Sulla pubblicità dei lavori:
Tortoli Roberto, Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SULLE POLITICHE PER LA TUTELA DEL TERRITORIO, LA DIFESA DEL SUOLO E IL CONTRASTO AGLI INCENDI BOSCHIVI
Seguito dell'esame del documento conclusivo:
Tortoli Roberto, Presidente ... 3 7
Mariani Raffaella (PD) ... 3
Zamparutti Elisabetta (PD) ... 7
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 10,15.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle politiche per la tutela del territorio, la difesa del suolo e il contrasto agli incendi boschivi, il seguito dell'esame del documento conclusivo.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire.
RAFFAELLA MARIANI. Signor presidente, noi abbiamo già avuto modo di leggere la proposta di documento conclusivo che è stata presentata e condividiamo tutto quanto è stato scritto. Vogliamo sottoporre al relatore alcune osservazioni e richieste di piccole modifiche che, dal nostro punto di vista, renderebbero più completa il documento conclusivo.
La premessa è che, sul piano normativo occorra fare ancora un po' di pulizia, per così dire, di semplificazione. Ci è stato segnalato, ad esempio, anche da addetti ai lavori che gestiscono la pianificazione sul territorio, dalle Autorità di bacino ad enti come le province, che vi sono ancora richiami e riferimenti normativi a regi decreti vecchi ormai di cento anni, ma che hanno, comunque, un'incidenza, soprattutto in riferimento alle aree demaniali e alle aree golenali dei grandi fiumi, da cui deriva un appesantimento delle procedure, ma anche il rischio di una lettura parziale delle problematiche legate oggi alla pianificazione.
Ovviamente, la normativa costruita e pensata cento anni fa non tiene conto di un sistema più complesso di infrastrutturazione dei nostri territori, e toglie a chi deve controllare e gestire anche l'operatività e la possibilità di leggere alcuni fenomeni in un sistema più ampio.
Questo ci è stato fatto notare soprattutto in riferimento alle aree demaniali. Inoltre, è stata portata alla nostra attenzione anche una nostra piccola mancanza: sarebbe stato interessante sentire anche, nelle numerose audizioni che abbiamo fatto - ma nessuno di noi ci ha pensato - i responsabili dell'Agenzia del demanio. Oggi sappiamo tutti benissimo - se lo ricollochiamo nei nostri territori di appartenenza - che in quelle aree sono avvenuti i più grandi mutamenti e, in conseguenza di essi, in alcune situazioni di calamità, i più grandi disastri e danni economici, oltre che alle strutture, a volte, anche alle persone.
Nelle aree demaniali si è causato il maggior spregio alla natura, sono state erette costruzioni abusive e non si è tenuto conto di un equilibrio molto delicato, che fa riferimento alla possibilità di inondazioni, di scorrimento dei più grandi fiumi. Si è andati molto con «l'accetta», per così
dire, e forse in quella direzione oggi dovremmo accendere un po' di più i riflettori.
Questo naturalmente rientra in tutto un sistema, a cui abbiamo assistito, di speculazioni, sia edilizie, sia di altro tipo, che ha comportato disastri non indifferenti. A quel proposito, anche da un'ultima lettura delle conclusioni, ci è stato segnalato, da figure vicine all'Autorità di bacino, che oltre ad attribuire ai cambiamenti climatici e ai periodi di siccità prolungati alcune manifestazioni dei danni nelle aree a rischio idrogeologico, soprattutto attorno ai grandi fiumi, bisogna capire che l'intensificazione degli eventi di piena catastrofica dipende anche dalla massiccia realizzazione di opere di difesa e di argini, calcolati anche in maniera non corretta, alla luce dell'infrastrutturazione pesante che si è avuta in quelle aree.
In questo senso, è mancata certamente una visione interdisciplinare e, opportunamente, si ripete in tutta la proposta di documento conclusivo e nelle conclusioni anche il fatto che non c'è stato dialogo tra le diverse autorità che dovrebbero attenersi alla pianificazione. Mi riferisco all'Autorità di bacino, alle province e ai comuni, che pianificano senza parlare tra di loro.
Un'altra questione, oltre a quelle del ruolo delle Autorità di bacino, che spesso sono chiamate in causa nella discussione e nella definizione del migliore utilizzo del territorio, è relativa alle direttive comunitarie. Noi dobbiamo forse sottolineare un po' di più che, oltre alla direttiva quadro acque (2000/60/CE), cui facciamo sempre riferimento, dobbiamo riferirci anche alla direttiva sul rischio alluvionale (2007/60/CE), che abbiamo potuto discutere anche col presidente Tortoli in un recente convegno che abbiamo tenuto con l'Autorità di bacino dell'Arno. Tale direttiva chiama direttamente in causa anche il raggiungimento di un buono stato dei corpi idrici superficiali e sotterranei perseguito dalla citata direttiva 2000/60/CE che ha come obiettivo, entro il 2015, una corretta pianificazione e gestione degli usi dell'acqua. Anche in quel caso, i riferimenti sono direttamente connessi con il nostro lavoro.
Vorrei, quindi, se voi siete d'accordo, che oltre alla direttiva quadro acque (2000/60/CE), fosse nominata all'interno del documento conclusivo anche la citata direttiva sul rischio alluvionale (2007/60/CE), vale a dire i capisaldi che la Commissione europea ha messo in campo rispetto alle dirette applicazioni, in termini di assetto idrogeologico, ma anche di acque.
Naturalmente, entrambe le direttive fanno riferimento al ruolo dell'Autorità di bacino e di distretto e, in questo senso, trovo giusto - come è già stato scritto nelle conclusioni - ribadire il rafforzamento e la definizione esatta del ruolo dell'Autorità di bacino e di distretto, e avanzare una richiesta al Governo per la definizione, il più possibile rapida, dei distretti idrografici. L'avevamo sollecitata anche, se vi ricordate, nella discussione di alcuni provvedimenti che ci sono passati davanti in questi mesi.
Naturalmente, occorre tenere conto delle specificità del nostro Paese. Siamo consapevoli che l'organizzazione per distretti idrografici, a cui fa riferimento la normativa comunitaria, deve tener presenti le peculiarità del territorio italiano evitando di considerare distretti così ampi come negli altri Paesi europei ma, in alcuni casi, proprio per tali particolarità, al di là dei grandi fiumi, valutare la dimensione omogenea e più efficace possibile per evitare gravi danni ai territori circostanti.
Il nodo che più spesso abbiamo affrontato è quello di chi redige i programmi di intervento a scala di bacino idrografico. Abbiamo sentito, anche nelle audizioni che abbiamo fatto, un forte contrasto tra le Autorità di bacino e gli altri enti che pianificano. Auspicheremmo, per questo, che nelle conclusioni del documento conclusivo dell'indagine vi fosse un'indicazione chiara al Governo sul fatto che più che un'eccessiva normazione e produzione di leggi ulteriori, è necessario un chiarimento definitivo del ruolo di tutti questi soggetti, nonché il rafforzamento di quelli
che, per strumenti e conoscenze, oltre che per professionalità e qualità delle strutture, hanno la maggiore competenza professionale e «facilità» di pianificazione.
Abbiamo introdotto nel passato alcuni decreti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che hanno complicato molto, e anche peggiorato, la situazione dell'Autorità di bacino. In alcuni casi, per esempio nella legge n. 179 del 2002, si è modificato pesantemente il sistema di programmazione delle risorse destinate agli interventi delle opere sul territorio, e si sono preannunciati provvedimenti che potessero, di fatto, rimandare le risorse destinate agli interventi sul territorio, esautorando, in alcuni casi, l'attività dei comitati istituzionali. In tutto questo caos si è prodotta una frammentazione che ha peggiorato la situazione.
È questo il punto da cui siamo partiti nel dare il via a questa indagine, sottolineando che diverse fonti di erogazione delle risorse e diverse istituzioni, rispetto alle quali non c'è un coordinamento, hanno peggiorato la situazione fino al punto che si è scarsamente riconosciuto l'ordine delle priorità, nonché il grado di pericolosità all'interno delle aree, e abbiamo visto finanziare opere che non avevano un grado di pericolosità elevato, a differenza di altre che, invece, rappresentavano emergenze e avevano, quindi, la priorità assoluta su tutte le altre.
In tutto questo si è innestato anche un abbandono delle istituzioni che dovevano fare la pianificazione in maniera corretta, e assistiamo per questo alle lamentele delle Autorità di bacino, che non hanno avuto più fondi per andare avanti. Se vi ricordate, anche nel passato abbiamo dovuto prorogare, nelle fasi transitorie, la loro esistenza, senza però dar loro la possibilità di utilizzare fino in fondo le loro risorse, e anche il personale qualificato necessario, un po' per il blocco del turnover, un po' perché erano mancate le situazioni per erogare risorse. Abbiamo, quindi, paralizzato anche quel sistema.
Devo per questa ragione rimarcare un punto: o si ha il coraggio di abolire alcune istituzioni, o si deve dare loro la possibilità di operare, eventualmente prevedendo una maggior facilità di controllo e di osservazione del loro modo di agire e di interagire anche con le altre istituzioni. In questo campo abbiamo aperto molte finestre su alcuni problemi, ma non siamo riusciti a vederne un effetto positivo.
Dal momento che stiamo parlando di Autorità di bacino e di distretto, sottolineo che ci è stato fatto rilevare più volte un meccanismo molto generico di approvazione dei piani di bacino e dei piani di assetto idrogeologico (PAI), in comitati istituzionali che sono diventati ormai quasi delle fiere, perché non si è avuta la possibilità di approfondire, dal punto di vista qualitativo e anche quantitativo, i fenomeni che ogni autorità portava alla discussione presso il Ministero e i comitati istituzionali. Tutto questo - come ci è stato sottolineato dal COVIRI, oltre che dai singoli rappresentanti dei territori - ha diminuito sia il valore del lavoro svolto, sia l'attenzione su fenomeni che sottolineano la fragilità di quasi tutte le regioni italiane e, in alcuni casi, anche un'emergenza gravissima che, come abbiamo visto anche negli ultimi mesi, ha portato a situazioni veramente impensabili.
Occorre, dunque, riportare a una maggiore efficacia momenti istituzionali, che sono quelli dell'erogazione dei fondi, ma anche della conoscenza e dell'allarme su alcune situazioni molto gravi. Per parlare chiaro, occorre occuparsi non solo della spartizione delle risorse, regione per regione e autorità per autorità, ma anche di uno spazio e di un luogo per avvertire le istituzioni centrali di situazioni che hanno ormai manifestamente un carattere emergenziale. Se questo avvenisse, infatti, quantomeno, non si potrebbe sostenere, né da parte delle istituzioni statali, né da parte di quelle regionali, che non si era a conoscenza di fenomeni, che sono magari cartografati e denunciati sui territori, e rispetto ai quali c'è stata una scarsissima attenzione e sensibilità.
Abbiamo anche dovuto sottolineare - io prima ho fatto riferimento alla direttiva acque parlando delle cause dei dissesti idrogeologici - che la messa in sicurezza,
la protezione dei corpi idrici, deve tener conto anche del principio del non deterioramento di tali corpi e fare specifico riferimento a tutti i fenomeni che possano dare protezione e tutela al corpo idrico in senso più generale. Mi riferisco sia alla qualità, sia anche alla parte morfologica del corpo idrico, che come abbiamo visto tante volte ha un impatto gravissimo sul territorio circostante.
Un'altra considerazione che vorremmo aggiungere nelle conclusioni è la necessità, in alcune situazioni, anche di interventi di rinaturazione e di recupero della funzionalità ecologica di alcuni territori. Si parla di zone di espansione dei fiumi e di riforestazioni protettive, tutte opere che oggi magari sono definite genericamente come di ingegneria naturalistica, ma che privilegiano il recupero di aree già utilizzate o che devono essere riqualificate.
Noi abbiamo preparato alcuni appunti, che lascerò al relatore al fine di valutare l'opportunità di apportare alcune modifiche alla proposta di documento conclusivo. Penso che sarebbe utile, in un documento che ha svolto un lavoro così attento, sottolineare anche tale necessità.
Sulla questione degli incendi boschivi non abbiamo molte osservazioni dal nostro punto di vista. Anche dalle audizioni sono emerse molto chiaramente le indicazioni e pensiamo che non vi sia niente da aggiungere a quanto è stato detto.
In conclusione, mi domando se, dall'esito che noi daremo all'indagine conoscitiva, non debba scaturire anche uno stimolo al Ministero dell'ambiente per modificare il quadro normativo vigente - ed eventualmente, come si diceva, anche abrogare la normativa più vecchia -, ma anche per individuare, più che modifiche della legislazione, modalità di intervento e strumenti capaci di dare attuazione in una maniera più efficace ed efficiente di quanto non avvenga oggi a quello che esiste già sul piano normativo. Inoltre, sarebbe necessario rendere questo aspetto attuativo più omogeneo su tutto il territorio italiano, perché abbiamo notato che alcune regioni hanno fatto una pianificazione corretta e sono già pronte; che molte Autorità di bacino consegneranno entro dicembre il loro PAI. So che, da questo punto di vista, c'è stata un'accelerazione da parte di molti, almeno di quelli che noi conosciamo, ma non so
se ciò avverrà, come al solito, solo da parte di alcune regioni e autorità o da parte di tutte. Dobbiamo renderci conto, in sostanza, se tutti hanno la stessa marcia o se qualcuno, invece, come al solito, non si fa carico di rispettare i tempi fissati dalle norme e di pianificare insieme agli altri.
Ci domandiamo, infine - e questo è un interrogativo che lascio - visto che tutti coloro che abbiamo audito hanno sottolineato che la normativa esiste, che non c'è molto da aggiungere e che basterebbe farla rispettare, se non possiamo introdurre non dico meccanismi sanzionatori per chi non la rispetta, ma strumenti che fungano da deterrente per coloro che non sono ancora pronti e che continuano per vie traverse, come è successo per il famoso capitolo che dal Ministero dell'ambiente veniva erogato senza criteri incentrati sulle priorità e sulle emergenze rispetto al grado di pericolosità. Ci domandiamo se non vi sia, invece, un meccanismo che, per quelle regioni e per quei territori che non operano correttamente, nel rispetto della norma e dei tempi che essa prevede per la pianificazione e l'individuazione delle emergenze, non permetta di sospendere l'erogazione dei fondi fintanto che non si è pianificato perfettamente. Peraltro,
questo metterebbe magari a rischio zone che non hanno colpa rispetto ad altre e, quindi, è giusto interrogarsi su quale possa essere il meccanismo più giusto. È anche vero, infatti, che dobbiamo dare una sferzata all'applicazione della norma in maniera omogenea su tutto il nostro Paese, e anche al rispetto delle norme vigenti di salvaguardia e di tutela del territorio.
Io penso, dunque, che, più che aggiungere, in questo momento si potrebbe individuare, sul fronte dei controlli, non in maniera molto rigida, meccanismi premiali per chi più velocemente si mette in regola e un sistema con più livelli e più gradi di messa in sicurezza, che non dico sanzioni, ma quantomeno non premi, le
istituzioni che non vedono in questo modo di pianificare un punto importante per la salvaguardia del loro territorio.
Parliamone, però io penso che, a questo punto, forse sarebbe giunto il momento di farlo seriamente.
ELISABETTA ZAMPARUTTI. Io vorrei evidenziare, per quanto riguarda il punto relativo alla difesa del suolo, una difformità sulla definizione di suolo fra quanto prevede la normativa europea e quanto prevede, invece, quella nazionale.
Vorrei suggerire, quindi, di richiamare esattamente quello che la Commissione europea definisce suolo, riportandone esattamente la definizione, nella parte del documento conclusivo in cui si richiama la strategia tematica per la protezione del suolo del 2006, ed evidenziare anche, riportandola esattamente, la definizione di suolo prevista dal decreto legislativo n. 152 del 2006 (cosiddetto «Codice ambientale»). In considerazione del fatto che nessuna legge italiana considera appieno il suolo nella concezione prevista dalla Commissione europea, io suggerirei di inserire, nella parte relativa alle proposte, una richiesta relativa alla necessità di giungere all'approvazione di una normativa sulla protezione del suolo, che possa condurre in breve tempo all'individuazione delle aree a rischio.
Un altro punto, sempre relativo alle proposte contenute nel documento predisposto dal relatore, è legato a un problema che mi è stato fatto notare, ossia la confusione rispetto ai venti piani di sviluppo rurale. Su questo proporrei che la Commissione, nei paragrafi relativi alle proposte, solleciti il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, a promuovere, di concerto con le regioni e le agenzie coinvolte, un monitoraggio dei risultati ottenuti dai piani di sviluppo rurale approvati e attuati dalle regioni, in termini di qualità ambientale e, in particolare, rispetto alla difesa e alla protezione del suolo.
Ho formulato queste proposte, che consegnerò al relatore, e aspetto di sapere se si deciderà di recepirle.
PRESIDENTE. Ricordo che l'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, nella riunione di ieri, ha convenuto sull'opportunità che i deputati facciano pervenire, entro lunedì, 2 novembre 2009, le proposte di modifica della proposta di documento conclusivo al relatore, il quale avrà il compito di proporre alla Commissione, eventualmente, una nuova versione del documento stesso.
Rinvio il seguito dell'esame del documento conclusivo ad altra seduta.
La seduta termina alle 10,40.