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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione XI
10.
Martedì 2 marzo 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Moffa Silvano, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SU TALUNI FENOMENI DEL MERCATO DEL LAVORO (LAVORO NERO, CAPORALATO E SFRUTTAMENTO DELLA MANODOPERA STRANIERA)

Audizione di rappresentanti della Caritas:

Moffa Silvano, Presidente ... 3 7 9 11
Bobba Luigi (PD) ... 7
Delfino Teresio (UdC) ... 8
Damiano Cesare (PD) ... 8
Forti Oliviero, Rappresentante della Caritas italiana ... 3 9
Foti Antonino (PdL) ... 8
Gatti Maria Grazia (PD) ... 8
Gnecchi Marialuisa (PD) ... 8
Schirru Amalia (PD) ... 8
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud Ausonia: Misto-NS/LS Ausonia.

COMMISSIONE XI
LAVORO PUBBLICO E PRIVATO

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 2 marzo 2010


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SILVANO MOFFA

La seduta comincia alle 13,55.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della Caritas.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva su taluni fenomeni distorsivi del mercato del lavoro (lavoro nero, caporalato e sfruttamento della manodopera straniera), l'audizione di rappresentanti della Caritas.
Sono presenti Oliviero Forti e Franco Placidi, che ringrazio.
Do la parola al dottor Forti, rappresentante della Caritas italiana.

OLIVIERO FORTI, Rappresentante della Caritas italiana. Ben trovati e grazie per questa opportunità. Mi presento brevemente: sono il responsabile dell'Ufficio immigrazione della Caritas italiana. Al mio fianco c'è l'ingegner Placidi della Caritas diocesana di Roma.
Il tema odierno, da quanto apprendo dalla convocazione, è quello del lavoro irregolare che riguarda la manodopera straniera. È un tema di grande attualità che, come sapete, è difficilmente quantificabile, nella misura in cui trattasi di soggetti che sfuggono a qualsiasi rilevazione, se non di tipo qualitativo e campionaria. Di queste rilevazioni se ne fanno tante, ma nessuna ha mai restituito nei fatti un dato definito e definitivo.
È immaginabile che si tratti di un contingente di lavoratori che supera abbondantemente le 500 mila unità. Tuttavia, la forbice è talmente ampia che andare da un minimo a un massimo sarebbe anche scorretto.
Possiamo dire che l'unico strumento oggi disponibile per avere un'idea di massima della quantificazione della manodopera irregolare in Italia sono i provvedimenti amministrativi straordinari come le regolarizzazioni o le sanatorie. Esse, però, anche in questo caso danno sempre una fotografia parziale, nella misura in cui comunque impongono dei requisiti che non tutti riescono a soddisfare, come nel caso delle colf e delle badanti. Ricordate bene, infatti, l'ultima regolarizzazione del luglio-agosto di quest'anno, dove le domande presentate sono state poco più 290 mila, a fronte di un fenomeno che l'esperienza ci dice essere molto più ampio sul territorio.
Peraltro, in parte, come sapete, è stata una regolarizzazione strumentalizzata da molti che, pur non avendo titolo, hanno trovato il modo per accedervi con datori di lavoro compiacenti.
Se non posso, purtroppo, fornirvi una dimensione quantitativa definita, posso invece dire che, dal punto di vista qualitativo, abbiamo un osservatorio tutto sommato abbastanza puntuale, grazie alla nostra rete di Caritas diocesane che conta attualmente 220 realtà in tutta Italia.
Quello che ad oggi posso rappresentare è una situazione sicuramente in peius


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rispetto al passato, evidentemente pensando alla crisi economica che ha colpito il Paese, che chiaramente è andata a impattare anche sulla manodopera straniera presente. Pertanto, molti cittadini sino a qualche mese fa regolarmente soggiornanti sul nostro territorio si trovano oggi in condizioni di non poter più soddisfare i requisiti di residenza regolare; quindi vi è una caduta verso l'irregolarità e uno spostamento verso le regioni del sud del Paese, dove - ahimè - è più facile mantenere la posizione di irregolare rispetto alle regioni del centro-nord del Paese stesso.
Diverse Caritas ci segnalano arrivi, soprattutto nelle zone dove vi è manodopera in agricoltura, di cittadini un tempo regolari e oggi divenuti irregolari che in queste realtà riescono quantomeno a sbarcare il lunario e a mantenere delle famiglie; si tratta di persone che hanno investito il proprio futuro in queste regioni del nord e che oggi si trovano in estrema difficoltà.
Cito un esempio per tutti: il caso, sempre più diffuso, di minori nati in Italia da genitori di cittadinanza straniera; oggi, non essendo più regolari, i genitori preferiscono inviare questi figli presso le famiglie nei Paesi d'origine per evitare tutto quello che comporta l'irregolarità, in primis la possibilità di essere espulsi.
Per quanto riguarda le regioni meridionali, devo in questa sede rilevare come alcune realtà sono in particolare sofferenza. I casi di Rosarno rappresentano l'apice di un sistema che da anni si trascina nel nostro Paese e che vede tutte le regioni del sud - mi sento di dire - coinvolte, con realtà numericamente più o meno rilevanti. Partendo dalla Campania, San Nicola Varco è uno dei casi più noti (penso alla Piana del Sele per quanto riguarda tale vicenda), ma abbiamo nel casertano realtà ancora fortemente problematiche, che meriterebbero maggiore attenzione poiché si tratta di centinaia se non di migliaia di soggetti che vivono in condizioni ai limiti della sopportazione.
Anche in Basilicata abbiamo realtà altrettanto problematiche (penso ad esempio a Palazzo San Gervasio), mentre in Puglia penso alla realtà della Capitanata (nel foggiano), ma anche a realtà non meno preoccupanti, anche se numericamente più ridotte, come Gallipoli, dove in estate 3-400 persone vivono almeno per un mese e mezzo completamente all'aria aperta, sotto le piante d'ulivo. Questa è la situazione che voglio raccontarvi: sembra banale, ma purtroppo è drammaticamente vera, perché la viviamo sulla nostra pelle nella misura in cui si tratta di persone che chiedono alle nostre Caritas un sostegno e un aiuto.
Abbiamo la questione della Piana di Gioia Tauro, con Rosarno in testa; in Sicilia abbiamo la situazione di Alcamo piuttosto che di Pachino e in Sardegna da poco si è conclusa in maniera positiva la vicenda dello sgombero che ha interessato uno stabile a Cagliari. Riporto quest'ultima vicenda perché la ritengo - almeno per le notizie che mi sono state fornite dal direttore di Cagliari - una buona prassi. In quel contesto, circa 120 cittadini stazionavano ormai da circa vent'anni in una struttura che presentava particolari problematicità, con un'alta presenza d'amianto. Ebbene, quella struttura è stata sgombrata dal prefetto solo dopo aver interpellato i servizi sociali del comune e la Caritas per un piano di intervento preventivo, che ha permesso la ricollocazione in appartamenti di queste persone. Solo quando il piano era pronto si è provveduto allo sgombero, cosa che non è avvenuta in altri contesti.
A seguito dei fatti di Rosarno piuttosto che di San Nicola almeno 250 di quelle 700 persone hanno bussato alle porte della Caritas, che oggi è in affanno, dal punto di vista economico, perché non ha più le risorse per sostenere 250 persone che quotidianamente hanno bisogno di un alloggio piuttosto che dell'assistenza materiale minima.
Chiaramente qualsiasi sgombero, giustificato da dati di fatto inaccettabili, deve essere accompagnato da un piano di concertazione locale o regionale, la cui assenza rischia semplicemente di disperdere il problema senza risolverlo. O meglio, si


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risolve il problema di San Nicola Varco, ma poi lo si ritrova a Teggiano-Policastro piuttosto che in altre aree.
Questa è anche l'occasione per portare alla vostra attenzione una vicenda che, a mio avviso, deve vederci tutti attenti. Si tratta dell'opzione del cosiddetto «rimpatrio volontario assistito» (RVA). Voi sapete bene che questo è uno degli strumenti comunitari messi a disposizione dei singoli Stati membri per alleggerire il peso delle irregolarità nei singoli Stati. In concreto, significa che ogni Stato membro, grazie a questa direttiva che dispone di fondi comunitari, può prevedere per l'immigrante irregolare l'opzione di tornare a casa volontariamente. Questo non solo alleggerisce la base di irregolarità, ma comporta un risparmio per il Governo del Paese che si trova a gestire questo fenomeno: costa molto di più l'espulsione coatta che non il rimpatrio volontario.
Il nostro Paese ha attualmente in corso un progetto che si chiama NIRVA (Networking italiano per il rimpatrio volontario assistito) a cui fino a qualche mese fa ha partecipato anche la Caritas italiana, insieme alle ACLI, mettendo a disposizione la sua rete.
Purtroppo, nostro malgrado, siamo dovuti uscire da questo progetto proprio perché il recente pacchetto sicurezza, con l'introduzione del reato di immigrazione clandestina, ha comportato che non fosse più possibile attivare la procedura che veniva adottata prima: il migrante irregolare che chiedeva di essere rimpatriato doveva evidentemente essere segnalato all'autorità, in questo caso al funzionario del ministero, che, venuto a conoscenza del nominativo di chi aveva commesso il reato, era costretto prima a denunciarlo (quindi veniva meno l'opzione del rimpatrio volontario assistito).
Ci è stato comunicato, dunque, che non era più possibile attivare questa procedura per cittadini irregolari, in contrasto con la direttiva europea 2008/115/CE recante «Norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare». Chiaramente l'irregolarità è - passatemi il termine - un requisito previsto. Oggi questo non è possibile in Italia, dunque si possono rimpatriare solo regolari. Questo ci ha portato ad impegnarci non tanto - ripeto, non è il nostro ruolo - per entrare in contrapposizione con il Governo, quanto perché non siamo abituati ad avere fondi governativi per non fare nulla. Dico questo perché ai nostri sportelli chi chiede di essere rimpatriato è evidentemente solo ed esclusivamente il cittadino irregolare. Una qualsiasi lettura sociologica ci dice che l'immigrato regolare, che ha il permesso di soggiorno, in rarissimi casi - forse quelli di maggiore vulnerabilità - si rivolge a questa opzione. Al di là del fatto che, come ben sapete meglio di me, l'Italia dovrà recepire questa direttiva e nel momento in cui lo farà dovrà comunque ad essa conformarsi, sino a quel momento uno sforzo nel senso di riaprire questa opzione aiuterebbe molto, soprattutto i contesti che citavo prima, come San Nicola Varco e altre realtà che, purtroppo, presentano un'alta concentrazione di cittadini senza permesso di soggiorno.
Ora, sono numerose le considerazioni che si possono fare sul lavoro irregolare. Riprendo alcune sollecitazioni che mi sono state sottoposte. Ad esempio, il fenomeno del caporalato è un fenomeno noto, ma a tutt'oggi diffusamente esistente. Se volete, mi impegno a farvi avere gli atti di un recente convegno che abbiamo svolto proprio su questi temi. Ascoltando i colleghi che lavorano in quelle aree, quello che emerge è un sistema ormai consolidato, molto diffuso, mi permetto di dire standardizzato.
Questi soggetti - i caporali, per intenderci - gestiscono la manodopera irregolare impiegando persone a 25 euro al giorno, di cui mediamente 5 euro vanno in mano al caporale; alcune volte 2-3 euro sono necessari per il trasbordo tra il luogo dove si sopravvive e il luogo di lavoro, con il risultato che rimangono in tasca a queste persone circa 10 euro.
Ora, con gli sgomberi si sono create situazioni anche gravi, poiché il pagamento di queste persone in genere avviene


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non a settimana, ma al termine della stagione o del periodo. Gli sgomberi improvvisi mettono il datore di lavoro nelle condizioni di liberarsi di questo debito nei confronti del proprio lavoratore. Quindi, queste persone sono «gabbate» due volte: non solo si trovano nelle condizioni di dover lasciare di corsa questi luoghi, ma non ricevono neanche il salario.
Abbiamo storie - mi permetto di entrare nel dettaglio per darvi la misura della drammaticità di questi fatti - di persone che hanno passato giorni a chiamare i datori di lavoro, che però in alcuni casi hanno addirittura spento il cellulare. Questo è ciò che ci troviamo a gestire e che, a nostro avviso, è alla base di quelle tensioni che si vogliono spesso far passare per qualcos'altro. Le tensioni che abbiamo sui territori sono spesso il frutto di tante povertà che si intercettano. Il sud ha già di per sé un contesto economico e sociale in molti casi depresso e proprio in questi contesti si innescano questi meccanismi, che trovano sicuramente terreno fertile e sono bombe ad orologeria che prima o poi esplodono.
Ci sono realtà che meritano attenzione nella misura in cui, se ben governate, non porteranno a quello che abbiamo visto a Rosarno: dalla Capitanata, in Puglia, la cui esperienza è ormai consolidata, a Palazzo San Gervasio. Se avrete la fortuna o la sfortuna di visitare questi posti, vi renderete conto non solo delle condizioni in cui versano queste persone, ma anche di quanto è sollecitata la comunità locale da queste presenze. Nessuno vuole vedere vicino alla propria casa situazioni di povertà estrema così come noi registriamo in questi luoghi. Si tratta di persone che, lo ripeto, vivono ai limiti dell'immaginario.
Tutto questo ha inevitabilmente un impatto sui temi della sicurezza e dell'ordine pubblico. In questo senso, registriamo un peggioramento del clima a livello nazionale. Questo è innegabile. Per motivi a tutti noti, c'è un aumento del livello di guardia che, dati alla mano, spesso corrisponde più a una rappresentazione che a una lettura reale di quanto sta avvenendo: i dati quantitativi, infatti, ci dicono che tutto sommato, al di là di questa crisi che sta impattando - e neanche enormemente - sulla realtà immigrata, per il resto non ci sono stati grandi mutamenti.
Certo, spesso si chiede quali possano essere le soluzioni. Noi evidentemente non ne abbiamo, se non quella di rispondere al nostro dovere di accoglienza e possibilmente di attivare percorsi di integrazione. È chiaro che, come abbiamo già avuto modo di ricordare in varie sedi, se ci fosse un progetto di regolazione dei flussi a monte, non dico che si risolverebbe il tutto, ma avremmo sicuramente una dimensione meno sollecitata. Intendo dire che se si comincia a ragionare in termini di decreti flussi che abbiano un minimo di realismo in più rispetto a quello che abbiamo avuto negli ultimi anni, al di là dei Governi, probabilmente si potrà decomprimere - non risolvere - questo sistema delle irregolarità.
Anche i colleghi che lavorano nelle Caritas dei Paesi di partenza e di transito - penso ai colleghi libici, marocchini e altri - ci dicono che la pressione è ancora molto forte. Non abbiamo, quindi, attualmente una diminuzione della pressione migratoria verso le coste del sud Europa. Vediamo meno sbarchi a Lampedusa, come sapete, per gli accordi intercorsi con la Libia e per la scelta di attuare i cosiddetti «respingimenti» in mare; tuttavia, è chiaro che questo non ha portato a una diminuzione di pressione verso la Libia, dove siamo a un livello quasi di attenzione; dunque dovremo aspettarci, presumibilmente già nei prossimi mesi, un sistema che si riorganizzerà in questo senso.
Già abbiamo notizie di cambiamento delle rotte migratorie, di passaggi attraverso la Turchia, la Grecia ed evidentemente i Balcani, ma questo non esclude assolutamente che ci sia una ripresa delle attività attraverso il Mediterraneo. A fronte di questa pressione migratoria che non tende, in questa fase, a diminuire, dobbiamo a nostro avviso attrezzarci affinché questa non diventi prioritariamente un'immigrazione irregolare. L'unico modo per farlo è organizzare meglio i canali


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regolari. Se non ci attestiamo su questo, il rischio è quello di trovarci, nel tempo, di fronte a tante Rosarno, che nessuno - e noi per primi - vorrebbe mai più vedere. Questo, però, è quanto attualmente ci troviamo a dover gestire.
Cito ora altre questioni importanti. La prima riguarda le forme di sfruttamento della manodopera che rischiano di degenerare in attività paraschiavistiche e che sono anch'esse diffuse. È doveroso riflettere in che misura sia possibile estendere l'applicazione dell'articolo 18 del testo unico sull'immigrazione anche allo sfruttamento sui luoghi di lavoro. Questo è previsto dal testo unico, che non limita tale applicazione esclusivamente allo sfruttamento per motivi sessuali, che è la motivazione che negli anni ha portato prioritariamente all'utilizzazione di questo articolo.
Ora, io non sono tra quelli che sostengono l'utilizzo indiscriminato di questo strumento, perché si potrebbe cadere nell'errore di una strumentalizzazione, perché facilmente il collaboratore familiare denuncerebbe il proprio datore di lavoro sostenendo di essere da lui sfruttato, così ottenendo l'applicazione dell'articolo 18, con la denuncia del datore di lavoro, e così via. Oggettivamente esiste un pericolo. Ricordo che lo stesso Ministro Ferrero, all'epoca, fece provocatoriamente una proposta in tal senso, con la consapevolezza che si tratta di un tema complicato. Tuttavia, è necessario lavorarci, altrimenti rimane un'arma spuntata.
Noi crediamo, invece, che questo sia un aspetto importante, perché molte realtà che conosciamo e tocchiamo con mano sono assolutamente da tutelare proprio attraverso questo strumento. Abbiamo veri e propri casi di schiavitù. Ricorderete il caso dei polacchi in Capitanata. In alcune situazioni si è pagato con la vita il fatto di non conformarsi a determinate regole; ci sono stati casi di sparizioni vere e proprie di persone. Insomma, ci troviamo di fronte a una condizione tale da richiedere un ragionamento approfondito in tal senso.
È sempre utile - e questa è un'occasione ghiotta - per ricordare che c'è ancora una scarsa attenzione per il percorso sociale ex articolo 18. Si predilige il percorso giudiziario, quello che prevede la denuncia, ma esso è anche il più difficile da applicare, poiché molte vittime hanno paura di denunciare e quindi di accedere ai percorsi ex articolo 18.
Quello dei minori - mi avvio alla conclusione, lasciando spazio a vostre eventuali domande - è un altro grande tema, soprattutto con riferimento ai minori stranieri non accompagnati, che numerosi ancora arrivano nel nostro Paese e che costituiscono un problema di sostenibilità per gli enti locali. Come sapete meglio di me, per un piccolo comune del sud tre minori stranieri non accompagnati significano un dissesto di bilancio.
Ora, a parte l'accordo fatto con l'ANCI per un sistema nazionale, che sicuramente va nel senso auspicato, anche questo va esaminato nella misura in cui per un periodo sostiene i comuni, che magari si fanno anche affascinare dalla possibilità di avere un pro capite interessante che porta avanti le finanze del Comune, ma, finito quel periodo, i fondi finiscono e i minori rimangono su quei territori. Bisogna anche capire quanto un territorio è capace di sostenere questo tipo di sfida.
Ci sarebbe molto da dire, ma immagino che non ci sia tempo a sufficienza. Vi rimando anche alle nostre pubblicazioni, in primis il Dossier statistico Immigrazione, che contiene una lettura davvero interessante soprattutto sul tema dei regolari rispetto al mercato del lavoro.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Forti anche per l'ampiezza della sua esposizione. Tra l'altro, la ringrazio in anticipo di tutta la documentazione che potrà fornire.
Do ora la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

LUIGI BOBBA. Ringrazio anch'io per l'ampiezza e la qualità della riflessione e delle informazioni riferite.
Chiederei, se è possibile, un approfondimento su un tema che è stato affrontato


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a volo di uccello: gli effetti diretti e indiretti dei provvedimenti riguardanti la Libia. Insomma, al di là di un'affermazione generica, vorrei sapere se ci sono dati concreti che indicano questo spostamento delle rotte verso la Turchia e la Grecia e, comunque, una riorganizzazione dei passaggi per il Mediterraneo attraverso altri canali.

AMALIA SCHIRRU. Vorrei soffermarmi in particolar modo sulla questione dei minori. Anch'io penso che qualche difficoltà prima o poi si presenti per gli enti locali e per le strutture di accoglienza dei minori non accompagnati.
Avete pensato a chi potrebbe sostituirli, magari anche a una formula di gestione diretta da parte del ministero?

MARIA GRAZIA GATTI. Vorrei porre una domanda molto specifica in relazione ai rimpatri e alla possibilità di rientro. Prima dell'entrata in vigore del reato di immigrazione clandestina, quando voi avevate un contatto più diretto con le diverse situazioni, vi siete mai confrontati con un fenomeno - di cui vorrei conferma e del quale mi arrivano notizie dai vari posti - per il quale ci sono problemi con la polizia locale, che reinserisce nel circuito le persone che vengono rimpatriate? Avete mai avuto segnalazioni di questo tipo?

TERESIO DELFINO. Non so se sono in tema - mi scuso per essere arrivato in ritardo - ma, in relazione a quanto sentito, poiché c'è un'effettiva diminuzione di lavoro a causa della situazione economica, vorrei porre un semplice quesito. La questione del rimpatrio volontario assistito, rispetto alla nuova normativa, che impatto ha? Mi risulta che sarebbe un impatto ostativo. Vorrei conoscere la vostra opinione al riguardo.

MARIALUISA GNECCHI. Pongo una domanda breve, sebbene forse complicata, relativamente ai minori che arrivano in Italia per il ricongiungimento familiare. Lei ha affermato che una famiglia sceglie a volte di far tornare nel proprio Paese d'origine i giovani al compimento della maggiore età. Su questo avete dei dati? Quali sono, invece, le esperienze di mantenimento sul territorio dei giovani diventati maggiorenni?

ANTONINO FOTI. Ringrazio i nostri amici anche per l'attività meritoria che svolgono. Mi sembra, però, che l'analisi relativa all'aspetto che riguarda la nostra indagine sia un po' troppo drammatizzata, attraverso la generalizzazione di casi specifici, trattati come se fossero casi generali.
Come correttamente diceva lei, si assiste a un atteggiamento diverso dello Stato, tra nord e sud, nei confronti degli immigrati. Nella pratica - purtroppo, questa è una constatazione negativa - quello che succede è che il «mercato» (se così si chiama) si regolarizza da solo.
Lei citava l'esempio di Rosarno: ebbene, non so se sapete che a Rosarno oggi ci sono 1.500 dei 1.700, che sono ritornati e che, anziché stare in un solo capannone, vivono nelle case nella campagna e guadagnano molto poco, ma una cifra che per loro è soddisfacente. Insomma, la situazione reale è un po' diversa. Molto spesso ci si dimentica che nel sud, in particolare in alcune zone, anche in città, avvengono cose ancora più gravi, ossia che i cittadini italiani che lavorano in nero guadagnano meno di quanto guadagnano questi immigrati, non sono registrati, fanno parte del famoso sommerso, ma forse non vengono alla Caritas perché hanno una famiglia e un po' di dignità. Nello stesso tempo, purtroppo, anche i datori di lavoro non pagano come si deve per altre ragioni.
C'è una situazione sociale nel sud che è ancora più drammatica. Farei, dunque, un bilanciamento.

CESARE DAMIANO. Signor presidente, vorrei fare solo un'osservazione. Purtroppo, molte volte si approvano leggi che non aiutano la realtà. Forse avremmo bisogno di più audizioni come queste, da parte di chi sta in trincea, per comprendere come, con qualche aggiustamento, si possa non dico risolvere ma almeno favorire la situazione.


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In particolare, se - come lei diceva - si tratta di diminuire la pressione per quanto riguarda il numero dei clandestini, dovremmo apportare alcune piccole modifiche. La legge Bossi-Fini prevede un periodo di sei mesi che, come anche lei diceva, in un momento di crisi come l'attuale, è assolutamente insufficiente e questo provoca, quando si perde il lavoro, il paradosso che persone regolari entrano necessariamente - soprattutto se hanno una famiglia, dei bambini - in un'area di clandestinità e di lavoro nero a seguito della perdita del lavoro. Se quel periodo di sei mesi fosse prolungato per un tempo che coincide con quello della crisi, probabilmente consentirebbe un ipotetico reimpiego o l'utilizzo di ammortizzatori sociali anche per queste persone.
La seconda questione è quella relativa al rimpatrio volontario assistito. È evidente che noi dovremmo chiedere di uniformare la nostra normativa alle indicazioni dell'Europa: se si tratta di aiutare una diminuzione di pressione della clandestinità è evidente che non dobbiamo denunciare queste persone, ma accompagnarle al Paese d'origine.
Anche da questo punto di vista, il reato di clandestinità, che ha dato una risposta secondo me un po' demagogica a una domanda irrazionale, si rivela nei fatti controproducente ai fini della soluzione del problema.
Vorrei sapere cosa pensa al riguardo.

PRESIDENTE. Do la parola al nostro ospite per la replica.

OLIVIERO FORTI, Rappresentante della Caritas italiana. Rispetto alla sollecitazione dell'onorevole Bobba circa gli effetti diretti e indiretti rispetto alla Libia, è chiaro che quello che in questa sede vi ho riferito è frutto di interlocuzione con i colleghi che attualmente operano presso questi Paesi e che, per evidenti ragioni, non hanno neanche il polso, come noi vorremmo, della questione dal punto di vista quantitativo. È chiaro che quando ci viene riferito che le carceri sono ampiamente popolate o che il sud della Libia vive forti pressioni si tratta di constatazioni che nascono da un'operatività quotidiana.
Onestamente io non sarei in grado di fornire documentazione o materiale a supporto di queste notizie, che mi sembrava comunque opportuno condividere con voi, essendo noi parte di quel sistema che sta tentando, insieme ai Governi piuttosto che alle ONG, di capire se ci sono possibili soluzioni. Certo, non si tratta di fornire soluzioni dal punto di vista politico, perché non è il nostro mestiere, ma almeno di aiutare i decisori politici a capire se la soluzione può essere quella di spostare a sud la questione, come del resto avvenne negli anni settanta, quando la Germania spostò ai Paesi del Mediterraneo la questione migratoria.
Sono in grado questi Paesi di assicurare il rispetto di diritti fondamentali? Mi riferisco soprattutto a categorie particolarmente vulnerabili, come i richiedenti asilo o protezione umanitaria, che in questi Paesi oggi hanno una chiara difficoltà se non impossibilità a vedersi riconosciuti quelli che per noi sono dei diritti.
Anche con le Nazioni Unite, dunque, si sta valutando se spostare, ad esempio, in questi luoghi le diverse agenzie, per valutare le singole posizioni ed eventualmente trasferire, come sta avvenendo in parte attraverso il sistema del resettlement, in Italia un certo numero di persone.
Sapete bene che le Nazioni unite, insieme al Governo italiano, stanno ragionando sull'ipotesi - è già avvenuto per quanto riguarda il paese di Riace e dovrebbe avvenire prossimamente per il paese di San Lupo, in provincia di Benevento - di spostare «contingenti» (passatemi il termine) di richiedenti asilo da questi Paesi in Italia. Questo è un altro strumento comunitario che potrebbe dare delle risposte nel lungo periodo. Certo, i numeri sono quelli che sono. Si parla di 40-50 persone a fronte della pressione di migliaia di persone.
Infine, per evidenti ragioni si tende a prestare molta attenzione al continente africano, ma noi abbiamo attualmente una grossa pressione migratoria dall'est Europa e dai Balcani. C'è, quindi, quest'altro


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fronte da non sottovalutare, sebbene esso sia meno problematico dal punto di vista delle relazioni internazionali e anche dal punto di vista geografico. Tuttavia, attualmente, tra i Paesi da cui proviene la maggiore pressione migratoria in Italia, si registrano Romania (che peraltro è un Paese comunitario), Albania e Marocco.
Quanto alla questione dei minori e dei comuni che devono farsene carico, non credo che, oltre ai comuni, possa esserci un altro soggetto, a livello nazionale, che sia in grado oggi di prendere in mano questa partita. L'idea è di approntare, come sta tentando di fare il Governo con l'ANCI, un sistema tipo SPRAR, che è quello che, come sapete, è stato implementato negli anni per la protezione di richiedenti asilo e rifugiati. Quindi, si pensa a una rete diffusa su tutto il territorio nazionale.
Attenzione a non gravare su quei piccoli comuni che non riescono, nel lungo periodo, a tirarsi fuori da queste situazioni e poi vengono a chiedere a noi una mano - non lo dico perché non vogliamo lavorare, ma perché siamo i primi a trovarci nei guai. Anche le nostre, però, in quei contesti, sono piccole Caritas. Un conto è parlare della Caritas ambrosiana, altro conto è parlare della Caritas di Canicattì.
Certo, un sistema diffuso ha bisogno di risorse. Peraltro, a nostro avviso, servirebbe anche una riforma normativa che permetta ai ragazzi che entrano in questi percorsi formativi di avere la certezza di un permesso di soggiorno a 18 anni e di non trovarsi nelle condizioni di cadere nell'irregolarità.
Onorevole Gatti, non ho notizie in merito ai rimpatri. Abbiamo purtroppo notizie di atteggiamenti non particolarmente virtuosi da parte delle polizie e dei funzionari di questi altri Paesi, ma su tutti i fronti: dall'articolo 18 anche semplicemente all'invio di rimesse (abbiamo notizie di comportamenti discutibili anche da parte di funzionari bancari). Sul tema specifico dei rimpatri, però, non ho notizie in questo senso.
L'onorevole Delfino mi chiedeva quale impatto abbiano i rimpatri volontari assistiti. Questo è un altro strumento utile, che però sconta il problema legato al pacchetto sicurezza, come dicevo, e che quest'anno, in forma sperimentale, era previsto per 400 posizioni per quanto riguarda l'Italia, all'interno del progetto NIRVA.
Prima che entrasse in vigore il pacchetto sicurezza, ne avevamo rimpatriati, attraverso l'OIM, circa 170-200. Emergeva chiaramente che, di questi, almeno l'80 per cento erano irregolari (quindi si trattava di persone che si avvalevano anche opportunamente di questo strumento). Essendo usciti dal progetto, non saprei riferivi i dati successivi, ma aspettiamo i risultati che ci fornirà l'OIM, per capire che tipo di impatto ha avuto questa misura.
Tuttavia, anche se questo strumento dovesse andare a pieno regime, certamente non è la soluzione, ma è un tassello che aiuterebbe a decomprimere il livello di irregolarità. Comunque - qui permettetemi di fare un piccolo passaggio sociologico - nel progetto migratorio individuale l'obiettivo finale è rimanere in quel Paese. Nei casi in cui il progetto debba fallire al 100 per cento, si opta per questa scelta, altrimenti si tenta fino alla fine di rimanere.
Se nel caso di Rosarno, come diceva l'onorevole poc'anzi, sono tornati addirittura in quei contesti, vuol dire che è più forte la spinta a rimanere che non quella di lasciare. Peraltro, il rimpatrio volontario prevede anche un pocket money per queste persone, che quindi ricevono dei soldi per tornare a casa, sebbene si tratti di una piccola cifra.
Quanto al ricongiungimento familiare e al ritorno in patria, anche su questo non abbiamo dati, anche perché gli effetti della crisi cominciamo a valutarli in questo momento storico. Tali effetti si stanno verificando adesso, perché comunque si è cercato, con i tempi richiesti da questa crisi, di «tirare la carretta». Di fronte al fallimento, alcune Caritas - faccio riferimento a Verona, se non sbaglio, e anche a Bologna - ci hanno comunicato l'esito purtroppo non brillante non tanto di minori ricongiunti, ma di minori addirittura


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nati in Italia che sono ritornati nei Paesi d'origine. In questo caso, lo sradicamento è ancora più forte perché, come sapete, nel nostro sistema la cittadinanza non viene concessa per il fatto di nascere in Italia; quindi, si tratta di minori che hanno la cittadinanza dei genitori e vengono rimandati in patria con tutti i problemi che ne conseguono.
A questo potrei aggiungere una riflessione, anche in risposta all'onorevole Damiano, in merito ai sei mesi. È chiaro che, in un momento di crisi, tutti auspicheremmo che i famosi sei mesi previsti per la ricerca del lavoro (una volta che lo si perde) fossero prolungati almeno a dodici mesi, o addirittura, nella migliore delle ipotesi, finché dura la crisi finanziaria. Questo sarebbe per tutti l'auspicio, tanto più in contesti particolari, come ad esempio - qui pongo un'altra questione che è stata poco trattata, a mio avviso - L'Aquila. Noi ci troviamo adesso a lavorare a L'Aquila, dove tanti migranti, che hanno vissuto il terremoto sulla loro pelle, non hanno beneficiato di alcuna misura a seguito di questo evento catastrofico. Il terremoto è stato un disastro per tutti, italiani e stranieri, ma gli stranieri hanno avuto in più il problema di non poter garantire i requisiti di alloggio (evidentemente le case non ci sono) e lavoro (evidentemente il lavoro non c'è) che avrebbe permesso loro di rimanere su quei territori. Su questo, quindi, un ragionamento più approfondito sarebbe auspicabile.
Infine, onorevole Foti, le do pienamente ragione: il sud sconta, purtroppo, un affanno che riguarda non solo i cittadini stranieri, ma anche e soprattutto i cittadini italiani. Diversamente da quanto lei diceva - non le farà piacere apprenderlo - le nostre Caritas stanno registrando un aumento consistente di utenti italiani. Nel passato questo al sud non si vedeva o si vedeva meno, perché le reti familiari comunque riuscivano a contenere questa area di disagio. Oggi, purtroppo, lo si vede anche al sud, anche se in forme molto più anonime: c'è comunque una dignità che si vuole mantenere e magari si chiama il direttore Caritas al telefono o in altri contesti, per evitare di fare quella fila sgradevole per tutti. In quei contesti, però, impatta ancora più massicciamente quel disagio che è anche degli immigrati. È chiaro che l'irregolarità e la precarietà lavorativa diffusa creano purtroppo quello che hanno creato.
Spero di aver risposto a tutti.

PRESIDENTE. La ringrazio molto. Ovviamente le facciamo i migliori auguri per il lavoro che la Caritas porta avanti, non da oggi, con una grande determinazione e con grande efficacia.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,35.

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