Sulla pubblicità dei lavori:
Aprea Valentina, Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SULLA COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE EUROPEA RECANTE «DIALOGO UNIVERSITÀ-IMPRESE» (COM(2009) 158 DEF)
INDAGINE CONOSCITIVA SUL LIBRO VERDE «PROMUOVERE LA MOBILITÀ DEI GIOVANI PER L'APPRENDIMENTO» (COM(2009) 329 DEF.) E SULLA RELAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO, AL PARLAMENTO EUROPEO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL CONSIGLIO DELLE REGIONI «RELAZIONE SUI PROGRESSI IN TEMA DI CERTIFICAZIONE DELLA QUALITÀ NELL'ISTRUZIONE SUPERIORE» (COM(2009)487 DEF)
Audizione di rappresentanti dell'Associazione piccole e medie imprese (API), della Confcommercio e del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca:
Aprea Valentina, Presidente ... 3 6 7 9 12 14 15 16
18
Calviello Germana, Funzionario del settore welfare della Confcommercio ... 7 17
Centemero Elena (PdL) ... 15
Giunta La Spada Antonio, Direttore generale per gli affari internazionali del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ... 9 17
Nicolais Luigi (PD) ... 12
Occhipinti Armando, Responsabile dell'ufficio relazioni industriali della CONFAPI ... 3 6 16
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud Ausonia:
Misto-NS/LS Ausonia.
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 14,30.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla Comunicazione della Commissione europea recante «Dialogo università-imprese» (COM(2009)158 def.), e nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul Libro verde «Promuovere la mobilità dei giovani per l'apprendimento» (COM(2009)329 def.) e sulla Relazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Consiglio delle regioni «Relazione sui progressi in tema di certificazione della qualità nell'istruzione superiore» (COM(2009)487 def.), l'audizione di rappresentanti dell'Associazione piccole e medie imprese (API), della Confcommercio e del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
Sono presenti per l'Associazione piccole e medie imprese il dottor Armando Occhipinti, responsabile dell'ufficio relazioni industriali della CONFAPI, per la Confcommercio una delegazione composta dalla dottoressa Germana Calviello, funzionaria del settore welfare, dalla dottoressa Jasaman Parpinchee funzionaria del settore lavoro, e dal signor Giovanni Battista D'Angelo, consulente per i rapporti istituzionali.
Salutiamo e ringraziamo per la presenza il dottor Antonio Giunta La Spada, direttore generale per gli affari internazionali del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che è stato la colonna in tutti questi anni dei documenti del lavoro europeo, la nostra rappresentanza in sede di Commissione e di Consiglio dei ministri per tutta la parte che ha riguardato il suddetto dicastero.
Sono presenti, per la VII Commissione, la relatrice, onorevole Centemero e il vicepresidente, onorevole Nicolais, del Partito Democratico.
Vi pregherei, quando ci relazionate su questi temi, di distinguere, in modo da facilitare la verbalizzazione, il vostro orientamento sui tre documenti. Cominciamo col dialogo tra università e imprese, quello che riscuote evidentemente più interesse da parte vostra, e continuiamo poi con il Libro verde e con l'altro documento, in modo che sia più facile anche per noi replicare.
Do la parola al dottor Occhipinti.
ARMANDO OCCHIPINTI, Responsabile dell'ufficio relazioni industriali della CONFAPI. Grazie, presidente, e buongiorno a tutti. La CONFAPI ringrazia il presidente Valentina Aprea e i componenti della Commissione per l'opportunità che viene offerta alla Confederazione italiana
della piccola e media industria. Ovviamente, il nostro intervento cercherà di incentrarsi su tutto ciò che riguarda la piccola e media impresa rispetto ai temi oggetto dell'audizione.
Per quanto riguarda il dialogo tra università e impresa, il titolo riporta le parole «per creare un modello competitivo». Come CONFAPI, da sempre cerchiamo di tener presente l'importanza strategica del mondo universitario come momento fondante, attraverso le conoscenze e gli approfondimenti dei saperi, per poter poi tradurre tutto in valore aggiunto, in quanto, attraverso un sistema universitario efficace ed efficiente, sicuramente si può poi avere una conoscenza che permette la cosiddetta ricerca applicata.
Fin dagli anni 2000 siamo stati chiamati dal CNEL per partecipare ad azioni sperimentali, come, per esempio, CampusOne, in cui abbiamo cercato di interagire, come mondo della piccola e media impresa, rispetto al pacchetto sperimentale che si stava portando avanti con la Conferenza dei rettori, in quanto riteniamo che questo sia un momento fondamentale.
Con una battuta, si potrebbe affermare che il nostro Paese è privo di materie prime e che l'unica che abbiamo è la materia grigia. Attraverso il suo utilizzo abbiamo potuto dimostrare che, oltre a essere santi, navigatori e poeti, negli anni siamo stati capaci di affermarci nel mondo grazie al fatto di aver potuto offrire il valore aggiunto che ha permesso l'impiego della redistribuzione della ricchezza prodotta, anche se oggi la logica della piccola e media impresa comincia a stentare in un mondo globale. Dobbiamo, quindi, riassettarci e riorganizzarci per cercare di dotarci di strutture capaci di potersi meglio internazionalizzare rispetto alla globalizzazione.
Secondo un ranking della World University pubblicato sul Times Higher Education, è risultato che tra le 84 università europee sulle prime 200 elencate non ce n'era neanche una italiana. Ciò la dice lunga, anche se ognuno sceglie taluni indicatori per arrivare a determinate conclusioni. È pur vero, però, che, anche se si volessero demolire tutti gli indicatori utilizzati, ci si dovrebbe comunque porre una domanda. La marginalizzazione accusata dalla nostra università, quantomeno rispetto a questa fotografia, indica che forse è il caso di mostrare la giusta attenzione e di svolgere un monitoraggio per cercare di trasformare e rinnovare quanto abbiamo a disposizione.
Se il mondo della conoscenza è un asse portante del mondo produttivo, forse è il caso che, così come la piccola e media impresa oggi si stanno organizzando per strutturarsi e affrontare meglio il mercato internazionale in questo mondo globalizzato, anche l'università debba internazionalizzarsi; dovrà, quindi, prevedere programmi comuni capaci di poter meglio competere con il resto del mondo dal punto di vista universitario.
Non possiamo nascondere che, a oggi, abbattere o eliminare norme e vincoli troppo restrittivi che il mondo universitario vive dal punto di vista amministrativo e gestionale potrebbe sicuramente aiutare e tutto ciò si può ottenere, evidentemente, anche con appropriati strumenti legislativi.
Si è parlato anche di come cercare di migliorare la competitività a livello universitario attraverso un tentativo di inserirsi nella competizione. Le nostre università dovrebbero confrontarsi meglio con il mondo esterno e internazionale delle altre università, per poter essere più competitive. Non mi stancherò mai di affermare che attraverso lo snodo universitario potremo continuare a produrre ricchezza in questo Paese, attraverso il valore aggiunto che può essere prodotto solo e soltanto attraverso queste conoscenze.
Per questo motivo, a livello universitario sarà forse più opportuno - anche se questa è ovviamente la sede adatta per poter dibattere i problemi - che l'autonomia universitaria, il confronto e la competitività entrino proprio nel DNA di queste istituzioni, per meglio permettere al sistema Paese di affrontare in futuro i problemi della globalizzazione e l'incremento di competitività che necessariamente si verificherà, anche con un salto culturale.
Si sta operando molto con il mondo dell'impresa. Abbiamo cominciato a stringere convenzioni con diverse università nell'ambito nazionale, perché riteniamo che lo snodo degli stage e dei crediti formativi attraverso la cultura dell'impresa possa aiutare e agevolare, per poter meglio rispondere ai fabbisogni professionali richiesti nel nostro mondo.
Non stiamo sostenendo di volere un'università al servizio dell'impresa, bensì che, seppure nel rispetto di tutte queste autonomie, l'aver stretto convenzioni, rapporti e interazioni con il mondo del lavoro permette all'università di comprendere meglio le esigenze del mondo produttivo e a quest'ultimo di capire meglio le potenzialità che l'università offre.
Siamo ovviamente ben lungi - con questa considerazione concludo il primo punto - dalla logica in cui l'università era arroccata sull'Olimpo del sapere ed era depositaria della scienza, mentre tutto il resto era Medioevo. È ovvio che questo mondo non esiste più, ma è anche vero che dobbiamo, anche attraverso l'utilizzo di alternanza e confronto, poter migliorare la qualità del servizio universitario e la cosiddetta certificazione dell'apprendimento in prospettiva anche professionale, pur sapendo che l'università deve continuare a mantenere le sue autonomie ed rimanere insieme luogo di cultura. Questo è il primo punto.
Come tutti sappiamo, il cosiddetto Libro verde rappresenta sempre un momento critico, quantomeno secondo l'esperienza comunitaria, perché si cominciano a elencare in termini analitici le problematiche di un dato tema e poi, con quesiti che vengono posti ai Paesi, ci si domanda come si possa uscire da tale criticità. Abbiamo già affrontato il tema del Libro verde «Promuovere la mobilità dei giovani per l'apprendimento», a noi molto caro, in ambito europeo, fornendo il nostro contributo specifico di Paese e di mondo della piccola e media impresa rispetto alla nostra organizzazione europea, che si è già confrontata con gli uffici europei.
Nel Libro verde gli ostacoli della mobilità sono già stati affrontati nel 2006, proprio perché si è preso atto del basso livello di mobilità transnazionale. È fuori di dubbio che esso sia scaturito dal fatto che vi sono state barriere formali e informali per la libera circolazione, non solo dei cittadini europei, ma soprattutto dei giovani.
I temi sono legati ad ambiti connessi all'istruzione, alla formazione, all'occupazione, agli affari sociali, al mercato interno, agli affari legali e all'immigrazione e la madre di tutti questi problemi è la competenza linguistica, quantomeno nel nostro Paese.
Come curiosità, ricordo quanto l'Olanda cercò di fare una decina d'anni fa, ponendosi il problema se cambiare la propria lingua nazionale e utilizzare l'inglese. Non a caso, l'inglese utilizzato dagli olandesi viene chiamato «double english», il che significa che nell'ambito commerciale essi si permettono di scrivere una cosa e poi farne un'altra, pretendendo, con questa logica, di avere ragione. Noi, invece, utilizziamo il nostro inglese commerciale per dire a stento «ti vendo questo bene e mi devi pagare in questi termini». Si tratta della cosiddetta quinta libertà, relativa alla circolazione della conoscenza. Mentre gli Stati Uniti d'America sono stati favoriti anche dalla lingua, noi non godiamo di tale favore. Sebbene l'Unione europea abbia avviato alcuni impegni decennali sul problema della mobilità, continuiamo a essere ancora all'anno zero.
Esistono alcuni strumenti, utilizzati in passato e tuttora in vigore, come Erasmus e Leonardo per la mobilità studentesca, e altri, come EURES, che hanno permesso la mobilità dei lavoratori. È anche vero, però, che evidentemente non abbiamo ancora fatto abbastanza, né possiamo pretendere oggi, attraverso l'utilizzo di internet, di poter risolvere tutti i nostri problemi.
È bene che coloro che sono per certi versi favoriti o chiamati dalle loro mission cerchino di creare la cultura della mobilità e di utilizzarla come argomento chiave per poterla effettivamente favorire. Scuole, centri di istruzione e formazione, università, associazioni professionali, organizzazioni giovanili, in maniera più raccordata,
dovrebbero compiere lo sforzo per cercare di favorire la mobilità, che comunque rimane problematica, perché comporta la risoluzione di numerosi problemi legati ad aspetti sociali, sanitari e a costi di soggiorno.
Dal nostro punto di vista, ci verrebbe spontaneo trovare un meccanismo - è un fatto culturale, che presenta aspetti inizialmente di tipo sociale, che rappresentano comunque forme di investimento - e individuare sistemi di finanziamento per i tirocinanti, cercando di avere un po' più di coraggio di quello mostrato finora. Soprattutto per i giovani, le spese di viaggio e di soggiorno molto spesso superano gli aiuti o le provvidenze che abbiamo a disposizione. È altrettanto vero, però, che tutto ciò deve essere compiuto in una logica di qualità e di certificazione, ragion per cui dovremmo dotarci anche di strumenti di misurazione e di follow-up per vedere se le strade intraprese sono quelle giuste.
In Italia è stata introdotta la riforma degli strumenti di politica attiva per i giovani. Se l'apprendistato, istituto giuridico a causa mista, che sembra in continuo mutamento e che richiede anche gran parte del percorso di formazione in azienda, può essere lo strumento per favorire la mobilità in ambito europeo, dobbiamo anche pensare che la tipologia delle aziende che caratterizzano il tessuto economico nazionale è composta di piccole e medie imprese. Pertanto, se vogliamo effettivamente risolvere questo problema, dobbiamo partire da questo presupposto, cercando di trovare forme importanti di finanziamento per favorire questo processo culturale, dove si pone nuovamente e andrebbe affrontato il problema linguistico.
PRESIDENTE. Ci deve ancora riferire sulla certificazione della qualità nell'istruzione superiore.
ARMANDO OCCHIPINTI, Responsabile dell'ufficio relazioni industriali della CONFAPI. A proposito del tema della certificazione della qualità nell'istruzione superiore, anche alla luce del crescente interesse che si sta riscontrando a livello europeo e mondiale, riteniamo essenziale distinguere l'istruzione legittima acquisita all'estero dalle qualifiche false.
Seppure tra mille sforzi, con il problema della crisi, che ci ha colpito quasi inaspettatamente, l'Italia è un po' indietro rispetto ai programmi indicati da Bruxelles in tema di certificazione dei processi professionali. Da pochi giorni è ripartito il tavolo degli standard minimi sulle professioni e il non plus ultra sarebbe quello di arrivare fino al riconoscimento delle qualifiche.
Ricordo una lettera di CONFAPI in risposta all'allora ministro dell'università, onorevole Colombo, che ci chiedeva di modificare - intendo mostrare quanto continuiamo forse a non dialogare tra di noi; lo riscontriamo, e riteniamo che sia un errore - i nostri contratti in modo da adeguarli alla costituzione delle lauree brevi, per creare una figura intermedia tra quadro e dirigente.
Noi abbiamo da sempre - perché gli anni passano e riferirsi al 1982 significa parlare di trent'anni fa - alcune classificazioni dinamiche: se il lavoratore sa dimostrare di saper svolgere un compito, va bene, ed è relativamente importante se sia ingegnere oppure no. È ovvio che, se è ingegnere, è meglio, perché abbiamo un potenziale in azienda per poter magari, tramite lui, avere valore aggiunto rispetto all'organizzazione aziendale. Dobbiamo, però, metterci in testa che il sistema della certificazione è talmente importante che, sino a quando non ci sarà un'authority esterna, autonoma e terza che scenda in campo, non risolveremo questo problema.
Col sistema delle regioni negli enti di formazione - anche questa è certificazione - oggi continuiamo a contare le macchine fotocopiatrici disponibili, oppure il bagno per il portatore di handicap, dimenticandoci che la qualità della formazione, la qualità nel sistema educativo è altro. Infatti, mentre noi, seppur tra impegni, sforzi e tentativi, cerchiamo di parlare di qualità, si continua nelle scuole a tentare di inserire il proprio figlio nella sezione x, y o z, in funzione di un passaparola
che si crea, in maniera estemporanea, tra genitori che hanno i figli nelle classi superiori, a dimostrazione che non siamo ancora arrivati alla soluzione del problema.
Noi intendiamo il momento della scuola come quello in cui i saperi di base comuni possano essere il punto di partenza e propedeutici ai fabbisogni dell'impresa, e non solo. È anche vero, però, che dobbiamo acquisire questi standard di cultura generale e che, a oggi, riscontriamo un'insufficienza per quanto riguarda il gap del sistema educativo rispetto a quello del mercato del lavoro, specialmente per quanto riguarda i fabbisogni professionali effettivi, con una carenza tecnologica.
In premessa alla comunicazione, ho precisato che avrei parlato in funzione dei miei interessi di parte. Oggi sono un rappresentante di parte, perché rappresento la piccola e media industria, quindi aziende manifatturiere o che svolgono attività di manifattura o al servizio del sistema delle manifatture.
È anche vero - se oggi fosse presente il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, lo confermerebbe, perché lo afferma ogni volta che lo incontriamo - che nel nostro mondo produttivo non riusciamo a trovare il 60 per cento dei fabbisogni. Proprio oggi vengo dall'esperienza reale di una telefonata a Italia Lavoro per sapere se, con alcune agevolazioni della mobilità, avrei potuto individuare un cassaintegrato o un lavoratore in mobilità che avesse competenze in contabilità. Ebbene, non sono riuscito a capire come devo procedere per assumere questa persona, nonostante sia il direttore delle relazioni industriali CONFAPI.
Forse si tratta di una divagazione e non intendo rubare tempo, ma oggi dal mondo del lavoro, seppure in crisi, non riusciamo a capire innanzitutto se il lavoro c'è e se la scuola ci forma con questo quid pluris di parte di laboratori, di parte tecnologica. Le nostre imprese oggi non sono più fortini blindati nei quali poter entrare; oggi ci siamo messi a disposizione nel mondo anche dell'education per cercare di trovare tale connubio.
PRESIDENTE. Grazie. In ogni caso consegnerà la memoria.
Do la parola alla dottoressa Germana Calviello.
GERMANA CALVIELLO, Funzionario del settore welfare della Confcommercio. Ringrazio il presidente e i membri della Commissione per questa opportunità.
Voglio precisare che il nostro contributo riguarderà esclusivamente la comunicazione della Commissione per il partenariato tra università e imprese, ai fini del rafforzamento del dialogo, in quanto è il tema che ci vede più direttamente coinvolti, proprio perché il sistema delle imprese esprime nei confronti del mondo universitario un fortissimo interesse, riconoscendo al mondo accademico il ruolo fondamentale di motore dell'economia e della conoscenza.
In particolare, il documento che ci è stato sottoposto, che tende a rafforzare il dialogo tra università e imprese, mette in evidenza alcuni aspetti che ci sono sembrati di interesse molto rilevante. Innanzitutto, ci preme il punto che riguarda l'obiettivo di rafforzare e migliorare i programmi di studio dei percorsi universitari, perché si possa creare - il collega della CONFAPI lo diceva proprio al termine del suo intervento - una maggiore corrispondenza tra le competenze dei laureati e i profili richiesti dalle imprese. È, infatti, ben nota a tutti noi la scarsa corrispondenza fra domanda e offerta sul mercato del lavoro.
Lo sviluppo dell'alta formazione è un elemento imprescindibile per il tessuto imprenditoriale; per competere adeguatamente sul mercato deve vedere aumentare in misura sempre crescente la domanda di profili altamente qualificati, che abbiano alta densità di conoscenza, ancor più per le imprese del settore terziario, che Confcommercio rappresenta, che basano la loro forza competitiva proprio sul capitale umano.
Fino a oggi, però, l'interrelazione fra sistema universitario e mondo imprenditoriale non è decollata, come sarebbe stato, invece, auspicabile. A tal proposito,
possiamo pensare alla scarsa applicazione dello strumento dell'apprendistato per percorsi di alta formazione o per il conseguimento di un dottorato di ricerca, uno strumento pensato proprio per rinsaldare le relazioni e le collaborazioni fra il sistema delle imprese e quello delle università.
Nell'ultimo rapporto ISFOL, presentato alcuni mesi fa, viene rilevato che, mentre tutte le regioni hanno manifestato un grande interesse nei confronti di questo strumento, tanto da inserirlo quasi tutte nei propri Programmi operativi regionali (POR), le applicazioni pratiche sono state ben poche. Così anche l'ampliamento effettuato con la legge n. 133 del 2008, laddove si riconosceva la possibilità di attivare la forma dell'apprendistato anche attraverso convenzioni stipulate tra datori di lavoro e università, ha prodotto scarsi risultati. In quest'ambito, di particolare interesse, c'è, dunque, molto da fare.
Un altro punto che ci preme sottolineare in merito alla comunicazione della Commissione è quello in cui si pone l'obiettivo di individuare alcune linee operative che possano contribuire a stimolare l'imprenditorialità. Favorire la crescita della cultura imprenditoriale, anche a partire dai percorsi di studio, e, quindi, fornire gli strumenti di conoscenza e di competenza mirati all'imprenditorialità significa incidere positivamente sulla crescita quantitativa e qualitativa del tessuto imprenditoriale. Sappiamo bene che un approccio consapevole all'imprenditoria, laddove sia supportato da una solida preparazione culturale specifica, è un elemento fondamentale idoneo a creare le condizioni perché si costituiscano imprese capaci di resistere e di competere sul mercato.
Come mette in evidenza la comunicazione della Commissione, per raggiungere tale obiettivo occorrono, però, cambiamenti su più fronti. Nella comunicazione - è una considerazione che ci vede totalmente d'accordo - si citano le condizioni di apprendimento, i programmi, nonché la direzione e le gestione degli atenei. Il Forum università e imprese ha messo in evidenza come sarebbe necessario - e Confcommercio lo condivide pienamente - un coinvolgimento del mondo imprenditoriale nella formulazione sia dei programmi formativi, sia della stessa attività didattica. In questo senso, un intervento più diretto e puntuale del mondo delle imprese potrebbe creare maggior stimolo a incentivare la cultura imprenditoriale.
Un ulteriore aspetto della comunicazione da sottolineare riguarda il campo della ricerca e dell'innovazione. Infatti, l'attivazione di partenariati, di progetti comuni di scambi di personale, attraverso nuove e anche più solide modalità, sarebbe fortemente auspicabile e le università rivestono un ruolo primario, con la propria attività di ricerca, per fornire gli strumenti adeguati che possano favorire l'innovazione sia di processo, sia di prodotto nelle imprese.
Sicuramente le università possono avere un fondamentale ruolo di motore nel cambiamento dei processi produttivi e portare grande giovamento alle imprese; nello stesso tempo, la stessa attività di ricerca ne verrebbe valorizzata, perché avrebbe immediata applicazione nei processi produttivi. Non è tutto; a nostro parere, anche questo potrebbe essere un elemento di valutazione del valore della ricerca condotta all'interno delle università, ossia verificare quante e di quale valenza sono le ricadute sul sistema socioeconomico.
È fortemente apprezzabile il richiamo, all'interno della comunicazione, al mondo delle piccole e medie imprese e a quanto il dialogo tra imprese e università sia più difficoltoso. È noto a tutti che il tessuto imprenditoriale italiano è prevalentemente composto di piccole e medie imprese, che non hanno al proprio interno la forza di sviluppare programmi di ricerca e di innovazione e, quindi, hanno una necessità tanto maggiore di poter attingere da altre fonti.
Proprio per la minor forza del tessuto delle piccole e medie imprese, riteniamo auspicabile che vengano attivati programmi a livello territoriale, che, a nostro parere, potrebbero prevedere un ruolo
attivo delle organizzazioni di rappresentanza e segnatamente delle proprie sedi territoriali, che sono a contatto diretto e quotidiano con le imprese e, quindi, potrebbero agire da trait-d'union tra i due sistemi, mondo imprenditoriale e sistema universitario.
Un ulteriore aspetto messo in rilievo nella comunicazione è quello di aprire le università all'istruzione e alla formazione lungo tutto l'arco della vita, un problema che si è reso ancora più evidente in questo periodo di crisi, laddove tutte le economie sono state investite dalla crisi economica, con perdite diffuse e pesanti di occupazione. Quella che era un'opportunità per i lavoratori diventa, invece, una vera e propria esigenza: la possibilità di potersi formare lungo tutto l'arco della vita non solo per mantenere la propria spendibilità sul mercato, ma anche per valorizzare il proprio ruolo all'interno dell'azienda, contribuendo, quindi, alla crescita di quest'ultima e avendo riflessi positivi sulla vitalità dell'impresa stessa.
In conclusione, svolgo due considerazioni di carattere generale. Ritenendo fondamentale il rafforzamento del dialogo fra mondo universitario e imprese, dobbiamo sottolineare, come del resto anche la Commissione ha messo più volte in luce nella propria comunicazione, che debbono essere trovati opportuni canali di finanziamento attraverso i quali il dialogo possa essere agevolato e supportato.
Ci preme, inoltre, sottolineare che nell'attivazione di questi programmi occorre tenere presente la specificità di tutti i settori economici e di tutte le tipologie di impresa, soprattutto di quelli che meno hanno potuto usufruire del dialogo con l'università e che vi hanno minore accesso.
PRESIDENTE. Do ora la parola al dottor Antonio Giunta La Spada, del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che conosciamo e apprezziamo per il lavoro svolto in questi anni, a partire dal 2002, ossia da quando ricopre l'incarico di direttore generale per gli affari internazionali.
ANTONIO GIUNTA LA SPADA, Direttore generale per gli affari internazionali del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Ringrazio il presidente, che conosco personalmente, la relatrice e i parlamentari presenti, con i quali ho avuto anche rapporti professionali, anche se probabilmente si sono un po' diluiti nel tempo.
Svolgerò alcune considerazioni. Ho lasciato anche una documentazione, che attiene soprattutto al tema della mobilità, e una pubblicazione specificamente dedicata alla mobilità dei docenti in Europa. Ovviamente, le mie considerazioni, non essendo un rappresentante di parte, ma un servitore dello Stato, saranno terze rispetto al problema, ma desunte dalla mia esperienza diretta, anche con alcune riflessioni, in particolare per quanto riguarda il tema della mobilità, declinate con riferimento al documento della Commissione europea e alla sintesi che ne ha fatto l'onorevole Centemero. Risponderò alle domande della Commissione, prefigurando quali possano essere i possibili orientamenti che essa può sviluppare in relazione alla tematica in oggetto.
Vengono posti alcuni quesiti di fondo. La prima tematica è collegata all'orientamento dell'informazione; ci si domanda, cioè, se le scuole, le università, il mondo dell'istruzione e della cultura siano sufficientemente informati rispetto alle opportunità che l'Europa offre in tema di mobilità.
Rispetto a questo segmento, la risposta è più che positiva, perché abbiamo contezza che le domande d'Europa che vengono prodotte dalle istituzioni sono superiori a quelle che, poi, vengono finanziate. Ciò non vuol dire che il sistema non possa essere migliorato, ma, sostanzialmente, attraverso segnali di informazione, vademecum, guide, abbiamo constatato, per esempio - vi abbiamo lasciato i dati statistici - che possiamo finanziare solamente il 60 per cento circa dei progetti di partenariato prodotti dalle scuole.
Vi è, quindi, una grande domanda d'Europa e, nello stesso tempo, l'Italia è tra i primi Paesi - è un altro mito da
sfatare - a beneficiare di questi finanziamenti. Non è certo nel settore dell'istruzione, dunque, che non utilizziamo tali risorse. Le utilizziamo al massimo e, per quello che riguarda sia Comenius, sia Leonardo, e in parte anche Erasmus, su cui sono meno competente, siamo in testa rispetto al numero dei progetti presentati e all'entità dei finanziamenti erogati dall'Unione. Significa, cioè, che siamo anche sopra la Germania e la Gran Bretagna, in base a dati statistici dell'Unione europea.
Si pongono, invece, alcuni problemi rispetto a tutti gli aspetti collegati al riconoscimento e alla convalida di tali segmenti di mobilità. Abbiamo potuto constatare che ciò deriva dal fatto che, sostanzialmente, nelle normative nazionali, e probabilmente anche in quella italiana, soprattutto per quanto riguarda la mobilità dei docenti, che pure è prevista in Comenius e Leonardo, ci sono ostacoli collegati a un riconoscimento giuridico-normativo dei momenti di formazione passati all'estero, soprattutto quando sono periodi più lunghi, non brevi.
È un problema che, a mio avviso, andrebbe sanato e che è collegato soprattutto al problema di chi supplisce la persona che va in formazione. Non è il solo, però, perché, per esempio, in merito all'istruzione superiore per Erasmus, anche se sto entrando nella materia da poco - l'onorevole Nicolais è stato ministro, quindi probabilmente anche docente universitario - sto constatando che molte università erogano borse di studio Erasmus, ma che tale percorso non viene riconosciuto all'interno di un contratto, di un piano di apprendimento, che noi, invece, saremmo orientati, nell'immediato futuro, a rendere obbligatorio. In caso contrario, il percorso passato all'estero, anche se positivo in quanto tale per chi ne beneficia, non si inserisce nel circuito originario concordato dalle due università.
Rendere obbligatorio e determinare, attraverso tale obbligatorietà, un riconoscimento del periodo di formazione all'estero rimane, a nostro avviso, essenziale e sarebbe opportuno che venisse acquisito come un elemento da considerare, se alcuni orientamenti dovessero essere delineati dalla Commissione. Occorre, cioè, fare in modo che l'istituto di accoglienza e quello di invio definiscano preventivamente un piano di apprendimento all'interno del quale si inserisca il percorso formativo. Questo avviene in molte università, ma non in tutte.
Avviene, invece, per le scuole, perché abbiamo reso obbligatorio che vi sia un rapporto fra i due istituti coinvolti. Il problema si pone, però, relativamente, perché i percorsi sono molto brevi, mentre quelli dell'Erasmus sono molto lunghi. L'Unione europea chiede ai Paesi che cosa sia possibile fare per migliorare la promozione della mobilità e uno degli elementi, a nostro avviso, è quello di rendere più cogenti le modalità di riconoscimento e di certificazione del percorso passato all'estero. Ciò è reso possibile salvaguardando l'autonomia delle università - per le scuole è già fatto, attraverso le delibere del collegio dei docenti - e facendo sì che tale riconoscimento sia obbligatorio attraverso un piano preventivo, un contratto di apprendimento stipulato fra l'istituzione di accoglienza e quella di invio.
La Commissione chiede anche se siano utili forme di partenariato con il territorio. Abbiamo verificato che sono estremamente positive, perché tutti i progetti di cooperazione transnazionale scatenano e sviluppano rapporti di forte sinergia col territorio. Abbiamo anche sottoscritto alcuni protocolli con le regioni e con gli enti locali e abbiamo visto che è possibile mettere insieme segmenti di competenze, nonché di risorse finanziarie, oltre che di know-how, facilitando i processi di mobilità.
Sappiamo, peraltro, che ormai gli enti locali e le regioni finanziano, come anche le casse di risparmio e le banche, tali iniziative; quindi, lo sforzo di mettere in sinergia e di triangolare queste risorse con partenariati che vengano dal livello centrale di Governo - MIUR, Ministero del lavoro e delle politiche sociali o altri soggetti - con enti locali e partenariato pubblico/privato facilita lo sviluppo di queste forme di mobilità.
Abbiamo moltissime scuole, soprattutto nel nord est, ma non solo, che effettuano molti viaggi, ricevono anche studenti stranieri e godono di finanziamenti dagli enti locali, dalla regione, dalla provincia e via elencando.
Per quanto riguarda la mobilità evidenziata come «mobilità virtuale», abbiamo già più volte sperimentato, con grande successo, l'e-twinning, il gemellaggio elettronico. Ci sono centinaia di scuole che lo fanno, perché ovviamente è più facile. Devo dire, però, che tali forme di gemellaggio non si esauriscono all'interno dei percorsi telematici, ma forniscono anche prodotti multimediali e molto spesso danno luogo anche a una mobilità fisica successiva.
La Commissione chiede anche - la relatrice l'ha evidenziato - se è importante il ruolo dei cosiddetti moltiplicatori, soggetti che fanno da volàno a tale mobilità. Rispondo senz'altro di sì. In questo senso, le parti sociali hanno un ruolo fondamentale.
Svolgo una considerazione audace, presidente, ma, se nel contratto venisse prevista anche una copertura che riguardasse la mobilità per l'estero, forse sarebbe una svolta. Il problema è, infatti, che nascono difficoltà rispetto a chi si assenta sei mesi, perché la scuola ormai non riesce più a supplire a tale assenza; di conseguenza, il dirigente scolastico dà parere negativo, l'insegnante rinuncia e noi perdiamo alcune opportunità.
Se questo discorso cade «a bocce ferme» su una normativa già codificata, diventa un ostacolo, mentre se viene prefigurato all'inizio, anche negoziandolo con le parti sociali, probabilmente - è una valutazione audace - potremmo prefigurare questo segmento a supporto delle riforme e dell'autonomia delle scuole. Sostanzialmente, le decisioni non vengono dal ministero, ma sono affidate alla scelta delle singole scuole. I progetti non partono, cioè, dal ministero, che offre un framework generale, ma si muovono sulla base delle proposte autonome delle scuole.
Dal momento che c'è una grande domanda d'Europa, sarebbe un'iniziativa che, come amministrazione, vedremmo con molto favore. Non so se sia possibile, perché è difficile, ma possiamo pensarci. Chiedo scusa per questa osservazione, ma penso che possa essere utile per gli onorevoli presenti avere, più che dichiarazioni formali, considerazioni vissute sul reale.
Abbiamo anche un altro aspetto, evidenziato anche nella relazione dell'onorevole Centemero, nonché dalla Commissione: la questione della promozione e del sostegno alla mobilità è collegato, ovviamente, anche a quello del cofinanziamento e delle risorse finanziarie ed è un problema grosso.
Vorrei ricordare che tale aspetto dovrebbe essere rivisto per poter essere sopperito in periodo di «vacche magre», in termini generali, non solo per l'Italia, ma per tutta l'Europa - è in atto una difficile congiuntura economica - richiamandoci al fatto che i documenti che la Commissione, che ringrazio, ha inteso mettere all'attenzione, su mobilità, rapporto università e impresa e riconoscimento della qualità dell'istruzione superiore, fanno riferimento a documenti dell'Unione europea. Essi ci sono presentati perché vi è un richiamo agli articoli dei trattati, che abbiamo festeggiato adesso, come il Trattato di Lisbona.
I programmi Erasmus, Leonardo, Comenius fanno riferimento a un articolo, che era prima il 149 e adesso sarà il 165. Nel momento in cui l'Italia fa parte dell'Unione e si approva una decisione, questa è vincolante per i destinatari, anche se l'istruzione non è una politica comune. Quando vengono tagliati i capitoli di cofinanziamento dei programmi dell'Unione europea, e vengono tagliati ogni anno, si vìolano i trattati dell'Unione e noi abbiamo difficoltà a cofinanziare rispetto alle risorse che da essa ci vengono erogate.
Questo è un altro elemento fondamentale. Forse è meglio tagliare da un'altra parte perché, ove riceviamo, possiamo spendere perché riceviamo; si tratta, quindi, di risorse aggiuntive ed essendo tali, se tagliamo 100, non riceviamo 200, il che va a danno di tutti, dei ricercatori, delle scuole e delle università. Probabilmente,
anche l'aspetto del cofinanziamento andrebbe considerato. Chiedo scusa, ma lo ritengo un punto fondamentale.
In merito al rapporto università-impresa, ambito in cui sono meno competente, voglio evidenziare che cercheremo di sviluppare una nuova misura, che si chiama Erasmus Placement, che viene applicata da uno o due anni e riguarda forme di mobilità da parte di studenti universitari e di imprese. È un'iniziativa del tutto nuova, che sta riscuotendo un grande successo.
PRESIDENTE. Do ora la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni. Immagino che anche l'onorevole Centemero voglia intervenire.
LUIGI NICOLAIS. Signor presidente, prima di tutto voglio ringraziare sia la CONFAPI, sia Confcommercio, sia il direttore Giunta La Spada per il loro intervento.
Dalle considerazioni emerse, si evidenzia ancora una volta che, purtroppo, nel nostro Paese non esiste il collegamento tra i blocchi. Abbiamo tutta la filiera della conoscenza, con tutti i diversi blocchi che rappresentano la scuola media inferiore, superiore, l'università e l'impresa, ma probabilmente non abbiamo sviluppato in modo adeguato in questo sistema, in cui la conoscenza rappresenta un elemento essenziale per la competitività del Paese, l'interazione tra tali blocchi. Abbiamo sentito, specialmente all'inizio dal dottor Occhipinti e poi anche dagli altri intervenuti, che uno dei grandi problemi è far parlare linguaggi diversi, parlare di università con le imprese, specialmente se medio-piccole. Talvolta non è un problema di trasferire conoscenze, ma di linguaggio, di termini diversi.
Si pone la necessità forte di individuare un sistema che permetta rapidamente di trasferire le conoscenze alle imprese, che va sviluppato in modo appropriato. Quello che succede nell'ambito del trasferimento tecnologico nel nord d'Italia o nel nord est non è lo stesso che accade nel sud. È necessario, dunque, sviluppare sistemi appropriati di technology transfer e di interazione.
Oggi molte università hanno cominciato a creare dei liaison office, uffici che possano interagire con l'impresa, perché per quest'ultima - specialmente per quella medio-piccola - è difficile capire con chi interagire all'interno dell'università. Un'università di dimensioni medie italiane che ha, per esempio in una facoltà di ingegneria, 400 professori, rappresenta tutto, ma anche niente.
Avere tante informazioni a volte è peggio che non averne alcuna. Sostenevo anche in passato, quando parlavamo dell'insegnamento, che oggi anche in quest'ambito dovremmo usare l'informatica per insegnare e non solo insegnare informatica, proprio perché dobbiamo insegnare ai nostri giovani in che modo accedere all'informazione che serve in mezzo a una giungla di dati. In passato, i ragazzini non sapevano dove andare a comprare l'antologia per poter trovare informazioni. Oggi il problema è cambiato totalmente: abbiamo troppe informazioni e molto spesso l'impresa non sa con chi parlare. Il liaison office, che alcune università più avanzate hanno già creato, permette di avere l'interlocutore unico per l'impresa e, quindi, un rapporto diretto.
Il settore della piccola e media impresa oggi sta cambiando sostanzialmente il suo modo di essere: da sub-fornitore si trasforma in partner tecnologico e, quindi, ha più bisogno di ricerca di quanto ne aveva nel passato, il che richiede un ulteriore forte collegamento con le università.
Credo che uno dei punti da evidenziare in questa nostra realtà italiana sia proprio la mancanza di attenzione ai sistemi di interazione. Non abbiamo università che fanno attività di orientamento con le scuole. Spesso una passeggiata per un laboratorio è considerata orientamento, ma non è tale, perché, se si trova un docente un po' più simpatico, i ragazzi scelgono una data facoltà, se ne trovano uno un po' più antipatico, ne scelgono un'altra. L'orientamento è qualcosa di
molto più cogente e più forte: abbiamo bisogno di avere periodi di vita comune tra l'università e la scuola, come succede per le imprese.
State portando avanti alcune iniziative in questo senso, fortunatamente, come lo sta facendo l'Europa, e si sta avviando un processo in cui il rapporto tra università e impresa è un po' più stretto, per cui non si tratta più della scelta improvvisa del passaggio da studente a nulla facente. Esiste, invece, un sistema in cui il placement diventa importante.
Abbiamo sentito parlare dal direttore di un placement in Europa, ma ne avremmo bisogno anche di uno in Italia e che le università si responsabilizzassero in materia; la loro attività non deve finire nel momento in cui gli studenti consegnano la laurea, dopodiché sono persone diverse e non più allievi di quegli atenei. Questo è il punto centrale su cui dovremmo riflettere.
Anche l'inglese, di cui si è parlato prima - vi ha accennato il dottor Occhipinti - è un argomento importante: oggi non possiamo permetterci di non parlare inglese o di non insegnare in inglese. Secondo me, questo è un altro punto su cui bisognerebbe insistere. Bisognerebbe imporre che per un dottorato di ricerca, specialmente nelle discipline tecniche, siano necessari percorsi in una lingua diversa dall'italiano. Solo così ci internazionalizziamo veramente. Quando ero più frequentemente all'università, spesso mi scrivevano studenti di altri Paesi, indiani, cinesi, americani, che volevano svolgere il dottorato di ricerca da noi, ma la grande barriera era determinata dal fatto che la maggior parte dei corsi erano in italiano, il che rappresentava per loro un'autentica difficoltà. Ho avuto uno studente americano che ha imparato l'italiano, ma i casi sono uno su 500, normalmente non succede. Questo è un altro punto su
cui tutti insieme dovremmo lavorare, affinché ci sia un cambiamento culturale nelle nostre università.
L'altro aspetto che è stato toccato è la certificazione di qualità. A volte, nelle università parlare di certificazione di qualità sembra un'ingerenza nelle autonomie. Sono un professore universitario, quindi lo affermo conoscendo bene i miei colleghi. Molto spesso, ognuno di noi è convinto di lavorare in qualità, di essere il miglior docente che esista. Nessuno si rende conto che certificare la qualità non significa certificare la buona qualità, ma la costanza di qualità, che è un elemento importante, perché si sa che tutti i colleghi insegnano mantenendo costante la qualità dell'insegnamento e per fare ciò c'è bisogno di certificazione.
Nelle università campane, all'epoca in cui ero assessore, ho avviato un progetto speciale, finanziandolo come regione. Dovrebbe essere una spinta locale, più che centrale, perché significa qualificare le proprie strutture, finanziando la certificazione di qualità delle nostre università. Alcune nostre università l'hanno fatto, ovviamente per corsi di laurea e non generalmente, perché non si può certificare tutto: si certificano le parti per poi certificare il tutto, certificando le università. Secondo me, questo è un risultato importante, perché un imprenditore in Italia deve sapere da dove viene un giovane e quale forma di didattica gli è stata somministrata. La certificazione di qualità è un modo per inserire il sistema di valutazione di cui abbiamo fortemente bisogno.
Oggi noi, per il fatto di essere laureati, pensiamo di aver ottenuto l'obiettivo, perché la laurea ha un valore legale. Non è così, perché purtroppo le nostre lauree, in genere, non sono tutte uguali, non hanno tutte lo stesso contenuto, né di trasferimento di conoscenze, né di formazione diretta dei nostri docenti, e quindi è importante la certificazione.
Penso che questa indagine conoscitiva sia molto importante per noi; ne abbiamo bisogno internamente come Paese e non solo per rispondere all'Europa. È l'elemento su cui dobbiamo puntare per crescere in questo Paese, che deve svilupparsi solamente basandosi sulla conoscenza. Per fare ciò, ha bisogno di più valutazioni, interazioni, collegamenti e qualità. Credo che tutti noi dovremmo insistere perché si possa prendere atto dei risultati dell'indagine,
per poter noi stessi cercare di migliorare la qualità della nostra università, del rapporto con l'impresa, del rapporto con la Confcommercio e, quindi, con tutti gli operatori. È un punto importante per lo sviluppo del Paese.
PRESIDENTE. Prendo la parola, mi iscrivo anche io, poi conclude l'onorevole Centemero. Ringrazio i nostri auditi. Mi sembra che possiamo giudicare sicuramente in modo positivo le iniziative già attuate dai soggetti esterni alla scuola per realizzare con essa gli obiettivi europei. Nella fattispecie, abbiamo ascoltato l'API, Confcommercio e abbiamo avuto conferma anche dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca che certamente questi anni non sono trascorsi invano rispetto a una situazione di totale diffidenza - diciamoci la verità - tra i settori.
È senz'altro importante il discorso della comunicazione che si è verificata rispetto ai mondi dell'impresa, dell'università e della scuola, che vuole e intende collaborare. L'alternanza scuola-lavoro, l'apprendistato per l'espletamento del diritto/dovere di istruzione e quello professionalizzante, concetti entrati nelle nostre leggi, il CLIL - l'onorevole Nicolais faceva riferimento alla competenza linguistica dell'inglese - sono tutte conquiste che abbiamo ottenuto e con cui abbiamo arricchito la nostra legislazione.
C'è ancora molto da fare e l'avete dimostrato. Lo ha affermato anche il direttore Giunta La Spada, con riferimento all'educazione permanente e a una certificazione che ci consenta di abolire definitivamente il valore legale e di spostare, invece, l'attenzione sugli esiti di apprendimento, più che sui titoli di studio e, quindi, su una ricerca di indicatori. In questo l'Europa ci ha dato sicuramente una mano e abbiamo potuto inserire anche nella recente riforma dell'istruzione secondaria il riferimento agli indicatori europei.
Resta molto da fare per la mobilità. Possiamo vantare una percentuale molto alta di mobilità di studenti, come ci ha confermato il ministero, che ringraziamo per il lavoro svolto e per i dati che ci ha consegnato, mentre la mobilità dei docenti non appartiene per nulla alla nostra tradizione. Finora, dove si è verificata è stata su base volontaria, perché i docenti hanno voluto o potuto sperimentarla nei mesi estivi o con corsi di aggiornamento, ma non rientra nella nostra consuetudine, come ha giustamente sottolineato il direttore Giunta La Spada. Ci impegniamo, evidentemente, a fare in modo che, sia con indirizzi più generali, sia con una maggiore attenzione, nel dialogo con il Governo, alla fase contrattuale, ci possa essere davvero anche la possibilità di arricchimento per i docenti che lo vogliono e lo possono ricercare.
Abbiamo tentato in passato - ma sono esperienze che si contano sulla punta delle dita - per esempio, a prevedere la presenza di nostri docenti all'estero e poi a effettuare scambi con le stesse istituzioni nelle nostre scuole. Sono state compiute - come ricordava l'onorevole Nicolais - con riferimento all'università, laddove altri soggetti istituzionali (regioni, province) hanno voluto finanziare tali iniziative.
Ciò non ci aiuta, perché il docente italiano è ancora una figura - questo vale meno per l'università, grazie a Dio, ma molto di più per la scuola - molto provinciale, da quel punto di vista, in quanto legato alla tradizione scolastica e al modo di comunicare e di fare scuola molto più nazionale. Naturalmente, quando si generalizza, non si fa un buon servizio alle eccezioni, che pure ci sono, però avete capito quello che intendo. La legislazione non ha favorito un cambiamento e i costi, naturalmente, sono anch'essi da mettere in conto per una figura professionale che forse dobbiamo cominciare a formare già diversamente. Prevedere stage all'estero già nella formazione iniziale potrebbe essere uno stimolo.
Onorevole Centemero, può prendere la parola. Tutti gli onorevoli che sono in seduta prendono la parola; è un modo per dare valore e sostanza alle audizioni.
ELENA CENTEMERO. Presidente, avevo chiesto la parola ben prima di lei.
PRESIDENTE. Lei è il relatore, onorevole, e deve concludere. Se non ha capito il gesto, mi spiace. L'ho fatto per una forma di riguardo nei suoi confronti, perché lei è il relatore degli atti comunitari.
Eravamo iscritte a parlare entrambe. Le ho riservato l'ultimo intervento perché lei è la relatrice ed è giusto che lei concluda.
ELENA CENTEMERO. Signor presidente, lei sa benissimo che sono impegnata in questo momento in altre questioni e non può dirmi quello che devo fare. Avevo chiesto la parola ben prima di lei proprio per ragioni di esigenze personali legate a situazioni che lei conosce benissimo e che non è corretto che siano inserite all'interno di quest'audizione.
Sarò molto veloce, proprio perché devo uscire e lasciare la Commissione. Innanzitutto, voglio ringraziare tutti i presenti, in particolar modo il direttore Giunta La Spada, che ci ha informato e ha anticipato una delle domande che avrei voluto porgli, relativa alla diffusione, all'interno del sistema di istruzione italiano, della partecipazione ai programmi di mobilità europea, per quanto riguarda sia i docenti, sia gli studenti, sia i lavoratori, perché il programma Leonardo prevede propriamente anche questo aspetto.
Sono estremamente confortata dai dati che ci ha fornito, soprattutto perché, a volte, si pensa che l'Italia sia sempre il fanalino di coda, mentre, in realtà, rispetto anche ad altri Paesi europei, la sua partecipazione all'Europa è sempre più consistente.
Condivido quanto ha affermato il mio collega in precedenza sull'importanza che gli atti comunitari rivestono, non solo in dimensione europea - noi siamo uno dei Paesi dell'Europa - ma anche per la ricaduta che debbono e possono avere in termini sia di mentalità, sia di azioni concrete, di miglioramento continuo del nostro panorama di istruzione, legato sia all'istruzione primaria e secondaria, sia a tutta la filiera dell'università.
Ritornerò poi sul tema della qualità, uno dei temi che mi vede più appassionata, in quanto sono stata per anni responsabile di un sistema qualità all'interno dell'istruzione superiore. Credo che sia uno degli aspetti meno conosciuti, ma che vanno maggiormente sviluppati e incentivati all'interno del nostro sistema di istruzione, proprio, come sosteneva lei, con gli interventi degli enti locali, sia delle regioni, sia delle province, nonché a livello nazionale.
Per tornare, invece, alle altre persone che sono state convocate qui oggi, mi rivolgo innanzitutto a CONFAPI, con riferimento alle piccole e medie imprese e al tessuto produttivo del nostro Paese. Quali sono le principali difficoltà che le piccole e medie imprese e voi, come associazioni di categoria, avete riscontrato nella possibilità di creare partenariati tra impresa piccola e media e università? Penso anche al sistema di istruzione, perché molto spesso, anche se non è materia specifica dei provvedimenti in esame in questo momento, anche il partenariato tra piccole e medie imprese e mondo dell'istruzione, soprattutto secondaria, presenta numerosi aspetti di difficoltà, legati forse a un'ancora scarsa diffusione di mentalità, non solo nelle scuole, ma anche nelle piccole imprese. Questa è la domanda che vi rivolgo.
Per quanto riguarda, invece, la qualità, più che formulare una domanda, presento una proposta, che mi è venuta in mente ascoltando ciascuno di voi, in particolar modo il mio collega. La qualità è un sistema di miglioramento costante e non consiste soltanto nel contare il numero delle fotocopiatrici che ci sono in una scuola o in un'università; è un aspetto marginale del sistema di qualità. Non è neanche solo affermare di insegnare bene, ma trovare indicatori qualitativi o quantitativi che riescano a descrivere un modello standard di qualità, di insegnamento e di servizi.
Potrebbe essere interessante, collegandoci a questi due aspetti, porre tra gli indicatori di qualità che il ministero, le università o gli enti che accreditano e che
finanziano il nostro sistema di istruzione, in questo sistema di cofinanziamento, che credo sia estremamente importante, sia a livello europeo, sia a livello interministeriale, la partecipazione a programmi di mobilità transfrontaliera, le partnership tra piccole e medie imprese e università o tra grandi imprese e università. Penso che possa essere anche un indicatore che potrebbe contribuire a finanziare, a livello sia europeo, sia nazionale, università e/o istruzioni non più a pioggia, se vogliamo incentivare proprio questi due aspetti, che riteniamo fondamentali, nell'ottica del miglioramento continuo della formazione e dell'istruzione e della qualità all'interno delle università.
Mi dispiace di non potermi fermare. Leggerò nello stenografico le vostre risposte.
PRESIDENTE. Onorevole Centemero, apprendo adesso che lei non sarà presente alla replica. Mi scuso, ma ero convinta che lei, da relatrice, si fermasse. Avrebbe potuto comunicarmelo un momento prima.
Do la parola ai nostri ospiti per la replica.
ARMANDO OCCHIPINTI, Responsabile dell'ufficio relazioni industriali della CONFAPI. Nel ringraziare particolarmente l'onorevole Centemero per la domanda, ringrazio anche il presidente e l'onorevole Nicolais che ha parlato prima. Ho preso diligentemente appunti, in quanto ho trovato interessante questo confronto molto più delle mie personali considerazioni, proprio perché sono state fornite indicazioni per cercare di migliorarci, in quanto, in questo momento, nessuno ha una ricetta risolutiva al problema. Parliamo, infatti, di un argomento che difficilmente si può focalizzare e mettere in un angolo. È una materia in continua evoluzione e, quindi, avere informazioni utili per cercare di migliorarci è per noi uno stimolo, nonché una tranquillità per un futuro più sereno.
Rispondendo particolarmente alle richieste avanzate dalla relatrice Centemero, quando si è parlato del rapporto università-impresa, come CONFAPI, Confederazione italiana piccola e media industria - l'ho ricordato all'inizio - pur rappresentando il comparto della piccola e media impresa, in realtà siamo piccola e media industria, privata, quella che chiude se non riesce ad affermarsi nel mercato. Non abbiamo aziende che forniscono tariffe o municipalizzate, ma aziende che operano nel mercato. Per noi il dialogo con l'università è sempre stato strategico e abbiamo cercato, come organizzazione e società di mezzo, di offrire il migliore raccordo possibile.
Abbiamo anche la fortuna di ricordarci del passato. Oggi non è più come nel passato, quando c'erano difficoltà. Prima, con una battuta, sperando di non essere stato irriverente rispetto al contesto nel quale mi trovo, ho parlato di università come Olimpo del sapere, depositaria della scienza rispetto a noi comuni mortali, che non apprendevamo e non comprendevamo. Negli anni siamo scesi in campo, abbiamo cominciato a essere anche giocatori e forse, talvolta, ci siamo seduti anche in panchina, usando una metafora. Oggi il dialogo con l'università è, quindi, di casa.
Prima parlavo di maggiori laboratori e materie tecniche nel mondo della scuola; in realtà, abbiamo iniziato il Progetto '92, ancor prima del direttore Giunta La Spada, proprio come laboratorio di confronto, dove presidi, docenti e studenti si sono confrontati con noi. Abbiamo di molto sgrezzato la materia e oggi tale confronto è diventato un connubio. Oggi stiamo, dunque, rafforzando e non scoprendo questa interazione, pur sapendo che comunque comanda l'innovazione tecnologica, che porta all'interno dell'azienda cambiamenti gestionali.
La Camera dei deputati non è un'azienda, ma oggi voi avete Internet, come ce l'hanno tutti, avete innovazioni e tecnologie, come le hanno tutte le aziende che operano nel mercato. Questi strumenti hanno portato anche in casa vostra un cambiamento gestionale e organizzativo; forse è più facile per voi trovare queste figure, perché noi operiamo con logiche di mercato mentre qui si opera con logiche
diverse, perché si sta fornendo un servizio pubblico e, quindi, i servizi si comprano e basta. Noi, che operiamo con logiche di mercato, abbiamo la necessità che il confronto avvenga secondo determinate regole.
Tocco ora l'argomento della qualità, che è stato definito come sistema di miglioramento costante. Per noi la qualità è il mercato. Operiamo proprio sulla qualità, perché poi il mercato ci risponde e ci dà ragione.
Quando si parla di università, si fa riferimento però anche a una casa in cui c'è la cultura. Non sarei troppo americano, troppo statunitense, nella ricerca di un'università al servizio dell'impresa, ma resterei più nella logica che l'università è il centro di cultura all'interno del quale poter attingere. Sarei, in sostanza, un po' più prudente, pur essendo sul fronte imprenditoriale; sono cittadino italiano e, quindi, libero pensatore e posso sostenere che in America si affermerebbe un professore perché ha una commessa della General Electric, che, al di là degli aerei, produce anche armi.
Vedrei l'università più come uno strumento per permettere di avere utilizzi di ricadute in termini di ricerca applicata per le nostre aziende, però nel rispetto della cultura, che rappresenta il punto attorno al quale focalizzare l'argomento.
GERMANA CALVIELLO, Funzionario del settore welfare della Confcommercio. Mi associo alle considerazioni del collega della CONFAPI rispetto al rilevante interesse di quest'audizione. Anch'io, come lui, ho preso appunti, perché credo che i vostri interventi siano stati molto importanti e densi e ritengo che quello di oggi sia stato veramente un momento di crescita.
Riguardo alla domanda che veniva posta dal relatore, credo che una risposta sia stata già data, in effetti, dall'onorevole Nicolais, laddove sostiene che è difficile all'interno dell'università capire chi sia il riferimento. È chiaro - lo avevo già affermato, in parte, anche nel mio intervento - che tanto più l'impresa è piccola, tanto meno avrà la capacità e la forza di potersi orientare. Per questo motivo noi riteniamo importante - alcune sperimentazioni sono già state condotte nel nostro mondo - che il confronto avvenga per il tramite delle associazioni.
In realtà, le associazioni, o anche le nostre federazioni di settore, hanno in questi anni agito proprio da collegamento, trasferendo, poi, ai propri associati che avevano realtà troppo piccole per potersi confrontare con le università, questo bacino di conoscenza, che è indiscutibilmente di grande valore.
Per quanto riguarda, invece, la qualità, credo che - come sosteneva anche il relatore - la costruzione degli indicatori sia fondamentale, affinché sia gli studenti, sia le imprese possano sapere con chi stanno dialogando. Anche il sistema dei finanziamenti - sono d'accordo, ancora una volta, con il relatore - dovrebbe essere basato sulla certificazione di qualità.
ANTONIO GIUNTA LA SPADA, Direttore generale per gli affari internazionali del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Ringrazio la presidenza e i componenti della Commissione per quest'audizione, nonché i colleghi che mi hanno preceduto e che sono qui convenuti.
Voglio segnalare solamente che, per quanto riguarda il discorso della mobilità, esistono anche strumenti europei, che probabilmente sono già stati valorizzati, ma forse dovrebbero esserlo ulteriormente: abbiamo un quadro europeo delle qualifiche professionali, un sistema di riconoscimento dei crediti accademici, strumenti come Europass, che facilitano il riconoscimento, anche se non la certificazione, delle competenze acquisite.
Sarebbe molto utile per il mondo della scuola - conoscendo il «popolo» europeo - che venisse data visibilità, anche sotto il profilo politico, a tali strumenti. È stato fatto, ma forse dovrebbe essere fatto in modo più rilevante affinché la dimensione europea dell'educazione, che peraltro è prevista nei trattati ed è aggiuntiva rispetto alle politiche nazionali - sappiamo che l'istruzione non è politica comune venga resa più visibile, nonché implementata.
PRESIDENTE. Nel ringraziare i nostri auditi per la disponibilità manifestata, dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 16,05.