Sulla pubblicità dei lavori:
Alessandri Angelo, Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SULLE POLITICHE PER LA TUTELA DEL TERRITORIO, LA DIFESA DEL SUOLO E IL CONTRASTO AGLI INCENDI BOSCHIVI
Seguito dell'esame e approvazione del documento conclusivo:
Alessandri Angelo, Presidente ... 3 5
Mariani Raffaella (PD) ... 4
Nucara Francesco (Misto-RRP) ... 3 5
Realacci Ermete (PD) ... 4
ALLEGATO: Documento conclusivo approvato dalla Commissione ... 6
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 13,10.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle politiche per la tutela del territorio, la difesa del suolo e il contrasto agli incendi boschivi, il seguito dell'esame del documento conclusivo.
Avverto che, sulla base degli elementi emersi nel corso della precedente seduta, il deputato Nucara, incaricato di formulare la proposta di documento conclusivo, ha predisposto una nuova versione della proposta di tale documento
Do, quindi, la parola all'onorevole Nucara affinché illustri sinteticamente, se lo ritiene, le modifiche e le integrazioni inserite nella proposta in questione.
FRANCESCO NUCARA. Signor presidente, colgo l'occasione per ringraziare ancora una volta gli uffici, che sono stati veramente essenziali nella predisposizione del documento finale. Credo che l'intera Commissione possa prendere atto del lavoro veramente importante condotto dagli uffici ed io mi sono permesso di proporre, signor presidente, relativamente alla parte che riguarda la sintesi legislativa di questo documento, la realizzazione di un opuscolo divulgativo per tutti gli enti e per i professionisti.
PRESIDENTE. Aggiungo anche per i colleghi deputati. Quando si parla di questo argomento, noto che non sempre c'è una conoscenza adeguata.
FRANCESCO NUCARA. Signor presidente, i colleghi devono approvare il documento, è bene che non litighiamo con loro!
Sono state formulate alcune osservazioni, in particolare dai colleghi Mariani, Zamparutti, Realacci (quest'ultimo ci ha inviato le modifiche per iscritto) e Piffari. Di tali osservazioni significative si è tenuto conto, anche ai fini della completezza del documento che ci accingiamo a proporre.
È inutile che io ricostruisca l'iter che ha portato a questa proposta di documento finale, che si divide in quattro parti: ricostruzione normativa, programma dell'indagine, risultato delle audizioni e conclusioni, sia per quanto riguarda la difesa del suolo sia per quanto riguarda gli incendi boschivi. Devo dire che, a proposito di incendi boschivi, di osservazioni ne abbiamo avute molto poche. Peraltro, considero questo fenomeno particolarmente grave, non tanto dal punto di vista del paesaggio, ma in considerazione del fatto che dove ci sono boschi ci sono meno frane, quindi c'è un collegamento con la difesa del suolo.
Non ho altro da aggiungere.
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto.
RAFFAELLA MARIANI. Signor presidente, intervengo solo per dichiarare il voto favorevole del gruppo del Partito Democratico sulla nuova proposta di documento finale predisposta dal deputato Nucara, anche perché, come ha detto poc'anzi, abbiamo avuto modo di confrontarci costruttivamente su molte modifiche che volevamo apportare al testo definitivo.
Siamo tutti convinti che da questo lavoro debba scaturire un contributo nei confronti del Governo, sia in vista dell'ormai prossima discussione alla Camera sulla legge finanziaria per il 2010, sia, probabilmente, anche in vista della predisposizione di un decreto-legge specifico in materia di difesa del suolo.
Riteniamo che il lavoro svolto dalla Commissione possa essere utile e abbia consentito la ricognizione di ciò che, dal nostro punto di vista, non funzionava secondo le norme vigenti. La raccomandazione che dobbiamo fare al Governo e che da questo documento emerge con forza riguarda anzitutto la necessità di reperire risorse adeguate.
Abbiamo, infatti, assistito a una riduzione progressiva delle risorse nell'ambito della difesa del suolo, ma non possiamo più permettercelo. È necessario che da questo lavoro scaturisca anche un maggiore impulso a trovare risorse importanti per tutto il territorio nazionale.
ERMETE REALACCI. Condivido totalmente le dichiarazioni del capogruppo Mariani e intervengo, oltre che per rivolgere i complimenti al deputato Nucara e agli uffici per il buon lavoro svolto, che credo otterrà un voto unanime della Commissione, per svolgere una considerazione in merito alle risorse destinate alla difesa del suolo. Oltre alla questione del taglio pesante di tali risorse operato dal Governo, che noi abbiamo più volte segnalato nel passato, sottolineo un problema che accomuna le azioni per la difesa del suolo con le azioni di messa in sicurezza antisismica degli edifici pubblici da parte degli enti locali. In molti casi, gli enti locali hanno a disposizione le risorse per intervenire, ma il Patto di stabilità, così come oggi è formulato, impedisce loro di attivare azioni che da subito potrebbero avviare a soluzione - non dico risolvere - il problema della messa in
sicurezza e attivare circuiti economici di grande interesse.
In questo senso, c'è un parallelo tra quanto accade sulla difesa del suolo e quanto accade per la sicurezza antisismica degli edifici pubblici. Certamente, quest'ultimo tema non era oggetto di questa indagine conoscitiva, ma è senz'altro oggetto del confronto politico circa le azioni che siamo chiamati a svolgere anche in vista della prossima manovra finanziaria.
PRESIDENTE. Mi associo a questa osservazione. Peraltro, questi elementi sono contenuti nel documento conclusivo e, in qualche modo, danno un segnale. L'auspicio è che il Governo tenga conto di tutti gli spunti politici che abbiamo messo in piedi, tra l'altro nell'ambito di un lavoro piuttosto lungo e complesso.
Mi associo, dunque, ai ringraziamenti al deputato Nucara, che ha anche spinto perché si avviasse questa indagine conoscitiva. Noi siamo arrivati al momento dell'approvazione del documento conclusivo, che dovrebbe precedere, in effetti, anche qualche annunciata iniziativa governativa. In tal senso, lo spirito di oggi è anche quello di riuscire a dare segnali chiari. Il documento è stato inviato anche al ministero e ci auguriamo che costituisca una base di discussione importante.
Quando parlavo di divulgare il documento non mi riferivo ai membri della Commissione, ma agli altri 600 e passa deputati. Essendo il territorio italiano piuttosto complesso e a rischio quasi nella sua totalità (l'80 per cento dei comuni italiani lo sono) mi sembra giusto che i deputati vengano avvisati del lavoro che abbiamo svolto, in modo che possano trarne degli spunti interessanti per il prosieguo della loro attività. In questo senso, ritengo che fare una pubblicazione e distribuirla a tutti i colleghi potrebbe essere una buona iniziativa.
FRANCESCO NUCARA. Signor presidente, intervengo solo per fare una precisazione su quanto questo problema sia sentito da tutte le forze politiche e dalle persone comuni. Già nel 2006 avevo chiesto all'allora presidente della Commissione, onorevole Realacci, di iniziare un'indagine su questo problema. Mi rendo conto che si tratta di un problema vasto e mal gestito, come si dice nella relazione. È vero, infatti, che le risorse finanziarie sono poche, ma sono anche gestite male. Il problema, dunque, era già sentito da tutti. Anche in quell'occasione, il collega Realacci, allora presidente della Commissione, mi aveva chiesto di fare il relatore, ma la legislatura finì in anticipo.
Ringrazio anche il presidente Alessandri, che ha preso subito a cuore questa mia richiesta e l'ha portata in Commissione. Trattandosi di un problema da tutti avvertito come tale, credo che anche attraverso gli atti del sindacato ispettivo dovremo tornare spesso e volentieri su questo argomento.
PRESIDENTE. Visto che ci aspetta un inverno prevedibilmente piovoso, dopo i fatti di Messina questo diventerà un tema ancora più di attualità. A maggior ragione, oggi sono contento di poter chiudere questa indagine che è durata oltre un anno e di poter definire questo documento. Ringrazio gli uffici per la pazienza e la capacità formidabile di costruire momenti di sintesi.
Nessun altro chiedendo di intervenire per dichiarazione di voto, pongo in votazione la nuova versione della proposta di documento conclusivo illustrata dal deputato Nucara (vedi allegato).
(È approvata).
Ringrazio i presenti, che hanno approvato all'unanimità la proposta di documento conclusivo, e dichiaro conclusa la seduta.
La seduta termina alle 13,20.
1. La ricostruzione normativa
1.1. Il ruolo delle istituzioni comunitarie
1.2. La legislazione nazionale e il riparto di competenze tra Stato e regioni
2. Il programma dell'indagine
3. Le risultanze delle audizioni
3.1. La tutela del territorio e la difesa del suolo
3.2. Il quadro organizzativo e il riparto delle competenze nella lotta agli incendi boschivi
4. Conclusioni
4.1. Le proposte della Commissione sulla tutela del territorio e la difesa del suolo
4.2. Le proposte della Commissione sugli incendi boschivi
1.1. Il ruolo delle istituzioni comunitarie.
La politica ambientale nei Trattati. La necessità di prestare maggiore attenzione all'ambiente, nel contesto dell'espansione economica e del miglioramento della qualità della vita, trova un riconoscimento a livello europeo soltanto a seguito del vertice di Parigi del luglio 1972. A partire da tale data, vengono elaborati programmi di azione pluriennali in materia ambientale che diventano il riferimento per l'azione politica e legislativa comunitaria.
L'entrata in vigore del trattato sull'Unione europea, nel novembre 1993, eleva al rango di «politica» propriamente detta l'azione europea in materia ambientale, e introduce il concetto di «crescita sostenibile che rispetti l'ambiente» tra i compiti della Comunità, oltre ad inserire il principio di precauzione nell'articolo relativo all'ambiente.
Tale impostazione è stata ulteriormente rafforzata nel trattato di Amsterdam, nel 1999, in cui trovano riconoscimento il principio dello sviluppo sostenibile (articolo 2) e quello di integrazione della dimensione ambientale in tutte le politiche comunitarie (articolo 6), ed è stata sostanzialmente riprodotta nelle disposizioni relative alla politica ambientale del Trattato di Lisbona.
Il riesame della politica ambientale. Le priorità della Commissione per il 2009 sono state ridefinite nell'ambito del sesto riesame della politica ambientale (COM(2009)304), presentato nel novembre 2008. In particolare, la Commissione ritiene necessario trasformare la recente crisi finanziaria in un'occasione per accelerare il passaggio ad un'economia più compatibile con l'ambiente, in grado di ridurre le emissioni di carbonio, migliorare l'efficienza energetica, e sfruttare in modo razionale le risorse naturali. In tale contesto assumono carattere prioritario:
la conclusione positiva dei lavori della conferenza di Copenaghen, che nel prossimo dicembre, tenterà di definire un regime internazionale per il contenimento delle emissioni di gas serra (accordo post-Kyoto);
rafforzare la capacità di adattamento ai cambiamenti climatici;
arrestare la perdita di biodiversità all'interno dell'UE e su scala mondiale;
rafforzare la cooperazione e la governance internazionale.
Il sesto programma d'azione e la strategia tematica per la protezione del suolo. Il sesto programma di azione in materia ambientale 2002-2010 (1) propone un approccio strategico che sollecita l'assunzione di responsabilità e la partecipazione attiva di tutti i settori della società alla ricerca di soluzioni innovative, pratiche e sostenibili agli attuali problemi ambientali.
Per ciò che concerne la protezione del suolo, il sesto programma d'azione prevede l'elaborazione di una strategia che la Commissione ha messo a punto in due fasi, nel 2002 e nel 2006.
Con la strategia tematica per la protezione del suolo del 2006 (COM(2006)231) la Commissione propone la seguente definizione di suolo: «per suolo s'intende lo strato superiore della crosta terrestre, costituito da componenti minerali, organici, acqua, aria e organismi viventi. Rappresenta l'interfaccia tra terra, aria e acqua e ospita gran parte della biosfera». Il documento effettua un'analisi che mette in rilievo l'impatto negativo che una serie di attività umane - quali pratiche agricole e silvicole inadeguate, attività industriali, turismo, proliferazione urbana e industriale e opere di edificazione - possono avere sullo svolgimento di un'ampia varietà di funzioni e di servizi che il suolo normalmente fornisce agli esseri umani e agli ecosistemi. Su tali presupposti la Commissione ha presentato una proposta di direttiva quadro per la protezione del suolo (COM(2006)230) intesa ad aggiornare
e rafforzare la normativa vigente (direttiva 2004/35/CE) attraverso:
la prevenzione dell'ulteriore degrado del suolo;
la tutela delle funzioni dei suoli (servizi ecosistemici, stoccaggio di carbonio, conservazione della biodiversità ecc.);
l'integrazione delle problematiche legate ai suoli in altre politiche (in materia di acque, rifiuti, sostanze chimiche e quelle agricole);
la prevenzione delle minacce attraverso l'individuazione delle aree che richiedono una protezione prioritaria;
l'approntamento di programmi d'azione;
l'identificazione e bonifica dei siti contaminati.
A causa di divisioni emerse in seno al Consiglio, non si registrano recenti progressi sulla proposta della Commissione già peraltro esaminata in prima lettura dal Parlamento europeo, secondo la procedura di codecisione, nel novembre 2007.
La pianificazione urbanistica e l'assetto del territorio. La pianificazione urbanistica e l'assetto del territorio non hanno costituito oggetto di interventi normativi da parte delle istituzioni comunitarie. Tuttavia, dalla fine degli anni '80 è stata avviata una riflessione, concretizzatasi attraverso:
la pubblicazione di un compendio dei sistemi e delle politiche di assetto territoriale nell'Unione europea;
l'adozione dello Schema di sviluppo dello spazio europeo (SSSE) al Consiglio di Potsdam del maggio 1999 e delle relative dodici azioni di messa in atto al Consiglio di Tampere dell'ottobre 1999;
l'elaborazione di un programma di studi in pianificazione territoriale a livello europeo (SPESP).
In questo ambito, la coesione territoriale, come evidenziato dalla Commissione europea, consiste nell'assicurare lo sviluppo armonioso di tutti i diversi territori dell'UE e nel garantire che gli abitanti possano trarre il massimo beneficio dalle particolari caratteristiche dei territori in cui abitano. Pertanto - secondo la Commissione - essa costituisce un mezzo per trasformare la diversità in un punto di forza che contribuisce allo sviluppo sostenibile di tutta l'Unione.
Il secondo rapporto sulla coesione economica e sociale, adottato dalla Commissione europea a gennaio 2001, affronta per la prima volta il tema della coesione territoriale. La Commissione, in partenariato con gli Stati membri, promuove questo approccio presso i cittadini, i rappresentanti politici locali e regionali, le imprese e le pubbliche amministrazioni, grazie:
ai lavori dell'ORATE (Osservatorio in rete dell'assetto del territorio europeo), i cui obiettivi sono quelli di accrescere la visione europea nell'assetto territoriale, sviluppare strumenti per l'attuazione dell'SSSE, facilitare il coordinamento tra i diversi livelli di decisione territoriale e servire da collegamento tra i decisori, le amministrazioni e gli scienziati;
alla diffusione di studi di natura territoriale;
alla messa a disposizione di documenti di lavoro.
La coesione territoriale è stata quindi espressamente riconosciuta dal Trattato di Lisbona (articolo 158 Trattato sul funzionamento dell'Unione) e disciplinata, accanto alla coesione economica e sociale, tra gli obiettivi generali e le politiche dell'UE.
In materia di governo del territorio si segnalano inoltre le azioni condotte dagli organi comunitari preordinate ad un efficace perseguimento degli obiettivi in materia di politica ambientale: la direttiva 2001/42/CE sulla valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente individua nella valutazione ambientale strategica (VAS) lo strumento per l'integrazione delle considerazioni ambientali all'atto dell'elaborazione e dell'adozione di piani e programmi, al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile. Essa è stata recepita, a livello statale, dal decreto legislativo n. 152 del 2006 (cd. Codice ambientale). Si ricorda, altresì, che numerose regioni hanno già emanato disposizioni riguardanti l'applicazione di tale procedura con riferimento alla direttiva comunitaria.
Si ricorda, infine, che la Convenzione europea del paesaggio, recepita con la legge n. 14 del 2006, intende il paesaggio come «una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni». La formula adottata in sede europea sancisce un punto di svolta nel modo di intendere il territorio in quanto «paesaggio»: esso, anche al di fuori degli ambiti sottoposti a tutela per il loro particolare valore culturale, non è più una realtà indifferenziata, sfruttabile senza limiti, salvo quelli imposti dalle sole esigenze dello sviluppo economico, ma costituisce comunque un «bene» finito e consumabile, che richiede azioni di governo consapevoli «al fine di orientare e di armonizzare le ... trasformazioni provocate dai processi di sviluppo sociali, economici ed
ambientali» (articolo 1, lett. e, della Convenzione). E non solo: le caratteristiche «paesaggistiche» di tali contesti, ancorché meno significative sotto il profilo culturale, vanno in ogni caso individuate, in quanto costituiscono un dato di conoscenza imprescindibile per le competenti autorità pubbliche, chiamate a definire, per tali contesti, gli «obiettivi di qualità paesaggistica» necessari a renderli compatibili con «le aspirazioni delle popolazioni» che in essi vivono, al conseguimento di una migliore qualità della vita (articolo 1, lett. c, della Convenzione). Quindi, in tale ottica, tutte le aree territoriali vanno gestite in modo da armonizzarne le trasformazioni provocate dai processi di sviluppo sociali, economici ed ambientali «in una prospettiva di sviluppo sostenibile» (articolo 1, lett. e, della Convenzione).
Gestione delle risorse idriche e qualità delle acque. Come indicato nel Libro bianco sugli adattamenti climatici (COM(2009)147), la Commissione ritiene che, in seguito ai cambiamenti del clima, le zone dell'Europa soggette a forte stress idrico dovrebbero passare dal 19 per cento attuale, al 35 per cento nel decennio 2070: la qualità e la disponibilità di acqua potrebbero, pertanto, peggiorare, con ripercussioni, ad esempio, sulla produzione alimentare o sulle pressioni migratorie.
Su tale ridotta disponibilità potrebbe pesare l'impatto della produzione delle c.d. fonti di energia alternative: allo stato attuale
delle conoscenze scientifiche sia i biocombustibili più efficienti sia le tecnologie più evolute, quali ad esempio quelle per l'impiego «pulito» del carbone o i motori ibridi per le autovetture, potrebbero implicare il consumo di grandi quantità di acqua.
All'inizio del 2009 è entrata in vigore anche la direttiva relativa a standard di qualità ambientale per le acque superficiali (direttiva 2008/105/CE) che istituisce limiti di concentrazione per più di 30 sostanze inquinanti come i pesticidi, i metalli pesanti e i biocidi e completa un quadro normativo per la gestione delle acque basato sul concetto di «distretto idrografico», e non sui confini amministrativi, che punta a raggiungere, di norma entro il 2015, una buona qualità delle acque per tutti i corpi idrici dell'UE. In questo contesto, entro il 2010, gli Stati membri dovranno aver applicato tariffe che rispecchino i veri costi dell'acqua e incentivino investimenti a favore dell'efficienza idrica, che secondo alcuni studi potrebbe essere incrementata nell'UE del 40 per cento.
Conservazione delle risorse naturali. Il 24 luglio 2009 la Commissione ha presentato una comunicazione relativa al riesame 2009 della strategia UE per lo sviluppo sostenibile (COM(2009)400) che si prefigge di integrare la strategia per lo sviluppo sostenibile con la strategia di Lisbona e con le altre strategie trasversali dell'UE, in primo luogo la politica climatica.
Per quanto concerne la tutela del suolo e la conservazione delle risorse naturali, le previsioni della Commissione per il 2050 stimano che l'impatto ambientale della crescita prevista della popolazione mondiale - 9 miliardi di persone - dovrebbe superare del 30 per cento la sostenibilità a lungo termine del pianeta in termini di risorse disponibili. Ad una possibile perdita dell'11 per cento delle aree naturali rispetto al 2000 potrebbe corrispondere una perdita complessiva di servizi ecosistemici, quali la produzione di cibo o acqua, pari al 7 per cento del PIL nel 2050. La Commissione ritiene che vada fatta emergere l'utilità di tali servizi misurandone i costi e i benefici.
La questione della deforestazione e del degrado delle foreste ha assunto un particolare rilievo nell'ambito della lotta ai cambiamenti climatici. In particolare, la Commissione europea ha evidenziato in più occasioni che la riduzione delle emissioni provocate dalla deforestazione è essenziale nello sforzo di limitare il riscaldamento della terra a 2 gradi centigradi. La Commissione rileva, infatti, che il processo di deforestazione dovuto anche agli incendi, che secondo stime della FAO costerebbe la perdita di circa 13 milioni di ettari di foreste l'anno, ovvero una superficie pari circa alla Grecia, sarebbe responsabile di circa il 20 per cento delle emissioni mondiali di biossido di carbonio (IPCC, 2007), equivalenti a più del totale delle emissioni di gas serra della UE. La Commissione ritiene, inoltre, che vadano ribaditi il valore economico delle
foreste, che forniscono un numero importante di servizi ecosistemici, e la loro importanza ai fini del mantenimento della biodiversità. In tale contesto, nell'ottobre 2008 la Commissione ha presentato due iniziative per la protezione delle foreste mondiali intese, da un lato, a definire, con una comunicazione relativa ai problemi di deforestazione e degrado forestale (COM(2008)645), gli strumenti necessari a conseguire l'obiettivo di ridurre la deforestazione
tropicale di almeno il 50 per cento entro il 2020 e di arrestare la perdita di foreste su scala planetaria entro il 2030; dall'altro, a rafforzare gli strumenti esistenti attraverso una proposta di regolamento (COM(2008)644) che impone ai commercianti di legname e prodotti del legno di accertarsi che il legno sia stato abbattuto legalmente nel paese di origine.
Gestione delle emergenze e delle catastrofi ambientali. Per aumentare le capacità dell'UE di gestire le calamità naturali, aumentate per intensità e frequenza negli Stati membri e nei paesi terzi per effetto dei cambiamenti climatici, la Commissione, in accordo con la strategia per la gestione delle catastrofi presentata nel marzo 2008, ha proposto, nel febbraio 2009, un approccio comunitario per ridurre l'impatto delle catastrofi d'origine naturale e umana (COM(2009)82) ed una strategia a sostegno della riduzione del rischio di catastrofi nei Paesi in via di sviluppo (COM(2009)84), intese a superare l'approccio nazionale al problema attraverso il collegamento tra le politiche pertinenti e il miglioramento degli strumenti di prevenzione delle catastrofi di cui la Comunità già dispone.
1.2. La legislazione nazionale e il riparto di competenze tra Stato e regioni.
La tutela dell'ambiente. La materia della difesa del suolo è riconducibile, secondo gli orientamenti più recenti della Corte costituzionale, principalmente alla materia tutela dell'ambiente, di esclusiva competenza statale (mentre la valorizzazione dei beni culturali e ambientali è attribuita alla competenza concorrente di Stato e regioni).
Sempre secondo la Corte, alcuni profili della difesa del suolo sono però anche riconducibili alla materia governo del territorio, di competenza concorrente. Ciò anche in relazione alle finalità degli interventi in materia di difesa del suolo, ispirate al perseguimento di un assetto del territorio in grado di garantire la messa in sicurezza e la tutela di valori (vite umane, beni immobili e mobili) esposti a rischio in relazione alle relative condizioni geomorfologiche.
D'altro canto la legislazione regionale in materia ambientale, precedente alla riforma del Titolo V, era stata particolarmente intensa ed aveva consentito di cogliere in anticipo e di disciplinare con successo problemi emergenti di tutela ambientale.
Tale circostanza ha quindi portato i giudici costituzionali, a seguito della riforma, ad affermare che la «tutela dell'ambiente» investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze.
In tale ambito, la Corte configura l'ambiente come «valore» costituzionalmente protetto che, in quanto tale, delinea una sorta di materia «trasversale», in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che riguardano profili indissolubilmente connessi ed intrecciati con la tutela dell'ambiente, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale (sentenza n. 407 del 2002).
Nella successive sentenze (ad esempio, la n. 182 del 2006 e la n. 367 del 2007), la Corte riconosce alla legislazione regionale la facoltà di assumere tra i propri scopi anche finalità di tutela ambientale o paesaggistica, purché siano rispettate le regole uniformi fissate dallo Stato.
Le più recenti sentenze del 2008 e del 2009 ribadiscono tali limiti regionali, riconducendo alla materia della tutela dell'ambiente numerose questioni sollevate dalle regioni, tra le quali si ricordano, per la loro rilevanza, la difesa del suolo, la gestione delle risorse idriche e i rifiuti.
In particolare, con la sentenza n. 232 del 2009 la Corte chiarisce che la «difesa del suolo» così come la «tutela delle acque dall'inquinamento» e la «gestione delle risorse idriche» sono riconducibili alla materia «tutela dell'ambiente» e su tale base dichiara inammissibili o non fondate le censure mosse da più regioni ad alcuni articoli del Codice ambientale. Secondo la Corte, i piani di bacino sono il fondamentale strumento di pianificazione della difesa del suolo e delle acque. Nella procedura di formazione dei predetti piani prevista dal Codice, gli interessi regionali risultano adeguatamente tutelati dalle forme di collaborazione previste dal Codice stesso (partecipazione della regione agli organi dell'autorità di bacino ed espressione del parere sugli ambiti di competenza).
Il governo del territorio. La materia «governo del territorio», assegnata dal terzo comma dell'articolo 117 Cost., alla competenza concorrente dello Stato e delle regioni, ricomprende anche l'urbanistica e l'edilizia, secondo una consolidata giurisprudenza costituzionale (cfr. le sentenze n. 303 e n. 362 del 2003 e la sentenza n. 196 del 2004).
In tale ambito, fin dalla XIV legislatura, il Parlamento ha tentato di portare a termine, senza successo, una iniziativa di riforma volta a fissare, da una parte, i principi generali della materia e, dall'altra, a riordinare e unificare la normativa in materia di urbanistica, la cui legge risale al 1942 e non ha mai ricevuto effettiva e completa attuazione (a partire dall'indispensabile regolamento di esecuzione, mai emanato). Attualmente, la Commissione ambiente della Camera ha avviato l'esame delle proposte di legge AC 329 (on. Mariani e altri) e AC 438 (on. Lupi ed altri), recanti principi fondamentali per il governo del territorio.
Le proposte recano una analoga definizione legislativa di governo del territorio, che viene individuato come l'insieme delle attività conoscitive, regolatorie, di programmazione, localizzazione e attuazione degli interventi volte a perseguire la tutela e la valorizzazione, la disciplina degli usi e delle trasformazioni dello stesso e la mobilità in relazione agli obiettivi di sviluppo del territorio. Viene inoltre stabilito che il governo del territorio, la cui potestà legislativa è affidata alle regioni, include altresì l'urbanistica, l'edilizia, i programmi infrastrutturali, la difesa del suolo, la tutela del paesaggio e delle bellezze naturali. Il processo riformatore ruota intorno a concetti quali:
flessibilità degli strumenti urbanistici, intesa come adattabilità degli stessi alle mutevoli condizioni economiche e territoriali, fatti
salvi gli elementi strutturali di riferimento da assumere come invarianti;
rapporto con i soggetti privati e loro coinvolgimento sin dalla fase di elaborazione dei piani (sussidiarietà orizzontale). Viene riconosciuta alla società civile la facoltà di fornire un apporto significativo alla definizione e all'attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile del territorio;
coordinamento delle diverse discipline specialistiche (tutela patrimonio culturale e ambientale, paesaggio, sviluppo sostenibile, risorse idriche, protezione civile, piani rurali, ecc.);
accelerazione e semplificazione delle procedure sulla base dei principi di sussidiarietà e di cooperazione tra diversi livelli e soggetti istituzionali.
L'ampio ciclo di audizioni presso la Commissione ambiente ha fatto emergere la necessità di chiarire il quadro delle responsabilità dei diversi livelli istituzionali ed ha messo in luce una generale preferenza per gli atti negoziali nel settore della pianificazione e della programmazione.
In attesa della legge di riforma, tutte le regioni hanno emanato - nel corso degli anni - leggi di dettaglio, soprattutto con riguardo all'urbanistica e all'edilizia, definendo le competenze degli enti territoriali (province e comuni) e, più recentemente, anche le azioni di tutela e valorizzazione del territorio e dell'ambiente.
Tra queste, a titolo di esempio, si ricorda la legge della regione Puglia, ai sensi della quale gli strumenti di governo del territorio, dal livello regionale fino alla pianificazione esecutiva a scala comunale, devono contenere le indicazioni necessarie a perseguire e promuovere gli obiettivi di sostenibilità delle trasformazioni territoriali e urbane. Il perseguimento dei criteri di sostenibilità ambientale avviene attraverso la previsione di accurate ricognizioni delle risorse territoriali e ambientali, nei piani e nei programmi di ogni livello, allo scopo di valutare le implicazioni ambientali dei processi di trasformazione del territorio. I piani e i programmi devono indicare norme, parametri, indicazioni progettuali e tipologiche che garantiscano il migliore utilizzo delle risorse naturali e dei fattori climatici, nonché la prevenzione dei rischi ambientali.
Dal canto suo, la Commissione ambiente ha avviato una serie di iniziative volte a coniugare la qualità con la sostenibilità ambientale, nell'ambito di una politica che mira a legare la riqualificazione e valorizzazione del territorio con una prospettiva di sviluppo economico: oltre al governo del territorio, si ricordano le proposte sul sistema casa qualità, sui piccoli comuni e sulla riqualificazione dei centri storici, per non parlare dell'intervento a favore delle agevolazioni fiscali per la riqualificazione energetica egli edifici.
La difesa del suolo e la legge quadro n. 183 del 1989. Il Parlamento italiano è intervenuto circa 20 anni fa con una legge organica, la legge 18 maggio 1989, n. 183 Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo, ora confluita nel Codice ambientale, decreto
legislativo n. 152 del 2006, con la quale si è inteso disciplinare una pianificazione di lungo periodo delle complesse attività di prevenzione del rischio idrogeologico e di manutenzione del territorio.
Il panorama legislativo precedente. La riforma della normativa in materia di difesa del suolo operata dalla legge n. 183 del 1989 si è innestata su una serie di normative, senza tuttavia abrogarle, sedimentatesi dall'Unità d'Italia in poi.
Esisteva, infatti, prima di tale legge, una legislazione sulle acque non organica, ma dispersa in un numero imponente di testi legislativi miranti a far fronte ad esigenze del tutto diverse e connesse ai processi di riqualificazione e di sviluppo socio-economico funzionale al periodo in cui vennero emanate. In particolare si fa riferimento a funzioni quali le opere idrauliche e di bonifica, la disciplina degli usi delle acque, la integrazione delle concessioni per derivazione di acque, la sistemazione idrogeologica, le opere per la navigazione interna.
Il concetto giuridico di difesa del suolo, prima della legge 183, è stato, infatti, usualmente ricondotto a leggi settoriali riguardanti la distinzione tra acque pubbliche e private, le opere idrauliche, la bonifica, le sistemazioni montane, l'igiene del suolo e degli abitati.
È il caso, in particolare, del R.D. 25 luglio 1904, n. 523 (Testo Unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche delle diverse categorie) e del relativo regolamento attuativo recato dal R.D. 9 dicembre 1937, n. 2669 (Regolamento sulla tutela delle opere idrauliche di prima e seconda categoria e delle opere di bonifica). Tali disposizioni, tuttora vigenti con qualche integrazione e modifica, hanno regolato e regolano, le diverse opere idrauliche, nonché l'attività di polizia idraulica.
Il R.D. n. 523 del 1904 disciplina innanzitutto le opere idrauliche intorno alle acque pubbliche che vengono distinte in cinque categorie. Vengono quindi introdotti, tra l'altro, vincoli di inedificabilità (articoli 57-62), norme sugli scoli artificiali (articoli 63-67), norme sull'attività di polizia idraulica (2), prevedendo le attività vietate e quelle consentite nelle fasce di rispetto per i corsi d'acqua pubblici. Viene, infatti, stabilito che nessuno può fare opere nell'alveo dei fiumi, torrenti, rivi, scolatoi pubblici e canali di proprietà demaniale, cioè nello spazio compreso fra le sponde fisse dei medesimi, senza il permesso dell'autorità amministrativa. Ulteriori disposizioni elencano i lavori e atti vietati in modo assoluto sulle acque pubbliche,
nonché quelli che hanno invece bisogno di uno speciale permesso del prefetto o di un'autorizzazione ministeriale.
Con il successivo regolamento attuativo, R.D. n. 2669 del 1937 (Regolamento sulla tutela delle opere idrauliche di prima e seconda categoria e delle opere di bonifica) si è quindi disciplinato il servizio di vigilanza sui corsi d'acqua e sui loro tratti classificati in 1a e 2a categoria, istituendo specifici ufficiali e guardiani idraulici, ai quali sono stati attribuiti specifici compiti di vigilanza e di guardia da svolgersi sia in situazioni ordinarie che durante le emergenze, qualora,
ad esempio, non appena un corso d'acqua accenni a mettersi in piena. Ai sensi dell'articolo 33 spetta esclusivamente ai funzionari del Genio civile od ai loro dipendenti regolare il servizio di piena, impartire ordini e prendere provvedimenti nei casi di pericolo o di rotta. Gli ingegneri di sezione del Genio civile sono autorizzati a richiedere all'autorità politica, direttamente o per mezzo dell'ingegnere capo, la forza armata, quando la reputino necessaria.
Le norme del R.D. n. 523 del 1904 e al R.D. n. 2669 del 1937, tuttora vigenti, sono anche richiamate nella Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 27 febbraio 2004, che reca gli indirizzi operativi per la gestione organizzativa e funzionale del sistema di allertamento nazionale statale e regionale per il rischio idrogeologico ed idraulico ai fini di protezione civile, viene, infatti, sottolineato come «i Programmi regionali di previsione e prevenzione, oltre a recepire le funzioni, i compiti e l'organizzazione delle fasi di previsione, monitoraggio e sorveglianza, devono altresì promuovere l'organizzazione funzionale ed operativa del servizio di piena e di pronto intervento idraulico, di cui al R.D. n. 523 del 1904 e al R.D. n. 2669 del 1937 e successive modifiche ed integrazioni, nell'ambito dei presidi territoriali, così come stabilito dalla direttiva stessa».
Si citano, infine, l'insieme di norme derivante dal combinato disposto del R. D. n. 1775 del 1933 (Testo Unico delle leggi sulle Acque ed Impianti Elettrici) e del R.D. n. 1285 del 1920 (Regolamento per le derivazioni e utilizzazioni di acque pubbliche), finalizzato a regolare le concessioni di piccola derivazione d'acqua (3), nonché quelle contenute nel R.D. 13 febbraio 1933 n. 215 (Nuove norme per la bonifica integrale).
Tali decreti «furono elaborati in modo puntuale e rigoroso in materia di regimazione idraulica, tutela delle acque e bonifica agricola tanto che nessun legislatore vi ha messo mano fino agli anni ottanta; tuttavia queste norme mostrano ormai i segni del tempo e risultano inadeguate in materia di progettazione, manutenzione e gestione del suolo» (4).
Si consideri, come esempio, l'importanza attribuita allo sviluppo della produzione idroelettrica che ha ispirato l'approvazione del R.D. n. 1775 del 1933 ma che, in seguito, con l'estendersi delle centrali termoelettriche, con l'affermarsi delle esigenze di tutela ambientale e con l'entrata in vigore dei «piani di bacino» miranti ad una utilizzazione coordinata di tutte le acque in un determinato settore territoriale, è in gran parte venuta meno (5). Tant'è che alcune delle
sue disposizioni sono state adeguate alla normativa contenuta nel d.lgs. n. 152 del 2006 (cd. Codice ambientale): l'articolo 96 del citato d.lgs. reca, infatti, alcune modifiche al R.D. n. 1775 soprattutto in materia di procedimenti di rilascio delle concessioni di derivazione di acque pubbliche, per adeguarle alle funzioni svolte alle autorità di bacino territorialmente competenti.
La legge quadro n. 183 del 1989 aveva individuato quindi il «bacino idrografico» quale unità territoriale di riferimento per l'azione pianificatoria di settore, affidata ad autorità pubbliche di bacino, dotate di una competenza gerarchicamente sovraordinata a tutte le altre (almeno per quanto riguarda gli interventi di difesa del suolo) e geograficamente estesa fino a coprire l'intero bacino idrografico. L'intero territorio nazionale è stato, quindi, suddiviso in bacini idrografici di rilevo nazionale, interregionale e regionale prevedendo che, in tali ambiti, le attività di pianificazione, programmazione, individuazione e definizione degli interventi, per tutti i temi inerenti la difesa del suolo, siano effettuate dalle «Autorità di bacino».
La legge è stata giudicata addirittura anticipatrice della normativa comunitaria, e segnatamente della cd. direttiva acque 2000/60/CE ma, forse proprio a causa dei suoi ambiziosi contenuti, ha incontrato notevoli difficoltà attuative.
Il quadro normativo è stato poi integrato e migliorato con il decreto-legge n. 180 del 1998, che ha introdotto una serie di strumenti intermedi (prima di giungere al piano di bacino vero e proprio), quali i piani stralcio, accanto a misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico, attraverso la zonazione del territorio.
Inoltre, nel corso della XIII legislatura le Commissioni Ambiente di Camera e Senato hanno svolto un'apposita indagine conoscitiva sulla difesa del suolo (vedi oltre), conclusasi poche settimane prima dell'emanazione del decreto legislativo n. 112 del 1998, che aveva, tra le altre, anche la finalità - auspicata dalle Commissioni nei documenti conclusivi dell'indagine - di favorire l'attuazione della legge 183, attraverso - articolo 88, comma 1, lettera b) e articolo 88, comma 2 - l'attribuzione allo Stato della funzione di programmazione e finanziamento degli interventi di difesa del suolo, dove - pur nell'indirizzo generale di decentramento che caratterizza l'intero decreto - si confermava tuttavia come imprescindibile una funzione statale di programmazione unitaria - e quindi di definizione di priorità - negli interventi di difesa del suolo.
Veniva inoltre stabilito che tutte le funzioni elencate dall'articolo 88 fossero esercitate dallo Stato sentita la Conferenza unificata. Da queste disposizioni emergeva l'opzione del legislatore per un modello cooperativo nei rapporti far Stato e regioni in materia di difesa del suolo.
La successiva riforma del Titolo V della Costituzione non ha innovato rispetto al precedente riparto di competenze: la citata legge 183, infatti, si era posta espressamente quale legge-quadro (articolo 1, comma 5).
Anche la Corte costituzionale, pronunciatesi sulla legittimità costituzionale della legge 183 (sentenza n. 85 del 1990), ha confermato
che la difesa del suolo è «una finalità il cui raggiungimento coinvolge funzioni e materie assegnate tanto alla competenza statale quanto a quella regionale (o provinciale)» e che tale funzione può essere perseguita «soltanto attraverso la via della cooperazione fra l'uno e gli altri soggetti».Si segnala, tra l'altro, che lo stesso decreto legislativo 112/1998 ha conferito allo Stato la funzione di identificazione delle linee fondamentali dell'«assetto del territorio nazionale con riferimento ai valori naturali e ambientali, alla difesa del suolo e alla articolazione territoriale delle reti infrastrutturali e delle opere di competenza statale, nonché al sistema delle città e delle aree metropolitane, anche ai fini dello sviluppo del Mezzogiorno e delle aree depresse del paese» (articolo 52).
Da ultimo, un generale riordino della materia relativa alla difesa del suolo si è avuto con l'approvazione del Codice ambientale (D.lgs. 152/2006) che, come già chiarito, ha tra l'altro assorbito i contenuti della legge 183/1989, ora abrogata.
Sotto il profilo legislativo, a seguito della delega recata dall'articolo 1 della legge 15 dicembre 2004, n. 308, il d.lgs. 152/2006 ha operato una revisione della normativa ambientale, tra cui anche la normativa sulla difesa del suolo e quella sulla gestione delle risorse idriche.
La legge delega aveva, inoltre, indicato anche specifici principi e i criteri direttivi in merito a tali due importanti tematiche:
b) quanto alla gestione delle risorse idriche, dare piena attuazione alla gestione del ciclo idrico integrato; promuovere il risparmio idrico favorendo l'introduzione e la diffusione delle migliori tecnologie per l'uso e il riutilizzo della risorsa; pianificare, programmare e attuare interventi diretti a garantire la tutela e il risanamento dei corpi idrici superficiali e sotterranei, previa ricognizione degli stessi;
c) quanto alla difesa del suolo, rimuovere gli ostacoli alla piena operatività degli organi amministrativi e tecnici preposti alla tutela e al risanamento del suolo e del sottosuolo, superando la sovrapposizione tra i diversi piani settoriali di rilievo ambientale e coordinandoli con i piani urbanistici; valorizzare gli organismi a composizione mista statale e regionale; adeguare la disciplina dell'attività di risanamento idrogeologico del territorio e della messa in sicurezza delle situazioni a rischio; prevedere meccanismi premiali a favore dei proprietari delle zone agricole e dei boschi che investono per prevenire fenomeni di dissesto idrogeologico, nel rispetto del piano di bacino.
In particolare le disposizioni sulla difesa del suolo e sulla gestione delle risorse idriche, contenute nella Parte Terza (artt. 53-176) del Codice ambientale, consistono principalmente nella riorganizzazione dell'assetto amministrativo disegnato dalla legge 183/1989 sui bacini idrografici.
In attuazione della direttiva 2000/60/CE (direttiva quadro sulle acque), che ha introdotto l'innovativo istituto dei «distretti idrogra
fici»
(articolo 64) (6), il Codice ambientale ha previsto la soppressione delle vecchie autorità di bacino e l'istituzione di otto distretti idrografici che coprono l'intero territorio nazionale. Ognuno di tali distretti accorpa pertanto una serie di bacini (7).
Infatti, la novità più rilevante dal punto di vista dell'assetto amministrativo, è l'istituzione (articolo 63), in ciascun distretto idrografico, dell'Autorità di bacino distrettuale e la soppressione, dal 30 aprile 2006, delle Autorità di bacino previste dalla legge 183, rimettendo ad un DPCM la disciplina del trasferimento di funzioni e la regolamentazione del periodo transitorio, nonché la definizione dei criteri e delle modalità per l'attribuzione o il trasferimento del personale e delle risorse patrimoniali e finanziarie.
Si ricorda, tuttavia, che le autorità di bacino istituite dalla legge 183 non sono state ancora soppresse ma sono state da ultimo prorogate dal decreto-legge 208/2008 (articolo 1) fino all'entrata in vigore del previsto DPCM (articolo 63, comma 2, del Codice) volto a disciplinare il trasferimento di risorse e di funzioni alle nuove autorità di bacino «distrettuali». Lo stesso decreto-legge (articolo 1, comma 3-bis) ha introdotto anche una serie di disposizioni finalizzate a consentire l'adozione dei piani di gestione dei bacini idrografici, che dovrà avvenire non oltre il 22 dicembre 2009. È quindi prevista l'emanazione di linee guida, con decreto del Ministero dell'ambiente, a garanzia dell'uniformità ed equità sul territorio nazionale nell'adozione e nell'attuazione dei piani di gestione, con particolare riferimento alla risorse finanziarie necessarie al conseguimento
degli obiettivi ambientali e ai costi sopportati dagli utenti.
Lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo con il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d'uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo ed alla corretta utilizzazione della acque è rappresentato, pertanto, dal piano di bacino distrettuale, che ha valore di piano territoriale di settore (articolo 65, comma 1).
Inoltre, nelle more dell'approvazione dei piani di bacino - la cui procedura di adozione ed approvazione è disciplinata dall'articolo 66 - le Autorità di bacino distrettuali adottano piani stralcio di distretto per l'assetto idrogeologico (PAI), che contengono in particolare l'individuazione delle aree a rischio idrogeologico, la perimetrazione delle aree da sottoporre a misure di salvaguardia e la determinazione delle misure medesime (articolo 67, comma 1).
Le Autorità di bacino approvano, inoltre, anche piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico, redatti anche sulla base delle proposte delle Regioni e degli enti locali (articolo 67, comma 2).
Va ricordato che della possibilità di utilizzare strumenti di pianificazione meno complessi del piano generale di bacino, quali per l'appunto i piani stralcio, si sono ampiamente avvalse le Autorità di bacino, anche se, per tali strumenti, il procedimento di approvazione ed entrata in vigore non si discosta da quello previsto, in linea generale, dalla legge quadro sulla difesa del suolo per il piano di bacino organico. In effetti, l'esperienza dei piani stralcio conferma la difficoltà di elaborazione del piano generale di bacino e la tendenza a ricorrere ad atti pianificatori parziali, che dal punto di vista formale si qualificano come anticipazioni del piano comprensivo.
Per quanto riguarda l'attuazione dei piani di bacino, essa avviene mediante programmi triennali di intervento, redatti tenendo conto degli indirizzi e delle finalità dei piani medesimi e indicando i mezzi per farvi fronte e la relativa copertura finanziaria (articolo 69).
Gli atti di indirizzo, coordinamento e pianificazione delle Autorità di bacino vengono adottati in sede di Conferenza istituzionale permanente presieduta e convocata, anche su proposta delle amministrazioni partecipanti, dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio su richiesta del Segretario generale, che vi partecipa senza diritto di voto. Alla Conferenza istituzionale permanente partecipano i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio, delle infrastrutture e dei trasporti, delle attività produttive, delle politiche agricole e forestali, per la funzione pubblica, per i beni e le attività culturali o i Sottosegretari dai medesimi delegati, nonché i Presidenti delle regioni e delle province autonome il cui territorio è interessato dal distretto idrografico o gli Assessori dai medesimi delegati, oltre al delegato del Dipartimento della protezione civile.
Il successivo articolo 70 disciplina, quindi, la procedura per l'adozione dei programmi triennali di intervento, che viene affidata alla Conferenza istituzionale permanente, mentre l'articolo 72 prevede che, ferme restando le entrate connesse alle attività di manutenzione ed esercizio delle opere idrauliche, di bonifica e di miglioria fondiaria, gli interventi previsti dalla sezione prima della parte terza del decreto (interventi per la difesa del suolo) sono a totale carico dello Stato e si attuano mediante i programmi triennali.
Accanto a tale normativa di carattere generale, si ricordano alcune disposizioni riguardanti interventi specifici.
Innanzitutto, l'articolo 16 della 179/2002 recante provvidenze per le aree a rischio idrogeologico ha consentito al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, d'intesa con le regioni o gli enti locali interessati, di definire ed attivare programmi di interventi urgenti per il riassetto territoriale di aree per le quali viene dichiarato lo stato di emergenza, assegnando le relative risorse - anche direttamente ai comuni interessati - al di fuori dei programmi triennali di intervento (8).
Nel corso della XIV legislatura la Camera ha svolto un'indagine conoscitiva sulla programmazione delle opere idrauliche relative ai corsi d'acqua sul territorio nazionale, conclusa nel settembre 2005 (9). Si segnala, peraltro, che anche in questa legislatura la Commissione agricoltura ha avviato una indagine sulle opere irrigue (10).
La legge finanziaria 2007 (legge 27 dicembre 2006, n. 296) ha poi previsto, all'articolo 1, comma 1132, una spesa di 750.000 euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009 per il monitoraggio delle attività e dei dati relativi alla difesa del suolo e per la piena integrazione con il sistema informativo unico e la rete nazionale integrati di rilevamento e sorveglianza.
Da ultimo la legge finanziaria 2008 (legge 24 dicembre 2007, n. 244) ha introdotto una serie di disposizioni volte a ridurre il rischio idrogeologico.
In particolare l'articolo 2, comma 231, ha previsto l'adozione, da parte del Ministro dell'ambiente, di piani strategici nazionali e di intervento per la mitigazione del rischio idrogeologico e per favorire forme di adattamento dei territori, da attuare di d'intesa con le autorità di bacino competenti, le regioni e gli enti locali interessati e tenuto conto dei piani di bacino. Lo stesso comma ha autorizzato la spesa di 265 milioni di euro per ciascuno degli anni del biennio 2008-2009 a valere sulle risorse di cui alla legge n. 183/1989.
La norma in esame ripropone, almeno in parte, gli obiettivi dell'articolo 1 del citato decreto-legge 180/1998 (ora confluito nell'articolo 67 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, cd. codice ambientale) e dell'articolo 16 della citata legge 179/2002, concernenti la realizzazione di programmi di interventi urgenti per la riduzione del rischio idrogeologico (11).
Lo stesso articolo 2, comma 237, al fine di consentire la verifica ed il monitoraggio delle aree ad elevato rischio idrogeologico e la raccolta dei dati ambientali, ha autorizzato il Ministero dell'ambiente a stipulare accordi di programma con altre amministrazioni centrali e periferiche per l'estensione del Piano straordinario di telerilevamento, istituito dall'articolo 27 della legge 179/2002, a tal fine autorizzando la spesa di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010.
Il successivo comma 331 ha previsto l'attivazione, autorizzando una spesa di 3,5 milioni di euro (12) per l'anno 2008, da parte del Ministero dell'ambiente, di un programma di interventi di difesa del suolo nei piccoli comuni caratterizzati da significativi fenomeni di dissesto e da estrema perifericità rispetto ai centri abitati di maggiori dimensioni.
Il comma 332 ha previsto, infine, la definizione e attivazione, da parte del Ministero dell'ambiente sulla base delle richieste dei comuni e delle comunità montane, di un programma di interventi di manutenzione del reticolo idrografico minore e dei versanti che privilegi la realizzazione di opere tradizionali e a basso impatto ambientale e che sia finalizzato:
alla mitigazione del rischio idrogeologico;
alla tutela e riqualificazione dell'assetto del territorio;
all'incentivazione alla permanenza delle popolazioni nelle aree di montagna e di collina.
Per l'attuazione della disposizione, viene previsto l'utilizzo del 10 per cento delle risorse destinate, per l'anno 2008, alla difesa del suolo di cui al comma 321.
Si ricorda, quindi, l'articolo 2, comma 134, sull'attività di manutenzione agraria. Essa prevede che le cooperative ed i loro consorzi che esercitino prevalentemente nei comuni montani le loro attività di sistemazione e manutenzione agraria, forestale e, in genere, del territorio e degli ambienti rurali, possano ricevere in affidamento diretto dagli enti locali e dagli altri enti di diritto pubblico, in deroga alle vigenti disposizioni di legge e per un importo non superiore a 190.000 euro per anno, lavori attinenti alla valorizzazione e alla gestione e manutenzione dell'ambiente e del paesaggio - quali la forestazione, la selvicoltura, il riassetto idrogeologico, le opere di difesa e di consolidamento del suolo - nonché servizi tecnici attinenti alla realizzazione di tali opere.
La Commissione ambiente, da parte sua, ha messo in evidenza, anche attraverso la risoluzione sul Fondo regionale di Protezione Civile (n. 8-00030) (13) e la risoluzione (8-00040) per un programma pluriennale di interventi per la difesa del suolo (14), la necessità di rafforzare la prevenzione e la pianificazione degli interventi per la messa in sicurezza del territorio.
In particolare, la seconda risoluzione sulla difesa del suolo ha inteso richiamare l'attenzione del Governo sui fenomeni di dissesto idrogeologico che hanno fortemente compromesso il territorio nazionale, rendendo urgente e inderogabile l'attivazione di serie misure di contrasto alla rottura degli equilibri del territorio naturale delle nostre regioni.
Secondo il voto unanime di tutta la Commissione ambiente della Camera, per far fronte a problematiche così complesse ed impellenti, sarebbe necessario prevedere un programma pluriennale di interventi, coordinato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, da attuarsi da parte degli enti periferici e territoriali competenti per legge. Il valore di tale programma non dovrebbe essere inferiore a 5 miliardi di euro.
Nel corso della discussione della risoluzione (7-00207) (15) per la predisposizione di un piano di interventi urgenti per la messa in sicurezza dei luoghi colpiti dalle avversità atmosferiche verificatesi nel mese di aprile 2009 in alcune zone del Piemonte, della Lombardia e dell'Emilia Romagna, il Sottosegretario Bertolaso, di fronte alla oggettiva serietà della situazione, anche sotto il citato profilo finanziario, ha riferito l'intenzione del Governo di predisporre uno specifico provvedimento legislativo, con il quale procedere, in primo luogo, alla chiusura dell'emergenza rifiuti in Campania, in secondo luogo, alla definizione completa degli interventi per consentire ai comuni messinesi di uscire dall'emergenza, in terzo luogo, per l'approntamento di un piano nazionale per la messa in sicurezza del territorio dal rischio idrogeologico, da realizzarsi sulla falsariga di
quanto già previsto in materia di rischio sismico dall'articolo 11 del decreto-legge n. 39 del 2009, contenente misure urgenti a seguito del terremoto in Abruzzo. Tale provvedimento ha infatti istituito un Fondo per la prevenzione del rischio sismico con uno stanziamento di 44 milioni di euro per l'anno 2010, 145,1 milioni per l'anno 2011, 195,6 milioni per ciascuno degli anni 2012, 2013 e 2014, 145,1 milioni per l'anno 2015 e 44 milioni per l'anno 2016.
La legge quadro 353/2000 contro gli incendi boschivi. Con la legge 21 novembre 2000, n. 353, Legge quadro in materia di incendi boschivi, l'Italia si è dotata di uno strumento importante nella lotta agli incendi, le cui principali disposizioni riguardano:
il rafforzamento del ruolo delle regioni e degli enti locali: in particolare, le regioni approvano il piano regionale per la programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi; nell'ambito dell'attività di prevenzione, possono concedere contributi a privati proprietari di aree boscate, per operazioni di pulizia e di manutenzione selvicolturale, prioritariamente finalizzate alla prevenzione degli incendi boschivi; le regioni curano, inoltre, le attività formative e informative nonché gli interventi di lotta attiva contro gli incendi boschivi (ricognizione, sorveglianza, avvistamento, allarme e spegnimento con mezzi da terra e aerei);
la previsione di una articolata attività di programmazione e di coordinamento nella lotta attiva contro gli incendi tra le regioni e lo Stato;
un nuovo sistema sanzionatorio.
Tra le funzioni attribuite agli enti locali, rilevano inoltre quelle dei comuni, che devono provvedere a censire, tramite apposito catasto, i soprassuoli già percorsi dal fuoco nell'ultimo quinquennio, avvalendosi anche dei rilievi effettuati dal Corpo forestale dello Stato. Il catasto dovrà essere aggiornato annualmente.
Particolare attenzione nel corpo della legge è dedicato anche alla eliminazione delle cause che originano i cosiddetti incendi per «interessi», attraverso l'introduzione di particolari vincoli sulle aree percorse dal fuoco.
Secondo i dati diffusi da un'apposita indagine realizzata dal Dipartimento della Protezione Civile e da Legambiente «Ecosistemi incendi 2009» (16), l'Italia ha chiuso il bilancio 2008 con un dato in contro-tendenza rispetto alle ultime stagioni in quanto gli incendi sono diminuiti del 40 per cento e anche l'estensione media di ciascun evento è decisamente risultata più contenuta, ridotta di oltre i due terzi. Nel 2008 infatti si sono verificati complessivamente 6.479 roghi (sono stati 10.614 nel 2007), che hanno percorso 66.145 ettari di territorio, di cui 30.232 boscati e 35.913 non boscati.
La significativa diminuzione del 2008 è riconducibile, come sottolinea l'indagine, al sistema di contrasto del fenomeno sempre più perfezionato sia dal punto di vista organizzativo che tecnico e strumentale. Un sistema divenuto negli anni più efficace grazie a un'attività di prevenzione capillare e diversificata in funzione delle diverse realtà territoriali e anche a una più attenta e consapevole partecipazione della società civile alla tutela del territorio e delle aree boscate.
A fronte di tale risultato positivo, l'analisi dei dati dell'indagine, basatasi sulle su 823 amministrazioni comunali, ha messo in evidenza come solo il 4 per cento di esse applichino pienamente la legge quadro in materia di incendi boschivi.
Risulta invece buona l'istituzione del catasto delle aree percorse dal fuoco, realizzato nell'80 per cento dei comuni presi in esame.
Molto carente risulta poi l'iniziativa dei comuni sull'informazione alla popolazione: solo il 18 per cento di essi realizza campagne informative specifiche nelle scuole e ai fruitori dei boschi.
Circa un comune su tre interviene sul proprio territorio con le attività di manutenzione dei boschi nella prevenzione e nella realizzazione di reti per l'avvistamento dei focolai sul nascere e si è attivato in opere di raccolta e approvvigionamento idrico per i mezzi antincendio.
Buona invece è la situazione delle politiche messe in atto da oltre la metà dei comuni coinvolti dagli incendi per sostenere, con accordi e convenzioni,il volontariato di protezione civile specializzato nell'antincendio boschivo.
L'indagine riporta, quindi la seguente tabella:
Attività | Percentuale Comuni |
---|---|
Piena applicazione della legge 353/2000 | 4% |
Catasto delle aree percorse dal fuoco | 80% |
Catasto aggiornato nell'ultimo anno | 55% |
Campagne di informazione alla popolazione | 18% |
Attività di prevenzione e avvistamento incendi | 30% |
Supporto al volontariato specializzato nell'antincendio | 56% |
Alcune modifiche alla legge quadro sono intervenute con la legge finanziaria 2004 (articolo 4, comma 173, della legge 350/2003), attraverso la modifica dei vincoli di edificabilità nei territori colpiti da incendi boschivi.
È stato, infatti, introdotto il divieto di qualsiasi edificazione per dieci anni su area boschiva percorsa dal fuoco nel caso in cui i comuni siano sprovvisti di piano regolatore. È stata, invece, consentita l'attività edilizia, per la realizzazione di edifici o di strutture e infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive sui soprassuoli che sono stati percorsi dal fuoco, nel caso in cui la loro realizzazione sia stata prevista, in data anteriore all'incendio, dagli strumenti urbanistici vigenti a tale data, consentendo l'edificazione anche qualora lo strumento urbanistico abbia previsto la possibilità di edificare, ma l'effettiva concessione o autorizzazione non sia stata rilasciata (al momento del verificarsi dell'incendio) (17).
La stessa legge finanziaria ha introdotto, inoltre (articolo 4, commi 17 e 18) ulteriori disposizioni volte anch'esse al contrastare gli incendi boschivi attraverso l'estensione delle attività per quali il Corpo forestale dello Stato (CFS) può attingere ai finanziamenti disposti con l'articolo 2 del decreto-legge 68/2002, convertito con modificazioni dalla legge 118/2002.
Si ricorda che con il citato decreto-legge 68 erano state previsti finanziamenti a favore dell'attività svolta in tal campo dal Corpo forestale dello Stato pari a una spesa annua di euro 25,8 milioni di
euro per ciascuno degli anni 2002, 2003 e 2004 (a decorrere dall'anno 2005 da stabilire annualmente con legge finanziaria), e la stipula, da parte delle Amministrazioni competenti, di convenzioni ed accordi per assicurare un efficace presidio estivo antincendio e la prosecuzione degli interventi straordinari del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, anche attraverso l'impiego dei soggetti ammessi a prestare servizio civile. Successivamente, però, al fine di agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, con il decreto-legge 168/2004 sono state previste (articolo 6, comma 1) alcune riduzioni di autorizzazioni di spesa, tra le quali quelle della legge quadro sugli incendi boschivi.
Si ricorda, inoltre, che, al fine di porre in essere ogni indispensabile azione di carattere preventivo in materia di lotta attiva agli incendi boschivi, nonché di garantire il funzionale espletamento di tali attività, è stato affidato al Presidente del Consiglio dei ministri il compito di definire i programmi per gli interventi di spegnimento degli incendi boschivi (articolo 1 del decreto-legge 90/2005).
Da ultimo il decreto-legge 171/2008, convertito con modificazioni dalla legge 205/2008, reca una disposizione (articolo 4-decies) volta a rafforzare la salvaguardia delle aree naturali protette e il contrasto del fenomeno degli incendi, prevedendo una riorganizzazione dell'attività svolta dal personale del Corpo forestale dello Stato.
Le emergenze di protezione civile e la legge 225/1992. Come già ricordato, il Libro bianco in materia di adattamento ai cambiamenti climatici e il documento sul riesame della politica comunitaria in campo ambientale hanno messo in evidenza la necessità di migliorare il coordinamento delle politiche ambientali dei singoli Paesi.
Tra i temi affrontati in tali documenti una particolare attenzione è stata dedicata alle emergenze ambientali e di protezione civile, per le quali la Commissione europea ha proposto un approccio integrato a livello comunitario.
In tale ambito, l'Italia è uno dei Paesi europei maggiormente colpiti da disastri naturali.
Dai dati presentati nell'Annuario dei dati ambientali 2008, pubblicato dall'ISPRA (18), emerge che l'Italia è caratterizzata da un territorio fragile per quanto concerne il dissesto idrogeologico: circa il 10 per cento è classificato a elevato rischio per alluvioni, frane e valanghe e più di 2/3 delle aree esposte a rischio interessano centri urbani, infrastrutture e aree produttive. Le dimensioni del fenomeno vengono rese chiaramente se si considera che, negli ultimi 50 anni, sono stati spesi per sopperire ai danni, limitatamente ai fenomeni alluvionali, più di 16 miliardi di euro, circa il 10 per cento del territorio italiano e più dell'80 per cento dei comuni italiani sono interessati da aree a forte criticità idrogeologica.
Un altro recente rapporto «Ecosistema rischio 2008 - Monitoraggio sulle attività delle amministrazioni comunali per la mitigazione del rischio idrogeologico», a cura del Dipartimento della Protezione
Civile e di Legambiente (19), sottolinea come il rischio frane e alluvioni interessa praticamente tutto il territorio nazionale: sono, infatti, ben 5.581 i comuni a rischio idrogeologico, il 70 per cento del totale dei comuni italiani, di cui 1.700 a rischio frana, 1.285 a rischio di alluvione e 2.596 a rischio sia di frana che di alluvione. Il territorio è reso ancora più fragile dall'abusivismo, dal disboscamento dei versanti e dall'urbanizzazione irrazionale. Sono la Calabria, l'Umbria e la Valle d'Aosta le regioni con la più alta percentuale di comuni classificati a rischio (il 100 per cento del totale), subito seguite dalle Marche (99 per cento) e dalla Toscana (98 per cento).
Per far fronte alle emergenze ambientali derivanti da una serie di calamità naturali - tra le quali le eccezionali ondate di maltempo, gli eventi meteomarini, le precipitazioni nevose, i fenomeni di siccità con conseguenti incendi boschivi, nonché altre tipologie di emergenze (crolli di edifici, viadotti ecc.) - il Governo ha dichiarato o prorogato, nel corso della XVI legislatura, circa 60 stati di emergenza (20).
Di seguito si riporta, in estrema sintesi, la normativa vigente alla quale si ricorre al verificarsi delle calamità naturali, al fine di poter fronteggiare con tempestività lo stato di emergenza.
La normativa per affrontare l'emergenza. Si ricorda che sebbene siano molti i soggetti titolari di un qualche potere in caso di «emergenza sul territorio» per calamità naturali e sebbene il fulcro della risposta dello Stato sia il Servizio nazionale di protezione civile, l'uso degli strumenti straordinari presuppone comunque che l'emergenza venga prima formalizzata dal Consiglio dei ministri.
Conseguentemente, al verificarsi delle calamità naturali, la normativa vigente prevede l'attivazione di mezzi di intervento straordinari previsti dall'articolo 5 della legge 225/1992. Spetta, quindi, al Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero, per sua delega, del Ministro per il coordinamento della protezione civile, deliberare lo stato di emergenza, determinandone durata ed estensione territoriale in stretto riferimento alla qualità ed alla natura degli eventi.
Possono inoltre essere emanate anche ordinanze finalizzate a evitare situazioni di pericolo o maggiori danni a persone o cose.
Nel caso in cui siano emanate in deroga alle leggi vigenti, le ordinanze devono essere motivate, contenere l'indicazione delle principali norme derogate, pubblicate sulla G.U. e trasmesse ai sindaci interessati per l'ulteriore pubblicazione locale. I provvedimenti in questione sono, in sintesi, adottabili dal Presidente del Consiglio ovvero, su sua delega, dal Ministro per il coordinamento della protezione civile, i quali possono avvalersi di commissari delegati (straordinari), indicando il contenuto della delega, i tempi e le modalità di esercizio della medesima.
Si ricorda, infine, che con le ordinanze di urgenza possono anche essere mobilitate risorse finanziarie, a valere su un apposito Fondo (il Fondo per la protezione civile, alimentato annualmente con la legge finanziaria.
Superata la fase di prima emergenza, cui si fa fronte con le ordinanze che seguono alla dichiarazione dello stato di emergenza, il Governo sulla base dell'accertamento dell'effettiva entità dei danni, di solito provvede anche mediante decreti legge attraverso i quali destina nuove risorse finanziarie per la prosecuzione degli interventi e all'opera di ricostruzione nei territori colpiti.
Nella XIV legislatura è stato introdotto un nuovo potere straordinario che dà la facoltà, qualora si verifichino casi di eccezionali gravità (da valutarsi in relazione al «rischio di compromissione dell'integrità della vita»), al Presidente del Consiglio dei Ministri, anche prima della dichiarazione dello stato di emergenza (prevista finora come condizione preliminare dalla legge 225) e quindi prima delle riunione e della deliberazione del Consiglio dei Ministri, di attribuire i poteri straordinari di ordinanza ad un suo delegato. Ciò consente di anticipare gli interventi in deroga alle norme vigenti anche rispetto alla prima riunione del Consiglio dei Ministri e quindi di operare efficacemente immediatamente dopo il verificarsi dell'evento (articolo 3 del decreto legge 245/2002, convertito con modificazioni dalla legge 286/2002).
Nella XV legislatura sono state istituite due nuove strutture operative presso il Dipartimento della protezione civile: la Piattaforma nazionale per la riduzione del rischio da disastri e la Consulta nazionale del volontariato di protezione civile.
La prima è stata istituita con D.P.C.M. del 18 gennaio 2008 (21), in attuazione degli impegni internazionali presi in occasione della «Conferenza mondiale sulla riduzione dei disastri» svoltasi a Kobe nel gennaio 2005. Ad essa sono affidati una serie di compiti tra cui quelli di rappresentare la posizione nazionale in tema di riduzione del rischio da disastri nelle istanze internazionali preposte, promuovere il rafforzamento e la diffusione della cultura di prevenzione e consapevolezza del rischio e di facilitare l'integrazione delle attività di riduzione del rischio delle politiche nazionali di sviluppo, previste nei programmi di sviluppo internazionali o bilaterali.
La Consulta nazionale del volontariato di protezione civile, istituita con D.P.C.M. 25 gennaio 2008 (22), svolge compiti di ricerca e di approfondimento su tematiche relative alla promozione, alla formazione ed allo sviluppo del volontariato di protezione civile, nonché per il coordinamento operativo con le altre componenti e strutture operative del Servizio nazionale della protezione civile.
Nell'attuale legislatura sono state apportate alcune modifiche organizzazione del Dipartimento della protezione civile con il D.P.C.M.
del 31 luglio 2008 (23) in relazione alle accresciute esigenze operative e funzionali dello stesso.
Inoltre con la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 dicembre 2008 (24) sono stati forniti alcuni indirizzi operativi per la gestione delle emergenze.
Da ultimo il decreto-legge 208/2008, convertito con modificazioni dalla legge 13/2009, reca alcune disposizioni (articolo 8, comma 5) volte a modificare l'articolo 5 della legge 225/1992 relativo alle modalità di rendicontazione dei Commissari all'emergenza.
2. Il programma dell'indagine.
Il 23 settembre 2008 la Commissione ha deliberato, ai sensi dell'articolo 144 del Regolamento, lo svolgimento di un'indagine conoscitiva sulle politiche per la tutela del territorio, al difesa del suolo e il contrasto agli incendi boschivi.
Il Parlamento ha sempre manifestato un forte interesse verso le politiche di tutela del territorio, che richiamano, in una visione strettamente tecnica, i temi della difesa del suolo e della prevenzione del dissesto idrogeologico, ma che investono anche, in una impostazione più ampia e sistematica, la gestione «a tutto campo» delle opere e degli interventi di tutela del territorio, a cominciare da quelli relativi alla lotta agli incendi boschivi.
Con riferimento alle tematiche più generali, risale alla XIII legislatura una importante indagine conoscitiva sulla difesa del suolo, condotta congiuntamente dalla VIII Commissione della Camera e dalla 13a Commissione del Senato, con la quale il Parlamento italiano ha inteso fare il punto - in particolare - sulla legge quadro sulla difesa del suolo n. 183 del 1989, verificando il funzionamento di una normativa che ha avuto il merito di promuovere una pianificazione di lungo periodo delle complesse attività di prevenzione del rischio idrogeologico e di manutenzione del territorio, individuando il «bacino idrografico» quale unità territoriale di riferimento per l'azione pianificatoria di settore, affidata ad autorità pubbliche di bacino, dotate di una competenza gerarchicamente sovraordinata a tutte le altre (almeno per quanto riguarda gli interventi di difesa del suolo) e geograficamente estesa fino a
coprire l'intero bacino idrografico.
L'indagine ha consentito di acquisire un quadro di riferimento che le stesse Commissioni giudicavano insoddisfacente, non solo nella attuazione degli obiettivi più ampi della legge 183 (la pianificazione di bacino), ma anche nell'adozione di quegli strumenti intermedi di pianificazione (i piani stralcio) che erano stati introdotti dalla legge 493 del 1993 allo scopo di rendere più flessibile il sistema e di dare avvio alla effettiva attuazione della legge 183.
I fattori principali di tale ritardo venivano individuati in una difficoltà di cooperazione fra Stato e regioni e nella esiguità di risorse finanziarie a fronte delle dimensioni del problema.
Pertanto, nelle conclusioni dell'indagine si auspicava che il conferimento di funzioni amministrative a regioni ed enti locali fosse attuato «preservando in ogni caso l'unitarietà dei bacini idrografici». Inoltre, pur nella conferma di un giudizio complessivamente positivo sull'impianto della legge 183, si giudicava opportuno un intervento di manutenzione normativa su alcuni aspetti, fra cui la distinzione fra i diversi livelli di bacino (nazionale, interregionale e regionale), valutando, al contrario, auspicabile un modello unico di bacino idrografico che assegnasse un ruolo centrale alla regione, pur mantenendo la presenza insostituibile dello Stato per il coordinamento di una politica complessiva di difesa del suolo.
Da ultimo veniva posta l'esigenza di rafforzare il ruolo dell'Autorità di bacino, dotandola da un lato di nuove competenze - fra le quali il rilascio delle concessioni di derivazione di acque pubbliche - e dall'altro di autonomia finanziaria, mentre, in merito agli strumenti di intervento, si rilevava che il fulcro su cui convergevano tutte le carenze e le criticità della difesa del suolo fosse rappresentato dal ritardo nella pianificazione di bacino.
L'indagine conoscitiva della XIII legislatura, peraltro, si concluse poche settimane prima dell'emanazione del decreto legislativo n. 112 del 1998, che aveva, tra le altre, anche la finalità - auspicata dalle Commissioni nei documenti conclusivi dell'indagine - di favorire l'attuazione della stessa legge n. 183, soprattutto attraverso l'attribuzione allo Stato della funzione di programmazione e finanziamento degli interventi di difesa del suolo, dove - pur nell'indirizzo generale di decentramento che caratterizza l'intero decreto legislativo, peraltro rafforzato dalla successiva entrata in vigore del nuovo Titolo V della Costituzione - si confermava tuttavia come imprescindibile una funzione statale di definizione di priorità negli interventi di difesa del suolo. Allo stesso tempo, veniva ribadita la centralità degli organi di governo dei bacini idrografici, unici soggetti in grado di gestire il complesso
ambito territoriale di riferimento e di svolgere un ruolo di cerniera tra i diversi soggetti istituzionali in campo.
Un nuovo impulso al miglioramento del quadro normativo è, quindi, venuto con il decreto legge n. 180 del 1998, che ha introdotto una serie di strumenti intermedi (prima di giungere al piano di bacino vero e proprio) e ha programmato misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico, attraverso la zonizzazione del territorio.
Pertanto, il quadro normativo che emerge al termine della XIII legislatura indica una situazione italiana in materia di prevenzione dei rischi idrogeologici abbastanza solida sotto il profilo degli strumenti conoscitivi e, in parte, anche di quelli operativi.
Ulteriori miglioramenti vengono, invece, auspicati nel raccordo tra le numerose competenze (statali, regionali, locali) che incidono sulla difesa del suolo e che spesso creano sovrapposizioni e «accavallamenti» procedurali, nonché nel «nodo» delle risorse finanziarie che dovrebbero essere investite nel settore, che hanno proporzioni davvero considerevoli rispetto a quelli che sono i vincoli di bilancio del nostro Paese.
Sul finire della XIV legislatura, un nuovo assetto organizzativo del settore è stato realizzato con la Parte Terza del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (cd. Codice ambientale), che ha inteso recepire
nell'ordinamento interno la direttiva europea 2000/60/CE (cosiddetta «direttiva acque») riorganizzando in misura penetrante il quadro amministrativo disegnato dalla legge n. 183 del 1989 sui bacini idrografici, ora abrogata.
La novità più rilevante, dal punto di vista dell'assetto organizzativo, recata dalla riforma - che è stata, peraltro, oggetto di significative critiche (per lacune e soluzioni di incerta efficacia) da parte di numerose regioni e da diversi addetti ai lavori ed è, allo stato, sospesa a seguito di un intervento correttivo adottato nella XV legislatura da parte del Governo - è contenuta nell'articolo 63, che istituisce in ciascun distretto idrografico l'Autorità di bacino distrettuale e intende sopprimere le Autorità di bacino previste dalla legge n. 183.
La riforma - come già detto - è attualmente in fase di sospensione, per cui le stesse Autorità di bacino esistenti - pur a fronte di un quadro di sostanziale instabilità normativa - continuano a mantenere la loro operatività; in ogni caso, le politiche per la difesa del suolo e per la gestione dell'assetto idrogeologico del territorio (a prescindere da quale sarà il destino dei possibili interventi correttivi del citato decreto legislativo n. 152) mantengono inalterata tutta la loro rilevanza, richiedendo - semmai - un rinnovato impegno programmatorio e un serio monitoraggio, anche a livello parlamentare, degli aspetti procedurali, organizzativi, finanziari e strutturali, non ultimo quello dei rapporti tra strutture centrali e periferiche.
Al contempo, occorre rilevare come alle misure per la tutela del territorio e della difesa del suolo siano direttamente connesse anche gli interventi per fronteggiare gli incendi boschivi (tuttora, in larga parte, di matrice dolosa).
Sulla rilevante tematica degli incendi boschivi si è infatti concentrata ripetutamente la VIII Commissione nel corso delle ultime legislature.
L'acquisizione dai soggetti competenti di un quadro organico del problema intende dare al Parlamento l'opportunità di comprendere quali siano i punti di forza e gli elementi di debolezza del sistema, imperniato sulla legge quadro sugli incendi boschivi (legge n. 353 del 2000), la cui completa attuazione non risulta pienamente assicurata da tutti gli organismi coinvolti e il cui possibile aggiornamento appare, in taluni punti, fortemente auspicato dai soggetti più direttamente interessati.
In particolare, dopo i risultati positivi conseguiti nella predisposizione, da parte dei comuni, del catasto delle aree colpite da incendi e dei piani comunali di emergenza, da più parti si prospetta l'opportunità di procedere aduna più puntuale definizione legislativa dei compiti e delle responsabilità delle operazioni di spegnimento degli incendi (da perseguire, anzitutto, con interventi di semplificazione e di razionalizzazione delle competenze e delle procedure vigenti), anche per evitare, in futuro, di dover ricorrere a provvedimenti emergenziali, che in passato si sono resi indispensabili per superare i problemi esistenti in termini di frammentazione di competenze, di insufficiente coordinamento delle attività e di scarsa chiarezza nella definizione della «linea di comando» nelle diverse situazioni.
Sotto questo profilo, la Commissione ha inteso valutare, in una visione il più possibile ampia e articolata della nozione di difesa del
suolo, anche il funzionamento della legge quadro sugli incendi boschivi e verificare come - partendo dai dati certamente incoraggianti che emergono dalla stagione estiva appena trascorsa - sia possibile evitare, per il futuro, situazioni di particolare gravità come quelle che hanno interessato, nell'estate del 2007, alcuni territori del Mezzogiorno e, in particolare, le regioni Puglia, Calabria e Sicilia. Pertanto, le audizioni si sono concentrate non soltanto sul contesto della programmazione degli interventi per la gestione del suolo e dei bacini e la prevenzione del dissesto idrogeologico, ma anche sulle misure per la tutela del territorio rispetto al rischio causato dagli incendi.
L'indagine ha inteso verificare gli elementi positivi delle politiche per la difesa del suolo e le sue criticità, nella prospettiva di una crescente valorizzazione del ruolo di programmazione, pianificazione e gestione territoriale dei diversi soggetti coinvolti, nonché di un sostegno parlamentare ai fini del miglioramento dei dati nazionali complessivi sull'attività di prevenzione del dissesto idrogeologico.
In tale contesto, peraltro, è stato approfondito il quadro normativo di riferimento, come modificato dal sopra citato Codice ambientale, e sono state valutate eventuali modifiche e integrazioni da apportare alla legislazione vigente in sede parlamentare.
Al contempo, l'indagine ha inteso valutare l'evoluzione che la materia ha subito a livello comunitario, anche alla luce della nuova legislazione prodotta in sede di Unione europea.
L'indagine si è concretamente avviata il 7 ottobre 2008 con l'audizione dei rappresentanti del Corpo forestale dello Stato, ed è quindi proseguita con le audizioni dei rappresentanti:
della Conferenza delle regioni e delle province autonome, nella seduta del 15 ottobre 2008; del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, nella seduta del 16 ottobre 2008; dell'ANCI e dell'UNCEM nella seduta del 30 ottobre 2008; dell'UPI nella seduta del 4 novembre 2008; del Comitato per la Vigilanza sull'uso delle risorse idriche, nella seduta del 4 novembre 2008; delle Autorità di Bacino di rilievo nazionale nelle sedute del 5 e del 10 febbraio 2009; dell'Agenzia interregionale per il fiume Po (AIPO) nella seduta dell'11 febbraio 2009; delle Autorità di Bacino di rilievo regionali e interregionali, nella seduta del 12 febbraio 2009; di Telespazio Spa, nella seduta del 21 aprile 2009; dell'Associazione nazionale bonifiche, irrigazioni e miglioramenti fondiari (ANBI) e dell'Associazione per la difesa del suolo e delle risorse idriche, nella seduta del 7 maggio 2009; di Confedilizia, nella seduta del 27 maggio 2009; della Gestione commissariale ex Agensud, nella seduta
del 1 luglio 2009; del Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare on. Roberto Menia, nelle sedute del 16 e del 22 luglio 2009; del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, dott. Guido Bertolaso, nella seduta del 29 luglio 2009; del Ministro per le politiche agricole, forestali e alimentari, on. Luca Zaia, nella seduta del 23 settembre 2009; di Legambiente e Movimento Azzurro, nella seduta del 24 settembre 2009. Il ciclo di audizioni si è infine concluso con l'audizione del professor Paolo Pileri del Politecnico di Milano, di
rappresentanti dell'Istituto nazionale di urbanistica (INU) e di Legambiente (quali enti promotori dell'Osservatorio nazionale sui consumi di suolo), nella seduta del 15 ottobre 2009.
3. Le risultanze delle audizioni.
3.1. La tutela del territorio e la difesa del suolo.
Nel corso delle audizioni è emersa la necessità di evitare che la grave situazione di degrado territoriale peggiori ulteriormente e di ridurre il grado di rischio idrogeologico esistente.
Innanzitutto, il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, on. Menia, ha messo in evidenza come l'estensione delle aree a criticità idrogeologica del territorio italiano è pari al 9.8 per cento del territorio nazionale (dati di alta criticità idrogeologica desunta dai PAI predisposti), dei quali il 6.8 per cento coinvolge direttamente zone con beni esposti (centri urbani, infrastrutture, aree produttive, ecc.) strettamente connessi con lo sviluppo economico del Paese.
Il fabbisogno necessario per la realizzazione degli interventi per la sistemazione complessiva delle situazioni di dissesto sull'intero territorio nazionale (dati desunti da PAI, piani straordinari e piani decennali), suddiviso per i settori Centro-Nord e Mezzogiorno, ammonta a complessi 44 miliardi di euro: di cui, 27 per il Centro-Nord, 13 per il Mezzogiorno e 4 per il settore del patrimonio costiero.
Contestualmente il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri e Capo del Dipartimento della protezione civile, dott. Bertolaso, ha ricordato che la somma di tutte le richieste di intervento finanziario da parte dello Stato presentata dalle regioni per le emergenze di protezione civile verificatesi negli ultimi otto mesi è pari a 4,6 miliardi di euro.
Tutti gli auditi hanno quindi sollecitato uno stanziamento a regime per una politica di messa in sicurezza del territorio: in tal senso, è stato chiesto il ripristino degli stanziamenti della legge n. 183 del 1989 a favore dei piani triennali per la messa in sicurezza, che consentivano di programmare gli interventi sul triennio e di realizzarli.
Allo stesso tempo, gli auditi hanno rilevato la necessità di evitare che la politica di difesa del suolo sia fondata soltanto su interventi di emergenza: viceversa, l'azione di difesa del suolo deve essere perseguita attraverso la prevenzione, vale a dire attraverso la manutenzione delle opere, degli impianti e del suolo al fine di ridurre il rischio idraulico.
L'Anci - in particolare - ha sollecitato una maggiore attenzione rivolta al tema della prevenzione, sottolineando come gli investimenti per il sistema della protezione civile, anche se non riguardano operazioni fruibili immediatamente ai fini della raccolta del consenso, sostanzialmente riguardano investimenti che prefigurano città nelle quali i cittadini potranno vivere in condizioni di maggiore sicurezza.
Sotto questo profilo, è stata anche evidenziata la necessità di coordinare la pianificazione per la difesa del suolo con le leggi
urbanistiche e con i piani regolatori, soprattutto con quelli urbanistici comunali, e non soltanto con i grandi piani territoriali. Spesso, infatti, gli enti locali - per motivazioni politiche, quali ad esempio l'approvazione dei piani urbanistici o la destinazione delle aree edificabili - non attuano il principio della prevenzione e, a volte, gli interventi pubblici - scuole, caserme, ospedali, stazioni - vengono costruiti in aree residuali, quali quelle in prossimità dei fiumi.
Inoltre, gli oneri di urbanizzazione vengono speso usati per ripianare i bilanci dei comuni e questo spinge i comuni a costruire per fare cassa, anche a scapito di una corretta gestione del territorio.
Altri hanno ricordato il fenomeno dell'abusivismo edilizio - chiamando in causa le responsabilità dei privati e degli enti territoriali - e della mancanza dei controlli su tale pericoloso fenomeno, anche in occasione di sanatorie successive. Al riguardo, Confedilizia ha auspicato una riduzione dei controlli formali e burocratici per concentrare, invece, le risorse in controlli sul territorio.
Sotto questo profilo, l'Osservatorio nazionale sui consumi di suolo, promosso da Politecnico, INU e Legambiente, ha messo in evidenza la questione del consumo di suolo e la necessità di introdurre norme - di carattere statale e regionale - volte a favorire la trasformazione delle aree dismesse, anche attraverso la leva fiscale o il divieto di utilizzare nuove aree laddove vi siano aree da recuperare.
Occorrerebbe inoltre investire sull'aggiornamento cartografico - di competenza regionale - sia sotto il profilo dell'omogeneità dei dati che per quanto riguarda la cadenza temporale dell'aggiornamento. Si ricorda, al riguardo, che già esiste un organo tecnico della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome in materia di sistemi informatici, geografici e statistici (CISIS) che si occupa proprio di definire i formati cartografici e le cadenze.
La conoscenza del territorio consente infatti una più efficace azione di tutela e di prevenzione soprattutto per il territorio non urbanizzato nonché una migliore pianificazione delle aree agricole anche al fine di consolidare il ruolo multifunzionale dell'impresa agricola e di contrastare il consumo di suolo.
In tale ambito l'Anci ha sollecitato, oltre all'istituzione di un fondo unico, che assicuri la possibilità di un governo complessivo del territorio, una maggiore chiarezza - ed una più ampia condivisione, anche a livello locale - in merito ai criteri di riparto delle risorse adottati dal Ministero dell'ambiente, ricordando che l'ultimo riparto è stato effettuato sulla base di una lista stilata unicamente dalle regioni, senza che vi fosse né condivisione né conoscenza delle priorità reali avanzate dalle autonomie locali.
D'altro canto, l'Upi ha precisato che l'articolo 16 della legge n. 179 del 2002, che consente l'erogazione dei fondi direttamente agli enti locali e territoriali sulla base delle necessità e delle emergenze, ha contribuito, insieme alla progressiva riduzione degli stanziamenti, a provocare una gestione delle risorse non in linea con le pianificazioni territoriali.
L'Uncem ha ribadito che la presenza operosa dell'uomo in montagna, in condizioni adeguate di sviluppo complessivo e competitivo del territorio, è il fattore decisivo che consente la tutela ambientale e la salvaguardia dei suoli. Ha quindi sottolineato l'esigenza
di introdurre elementi di miglioramento della conoscenza dei fenomeni, nonché di mitigazione dei rischi locali. In proposito, al fine di migliorare lo stato della conoscenza del territorio, fin dai primi anni '90, l'Uncem - di concerto con il Dicastero dell'agricoltura - ha sviluppato il sistema informativo della montagna (SIM), realizzato grazie alle previsioni dell'articolo 24 della legge n. 97 del 1994. Il SIM è oggi diffuso presso la generalità degli enti locali montani e quasi tutte le comunità montane, per un totale di circa mille centri di servizio dislocati anche presso le regioni, gli enti parco naturali, i comuni montani dei parchi e gli uffici periferici del Corpo forestale dello Stato.
Si è auspicato un rafforzamento della sussidiarietà verticale, con l'attribuzione da parte delle regioni delle funzioni ai livelli di governo adeguati in un contesto di armonizzazione e cooperazione istituzionale, nonché valorizzando i casi nei quali i piccoli comuni hanno delegato tali funzioni ad un livello associato. Nella fattispecie si pensi che circa 120 comunità montane hanno ricevuto la delega alla Protezione civile da parte degli oltre 2 mila comuni a loro associati, ferme restando le potestà in capo al sindaco come autorità locale di protezione civile.
Con riferimento alla sussidiarietà orizzontale, risulta fondamentale il coinvolgimento dei privati nella gestione e manutenzione del territorio, anche con il fine della riduzione del rischio incendio boschivo. A ciò può concorrere, per gli ambiti montani, un rafforzamento delle destinazioni del piano di sviluppo rurale 2007-2013 per singola regione e per le misure e gli assi che consentono a imprese agricole, coltivatori, privati cittadini possessori di boschi, cooperative sociali e di scopo presenti sul territorio, di accedere agevolmente ai fondi europei previsti, magari sviluppando sinergie con strumenti di finanziamento ordinario nazionale, regionale e locale (si pensi all'utilizzo degli accordi di programma, strumento molto utile e ormai sufficientemente conosciuto e di facile implementazione).
Nel corso delle audizioni, è infatti emerso che le foreste italiane sono cresciute dal 1985 a oggi, passando da 8,5 a circa 10,5 milioni di ettari: un terzo del territorio italiano è quindi forestale. Tuttavia è stato rilevato che l'Italia è un Paese ricco di boschi poveri, non curati: in un territorio abbandonato non sono curate le scoline, gli alberi, il sottobosco e, di conseguenza, gli alberi sono più soggetti a malattie e (per l'accumulo di necromasse) anche agli incendi.
L'Upi, ricordando che lo spopolamento produce una mancata gestione del suolo, delle aree boschive e della regimentazione delle acque e, quindi, un aumento del pericolo di incendi, ha sollecitato una forte azione di tutela del territorio, intesa come tutela della permanenza delle comunità locali.
Nel contesto di una generale opera di riorganizzazione della filiera, l'Uncem ha suggerito di promuovere maggiore consapevolezza e responsabilità, in seno alle regioni (sempre con pieno rispetto dell'autonomia istituzionale e politica), della necessità di ricondurre ad una unica delega politica-istituzionale la filiera della «sicurezza territoriale». In questo senso si cita l'esperienza positiva della regione
Emilia-Romagna (ma anche di altre regioni) che ha uno specifico assessorato alla difesa del suolo e della costa e alla Protezione civile, il quale ricomprende anche la lotta agli incendi boschivi.
Altri hanno sottolineato il ruolo svolto da enti intermedi, ad esempio i consorzi di bonifica, che operano con risorse proprie, non pubbliche. Questi ultimi, tra l'altro, nel rivendicare il proprio contributo alla difesa del suolo, hanno lamentato l'esclusione dalle loro competenze della manutenzione delle strade.
In linea generale, è emersa l'esigenza di interventi concertati e condivisi, con una forte cooperazione interistituzionale tra i diversi soggetti, ciascuno per il proprio ruolo, in linea peraltro con i principi di un «robusto federalismo cooperativo» da attuarsi ai sensi della legge n. 59 del 1997 e del decreto legislativo n. 112 del 1998, al fine di rendere sempre più omogenei e diffusi gli interventi di manutenzione territoriale. Tale impostazione risponde altresì al richiamo della sentenza della Corte costituzionale n. 85 del 1990 alla «leale collaborazione tra Stato e regioni».
Sul punto, l'AIPO ha proposto di mantenere in capo allo Stato «una regia alta» - la verifica sull'attuazione, le direttive generali, il controllo della pianificazione e della sua congruenza - mentre la realizzazione degli interventi dovrebbe rimanere a livello locale, anche con accordi tra regioni.
Da parte sua, Confedilizia ha sollecitato una razionalizzazione del sistema, sia a garanzia dell'efficacia degli interventi di prevenzione o di emergenza, sia a beneficio della spesa pubblica e dei suoi effetti sui cittadini, soprattutto con riferimento agli esborsi che vengono loro richiesti.
Alcuni auditi hanno rilevato come esistano due modi per ridurre il rischio idrogeologico: uno è quello di diminuire il pericolo, peraltro considerato molto difficile per via di un eccesso di interventi correttivi; l'altro è quello di delocalizzare il soggetto a rischio. La politica di prevenzione viene attuata, infatti, anche attraverso il recupero degli ambiti fluviali, ossia la restituzione al fiume delle sue pertinenze naturali, ove l'uomo ha impropriamente edificato. In tal senso è stato auspicato un intervento dello Stato volto a riacquisire pertinenze fluviali per restituirle al demanio.
Al riguardo i rappresentanti di Legambiente hanno citato l'esempio del piano di bacino dell'Arno, che è riuscito a diminuire dell'80 per cento la spesa per la riduzione del rischio idrogeologico nel proprio territorio, rispetto a un investimento iniziale di 1,6 miliardi di euro, attraverso la sostituzione degli interventi strutturali, spesso molto costosi - come costruzione di argini, cementificazione o altro - con una programmazione «leggera», che comprende l'informazione della popolazione, lo sviluppo dei sistemi di protezione civile, ma anche i vincoli di uso del territorio e delocalizzazioni, ossia tutti interventi che comportano una spesa minore e spesso sono anche più efficaci.
Nell'ambito dell'indagine, è stata inoltre rappresentata l'urgenza di trovare adeguate soluzioni alla questione delle acque, della riorganizzazione dei distretti idrografici e del varo di politiche utili per individuare meccanismi strutturali d'intervento legati non solo alle situazioni di emergenza.
In primo luogo è emersa la necessità di provvedere ad una verifica e ad una eventuale revisione del quadro normativo precedente al Codice ambientale: è stato rilevato, infatti come siano ancora vigenti norme risalenti alla prima metà del secolo scorso che, in considerazione del mutato quadro normativo comunitario, della diversa ripartizione di competenze a livello nazionale, nonché del progresso scientifico e tecnologico, avrebbero bisogno di un coordinamento con la normativa del Codice ambientale in materia di pianificazione, manutenzione e gestione delle risorse idriche e del suolo.
Riguardo alla riforma dei distretti idrografici prefigurata dal decreto legislativo n. 152 del 2006, è emersa la necessità di un dialogo fra il Ministero dell'ambiente e le regioni per una revisione dell'impianto normativo e organizzativo. Da più parti è stato infatti prospettato il rischio che la definizione di distretti troppo ampi rispetto alla dimensione effettiva dei bacini possa impedire di attuare un'adeguata pianificazione degli interventi territoriali: coinvolgimento di prossimità degli enti territoriali che è fondamentale, tra l'altro, per integrare la pianificazione di bacino con la pianificazione territoriale di scala più generale.
L'Upi, in particolare, ha auspicato un ripensamento in merito all'applicazione della direttiva 2000/60, prevedendo un'articolazione degli organi della pianificazione di bacino che tenga conto della specifica realtà italiana.
Rispetto ai profili organizzativi, sono state messe in evidenza alcune incongruenze del decreto n. 152 del 2006 che, nel mantenere la struttura del piano di protezione idrogeologica previsto dalla legge n. 183 del 1989 con l'intento di osservare l'attuazione della direttiva comunitaria 2000/60, ha introdotto il piano di gestione, stabilendo un rapporto tra i due piani che, in realtà, non sembra esistere. Infatti, mentre la descrizione dei contenuti del piano idrogeologico è prettamente di natura idrogeologica, quella dei contenuti del piano di gestione - che ricalca il contenuto dell'allegato della citata direttiva comunitaria - tratta problemi totalmente differenti, prevalentemente legati alla qualità e solo parzialmente al bilancio idrico, e non risolve il problema del rapporto tra la pianificazione di bacino e i piani di tutela regionali.
Altri hanno ricordato come il piano di gestione ai sensi della direttiva n. 2000/60/CE sia qualcosa di diverso rispetto ai piani di tutela, non tanto perché si pone in contraddizione con essi, bensì per il fatto che introduce l'analisi economica e la pianificazione quantitativa e qualitativa.
In ogni caso, le Autorità elaborano i propri piani di gestione partendo dagli strumenti di pianificazione vigenti a livello distrettuale e sub distrettuale: in particolare i piani di tutela delle acque, di competenza regionale, e i piani per l'assetto idrogeologico (PAI), di competenza delle Autorità stesse.
Il Sottosegretario Menia ha ricordato come il Piano di bacino si sia affermato come strumento principale di pianificazione delle risorse secondo un approccio integrato di difesa del suolo, tutela e risanamento delle acque, fruizione e gestione del patrimonio idrico. Ha
inoltre sottolineato la rilevanza dell'impegno in materia di difesa del suolo e tutela del territorio ai fini della prevenzione dei fenomeni di siccità e desertificazione.
Un'ulteriore questione connessa con la gestione dei bacini riguarda le concessioni. Alcuni hanno evidenziato che in un momento in cui dovrebbero essere predisposte misure per promuoverne il risparmio, lo strumento giuridico della concessione è inadatto e produce conseguenze negative. Tra l'altro, è stato ricordato che esiste un gran numero di concessioni scadute, in regime di prorogatio, che andrebbero riviste e adeguate alla nuova situazione del rapporto tra bisogni e disponibilità.
Sull'utilizzo razionale delle acque in agricoltura, i consorzi di bonifica hanno richiamato alcuni interventi, quali la trasformazione in impianti tubati delle canalette a cielo aperto ovvero la realizzazione di un progetto nazionale, denominato Irrinet, per fornire, attraverso un collegamento telematico o con SMS, notizie sulla situazione meteorologica ai consorziati.
Il Commissario ad acta per la gestione delle attività della soppressa Agensud trasferite al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, ha sollecitato un impegno delle Regioni a misurare l'acqua effettivamente erogata per farla pagare in base al consumo e non, come spesso avviene oggi, «a ettaro tipo». Basti pensare all'agricoltore che, pagando una quota fissa per l'acqua che utilizza, tenderà a risparmiare solo se adotta un comportamento virtuoso, mentre se fosse tenuto a pagare in funzione dei volumi effettivamente erogati, potrebbero ricavarsi maggiori risparmi.
Dal canto loro, le Autorità di bacino hanno messo in evidenza due criticità: da un lato, la necessità di superare la frammentazione attraverso l'opportuna razionalizzazione del sistema di governance complessivo e della difesa del suolo; dall'altro, l'esiguità delle risorse investite nel settore, difficoltà che persiste tuttora, anche con riguardo alla continuità del finanziamento. Su tale ultima questione le Autorità hanno evidenziato l'evoluzione dell'approccio nella pianificazione recato dalla direttiva comunitaria 2007/60/CE (la cosiddetta «direttiva alluvioni»), che, per la prima volta, affronta la gestione del rischio e non della sua eliminazione o di una soluzione permanente del problema, che comporta non soltanto uno stralcio tematico o territoriale ma anche una opportuna calibratura dell'aspetto
economico tale da poter essere accettabile per le risorse economiche del Paese. In tale quadro, occorrerebbe passare dal rischio qualitativo al rischio quantitativo, introducendo criteri di tollerabilità e di accettabilità: unicamente valutando il rischio quantitativo si possono individuare le priorità degli interventi.
Altri hanno suggerito di premiare i comportamenti virtuosi, attribuendo le risorse unicamente a coloro che osservano le norme, investendo in modo corretto, piuttosto che a coloro ricostruiscono in aree a rischio.
In ogni caso, tenuto conto delle caratteristiche fisiche del territorio, nonché del frequente ripetersi di movimenti franosi e di fenomeni di esondazione, è stata ribadita la necessità - accanto alla programmazione triennale - di prevedere una programmazione annuale degli interventi, a supporto dei piani di bacino, con un
continuo aggiornamento dei programmi di intervento. In tale ambito, l'Associazione nazionale bonifiche, irrigazioni e miglioramenti fondiari (ANBI) ha sottolineato la necessità di destinare un'adeguata parte delle risorse alla manutenzione.
Riguardo alla capacità di incidere sui processi decisionali, le Autorità di bacino hanno valutato positivamente l'azione di pianificazione e programmazione nel decennio iniziale di attuazione della legge 183/1989, in particolare a valle degli eventi alluvionali, finalizzata alla predisposizione dei piani di assetto idrogeologico. In parallelo, la legge prevedeva una programmazione che, fino al 2001, sulla base delle proposte delle regioni, ha realizzato importanti interventi nei territori del bacino, cui si sono aggiunti i piani straordinari conseguenti agli eventi alluvionali.
Nel 2001, con l'ultimazione dei piani di assetto idrogeologico, si è verificato uno scollegamento tra la pianificazione, la programmazione e l'attuazione, con la conseguente caduta delle attività di studio e di monitoraggio necessarie per l'attuazione e l'aggiornamento dei piani stessi.
Rispetto alle tre parti del processo - pianificazione, programmazione e gestione - le Autorità considerano buono il rapporto con le regioni per quanto riguarda la pianificazione. Risulta più critico l'aspetto della programmazione che, sostanzialmente, si traduce in interventi di manutenzione, di competenza prettamente regionale. Infine, per quanto riguarda la gestione, permane una situazione critica in merito al finanziamento ed al completamento delle grandi opere per la difesa del suolo.
In tal senso, è stata quindi apprezzata la legge finanziaria per il 2008, che ha introdotto l'intesa con le Autorità di bacino sui piani strategici nazionali per la tutela del rischio idrogeologico.
I rappresentanti delle Autorità di bacino regionali e interregionali hanno messo in evidenza la loro capacità di interagire con le autonomie locali: in particolare, con le regioni di cui sono emanazione, con le province, i comuni e i consorzi. Tale legame molto stretto con il territorio consente di elaborare piani che, successivamente, non trovano difficoltà di attuazione, in quanto tengono conto della partecipazione dal basso, che inizia prima di avere un progetto definito, seppur messo in discussione.
Propongono quindi che le nuove Autorità di distretto svolgano un ruolo essenzialmente di coordinamento, mentre la competenza dovrebbe rimanere attribuita alle Autorità regionali.
Ciò anche in considerazione del fatto che le regioni - con proprie leggi regionali - hanno istituito Autorità di bacino interregionali e regionali che presentano già configurazioni territoriali e assetti che possono essere riferiti a distretti idrografici, quali, ad esempio Basilicata, Puglia, Molise, Abruzzo, Sardegna e Liguria. Esse hanno provveduto a riunire i propri bacini in uniche Autorità di bacino dotate di autonomia operativa nonché, per le interregionali, amministrativa, che le rende in grado di operare direttamente sul territorio in stretto raccordo con le regioni. Tali strutture rappresentano attualmente il «braccio operativo tecnico» delle regioni per quel che riguarda le materie della difesa del suolo e della gestione delle risorse idriche.
Il Commissario ad acta per la gestione delle attività della soppressa Agensud trasferite al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha messo in evidenza alcune problematiche relative allo svolgimento delle procedure di gara e alla gestione dei fondi: in particolare, è stato segnalato che la legge finanziaria del 2007 ha ridotto da sette a tre anni il tempo di erogazione di spesa degli impegni assunti, causando ripetutamente la perenzione dei fondi. In tal senso è stato formulato un auspicio per lo snellimento delle procedure e la creazione di un percorso privilegiato.
3.2. Il quadro organizzativo e il riparto delle competenze nella lotta agli incendi boschivi.
Innanzitutto, il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, Luca Zaia, ha rilevato che gli incendi sono in calo, in controtendenza rispetto all'Europa (dal 1o gennaio al 15 settembre 2009 si è registrato un calo del 30 per cento degli incendi, dai 6028 nel 2008 ai 4400 attuali).
Al contrario, gli incendi crescono a livello europeo innanzitutto perché è calata la domanda di prodotti legnosi e la coltivazione del bosco ha subìto una battuta d'arresto a causa della crisi. Inoltre, le variazioni climatiche costituiscono un ulteriore fattore favorevole agli incendi. Infine, l'incolto improduttivo rappresenta il terzo fenomeno significativo. Secondo quanto riportato dal Ministro, 100 mila ettari all'anno di superficie agricola utilizzata (SAU) diventano bosco, incrementando una superficie boschiva che in Italia ammonta a 10,5 milioni di ettari.
Nonostante il miglioramento dell'organizzazione, dovuto al monitoraggio, alla prevenzione e all'ottimizzazione delle operazioni di spegnimento, nel corso delle audizioni è emerso un quadro abbastanza complesso relativo alla gestione organizzativa e al riparto delle competenze in materia di difesa del suolo.
Già la Corte dei conti nel 2007 aveva messo in risalto l'eccessiva frammentazione delle competenze, considerata origine di una proliferazione delle sale operative, e la mancata sottoscrizione da parte di tutte le regioni - competenti secondo l'attuale quadro normativo, in materia di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi - delle convenzioni con il Corpo nazionale dei vigili del fuoco e con il Corpo forestale dello Stato, attraverso le quali va regolamentato il concorso dello Stato nello spegnimento a terra degli incendi boschivi.
Si registra inoltre la presenza di più numeri di soccorso, pubblicizzati con campagne televisive, radiofoniche e di stampa: ciò comporta sia ritardi nelle comunicazioni, con ricadute negative sull'operatività, sia una frammentazione e una dispersione di risorse umane impegnate nelle diverse postazioni che, se fossero concentrate, potrebbero dare una risposta più tempestiva ed efficace alle richieste dei cittadini.
Al riguardo il Ministro Zaia ha riferito del processo di costituzione di una rete a livello comunitario e internazionale, che ha comportato anche la redazione di una guida in sei lingue con i termini tecnici per l'AIB (Antincendi boschivi).
Sotto il profilo giuridico, la competenza sugli incendi boschivi è assegnata alle regioni: la legge quadro del 2000 ha infatti attribuito alle regioni il ruolo di soggetti istituzionali preminenti - in stretto raccordo con il dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri, ai sensi della legge n. 225 del 1992 - nell'ambito del sistema nazionale integrato di protezione civile nelle attività di antincendio boschivo.
Infatti, la sala operativa unificata permanente (SOUP) è di competenza della regione, mentre in alcune regioni esistono anche sale operative provinciali; laddove la regione non riesce a svolgere il proprio ruolo di impulso e coordinamento, interviene il COR (Centro operativo regionale) del Corpo forestale. Per ciò che concerne il cosiddetto COAU (Centro operativo aereo unificato), vale a dire lo spegnimento aereo, la procedura è attivata dal Corpo forestale.
In tale ambito, è stato ricordato l'esempio della regione Lazio, che ha stipulato con il Dipartimento dei Vigili del fuoco una convenzione per la costituzione di più squadre antincendio boschivo, la formazione dei volontari di protezione civile, la loro integrazione nel modello di intervento, nonché per l'acquisizione di risorse strumentali innovative.
Infatti, dal punto di vista operativo, la lotta agli incendi boschivi è riconducibile, in primo luogo, alle competenze il Corpo forestale dello Stato e dei Vigili del fuoco.
Il Corpo forestale dello Stato (forza di polizia ambientale, riformata con la legge n. 36 del 2004) svolge le seguenti attività: polizia ambientale e forestale, lotta agli incendi boschivi, sorveglianza nelle aree naturali protette, tutela delle riserve naturali, controlli nel settore della sicurezza alimentare (sia contraffazioni che adulterazioni), salvaguardia delle risorse forestali, anche attraverso il sistema informativo della montagna, nonché attività per la tutela della fauna, per il rispetto del codice della strada e per la tutela del patrimonio artistico. Il Corpo forestale possiede inoltre l'inventario delle aree bruciate dagli incendi, aree sulle quali, per legge, sono vietate le attività agro-silvo-pastorali, non si può costruire né rimboschire con denaro pubblico.
Al riguardo, è stata sottolineata la necessità che i comuni introducano le aree in questione nei loro piani regolatori; peraltro, i comuni che hanno predisposto il catasto delle aree percorse dal fuoco - previsto dall'articolo 10, comma 2, della legge n. 393 del 2000 - sono passati da 80 a circa 1700.
Per quanto riguarda i Vigili del fuoco, nel corso delle audizioni, i responsabili di tale Corpo nazionale hanno rilevato un miglioramento dei piani di emergenza comunali, specie nell'area del centro-sud, che ne era particolarmente carente, e la stipula delle convenzioni con le regioni (ne sono state sottoscritte diciassette) che hanno aumentato le risorse a disposizione del Corpo, anche se permangono alcune difficoltà di carattere organizzativo nella loro attribuzione.
Inoltre, l'introduzione, nel patto per il soccorso, dell'istituto della reperibilità, ha consentito di avere un maggior numero di unità operative per fronteggiare gli interventi di competenza dei Vigili del Fuoco.
In base ad un protocollo tecnico tra il Dicastero dell'interno e il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, sono state
stabilite le linee guida di coordinamento e di intervento a terra del Corpo forestale dello Stato e dei Vigili del Fuoco: in particolare, le due strutture hanno raccordato i loro compiti per consentire la razionalizzazione delle risorse e l'ottimizzazione delle procedure operative, suddividendo gli ambiti di intervento e la direzione tecnica in relazione agli scenari ipotizzati (rispettivamente, incendio di bosco e incendio di interfaccia o nelle aree urbane).
Da più parti, il punto cruciale nelle attività di spegnimento degli incendi, è stato individuato nella previsione di un coordinamento dei volontari - opportunamente formati - dei forestali e dei vigili del fuoco, insieme all'azione delle sale operative regionali. Al contrario, la consuetudine di chiamare l'elicottero «ogni volta che si vede una fiamma» è stata ritenuta sbagliata, oltre che molto costosa.
Le regioni, dal canto loro, pur riconoscendo il ruolo positivo svolto in questi anni dalla legge n. 353 del 2000 hanno evidenziato alcune criticità e concordato sulla necessità di introdurre alcune modifiche:
innanzitutto, le attività di previsione, prevenzione, formazione e informazione sono ritenute insufficienti, così come la manutenzione delle aree boscate; il potenziamento di tali attività è stato sollecitato anche da Legambiente;
quanto alla pianificazione, è stata rilevata la non completa redazione ed attuazione dei piani regionali di previsione, prevenzione e lotta attiva agli incendi boschivi, a causa della eccessiva frammentazione di competenze tra i vari soggetti regionali e subregionali (assessorati regionali, province, comuni e comunità montane); la carente individuazione delle aree percorse dal fuoco nell'anno precedente e delle aree a rischio di incendio boschivo, nonché la carente definizione della loro vulnerabilità geologica ed idrogeologica;
quanto alla lotta attiva agli incendi, si propone di attribuire l'effettivo raccordo e coordinamento delle forze dello Stato unicamente in capo al dipartimento della protezione civile, che dovrebbe esercitare tale ruolo rapportandosi alle regioni, rappresentate dai rispettivi presidenti e assessori delegati. In ambito regionale si ritiene necessario, inoltre, che la gestione delle attività antincendio boschivo sia posta in capo al presidente della regione, che si avvale delle strutture operative statali, regionali e locali per garantire l'omogeneità degli interventi. In tale contesto operativo, il comune deve assumere un rilievo maggiore quale ente di base nelle varie azioni demandategli dalla legge n. 353 del 2000: nell'ambito delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva gli incendi; nell'ambito dell'attività di emergenza (il mancato riconoscimento della potestà ordinaria al presidente della
regione e, in via subordinata, al sindaco); nell'imporre azioni finalizzate al rapido superamento della situazione emergenziale e a salvaguardia della pubblica incolumità.
È emersa altresì la necessità che le aree percorse dal fuoco siano interessate da concrete, tempestive ed efficaci azioni di protezione dai dissesti idrogeologici, determinati dall'erosione superficiale dei terreni colpiti dagli incendi e quindi non più protetti dalla vegetazione. Per dare completezza e maggiore efficacia allo strumento del catasto delle
aree percorse dal fuoco, se ne è suggerita una maggiore pubblicità nonché un utilizzo per la pianificazione di emergenza e per la pianificazione urbanistica.
Allo stesso tempo, le regioni hanno evidenziato l'assoluta insufficienza, rispetto alle attuali esigenze, delle risorse finanziarie correlate alla legge quadro sugli incendi boschivi, nonché la connessa necessità di rivedere i criteri di riparto delle risorse stesse, al fine di supportare le regioni più colpite dagli incendi e che, con efficacia, hanno investito maggiori risorse.
Si è quindi proposto di individuare un sistema premiale, basato sui risultati conseguiti, piuttosto che su un mero dato numerico, così come invece accade con gli attuali parametri, assunti in attuazione della legge quadro.
Le convenzioni stipulate con alcuni organi statali operativi preposti all'antincendio boschivo sono ritenute particolarmente onerose; questi ultimi, peraltro, non dispongono di strumenti e mezzi operativi sufficienti, provocando il conseguente aumento dell'impegno di risorse finanziarie a carico delle regioni, depauperando di fatto le risorse finanziarie che ciascuna regione destina alla propria attività di antincendio boschivo.
Infine, i vincoli correlati al rispetto del patto di stabilità determinano ulteriori limitazioni operative, non solo nelle attività di antincendio boschivo, ma anche nelle azioni di prevenzione del rischio idrogeologico conseguente agli incendi.
In sintesi, le regioni ritengono opportuna una revisione della legge n. 353 del 2000, nella direzione di un rafforzamento delle competenze regionali e di un ampliamento - qualora necessario per evidenti ed accertate carenze di specifiche realtà regionali - dei poteri sostitutivi di livello nazionale; nonché un sostanziale ampliamento dei finanziamenti dedicati all'antincendio boschivo e una revisione dei criteri di riparto dei finanziamenti previsti dalla legge, volta a valorizzare le realtà operative regionali ed i loro risultati, piuttosto che basata su elementi meramente numerici.
Nell'ambito della lotta attiva agli incendi deve essere maggiormente garantito e rafforzato il ruolo di coordinamento delle sale operative regionali (SOUP), che devono operare in stretto raccordo con le forze dello Stato.
In tale contesto deve essere inoltre valorizzato il ruolo di coordinamento a livello nazionale, in capo al Dipartimento della protezione civile, in stretto raccordo con i presidenti delle regioni, a cui dovrà essere attribuita la piena potestà ordinatoria ed operativa, finalizzata alle attività di antincendio boschivo, a salvaguardia della pubblica incolumità.
In siffatta architettura operativa, il comune assume il ruolo di ente di base in materia di protezione civile. Secondo l'Anci, in una filiera integrata, laddove le funzioni sono chiaramente determinate anche dal sistema legislativo, il sindaco è autorità primaria di protezione civile e rappresenta il front office, anche da un punto di vista giuridico. In tale quadro, l'Anci sollecita la previsione di forme associative tra piccoli comuni, nonché una maggiore integrazione tra regione e enti territoriali (attraverso l'emanazione di un testo unico sulla protezione civile).
Sotto il profilo prettamente operativo, i Vigili del fuoco hanno proposto di rendere più efficaci sia la fase di avvistamento rapido - pattugliamento a terra, ricognizioni con gli elicotteri e impiego di tecnologie avanzate per la rivelazione dell'incendio - sia la fase di lotta attiva a terra, da affidare ad un'azione congiunta del Corpo forestale e dei Vigili del fuoco, per quanto riguarda l'impiego delle proprie risorse umane e strumentali e il coordinamento delle altre organizzazioni e strutture disponibili sul territorio.
Tale coordinamento potrebbe essere attuato attraverso l'attivazione di una sala di crisi per gli incendi boschivi di livello regionale e di un'unica sala operativa provinciale integrata per la gestione delle emergenze per incendi boschivi, eventualmente da istituire presso quella appositamente predisposta nei comandi provinciali dei Vigili del fuoco.
Le componenti volontarie del soccorso dovrebbero essere formate ed addestrate presso le strutture dei Vigili del fuoco, per garantire adeguati ed uniformi standard di intervento e di sicurezza degli operatori.
È stata quindi avanzata l'ipotesi di istituire una scuola di alta formazione nella quale tutti gli organi competenti possano relazionarsi fra loro.
Tutti gli auditi hanno poi auspicato un incremento degli organici, anche sulla base del confronto con gli altri paesi europei.
Da più parti è emersa la constatazione che in Italia la problematica degli incendi è legata esclusivamente all'atteggiamento, doloso e colposo, dell'uomo.
Alcuni hanno tuttavia attribuito la responsabilità degli incendi non tanto ad attività di malavita organizzata, quanto piuttosto ad una figura rurale isolata, emarginata che, seppur criminale, resta comunque una persona abbandonata, eventualmente da recuperare con attività di formazione o di inserimento sociale.
In tale quadro sono state invece segnalate alcune esperienze positive, quali ad esempio, l'Aspromonte, dove sono stati stipulati contratti di responsabilità con associazioni, cooperative e imprese locali che hanno assunto la gestione, dal punto di vista della prevenzione degli incendi e del controllo del territorio, di alcuni ambiti territoriali. Tali contratti responsabilizzano i soggetti interessati prevedendo che, nel momento in cui piccole percentuali di bosco vadano in fumo, si dimezzerebbe il risultato economico. Le popolazioni locali vengono così coinvolte e sul territorio si crea reddito, con ricadute economiche e con la permanenza in loco delle popolazioni stesse.
Un altro aspetto della questione messo in evidenza dall'Upi, anch'esso legato alla tematica della prevenzione, riguarda la necessità di rafforzare le filiere forestali ed energetiche: nel territorio di Ascoli, ad esempio, è stato progettato un impianto per la produzione di pellet dalla manutenzione boschiva, che si realizza nella piccola area industriale montana, occupa persone di quell'area e rende la manutenzione boschiva un'opportunità e non un costo: i pellet sono poi utilizzati dai comuni dell'area montana per gli impianti delle scuole e degli edifici pubblici, restando così in una filiera corta.
Quanto ai sistemi di rilevazione e monitoraggio del rischio incendi (ma anche del rischio idrogeologico) è stata evidenziata la necessità di omogeneizzare a livello centrale la metodologia da utilizzare, pur lasciando agli enti locali la responsabilità di intervenire, affinché la valutazione sia di tipo omogeneo e non soggetta a interpretazione.
Infine, il Sottosegretario Bertolaso ha ribadito la necessità di rafforzare le attività di sorveglianza svolte dall'uomo: in tal senso, le squadre a terra non dovrebbero stare in casa o nelle caserme ad attendere la chiamata; piuttosto dovrebbero trovarsi nei punti nevralgici del territorio di loro competenza, pronte a intervenire al primo focolaio o segnale di fumo.
4.1. Le proposte della Commissione sulla tutela del territorio e la difesa del suolo.
Il disastro avvenuto a Messina poche settimane fa è l'ultimo di una lunga serie di disastri da dissesto idrogeologico che hanno colpito il Paese negli ultimi anni. Ricordiamo Sarno, le alluvioni in Piemonte, la Valtellina.
Basti pensare, come è emerso nel corso dell'indagine, che circa il 10 per cento del territorio italiano e più dell'80 per cento dei comuni italiani sono interessati da aree a forte criticità idrogeologica e che negli ultimi 50 anni sono stati spesi, per sopperire ai danni derivanti dai soli fenomeni alluvionali, più di 16 miliardi di euro.
Purtroppo, il verificarsi di fenomeni eccezionali dovuti ad avversità atmosferiche non è prevedibile né costante nel tempo: non ci sono fattori di incidenza che possono preannunciare tali fenomeni. L'unica sicurezza che abbiamo è che le gravi conseguenze dei fenomeni meteorologici sul territorio e soprattutto in termini di vite umane sono inscindibilmente collegate con la vulnerabilità e fragilità del nostro territorio e con la struttura idraulica e geologica del terreno.
La frequenza, l'intensità e il valore dei danni dipendono in larga parte dal fatto che stiamo vivendo un periodo di cambiamenti climatici, che non sono necessariamente collegati al riscaldamento del globo o all'aumento del CO2, ma anche con la deforestazione o con le trasformazioni territoriali a livello globale.
D'altra parte, l'aumento dei disastri è senz'altro dovuto al non corretto uso del suolo, sia per la cattiva amministrazione del territorio sia per l'abbandono della terra, lo spopolamento dei piccoli centri, l'incuria legata alla perdita del contatto con il territorio stesso.
I casi di abusivismo edilizio sono i primi a provocare «disastri annunciati». La costruzione abusiva di edifici nell'alveo dei fiumi o su un terreno franoso, magari successivamente condonati invece di essere demoliti, è una delle principali cause di questi fenomeni (le 4 mila famiglie in pericolo nella foce del Tevere rappresentano un esempio eclatante).
Il sottosegretario Bertolaso ha elencato le ulteriori cause del dissesto: la dissennata pianificazione urbanistica, la carenza o l'errato
dimensionamento di opere di ingegneria, scriteriati comportamenti individuali, la generale fragilità del nostro Paese, l'inadeguatezza normativa.
In questi casi, emerge una responsabilità degli amministratori che hanno autorizzato le costruzioni: spesso sono gli stessi Piani regolatori ad essere stravolti da mille compromessi, che perseguono interessi di parte e non la compatibilità con le caratteristiche ambientali del territorio.
Per contrastare tali fenomeni, in Europa, come già avvenuto in America, si parla oramai di «strategia di adattamento» per la prevenzione dai danni futuri.
La strategia di adattamento è una strategia di mitigazione del rischio che agisce sulla prevenzione degli effetti negativi e dei danni provocati dai cambiamenti climatici, da applicare in parallelo alle dalle misure di contenimento delle emissioni stabilite a livello mondiale dai vai protocolli e normative (protocollo di Kyoto, direttive sulle emissioni, contenimento energetico, ecc.)
La strategia di adattamento compete al singolo Paese, che la attua con strumenti e programmi propri e costituisce una cornice di riferimento per le scelte e gli interventi di gestione del rischio di competenza delle autonomie regionali e locali.
Gli altri Paesi, sollecitati da iniziative della Commissione europea, stanno avviando proprie strategie nazionali di adattamento e in tal senso si dovrebbe muovere anche il nostro Paese.
Il 1o aprile 2009 la Commissione europea ha presentato il Libro bianco sull'adattamento, proponendo la definizione di un «European Adaptation Framework», ossia di un quadro di riferimento europeo per le azioni di adattamento degli Stati membri. In sintesi, le finalità strategiche intendono:
sviluppare le conoscenze e la ricerca scientifica sui cambiamenti climatici;
diminuire la vulnerabilità del territorio e aumentare la resistenza di settori cruciali come la biodiversità, la disponibilità di acqua, l'agricoltura, gli insediamenti umani;
promuovere investimenti nelle attività di prevenzione delle conseguenze negative per migliorare gli scenari futuri.
L'Italia dovrebbe senz'altro prendere parte a queste iniziative comunitarie, attraverso i politici, ma anche attraverso gli esperti del settore (Ispra, Enea), proprio a partire dalla difesa del suolo, vista le carenze del Paese su questo fronte, come la mancanza di piani di assetto idrogeologico o di piani paesaggistici regionali.
A tal proposito occorrerebbe cogliere l'opportunità della redazione dei Piani di gestione di bacino idrografico, previsti dalla Direttiva 2000/60/CE, la cui predisposizione è stata affidata alle Autorità di bacino (L.13/2009); si tratta, infatti, del principale strumento attuativo della Direttiva quadro acque (Direttiva 2000/60/CE), volta al raggiungimento del buono stato dei corpi idrici superficiali e sotterranei entro il 2015 attraverso una corretta pianificazione
e gestione degli usi dell'acqua. Per i medesimi motivi, occorrerebbe, inoltre, dare attuazione alla direttiva sul rischio alluvionale (2007/60/CE).
Sviluppare una strategia di adattamento nel settore della difesa del suolo vuole dire eseguire una mappatura del territorio sulla previsione di ciò che potrebbe accadere nel futuro, tenendo presenti anche le tendenze di utilizzo del territorio stesso. A tale proposito, nel corso dell'indagine, la Commissione ha preso atto che l'attività antropica ha un ruolo determinante tra i fattori che concorrono a definire la pericolosità di una area rispetto ad eventi di dissesto idrogeologico. Spesso l'incidenza umana modifica le dinamiche naturali, incrinando i delicati equilibri di un territorio ad alta fragilità e quindi inducendo nuovi fattori di rischio oppure incrementando la pericolosità di fenomeni di dissesto già presenti.
Occorre quindi, anche al fine di prevenire le cause dei fenomeni di dissesto idrogeologico recuperare il supporto tecnico della pubblica amministrazione, a partire dal Consiglio superiore dei lavori pubblici nella fase della progettazione e realizzazione delle opere.
Sotto il profilo istituzionale, è necessario poi, come emerso nel corso delle audizioni, elaborare interventi concertati e condivisi, con una forte cooperazione interistituzionale tra i diversi soggetti, ciascuno per il proprio ruolo, in linea peraltro con i principi di un «robusto federalismo cooperativo» da attuarsi ai sensi della legge n. 59 del 1997, del decreto legislativo n. 112 del 1998 e, da ultimo, della legge 42/2009 sul federalismo fiscale, al fine di rendere sempre più omogenei e diffusi gli interventi di manutenzione territoriale. Tale impostazione risponde altresì al richiamo della sentenza della Corte costituzionale n. 85 del 1990 alla «leale collaborazione tra Stato e regioni».
Si tratta di questioni che occorre affrontare in modo organico, con programmi specifici seguendo le moderne linee di intervento tracciate a livello comunitario e internazionale.
La Commissione ha quindi definito le seguenti proposte:
1. Innanzitutto, occorrere rafforzare la programmazione triennale, d'intesa con le regioni e le autorità di bacino e sulla base dei piani per l'assetto idrogeologico (PAI), dando assoluta priorità agli interventi di messa in sicurezza delle zone a rischio più elevato, senza lasciarli alla discrezione dei singoli, ma ricorrendo ad un unico provvedimento in cui si concentri la capacità di prevedere i possibili interventi sul territorio.
In tal senso la Commissione ribadisce - conformemente a quanto già approvato con la risoluzione 8-00040 - la necessità improcrastinabile di un adeguato impegno finanziario del governo al fine di avviare un programma pluriennale di interventi indispensabili per la difesa del suolo e il contrasto al dissesto idrogeologico nel nostro Paese.
Si tratta, in particolare, di prevedere uno sforzo straordinario in termini economici ma anche di concentrare le risorse previste per la
difesa del suolo prioritariamente sulle zone a rischio idrogeologico molto elevato.
In tale ambito occorrerà attribuire assoluta priorità all'incolumità delle persone e quindi, agli agglomerati urbani comprese le zone di espansione urbanistica; alle aree su cui insistono insediamenti produttivi, impianti tecnologici di rilievo, in particolare quelli definiti a rischio ai sensi di legge; alle infrastrutture a rete e alle vie di comunicazione di rilevanza strategica, anche a livello locale; al patrimonio ambientale e ai beni culturali di interesse rilevante; alle aree sede di servizi pubblici e privati, di impianti sportivi e ricreativi, strutture ricettive ed infrastrutture primarie. Ma al tempo stesso rispettare, laddove possibile, la naturalità dei fenomeni che si verificano sul territorio come l'esondazione di un corso d'acqua o le frane di versante, evitando di attuare esclusivamente interventi di difesa per la messa in sicurezza delle strutture esistenti, che spesso aggravano il rischio complessivo, ma avviando anche processi
di trasformazione dell'uso del suolo.
Tale proposta è stata condivisa da tutti gli auditi, i quali hanno sollecitato uno stanziamento straordinario per la messa in sicurezza del territorio: in tal senso, è stato chiesto il ripristino degli stanziamenti della soppressa legge n. 183 del 1989 a favore dei piani triennali per la messa in sicurezza, che consentivano di programmare gli interventi sul triennio e di realizzarli.
Occorre quindi svolgere una efficace attività di coordinamento in termini di programmazione della spesa che consenta di utilizzare al meglio le risorse, evitando la sovrapposizione di piani e programmi definiti in sedi differenti.
La copertura di tale investimento potrebbe essere assicurata con le risorse assegnate al Fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale, di cui all'articolo 18, comma 1, lettera b-bis), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2. Inoltre, si potrebbe attingere alle risorse messe a disposizione dai fondi comunitari per le attività di prevenzione e messa in sicurezza del suolo nonché ad accordi con grandi enti privati (come Enel, Eni, ecc.) per interventi sulla difesa suolo a titolo di compensazione rispetto ai grandi investimenti infrastrutturali che producono un impatto ambientale.
2. Contemporaneamente, è necessario promuovere un programma straordinario di prevenzione e di manutenzione del territorio da parte dei singoli comuni.
Nonostante il Governo abbia accolto favorevolmente l'indirizzo parlamentare relativo alla realizzazione di un programma di manutenzione volto ad un'attività preventiva nell'ambito della difesa del suolo, la Commissione ritiene che sia necessario - e quanto mai urgente - approvare una specifica proposta di legge che permetta la realizzazione di un programma straordinario per la manutenzione del territorio, al fine di evitare di giungere alle situazioni di emergenza trattate nel paragrafo precedente. Infatti, dalle audizioni è emersa la necessità - accanto alla programmazione triennale - di prevedere una programmazione a livello locale, a supporto dei piani di bacino,
destinata specificamente alle normali attività di manutenzione del territorio di competenza dei singoli comuni, i quali - soprattutto in considerazione dei limiti di bilancio e della grave crisi economica - non sono in grado di provvedervi con le risorse ordinarie.
Tale provvedimento dovrebbe prevedere la concessione da parte del Ministero dell'ambiente - sentita la Conferenza Stato-regioni e in deroga al patto di stabilità - di contributi sugli oneri di ammortamento di mutui quindicennali ai soggetti competenti definiti dal Codice (Comuni, le Province, i Consorzi di bonifica e Comunità montane), per i seguenti interventi:
a) riqualificazione ambientale dei corsi d'acqua, con particolare riferimento alla ricostruzione morfologica e alla rinaturalizzazione di tratti degradati, interventi sul sistema alveo-versante volti al controllo del trasporto solido e del materiale legnoso fluitato, con particolare riferimento ai bacini soggetti a fenomeni torrentizi, rimboschimenti, cespugliamenti e rinverdimenti di terreni denudati, anche a seguito di incendi;
b) interventi di arricchimento della composizione floristica e di riequilibrio dei popolamenti forestali, comprese le cure culturali e quelle indirizzate alla normalizzazione dei caratteri del bosco;
c) misure dirette al miglioramento delle caratteristiche di efficienza idrologica dei suoli e consolidamento del territorio montano e collinare, anche al fine di prevenire la franosità dei versanti;
d) misure volte a favorire, secondo corrette pratiche selvicolturali, il recupero e l'evoluzione verso forme equilibrate dei popolamenti forestali;
e) interventi di adeguamento e ammodernamento delle strutture deputate alla funzione di regimazione delle acque quali canali, impianti idrovori, sistemazioni idrauliche, canali collettori, vasche di laminazione, sistemi di consolidamento, ed altre opere con analoghe finalità.
Nell'ambito delle attività indicate nelle lettere precedenti, al fine di favorire determinate operazioni funzionali alla sistemazione ed alla manutenzione del territorio, alla salvaguardia del paesaggio agrario e forestale, alla cura ed al mantenimento dell'assetto idrogeologico e di promuovere prestazioni a favore della tutela delle vocazioni produttive del territorio, i soggetti beneficiari dei finanziamenti, dovrebbero privilegiare la stipula di convenzioni con associazioni o società giovanili finalizzate all'esecuzione di tali operazioni, nonché con gli imprenditori agricoli, in particolare con i giovani imprenditori, singoli o associati.
Gli enti territoriali dovrebbero presentare entro il 31 maggio di ogni anno progetti esecutivi e cantierabili per la realizzazione delle opere necessarie alle predette finalità. In tale ambito occorrerebbe premiare i comportamenti virtuosi, la qualità e la capacità progettuale, attribuendo le risorse unicamente a coloro che osservano le norme, investendo in modo corretto, piuttosto che a coloro ricostruiscono in
aree a rischio. Il Ministero dell'ambiente potrebbe inoltre revocare i finanziamenti agli enti inadempienti e ripartire le connesse risorse tra i rimanenti.
3. Sotto il profilo legislativo, la Commissione auspica una revisione del quadro normativo precedente al Codice ambientale in considerazione del mutato quadro normativo comunitario, della diversa ripartizione di competenze a livello nazionale, nonché del progresso scientifico e tecnologico. Tale revisione, che dovrebbe portare all'abrogazione della normativa in questione e alla eventuale integrazione delle norme ancora vigenti nel Codice ambientale, potrebbe avvenire in occasione dell'adozione dei decreti legislativi a seguito della delega in materia ambientale recata dalla legge n. 69/2009. In tale ambito occorrerà inoltre tenere conto delle modifiche intervenute a livello comunitario sulle definizioni relative alla protezione e alla difesa del suolo.
4. La Commissione auspica altresì il recupero di una visione multidisciplinare della difesa del suolo, materia che, per la sua complessità, non può essere affidata ad un'unica istituzione ma che necessita di quella «leale collaborazione» sollecitata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 85 del 1990. La Commissione auspica quindi la promozione di politiche integrate, una visione interdisciplinare dei problemi e, tramite le Autorità di bacino/distretto, un efficace ed efficiente coordinamento tra tutti gli enti sul territorio.
5. Nell'ambito della progettazione di grandi infrastrutture come di piccole opere, soprattutto a carattere viario o di regimazione delle acque (con particolare riferimento alle dighe), la Commissione auspica la predisposizione di linee guida - sulla falsariga del Manuale ANPA in materia di flora mediterranea e del Manuale di Ingegneria Naturalistica, redatto a cura del Ministero dell'ambiente - da elaborare con il supporto degli organismi tecnici della pubblica amministrazione, a partire dal Ministero dell'ambiente e dal Consiglio superiore dei lavori pubblici, volte alla realizzazione di opere a basso impatto sul territorio, che limitino - e non aggravino - le cause dei fenomeni di dissesto idrogeologico. In ogni caso, ogni intervento che interessa corpi idrici dovrebbe tener conto del principio di «non deterioramento» previsto dalla Direttiva quadro acque.
6. Tale impegno nella formazione multidisciplinare dei professionisti e dei tecnici dovrebbe essere promosso anche attraverso l'istituzione - presso i corsi universitari delle facoltà di ingegneria, agraria e geologia - di corsi di studio interdisciplinari sulla difesa del suolo e la prevenzione del rischio idrogeologico.
7. Con riferimento alle attività di prevenzione, si suggerisce inoltre la prosecuzione del Piano straordinario di telerilevamento, già previsto dall'articolo 27 della legge 31 luglio 2002, n. 179, al fine di renderlo un punto di riferimento e di accesso per le cartografie e le
informazioni ambientali di altre amministrazioni centrali e periferiche.
8. Riguardo alla riforma dei distretti idrografici prefigurata dal decreto legislativo n. 152 del 2006, la Commissione sollecita un dialogo fra il Ministero dell'ambiente, le regioni e le autorità di bacino per una revisione dell'impianto normativo e organizzativo, prevedendo un'articolazione degli organi della pianificazione di bacino che tenga conto della specifica realtà italiana. Da più parti è stato infatti prospettato il rischio che la definizione di distretti troppo ampi rispetto alla dimensione effettiva dei bacini possa impedire di attuare un'adeguata pianificazione degli interventi territoriali.
9. La Commissione ritiene inoltre opportuna l'introduzione di norme - di carattere statale e regionale, anche nell'ambito dell'attuazione del federalismo fiscale - volte a favorire la trasformazione delle aree dismesse, anche attraverso la leva fiscale o incentivi per interventi di rinaturazione o recupero della funzionalità ecologica del territorio (ad esempio, zone di espansione dei fiumi o riforestazioni protettive), privilegiando il recupero delle aree già antropizzate.
10. La Commissione ribadisce quindi la necessità di tenere conto di alcuni suggerimenti di carattere tecnico emersi durante lo svolgimento dell'indagine: la delocalizzazione degli edifici in aree a rischio; il controllo dei corsi d'acqua a monte; il rispetto delle fasce di pertinenza fluviale, per invertire la tendenza alla limitazione dello spazio destinato all'acqua, ridandole spazio anche per esondare (laddove possibile, come nelle aree extraurbane o di campagna, non certo nei centri urbani); manutenzione delle opere di difesa idraulica laddove necessaria; una grande attenzione ai corsi d'acqua minori; un'attività di controllo, da parte delle forze dell'ordine, sulle illegalità che riguardano i corsi d'acqua che spesso, purtroppo, sono sede di abusivismo edilizio, di discariche illegali o di estrazioni illegali di inerti, che comportano un aumento del rischio.
11. Infine, la Commissione sollecita gli enti preposti a realizzare una programmazione «leggera», che comprende l'informazione della popolazione, lo sviluppo dei sistemi di protezione civile, ma anche i vincoli di uso del territorio e le delocalizzazioni, ossia interventi che comportano una spesa minore ma che sono fondamentali per la manutenzione e la conservazione del territorio. In particolare, nelle zone a rischio molto elevato occorre utilizzare strumenti specifici (ordinanze, avvisi pubblici, cartelli, ecc.) per segnalare esplicitamente ed in modo inequivocabile il divieto di costruire.
4.2. Le proposte della Commissione sugli incendi boschivi.
1. La Commissione condivide e sollecita il processo di costituzione di una rete di intervento a livello comunitario, nell'ottica di
una razionalizzazione nell'uso delle risorse e di una maggiore efficacia negli interventi.
2. In secondo luogo, pur riconoscendo i risultati positivi prodotti dalla legge quadro 353/2000, la Commissione auspica l'introduzione di alcune precisazioni volte ad una migliore applicazione della legge stessa.
In particolare, si ritiene necessario ribadire che il modello prefigurato dalla legge si basa sulla responsabilità delle regioni, che attraverso il piano regionale per la programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva coordinano le attività degli altri enti coinvolti. In tal senso, ad esempio, nell'ambito della lotta attiva agli incendi deve essere maggiormente garantito e rafforzato il ruolo di coordinamento delle sale operative regionali (SOUP), che devono operare in stretto raccordo con le forze dello Stato.
Da parte loro, le regioni hanno sollecitato un sostanziale ampliamento dei finanziamenti dedicati all'antincendio boschivo e una revisione dei criteri di riparto dei finanziamenti previsti dalla legge, volta a valorizzare le realtà operative regionali ed i loro risultati, piuttosto che basata su elementi meramente numerici.
Le regioni, infatti, lamentano una penalizzazione nella erogazione dei fondi necessari per le attività di tutela e salvaguardia del patrimonio boschivo dagli incendi, in quanto i criteri adottati penalizzerebbero alcune realtà regionali che presentano bassa densità boschiva pur esposte ad alto rischio di incendi, per cui chiedono di modificare l'attuale disposto prevedendo una diversa ripartizione delle risorse. Conseguentemente, il comma 3 dell'articolo 12 della legge 353/2000 dovrebbe essere modificato nel senso di prevedere che la ripartizione delle risorse fra le regioni e le province autonome avvenga per metà proporzionalmente al patrimonio boschivo rilevato dall'inventario forestale nazionale, costituito presso il Copro forestale dello Stato, e per l'altra metà proporzionalmente alla variazione percentuale tra la superficie boscata media bruciata nell'ultimo quinquennio e la media della superficie boscata bruciata nel decennio che
precede il quinquennio in esame, sulla scorta dei dati desunti dai modelli AIB/FN.
Le regioni, inoltre, auspicano un nuovo sistema di ripartizione che privilegi la prevenzione e che premi tutte le regioni che hanno contribuito, nel corso dell'anno, a contenere ed a ridurre lo scoppio di incendi sul proprio territorio.
In tale contesto deve essere inoltre valorizzato il ruolo di coordinamento a livello nazionale, in capo al Dipartimento della protezione civile, in stretto raccordo con i presidenti delle regioni, a cui dovrà essere attribuita la piena potestà ordinatoria ed operativa, finalizzata alle attività di antincendio boschivo, a salvaguardia della pubblica incolumità.
In siffatta architettura operativa, il comune assume il ruolo di ente di base in materia di protezione civile ed il sindaco di autorità primaria di protezione civile. In tale quadro, sarebbe opportuno incentivare forme associative tra i piccoli comuni.
3. Sotto il profilo operativo, la Commissione condivide la proposta di rendere più efficaci sia la fase di avvistamento rapido - pattugliamento a terra, ricognizioni con gli elicotteri e impiego di tecnologie avanzate per la rivelazione dell'incendio - sia la fase di lotta attiva a terra, da affidare ad un'azione congiunta del Corpo forestale e dei Vigili del fuoco, per quanto riguarda l'impiego delle proprie risorse umane e strumentali e il coordinamento delle altre organizzazioni e strutture disponibili sul territorio.
4. La Commissione ritiene inoltre importante sviluppare le attività di formazione e addestramento delle componenti volontarie del soccorso, anche presso le strutture dei Vigili del fuoco e del Corpo forestale dello Stato, al fine di garantire adeguati ed uniformi standard di intervento e di sicurezza degli operatori.
5. Quanto al tema della prevenzione, la Commissione condivide la necessità di coniugare tale attività con il ciclo produttivo presente sul territorio (ad esempio, aziende agricole o turistiche) e la sostenibilità economica delle aree a rischio incendio. Su questo inoltre la Commissione auspica una sinergia tra tutti coloro i quali vivono e fruiscono il bosco, che può essere supportata da finanziamenti mirati al fine di evitare che si verifichino incendi nella zona. Laddove infatti vi è un interesse economico, il presidio del territorio è assicurato in maniera mirata e continuativa. Inoltre è importante ai fini della prevenzione eliminare «a monte» la possibilità di speculare sulla gestione delle aree bruciate e questo si può fare da un lato con il catasto delle superfici percorse dalle fiamme, dall'altro con un'oculata manutenzione dei boschi.
6. Quanto ai sistemi di rilevazione e monitoraggio del rischio incendi (ma anche del rischio idrogeologico) la Commissione ritiene necessario omogeneizzare a livello centrale la metodologia da utilizzare, pur lasciando agli enti locali la responsabilità di intervenire, affinché la valutazione sia di tipo omogeneo e non soggetta a interpretazione. Ai fini dell'armonizzazione della raccolta e dell'elaborazione dei dati concernenti la materia degli incendi boschivi, si potrebbero quindi applicare le definizioni riportate nell'articolo 3 del regolamento CE n. 2152/2003».
7. Infine, la Commissione ritiene necessario rafforzare le attività di sorveglianza svolte dall'uomo.
In tal senso, le squadre a terra non dovrebbero stare in casa o nelle caserme ad attendere la chiamata; piuttosto dovrebbero trovarsi nei punti nevralgici del territorio di loro competenza, pronte a intervenire al primo focolaio o segnale di fumo.
(1) Decisione n. 1600/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 luglio 2002, che istituisce il sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente, GU L 242 del 10.9.2002, pag. 1.
(2) La polizia idraulica, lo si ricorda, è la materia che regolamenta, autorizza e gestisce la realizzazione ed il mantenimento di opere nonché le attività da realizzarsi all'interno delle aree demaniali fluviali e nelle relative fasce di rispetto.
(3) Sulle differenze tra il quadro normativo vigente all'atto dell'emanazione della legge 183/1989 e quello risultante dalle innovazioni introdotte da tale legge si veda, ad es., «La pianificazione di bacino nell'evoluzione legislativa» a cura del Servizio di informazione coordinata sulle attività di pianificazione delle Autorità di bacino nazionali all'indirizzo www.gruppo183.org/autoritadibacino/rapporto infobacini/parte 2/II2 legislativa/II2 legislativa.
(4) Regione Toscana, Segnali ambientali in Toscana 2005, Indicatori ambientali e politiche pubbliche: Bilancio e prospettive, Capitolo 3 - Natura, biodiversità e difesa del suolo (www.rete.toscana.it/sett/pta/stato ambiente/segnali ambientali/2005/segnali ambientali 2005 capitolo 3.pdf).
(5) Codice delle acque pubbliche, Giuffré editore, 2003.
(6) L'articolo 64 stabilisce che l'intero territorio nazionale, ivi comprese le isole minori, è ripartito in distretti idrografici e precisa che sono fra l'altro assegnate ai distretti idrografici sia le aree dei bacini idrografici di rilievo nazionale ed interregionale di cui alla legge 183/1989, che le aree dei bacini idrografici regionali di cui alla medesima legge.
(7) Tranne il distretto idrografico padano che corrisponde all'ex bacino di rilievo nazionale del Po, e il distretto idrografico pilota del Serchio, che corrisponde all'ex bacino-pilota omonimo.
(8) Sui risultati di tali programmi si veda la relazione della Corte dei conti allegata alla delibera n. 5/2009/G relativa all'Indagine sui «Programmi ed interventi per il riassetto idrogeologico e la difesa del suolo (legge n. 179/2002 e legge n. 326/2003, articolo 32, commi 9 e 10)» disponibile all'indirizzo web http://www.corteconti.it/Ricerca-e-1/Gli-Atti-d/Controllo-/Documenti/Sezione-ce1/Anno-2009/Secondo-Co/Deliberazione-n.doc-cvt.
(9) Le due parti di cui si compone sono disponibili ai seguenti indirizzi internet:
www.camera.it/dati/leg14/lavori/stencomm/08/indag/opere idrauliche/2005/0914/pdf001.pdf
www.camera.it/dati/leg14/lavori/stencomm/08/indag/opere idrauliche/2005/0914/pdf002.pdf.
(10) http://nuovo.camera.it/459?shadow organo parlamentare=1506&eleindag=/ dati/leg16/lavori/stencomm/13/indag/irrigue.
(11) Finalità analoghe si rinvengono anche nell'articolo 1, comma 432, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006), che destina il 50 per cento delle risorse del Fondo da ripartire per esigenze di tutela ambientale per le finalità di cui al citato decreto-legge 180/1998. A tale scopo, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, d'intesa con le regioni o gli enti locali interessati, definisce ed attiva programmi di interventi urgenti di difesa del suolo nelle aree a rischio idrogeologico.
(12) Come ridotti dall'articolo 5 del DL n. 93/2008 recante «Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie».
(13) http://www.camera.it/ dati/leg16/lavori/bollet/chiscobollt.asp?content=/-dati/leg16/lavori/bollet/framedin.asp?percboll=/ dati/leg16/lavori/bollet/200902/0204/html/08/.
(14) http://www.camera.it/-dati/leg16/lavori/bollet/chiscobollt.asp?content=/-dati/leg16/lavori/bollet/framedin.asp?percboll=/-dati/leg16/lavori/bollet/200904/0421/html/08/.
(15) http://www.intra.camera.it/ dati/leg16/lavori/bollet/chiscobollt.asp?content=/ dati/leg16/lavori/bollet/framedin.asp?percboll=/dati/leg16/lavori/bollet/200910/1013/html/08/.
(16) «Monitoraggio sulle azioni dei Comuni italiani nell'applicazione della legge 353/2000 e nella mitigazione del rischio incendi boschivi», luglio 2009 (http://www.legambiente.eu/documenti/2009/0521 dossiervari/ecosistemaIncendi 2009.pdf).
(17) Il testo dell'articolo 10, comma 1, della legge quadro prevedeva, invece, da un lato un divieto generale di variazione di destinazione - valido 15 anni - per le zone boschive ed i pascoli i cui soprassuoli siano percorsi dal fuoco e un corrispondente divieto di costruzione - esteso per 10 anni. Dall'altro, permetteva la realizzazione di edifici o di strutture e infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive, prima che fossero decorsi dieci anni dall'incendio, solamente se la relativa autorizzazione o concessione era stata rilasciata in data anteriore all'incendio e sulla base degli strumenti urbanistici vigenti a tale data. Una tale applicazione non aveva alcun effetto disincentivante dell'attività dolosa (finalità a cui è mirata la normativa di cui all'articolo 10) dal momento che la destinazione urbanistica era precedente (e non successiva) al verificarsi dell'incendio.
(18) http://www.apat.gov.it/site/it-IT/APAT/Pubblicazioni/Annuario dei dati ambientali/Documento/annuario 08l#Sommario
(19) http://www.protezionecivile.it/cms/attach/editor/Ecosistema Rischio 2008.pdf.
(20) Tali dati non tengono conto degli stati di emergenza dichiarati nel settore dei rifiuti e nel settore del traffico e della mobilità.
(21) Pubblicato nella G.U. n. 57 del 7 marzo 2008 ed errata-corrige pubblicato nella GU n. 64 del 15 marzo 2008.
(22) Pubblicato nella G.U. n. 61 del 12 marzo 2008.
(23) Pubblicato nella G.U. 18 dicembre 2008, n. 295.
(24) Pubblicato nella G.U. n. 36 del 13 febbraio 2009.