Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE - ANALISI ANNUALE DELLA CRESCITA PER IL 2012 E RELATIVI ALLEGATI (COM(2011)815 DEFINITIVO)
Audizione del professor Giulio Sapelli, ordinario di economia politica e storia economica dell'Università di Milano:
Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3 9 11 16
Cambursano Renato (Misto) ... 9 15
Ciccanti Amedeo (UdCpTP) ... 9 10
D'Amico Claudio (LNP) ... 10 13
Duilio Lino (PD) ... 10
Sapelli Giulio, Professore ordinario di economia politica e storia economica dell'Università di Milano ... 3 10 11 13 15
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo
Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 15,20.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame della comunicazione della Commissione - Analisi annuale della crescita per il 2012 e relativi allegati (COM(2011)815 definitivo), l'audizione del professor Giulio Sapelli, ordinario di economia politica e storia economica dell'Università di Milano.
Stiamo concludendo questa indagine sull'Analisi annuale della crescita nell'ambito del semestre europeo, abbiamo ascoltato tantissimi testimoni qualificati istituzionali e anche soggetti esterni, oltre che accademici, per respirare un po' di «aria fresca» rispetto ai consueti dibattiti politici che si consumano in queste stanze, rischiando alla fine di dirci sempre le stesse cose.
Il suo contributo, in qualità di professore di economia politica e storia economica, è, dunque, particolarmente gradito per avere qualche suggerimento sul tema della crescita.
Do quindi la parola al professor Giulio Sapelli.
GIULIO SAPELLI, Professore ordinario di economia politica e storia economica dell'Università di Milano. Innanzitutto ringrazio l'onorevole Presidente e gli onorevoli deputati per avermi invitato. È un grande onore essere qui e cercherò di darvi il mio punto di vista.
Ho letto con attenzione l'infinito elenco di questioni che la Commissione ha predisposto, ma non l'ho seguirò nell'esposizione, perché altrimenti dovrei parlare per alcune ore, e anche se avessi ritenuto di rispondervi con una memoria scritta questa sarebbe stata troppo lunga dal momento che sono affetto da grafomania, come testimonia la mia bibliografia, che è molto più vasta di quanto si possa immaginare.
Preferisco quindi parlare a braccio. All'inizio cercherò di seguire le linee che la Commissione mi ha indicato e di dire cosa penso di questo tema della crescita con dei brevi punti, e poi sarò lieto di rispondere alle loro domande.
Come loro sanno molto meglio di me perché lo avranno già appreso dalle illustri personalità che mi hanno preceduto, l'Italia non cresce da circa quindici anni. È uno dei pochissimi Paesi al mondo che si è fermato dopo la grande ondata della crescita che si verificò e illuse molto, l'ondata del quindicennio della cosiddetta new economy, quando abbiamo avuto un aumento della produttività del lavoro che andava alle stelle soprattutto per l'intervento di una nuova tecnologia che riduceva
i costi di transazione, l'information technology.
Questo indusse addirittura alcuni economisti - annidati soprattutto nell'università meno qualificata d'Italia ma più fumosa, l'Università Bocconi - ad affermare che il capitalismo non avrebbe più avuto ciclicità.
I vecchi economisti come me, allievi di Minsky, Schumpeter e Kalecki, tutti economisti che ormai non si leggono più ma che erano nella biblioteca di Raffaele Mattioli, che li leggeva con attenzione, e quindi appartenevano anche alla lista dei libri che non poteva permettersi perché il suo stipendio gli impediva di comprare dei libri antichi, mentre oggi invece i manager comprano le isole - e questo ha dei riferimenti sulla crescita, come dirò dopo -, sono invece convinti che la crescita, così come era stata determinata da una grande ondata di innovazioni tecnologiche, cui aveva fatto seguito un inusitato aumento del commercio mondiale, a un certo punto avrebbe dovuto interrompersi.
Infatti, nel 1988, un anno prima del crollo dell'impero sovietico, era avvenuto qualcosa che era sfuggito alla maggioranza degli osservatori. In primo luogo, a livello internazionale, c'era stata una sorta di deregolamentazione definitiva degli intermediari finanziari, che parte dagli Stati Uniti, si creano le cosiddette shadow bank e shadow pool, in cui si possono vendere, da parte degli intermediari finanziari, strumenti che sono presentati come assicurazioni sul rischio di debito o di indebitamento - i cosiddetti derivati, plain vanilla, Credit default swap - da cui dipendono anche - cosa veramente paradossale - i titoli di Stato di tutti gli Stati, cosa mai accaduta al mondo, anche perché in tutto il mondo ormai i titoli di Stato vengono venduti non più dalle banche centrali, ma - udite udite! - da consorzi di banche private.
Questo mette in discussione uno dei principali fondamenti di creazione dei monopoli dello Stato che, come loro sanno, sono battere moneta, imporre la legge, e l'esazione fiscale.
Inoltre, è successo che si sono create le banche universali, facendo venire meno la configurazione che le banche avevano assunto dopo il 1929, che prevedeva la grande separazione tra banche di investimento e banche commerciali. Il Glass-Steagall Act viene abbandonato negli Stati Uniti d'America e in Italia viene adottata la legge Amato, che - come quasi tutto quello che ha fatto il mio amico Amato - ha avuto effetti devastanti per l'economia e per la democrazia. Questa legge ha dato origine alle fondazioni bancarie. Quindi, se volete avere una traccia delle cose che hanno inciso profondamente e negativamente nel nostro Paese, seguite quello che ha fatto il mio vecchio amico, professor Amato, e le troverete.
L'unificazione delle banche realizzata nel 1936 viene, quindi, abolita, ma c'è qualcosa di più: adesso le nuove banche di investimento usano come leva di rischio non solo i soldi degli investitori più informati, quindi con meno asimmetria informativa - anche se loro sanno che l'asimmetria informativa che c'è tra un depositante o anche un consigliere di amministrazione e un manager è elevatissima e si può solo porre un potere di veto, imponendo di non comprare determinati prodotti finanziari - ma soprattutto i soldi dei depositanti, soldi che la «signora Gina» ha messo in banca per sicurezza.
Questo naturalmente ha avuto conseguenze devastanti, che cominciano con la crisi tailandese del 1997 e durano fino ad oggi. Il fatto che la crisi finanziaria sia iniziata nel 2008 è una menzogna: la crisi è iniziata alla fine degli anni '90 in tutto il mondo. Nel 2008 abbiamo avuto uno dei picchi della crisi, come il fallimento della Lehman Brothers, ma queste armi di distruzione di massa continuano a esistere.
Questa è una delle facce della mancata crescita, e non dico nulla sulle misure che alcuni vogliono adottare, le più importanti delle quali sono quella di Lord King in Inghilterra e del dottor Volcker, l'ex Presidente della Federal Reserve.
La crescita non c'è stata principalmente perché c'è stata contestualmente la crisi industriale, di sovracapacità produttiva.
Così in questi ultimi venti anni la ricchezza si è spostata dal profitto capitalistico alla rendita finanziaria e dal lavoro al capitale. Questo ha avuto conseguenze devastanti, perché i mercati interni, invece di ampliarsi, si sono ristretti, soprattutto nei Paesi che avrebbero dovuto essere gli El Dorado delle esportazioni - Brasile, Russia, India e Cina - che non sono cresciuti come si pensava.
Penso, in particolare, a Brasile e India; personalmente, infatti, non credo al miracolo cinese. Credo che la Cina sia un sistema comunista e che, come tutti i sistemi comunisti, quando avrà finito il periodo della crescita fondato sui beni strutturali, esploderà, quindi il futuro del mondo sarà improntato non alla crescita della Cina, ma ai problemi che il crollo della Cina creerà al mondo.
In questo contesto, l'Italia si colloca in una situazione devastante, perché, onorevoli deputati, guardando ad alcuni andamenti statistici si rileva come, oltre a essere un Paese che non cresce, siamo l'unico Paese al mondo che dal 1995 al 2007 - dico questo perché abbiamo delle cifre esatte - non ha diminuito il carico fiscale sulle imprese e sul lavoro, e dove anzi le tasse sono aumentate.
La teoria della crescita economica critica un sistema con più del 35 per cento di tassazione sul lavoro produttivo, non sulle rendite personali - a tale riguardo sento dire tante inesattezze perché ormai l'ignoranza è al Governo oltre che sui giornali - e si citano i Paesi scandinavi, che però avevano alte tassazioni sul reddito personale, non sulle imprese. Molti citano Ingmar Bergman, che però è andato via perché tassavano lui, non la sua impresa cinematografica. Questi Paesi avevano un sistema di welfare non di tipo sussidiario, comunitaristico, ma di tipo statalistico, che però funzionava senza eccessiva tassazione.
In altri termini, un primo problema è rappresentato dall'eccessiva tassazione e poi c'è questa sventura dell'euro, di cui hanno trattato gli economisti americani, miei vecchi amici, come Paul Krugman, Nouriel Roubini, (non parlo di Summers e degli altri che secondo me capiscono poco). Insegnando a New York feci una serie di conferenze intitolate «Può esistere una moneta senza Stato?». Si trattava di un bell'interrogativo, perché nella storia del mondo non era mai stata creata una moneta prima dello Stato, in quanto generalmente le monete crescono per affermare il potere dello Stato.
Come loro sanno, l'euro fu un'invenzione politica di Mitterrand e Andreotti, uomini che temevano la creazione di uno Stato con 80 milioni di tedeschi nel cuore dell'Europa, davanti a un gigante politico come Kohl, rispetto al quale con la signora Merkel c'è la stessa differenza che esiste tra l'aquila e le galline, per citare una frase di Rosa Luxemburg, grande rivoluzionaria martire, uccisa dai nazionalisti tedeschi.
Kohl voleva che non ci fossero tedeschi di serie A e di serie B e affermò che, unificando il marco, il cambio dovesse essere uno a uno, non uno a due, per cui Mitterrand e Andreotti inventarono l'euro, che avrebbe dovuto, con una morsa di ferro, moderare la crescita tedesca. Poiché però di economia non ne sapevano molto - e neanche il banchiere centrale italiano di allora, il dottor Ciampi - dimenticarono di guardare lo Statuto della Banca centrale europea.
Se infatti si intendeva creare uno Stato federale, questa doveva essere una banca che avesse uno statuto tipico delle banche federali, come la Federal Reserve, e che, quindi, dato che unificava economie diverse, doveva porsi come obiettivo non la stabilità dei prezzi, ma anche la crescita, obiettivo che è tipico di tutte le banche federali del mondo.
Crearono, invece, una banca che è la copia della Bundesbank. Insomma nel '900 i tedeschi hanno perso tutte le guerre, ma hanno vinto tutte le paci. Anche questa volta, quindi, i tedeschi hanno vinto la pace. Appena la crescita mondiale si è attenuata, le disparità sono venute fuori. Non riuscivamo a seguire la produttività tedesca in quanto il modello tedesco è il miglior modello al mondo, perché ha alta produttività, alta coesione sociale, unità
sindacale, cogestione con operai e sindacati, economia mista - infatti, i tedeschi non hanno stupidamente seguito come noi la liberalizzazione e lo smantellamento totale di tale economia - e soprattutto complementarietà tra piccola e media impresa, micro impresa e artigianato e alcune grandi imprese che danno macro impulsi alla crescita. Ma soprattutto sanno che non c'è alcun rapporto tra debito pubblico e crescita.
Il Professor Monti, infatti che si è laureato nel 1965, e nel 1969 era già ordinario di economia politica - e non ha potuto, quindi, dedicare ai suoi studi un tempo elevatissimo avendo ottenuto la cattedra in quattro anni - dovrebbe infatti rendersi conto che il Giappone con il 280 per cento di debito pubblico non dovrebbe neppure esistere sulla base di certi principi! Certo, è un Paese in stagnazione da quindici anni, perché cresce solo del 3-4 per cento, mentre qui ci si concentra quotidianamente solo sul debito. Il problema è che è il deficit che conta, e noi, invece, sul deficit siamo messi molto bene, come loro sanno.
Basterebbe il 10 per cento di inflazione per liberarci dal debito pubblico. Come siamo usciti dai debiti pubblici delle due guerre? Con l'inflazione, che, se non è elevata, non ha le conseguenze sociali devastanti; mentre, invece, il vero pericolo che oggi incombe sull'Europa è la deflazione, perché, non avendo il modello economico tedesco, l'Europa del sud non può resistere.
Altri fattori sono fondamentali per la crescita: la tassazione, la macro rigidità monetaria che ci impedisce di lavorare sulla svalutazione competitiva, che in sé non è negativa in senso assoluto. Oggi, in Brasile, c'è la currency war e la signora Rousseff, che è una grande Presidente come Cardoso e Lula, sta pensando seriamente a come lavorare per cercare di svalutare il real, perché così si esporta di più.
Queste cose sono state fatte in tutto il mondo, perché dove sta scritto che bisogna avere monete forti? Possono farlo i sistemi sociali che per loro natura esportano quantità ingenti di produzione. Loro ricorderanno molto bene che, quando c'erano ancora le monete nazionali, il marco era la più forte moneta del mondo, ma nonostante questo la Germania esportava il 39 per cento del PIL, più o meno come oggi, perché fa beni che non si vendono, ma si acquistano: dalla grande turbina che fa andare avanti il razzo alla lavatrice di mia moglie, che giustamente vuole una lavatrice tedesca. Questo vuol dire milioni di vendite!
Non dico nulla sul fatto che la nostra incapacità a negoziare ci indusse a essere anche l'unico Paese a fare il cambio lira/euro con un rapporto di uno a due, con effetti devastanti sugli stipendi e sul potere d'acquisto. Come professore universitario, dopo anni di inutili sforzi, che erano anche una forma di follia, per cambiare l'economia, mi sono dimesso da tutti i Consigli di amministrazione ad eccezione di quello del Museo Poldi Pezzoli, che non ha compensi, e parlo solo con delle vecchie principesse.
L'altro fatto è rappresentato dalle privatizzazioni senza liberalizzazione degli anni '90. Sono un fautore dell'impresa artigianale e ho collaborato alla creazione di R.ETE. Imprese Italia, ma le economie devono avere un po' di pubblico e un po' di privato, devono avere molte piccole imprese ma anche alcune grandi imprese.
Il modello angloliberale ha molti vantaggi a casa sua e funziona molto meglio, in quanto il modello di common law è superiore: basti considerare quanto durano i processi, per cui chi commette un reato viene portato immediatamente davanti al giudice.
Abbiamo aderito anche noi al mito liberista, tanto che negli anni '90 abbiamo smantellato il sistema attraverso quelle che chiamo «privatizzazioni alla Boris Eltsin». L'altro signor Eltsin è stato Romano Prodi, che nella storia economica futura avrà una grandissima responsabilità, perché in dieci anni di presidenza dell'IRI ha svenduto il patrimonio pubblico italiano.
Le privatizzazioni, infatti - allora ero un giovane consulente e poi consigliere di
amministrazione dell'ENI - furono effettuate non secondo il modello che aveva elaborato il professor Guarino - che proponeva di privatizzare per grandi gruppi, e non per spezzatini. Lo dico perché una delle poche grandi imprese che rimane a questo Paese, Finmeccanica, per l'attacco concentrico che le è stato sferrato contro, rischia di fare la stessa fine. Su questo tornerò dopo.
Queste privatizzazioni senza liberalizzazioni ci hanno tolto gran parte delle nostre grandi imprese. Sono inoltre «all'argentina», quelle che ha fatto Menem, e quasi tutte ci hanno tolto il patrimonio industriale. Non abbiamo più la chimica etilenica, non abbiamo più la siderurgia a ciclo integrale, abbiamo solo quella da rottame e chiunque sa che con quella da rottame si realizzano i cucchiaini e cose più elaborate, ma non è quella del ciclo integrale in cui eravamo i primi al mondo.
Quelle privatizzazioni che non hanno liberalizzato non hanno più dato i macro impulsi di beni strumentali a prezzi più bassi di quelli forniti dall'oligopolio, e spesso dal monopolio, internazionale - pensiamo al monopolio siderurgico - e hanno profondamente indebolito la crescita.
Per effetto dello smantellamento di gran parte del patrimonio delle grandi imprese e soprattutto per una politica di offerta illimitata di forza lavoro venuta dall'esterno, si è assistito a un drammatico abbassamento dei salari. La sparizione di gran parte della grande impresa, l'offerta illimitata di forza lavoro proveniente da oltre il Mediterraneo - cosa che non si dice perché tutti siamo politically correct, quindi non possiamo dire la verità - probabilmente hanno determinato uno spaventoso abbassamento del monte salari.
L'attuale situazione ha anche delle cause antropologico-culturali: abbiamo smantellato l'educazione degli istituti tecnici professionali, li abbiamo mortificati, abbiamo diffuso tra i giovani un disprezzo per il lavoro manuale, per gli operai, perché li abbiamo malpagati e maltrattati, per cui nessuno vuol più fare questi lavori.
I lavoratori che vengono dal Senegal sono bravi, spesso sono anche rappresentanti sindacali, il che significa che si sono inseriti, ma accettano di lavorare per 800-900 euro, cifra che nessun ragazzo accetterebbe. Aggiungete poi che in Italia abbiamo l'effetto della mamma italica, che ha devastanti conseguenze sulla crescita, perché la mamma italica vuole che suo figlio, se si laurea in pedagogia, faccia il pedagogo, mentre invece negli Stati Uniti, nei Paesi civili - come la Svezia - si trovano cuochi filosofi, perché magari chi è laureato in filosofia fa il cuoco. La separazione tra funzione e senso che il capitalismo nichilistico ha determinato emerge nell'educazione, per cui chi trova un lavoro è ben contento di avere una laurea in filosofia.
Per la crescita sarebbe fondamentale reintrodurre il numero chiuso nelle università, abolire alcune facoltà come Scienze della comunicazione, che hanno un effetto devastante sull'equilibrio morale di giovani, soprattutto del potenziale femminile, e bisognerebbe avere meno laureati e più periti tecnici e industriali. Noi abbiamo devastato l'istruzione tecnica e professionale.
Questo ha sottratto forza all'organizzazione sindacale e ha paurosamente sbilanciato la ricchezza dal lavoro al capitale. Abbiamo i salari più bassi d'Europa e un'economia con salari così bassi non può crescere, perché non risponde alle ciclicità negative del crollo delle esportazioni, non consentendo l'affermarsi di un retroterra del mercato interno. Questo è l'elemento di fondo.
Siamo messi molto male, quindi, e, se volete ancora ascoltarmi cinque minuti, ho anche quattro idee per rimettere in piedi la «baracca». In primo luogo, bisogna innanzitutto sfuggire a questo mito che il debito pubblico sia la cosa fondamentale; bisogna, poi, con forza rinegoziare il Trattato di Maastricht, capire che il debito pubblico non è fondamentale, ma è fondamentale la bassa crescita - cosa che i tedeschi e i francesi hanno sempre capito, perché quando dieci anni fa hanno sforato
gli obiettivi di deficit, non di debito, se ne sono assolutamente fregati, e nessuno gli ha fatto nulla.
In secondo luogo, bisogna detassare radicalmente il profitto capitalistico e arrivare a una tassazione del 30-40 per cento, detassare il lavoro e, soprattutto, rimettere in piedi i fattori impalpabili della crescita - quali l'education e l'istruzione tecnica - e salvare quello che rimane delle grandi imprese pubbliche - circa il 30 per cento - evitando, ad esempio, che Finmeccanica venga smembrata.
Oggi sul Financial Times ci sono scritte delle cose da brivido su Finmeccanica. Oggi la distinzione tra civile e militare non esiste più, non c'è più l'elettronica per la difesa e quella per il civile: è il cliente che fa la differenza, non il prodotto.
C'è quindi bisogno di avere un grande piano intermodale delle infrastrutture - terra, mare, cielo - e Finmeccanica fa tutte queste cose, e di capire che il cuore è la nuova SELEX. Finmeccanica, quindi, è un'impresa che va mantenuta integra e non spezzettata. Vendere l'Ansaldo STS, che è uno degli attori principali al mondo nella segnalazione ferroviaria e che serve anche per la segnalazione radaristica marittima, sarebbe una catastrofe, perché perderemmo anche procurement sul fronte militare.
Bisogna impedire che l'ENI sia fatta a pezzi, già la separazione di SNAM da ENI è stato un errore gravissimo, il prezzo del gas non diminuisce, perché solo un bocconiano può pensare che il gas possa essere un libero mercato: i giacimenti di gas sono oligopoli naturali, mille lillipuziani guidati dall'ingegner Carlo De Benedetti e dalla sua impresa non possono trattare con Putin o con gli altri, ma c'è bisogno che con loro tratti un altro gigante. Il prezzo del gas è legato a quello dell'olio e quindi non c'è niente da fare, anzi l'aumento del trading farà aumentare il prezzo del gas.
Il prezzo dell'energia, che è un altro dei costi fondamentali che impedisce la crescita, deriva dal fatto che non usiamo del sano carbone, che oggi si può usare senza alcun pericolo. Aggiungo poi che tutta la faccenda della CO2 e degli idrocarburi è una «balla», perché l'età media è aumentata incredibilmente, per cui, se questi idrocarburi fossili facessero così male, saremmo tutti morti, invece ho una suocera di 88 anni che sta benissimo e respira idrocarburi tutto il giorno! Stiamo tutti bene, ho lavorato nel petrolio tutta la vita e come vedete sono florido!
Non bisogna smantellare quello che abbiamo: bisogna avere una politica di sistema, Finmeccanica va difesa, l'ENI va difesa e sono convinto dell'esigenza di ripensare all'intervento pubblico dello Stato in economia sul modello dell'IRI dell'epoca di Mussolini e della governance anglosassone alla Beneduce, non ad avere delle vecchie imprese di Stato con i Consigli di amministrazione, ma ad avere delle Authority come negli Stati Uniti e in Inghilterra, che svolgono funzioni pubbliche, nelle quali c'è un civil servant che è responsabile e interviene nelle reti di servizi all'impresa.
Pensate al fatto che lo Stato interviene nelle «terre rare» che fanno funzionare tutte queste cose, ossia i minerali derivati del lattanzio, oppure nelle autostrade informatiche, nel biomedicale, nelle nanotecnologie: questo lo può fare solo lo Stato.
Rinegoziamo con l'Europa, inventiamoci qualcosa per cui questi interventi non siano formulati come aiuti di Stato, però l'attuale configurazione dei pesi e delle rilevanze del sistema industriale dei servizi, troppo sbilanciato verso la piccola dimensione e carente nei macro impulsi soprattutto nei beni strumentali, non fa presagire una ripresa della crescita. Aggiungete che le grandi banche italiane sono tecnicamente fallite o ormai si sono trasformate da propulsori dello sviluppo a drenatori di risorse allo sviluppo.
Il sistema regge solo perché abbiamo le BCC e le banche popolari; però, come sapete, le banche popolari sono oggetto di un continuo attacco, e ho scritto un articolo su «il sussidiario.net» su questo perché stava per passare un emendamento per cui tutte le banche popolari quotate in
borsa sarebbero state private del voto capitario, perché c'è un furore ideologico di Bankitalia, che è contro ogni forma di banca che non sia una Spa.
Per la crescita si deve fare di più per la banca cooperativa: ormai è difficile che l'impresa capitalistica per le congiunture internazionali e per le nuove tecnologie crei nuova occupazione, e la disoccupazione è strutturale di lungo periodo. Bisogna, quindi, aumentare il numero delle imprese che massimizzano non il profitto, ma l'occupazione, mantenendo l'efficacia e l'efficienza, che non dipendono assolutamente dallo Stato.
Come dice anche la Caritas in veritate, dobbiamo inventarci una polifonia di forme della proprietà. Ci sono diverse forme di allocazione dei diritti di proprietà, per cui occorre un po' di inventiva e di iniziativa, che mi sembra tutto l'opposto di quello che sta facendo il Governo. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie, professor Sapelli. Questa audizione è stata voluta anche per sentire una voce in controcanto rispetto ad alcuni temi come ad esempio: pubblico sì-pubblico no, piccolo o grande, euro sì-euro no.
Personalmente, da bocconiano ho preso anche degli «sberloni» dal professor Sapelli. Chiedo quindi se qualcuno di voi voglia stimolarlo, anche se non ce n'è bisogno, su qualche punto che magari non è stato toccato dal suo intervento.
Do quindi la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
RENATO CAMBURSANO. Credo che il professore non abbia affatto bisogno di stimoli, perché semmai ce ne ha dati parecchi, per cui lo ringrazio sinceramente.
L'unica cosa sulla quale dissento, ma sarà perché ho avuto un'intensa partecipazione politica, è la definizione che ha dato del «nostro Boris Eltsin» che ha privatizzato senza liberalizzare. Vorrei solo ricordare che è stato solo un esecutore, mentre qualcun altro ha deciso di fare: si chiamava CAF, se non ricordo male.
Vorrei porre due domande. Come non convenire con lei su una radicale detassazione del lavoro dell'impresa? Il problema però è il solito: se noi detassiamo, dove prendiamo le risorse? A tale proposito, purtroppo abbiamo perso un'occasione, e le chiedo se non sarebbe stato più opportuno - e, eventualmente, se siamo ancora in tempo - per tassare i grandi patrimoni immobiliari, ma anche mobiliari, e destinarli all'abbattimento della fiscalità sul lavoro e sulle imprese. Come lei sa, Luca Ricolfi è un accanito sostenitore di questa tesi, ma è una voce che grida nel deserto, forse insieme a lei, in questo momento.
Questa mattina abbiamo audito il Ministro dello sviluppo economico, a cui ho letto un articolo apparso sull'inserto di un quotidiano che esce il lunedì, secondo cui il Governo starebbe pensando a una rimeditazione complessiva di quello che, forse è l'unico strumento di grande partecipazione nelle partecipate pubbliche, che è la Cassa depositi e prestiti, ma il timore della politica o meglio del Governo è di vedersi accusare di tornare alla vecchia IRI.
Mi pare di aver capito che si possa uscire da questa impasse, non ritornando alla vecchia IRI, ma trasformando Cassa depositi e prestiti in qualcosa di diverso, che abbia gli aspetti positivi della vera IRI dei momenti migliori, evitando che una mano politica si allunghi sulla Cassa depositi e prestiti. Vorrei conoscere la sua opinione al riguardo.
AMEDEO CICCANTI. Mi scusi, professore, perché sono arrivato tardi e ho ascoltato solo alcune battute finali che mi hanno fatto riflettere.
La riduzione della tassazione del capitale è giustissima, lei ha detto che bisogna detassare il lavoro e gli investimenti; ha detto poi che sarebbe opportuno tornare all'intervento pubblico nell'economia, l'onorevole Cambursano ha posto la domanda e avrei piacere che lei ci spiegasse dove reperirebbe le risorse compatibilmente
con la garanzia della coesione sociale: perché la differenza tra un politico e un tecnico come lei, tra i professori di cui oggi...
GIULIO SAPELLI, Professore ordinario di economia politica e storia economica dell'Università di Milano. Non mi metta tra i tecnici che ci sono adesso!
AMEDEO CICCANTI. La metto tra i professori, che però ci insegnano sempre a tavolino come si fa l'economia, ci insegnano sempre che i conti tornano perché dietro i loro conti ci sono i numeri e le carte, non le persone, mentre i politici devono fare i conti con le persone e non sempre due più due fa quattro quando si fa il conto con le persone.
Avrei piacere, quindi, di sapere quali iniziative adotterebbe se fosse il Presidente del Consiglio per favorire la sua politica - condivisibile o meno - nei primi cento giorni di Governo, così capisco se vi sia concretezza o teoria nelle sue provocazioni. Grazie.
CLAUDIO D'AMICO. Ringrazio davvero il professor Sapelli perché è venuto a esporci alcuni punti di vista veramente degni di essere sottolineati. Qui ho una lista di argomenti da sviluppare riguardo a quello che ha detto, con cui potremmo andare avanti tutta la giornata e anche domani, ma cercherò di limitarmi nelle richieste e magari di specificare meglio alcuni punti che lei ha velocemente toccato nella sua esposizione, che però ritengo degni di nota.
Il primo è quello della ciclicità del capitalismo. Vorrei sapere come ritenga possa svilupparsi il quadro macroeconomico internazionale nei prossimi anni. Legherei questo anche a quello che ci ha detto sulla Cina, che a causa del suo sistema economico comunista arriverà a un punto di esplosione.
Più specificamente, vorrei sapere quando prevede che l'economia cinese possa fermarsi e cosa preveda per il futuro, perché troppo spesso - devo dirlo anche a questo Governo che ha promesso chissà cosa, ma si sta dimostrando di basso livello - non si guarda oltre il proprio naso. A me sembra che qui si stia persino guardando al naso di qualcun altro e sulla nostra pelle.
Mi piacerebbe capire come preveda l'andamento economico dell'Europa, dell'Est e del Medio Oriente.
Avrei da porle un'altra questione più particolare, dopo avergliene chiesta una così ampia. Viviamo una situazione di grande afflusso di lavoratori stranieri, ma l'80 se non il 90 per cento, di questi lavoratori invia all'estero il denaro che guadagna. Infatti, facendo anche il sindaco in un Comune vicino a Milano, vedo le comunicazioni di tutti quelli che usano i Money transfer e mi accorgo che il denaro prodotto sul nostro territorio non viene reinvestito e rimesso in circolo qui e ciò non aiuta certo la crescita.
Dal mio punto di vista, questo sarebbe da disincentivare per la nostra economia e per il nostro Paese. Vorrei conoscere la sua opinione in merito.
LINO DUILIO. Vorrei salutare il professor Sapelli che conosco e stimo, e scusarmi per il ritardo, perché il professore non sa che in Parlamento si lavora pochi giorni per pochissime ore ma con sovrapposizione paurose, per cui oggi c'era una sovrapposizione con i lavori della Commissione giustizia e del Comitato per la legislazione, dove dovevo fare il relatore, per cui mi sono presentato in ritardo e me ne scuso.
Ne approfitto per chiedere alcune cose alla luce di quanto ha sostenuto, ma anche perché mi interessa la sua opinione. Una di carattere generale - mi scuso se per caso l'ha già detto, visto che parlava di ciclicità delle crisi capitalistiche - sulle ragioni della crisi, perché, come sempre si procede in medicina, anche in economia bisogna avere chiara la diagnosi per individuare la terapia.
In questi anamnestici c'è chi sostiene che fondamentalmente la situazione che si è determinata sia dovuta agli errori degli uomini in un sistema che, se non è perfetto, è comunque perfettibile, per cui la
soluzione consisterebbe nel riparare agli errori degli uomini, dei governanti che non sanno fare, per cui arrivano quelli che sanno fare e insegnano come si fa.
Ci sono coloro che, invece, sostengono che il sistema produca fisiologicamente crisi cicliche e periodiche, che quindi fanno parte del suo DNA, con le quali bisogna convivere e sulle quali occorre cercare, per quanto possibile, di intervenire, togliendosi però dalla testa che queste crisi più o meno lunghe che sperimentiamo siano dovute solo a errori di politica economica compiuti dagli uomini.
Mi interessava quindi una sua opinione teorico-sistemica, anche perché sono convinto che siamo orfani di una teoria e che questa sia una delle ragioni fondamentali per cui navighiamo a vista con sedicenti dottori, che stanno al capezzale di malati e spesso poi ne causano la morte.
La seconda domanda è più precisa. Questa mattina il Ministro dello sviluppo economico ha risposto alla domanda che gli avevo posto in merito ai settori trainanti e alla mission - parafrasando termini emulativi - di una suddivisione di specializzazioni produttive, tenendo conto di quella che una volta era la divisione internazionale del lavoro o altro ancora, se esista una nostra specificità.
Per molti anni i francesi hanno utilizzato organismi in cui hanno chiamato delle teste d'uovo a livello internazionale, incaricate di individuare i settori destinati a sicura morte, per i quali consigliare un'eutanasia perché nessuno rimanesse in mezzo alla strada, senza però buttare soldi perché la loro sorte era segnata, e nello stesso tempo di individuare settori e ambiti che avessero invece possibilità di sviluppo, sui quali fare forti investimenti e trovare soluzioni.
Il Ministro ha risposto che ritiene non vi siano settori trainanti, che tutti i settori vanno più o meno bene, che si tratta di fare manutenzione e che affidandosi alla virtù del mercato, quindi agli spiriti animali del mercato, tutto si libererà verso sorti magnifiche e progressive.
Vorrei sapere che cosa pensa di un approccio del genere, perché ritengo che invece da troppi anni siamo un Paese privo di una vera politica industriale, in grado di fare i conti con tipicità, diversità e vocazioni del nostro Paese, che bisognerebbe forse assecondare.
Vorrei chiederle se sostenere che ogni settore vada bene e si tratti solo di capire come aggiustare il tiro rappresenti una filosofia che può rientrare in una visione di governo in grado di farci affrontare con qualche chance questa situazione drammatica, che da più di venti anni ci vede con una produttività che sperimenta tassi di crescita negativi che sono un autentico disastro. Infatti, se non affrontiamo questo problema, non usciremo mai da questa situazione e dai noti tassi di crescita.
La terza domanda è solo una battuta e si ricollega anche alla prima. Sul rapporto pubblico/privato posso definirmi neokeynesiano, quindi vedo bene l'intervento del pubblico, a differenza di questa nuova religione che invece lo vede come qualcosa di demoniaco. In questo senso, più tecnicamente vorrei conoscere la sua opinione sul pareggio di bilancio che è stato da noi sotto dettatura messo in Costituzione e della proposta di qualche collega oggi assente, secondo cui, una volta messe a posto le condizioni strutturali perché si realizzino equilibri di bilancio, bisognerebbe chiedere all'Europa almeno di adottare misure una tantum che ci consentano di utilizzare risorse per investimenti produttivi, perché altrimenti, aspettando gli esiti della spending review, facciamo in tempo a far sì che il malato muoia. Grazie.
PRESIDENTE. Ricordo che sul pareggio di bilancio, pur senza essere neokeynesiani, ci siamo presi qualche licenza e siamo stati censurati dai professori sui giornali.
Do quindi la parola al professor Sapelli per la replica.
GIULIO SAPELLI, Professore ordinario di economia politica e storia economica dell'Università di Milano. Vi ringrazio tantissimo per queste domande, alle quali cercherò di rispondere brevemente, nel modo più modesto e nello stesso tempo più chiaro possibile.
Partiamo dalla questione generale, sollevata dall'onorevole D'Amico. Naturalmente la ciclicità nel futuro sarà l'elemento prevalente soprattutto sulla volatilità dei mercati finanziari. A meno che non si riformino le grandi banche nel senso voluto da Lord King e da Volcker e anche dal Charter Act fatto negli Stati Uniti, un sistema di regolamentazione estremamente complesso perché, come lei sa molto bene, la differenza che ci hanno insegnato esistere tra la regolamentazione nordamericana e quella inglese - sono stato per anni presidente di alcuni audit committee, cioè gli organismi di controllo di una grande banca e di una grandissima impresa - è che il modello anglosassone fissa dei princìpi, delle linee, mentre gli americani hanno la mania delle procedure.
A meno che non si riformi il mercato finanziario e non si ritorni a come eravamo prima, a separare questi grandi mostri, c'è un conflitto enorme e le banche inglesi hanno minacciato addirittura Cameron, che non è un rivoluzionario, di lasciare la city e di andare a New York, per cui su tali temi l'Europa è completamente assente, non dice una parola.
C'è però anche da dire che non c'è Ministro dell'economia, spesso non c'è Primo Ministro che non abbia lavorato per Goldman Sachs o per Lehman Brothers che non ne dipenda direttamente o che non ne sia stato consulente. Ho lavorato per quindici anni nelle grandi imprese e ho capito che il vero amministratore indipendente non è colui che, come dice il regolamento e il codice civile, non ha la moglie e i figli nella società o nelle attività collegate alla società, ma è colui che, come diceva Sant'Agostino, è indipendente nella sua filosofia del tempo: cioè non si aspetta nulla nel futuro, quando non sarà più in quell'organismo, da colui che dovrebbe controllare. Questo è l'amministratore indipendente.
Se invece fai l'avvocato, il commercialista, chiaramente lasci che i manager facciano quello che vogliono, e appena scade il tuo mandato avrai delle favolose consulenze. L'indipendenza quindi è una questione etico-morale, che nessuna legge potrà mai gestire. La stessa cosa riguarda la riforma.
Avremo quindi un'altissima ciclicità finanziaria, una grande volatilità e i risparmi delle famiglie saranno continuamente messi a repentaglio.
Come andrà il mondo? Senza una leadership unificata, che nella storia del mondo è sempre stata militare ed economica insieme, non c'è crescita. La crescita si sposta dove le leadership mondiali si spostano.
Gli Stati Uniti già con la Presidenza Bush - e con la Presidenza Obama in modo più determinato - hanno fatto una scelta, come si vede anche dal punto di vista del disimpegno militare, anche perché l'Europa li ha profondamente traditi. Timothy Geithner è venuto tante volte in Europa per premere sulla signora Merkel, affinché si riformasse la Banca centrale europea.
È stato messo a capo della Banca centrale europea Draghi, che, come tutti gli italiani, ha imparato a comportarsi da Guicciardini, non da Machiavelli, e fa ciò che lo Statuto della Banca centrale europea non gli permetterebbe: compra i titoli di Stato e finanzia le banche. Fa delle cose che non gli sarebbero permesse, perché dietro c'è la profonda spinta nordamericana, perché gli americani non vogliono il crollo dell'euro, a differenza di quello che leggo, perché l'Europa è un grande mercato.
Gli americani hanno dato una lezione all'Europa provocando il default della Grecia, che è come un avvertimento. Se notate, nei telegiornali Atene è sempre in fiamme, ma sono andato ad Atene a trovare una mia vecchia allieva e Atene sembra una città in guerra, alcune aree della città sono state abbandonate, gli abitanti sono tornati nelle isole, ma non c'è violenza. Hanno rotto i negozi una volta, mentre invece dalla televisione sembra che lo facciano sempre.
È una città caduta nell'anomia, nella depressione, nella disperazione, ma lo
fanno vedere perché vogliono intimorire le classi povere e le opinioni pubbliche d'Europa, vogliono infliggere al proletariato europeo e anche alle classi medie una sconfitta senza fine, quindi usano tutti gli strumenti.
Sono un vecchio iscritto alla CISL, un vecchio cattolico, però credo che la lotta di classe non sia finita: quando smettono di farla gli operai, la fa la borghesia, e quella non smette mai la lotta di classe contro gli operai. Ora usa l'euro e usa la paura dell'inflazione.
Detto questo, la crescita inesorabilmente si sposterà verso questo grande mercato di 800 milioni di persone che Barack Obama ha costruito con intelligenza diplomatica attraverso il Trans-Pacific partnership free trade accord.
Non leggo mai i giornali italiani se non quando scrivo su Il Corriere della Sera, di cui sono ancora editorialista, e oggi è uscito un mio articolo sul Mali perché seguo anche l'Africa. C'è stato questo accordo di cui in Italia nessuno ha parlato, che lega 800 milioni di persone e va dal Vietnam alla Malesia, alla Thailandia, all'Australia, alla Nuova Zelanda e coinvolge il Cile, il Perù, il Messico e il Canada. Si tratta di un accordo commerciale per abbassare i tassi e, nello stesso tempo, gli americani hanno fatto un trattato militare con gli australiani, perché i laburisti australiani sono convinti che tra pochi anni la Cina invaderà l'Australia.
Da questo patto la Cina è esclusa, ma c'è il Vietnam, che, come lei sa, è un nemico storico della Cina. Se lei legge il libro straordinario scritto da Kissinger On China, vede come il nemico della Cina sia stato l'Indocina. Anche quando c'era la guerra del Vietnam, i cinesi non facevano passare gli aiuti sovietici dalla Cina che dovevano passare dall'Afghanistan.
GIULIO SAPELLI, Professore ordinario di economia politica e storia economica dell'Università di Milano. La Russia non c'è, anche perché Obama ha invertito il rapporto con la Russia; Bush aveva messo i missili in Europa - una follia - e quando la signora Clinton è andata in Russia ha proposto di aprire. E ancora, si pensi alla follia che ha fatto Clinton quando nel 2001 la Cina è entrata nel WTO distruggendo l'economia mondiale con un'asimmetria di quel tipo, mentre la Russia entra adesso nel WTO per la pressione dei Paesi che sono usciti dall'impero comunista, che ce l'hanno con la Russia. La Clinton ha fatto moltissimo, come aveva fatto già la Albright. Del resto, la vera differenza tra repubblicani e democratici nella politica estera è il giudizio che danno sulla Russia: i repubblicani la ritengono, a differenza dei democratici, ancora non
affidabile, come è evidente leggendo Foreign Affairs.
Sono però convinti che lo sviluppo sarà là e nell'America Latina, che fino a quindici anni fa era devastata dal debito pubblico, per cui si può sempre uscire dalla crisi. Vorrei lanciare questo messaggio innanzitutto per ragioni antropologico-morali.
Come diceva Federico Caffè, il mercato ha nome, cognome e soprannome. Il mercato non esiste: sono grandi gruppi oligopolistici o infinite migliaia di persone che, come noi, fanno il loro lavoro nelle imprese, nelle banche, nelle piccole imprese di cui tirano su la saracinesca. Siamo noi che facciamo il mercato.
Pensiamo che il mercato sia solo dietro quell'operatore che lo fa funzionare con cinque variabili, però, come dice il Santo Padre, l'economia è fatta di infiniti atti personali. Per questo abbiamo una responsabilità etica nell'economia. Si può dunque sempre uscire dalla crisi, come affermava un grande economista Hirschman che trenta anni fa, quando tutti davano per morta l'America Latina, dichiarò che ci sarebbe stata una via d'uscita.
Basti pensare a un Paese come il Brasile - chi l'avrebbe mai detto? - che grazie a venti anni di buona politica ha fatto la riforma terriera, ha creato una borghesia terriera e come l'Italia ha tante piccole città oltre alle due grandi. Dico sempre che il miracolo brasiliano è un miracolo politico: è stata la politica che ha
fatto la crescita brasiliana. La responsabilità che loro hanno, onorevoli, è enorme, perché la politica in economia può fare tantissimo.
Là ci sarà la crescita. Naturalmente l'Europa attraversa un periodo in cui la crescita la sta abbandonando. Sulla Cina ho già risposto: penso che l'avvenire sia l'India perché è un Paese che ha avuto un passato democratico. Ci sono tre forze al mondo che hanno portato la civiltà: il cristianesimo, l'impero britannico e le multinazionali. Dove sono passate queste tre forze, il mondo è migliorato: il cristianesimo ha portato la persona, l'impero britannico la legge - anche con modi un po' bruti - e le multinazionali il gas, la luce e tutto.
Per quanto riguarda la questione dei trasferimenti, mi permetto di dire questo: un grande storico economico italiano - il più grande che abbiamo avuto e infatti è il meno conosciuto - Franco Bonelli, scrisse tanti anni fa, con me che ero un ragazzo con i pantaloni corti, una storia d'Italia, in cui dimostrava come noi abbiamo potuto ovviare al cappio del debito pubblico grazie ai trasferimenti degli emigranti.
Ho scritto un libro sull'Europa del sud che è uscito in inglese, Southern Europe since 1945, in cui analizzo il Portogallo, la Spagna, l'Italia, la Grecia e la Turchia. Una delle caratteristiche dell'Europa del sud è lo sviluppo delle imprese tra la fine del 1800 e gli anni Sessanta. Quando ero giovane, negli anni Sessanta, andavo in piscina dopo le scuole serali, perché sono stato campione di tuffi, e un mio amico mi salutò perché emigrava in Argentina con suo padre, che faceva il tipografo come me. Quindi nel Sessanta ancora si emigrava in Argentina, si mandavano i soldi a casa.
Bisogna scegliere: gli immigrati mandano i soldi per la crescita dell'Africa, delle Filippine, della Nuova Guinea. Farei invece un'altra cosa: farei controlli più attenti quando arrivano. In Australia non ti fermi o addirittura non arrivi neanche se non sai l'inglese. Finché c'erano i laburisti al Governo, che erano spietati, ai «gialli» non era consentito andare in Australia perché i sindacati non volevano che si abbassasse il costo del lavoro.
Quando ha vinto la destra, ha detto «avanti tutti», perché, come è noto, i ricchi sono sempre favorevoli all'immigrazione, e ci sarà pure un motivo: sentono odore di denaro, perché pagano meno gli operai e si alzano i profitti capitalistici. Poi, noi mettiamo dentro il buonismo e tutte le altre cose molto importanti.
È molto difficile bloccare il trasferimento di questi soldi perché, se non avessimo i Money transfer, avremmo il fenomeno, che avviene a Roma dietro al Celio, da dove partono i pullman diretti in Romania, che portano clandestinamente i soldi fuori dall'Italia. Non sono, comunque, un esperto in materia.
Ho una formula, però, che alcuni hanno molto contestato, accusandomi di essere razzista, mentre penso di non esserlo affatto: dobbiamo avere un'immigrazione sostenibile e più guidata.
Questo significa reintrodurre princìpi di pianificazione sociale, per cui ad esempio sostengo che si debba mettere il numero chiuso all'università, sapendo di quanti laureati si abbia bisogno, cosa che mi dicono sia inaccettabile. Il libero mercato per certe cose va bene, per altre no.
Vengo alla questione sollevata dall'onorevole Cambursano. Sono perfettamente d'accordo con lui sulla Cassa depositi e prestiti, che oggi è una mediazione tra il vecchio sistema di potere prodiano del PD e il nuovo sistema di potere dell'onorevole Tremonti, impersonificato dalla presidenza dell'onorevole Bassanini che da uomo di sinistra è divenuto presidente, e non so quanto questo si concili con la questione dei conflitti di interesse, ma, onorevoli deputati, dovete essere voi a stabilire se non sia una commistione indebita, e non posso certo essere io a giudicare.
Nutro molta stima per Vito Gamberale, che conosco da quando ero ragazzo ed è una persona molto capace; penso che la Cassa depositi e prestiti per assolvere a quel ruolo su cui concordo dovrebbe però essere profondamente riformata nella governance
e avere auspicabilmente una governance in cui ci sia un solo responsabile, trasformandosi in una forma di Office e non invece in uno strumento di mediazione.
RENATO CAMBURSANO. Per farle fare cosa?
GIULIO SAPELLI, Professore ordinario di economia politica e storia economica dell'Università di Milano. Per farle fare quello che dicevo prima: per entrare in alcuni settori dove la mano privata non entra e dove, secondo le decisioni assunte dal potere legislativo, c'è bisogno che entri. Lo deve indicare il Parlamento, non un consiglio di amministrazione dove c'è l'ex PD, l'ex della corrente dell'UdC, la sottocorrente, probabilmente anche qualcuno della Lega. Bisogna ridare dignità alla politica perché questa si dedichi alla strategia.
Quanto alla questione dell'introduzione di una patrimoniale, in linea di massima sono contrario alle patrimoniali, perché spaventano gli investitori stranieri, in quanto non c'è certezza nel diritto. Sono d'accordo con Montesquieu nel ritenere che, piuttosto che tassare le teste, bisogna tassare le cose, sono più favorevole alla vecchia scuola della tassazione tedesca, a tassare le cose, aumentare l'IVA, diminuire i consumi, altrimenti in un mondo globalizzato si finirebbe per colpire le classi medie.
I grandi ricchi non hanno i soldi in Italia, e in Svizzera addirittura adesso non ci sono più cassette di sicurezza non nelle banche, ma nei grandi alberghi. Ammiro la spinta etica di Ricolfi, del mio amico Modiano, persona che stimo molto, ma i veri ricchi da tempo non hanno un euro in Italia!
Dato che c'è un problema di debito pubblico, non assegno un'importanza teorica e pratica ai cento giorni, ma dobbiamo fare un bel fondo, una special purpose entity di circa 1.800 miliardi di euro di beni immobili che lo Stato ancora possiede e non servono a niente, come le caserme, e li dobbiamo vendere non con la cartolarizzazione, come mi dicono alcuni, ma riscuotendo soldi.
Si tratta di una misura una tantum, ma anche alcuni miei amici, come il professor Pelanda - che è molto più liberista di me - hanno fatto dei calcoli secondo i quali scenderemmo all'80 per cento del PIL. Ho una grandissima stima per Francesco Forte, che è stato mio professore di economia finanziaria a Torino, quando scendevo dall'Olivetti apposta per andare a sentirlo, perché avevo come capo Franco Momigliano, e Forte ha sostenuto questa tesi. Io sono un nano sulle spalle dei giganti e ritengo che Francesco Forte sia un gigante dell'economia e, se lo dice, ci credo, perché avrà fatto i calcoli.
Questa sarebbe una misura da adottare nei primi cento giorni e ci libereremmo dall'incubo internazionale perché, come loro sanno, da luglio i fondi di investimento asiatici e poi americani non compravano titoli di Stato italiani.
Non li ha fatti cambiare Monti, perché penso che non crederete all'effetto taumaturgico. Un bel libro di Marc Bloch parla dei re taumaturghi, giacché secondo la leggenda i re francesi che toccavano un lebbroso erano in grado di guarirlo. Spero che nessuno di voi creda in quanto descritto nel libro di Marc Bloch, perché oggi lo spread, in media, è molto più alto di quello del Governo Berlusconi, costretto a dimettersi senza essere sfiduciato, cosa unica nella storia costituzionale mondiale.
Ho in mente, invece, una proposta alla Hollande: cioè una tassazione oltre un determinato reddito, per cui chi superi 1,5 milioni di euro di reddito all'anno dovrebbe dare il 50 per cento allo Stato. Non è una patrimoniale: è una tassa progressiva molto feroce. E soprattutto bisognerebbe per legge abolire le stock option.
Sono contrario alle proposte di legge, credo che tutto debba venire dalla coscienza degli uomini, ma vedo che in questo Paese il senso di giustizia è finito, perché tutti reputano normale che la retribuzione di un operaio e di un dirigente ci sia una differenza di 2.000 volte.
Il signor Marchionne, che tutto è meno che un manager - un agente internazionale diplomatico che è stato incaricato di svolgere un compito che sta svolgendo bene, per cui però la famiglia Agnelli pagherà un debito altissimo, perdendo il
controllo dell'azienda - prende 14 milioni di euro; Alessandro Profumo andando via ha preso 40 milioni di euro, e questo viene accettato come una norma.
Quella che San Tommaso chiamava giustizia commutativa o giustizia distributiva nessuno sa più cosa sia; il nichilismo finanziario è presente tra la popolazione. Il male è in noi.
Una grande amicizia mi lega all'onorevole Duilio, quindi ho già risposto in parte alle sue domande, visto che parliamo spesso e sa quanto lo stimi e gli voglia bene.
Quanto alla questione della crescita, negoziare la crescita è più difficile ora che siamo in Europa. Se non fossimo in Europa, tutte le manovre che auspica sarebbero facilmente realizzabili, perché avremmo una sovranità nazionale.
Ma ora tutto è più difficile. Anni fa, Siniscalco aveva fatto una proposta ottima, ovvero di togliere dai deficit rilevanti ai fini del Trattato di Maastricht tutti gli investimenti in opere pubbliche.
Trovo incomprensibile che questo Governo non negozi con l'Europa una ridefinizione del Trattato. Una delle prime cose che farei - non farò mai il Primo Ministro perché non ne sarei capace - è un accordo con gli altri Paesi che vogliono rinegoziare le regole di Maastricht. Se facciamo tutto per essere ancelle della Germania, portiamo l'Italia alla miseria e al disastro.
Se continuiamo così, non c'è via di scampo, anche perché il ciclo di crescita della Germania sta terminando, il commercio mondiale sta cadendo, la Germania vive sull'esportazione ed è in una morsa terribile, perché con questa politica deflattiva ha fatto il deserto attorno a sé, ha reso i Paesi poveri, e, quindi, potrà esportare molto meno in Europa.
Dobbiamo rinegoziare e costringere i tedeschi a cambiare, e mi auguro che l'SPD vinca le elezioni. Nel dicembre del 2011, Helmut Schmidt ha fatto un grande discorso, dicendo alla Merkel che stava sbagliando tutto, perché si era messa davanti all'Europa, non dietro l'Europa, e ogni volta che la Germania si mette davanti all'Europa provoca disastri e alimenta l'odio per i tedeschi. Lo ha detto un uomo di 91 anni, che ha combattuto il nazismo con Willy Brandt, quindi sa bene di cosa parla ed è uno degli ultimi, grandi politici al mondo.
Bisogna augurarsi che la socialdemocrazia vinca, che Holland vinca, e questi vadano a casa. Esiste, quindi una soluzione politica: bisogna rinegoziare l'intero Trattato, altrimenti la crescita non ci sarà. Amen!
PRESIDENTE. Da Sant'Agostino a San Tommaso, abbiamo avuto un'ampia panoramica con il suo intervento. Ringrazio davvero il professor Sapelli. Ho voluto questa audizione perché sapevo che avremmo sentito anche altre «campane» rispetto a quelle che normalmente ascoltiamo in questa aula.
La prossima settimana audiremo il professor Grilli e avremo probabilmente delle idee diverse o più politicamente corrette, però credo che in questo ciclo di audizioni serva anche questo tipo di testimonianza e di prospettiva.
Nel ringraziare il professor Sapelli, con il quale ci saranno anche altre occasioni di incontro per scambiarci opinioni sul futuro dell'Italia e del mondo, dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 16,35.