Sulla pubblicità dei lavori:
Bongiorno Giulia, Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SULLO SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO RECANTE DISPOSIZIONI INTEGRATIVE E CORRETTIVE AL DECRETO LEGISLATIVO 6 SETTEMBRE 2011, N. 159, RECANTE CODICE DELLE LEGGI ANTIMAFIA E DELLE MISURE DI PREVENZIONE, NONCHÉ NUOVE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI DOCUMENTAZIONE ANTIMAFIA (ATTO N. 483)
Audizione del Procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, del Prefetto di Palermo, Umberto Postiglione, del Direttore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, Giuseppe Caruso, del Presidente della sezione per le misure di prevenzione del Tribunale di Caltanissetta, Antonio Balsamo, e di rappresentanti dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE):
Bongiorno Giulia, Presidente ... 3 9 15 20 22 23 24
27
Balsamo Antonio, Presidente della sezione per le misure di prevenzione del tribunale di Caltanissetta ... 9
Bonifati Vincenzo, Rappresentante dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE) ... 24
Caruso Giuseppe, Direttore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata ... 20 23
Ferranti Donatella (PD) ... 24
Grasso Pietro, Procuratore nazionale antimafia ... 3
Melis Guido (PD) ... 22
Napoli Angela (FLpTP) ... 22
Postiglione Umberto, Prefetto di Palermo ... 15 23 24
Paolini Luca Rodolfo (LNP) ... 23
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per
la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 13,35.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, recante codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia (atto n. 483), l'audizione del Procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, del Prefetto di Palermo, Umberto Postiglione, del Direttore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, Giuseppe Caruso, del Presidente della sezione per le misure di prevenzione del tribunale di Caltanissetta, Antonio Balsamo, e di rappresentanti dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE).
Nel ringraziare i nostri ospiti, ricordo le modalità di svolgimento delle audizioni, che consistono nell'esposizione della relazione iniziale, seguita da eventuali domande dei nostri commissari; alle stesse potranno seguire risposte immediate ovvero, se si tratta di richieste di dati o altro, da inviare successivamente alla Commissione.
Sono presenti i rappresentanti di quasi tutti i gruppi parlamentari, nonché il relatore del provvedimento, onorevole Angela Napoli.
Do la parola al procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, per lo svolgimento della relazione.
PIETRO GRASSO, Procuratore nazionale antimafia. Ringrazio la Commissione per quest'opportunità che, come ho appreso dalla convocazione, mi consentirà di esprimere opinioni sullo schema di decreto legislativo in questione - atto Governo n. 483 - con la possibilità di ampliare il discorso in maniera più vasta a tutto ciò che concerne il codice antimafia.
In merito al testo del decreto correttivo attualmente all'esame di questa Commissione, si sottopongono alcune questioni che potrebbero portare, a mio avviso, a un ulteriore miglioramento del testo, che già può ricevere parere favorevole per quanto mi riguarda, soprattutto perché anticipa l'entrata in vigore di una serie di norme che erano bloccate dall'entrata in funzione
della banca dati nazionale. Questa, richiedendo un certo tempo, avrebbe rallentato certamente l'entrata in vigore di una serie di norme. Nell'ambito della semplificazione delle attività di documentazione antimafia e di certificazione, quindi, questo è certamente un fatto positivo. Si tratta, dunque, di un sensibile miglioramento del codice delle leggi antimafia.
Io vorrei precisare che l'articolo 4, comma 1, lettera c), dello schema di decreto correttivo modifica l'articolo 91 del decreto legislativo n. 159 del 2011, prevedendo opportunamente che le informazioni antimafia interdittive siano sempre comunicate a una serie di attori istituzionali. Ha, inoltre, ampliato l'ambito di comunicazione (il novero dei soggetti era molto più ristretto), comprendendo ora autorità amministrative, autorità giudiziarie, titolari del potere di proposta in applicazione delle misure di prevenzione.
Ho, però, notato che lo schema di decreto correttivo potrebbe prevedere anche che le comunicazioni dei provvedimenti inibitori siano estese anche alla Direzione nazionale antimafia. Si tratta di un inserimento senza nessun costo: basta aggiungere, infatti, un indirizzo di posta elettronica perché la DNA sia messa a piena conoscenza non solo dell'esistenza, ma anche degli specifici contenuti delle interdittive antimafia anche in questa fase transitoria in cui la banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, alla quale è destinata a collegarsi anche la direzione nazionale antimafia, non è ancora diventata operativa.
Questa soluzione porterebbe dei vantaggi anche per l'esercizio dei poteri di coordinamento demandati alla Direzione nazionale antimafia senza recare un aggravio per la rete delle prefetture. La comunicazione, infatti, può essere effettuata anche per via telematica e alcune prefetture, come quella di L'Aquila, già adesso, in un'apprezzabile logica di leale collaborazione interistituzionale, invia i provvedimenti inibitori antimafia alla DNA.
Un secondo aspetto che dovrebbe essere considerato riguarda un'ulteriore possibilità di agevolare la circolazione delle informazioni, ovviamente quelle non più coperte dal segreto di indagine, tra il sistema giudiziario e quello dell'autorità di pubblica sicurezza, e segnatamente i prefetti. Il vero vulnus del sistema, infatti, è proprio questo: attraverso delle indagini che rimangono riservate e segrete per lungo tempo si acquisiscono una serie di informazioni che sarebbe utile attualizzare attraverso i prefetti nelle loro interdittive, ma si soffre di quest'impossibilità di comunicazione in attesa che si concluda l'indagine giudiziaria.
Nel momento in cui fu varato il codice, l'articolo 84, comma 4, lettera c), che prevedeva che l'esistenza di infiltrazioni mafiose potesse essere desunta anche nei casi di omessa denuncia di episodi concussivi e di estorsione aggravati previsti dall'articolo 7, faceva discendere il divieto di partecipare a gare d'appalto pubbliche proprio qualora ci fosse una situazione del genere e un'omessa denuncia: quest'ultima doveva essere comunicata dai procuratori della Repubblica nel momento del rinvio a giudizio all'autorità per la vigilanza sui contratti pubblici ai fini dell'inserimento nel sito dell'Osservatorio dei contratti pubblici. In questo sistema era predisposto uno strumento che, grazie anche alla realizzazione della banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, avrebbe consentito ai prefetti di avere conoscenza della situazione indiziante in argomento.
Medio tempore, questo collegamento non esiste perché, appunto, manca la banca dati centralizzata, per cui penso che bisognerebbe prevedere un'informativa da parte delle procure della Repubblica di tutti questi episodi altamente significativi e indizianti per potere, eventualmente, emanare, da parte dei prefetti, le relative interdittive.
Oggi, dunque, le prefetture non dispongono di un uno strumento a valenza generale che consenta di acquisire conoscenza dell'esistenza di questa situazione indiziante in argomento nei confronti di imprese - sono i casi più rilevanti - che non abbiano nella propria compagine amministrativa o direzionale soggetti con i
pregiudizi di cui si è detto. Questa situazione potrebbe emergere solo attraverso accurati accertamenti informativi. Oggi, in fondo, il prefetto può svolgere delle ricerche nelle banche dati, accertare se ci sono pregiudizi penali o denunzie, ma certamente non potrebbe accertare queste situazioni.
Il sistema della documentazione antimafia anche dopo la riforma del codice antimafia, malgrado la rilevante novità dell'accesso ai cantieri di cui al decreto legislativo n. 150 del 2010, confluito anch'esso nel codice, pone l'esigenza, a mio avviso, di migliorare e aggiornare la qualità del patrimonio informativo di cui dispongono i prefetti, soprattutto quando si dovrà affrontare quella che io considero la sfida delle white list, il cui utilizzo dopo il decreto-legge n. 70 del 2010 è andato ben oltre l'esperienza dell'Abruzzo o di Expo 2015. Non può immaginarsi, infatti, che superato l'argine delle esigenze connesse al segreto investigativo, permanga una costruzione duale del patrimonio informativo generato di contrasto alla criminalità organizzata, soprattutto quando la nuova frontiera delle infiltrazioni è rappresentata da soggetti fisici e giuridici del tutto invisibili al monitoraggio documentale della
cosiddetta certificazione antimafia.
Questa nuova soglia della minaccia esige che le informazioni di cui dispongono tutte le istituzioni della Repubblica, inclusi gli enti territoriali, le agenzie fiscali, quelle previdenziali e contributive, siano tempestivamente poste a disposizione dei centri di imputazione istituzionale di cui lo Stato dispone, e cioè la magistratura inquirente e il Ministero dell'interno, i quali, ciascuno per le proprie funzioni e i propri compiti, devono realizzare quella sintesi informativa indispensabile all'esercizio delle proprie prerogative.
Si tratta di un compito che, per il versante giurisdizionale, è affidato in maniera esclusiva alla Direzione nazionale antimafia e che, per il versante del Ministero dell'interno, vede nel ministro la sua sintesi politica e istituzionale attraverso l'articolo 118 del codice di procedura penale; è certo, tuttavia, che quelle attualmente esistente è un perimetro normativo insufficiente nel quale con difficoltà ci si muove tra protocolli, accordi. Sarebbe necessario, quindi, un intervento legislativo chiarificatore e coraggioso che completi la geniale e tragica intuizione di Giovanni Falcone di creare questo ufficio centralizzato di coordinamento di tutte le informazioni antimafia che è, appunto, la Direzione nazionale antimafia.
La comunicazione antimafia, cioè l'attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, sospensione o divieto, di cui all'articolo 67, è prevista dall'articolo 84 del codice, il quale tuttavia non è stato modificato al comma secondo, che continua a escludere dalla comunicazione antimafia proprio le misure di natura patrimoniale. L'attuale articolo 67 del codice antimafia, che corrisponde all'articolo 10 della vecchia legge 31 maggio 1965, n. 575, oggi abrogato, limita il suddetto divieto alle sole persone alle quali sia stata applicata con provvedimento definitivo una delle misure di prevenzione previste dal Libro I, Titolo I, capo II, ossia solo le misure di prevenzione personali e non anche quelle patrimoniali previste dal Titolo II.
È un problema di coordinamento tra norme e, viceversa, l'informazione antimafia per la quale assume una valenza ostativa anche il tentativo di infiltrazione mafiosa sembrerebbe prendere in considerazione anche le misure patrimoniali, articolo 84, comma 4, lettera b). Si tratterebbe, quindi, di riportare a identica disciplina le comunicazioni e le informazioni antimafia che hanno una distinzione ben precisa nella legge. Per un mancato raccordo si ha questa discrasia che si può facilmente correggere. Queste sono le osservazioni per quanto riguarda lo schema di decreto legislativo sottoposto al parere e all'esame.
Per quanto riguarda le condizioni generali a proposito del codice antimafia, penso che ci vorrebbe molto tempo per individuare tutto quanto servirebbe perché il codice sia definito tale. In realtà, questa dizione
ha, sostanzialmente, deluso le aspettative degli operatori del diritto perché per codice antimafia si intende solitamente una raccolta esaustiva di norme omogenee tra vecchie e nuove, caratterizzate da semplicità, chiarezza, certezza, assenza di contraddizione e di possibili interpretazioni alternative ai fini pratici di una più agevole conoscenza e consultazione del diritto vigente in relazione a una determinata materia.
Non si può, invece, non rilevare la palese insufficienza già dalla legge delega del 2010, che non ha dato alcuna possibilità di nuove norme in tema di diritto sostanziale e processuale penale, avendo consentito al Governo solo un'attività di ricognizione, armonizzazione e coordinamento. D'altra parte, c'è un'incomprensibile autolimitazione del Governo che, nella pur limitata attività delegata di semplice raccolta e compilazione, ha lasciato fuori dall'impianto codicistico disposizioni di prima rilevanza nel contrasto alle mafie.
Si pensi, per tutte, alle norme sul carcere duro ex articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario, a quelle che regolano lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni e condizionamenti mafiosi, le norme che disciplinano il funzionamento e l'attribuzione al Comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere, l'assenza di disposizioni in materia di collaboratori e testimoni di giustizia, di colloqui a fini investigativi, di quelli previsti dall'articolo 18-bis dell'ordinamento penitenziario finalizzati all'acquisizione di informazioni utili proprio per la prevenzione e la repressione dei delitti di criminalità organizzata.
Così sono rimasti, per esempio, esclusi i delitti di turbata libertà degli incanti, della procedura di scelta del contraente, pur rispettivamente modificato e introdotto con la recente legge n. 136 del 2010, le norme degli agenti sotto copertura, i ritardati arresti e sequestri, le competenze dei prefetti e delle autorità locali in materia amministrativa, l'antiracket, l'antiusura. Personalmente, in un codice antimafia avrei voluto vedere tutto lo strumentario che abbiamo in trent'anni faticosamente costruito e che è distribuito in una serie di norme e di leggi che ho cercato in maniera molto rapida e sintetica di elencare.
In relazione alla scelta dei soggetti che fanno parte del codice antimafia, si sono limitati i soggetti dell'azione antimafia, relegati al Libro III, soltanto al Consiglio generale per la lotta alla criminalità organizzata, alla Direzione investigativa antimafia, alla Direzione nazionale antimafia e alle direzioni distrettuali antimafia, nonché all'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, lasciando fuori dalla ricognizione codicistica le competenze di altri soggetti istituzionali, come i prefetti, il Comitato provinciale e nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica, i servizi centrali e interprovinciali di polizia giudiziaria, ROS, SCICO, SCO, la Commissione del Servizio centrale di protezione dei pentiti, il CASGO (Comitato di coordinamento per l'Alta Sorveglianza delle Grandi opere), di cui abbiamo già parlato in materia di appalti pubblici, il sistema
antiriciclaggio. Tutto ciò non consente agli operatori di diritto di avere contezza della completezza, della straordinaria efficacia anche sotto il profilo amministrativo del sistema antimafia del nostro Paese.
Tuttavia, la parzialità del contenuto del codice appare anche in riferimento a disposizioni e soggetti che sono stati citati. La Direzione nazionale antimafia, ad esempio, è citata come soggetto nel codice antimafia, ma non si rinvengono gli articoli concernenti le attribuzioni e le competenze del procuratore nazionale antimafia e della Direzione nazionale antimafia, di cui agli articoli 371-bis del codice penale e 70, comma 6, dell'ordinamento giudiziario nonché le numerose e spesso misconosciute attribuzioni in materia di gratuito patrocinio, di operazioni sospette, di benefici penitenziari, di misure alternative alla detenzione, di operazioni sotto copertura (tutte le competenze della Direzione nazionale antimafia).
Mi pare che, se qualcuno volesse capire chi è questo soggetto rappresentato dal
codice antimafia con il nome di Direzione nazionale antimafia, non riuscirebbe a rendersi conto di che cosa faccia, di quali siano le sue competenze, che mi parrebbe la prima cosa che doveva essere fatta. Questo, tuttavia, è un discorso molto generale che precede qualcosa di più specifico in relazione alle norme che sono state, comunque, riportate nel codice antimafia sulla prevenzione e sulla documentazione antimafia. Lo chiamerei, dunque, «codice della prevenzione e della documentazione antimafia» anziché «codice delle leggi antimafia».
Io sono stato e sono componente dell'Osservatorio nazionale su confisca, amministrazione e destinazione dei beni e delle aziende, creato proprio per cercare di cominciare, con l'apporto di tutti, delle università, quindi della dottrina, degli operatori del diritto, dei magistrati che operano attivamente, a stilare una sorta di bilancio delle difficoltà operative del codice antimafia, soprattutto per quanto riguarda le misure di prevenzione e tutto quello di cui ci sarebbe variamente bisogno a livello sia di raccordo e coordinamento sia di attività che si potrebbe integrare nel novero delle occasioni perdute.
Si può raccogliere, ad esempio, l'occasione di attribuire al procuratore distrettuale le funzioni di coordinamento tra le diverse autorità proponenti le misure di prevenzione. Noi sentiamo molto l'esigenza di un tale coordinamento, oggi affidato ai buoni rapporti personali e alla responsabilità istituzionale dei diversi titolari del potere di proposta. Si pensi alla proposizione di una richiesta di prevenzione da parte di una procura della Repubblica non distrettuale o di altri organi legittimati, come il questore o il direttore della DIA, quando da parte della procura distrettuale sono ancora in corso indagini sul soggetto proposto da un altro organo, con la duplice conseguenza di una incidenza immediata sull'efficacia delle indagini in corso e di non potersi avvalere in tempo utile dei risultati di quelle indagini.
L'articolo 81, con un'opera ricognitiva dell'articolo 34 della legge 19 marzo 1990, n. 55, ha confermato l'istituzione dei registri delle misure di prevenzione presso ogni procura e tribunale e i previsti obblighi di comunicazione al procuratore della Repubblica competente da parte degli altri titolari della proposta. È noto che la disposizione vigente è stata di recente modificata con la legge 15 luglio 2009, n. 94, al fine di facilitare il coordinamento tra le diverse autorità proponenti per rendere più incisiva l'azione ed evitare la dispersione di risorse. Si è previsto, inoltre, l'obbligo di immediata comunicazione da parte del questore e del direttore della DIA al procuratore distrettuale dei nominativi delle persone fisiche e giuridiche nei cui confronti sono disposti gli accertamenti personali e patrimoniali nonché della proposta da presentare al tribunale competente.
Tutte queste misure, però, non bastano in assenza di un potere decisionale di indirizzo del procuratore distrettuale nel caso di contrasti nell'ambito del distretto o del procuratore nazionale antimafia, tra i proponenti e i titolari di indagine al di fuori del distretto. Si può verificare, infatti, che siano in corso indagini in un altro distretto su soggetti che, invece, sono proposti per le misure di prevenzione addirittura in un altro ufficio. Tutto ciò dovrebbe consentire una sorta di raccordo e chi ha la visione globale delle indagini non può che essere il procuratore distrettuale, che può di volta in volta decidere se mandare avanti la proposta, aspettare l'esito delle indagini, far transitare degli elementi che sono già nelle indagini e possono essere conosciuti nella proposta che sta facendo un altro organo. Mi pare che questa sia una razionalizzazione utile per ottimizzare lo sfruttamento di tutti gli elementi utili per le
proposte di prevenzione.
Per quanto riguarda altri elementi in relazione alla prevenzione, mi riporto alle proposte che sono state già presentate dalla collega Giuliana Merola, frutto del lavoro di quell'Osservatorio di cui parlavo e che condividiamo in massima parte, circa 23 proposte di modifica sia integrative sia correttive.
Siccome, inoltre, abbiamo avuto la possibilità anche di scambiarci informazioni con il presidente alla corte d'assise di Caltanissetta, che ha già predisposto un documento, posso senz'altro riferirmi a quello che prospetterà perché anche queste soluzioni sono condivise da quest'attività di consultazione tra magistratura, università, operatori del diritto, Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati, che partecipa a questi incontri presso l'Osservatorio.
Mi pare utile mettere in risalto il fatto che ci siano dei termini, quelli di un anno e 6 sei mesi, prorogabili di 6 mesi in 6 mesi nel caso di complessità del procedimento di prevenzione per quanto riguarda la confisca, che andrebbero forse non dico aumentati, ma sospesi nel caso di perizie complesse.
È una soluzione, d'altra parte, far decadere completamente, per il passaggio del tempo, il procedimento di confisca che non trova nessun altro esempio nell'ambito del nostro sistema. Se scadono, infatti, i termini di custodia cautelare per un imputato, quello viene scarcerato, ma non per questo non si va più avanti con il procedimento penale. L'effetto sarebbe, invece, in questo caso, quello che la scadenza dei termini farebbe decadere assolutamente il potere di prevenzione, che mi pare assurdo, per cui basterebbe modificare e riportare i termini all'efficacia del sequestro piuttosto che alla procedura, come già indicato in parecchie di queste proposte. È, a mio avviso, importante perché, restituiti i beni per scadenza dei termini di sequestro, si può comunque procedere successivamente alla confisca nel caso in cui i beni siano ancora perseguibili.
Inoltre, sulla gestione delle aziende sequestrate, sicuramente il prefetto Caruso, come direttore dell'Agenzia, potrà meglio approfondire, ma mi pare che dal codice non appaia affrontata la questione che è stata già rappresentata nel rapporto 2011 dell'Agenzia nazionale secondo la quale c'è una rilevante criticità sulla destinazione dei beni confiscati proprio per l'esistenza delle ipoteche.
Certamente, questo è uno dei punti cardine per cercare di sbloccare una serie di beni. Pensate che su 3.470 beni immobili, circa il 43 per cento del totale, corrispondenti a 1.570 unità immobiliari, risultano gravati da ipoteche e, secondo la vigente normativa, sono difficilmente destinabili sia al patrimonio dello Stato sia a quello degli enti territoriali. Le soluzioni potevano essere tante: si poteva cercare di imporre la procedura di riconoscimento della buona fede o prevedere una disciplina transitoria. Oggi per superare questa grave criticità, in mancanza di altre soluzioni a breve termine, si potrebbe superare il vigente dettato legislativo, cioè l'articolo 48 del codice antimafia, consentendo di procedere all'eliminazione delle ipoteche e, detratte le spese necessarie per la gestione delle purgazioni delle ipoteche, cercare di utilizzare le risorse che potrebbero venire dalla soluzione di questa situazione di stallo che blocca dei beni
senza che possano essere utilizzati.
Infine, una grave omissione del legislatore consiste, a mio avviso, nel non aver provveduto a inserire nella competenza gestionale dell'Agenzia tutti gli altri casi di sequestro e confisca penale oltre a quelli di cui all'articolo 51, comma 3-bis del codice di procedura penale, tra i quali i provvedimenti ablatori connessi ai reati indicati nell'articolo 12-sexies della legge 7 agosto 1992, n. 356, soprattutto in considerazione del fatto che tale articolo rinvia, per la gestione e la destinazione dei beni sequestrati, alle norme della legge n. 575 del 1965, oggi abrogata. È un vuoto normativo che, in qualche modo, andrebbe colmato.
Tra l'altro, ormai l'Unione europea collega sempre più la corruzione ai delitti di criminalità organizzata e prevede per entrambe le tipologie di reati un'unica disciplina in materia di sequestro e confisca. Come si evince chiaramente dalla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio in tema di congelamento e confisca dei proventi di reato, i gruppi di criminalità organizzata oggi si dedicano a una moltitudine di attività
criminali transfrontaliere, tra le quali è emerso questo collegamento sempre più stretto tra corruzione e criminalità organizzata. Credo, quindi, che anche il nostro legislatore dovrebbe compiere passi concreti equiparando, quanto meno sotto il profilo patrimoniale, la disciplina dei reati di cui all'articolo 51, comma 3-bis del codice di procedura penale, di competenza dell'Agenzia, a quella dei reati elencati nell'articolo 12-sexies della legge n. 356 del 1992.
Ancora un accenno è a un punto della delega non attuato nella maniera più assoluta, ossia l'esecuzione dei provvedimenti di confisca riguardanti beni localizzati all'estero. Questo è uno dei punti essenziali della nostra strategia di aggressione ai patrimoni mafiosi perché non c'è dubbio che con una repressione molto forte sul territorio nazionale si provochi una fuga verso l'estero degli investimenti e dei profitti illeciti, e quindi l'impossibilità di perseguire i beni provenienti dalla criminalità anche negli altri Stati esteri.
Sotto questo profilo, c'è una carenza da parte del Parlamento in relazione alla mancata attuazione delle decisioni quadro GAI del 2005 e del 6 ottobre 2006 relative, ad esempio, all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca. A me è capitato di andare in Germania, che ha ratificato questa direttiva, e quando ho manifestato i nostri problemi per cercare di eseguirvi i nostri sequestri, mi hanno risposto che non potevamo pretendere la reciprocità non avendo neanche recepito il principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca. Questo è uno dei grossi problemi che incontriamo. Lascio l'illustrazione al contributo scritto che deposito in maniera che si possa approfondire e così guadagnare un po' di tempo.
PRESIDENTE. Ringrazio il procuratore Grasso. Gradiamo moltissimo i contributi scritti perché ho appurato in più di un'occasione che sono utilizzati proficuamente dai nostri commissari.
Darei la parola, visto che è stato appena richiamato dal procuratore Grasso, al presidente della sezione per le misure di prevenzione del tribunale di Caltanissetta, dottor Antonio Balsamo.
ANTONIO BALSAMO, Presidente della sezione per le misure di prevenzione del tribunale di Caltanissetta. Anzitutto rivolgo un sincero ringraziamento alla Commissione, che riprende i fili di un dialogo che si era aperto proprio un anno fa, quando sono stati espressi all'unanimità due pareri molto articolati con riferimento allo schema di decreto legislativo riguardante il codice antimafia. Credo che esprimere quei due pareri all'unanimità sia stato un segnale molto importante dello Stato che si nota negli atti caratterizzati da un maggior tasso di tecnicismo tra quelli, appunto, che nel corso di questa legislatura sono stati prodotti dalle Commissioni parlamentari. Penso che questa possa essere l'occasione per riprendere un tema di vitale importanza non soltanto per la giustizia, ma per gli stessi interessi economici del Paese in questo momento di crisi.
Ho avuto modo adesso di ascoltare la bellissima esposizione del procuratore Grasso e anche in altre occasioni ho ricevuto un'impressione notevole dalle cifre che con la sua attività di coordinamento e di conoscenza ha esposto con riferimento al valore dei beni confiscati o sequestrati nel nostro Paese. Che siano stati sequestrati alla criminalità beni per un valore di circa 40 miliardi di euro è un dato che non trova riscontro in nessun altro Paese dell'Unione europea. È già questo un motivo serio per ritenere che il modello italiano di intervento sul patrimonio sia di riferimento a livello dell'Unione.
Quest'impressione è ulteriormente convalidata dalla lettura di un altro documento, anch'esso approvato quasi all'unanimità pochi mesi fa, ossia la risoluzione del Parlamento europeo sulla criminalità organizzata, in cui si valorizza una serie di strumenti tipicamente italiani, come la confisca senza condanna; si prevede la proposta di una direttiva europea
sulla confisca che è già avvenuta, sulla quale mi soffermerò perché è strettamente legata al tema dell'audizione di oggi; si parla di una legislazione europea sul riuso a fini sociali dei beni confiscati, una serie di temi su cui gli strumenti del nostro ordinamento fungono da funzione leader nel processo di integrazione giuridica europea.
Con riferimento al codice antimafia e alla necessità di una correzione che era già stata evidenziata in modo estremamente puntuale in questi due pareri approvati nello scorso agosto, credo che vada sicuramente valutata in modo positivo questa prima attività svolta in via preliminare dal Governo con il decreto legislativo del 25 maggio. Tra gli aspetti che mi permetto di sottolineare, vi è l'estensione del regime dei controlli ai gruppi europei di interesse economico, alle imprese straniere prive di sede principale o secondaria in Italia e alle società concessionarie di giochi pubblici.
Siccome proprio uno dei settori in cui ci è capitato di effettuare dei sequestri per patrimoni di grande rilevanza economica negli scorsi mesi è stato questo delle società concessionarie di giochi pubblici, credo che sia estremamente importante l'estensione del regime dei controlli, come pure valuto positivamente l'anticipazione dell'entrata in vigore delle norme sulla documentazione antimafia. Il discorso potrebbe continuare ma sono presenti alcuni tra i principali esperti della materia, come Caruso e Postiglione, ai quali lascio una più compiuta valutazione di queste disposizioni.
Quello che, invece, mi permetterei di segnalare, dato che appunto l'oggetto dell'audizione è giustamente più ampio della sola valutazione sul decreto approvato in via preliminare dal Governo, è quanto ancora rimane da fare. Condivido integralmente le valutazioni del procuratore Grasso e in chiave propositiva credo che quattro interventi di valenza strategica possono già da adesso essere inseriti in questo stesso schema di decreto legislativo o in un decreto legislativo analogo e successivo che potrebbe essere approvato in tempi brevi.
Il primo riguarda i termini perentori di efficacia del sequestro della confisca, tema di rilevanza fondamentale. Si tratta di trovare un sistema che concili efficienza e garanzia. Credo che quella previsione di termini perentori, che in sostanza configura un processo breve di prevenzione, sia esattamente un modo per realizzare una quadratura del cerchio al contrario, nel senso che si riesce a conciliare il massimo di inefficacia del sistema con un vistoso deficit di garanzia. Il rischio è di provocare, in alternativa, un approfondimento solo apparente delle questioni sollevate dalla difesa nel procedimento di prevenzione - è chiaro, infatti, che un termine accorciato corrisponde a una possibile valutazione sommaria; d'altro canto, credo che non sia un caso che proprio nei procedimenti di prevenzione patrimoniale, in cui si sono sequestrati beni di grandissimo valore economico, si sia sempre superato questo termine di due anni e mezzo pure in presenza di
un'attività processuale condotta con ritmi molto sostenuti.
Qui si tratta di ricostruire i patrimoni formatisi nel corso di decenni ed è chiaro che l'acquisizione di fonti di prova, specialmente attraverso la perizia, ha bisogno di tempi che vanno a loro volta allungati per la necessità di instaurare il contraddittorio. Se il nostro è un modello valido a livello europeo, è, proprio come secondo la Corte europea dei diritti dell'uomo, perché esiste la possibilità di offrire al proposto un'opportunità di difesa nel pieno contraddittorio davanti a tre gradi di giudizio successivi. Questo non è certamente il principio a cui è ispirato un processo breve di prevenzione.
Credo che su questo sia possibile intervenire già immediatamente con un'interpolazione nel comma 2 dell'articolo 24 del codice antimafia. In realtà, infatti, la legge delega prevede semplicemente una proroga soggetta a una valutazione discrezionale che opera per un
periodo di tempo fisso ed è collegata a due presupposti di carattere generale: l'entità del patrimonio e la complessità del procedimento.
Un istituto ulteriore come una sospensione ex lege, invece, e quindi non oggetto di una valutazione discrezionale, collegata a una specifica necessità istruttoria, che è quella dell'accertamento peritale, e non per un periodo di tempo fisso, ma determinata in concreto in base al periodo necessario per l'espletamento della perizia, probabilmente non incontrerebbe i rigidi limiti della legge delega che, d'altronde, a sua volta resta aperta alla possibilità di estendere al procedimento di prevenzione le cause di sospensione previste per le misure cautelari personali. Sotto questo profilo, quindi, credo che, sia pure con un po' di buona volontà, sarebbe già da adesso possibile risolvere una questione che rischia di far restituire patrimoni di grandissima entità a esponenti mafiosi tra un anno e mezzo o due anni.
Se non abbiamo ancora avvertito gli effetti di questa disposizione, è esclusivamente perché le nuove norme si applicano soltanto ai procedimenti in cui la proposta è stata presentata dopo il 13 ottobre scorso perché questo termine, ovviamente, ancora non può essere decorso. In alternativa, chiaramente, vi è la strada maestra di una nuova legge che modifichi in parte la legge delega, ma credo che, sicuramente, la possibilità di una sospensione ipso iure sia la strada più semplice.
Il secondo tema su cui credo che si possa intervenire immediatamente è quello dell'esecuzione del sequestro. Si tratta di un'innovazione di dubbia compatibilità con la legge delega introdotta dal codice antimafia. Mentre in precedenza l'esecuzione del sequestro era affidata alla polizia giudiziaria con l'ausilio dell'ufficiale giudiziario, adesso i termini sono invertiti perché, appunto, nell'articolo 21 si prevede che l'esecuzione sia compiuta dall'ufficiale giudiziario con l'ausilio, ove occorra, della polizia giudiziaria.
Tra i miei vari cambiamenti di funzione, attualmente sono tornato a svolgere l'attività operativa e ci siamo subito resi conto di cosa accadrebbe se dovessimo comunicare preventivamente agli uffici UNEP (Uffici notificazioni esecuzioni e protesti) un sequestro da eseguire, ad esempio, in cinque regioni diverse. Vi rendete conto che la natura di atto a sorpresa propria del sequestro verrebbe, con ogni probabilità, frustrata in maniera irrimediabile. È chiaro che bisogna ritornare alla precedente previsione del diritto vivente, su cui non c'è alcuna indicazione innovativa nella legge delega. Anche questo sarebbe possibile con una semplice modifica dell'articolo 21, comma 1, del codice.
Il terzo punto che credo sia molto importante e su cui si è soffermato poc'anzi il procuratore Grasso, è quello del potere di coordinamento del procuratore della Repubblica. Su questo, a mio parere, sarebbe sufficiente inserire un quarto comma nell'articolo 17 del codice antimafia, secondo cui al procuratore della Repubblica spettano i poteri di coordinamento in ordine alle indagini e alle proposte relative alle misure di prevenzione patrimoniali. Si tratta di un obiettivo che si può benissimo ricondurre alle finalità della legge delega, la quale parla di coordinamento tra il sistema della prevenzione e quello del processo penale. Credo che neanche in questo caso ci siano problemi di rispetto dei criteri di delega. Lì è una questione assolutamente fondamentale perché si tratta di stabilire un raccordo tra il mondo della repressione penale e quello della prevenzione patrimoniale ed è indispensabile che la cerniera sia
proprio il procuratore incaricato del potere di proposta nel merito delle misure di prevenzione. Addirittura, credo che si tratti di un obiettivo coerente con la piena giurisdizionalizzazione del processo di prevenzione, ormai un procedimento di natura assolutamente non amministrativa, ma con tutti i caratteri del giusto processo.
Credo che esista un ultimo intervento immediatamente realizzabile, molto importante
per quella finalità di destinazione sociale dei beni confiscati che rappresenta una delle caratteristiche più importanti dell'ordinamento italiano, il quale sta stabilendo una funzione di grande credibilità all'estero del nostro sistema perché si tratta, in qualche modo, di collegare l'esigenza della giustizia con le attese della società civile. Su quest'aspetto un pericolo molto forte è insito in una delle previsioni contenute nel nuovo codice che riguarda la restituzione per l'equivalente del valore del bene in caso di revocazione.
Le riflessioni di alcuni rappresentanti di avviso pubblico ci hanno fatto pensare: esiste il rischio che, se un comune a cui è assegnato un bene perché lo destini a finalità sociali si trova sempre la spada di Damocle della restituzione dell'equivalente, quindi con un possibile danno per il proprio bilancio, ne esca fortemente disincentivato tutto il sistema della destinazione dei beni a fini sociali. Probabilmente, anche in questo caso basterebbe una semplice modifica dell'articolo 46, comma 3, del codice, stabilendo che il tribunale determina il valore del bene e ordina il pagamento di una somma ponendola a carico del Fondo unico giustizia senza quella distinzione tra l'ente assegnatario e il Fondo unico giustizia come soggetto onerato che, invece, caratterizza l'attuale formulazione della norma. Su questo credo che ci siano delle forti attese di ambienti extragiudiziari, di cui dobbiamo tenere un grandissimo conto perché non sono in gioco gli
interessi dell'apparato, ma quelli del Paese.
Alcuni aspetti, inoltre, avrebbero bisogno di una meditazione più ampia, ma sono altrettanto importanti. Su questi non penso sia facile intervenire con un decreto correttivo, ma mi permetto di segnalarli ugualmente perché forse questa fase finale della legislatura potrebbe produrre qualche notizia di rilevanza sociale, in direzione dell'accrescimento della capacità di collegare in un circuito di leale collaborazione le diverse istituzioni.
Una serie di profili critici del codice antimafia sono emersi sin dal momento in cui l'abbiamo esaminato per la prima volta e si stanno sempre più presentando nella prassi. Vorrei segnalarvene alcuni su cui credo sia importante aprire un tavolo di confronto aperto agli esperti della materia, alle forze della società civile e con una funzione di sintesi affidata al Ministero della giustizia.
Un tema molto importante è quello dell'incompetenza territoriale e, in generale, della predeterminazione dei criteri di competenza. Abbiamo dei criteri che, in sostanza, risalgono a un periodo in cui il procedimento di prevenzione aveva natura sostanzialmente amministrativa. L'organo proponente era il questore, quindi la competenza era correlativamente assegnata al tribunale del capoluogo di provincia. In questo momento non è più così e l'organo proponente per le misure di prevenzione patrimoniali, che sono la parte più rilevante del nostro lavoro, è il pubblico ministero.
Non ha senso dissociare la competenza dell'organo giudicante rispetto alla competenza dell'organo requirente. Per giunta, questa tematica è suscettibile di generare una serie di incertezza in una fase in cui si parla di soppressione delle province e si collega a un dato estremamente controvertibile, come quello del luogo in cui si manifesta la pericolosità e, quando si tratta di più luoghi, quello in cui la pericolosità si manifesta in via prevalente, secondo l'orientamento della giurisprudenza.
Vi renderete conto dei rischi che sorgono da questa vaghezza dei criteri di determinazione della competenza, soprattutto se collegata al fatto che, secondo la giurisprudenza, si tratta di un'incompetenza rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, quindi anche nel giudizio di cassazione. Su questo occorrerebbe rivedere il sistema di determinazione della competenza del giudice e stabilire dei limiti alla deduzione dell'incompetenza per territorio analoghi a quelli che valgono per il dibattimento penale. Da questo punto di vista, non si vede perché
debba essere più garantito il procedimento di prevenzione rispetto al processo penale. Coglierete, inoltre, la frizione che si provoca rispetto al principio di ragionevole durata del processo.
Altra tematica fondamentale è quella dell'economicità nella gestione dei beni confiscati. Proposte molto interessanti sono provenute, ad esempio, da Confindustria, sulla messa a reddito dei beni confiscati e sequestrati, sulla necessità di utilizzare delle competenze manageriali. Ci sono state anche delle idee che credo vadano riprese, come quella di un'estensione del rating antimafia ai complessi aziendali sottoposti ad amministrazione giudiziaria e un'intera materia su cui occorrerebbe un forte impegno non solo di carattere legislativo, ma anche di carattere organizzativo. Mi limito a segnalare che l'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati, rappresentata qui dal direttore, ha un organico di particolare esiguità a fronte di un'enorme mole di compiti, mentre un ruolo fondamentale dell'Agenzia, a mio parere, potrebbe essere quello di costruire una rete tra le imprese confiscate o sequestrate, che possono benissimo realizzare
un circuito di economia legale, mentre in passato erano inserite in uno di economia illegale.
Ancora un tema che ritengo fondamentale è quello della tutela dei terzi e della liquidazione dei beni. È una disciplina che va integralmente riscritta. In questo periodo spesso ci siamo divisi tra chi preferiva pensare alla vendita e chi alla destinazione sociale come, appunto, finalità ultima del sistema della prevenzione patrimoniale: tra qualche anno rischiamo di non avere più questo dibattito perché non ci sarà più nulla né da vendere né da destinare a fini sociali. Applicando una disciplina che prevede la formazione dello stato passivo per un'impresa attiva, quindi il sorgere di un contenzioso mentre l'impresa è perfettamente in funzione, che prevede la liquidazione della maggior parte del compendio patrimoniale, credo non solo che recheremmo un danno irreversibile, a seconda dei casi, allo Stato o altro proposto - non dimentichiamo che questi beni possono benissimo essere restituiti con un danno
enorme alla fine del procedimento di prevenzione - ma non faremmo neppure gli interessi delle banche, che non credo, a loro volta, siano interessate a riscuotere secondo moneta fallimentare piuttosto che con un serio piano di continuazione dell'attività aziendale. Su questo sarebbe necessaria una riflessione molto forte.
Mi sia consentito aggiungere alcune considerazioni sul tema già anticipato dal procuratore Grasso della materia rimasta del tutto priva di implementazione sul piano dei princìpi di delega: l'esecuzione all'estero dei provvedimenti di sequestro e di confisca. Chiaramente, è un tema su cui sono sensibilissime le istituzioni europee, ma è allo stesso tempo una materia su cui occorre un forte impulso da parte del Parlamento italiano sia perché il nostro sistema rappresenta realmente un modello sul piano dell'efficienza della garanzia sia perché, purtroppo, nella recentissima proposta di direttiva europea riguardante il congelamento e la confisca dei beni, che so essere in corso di esame davanti a questa Commissione, c'è una serie di aspetti critici che rischiano di riflettersi in maniera pesantissima sull'efficacia del nostro sistema rispetto a beni collocati all'estero. È una vocazione che si scontra con sempre
più frequenza nelle organizzazioni criminali italiane anche del sud: qui si deve rispondere con una collaborazione giudiziaria internazionale da parte del nostro ordinamento e dell'intera Unione europea.
Tuttavia, nella proposta di direttiva c'è una serie di previsioni che segnano degli evidenti passi indietro rispetto alla precedente decisione quadro n. 212 del 2005, la quale era molto moderna e non a caso la sua attuazione avrebbe dovuto essere compiuta nel nostro ordinamento con la legge comunitaria 2007, che aveva conferito al Governo una delega sostanzialmente basata sull'elaborazione della Commissione Pisapia, un grosso sforzo di modernizzare il nostro sistema sanzionatorio.
La decisione quadro, tuttavia, non ha ricevuto attuazione per quanto sappiamo in termini di problemi di collaborazione giudiziaria. È chiaro, infatti, che esiste uno stretto legame tra armonizzazione delle legislazioni tra i vari Paesi e cooperazione internazionale. Con la nuova proposta di direttiva si è tornati indietro proprio nel settore cruciale dei poteri estesi di confisca, che vengono incontro a un'esigenza avvertita da tutti gli ordinamenti esposti al rischio della criminalità organizzata, ossia quella di evitare che l'intervento patrimoniale possa essere frustrato dalla difficoltà della prova riguardo alla riconducibilità di un bene a uno specifico reato che forma oggetto del processo penale. È il motivo per cui, in buona sostanza, le forme tradizionali di confisca come l'articolo 240 si sono rivelate assolutamente inefficaci sul piano del contrasto delle basi economiche della criminalità organizzata.
A questo punto, nel nostro sistema sono state introdotte due forme diverse: quelle delle misure di prevenzione patrimoniali, che sono una confisca in rem analoga alle civil forfeitures conosciute negli ordinamenti anglosassoni, e quello dell'articolo 12-sexies del decreto-legge n. 306 del 1992, che è una confisca estesa applicata nel processo penale, e che quindi presuppone una sentenza di condanna.
Le misure di prevenzione patrimoniali si fondano, oltre che sulla sproporzione, sul concetto di frutto del reato, che a sua volta comprende i profitti diretti e indiretti di qualsiasi attività illecita commessa da un soggetto appartenente a organizzazioni mafiose o resosi responsabile di certi delitti che comprendono anche la criminalità dei colletti bianchi. Il 12-sexies, invece, è una norma che fa riferimento a questo criterio probatorio indiziario della sproporzione, che però ha una sua logica e che è stato ritenuto perfettamente coerente con la tutela del diritto di difesa dalla Corte costituzionale e dalla stessa Corte europea dei diritti dell'uomo.
Nel sistema prefigurato dalla proposta di direttiva europea non rientrano né le misure di prevenzione patrimoniali né la confisca estesa ex articolo 12-sexies, due modelli comunque presenti in diversi ordinamenti anche se con una pluralità di qualificazioni giuridiche. Il tipo di confisca estesa che è prefigurato da questa proposta di direttiva, che è la base su cui si costruirà in futuro l'armonizzazione tra i Paesi dell'Unione europea e per la quale si potrà parlare di collaborazione giudiziaria internazionale secondo le forme del mutuo riconoscimento, è un tipo che si riscontrava - è stata, infatti, abrogata - solo nell'ordinamento austriaco. In questo fino a un paio d'anni fa esisteva una norma che consentiva la confisca nel caso in cui il giudice ritenesse più probabile la derivazione del bene da attività criminose analoghe commesse dalla persona condannata per un certo
un reato.
Questo sistema è solo apparentemente garantista ed è assolutamente inefficace. Esso crea un metro di giudizio probabilistico all'opposto del sistema di certezza che, invece, è insito nel nuovo modello di processo al patrimonio quale esce dai pacchetti sicurezza degli anni 2008 e 2009 nell'ordinamento italiano. Per giunta, l'idea di verificare una derivazione da attività criminose analoghe dà luogo a dei parametri assolutamente indeterminati. Nei confronti del soggetto condannato per associazione di tipo mafioso, la turbativa d'asta, ad esempio, o la corruzione sono attività criminose analoghe? Io me lo chiedo.
Le indicazioni presenti nella relazione alla proposta di direttiva europea sulla confisca non illuminano assolutamente sotto questo aspetto (si parla di attività con una pena analoga). È chiaro che la turbativa d'asta ha una pena completamente diversa, per esempio, rispetto alla partecipazione all'associazione mafiosa.
In buona sostanza, diventerebbe impossibile armonizzare le normative europee e produrre, appunto, un'esecuzione dei provvedimenti patrimoniali all'estero proprio su quelle che si sono rivelate le
armi vincenti del nostro ordinamento nel contrasto al potere economico delle organizzazioni criminali. Oltretutto, le ipotesi di confisca non basate sulla condanna prefigurata in questa direttiva europea sono assolutamente marginali. Si fa riferimento ai casi di morte, malattia, fuga, come se si impedisse, per effetto della latitanza, l'esercizio dell'azione penale in Italia, un caso veramente di scuola.
Non parliamo, inoltre, della confisca nei confronti dei terzi, che resta subordinata al fatto che il bene sia stato ceduto a titolo gratuito o in cambio di un importo inferiore al valore di mercato. Finora non mi è mai capitato il caso di un contratto in cui si crea un'interposizione fittizia inserendo un prezzo inferiore al valore di mercato. Finora non è mai successo. Sono sempre perfetti sul piano della corrispondenza tra il prezzo e il valore di mercato.
A questo punto, credo che esistano gli spazi per un atto di impulso da parte del Parlamento italiano, che dovrebbe riuscire ad affermare la credibilità non del nostro sistema, ma di quel diritto europeo dell'intervento patrimoniale effettivamente in via di formazione. C'è, infatti, una sorta di spontanea produzione di forma moderna di confisca analoga a quelle conosciute in Italia in diversi ordinamenti ed esistono già forme molto interessanti di esecuzione all'estero di misure di prevenzione patrimoniali riconosciute ammissibili, come già dal 2003 dalla corte di cassazione francese.
Mi sono permesso, nella parte finale della nota che vi lascio, di indicare un possibile criterio di riformulazione dell'articolo 4 della proposta di direttiva europea. È una proposta che muove dalle stesse indicazioni contenute nella precedente decisione quadro del 2005. Come la decisione quadro era stata un grosso tentativo di agevolare il mutuo riconoscimento in questa materia, credo si possa realizzare un analogo circuito virtuoso in questo momento in cui abbiamo, tra l'altro, lo strumento fondamentale sul piano delle finalità e direi della scelta politica della risoluzione del 25 ottobre 2011 del Parlamento europeo. Sarebbe anche una bella espressione di quel maggiore tasso di democraticità nel processo normativo europeo che si sta verificando per effetto del Trattato di Lisbona.
PRESIDENTE. Ringraziando i nostri ospiti, faccio presente che sono state svolte relazioni estremamente interessanti e ricche di spunti, come quella che anche il presidente Balsamo ci sta lasciando. Ovviamente, saranno a disposizione di tutti i commissari per gli approfondimenti. Credo che siano due contributi davvero preziosi per noi.
Ringraziamo per la sua presenza il procuratore Grasso, che deve assolutamente allontanarsi. Do la parola al prefetto di Palermo, dottor Umberto Postiglione, che ringrazio per essere venuto nella nostra Commissione. Anche il prefetto ha un contributo scritto.
UMBERTO POSTIGLIONE, Prefetto di Palermo. Può essere utile per conservare la memoria delle riflessioni che cercherò di illustrare, incentrate sostanzialmente sulle certificazioni antimafia, su ciò che prevede il codice antimafia e su qualcosa che è previsto dalle modifiche e dalle integrazioni che il disegno di legge propone al codice antimafia.
Devo chiarire che ciò che è previsto dal codice antimafia oggi non è ancora concretamente fatto dalle prefetture perché ci muoviamo ancora sulla base della vecchia legge, il decreto del Presidente della Repubblica 3 giugno 1998, n. 252, in quanto il codice antimafia non è ancora entrato in vigore. Si attendeva, infatti, la realizzazione della banca dati.
Una delle questioni che vorrei porre all'attenzione della Commissione è una sorta di condizione di inferiorità che, rispetto a tutti gli altri strumenti di contrasto alla mafia, la certificazione antimafia, o meglio comunicazione o informazione antimafia, si porta dietro. Mentre, infatti, è chiaro che tutti gli strumenti che servono per il contrasto alla mafia devono incentrare la loro attenzione
sul patrimonio, in materia di comunicazione o informazione antimafia siamo, invece, ancora collegati alle situazioni personali dei singoli soggetti.
Prima dell'approvazione del codice antimafia l'elencazione delle cause di ostatività previste dalla normativa risultava essenzialmente riferita a situazioni e circostanze riconducibili alla responsabilità personale dei destinatari dei provvedimenti prefettizi. Questa situazione non rifletteva i più recenti orientamenti che vogliono al centro dell'attenzione nella lotta alle cosche mafiose il patrimonio che le stesse hanno nel tempo accumulato. Per questo motivo, l'elenco delle cause di ostatività non risultava più in grado di prevenire i sempre più raffinati tentativi di infiltrazione e condizionamento mafioso nella gestione degli appalti pubblici o nell'acquisizione dei pubblici finanziamenti, soprattutto a fronte di tentativi posti in essere da soggetti che sono stati o che rischiano di trovarsi in una situazione ostativa di continuare ad assicurare alle loro imprese la possibilità di ottenere commesse pubbliche attraverso
surrettizie operazioni di pulizia negli assetti societari o costituendo imprese ad hoc intestate a semplici prestanome privi di alcun precedente di rilievo perché le gestiscano fittiziamente nell'interesse dei veri titolari compromessi.
Nella mia esperienza personale esiste il confronto con situazioni in cui i titolari dell'impresa erano dei giovani assolutamente privi sia delle qualità professionali e imprenditoriali sia, a ragionarci, della possibilità di disporre di patrimoni di una certa levatura - non risultavano eredi di nessuno - i quali gestivano imprese del valore intrinseco e per l'attività di decine o centinaia di milioni di euro.
Tutto questo rappresentava e rappresenta un problema ancora oggi per chi si voglia avvicinare alla valutazione della situazione ai fini del rilascio della comunicazione antimafia con un atteggiamento non particolarmente penetrante. L'articolo 84, comma 4, del nuovo codice antimafia, recita che le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa che danno luogo all'adozione dell'informazione antimafia interdittiva sono desunte da una serie di elementi, tra i quali, alla lettera f), annovera le sostituzioni negli organi sociali nella rappresentanza legale della società nonché nella titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie effettuate da chiunque conviva stabilmente con i soggetti destinatari dei provvedimenti.
Ora, non si comprende bene se la sostituzione sia nel senso che il convivente subentra o che il convivente sia il titolare che si fa sostituire in quest'attività. Dal testo non si ricava con precisione e forse sarebbe opportuno andare a chiarirlo. Si parla dei soggetti destinatari dei provvedimenti di cui alla lettera a) e b) dello stesso comma 4 dell'articolo 84, con modalità che, per i tempi in cui sono realizzate, cioè le sostituzioni, il valore economico delle transazioni, il reddito dei soggetti coinvolti nonché le qualità professionali dei subentranti, denotino l'intento di eludere la normativa sulla documentazione antimafia. C'è un accenno al problema che richiamavo, ma stiamo parlando soltanto dei familiari conviventi, nel senso che l'attenzione è incentrata, a quanto pare, sulla famiglia più prossima al nostro soggetto che reca il problema del condizionamento, dell'infiltrazione, del
collegamento alla criminalità organizzata.
Il successivo articolo 85, nell'individuare i soggetti sottoposti alla verifica antimafia, indica, al punto 3, i familiari conviventi dei soggetti indicati nei precedenti commi 1 e 2, che sarebbero i titolari delle attività o coloro che hanno un ruolo sensibile ai fini del rilascio della comunicazione o dell'informazione nella società sulla quale il prefetto sta effettuando gli accertamenti. Sono necessari, quindi, gli accertamenti anche sui familiari conviventi e siamo sempre allo stesso punto: nel caso in cui siano accertate sostituzioni nelle varie posizioni societarie di soggetti conviventi stabilmente con soggetti destinatari di provvedimenti che dispongono la misura cautelare
o il giudizio ovvero che recano una condanna oppure di proposte o provvedimenti di applicazione di taluna delle misure di prevenzione e nel caso che sia accertato che coloro che ricoprono ruoli societari individuati dall'articolo 85 come soggetti sottoposti alla verifica antimafia abbiano familiari conviventi a carico dei quali esistano situazioni di cui al comma 4 dell'articolo 84, sarà emanata una certificazione interdittiva: abbiamo sì allargato lo spettro perché non ci limitiamo più al titolare dell'impresa, ma anche ai familiari conviventi, tuttavia questo non ci pone, di fronte a un'organizzazione che ha sempre dimostrato di avere, ahimè, molta furbizia o intelligenza - io voglio definirla furbizia - assolutamente al riparo da niente.
Questo reticolo di verifiche costituisce un filtro nuovo ed efficace finché esiste tra il soggetto responsabile dell'impresa e il soggetto attraverso il quale può avvenire l'infiltrazione o il condizionamento mafioso un rapporto di parentela e convivenza. Resta fuori da tale filtro il caso del soggetto appartenente alla criminalità organizzata rivelatosi tale anche dopo l'esperienza in uno dei ruoli societari soggetti a controllo in virtù della nuova normativa. Parlo di un soggetto che è stato all'interno di una società e che tempo fa è uscito dalla società perché aveva cominciato ad avere il problema di rappresentare un nesso tra la società e l'associazione mafiosa o di un soggetto che, sapendo che la sua posizione avrebbe potuto far emergere questo collegamento, esce dalla società. Io non ho mai visto né credo che qualcuno possa ipotizzare che un soggetto che fa parte di
un'organizzazione criminale, come la mafia, la camorra, la 'ndrangheta, pur uscendo da una società, termini la sua influenza sulla vita di quella società.
Qual è, dunque, caro presidente, la proposta un po' pesante che avanzo? Se nel corso della vita di un soggetto economico abbiamo la possibilità di intercettare un momento in cui la vita di questo soggetto si incrocia con la vita e con la presenza in uno dei ruoli sensibili nella società di un individuo riconosciuto come appartenente o legato alla criminalità organizzata, quella società non deve avere a che fare con soldi pubblici. Questo è il concetto, a meno che non passi attraverso una fase di gestione da parte dell'autorità giudiziaria, cioè non ci sia una confisca che consenta di ripulire questa benedetta azienda.
Diversamente, non risolveremo mai la questione perché abbiamo a che fare con un mondo che su queste cose ci ragiona ben prima di noi. Scommetto che sono preparatissimi su tutte queste norme prima ancora che entrino in vigore. La mia esperienza è quella della sfacciataggine di soggetti e di loro legali manifestata in occasione di incontri, discussioni, momenti di difficoltà che ho creato loro. Posso garantire che, se non si procederà così e ci limiteremo a guardare soltanto i parenti conviventi, saremo proprio messi male. L'uscita dalla società del veicolo di infiltrazione e di condizionamento è soltanto un espediente del soggetto-veicolo per evitare che arrivino al soggetto economico gli strali del prefetto attraverso il certificato antimafia.
Quanto al dettato del comma 3 dell'articolo 85, secondo il quale bisogna estendere gli accertamenti anche ai parenti dei soggetti di cui ai commi 1 e 2, per i quali sono necessari gli accertamenti, considerata l'ampia giurisprudenza amministrativa che ha consolidato l'orientamento per cui il vincolo di parentela con un soggetto legato alla criminalità organizzata non può di per sé costituire motivazione di una informazione interdittiva, bisognerebbe integrare il testo chiarendo in maniera più esplicita che c'è un'inversione di tendenza limitatamente almeno ai parenti conviventi. Diciamolo nella norma. Diversamente, per i TAR i parenti continueranno a non essere colpevoli. Noi sappiamo, infatti, che i parenti sono assolutamente lontani dai parenti mafiosi, è notorio, eppure così sostengono nelle sentenze.
L'articolo 88 affronta la questione dei termini per il rilascio della comunicazione antimafia. Ovviamente, è congegnato
in relazione all'esistenza della banca dati. Oggi si propone, con il provvedimento integrativo del codice antimafia, di far entrare in vigore il codice senza l'attivazione della banca dati. In ogni caso, parliamo del momento in cui il sistema sarà completato, quindi il dato positivo, da riconnettere all'epoca nella quale sarà possibile utilizzare la banca dati, è che il comma 1 del citato articolo consente il rilascio immediato della comunicazione, previa semplice consultazione della banca dati, qualora il soggetto interessato sia censito e a suo carico non risulti nulla.
Se infatti il soggetto è censito, significa che è stato già radiografato, e, se a suo carico non risulta nulla, la norma consente di rilasciare il certificato antimafia immediatamente. Mi auguro che questo possa essere un caso molto diffuso, perché renderebbe meno oneroso il lavoro degli uffici, evitando di aspettare per molto tempo e di ingolfare le forze dell'ordine con richieste di informazione, che in una Prefettura come la mia sono decine e decine al giorno. Potete quindi immaginare che traffico di carte e soprattutto di richieste di lavoro per le forze dell'ordine parta dall'ufficio della prefettura!
Negli altri casi il prefetto deve rilasciare la comunicazione entro 45 giorni dal ricevimento della richiesta oppure, quando le verifiche disposte siano di particolari complessità, entro questo termine il prefetto ne dà comunicazione a chi ha richiesto il certificato antimafia, e fornisce la comunicazione entro ulteriori 30 giorni.
È una pia aspirazione, ma non sono assolutamente sicuro che allorquando dobbiamo mettere in moto l'attività informativa da parte delle forze dell'ordine si riesca sempre a ottenere le risposte in questi termini, perché bisogna rendersi conto che questa attività non è vissuta dalle questure, dai comandi provinciali dei Carabinieri e dai comandi della Guardia di finanza come un'attività prioritaria rispetto alle altre. Sono convinto che l'attività di questi uffici sia di maggiore impegno su altri fronti.
Noi siamo un fastidio continuo per tutte le forze dell'ordine con queste benedette richieste e sicuramente in ognuna di queste strutture pochi elementi curano queste risposte. Abbiamo ritardi che si accumulano in maniera estremamente consistente, ma la risposta alle nostre richieste di maggiore velocità spesso trova una base di appoggio incontestabile nello stragrande numero di richieste che mandiamo in giro.
Questo avviene soprattutto nei grandi centri afflitti dalla criminalità organizzata (Palermo, Catania, Napoli, Reggio Calabria), quindi sarebbe forse opportuno eliminare soprattutto il secondo termine di 30 giorni e consentire uno spazio, altrimenti possono innestarsi su questo chissà quali riflessioni da parte dei noti studiosi, che ci contrastano quando finiamo davanti al TAR.
L'articolo 91 al comma 5 prevede che il Prefetto competente estenda gli accertamenti ai soggetti che risultano poter determinare in qualsiasi modo le scelte o gli indirizzi dell'impresa. Per quanti sforzi di fantasia abbia fatto, non ho capito di cosa si tratti, cioè chi sia questo soggetto che risulta poter determinare le scelte o gli indirizzi dell'impresa.
Se parliamo di un caso specifico, qualcuno può avere il potere di influenzare le scelte dell'impresa, della società, però mi chiedo come si possa capire a chi il Prefetto debba estendere gli accertamenti. Anche al fine di evitare ampi contenziosi amministrativi, sarebbe opportuno chiarire meglio la fattispecie.
L'articolo 95, che concerne le disposizioni relative ai contratti pubblici, al comma 3 dispone che il prefetto della provincia interessata all'esecuzione dei contratti di cui all'articolo 91, cioè quelli il cui valore sia pari o superiore a quello determinato dalla legge in attuazione delle direttive (sopra ai 5 milioni di euro), sia «tempestivamente informato - altra cosa particolarmente difficile da tradurre in comportamenti concreti, caro
presidente - dalla stazione appaltante della pubblicazione del bando di gara e svolga gli accertamenti preliminari sulle imprese locali, per le quali il rischio di tentativi di infiltrazione mafiosa nel caso di partecipazione è ritenuto maggiore».
Questa norma dispone dunque che la stazione appaltante che faccia un bando per l'affidamento di un lavoro sopra soglia avverta il prefetto inviandogli il bando e che il prefetto effettui gli accertamenti su tutte le imprese che operano nella provincia o nella regione, che potrebbero essere interessate a quel lavoro e nelle quali ci potrebbe essere infiltrazione mafiosa in relazione a questo bando di gara.
Qui stiamo parlando di società che non hanno fatto domanda di partecipare e non si sono aggiudicate il bando: stiamo parlando di una fase che è all'alba della gara d'appalto e si chiede al prefetto di andare a fare accertamenti su quelli che potrebbero partecipare. A me sembra una situazione paradossale, che, confrontata con le nostre capacità e disponibilità operative, diventa quasi insostenibile, quindi lo segnalo.
Parliamo adesso dello schema di decreto legislativo legge recante disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo del 6 settembre 2011, n. 159, che arreca modifiche all'articolo 91 del codice antimafia, prevedendo al punto 4 della lettera c) che dopo il comma 7 dell'articolo 91 vada inserito il comma 7-bis. Sostanzialmente si tratta di quanto prima evidenziato dal procuratore nazionale Grasso, ovvero dell'obbligo da parte della Prefettura di girare la notizia di aver emanato una certificazione interdittiva a una serie di soggetti.
Consentitemi, ma non capisco perché dall'ufficio debba partire questa catena di notizie quando l'elenco dei destinatari è fissato dalla legge e stiamo parlando di un sistema che funziona con una banca dati, che sicuramente è gestita da un sistema elettronico ragionante. Basterebbe prevedere che il prefetto debba comunicare alla banca dati, come già previsto, che è stato emanato un provvedimento interdittivo, e la banca dati automaticamente faccia partire i messaggi per tutti i soggetti collegati.
Mi sembra più semplice di chiedere questa serie di comunicazioni ad apparati che, come posso garantirvi, conservano una loro efficienza, ma i cui organici sono sempre più poveri e soprattutto sempre più avanti nell'età. Se si riesce a trasferire su un sistema informatico delle operazioni che possono essere automatiche, forse è meglio.
Si potrebbe quindi invertire la cosa: il prefetto, che è già tenuto a fornire alla banca dati l'informazione, lo fa, e la banca dati informa gli altri soggetti, inserendo anche la Direzione nazionale antimafia, così come ha chiesto il procuratore Grasso. Questo al fine di evitare un aggravio di lavoro, perché vi posso garantire che gestiamo montagne di pratiche (a Napoli come a Palermo, e immagino che anche Milano sarà subissata per l'Expo).
Vorrei infine rivolgervi una preghiera: ci vuole un po' di attenzione al rapporto che si è venuto ormai a creare (non molto soddisfacente almeno per i prefetti) tra questa attività di rilascio dei documenti antimafia e la giustizia amministrativa.
Sono in difficoltà, ma ne devo parlare per correttezza, anche perché sono stato inseguito da richieste di risarcimento danni milionarie, caro presidente, e tutto si può dire di questo prefetto, eccetto che abbia fatto i soldi, quindi non saprei proprio come risarcire per centinaia di milioni di euro tutti i soggetti convinti che io abbia esagerato, accompagnati in questo convincimento da qualcuno che dovrebbe decidere secondo giustizia.
La procedura per il rilascio della certificazione è esposta quasi inevitabilmente al giudizio della giustizia amministrativa. Devo sottolineare che nel contenzioso amministrativo ormai viene spesso esaltata la necessità che tutti gli elementi assunti a base della valutazione prefettizia siano suffragati da un livello probatorio non dissimile da quello del giudizio penale, tralasciando spesso di dare
il giusto riconoscimento alla funzione di prevenzione attribuita dalla legge alla certificazione antimafia, e conseguentemente al diverso livello di prova richiesto rispetto al giudizio che si svolge dinanzi all'autorità giudiziaria ordinaria.
Il magistrato penale, se deve pronunciarsi su una controversia, lo fa partendo dalle prove e affermando, con la sentenza, sulla base di tali prove, che un certo soggetto è colpevole. Io invece devo esprimere un'opinione quando rilascio questa benedetta certificazione: la mia è un'opinione antimafia, non un certificato antimafia.
PRESIDENTE. Ringrazio il prefetto di Palermo per questa lunga e appassionata relazione.
Do la parola al direttore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, Giuseppe Caruso.
GIUSEPPE CARUSO, Direttore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Ringrazio di questo invito. Nel mio intervento volerò molto più basso di coloro che mi hanno preceduto, perché purtroppo ho l'impressione che questa opportunità che mi viene data sia, se non l'ultima spiaggia, tra le ultime spiagge che ho a disposizione per poter rappresentare le criticità dell'Agenzia e le soluzioni che ho ritenuto di proporre per superarle.
Premetto che l'istituzione dell'Agenzia per i beni confiscati alla criminalità organizzata è stata ed è tuttora a mio giudizio un'intuizione eccellente. Tra l'altro, in questo particolare momento storico, finanziario, economico, è un'opportunità che a mio giudizio il Paese deve sfruttare nel miglior modo possibile. C'è un modo per farlo: occorre solamente, arrivati al momento di fare il tagliando, apportare le modifiche che si ritiene opportuno fare alla luce soprattutto della pubblicazione dei tre regolamenti, che sono stati purtroppo pubblicati il 15 marzo e hanno reso operativa l'Agenzia senza possibilità di apportare le modifiche che in Commissione antimafia avevo proposto di fare per rendere questo organismo molto più agile.
Ritengo che si debba sciogliere innanzitutto un nodo politico, che solo voi potete sciogliere, cioè il problema dell'autofinanziamento. Nell'Agenzia sono previste in organico complessivamente 30 unità e contestualmente si dà la possibilità al direttore, con la collaborazione dei membri del Consiglio direttivo, di aprire altre 6 sedi oltre alla sede principale. Mi sono dovuto fermare alla quinta, quella di Napoli, che è diventata operativa poche settimane fa, per cui attualmente l'Agenzia dispone della totale operatività di 5 sedi, dislocate a Palermo, Reggio Calabria, Napoli, Roma e Milano.
Secondo la normativa, dovrei operare complessivamente con 30 unità. Se volessi utilizzare entro questo anno il budget che mi è stato dato e di cui ho approfittato, potrei utilizzare altre 70 unità, che però il 31 dicembre di quest'anno verrebbero a cessare. Se oltre alle 30 unità previste dall'Agenzia volessi utilizzare ulteriori collaboratori, dovrei autofinanziarmi, e qui arrivo al nodo politico che solo voi potete sciogliere.
Per autofinanziarmi, dovrei mettere a reddito, quindi affittare, non vendere, i singoli cespiti patrimoniali passati a confisca definitiva. Un passo indietro: i cespiti confiscati, che attualmente ho in disponibilità e posso destinare per il quadro esigenziale dello Stato subito dopo gli enti territoriali, devono essere dati privi di criticità.
Una statistica per difetto rappresenta i cespiti in atto destinati in gestione all'Agenzia afflitti da criticità enormi, nell'ordine di circa l'80 per cento di essi. Accennava prima il Procuratore Grasso che circa il 43 per cento è soggetto a ipoteche, mentre molti altri sono quote indivise, occupazioni abusive. Per togliere queste criticità occorrono tempi biblici.
Tornando al discorso di prima, per autofinanziarmi devo mettere a reddito questi cespiti patrimoniali. Attese tutte
queste criticità, metterò a reddito per autofinanziamento quelli più appetibili, e resteranno quelli afflitti da ulteriori criticità che probabilmente nessuno vuole. Viene quindi a cadere la mission dell'Agenzia, che ha due obiettivi: il riutilizzo dei beni confiscati a fini sociali e istituzionali e quello di fare reddito. Questo è dunque il primo nodo che a mio giudizio bisogna sciogliere: non consentire di mettere a reddito i cespiti patrimoniali per autofinanziarmi.
Il secondo problema: vi potrei citare numerosi casi di cespiti immobiliari che non posso dare all'Agenzia del demanio per il quadro esigenziale, che nessun ente territoriale vuole sia perché afflitti da criticità, sia perché materialmente inutilizzabili. Nella relazione illustrativa del 2011 abbiamo parlato di un magazzino all'interno di un ristorante di Napoli, che, pur essendo piccolo, potrebbe essere utile al ristoratore. Questo magazzino è confiscato, a differenza del rimanente locale adibito a ristorante, che invece non lo è, quindi nessun ente territoriale è disponibile a prenderlo.
Oltre al danno, la beffa: su Roma in particolare ci sono ville per le quali abbiamo la confisca sulla metà della proprietà, mentre l'altra metà non è confiscata e magari viene utilizzata dal coniuge o dai figli del prevenuto; non posso venderlo e la beffa è che devo pagare le spese condominiali che gli attuali condomini rifiutano di pagare (magari mi rifarò chissà quando).
Potrei citarvi molti di questi esempi per dire che il secondo problema è la possibilità di ampliare la gamma dei casi in cui, fermo restando in via prioritaria il quadro esigenziale degli enti territoriali, sia possibile considerare i privati, così come è previsto per le aziende. La legge per le aziende mi dice che posso vendere, affittare o liquidare anche a soggetti privati, cosa che non posso fare per questi cespiti singolarmente confiscati.
Non voglio addentrarmi sul valore seppure nominale di questi beni, e tra l'altro, con la pubblicazione dei regolamenti cui facevo cenno prima, l'Agenzia subentra adesso nel coadiuvare il magistrato dalla fase del sequestro fino alla confisca di primo grado, che dobbiamo gestire, e fino alla confisca definitiva, che dobbiamo destinare.
Per questi beni sequestrati e confiscati si parla di un valore seppure nominale di svariati miliardi di euro, vorrei dire una manovra finanziaria. Per fare questo occorre che l'Agenzia sia resa molto più agile nel poter intervenire, gestire, amministrare e destinare questi beni.
Vi faccio un altro piccolo esempio, banale ma concreto, sulle difficoltà in cui ci si imbatte. Il legislatore - il ministro di allora, ovvero Maroni - lo sottolineo - con la brillante intuizione della costituzione di questa Agenzia, con questi nuovi compiti che il nuovo codice antimafia assegna, ha dato un valore che dal Ministero della giustizia è stato stimato come quintuplicato rispetto alla semplice confisca definitiva, che in passato era gestita dall' Agenzia del demanio.
L'Agenzia del demanio prima che subentrasse l'Agenzia per i beni confiscati solo per i beni confiscati (circa un quinto del nostro lavoro), oltre al personale amministrativo e di staff, aveva occupate solo in questo settore circa 70 professionalità, quindi avvocati, commercialisti, agronomi, tributaristi.
Dovrei far fare questo lavoro moltiplicato per 4-5 ma anche per 3 con 30 unità. Il motivo per cui mi sono fermato nell'apertura delle altre due sedi che la legge mi consente di aprire è che per queste 5 sedi ho bisogno solo come personale amministrativo di staff - quello che deve rispondere al telefono, fare le buste paga, calcolare gli straordinari - di 38 unità.
Avrei quindi bisogno almeno di queste 70 professionalità, che non posso prendere con l'autofinanziamento per i motivi prima citati, né - questo è il motivo dell'impedimento per cui in Commissione antimafia avrei voluto che si bloccassero i regolamenti - perché, una volta pubblicati
i regolamenti, devo far rispettare il contratto comparto ministeri, che ha delle notevoli limitazioni.
Per ora, ad esempio, mi sono avvalso quasi esclusivamente di personale delle forze dell'ordine, di qualche elemento dell'Agenzia del demanio e adesso, grazie all'interessamento del Ministero della giustizia, di diversi cancellieri, che fungono da trait d'union con le varie cancellerie dei Tribunali per quanto concerne la fase dei sequestri, delle confische di primo grado e delle confische definitive.
Le forze dell'ordine nel pacchetto sicurezza hanno un contratto che prevede per i dirigenti anche l'erogazione dello straordinario, cosa che il comparto ministeri non ha. Questo significa che i funzionari di polizia che sono venuti e adesso stanno andando via (sono rimasto con 7 unità sulla carta, mentre gli altri per ora sono in posizione di distacco di comando) non solo non ci guadagnano, ma perdono anche lo straordinario. Perdonate la banalità del mio discorso - avevo premesso prima che avrei volato molto basso - ma vorrei farvi capire che è forse l'unica mia occasione, perché altrimenti il 31 dicembre di quest'anno, giorno in cui cadranno tutte le posizioni di distacco e di comando che per ora mi hanno consentito di superare il numero delle 30 unità di cui posso avvalermi per cercare di continuare un discorso che abbiamo avviato con contatti con le Procure e i Tribunali, tutto svanirà se non ci sarà la modifica
legislativa che ho proposto.
Con l'occasione, presidente, vi comunico di aver preparato un documento di sintesi, che non so se lei abbia avuto modo di leggere e che ho trasmesso alla sua attenzione, allegando le proposte di modifiche legislative per renderle ancora più agevoli e non farvi perdere tempo, e ho proposto il testo attuale con a fianco quello da emendare scritto in neretto. Ho fatto fare diverse copie prima di venire, con una lettera formale di trasmissione alla sua attenzione, con cui propongo poche modifiche normative, che a mio giudizio possono rendere molto agile l'operato dell'Agenzia. Soprattutto in relazione al fatto che si tratta di valori seppure nominali (ho accennato prima alle criticità per quanto concerne gli immobili e anche le aziende), posso garantirvi che, facendo un rapporto costo/ricavi, un ulteriore budget rispetto a quello assegnato all'Agenzia ma in maniera fissa, così da poter utilizzare costantemente un numero di collaboratori tale da
consentire all'Agenzia di decollare come merita, potrebbe veramente risolvere il problema, ma soprattutto coniugare le esigenze che devono essere quelle previste dalla norma di riutilizzo a fini sociali e istituzionali dei beni confiscati e, laddove possibile, di fare cassa.
PRESIDENTE. Vorrei fare presente che abbiamo ancora altri ospiti da ascoltare e che le votazioni in Assemblea cominceranno avranno inizio alle 16. Tutti gli auditi hanno lasciato agli atti relazioni particolarmente dettagliate.
Do quindi la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.
ANGELA NAPOLI. Intervengo brevemente, visti i tempi. Per quanto riguarda l'Agenzia, direttore Caruso, lei ha già fatto riferimento ai regolamenti che sono intervenuti. Vorrei chiederle come potremmo intervenire in termini propositivi, visto che i regolamenti sono già in atto. Credo che questo elemento sia importante per la sopravvivenza.
Per quanto riguarda le certificazioni antimafia, signor Prefetto, non ha senso a mio avviso il discorso dei conviventi, per cui vorrei sapere come possiamo essere d'aiuto. Sappiamo infatti che il discorso dei conviventi non serve a nulla, per cui allora eliminiamo la certificazione antimafia.
GUIDO MELIS. Al prefetto Caruso pongo una domanda precisa, che nasce da un caso particolare su cui ho fatto anche un'interrogazione al Ministro dell'interno e che riguarda un paese del nord Sardegna, dove un'impresa palermitana ha
avuto il monopolio dei lavori pubblici, e il titolare di questa impresa, il signor Salvatore Costanza, è oggi sotto processo a Palermo.
Le faccio questa domanda per sapere se questa certificazione antimafia, che è attivata o disattivata in base a un'indagine che si basa su indizi e non richiede una condanna, laddove un'impresa sia sospettata di collusioni con la mafia perché risulta da una serie di indizi al Prefetto, possa essere revocata in corso d'opera qualora questi indizi si rafforzino o addirittura, come nel caso del signor Costanza, il titolare venga processato. Non capisco quindi perché in questo caso non sia avvenuto.
Vorrei comunque sapere se abbiate gli elementi per intervenire in corso d'opera quando in buona fede a una persona che risultava immacolata sia stata erroneamente attribuita una certificazione, se possiate revocarla, se la banca dati vi avvisi tempestivamente e siate in grado di intervenire.
LUCA RODOLFO PAOLINI. Vorrei porre una domanda al Prefetto di Palermo, perché mi ha incuriosito la questione della richiesta del risarcimento danni. Lei ha avuto richieste di risarcimento danni per milioni di euro in quanto esercente un'attività di questo genere ai sensi dell'articolo 2043 o del 2059?
PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.
GIUSEPPE CARUSO, Direttore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Le proposte che ho fatto sono due. L'ideale sarebbe la trasformazione dell'Agenzia nazionale in ente pubblico economico, che mi consentirebbe di operare innanzitutto con strumenti privatistici.
Potrei assumere direttamente le professionalità cui avevo fatto cenno prima (avvocati, commercialisti, ingegneri, architetti, agronomi), in grado di aiutarmi innanzitutto a osservare la legge, laddove si tratta di aziende per le quali abbiamo parlato di valore nominale per svariati miliardi di euro, professionalità che mi possono consentire di affittare, vendere o liquidare, senza il capestro del contratto comparto Ministeri, che sicuramente non invoglia fior di professionisti a venire in Agenzia per lo stipendio previsto.
Ho fatto sempre il ragionamento costi/ricavi e ho anche prospettato la somma da erogare in maniera fissa. Attualmente per queste 30 unità ho un budget fisso di 4.200.000. A fronte di un organico complessivo di 100 unità e fermandomi alle 5 sedi attualmente operative, complessivamente con 10.200.000 euro fissi all'anno potrei gestire questa Agenzia.
Questi altri 6 milioni possono tranquillamente essere prelevati dal Fondo Unico Giustizia (FUG), e grazie a queste professionalità sicuramente miliardi di euro vedrebbero il convogliamento all'interno di questo FUG, dove, come sapete, avviene la ripartizione tra Ministero della giustizia e Ministero dell'interno.
UMBERTO POSTIGLIONE, Prefetto di Palermo. Sono d'accordo con lei che limitare gli accertamenti ai conviventi è assolutamente inutile perché, se uno si vuole schermare, decide di farlo con una persona che apparentemente non è legata da vincoli di parentela o di interesse a chi si deve nascondere.
Ho proposto di inserire una nuova fattispecie, che potremmo chiamare certificazione antimafia: quando è certo che un soggetto si è reso responsabile di un reato di tipo mafioso o nei suoi confronti sono state adottate misure di prevenzione e si sa che questo signore è passato attraverso l'esercizio di una funzione in una società (di quelle determinanti ai fini del rilascio della certificazione per identificare a carico di chi viene rilasciata), sia esso socio, presidente o anche sindaco, quella società deve essere cancellata non dal mondo del diritto, ma dai rapporti con la pubblica amministrazione, finché con un procedimento davanti all'autorità
giudiziaria non sia riconosciuta pulita o non passi attraverso la nomina di un amministratore giudiziario.
Questo è l'unico rimedio a cui sono riuscito a pensare, non ce ne sono altri. Per quanto riguarda questa faccenda, onorevole Melis, se noi siamo informati e riusciamo a capire che un soggetto per il quale abbiamo rilasciato una certificazione di contenuto negativo che consente di lavorare viene coinvolto in vicende di carattere mafioso, che ci imponga di modificare il contenuto della certificazione, possiamo farlo e lo facciamo quando ce ne accorgiamo.
Oggi non c'è la banca dati, quindi non riusciamo ad avere evidenziati questi casi. Vorrei capire se questo signor Costanza lavori in Sardegna e abbia avuto una certificazione antimafia da noi.
Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Paolini, in base al nuovo processo amministrativo è possibile chiedere il risarcimento del danno. Attraverso questo meccanismo lo chiedono costantemente quando con una certificazione interdittiva li escludiamo dalle gare d'appalto e, poiché le gare sono talvolta anche per importi imponenti, può capitare di essere citati davanti al TAR per il risarcimento del danno.
DONATELLA FERRANTI. Vorrei veramente ringraziare per l'opportunità che ci è stata data oggi di acquisire queste intense argomentazioni.
Con riferimento alla domanda posta dall'onorevole Melis e alla risposta del prefetto, vorrei segnalare che lei ha fatto giustamente riferimento alla circostanza che ci sia l'informativa da parte delle autorità giudiziarie; oggi il procuratore Grasso, tra i diversi suggerimenti proposti, ha fatto riferimento alla necessità che, soprattutto in attesa dell'attuazione della banca dati, ci sia una circolazione di informazioni verso le Prefetture da parte delle agenzie territoriali e dell'autorità giudiziaria, che consenta di acquisire questo patrimonio di conoscenze.
Vorrei conoscere la sua opinione in merito, ma credo che la risposta sia scontata.
UMBERTO POSTIGLIONE, Prefetto di Palermo. Sono perfettamente d'accordo con il procuratore Grasso e le dirò che senza avere suggerimenti ho già attivato un circuito di questo tipo con la Procura di Palermo, ricavando ampie soddisfazioni anche da lettere di ringraziamento che il Procuratore mi ha fatto pervenire per le segnalazioni che gli ho fatto e le indicazioni che hanno consentito di attivare azioni sul territorio, delle quali le posso raccontare in un altro momento.
PRESIDENTE. Ringrazio il prefetto di Palermo, Umberto Postiglione, il prefetto e direttore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, Giuseppe Caruso, il presidente Antonio Balsamo, che avremo qui anche nella prossima seduta.
Sono presenti i rappresentanti dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE), che ringrazio per essere presenti: l'ingegnere Vincenzo Bonifati, la dottoressa Franca Cappelli, il dottor Flavio Monosilio e la dottoressa Stefania Di Vecchio.
Purtroppo l'audizione precedente si è prolungata oltre i termini che avevamo previsto, quindi rivolgo l'unica preghiera di svolgere una relazione molto breve, anche perché è stato consegnato agli atti un documento che consentirà di trarre spunti per approfondire.
Do la parola ai rappresentanti dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE).
VINCENZO BONIFATI, Rappresentante dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE). Grazie, presidente. Siamo qui per dare la nostra indicazione. L'ANCE condivide pienamente la principale finalità che si vuole perseguire con il decreto legislativo in oggetto, che è quella di consentire l'immediata entrata in vigore delle
norme del Libro II del codice delle leggi antimafia in materia di certificazione antimafia.
Non risulta infatti comprensibile la ratio che era alla base di un rinvio così lungo della nuova normativa (2 anni dall'entrata in vigore dei regolamenti), tanto più che la nuova disciplina in materia di certificazione antimafia contenuta nel codice appare più completa dal punto di vista della tutela contro le infiltrazioni malavitose e semplificatoria dal punto di vista delle procedure.
Risultano apprezzabili, anche sotto il profilo della semplificazione delle procedure e degli oneri gravanti sulle imprese, le disposizioni che tendono ad adeguare la disciplina delle certificazioni ai princìpi della cosiddetta «decertificazione». Ci si riferisce alla soppressione delle previsioni che consentono al privato di richiedere la documentazione antimafia e alla conferma del principio dell'acquisizione d'ufficio da parte delle amministrazioni aggiudicatrici concessionarie e contraenti generali.
Con il nuovo provvedimento, tuttavia, vengono ricomprese tra le fattispecie dalle quali il Prefetto può desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa anche le violazioni agli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari derivanti da appalti pubblici, commesse con la condizione della reiterazione.
Nel condividere l'impostazione generale della disposizione, si osserva che la dizione contenuta nell'articolo 4 dello schema di decreto, che introduce la modifica al comma 6 dell'articolo 91 del codice, appare troppo generica. Gli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari previsti dall'articolo 3 della legge n. 136 del 2010 non hanno infatti tutti la medesima rilevanza, tant'è che l'articolo 6 della stessa legge prevede le sanzioni pecuniarie di tipo amministrativo per le violazioni di tali obblighi, graduandole secondo la gravità.
Occorrerebbe allora indicare con maggiore precisione quali violazioni, se reiterate, possano costituire indizio di infiltrazione malavitosa, limitando l'indicazione a quelle considerate dalla legge più gravi (transazioni finanziarie effettuate senza avvalersi di banche o società Poste italiane, ovvero effettuate con strumenti di pagamento non idonei). Questo è un punto importante, presidente, perché non c'è una graduazione: qualsiasi tipo di infrazione in tal senso sarebbe indicatore di infiltrazione malavitosa.
È anche apprezzabile l'informativa che viene fatta all'Autorità di vigilanza per i contratti pubblici, quindi la modifica contenuta all'articolo 4, comma 4, dello schema di decreto, che prevede l'introduzione di un comma 7-bis all'articolo 91, laddove prevede la trasmissione diretta in via telematica dell'informazione interdittiva all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici indipendentemente dall'accesso ai cantieri, come nel testo precedentemente scritto. Ciò in quanto consente di completare le notizie che le amministrazioni appaltanti possono reperire sulla banca dati nazionale dei contratti pubblici, ai fini della gestione delle gare d'appalto.
Le informazioni atipiche sono un argomento per noi estremamente importante. Una disposizione che preoccupa fortemente l'ANCE riguarda la reintroduzione delle cosiddette «informazioni atipiche». Viene infatti escluso dal novero delle disposizioni che cessano di trovare applicazione con l'entrata in vigore di tutte le norme del Libro II l'articolo 1-septies del decreto-legge n.629 del 6 settembre 1982, che consente ai prefetti di comunicare alle amministrazioni elementi di fatto e altre indicazioni utili alla valutazione, di cui le amministrazioni stesse possono tenere conto nell'emanare provvedimenti di carattere discrezionale.
Si richiama l'attenzione sulla delicatezza dell'istituto delle informazioni atipiche, che per propria natura si basano su elementi puramente indiziari, prescindendo dalla sussistenza di un quadro completo e significativo, dal quale possa dedursi con ogni logica conseguenza il tentativo di ingerenza della criminalità organizzata, elemento che invece deve caratterizzare le informazioni tipiche.
Il punto debole dell'istituto sta proprio nel rimettere alle amministrazioni procedenti decisioni delicate e impegnative quali l'esclusione di un'impresa dalle gare o la rescissione di un contratto sulla base di elementi che non hanno consentito neppure alle autorità di pubblica sicurezza un giudizio completo, altrimenti sarebbe stata emessa un'informazione interdittiva e quindi tipica.
In tali circostanze le amministrazioni, che sono di regola sensibili alle comunicazioni della prefettura, normalmente procedono all'esclusione dalla gara o alla rescissione dei contratti sulla base di semplici elementi indiziari, per di più spesso legati a fatti risalenti nel tempo, ovvero relativi ad altre imprese con le quali il soggetto interessato si è associato o è stato associato.
È evidente che si tratta di un istituto che non presenta sufficienti garanzie per gli operatori economici che ne siano oggetto e che per di più si dimostra totalmente inefficace rispetto all'obiettivo di proteggere le imprese dalla penetrazione dalla malavita organizzata. In definitiva, con tale istituto si verifica uno scarico di responsabilità da parte delle autorità di pubblica sicurezza, che avrebbero gli strumenti per approfondire le indagini sulle amministrazioni aggiudicatrici, che viceversa ne sono del tutto prive, con la conseguenza, nella situazione di incertezza che si verifica, di una paralisi dell'operatività delle amministrazioni stesse.
Come si vede, si tratta di un sistema in cui non è garantita alcuna certezza agli operatori economici, né rispetto all'azione dell'amministrazione procedente, né rispetto ai reali pericoli di venire in contatto con le organizzazioni di stampo mafioso.
Per le considerazioni esposte, si richiede di modificare l'articolo 9, comma 1, lettera b) dello schema di decreto legislativo, reintroducendo l'articolo 1-septies della legge n.629 del 1982 tra le disposizioni abrogate dalla data di entrata in vigore definitiva del codice delle leggi antimafia.
Cogliamo l'occasione per ribadire la convinzione che l'unico strumento veramente efficace ai fini di tutelare le imprese di costruzioni nei confronti della criminalità organizzata sia l'istituzione di elenchi presso le Prefetture di fornitori e prestatori di servizi non soggetti al rischio di inquinamento mafioso, ai quali possano rivolgersi esecutori di lavori, servizi e forniture, per l'individuazione dei propri subcontraenti.
Le imprese che rappresentiamo attribuiscono grande importanza alla creazione di tali elenchi, in quanto costituirebbero validi strumenti per proteggersi dalle infiltrazioni criminali nel momento in cui sono alla ricerca dei propri partner commerciali. Poterli scegliere in una lista controllata dalle Prefetture darebbe alle imprese la sicurezza di evitare contatti con soggetti esposti alle pressioni delle organizzazioni criminali o di venirne essi stessi contagiati. In tal modo, si rafforzerebbe nelle imprese la fiducia nella protezione dello Stato, che darebbe loro la necessaria tranquillità per svolgere le proprie attività economiche.
Perché lo strumento degli elenchi sia veramente efficace riteniamo necessarie alcune condizioni. In primo luogo le liste dovrebbero essere previste solo per quelle attività che, secondo la comune esperienza, sono maggiormente esposte al rischio di infiltrazione della criminalità organizzata, e in questo senso le attività già individuate nella direttiva del Ministero dell'interno del 23 giugno 2010, nonché nei regolamenti attuativi delle normative sulla ricostruzione in Abruzzo e sui lavori dell'Expo di Milano 2015, che si pongono a valle dell'aggiudicazione degli appalti per la realizzazione di opere pubbliche, tra le quali tutte quelle legate al ciclo del calcestruzzo e degli inerti, i cottimi e i noli a caldo e freddo, lo smaltimento in discarica dei residui di lavorazione, l'attività di cave.
In tal modo l'attività delle prefetture sarebbe concentrata su un numero limitato di imprese, le più a rischio, facilmente
identificabili per il loro legame con il territorio, e sarebbe perciò particolarmente efficace.
In secondo luogo, la norma istitutiva delle cosiddette white list dovrebbe individuare in modo preciso le modalità del controllo da parte delle Prefetture, il contenuto della verifica e la periodicità della stessa, e soprattutto le conseguenze derivanti dall'esito negativo degli accertamenti consistenti nell'esclusione dagli elenchi.
Ribadiamo che la norma dovrebbe prevedere l'obbligatorietà dell'iscrizione negli elenchi ai fini dell'esercizio dell'attività stessa. Questo elemento appare particolarmente importante, perché l'esperienza relativa alle previsioni legislative di white list non obbligatorie ma facoltative, in particolare quella concernente la ricostruzione in Abruzzo, non ha prodotto risultati significativi.
Inoltre l'obbligatorietà dell'iscrizione agli elenchi per l'esercizio di attività, che comunque sono già sottoposte a provvedimenti di tipo autorizzativo dell'amministrazione per altri aspetti come quelli ambientali, avrebbe come conseguenza quella di evitare un doppio regime fra appalti pubblici, per i quali l'appaltatore potrebbe scegliere i propri subcontraenti nelle liste controllate dalla Prefettura, e appalti privati, per i quali l'appaltatore non avrebbe alcuna garanzia sotto il profilo dell'assenza di penetrazione malavitosa nella scelta dei propri contraenti.
Ricordo che gli appalti pubblici rappresentano meno del 20 per cento del fatturato complessivo dell'edilizia nel nostro Paese, mentre le opere private sono oltre l'82 per cento, quindi escludere la parte privata nel settore dell'edilizia significa lasciare alla mercé della criminalità organizzata delle attività molto rilevanti.
PRESIDENTE. Nel ringraziare la delegazione dell'ANCE, dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15,55.