreto, ad esempio del Presidente del Consiglio dei Ministri, l'individuazione del perimetro dei distretti, ottenendo l'intesa delle regioni anche mediante la Conferenza Stato-regioni. Questo permetterebbe di avvicinare tale delimitazione ad una più corretta evidenziazione delle caratteristiche specifiche dei distretti.
In altra maniera potrebbe essere che, una volta identificati i distretti all'interno del decreto legislativo successivo all'eventuale approvazione di una legge delega in materia ambientale, si possa comunque pensare, già all'interno del decreto legislativo stesso, a forme di coordinamento tra distretti per temi specifici che interessano distretti limitrofi. Questo, forse, potrebbe contemperare la duplice esigenza, da un lato, di avere distretti di non enormi dimensioni - pensiamo soprattutto all'Italia meridionale -, dato che anche i nostri bacini idrografici in Italia sono territorialmente molto ridotti, in funzione di una migliore capacità di gestione sul territorio; dall'altro, di prevedere, già in sede legislativa, la possibilità, se non l'incentivazione, di un coordinamento su temi che, viceversa, investono in maniera analoga o simile più distretti limitrofi. Questa potrebbe essere un'ulteriore possibilità.
Vorrei aggiungere ancora una notazione riguardo alla condizione originaria del piano di bacino, a cui ci si riferiva in precedenza.
La legge n. 183 del 1989 effettivamente attribuiva al piano di bacino una competenza molto ampia. Alcuni parlarono allora di quel vero piano ambientale che il nostro Paese non aveva mai avuto, almeno non con questo nome. In altri Paesi, come in Germania, c'è una tradizione di piani ambientali istituzionalizzati di lungo corso, che hanno il compito di porre a sintesi temi tra di loro fortemente interrelati ma spesso trattati in maniera settoriale.
Per questo fatto, se non ricordo male, all'interno dell'articolo 17 della legge n. 183 del 1989 il piano di bacino aveva un insieme ampio di competenze.
Occorre dire che alcune autorità - penso all'Autorità di bacino del fiume Po - negli ultimi tempi hanno fortemente esteso i loro campi di interesse su temi che non sono strettamente legati alla difesa del suolo o al ciclo delle acque ma, più generalmente, a temi di natura ambientale quali la rinaturazione, quindi l'attenzione per le componenti ambientali del bacino e non solo per la rete idrografica.
Questo è un altro aspetto molto significativo, sul quale potrebbe essere interessante concentrare l'attenzione. In tal modo, infatti, si potrebbe probabilmente raggiungere quella integrazione di argomenti e tra strumenti che richiamavo precedentemente.
Leggendo il programma di attività di questa indagine conoscitiva, questi mi paiono essere alcuni dei punti più significativi, fra quelli sui quali abbiamo operato negli ultimi tempi, più in sintonia con quanto oggi richiesto.
Nella nostra associazione, inoltre, ci sono anche altri campi di interesse: uno su tutti è quello relativo alla gestione di servizi idrici, tema di grande attualità ma sicuramente collaterale rispetto a quanto oggi richiesto.
Credo di poter terminare il mio intervento con queste parole. Ritengo di aver messo in evidenza i punti più significativi all'ordine del giorno del lavoro dei prossimi mesi.
PRESIDENTE. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto integrale della seduta odierna della nota predisposta dall'Associazione nazionale bonifiche, irrigazioni e miglioramenti fondiari (vedi allegato). Allo stesso tempo, invito i rappresentanti dell'Associazione per la difesa del suolo e delle risorse idriche a farci pervenire senz'altro una loro memoria scritta che sarà nostra cura mettere a disposizione di tutti i commissari.
Do ora la parola ai colleghi che intendono porre quesiti e formulare osservazioni.
FRANCESCO NUCARA. Ringrazio i nostri ospiti anche per le esaurienti relazioni. Tuttavia, dopo aver ascoltato il direttore Martuccelli, vorrei porre alcune domande su temi particolari, anche perché sulle questioni generali credo siamo d'accordo. Ad esempio sulla questione dell'ambito territoriale dei distretti idrogeologici, concordo col fatto che debba essere fatto in riferimento al bacino idrogeologico. Del resto, personalmente sono innamorato della legge n. 183 del 1989, avendola seguita all'epoca - almeno nell'ultima fase - in rappresentanza del Governo, e credo che sia una delle leggi migliori su questo tema.
Può esserci un problema di conflitto tra Stato e regioni, ma la Costituzione dice che la tutela paesaggistica è in capo al Ministero, in capo allo Stato, quindi probabilmente una interpretazione estensiva potrebbe chiarire i termini della questione. Credo che, in particolare sulla difesa del suolo, bisognerebbe che intervenisse lo Stato più delle regioni, in una visione complessiva dei problemi relativi alla difesa del suolo.
Detto questo, devo rivolgervi qualche critica, altrimenti sembra che io sia qui solo per farvi complimenti.
La dottoressa Martuccelli ha affermato che l'impermeabilizzazione del Paese in senso lato produce effetti talvolta disastrosi, ma io credo che questo problema riguardi anche i consorzi di bonifica. Cerco di spiegarmi: da parte dello Stato, ai consorzi di bonifica oggettivamente arrivano poche risorse. Se, tuttavia, guardiamo le strade presenti nei territori dei consorzi di bonifica, osserviamo che tecnicamente sarebbe meglio non guardarle. Infatti, essendoci poche risorse - almeno per i consorzi di bonifica che conosco io, poi magari mi smentirete e direte che in un consorzio di bonifica dell'Emilia la situazione è differente -, queste strade spesso non sono neanche asfaltate, e forse questo è un bene; tuttavia, altrettanto
spesso sono asfaltate ma non hanno una tecnica costruttiva del sistema stradale, non ci sono tombini, né cunette. Quindi, tutta l'acqua che precipita su questa strada arriva a valle in modo torrentizio, creando problemi.
Il problema di Soverato, a mio avviso, nasce ad esempio - non do la colpa a nessuno, non so se c'era un consorzio di bonifica - a causa delle discariche che c'erano in quel torrente e che hanno prodotto un effetto diga; altrimenti, non sarebbe successo. I fatti non sono accaduti perché ha piovuto molto quella nottata, ma perché le discariche di materiale edile e di altre cose, fatte a monte di Soverato, hanno causato quell'effetto diga per cui, quando si è rotta questa specie di diga naturale o artificiale fatta dai rifiuti, si è verificato il disastro.
Ritengo pertanto che, per risolvere il problema, modificare qualche cosa nella legge attuale potrebbe essere di grande aiuto, perché i consorzi di bonifica hanno una struttura amministrativa e organizzativa ormai secolare e, forse, qualche compito e risorsa in più da parte dello Stato consentirebbe un loro utilizzo anche come organi di vigilanza.
In questo Paese, e in questo settore in particolare, la vigilanza non esiste più. Non c'è più l'assistente idraulico di una volta, che percorreva i torrenti e i fiumi a piedi per vedere se c'era qualche problema. Ritengo pertanto che, se si decidesse di fare qualche modifica alla legislazione vigente o, addirittura, di varare una nuova legge, i consorzi di bonifica potrebbero esercitare un ruolo in questo senso ed essere di grande aiuto al Paese.
Si è accennato, inoltre, al problema dell'utilizzo dell'acqua. Come tutti sappiamo, la maggior quantità di acqua viene utilizzata per l'agricoltura; non dico che sia il doppio rispetto a quella destinata all'uso civile, ma poco ci manca. Credo che questo avvenga anche perché l'acqua per l'agricoltura viene pagata poco. Forse è necessario che i consorzi di bonifica invitino i loro soci ad un diverso utilizzo dell'acqua, con tecnologie differenti.
Pensiamo all'agricoltura dello Stato di Israele: se dovesse utilizzare l'acqua che usiamo noi per la nostra agricoltura, forse non avrebbe l'agricoltura che ha. Quindi anche noi potremmo usarne meno, e così facendo vi sarebbe un risparmio. Oltre a ciò, lei, dottore, ha toccato il problema delle acque sotterranee, che è un'altra questione molto grave. A me, ad esempio, viene in mente la subsidenza che esiste in Romagna: se pompiamo acqua dalle falde, quelle si abbassano. Nel Mezzogiorno abbiamo un problema diverso: pompando acqua dalle falde si crea il cuneo salino e l'acqua potabile non è più tale.
A mio parere, dunque, una diversa gestione dell'utilizzo delle acque, con tecnologie differenti, darebbe migliori risultati. Anche in questo caso, servirebbero risorse da parte dello Stato perché se si risparmia acqua ne guadagna la collettività, non solo gli agricoltori.
Sono questi, dunque i punti che volevo porre alla vostra attenzione.
ANNA MARIA MARTUCCELLI Direttore generale dell'Associazione nazionale bonifiche, irrigazioni e miglioramenti fondiari. Presidente posso dare un chiarimento all'onorevole Nucara?
ANNA MARIA MARTUCCELLI Direttore generale dell'Associazione nazionale bonifiche, irrigazioni e miglioramenti fondiari. Onorevole Nucara, le siamo grati per aver posto in evidenza un problema di grande importanza: quello delle strade.
Purtroppo, con la legge dello Stato tutte le strade sono state classificate come: statali, comunali, provinciali e vicinali; sono state sottratte alla competenza dei consorzi di bonifica, che prima le mantenevano benissimo - gli agricoltori questo lo ricordano -, e affidate alla competenza o delle province o dei comuni, o a ipotetici consorzi per strade vicinali che non sono
mai stati costituiti. Noi confidiamo molto nel fatto che questa competenza possa tornare ai consorzi di bonifica. Ci sono strade importanti realizzate all'epoca come strade di bonifica, ma sottratte alla competenza dei consorzi. Questo è un tema molto importante, e noi confidiamo che il Parlamento, in una revisione dei provvedimenti a carattere nazionale, possa consentire ai consorzi di svolgere anche questa funzione.
Vengo ora al problema dell'acqua per l'agricoltura. Certamente, il maggior quantitativo di acqua nel mondo è utilizzato dall'agricoltura. Riporto sempre un esempio in tal senso: se ho sete, con un bicchiere d'acqua mi disseto; ma se su un pezzetto di terreno metto un bicchiere d'acqua è come se mettessi nulla, perché ovviamente l'assorbimento del terreno è differente.
Tuttavia, esistono dei problemi di investimenti in questo settore. Ad esempio, in alcuni territori della regione Emilia-Romagna abbiamo realizzato, come consorzi di bonifica, un risparmio di acqua di circa il 50 per cento.
Ciò è avvenuto attraverso due filoni di intervento: il primo è stato quello di intervenire laddove c'erano ancora canalette a cielo aperto - lei ed io, entrambi meridionali, sappiamo bene quante ce ne siano nel Mezzogiorno d'Italia -, trasformandole in impianti tubati. Questo, tuttavia, è stato possibile finché vi è stata una disponibilità di risorse economiche; recentemente, anche con il piano irriguo nazionale abbiamo trasformato centinaia di canalette in impianti tubati, risparmiando acqua.
In secondo luogo, come Associazione nazionale bonifiche proporremo - al riguardo colgo l'occasione per invitarvi a partecipare alla nostra prossima assemblea, che si terrà a metà luglio - un progetto nazionale, denominato Irrinet, che è uno strumento attraverso il quale i consorzi prestano ai consorziati assistenza dando loro, attraverso un collegamento telematico oppure addirittura con i telefonini, attraverso SMS, notizie sulla situazione meteorologica (la previsione meteorologica ci aiuta spiegando quando, come e quali coltivazioni irrigare da un giorno all'altro) e consigli: sapendo, ad esempio, che è in arrivo la pioggia, si potrà informare che è inutile irrigare. Si tratta di un sistema moderno già sperimentato in Emilia-Romagna in alcune realtà territoriali importanti, e che ha dato dei risultati di risparmio notevole.
Confidiamo che, attraverso questo ampliamento sul territorio di strumenti moderni per una razionale utilizzazione delle acque, si possa realizzare una situazione di utilizzazione più razionale, e quindi di risparmio. Certamente, questi strumenti vanno adattati alle situazioni. Ad esempio, il problema delle risaie nel Nord del nostro Paese ha caratteristiche, tempi e modalità propri, che non possono essere trasferiti ad altre coltivazioni ma che hanno grande rilevanza perché tutti i territori piemontesi, lombardi, in parte anche verso Ferrara - laddove ci sono grosse estensioni di terreni destinati alle risaie - hanno una duplice funzione: non solo quella finalizzata alla produzione e alla sicurezza alimentare, ma anche quella finalizzata all'approvvigionamento delle falde, da cui emerge l'importanza dell'irrigazione anche sotto il profilo della tutela delle acque sotterranee.
Infine, vengo a un fatto molto importante per quanto riguarda il cuneo salino. I consorzi di bonifica, in alcune realtà e in modo particolare nel delta del Po - se qualcuno di voi ha occasione di vederle, è molto importante - hanno realizzato delle barriere all'interno delle lagune per impedire la risalita del cuneo salino. Abbiamo realizzato delle azioni molto importanti su cui la regione Veneto - bisogna dire la verità - ha dato anche il suo contributo e la professionalità dei consorzi è stata importante.
PRESIDENTE. Avvocatessa Martuccelli, mi dispiace interromperla, ma purtroppo i tempi a nostra disposizione sono ormai davvero limitati.
RAFFAELLA MARIANI. Intervengo solo per ringraziare i nostri ospiti, eviterò
di dilungarmi e faccio solo un rilievo. Ringrazio i nostri ospiti, per gli importanti approfondimenti che ci hanno permesso di fare.
Giudico che la legge n. 183 del 1989, che appartiene alla serie delle «leggi 180», sia una delle leggi migliori. Ve ne era un'altra di quel periodo, anch'essa molto importante e che ha trovato pochissima applicazione: deve essere il destino delle leggi che iniziano per 180!
Ritengo che la legge n. 183 del 1989 sia ancora una legge notevole, moderna, pur compiendo gli anni che sappiamo. Ritengo anche che dobbiamo - almeno il nostro gruppo lo aveva fatto notare anche nella discussione che abbiamo svolto ultimamente riguardo alla proroga delle autorità di bacino e alla mancata definizione dei distretti - fare velocemente questo adeguamento rispetto all'individuazione dei distretti idrografici e spingere molto sul coordinamento.
Questo è un tema che ormai corre parallelo alle questioni del federalismo, alla discussione che c'è sulla semplificazione nel nostro Paese, che però non può far venir meno un'esigenza molto forte, quella di essere presenti sul territorio con delle opere e con delle risorse adeguate.
Approfitto della presenza del rappresentante del Governo per sottolineare questo punto: noi abbiamo ormai un problema di risorse tale da impedire ogni applicazione. Forse sarebbe utile che ripensassimo anche, insieme ai soggetti competenti, a modalità di attivazione delle risorse, non solo dello Stato centrale ma anche delle regioni, capaci di ottimizzare un meccanismo che, probabilmente, oggi, disperde le risorse in troppi rivoli, avendo allo stesso tempo anche il coraggio di definire una volta per tutte le priorità degli interventi.
In questi anni ci siamo trovati a discutere molto - questa Commissione di indagine è nata anche per questo motivo - sui criteri attraverso i quali sono state distribuite le risorse nel nostro Paese e io ritengo che non possiamo ricorrere solo alle emergenze, quindi alla protezione civile, per reperire le risorse, senza fare mai prevenzione. Occorre dunque attuare un'azione comune.
Oggi il Governo ha riottenuto la delega complessiva sul decreto legislativo n. 152 del 2006 e, visto che anche in passato nell'elaborazione di questo decreto il tema acque è stato quello più trascurato, il nostro auspicio è che di queste problematiche se ne parli seriamente.
Purtroppo, il nostro ruolo sarò molto limitato, abbiamo un solo passaggio in Commissione; su questo punto abbiamo fatto una discussione in Aula la settimana scorsa che ci ha anche dilaniato parecchio, perché il fatto che il Parlamento debba assistere con un solo parere, con un passaggio unico, alla rielaborazione di un decreto legislativo così importante, che tocca temi così delicati, anche a livello territoriale, ci lascia sperare poco. Tuttavia, confidiamo che questo lavoro, anche con l'aiuto degli organismi e delle associazioni che sul territorio hanno operato bene in questi anni, possa essere comunque utile.
PRESIDENTE. Nel ringraziare i nostri ospiti, dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 10,35.
[Avanti] |