Sulla pubblicità dei lavori:
Moffa Silvano, Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SUL MERCATO DEL LAVORO TRA DINAMICHE DI ACCESSO E FATTORI DI SVILUPPO
Audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL:
Moffa Silvano, Presidente ... 3 8 14 15
Bellanova Teresa (PD) ... 14
Cazzola Giuliano (PdL) ... 15
Damiano Cesare (PD) ... 14
Fedriga Massimiliano (LNP) ... 15
Gentile Michele, Rappresentante della CGIL ... 3
Lauria Francesco, Rappresentante della CISL ... 5
Mollicone Nazzareno, Rappresentante della UGL ... 11
Pirastu Antonella, Rappresentante della UIL ... 8
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A.
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 14,10.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul mercato del lavoro tra dinamiche di accesso e fattori di sviluppo, l'audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL.
Sono presenti Michele Gentile della CGIL, Francesco Lauria della CISL, Antonella Pirastu della UIL, Nazareno Mollicone e Sabrina Andreuzzi della UGL.
Nel ringraziarli ancora una volta per la loro presenza, do loro la parola.
MICHELE GENTILE, Rappresentante della CGIL. La ringrazio, presidente, e ringrazio gli onorevoli componenti della Commissione. Nella giornata di domani consegneremo una memoria sui nostri ragionamenti intorno al tema sul quale si tiene quest'audizione.
Svolgo poche considerazioni per introdurre la discussione. Aprirei citando il Rapporto annuale dell'ISTAT del 2010, che nell'introduzione afferma come si sia in presenza di un decennio sprecato, in termini di mancata crescita, di scarsa inclusività del mercato del lavoro, soprattutto per i giovani, e di mancata rimozione, anzi di aggravamento, dei dualismi storici nel Paese.
Vorrei provare a sviluppare questo ragionamento da due punti di vista. Partirei da quello della situazione industriale del Paese, ma non mi vorrei fermare a esso e vorrei, anzi, affrontare, anche se rapidamente, il problema del sistema pubblico, dove si avverte l'influenza del tema citato nel Rapporto annuale dell'ISTAT.
Le conseguenze della crisi si sono immediatamente ripercosse nell'evoluzione del mercato del lavoro, soprattutto nei settori industriali. La crisi è esplosa nel 2008 e le politiche con le quali l'attuale Governo l'ha affrontata hanno aggravato le deficienze storiche del Paese e innescato un meccanismo tale per cui, lavorando sulle pubblicazioni esistenti - penso a Veneto Lavoro o ai monitoraggi delle regioni Piemonte ed Emilia-Romagna - si nota come tali monitoraggi siano concordi nel segnalare nei settori industriali un triplice fenomeno: un calo generalizzato dell'occupazione, che colpisce prima i giovani e in genere i rapporti precari, ma che si è ormai esteso anche ai rapporti tradizionali e «garantiti»; un progressivo peggioramento della stessa qualità delle assunzioni, con la crescita di forme strutturalmente precarie o con prospettive di stabilizzazione, ma connesse a investimenti futuri; la transizione dalle condizioni precarie sempre
più frequenti verso la
disoccupazione o la fuoriuscita dal mercato del lavoro e la permanenza della condizione precaria.
Questo avviene nel settore industriale, mentre nel settore pubblico le scelte del Governo stanno producendo una forte riduzione di opportunità occupazionali, sia nel settore pubblico, sia nel settore della conoscenza. Ogni anno non si coprono ben 64 mila posti di lavoro nella pubblica amministrazione, mentre vi sono circa 174 mila lavoratori nei settori della conoscenza, tra docenti e non docenti, che sono nelle graduatorie dalle quali si accede per i contratti a tempo determinato, e, secondo i dati del conto annuale del 2009 della Ragioneria generale dello Stato, esistono circa 240 mila contratti non a tempo indeterminato.
Come si vede, ci troviamo in un panorama, nel settore industriale come nel settore pubblico, preoccupante da questo punto di vista.
Il quadro economico del 2011 non garantisce una crescita tale da assecondare il recupero dei posti di lavoro che pure si sono persi nel settore industriale, mentre la manovra presentata il 13 agosto dal Governo, il decreto legge n. 138, prevede, per quanto riguarda le amministrazioni pubbliche, sia centrali, sia locali, un taglio ulteriore nelle risorse di spesa corrente, il che probabilmente potrà anche significare l'interruzione di quei rapporti di lavoro, di quei contratti non a tempo indeterminato, esistenti dentro le amministrazioni pubbliche.
Nel settore industriale i primi espulsi sono stati i giovani a tempo determinato o altri lavoratori con tipologie di contratto non a tempo indeterminato, mentre, quando l'occupazione ha segnato una parziale ripresa nel 2010, i posti di lavoro sono stati prevalentemente posti di lavoro a termine. Negli ultimi anni la coorte più giovane della popolazione è quella più colpita di altre.
Cito alcune statistiche presenti nel Rapporto sul mercato del lavoro approvato dal CNEL nel luglio dello scorso anno. Il deterioramento occupazionale viene segnalato anche dalla possibilità di passaggio ad un'occupazione stabile. Prima della crisi il 31 per cento dei rapporti di lavoro a tempo determinato veniva trasformato a tempo indeterminato - parliamo del settore privato - e dopo la crisi il 22 per cento; prima della crisi il fenomeno dei NEET, cioè dei giovani né in occupazione, né in formazione, era del 16 per cento nella coorte 16-24, mentre è ora del 18,6. Esso era del 24 per cento nella coorte 25-20 ed è oggi del 28,8 per cento.
Non credo che debbano essere ulteriormente sottolineati, anche se poi li evidenzieremo, il mismatch territoriale e il dato dell'occupazione femminile. L'occupazione femminile è quella che meno di altre ha risentito della crisi, in ragione dei settori nei quali l'occupazione femminile è maggiormente presente - penso ai servizi di cura e di assistenza, ma anche alla regolarizzazione delle lavoratrici straniere, che ha ridotto l'effetto di caduta occupazione durante la crisi - pur confermando la distanza elevatissima del tasso di occupazione femminile italiano rispetto alla media europea, il 46 rispetto al 58 per cento. La componente straniera è stata fondamentale nel contenere la contrazione dell'occupazione femminile.
Mi riferisco poi al tema dei lavoratori con titoli di studio. Sono sicuramente aumentati i laureati - secondo i dati del Rapporto sul mercato del lavoro parliamo di 286 mila unità - mentre si è ridotto il numero di quelli con titoli di studio più bassi, circa 887 mila, creando una polarizzazione.
Tuttavia, l'aumento dell'occupazione dei laureati molto spesso non significa aumento dell'occupazione dei laureati in posti da laureati, perché, nel momento in cui esiste una crisi di questa natura, è evidente che il titolo di studio molto spesso è un di più. Dopodiché, il livello di occupazione è quello possibile.
Oggi ci troviamo in una situazione nella quale, se i posti di lavoro che verranno creati alla ripresa saranno simili a quelli distrutti nella crisi, è plausibile che i lavoratori disoccupati ricopriranno le posizioni
lavorative create. In caso contrario saremo in presenza di un ulteriore mismatch.
La conferma della specializzazione produttiva italiana sarebbe, allo stesso tempo, la conferma delle sue debolezze. Si pone, infatti, un problema strutturale di un cambio di prospettiva e di un approccio non limitato al breve periodo. Diviene, a questo punto, fondamentale cogliere le tendenze di fondo anche per favorire il rapporto tra domanda di lavoro e livello dell'istruzione, che non sempre è conseguente rispetto alle situazioni che abbiamo davanti.
Se penso, per esempio, al sistema pubblico, esiste una necessità occupazionale per le alte qualifiche - penso ai medici, ma anche alle altre occupazioni sanitarie, oltre che a quelle dell'amministrazione digitale - mentre esiste un blocco delle assunzioni con il quale si determina che queste occupazioni siano fuori, mentre all'interno esistono livelli occupazionali le cui posizioni professionali non corrispondono a ciò di cui ci sarebbe bisogno.
In altre parole, per arrivare a un ragionamento conclusivo e anche per rispondere al terzo elemento di discussione, noi crediamo che sia giunto il momento di interrogarsi sulla conclusione di un intero ciclo di politica del lavoro, che trae le sue origini dalla seconda metà degli anni Novanta e che si è fondata sul presupposto che la fine del fordismo, la crescita professionale e culturale delle generazioni, la libertà nella ricerca di un posto di lavoro fossero sinonimo, da un lato, di una segmentazione nel mercato del lavoro e, dall'altro, di un'idea del lavoro flessibile come opportunità.
In realtà, dai dati che ho citato, ma anche dall'esperienza che abbiamo, ciò risulta sempre meno vero. Si è generato, e la crisi l'ha potenziato, un doppio fenomeno: una concorrenzialità e, a volte, un cannibalismo tra le forme di impiego, con ovvia maggiore appetibilità di quelle meno tutelate o, come per esempio avviene nel sistema pubblico, l'affidamento a forme di lavoro non a tempo indeterminato di servizi pubblici duraturi e stabili, il che fa sì che, quando si interrompe il rapporto di lavoro a tempo determinato, interi servizi chiudano.
Penso a un caso noto per questioni di cronaca, quello dell'ISTAT. L'attuale censimento è elaborato con lavoratori che hanno un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, con tutti i problemi derivanti da questa fattispecie.
Per giunta questo elemento, cioè la discrasia tra concorrenzialità, si aggiunge al fatto per cui lavori precari o non a tempo indeterminato sono anch'essi, non da soli, un fattore di calo della produttività, perché a lavori poco tutelati corrisponde e a volte si alimenta una scarsa qualità del prodotto servizio e, quindi, una progressiva debolezza dell'intero sistema produttivo e dei servizi.
Credo che intorno a questi temi l'audizione che la Commissione lavoro ha deciso di effettuare possa compiutamente arrivare a un punto di maggiore riflessione o che possa essere oggetto di una discussione più generale che porti ad affrontare il tema del mercato del lavoro nel nostro Paese.
FRANCESCO LAURIA, Rappresentante della CISL. Anch'io, a nome della mia organizzazione, vi ringrazio dell'invito, nonché di quest'indagine, che certamente si concentra su alcuni punti fondamentali della riflessione sul lavoro in Italia, in particolare, sulle problematiche del mercato del lavoro e sulla formazione delle giovani generazioni.
Molti scenari di quadro e anche numerici sono stati forniti dal collega Gentile e, peraltro, sono noti. Dobbiamo, però, riflettere su un'accelerazione del mutamento del nostro mercato del lavoro nella crisi e anche saperla leggere, per poi prospettare, programmare e varare, monitorandole, le nuove politiche di riqualificazione e ricollocazione, senza dimenticare tutti i passaggi di scuola, lavoro e orientamento.
Mi ha colpito molto vedere gli ultimi dati delle comunicazioni obbligatorie, dati più che certificati, che sono stati forniti da alcune regioni, anche perché quelli a livello
nazionale sono attesi da molti mesi e non vengono ancora rilasciati.
Se prendiamo, per esempio, la regione Lombardia, una regione storicamente forte nel nostro mercato del lavoro, notiamo come oltre il 70 per cento degli ingressi non è a tempo indeterminato, mentre troviamo dati della disoccupazione giovanile che vedono addirittura un raddoppio. Siamo su cifre contenute, ma, se analizziamo il flusso, vediamo che è molto significativo rispetto al 2008. Anche i temi dell'indagine sono sicuramente utili proprio perché vanno ad affrontare le criticità nella crisi, le crisi prima della crisi del nostro mercato del lavoro.
Anche noi abbiamo una memoria, che vi lasceremo, con alcune analisi quantitative e qualitative e con le nostre proposte nel dettaglio su diverse tematiche. Mi limito a svolgere solo alcune sottolineature, dando per assodato che la conoscenza del quadro vi sia ampiamente nota.
Cito alcuni problemi che sono sicuramente importanti. In questa trasformazione a cui stiamo assistendo nel mercato del lavoro possiamo notare come, se colleghiamo la questione ai temi della formazione e non ci fermiamo alle sole tipologie contrattuali, ci siano alcune criticità che riguardano, in particolare, le giovani generazioni, ma che, in realtà, incidono fortemente su tutto il mercato del lavoro.
Pensiamo, per esempio, al divario tra qualifiche possedute e mansioni svolte, al problema della salute e della sicurezza connesse ai giovani lavoratori e ai contratti flessibili e temporanei, senza ovviamente scagliarsi in maniera ideologica contro uno strumento, ma contro l'abuso che ne viene fatto.
Se ragioniamo anche sul tema dei giovani nel mercato del lavoro, come segnalato dagli ultimi due Rapporti AlmaLaurea, notiamo che si evidenzia anche una crescita nella crisi del sommerso, proprio nell'ingresso del mercato del lavoro, che è uno dei temi fondanti della vostra indagine.
Dobbiamo usare, però, anche parole di verità e, pur nella situazione di persistente criticità con una contrazione tra i giovani nel solo Mezzogiorno di oltre 500 mila posti di lavoro e con i dati forniti dal Rapporto Svimez, dobbiamo ragionare sul fatto che attualmente nel nostro mercato del lavoro sono 150 mila le posizioni che le imprese non riescono a trovare. Si pone proprio un tema che non può che interrogare le parti sociali e anche la politica, perché, avendo il mercato del lavoro più opaco d'Europa, come lo definiva quindici anni fa Marco Biagi, un mercato che ancora non ha visto scendere il proprio grado di opacità, ci dobbiamo chiedere quali sono gli strumenti più urgenti per cercare di porre alcuni limiti a questi sprechi e a queste mancanze di opportunità, a partire dai giovani, ma non solo.
Uno di tali limiti è rappresentato dalla trasparenza delle opportunità nel mercato del lavoro. Abbiamo parlato da oltre dieci anni di Borsa nazionale continua del lavoro. Alcuni risultati sono stati ottenuti con l'attivazione del nuovo portale Cliclavoro, ma siamo molto lontani dall'integrazione tra l'offerta pubblica e privata all'impiego e dal creare le giuste sinergie per cercare, in un momento di grave crisi occupazionale ed economica, di prosciugare i bacini occupazionali che non vengono esauriti.
Si avverte l'importanza di investire nei nuovi settori, come la green economy, nonché nella riqualificazione non solo economica, ma anche culturale e sociale rispetto al lavoro di cura, il che può avere un riscontro importante anche nell'emersione dei lavoratori immigrati, però il primo punto su cui occorre investire di più, sia nel filone pubblico, sia nell'integrazione con il privato e il privato sociale, è proprio quello della trasparenza. Grazie alla trasparenza è possibile poi finalizzare le politiche attive del lavoro per i cassintegrati e per i disoccupati, dare un reale contenuto formativo e un interesse allo scambio dei contratti, per esempio a quello per l'apprendistato, e soprattutto accompagnare le transizioni lavorative, che sono sempre più frequenti, ma che non sono sufficientemente tutelate.
Alla flessibilità dobbiamo accompagnare la sicurezza nelle sue diverse eccezioni. Purtroppo ciò raramente avviene, anche perché, se analizzano il curriculum vitae non solo dei giovani, vediamo che rispetto a 25-30 anni fa, quando uno o due erano i lavori svolti nella vita, si passa oggi a cambiare lavoro circa ogni cinque anni, in prospettiva. Se un cittadino lavoratore, che sia giovane o meno, si trova a cambiare lavoro sette volte mediamente nella sua vita, in prospettiva nei prossimi decenni, è chiaro che gli strumenti di tutela per accompagnarlo nel mercato del lavoro devono essere aggiornati e rafforzati.
Questa situazione a valle, così difficile e in parte compromessa, è anche legata al mancato passaggio tra scuola e lavoro e al mancato raccordo tra la formazione tecnico-professionale e il nostro mercato del lavoro.
Vi cito un dato molto importante: nonostante i profili cui si faceva riferimento precedentemente siano legati all'istruzione professionale e tecnica, anche quest'anno l'istruzione professionale ha visto un calo progressivo del 3 per cento, che si somma ai cali precedenti. Si è arginato forse il calo nell'istruzione tecnica, ma siamo ancora su livelli molto più bassi di alcuni anni fa, mentre prosegue un percorso di liceizzazione che forse dovrebbe far riflettere chi si occupa di politiche di orientamento e di governo del rapporto tra scuola e lavoro.
È positivo il fatto di aver inserito alcuni strumenti - penso al varo in questi giorni, per esempio, degli istituti tecnici superiori, gli ITS, che mettono insieme l'idea di rafforzare il filone dell'istruzione tecnica e di eccellenza con il raccordo con alcune produzioni del made in Italy - però non possiamo pensare che 59 istituti in tutto il nostro Paese possano risolvere il problema. È solo un piccolo segnale di un passo positivo che è stato compiuto.
Noi riteniamo che un'azione politica importante per ricomporre le linee di frattura sociale nel nostro mercato del lavoro e recuperare equità e trasparenza debba essere una priorità per un'azione condivisa, per un'opera di coesione a cui la politica non può sottrarsi.
Anche gli interventi sul mercato del lavoro e sul lavoro stesso necessitano di un clima di condivisione di obiettivi e di cooperazione tra tutti i soggetti. Un esempio positivo è stata la recente riforma dell'apprendistato, che, ahimè, attendiamo venga pubblicata in Gazzetta ufficiale da diverse settimane. Ci piacerebbe avere notizie in merito.
Questo esempio di lavoro paziente che è stato condotto ha permesso di migliorare un testo e di affrontare uno dei temi assolutamente critici, perché, se la gran parte delle assunzioni dei giovani nel nostro mercato del lavoro avviene con contratti flessibili o attraverso tirocini spuri e stage, tutto ciò è legato anche alla mancanza di appetibilità del contratto di apprendistato. Noi teniamo molto a rafforzare questo tipo di contratto, proprio perché lo vediamo come una sorta di «contratto unico» per l'ingresso nel mercato del lavoro dei giovani. Esiste già il contratto unico in Italia, con l'apprendistato, ma dobbiamo fare di più per rafforzare tutti i livelli dell'apprendistato stesso. L'appello è che la riforma condivisa venga pubblicata al più presto in Gazzetta ufficiale.
Il metodo che è stato seguito sull'apprendistato non è stato seguito a fondo, invece, sui tirocini e abbiamo visto che ciò ha creato un problema anche nel raccordo con le regioni. L'appello è, quindi, a riprendere questa riflessione tra comune, regione, parti sociali e Governo, in modo anche da intervenire su un altro punto sensibile del nostro mercato del lavoro e dell'accesso al mercato del lavoro stesso.
Ovviamente rimane un tema fondamentale, che è quello del Mezzogiorno. Evito di spendere tante parole in merito. Anche in questo caso cito un unico punto per noi importante, il credito di imposta per le assunzioni nel Sud, che risulta ancora «stoppato» nel rapporto con l'autorizzazione dell'Unione europea.
Infine, svolgo una riflessione sul tema del contrasto al lavoro sommerso e al tema
annoso del lavoro accessorio. Ho di fronte l'onorevole Damiano, che ha contribuito a sperimentarlo in un settore preciso, come quello della vendemmia.
Noi non siamo contrari aprioristicamente nemmeno a questo strumento, però consideriamo come sia necessario che esso sia un elemento di uscita dal lavoro sommerso e non di destrutturazione del mercato del lavoro. Anche per questo motivo riteniamo, per esempio, che, in relazione a uno strumento che viene utilizzato spesso per i giovani che studiano e lavorano - mentre in Europa ci sono giovani che studiano e lavorano, ciò in Italia è difficile; ci sono, invece, giovani che non studiano e non lavorano - il tema dei voucher possa essere gestito con il coinvolgimento delle parti sociali e del mondo della bilateralità, ponendo alcuni paletti, per esempio individuando una retribuzione oraria e un monitoraggio più puntuale dei settori in cui essi vengono utilizzati. Riteniamo che tutti gli strumenti contrattuali del mercato del lavoro possano essere valorizzati, se non se ne si fa un uso elusivo, che a cascata produce effetti
negativi.
Concludo con una brevissima riflessione. Affrontare le criticità del nostro mercato del lavoro e del rapporto difficile con la formazione - cito anche tutto il tema della costruzione degli standard professionali e formativi, che ci coinvolge da anni e anni, senza risultati significativi - è un tema che ci costringe ad affrontare il futuro del nostro Paese in rapporto alla dimensione europea e globale, partendo dai giovani.
Nel pensare all'Italia e all'Europa del 2020 l'appello è che ci sia uno sforzo anche culturale ambizioso e che si mettano da parte le contrapposizioni inutili per sfruttare l'occasione della crisi e ricominciare a pensare al futuro, ricostruendo opportunità per i giovani, ma anche per i disoccupati over 40 o 50, ossia tutti coloro che hanno pagato il prezzo più alto della crisi e che si aspettano di avere alcuni fili tesi che permettano loro di reinserirsi nel mercato del lavoro e nella dimensione sociale del nostro Paese.
PRESIDENTE. Spero che gli interventi successivi si limitino ad introdurre alcuni elementi aggiuntivi, anche per dare spazio alle domande e poi alle repliche.
ANTONELLA PIRASTU, Rappresentante della UIL. Buonasera a tutti. Anch'io mi associo ai ringraziamenti dei miei colleghi a nome della UIL, non solo per l'invito, ma anche per l'oggetto della discussione.
Esso si colloca in un momento in cui usciamo da un G20 sul lavoro in cui sono state manifestate le perplessità e la preoccupazione di un mercato del lavoro che non è un problema solo italiano, ma mondiale. Secondo il G20 nei Paesi interessati sono stati persi 20 milioni di posti di lavoro, con 200 milioni di disoccupati, e i dati che sono stati diffusi dall'OCSE sulla situazione italiana non sono migliori di quelli degli altri Stati europei.
Al contrario, sotto alcuni aspetti sono anche peggiori, quando leggiamo che circa il 28 per cento dei giovani nella fascia 15-24 anni non ha un lavoro e che metà di coloro che hanno un'occupazione ha un'occupazione precaria. Se andiamo a vedere i nostri dati ISTAT, che vengono costantemente diffusi, osserviamo una platea, anzi un esercito di 4 milioni tra disoccupati e inattivi complessivamente.
I temi affrontati dal G20, tra cui il fatto di aver posto l'attenzione soprattutto sul problema giovanile, devono essere trattati seriamente e concretamente anche in Italia. Si sente parlare di un mercato del lavoro duale ormai da anni, di un'insicurezza che avanza sempre di più, di un sistema di sostegni al reddito che lascia esclusi soprattutto i lavoratori più deboli, di un incontro domanda-offerta che non funziona, di un sistema di formazione che presenta un'evidente gap rispetto alle richieste del sistema produttivo e territoriale.
Ben venga, quindi, quest'audizione e il fatto di averla concentrata su tre filoni coordinati tra di loro, quello dell'istruzione, quello della formazione professionale e quello dell'inserimento dei giovani nel mercato del lavoro. Cercherò per ogni filone
di mettere in evidenza gli aspetti di luci e ombre.
Partiamo dall'istruzione, dalla conoscenza e dall'incontro domanda-offerta. La conoscenza ci viene da un punto di vista sia scolastico, sia della formazione professionale e dovrebbe garantire la corrispondenza pratica nel mercato del lavoro, il che, come hanno rilevato i miei colleghi, non sempre viene garantito.
Il nostro ordinamento, però, dispone di strumenti finalizzati a questo obiettivo. Il problema è che purtroppo essi non hanno avuto l'opportunità di sviluppare appieno le loro potenzialità. I dati ISTAT riferiti al secondo trimestre del 2011, come osservava anche Francesco Lauria della CISL, mostrano che a un aumento della richiesta di manodopera da parte delle aziende corrisponde un'evidente capienza di posti vacanti, il che mal collima con l'alto tasso di disoccupazione esistente in Italia o con l'alto tasso di inoccupazione, cioè di soggetti scoraggiati.
Un buon sistema di domanda-offerta di lavoro dovrebbe servire a orientare una corretta domanda di lavoro verso un'offerta adeguata, ma non ci sembra che questo sistema funzioni. Dall'altra parte, occorrerebbe migliorare il sistema di orientamento al lavoro da parte degli istituti scolastici e universitari, anche perché il malfunzionamento di un sistema di incontro domanda-offerta, che noi abbiamo sia nel pubblico, che nel privato, ma con enormi criticità in entrambi i settori, sia in quello dei servizi pubblici, sia in quello dei servizi privati di collocamento, ha fatto sì che il soggetto maggiore di collocamento nel nostro sistema sia un'intermediazione di tipo informale. Questo malfunzionamento e l'alto tasso di lavoro irregolare sono le facce di una stessa medaglia, secondo noi.
Noi abbiamo una varietà di strumenti per garantire domanda e offerta di lavoro, le idee agli italiani non mancano, ma il problema è che c'è un mancato passaggio tra ciò che si dice e ciò che si fa e un sottoutilizzo degli strumenti di cui il nostro ordinamento dispone.
Per quanto riguarda il sistema pubblico di collocamento, esso è mediamente efficace, però sotto molti aspetti non funziona bene su tutto il territorio nazionale. Eppure sappiamo che è l'unico strumento in grado di coprire capillarmente tutto il territorio. A questa mancata efficienza corrisponde una mancata efficacia della sua funzione, ossia dell'inserimento nel mercato del lavoro.
I servizi per l'impiego privati non funzionano meglio, però, nonostante comportino un costo aggiuntivo, vengono più utilizzati dalle aziende rispetto al sistema pubblico. È forse il caso di domandarsi quale sia la causa di questo malfunzionamento del sistema, in particolare di quello pubblico, e cercare di risolverla.
Pochi giorni fa è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto ministeriale sull'ampliamento dei soggetti qualificati all'intermediazione. La qualità del mercato del lavoro non si misura sulla quantità di soggetti che fanno intermediazione, perché accanto alla quantità di soggetti deve esserci comunque un potenziamento delle politiche attive del lavoro, un riordino del sistema degli incentivi nelle assunzioni, un'eliminazione, come si riferiva in precedenza, dell'uso distorto di alcuni istituti e tipologie contrattuali.
Passo al secondo punto, quello sulla formazione professionale. Un'ulteriore priorità sulla quale intervenire per modernizzare e rendere più agevole l'ingresso nel mercato del lavoro è sicuramente quella di dotarci di un sistema di formazione più adeguato e rispondente alle esigenze del sistema produttivo. Occorre imprimere una svolta alle politiche di formazione continua all'interno del nostro Paese.
In questo contesto giocano un ruolo fondamentale le parti sociali, al fine di costruire un sistema che sappia interagire e collegare in modo più diretto i fabbisogni dei lavoratori con quelli delle aziende. Da questo punto di vista un importante ruolo svolto dalle parti sociali è stato quello sulle linee guida per la formazione, un documento redatto insieme con Governo e regioni nel 2010, che cerca di riorientare
la leva formativa verso le nuove esigenze del mercato del lavoro.
Rileviamo l'importanza dei fondi interprofessionali come laboratori di formazione continua per il nostro Paese. Occorre soprattutto dare un nuovo ruolo alla formazione, perché nel passato troppo frequentemente le attività formative non sono state frutto di reali esigenze dei lavoratori, delle imprese e del territorio e troppo spesso la programmazione degli interventi formativi, in particolare di quelli del Fondo sociale europeo, è stata confezionata e strutturata a uso e consumo degli intermediari tra domanda e offerta di formazione, i quali, per ovvie ragioni, prediligono azioni di natura trasversale, sovrapponibili, replicabili e di facile gestione rispetto a quelle caratterizzate da programmi di formazione tecnica e professionalizzante più utili ad aumentare le capacità produttive del nostro sistema di impresa.
Al ruolo dei fondi interprofessionali si connette anche il rilevante ruolo che sta assumendo la bilateralità, la quale può costituire una rete di strutture che interagiscono e supportano le attività dei fondi interprofessionali.
Per quanto riguarda il terzo punto, quello dell'inserimento dei giovani nel mercato del lavoro, esso dovrebbe costituire una priorità per il nostro sistema, per il legislatore e per il Governo. I giovani sono stati, come è stato ricordato, i soggetti più colpiti dalla crisi, ma probabilmente ciò è dovuto al fatto che sono stati anche i soggetti maggiormente coinvolti in un processo di precarizzazione.
Se non viene data una risposta in tempi piuttosto stringenti al problema giovanile, sicuramente ciò si tradurrà, soprattutto nelle aree più depresse del Paese, quale il Mezzogiorno, in un aumento del lavoro sommerso e con esso in un aumento dell'evasione sia fiscale, sia contributiva.
Il Rapporto Svimez metteva in evidenza ieri che in una platea di soggetti nella fascia 15-34 anni, quindi giovani, solo uno su tre lavora. È una percentuale molto bassa. In questo caso anche noi rimarchiamo l'esigenza di un credito di imposta per nuova buona occupazione, che può essere uno strumento soprattutto nel Sud per incentivare l'occupazione giovanile e delle donne.
Serve poi per i giovani un più efficace collegamento tra i diversi percorsi di istruzione e il mondo del lavoro, un corretto utilizzo di istituti e tipologie contrattuali che rendano più agevole l'ingresso dei giovani, con una prospettiva occupazionale di tipo stabile.
Adesso sia le aziende che i lavoratori sono dotati di una vastissima gamma di tipologie, quali il contratto a tempo indeterminato, che è comunque in forte discesa rispetto al passato, i contratti temporanei parasubordinati, subordinati e autonomi, le forme contrattuali che uniscono lavoro e formazione, come l'apprendistato e il contratto di inserimento, però ci sono anche tipologie che non costituiscono rapporti di lavoro tout court, come i tirocini e i voucher, il lavoro accessorio di cui prima parlava Francesco Lauria.
Da un'analisi i dati sul lavoro accessorio non escono; ogni tanto viene diffuso il numero di voucher acquistati, ma non sappiamo a quanti soggetti corrispondano. Sembrerebbe che ci sia un'alta percentuale di utilizzo nel terziario e soprattutto nel settore del turismo. Noi rimarchiamo la necessità di avere conoscenza di questi dati, anche per vedere se si sta realizzando una ristrutturazione della contrattazione oppure no: dove vengono applicati, quale orario viene applicato a questi lavoratori, quanto vengono pagati, visto che non esiste un costo orario?
Questa vasta gamma di lavori e di tipologie non dovrebbe far sì che ci siano sacche di sommerso, eppure il sommerso da otto anni a questa parte, secondo i dati ISTAT, è fermo al 10 per cento. Da dieci anni consecutivi c'è un 10 per cento nazionale di tasso di irregolarità, che non ci dovrebbe essere, visto che esiste una pletora di tipologie contrattuali e di istituti che permettono di coprire qualunque tipo di esigenza, anche quella fiscale e contributiva.
Il paradosso è che non solo la percentuale del lavoro nero si mantiene a livelli
elevati, ma spesso i contratti flessibili e i non rapporti di lavoro menzionati vengono utilizzati in maniera distorta, tanto da rendere anche la buona flessibilità uno strumento di precarizzazione che coinvolge soprattutto i giovani.
Indubbiamente la crisi ha acuito le conseguenze di un processo di precarizzazione del mercato del lavoro che era già in atto, ma non è più tollerabile che il lavoro, la tanto agognata ripresa del sistema economico italiano e soprattutto la speranza di un futuro occupazionale e di vita dei giovani si continui a reggere sulle flebili e claudicanti gambe di un lavoro debole e precario.
Si pensi soltanto che, come sosteneva prima Francesco, secondo il dato nazionale delle comunicazioni obbligatorie (l'unico diffuso dal Ministero in un rapporto sociale dell'altro anno), tra gennaio 2009 e giugno 2010 - per avallare quanto detto - il 76,1 per cento dei rapporti di lavoro attivati è avvenuto con contratti deboli. Per contratti deboli intendo contratti a tempo determinato, che sono reiterati e hanno una scadenza nel tempo, collaborazioni e altre tipologie che non rientrano nei rapporti di tipo standard, quali il tempo indeterminato.
Nel lasso di tempo che ho menzionato è soltanto il 20,8 per cento il numero dei rapporti di lavoro attivati con questa tipologia standard e solo il 3,1 per cento con una buona tipologia di ingresso, quale il contratto di apprendistato.
Occorre porre fine all'abuso e all'uso distorto di alcuni strumenti che, per loro natura e finalità, costituiscono buoni strumenti di transito dalla scuola al lavoro e permettono una stabilizzazione graduale nel mondo del lavoro.
La rivisitazione del contratto di apprendistato contenuta nel Testo unico, di cui aspettiamo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, fa da apripista a un migliore e più snello inserimento dei giovani nel mercato stesso, ma è indubbio che questo processo avrà vita breve se, nel contempo, non si rende corretto l'utilizzo di altri strumenti, quali tirocini, collaborazioni, lavoro accessorio, partite IVA. Queste ultime sono attualmente utilizzate non soltanto nell'edilizia, ma anche in altri settori per coprire fittiziamente e simulare tipologie contrattuali standard, che oggi diventano concorrenti sleali all'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro.
Su questi temi sarà necessario al più presto aprire un confronto tra Governo, regioni e parti sociali, così come è previsto all'interno dell'intesa sul rilancio dell'apprendistato dello scorso luglio, non solo per ridurre la precarietà giovanile, ma anche per ristabilire un ordine nel mercato del lavoro.
NAZZARENO MOLLICONE, Rappresentante della UGL. Cercherò di essere breve e, quindi, salterò l'esposizione dei dati, che in parte sono già noti. Consegneremo comunque alla presidenza un nostro documento, in cui essi sono esplicitati.
Per attenermi un po' più strettamente all'oggetto dell'indagine conoscitiva sulle dinamiche di accesso e i fattori di sviluppo, osserverò che sulle dinamiche di accesso al lavoro influiscono tre fattori. Uno è quello del collocamento, ossia l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, un altro è quello della contrattazione che viene applicata e il terzo è quello della qualificazione professionale.
L'Italia su tutti questi tre elementi è deficitaria e presenta criticità. Non c'è un elemento positivo con altri due negativi, il che può essere un'attenuante.
Comincerei, per esempio, dalla qualificazione del lavoratore. Sappiamo tutti che l'istruzione fornita dagli istituti superiori, ma anche dalle università, non è molto adeguata alle necessità del lavoro contemporaneo, neanche in termini di preparazione di base dello studente che diventerà lavoratore.
C'è stata una crisi negli ultimi anni nel mondo dell'istruzione, che adesso andrebbe rettificata e approfondita. Occorre puntare più sulla meritocrazia e sull'istruzione svolta a livello dell'età scolastica per poter poi collocare lo studente nel mondo
del lavoro con una dote di conoscenza e di preparazione migliore di quella che ha adesso.
Al campo della qualificazione è collegato il discorso della formazione professionale. Per decenni abbiamo affidato alle regioni la formazione professionale, che in realtà ha formato poco e nulla, nel senso che si è dedicata a mestieri di basso livello. Occorre, invece, la formazione professionale altamente qualificata, perché l'Italia compete a livello di globalizzazione mondiale con Paesi che sul piano delle produzioni di basso contenuto tecnologico sono superiori a noi per la concorrenza sleale che ci fanno sulle condizioni di lavoro e, quindi, noi dobbiamo puntare a elevare il livello tecnologico della nostra produzione e preparare i nostri lavoratori a essere sempre più specializzati in questo campo.
Ci sono stati accordi recenti e riforme. Il sistema della formazione adesso è in fase di ristrutturazione e le parti sociali danno un loro contributo tramite gli enti bilaterali e i fondi interprofessionali. Entrambi, sia il datore di lavoro, sia i sindacati, hanno interesse, da un lato, a trovare personale qualificato e, dall'altro, a favorire l'occupazione. Auspichiamo che anche questo problema possa essere risolto.
Il secondo problema è quello della contrattazione. È stata esposta dai colleghi ampiamente, e io la condivido, l'ampia tipologia dei contratti flessibili, che, sulla base di un concetto liberista del lavoro, si è diffusa nell'ultimo decennio, ma che in realtà ha provocato l'utilizzo distorto e non legato alle effettive necessità in determinati momenti produttivi o stagionali. È un ulteriore sistema che intralcia l'accesso al lavoro, perché lo stesso giovane è sfiduciato nel cambiare continuamente lavoro o nel vedersi applicati contratti che non corrispondono all'attività svolta.
Bisogna aggiungere oltre ai contratti citati anche le partite IVA con un monocommittente, il lavoro nero e altri tipi di attività che impediscono un regolare e fisiologico accesso al lavoro. Si tratta di una questione che è stata sempre criticata dalla nostra parte sindacale. La recente riforma dell'apprendistato dovrebbe, secondo le intenzioni nostre e secondo il testo uscito, ampiamente discusso e ritoccato, superare tutta questa tipologia contrattuale e avviare la situazione su un unico binario, che è stato quello tradizionale che ha consentito anche lo sviluppo degli anni Sessanta, ossia quello dell'apprendistato. Lo dobbiamo vedere alla prova, perché la questione è in via di formazione.
Occorre, quindi, superare tutta questa tipologia di contratti, oltre a svolgere un'attività di vigilanza che impedisca forme anomali.
Il terzo problema è quello del collocamento. Si è affermato che il vecchio sistema del collocamento non funzionava e che va smantellato. È vero, tutti lo sappiamo. È stato costruito un nuovo sistema basato sui servizi per l'impiego affidati alle regioni, che non ha funzionato in quasi nessuna parte d'Italia e che doveva avere il compito di selezionare i lavoratori e di avviarli al lavoro.
Un'altra soluzione che non ha funzionato era quella della Borsa nazionale continua del lavoro, che, avvalendosi della tecnologia e dell'informatica, avrebbe dovuto favorire l'incontro tra domanda e offerta di lavoro a livello nazionale, per la mobilità a livello territoriale e nazionale e per le necessità che i miei colleghi hanno esposto, in cui spesso si trovano imprese che non trovano un dato tipo di lavoratori specializzati, mentre ci sono disoccupati che hanno quelle caratteristiche e che cercano un lavoro.
Il terzo elemento di criticità è, dunque, quello del collocamento, che è fondamentale. Se non vado errato, una delle ultime indagini del Censis indicava che in Italia il sistema tradizionale ancora prevalente per trovare lavoro è quello della raccomandazione e della segnalazione, cioè il sistema familiare, degli amici e dei conoscenti, che non è il sistema razionale per un Paese moderno che deve confrontarsi con Paesi che fanno una concorrenza alquanto dura.
Noi pensiamo che questi sono i punti su cui bisogna intervenire. Alcuni interventi
negli ultimi tempi sono stati effettuati, alcune riflessioni e rimeditazioni su sistemi che non funzionano sono stati svolte sia da parte del Governo, sia da parte delle regioni e delle parti sociali, che hanno sempre esposto questi problemi.
Per quanto riguarda, per esempio, l'istruzione, sono stati rafforzati i sistemi di orientamento al lavoro e allo studio universitario e poi all'orientamento al lavoro. Per quanto riguarda la formazione sono stati stipulati alcuni accordi.
Un problema che spesso viene dimenticato è quello dei lavoratori ultracinquantenni espulsi dal processo produttivo per crisi aziendali e chiusura di aziende. Questi lavoratori hanno bisogno di una formazione ancora più forte, perché si trovano nello skill gap, cioè si trovano di fronte a una differenza di esperienza con i lavoratori giovani e con i disoccupati giovani. Il disoccupato anziano abituato a un dato tipo di produzione per essere ricollocato sul lavoro ha bisogno di una formazione più forte di quella che può avere un giovane.
Teniamo presente che oggi un cinquantenne disoccupato, con la tendenza attuale dell'allungamento dell'età pensionabile, che ogni anno cresce di alcuni anni e non si sa dove andrà a finire, mentre prima poteva rimanere disoccupato per cinque, sei o sette anni e poi andare in pensione, corre oggi il rischio di aspettare addirittura vent'anni prima di andare in pensione. Questa formazione per un dato tipo di lavoratore anziano che può essere ancora utile e che deve essere ulteriormente formato è molto importante.
Per quanto riguarda la contrattazione noi certamente siamo d'accordo nel ridurre e addirittura nell'eliminare alcune forme di contrattazione cosiddette atipiche e nel puntare sull'apprendistato o sul lavoro a tempo determinato.
Esiste una proposta, che non so se possa essere condivisa. La cito non perché è una proposta nostra, ma perché a livello di studi è stata avanzata ed è quella per cui i datori di lavoro nutrono la preoccupazione dell'articolo 18, a causa del quale non possono licenziare. È stato ipotizzato un allungamento del periodo di prova in modo tale da far imparare bene il lavoro al giovane e, allo stesso tempo, da garantire per un determinato periodo il datore di lavoro, che, se vuole, può anche sostituirlo. È un'ipotesi ancora in alto mare.
Tutta la strada dovrebbe essere delineata per eliminare i contratti atipici, puntare sull'apprendistato, che è un lungo periodo di sviluppo, e cercare di mantenere il lavoratore legato all'azienda, anche perché, se passiamo da una fase storica in cui non c'è più il lavoro di massa, ma c'è il lavoro di qualità, l'impresa stessa ha bisogno di un lavoratore esperto e non può cambiarlo ogni sei mesi. Ha bisogno di un lavoratore che si fidelizzi, che conosca bene la materia su cui produce, il che va a vantaggio suo certamente, ma anche dell'impresa.
Per i servizi di impiego e la Borsa nazionale continua del lavoro è stato allargato in questi ultimi tempi, con gli ultimi decreti, il novero delle figure di chi si occupa di intermediazione dei rapporti di lavoro. Non sappiamo se ciò sia positivo o no. È stato giustamente osservato che, allargando il numero degli operatori, non è detto che il lavoro emerga di più e che sia più facile l'incontro. Occorre una seria riflessione da parte degli enti pubblici preposti per migliorare il più possibile il servizio, anche avvalendosi della moderna tecnologia.
Per favorire ulteriormente l'accesso al lavoro ci sono altri strumenti che si possono usare e che sono stati già anticipati, ma che io ribadisco. Tra di essi vi sono sistemi premiali, come agevolazioni fiscali per le assunzioni. Le regioni possono intervenire sull'IRAP, che è di loro competenza. Essendo calcolata in base al numero di dipendenti che un'impresa ha, evidentemente l'impresa non vuole aumentare il numero di dipendenti per non pagare più IRAP. Si può operare su questo.
Oppure si può agire sulla contrattazione aziendale. Abbiamo firmato un accordo con la Confindustria, che è stato rivisto nei giorni scorsi e che dovrebbe favorire la situazione all'interno dell'azienda e vedere se si possono innanzi
tutto confermare a tempo determinato i rapporti di lavoro presenti in azienda a livello atipico e magari trovare forme di integrazione.
Infine, si pone il problema dell'occupazione femminile, un vecchio problema legato anche alla struttura sociologica nazionale, per la verità. Bisogna compiere interventi agevolativi per favorire i tipi di rapporti di lavoro magari a tempo parziale e cercare di avvicinare di più le donne al mondo del lavoro, senza rendere questa entrata nel mondo del lavoro talmente pesante da sconsigliare per un dato tipo di donne e per un dato tipo di territorio l'accesso al lavoro. Noi vogliamo che la donna lavori, per contribuire alla gestione della famiglia oltre che per la sua crescita personale, ma in modo tale che possa conciliare vita lavorativa e familiare e uno dei sistemi è proprio quello del contratto part-time.
Ci sono tante prospettive. I problemi dell'accesso al lavoro esistono, le cifre sono quelle che sono state citate e io credo che bisogna compiere uno sforzo unitario da parte di tutti, parti sociali, Governo e regioni, che hanno una grande responsabilità in questo campo, per poter favorire sia l'accesso al lavoro, sia lo sviluppo produttivo.
PRESIDENTE. Vi ringrazio e vi comunico che abbiamo quasi esaurito il tempo a disposizione. Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
TERESA BELLANOVA. Grazie, presidente. Ovviamente salto tutte le premesse. Noi attribuiamo molto valore a quest'indagine conoscitiva. Non ho potuto ascoltare un'organizzazione sindacale e chiedo scusa, ma altri impegni mi hanno impedito di essere presente dall'inizio.
Abbiamo letto i dati dell'ISTAT, così come quelli di tutti gli altri istituti, ve lo garantiamo. Io ho ascoltato con molto interesse la vostra descrizione del problema, di tutta la situazione del sommerso, dei dati dei voucher, che vengono utilizzati a volte per alimentare il lavoro sommerso. Diamo per acquisito tutto ciò che viene prodotto in termini di ricerca.
L'indagine conoscitiva vuole andare un po' oltre, cioè vuole provare a mettere alcuni punti su operazioni possibilmente condivise per cercare di cominciare a dare soluzione a un problema che tutti riteniamo di grandissima rilevanza.
Per stare dentro i tempi che ci siamo dati vi pongo la seguente domanda, chiedendo se sia possibile avere oggi risposte o ricevere eventuali documenti, unitari o di singole organizzazioni: superata la fase descrittiva del problema, ci sono proposte? Ci sono linee di intervento sulle quali ci possiamo misurare, nella reciproca autonomia, ma nella convinzione che insieme vogliamo dare una soluzione a un gravissimo problema?
CESARE DAMIANO. Il tempo è veramente tiranno. Anch'io salto tutte le premesse e continuo con le domande.
Il tema è quello dell'inserimento nel mondo del lavoro. Vorrei comprendere un punto dalle organizzazioni sindacali. È stato sottoscritto un accordo, quello del 28 giugno, che regola le relazioni sindacali. C'è un articolo 8 nella manovra del Governo che lascia spazio a intese aziendali che prevedono anche la licenziabilità dei lavoratori, quindi la cancellazione dell'articolo 18. Voi ritenete che cancellare l'articolo 18 possa favorire l'inserimento dei giovani nel mercato del lavoro, come taluni sostengono?
La seconda questione è quella dell'occupazione. Io temo uno shock occupazionale nel prossimo periodo. Il Governo ha risposto a una nostra interrogazione che i lavoratori coinvolti nei processi di mobilità per il 2011 sono 1.200 in tutta Italia. Ritenete questa cifra attendibile?
Passo alla terza questione. È passato un nostro emendamento, come Partito democratico, nel decreto sviluppo sulla richiesta di scorporo dagli appalti al massimo ribasso del costo del lavoro. Ritenete che sia una misura utile?
Si sta mettendo in discussione questa misura. Pare che la si voglia cancellare e che gli organi preposti alla sua applicazione
sostengano che non è applicabile, perché non si sa quale tabella salariale prendere a riferimento. Avete proposte su questo punto, che sicuramente è un punto di lotta fondamentale contro il lavoro nero?
MASSIMILIANO FEDRIGA. Sarò anch'io molto veloce e salterò le premesse, visti i tempi stretti. Pur essendo conscio della situazione che ci troviamo ad affrontare nel Paese, vorrei capire, però, quali potrebbero essere le politiche concrete per agevolare i giovani nell'entrata nel mondo del lavoro.
Io ho una convinzione, naturalmente limitata e di parte: è molto difficile pensare di creare nuovi posti di lavoro per i giovani, se non si crea impresa. Possiamo dare tutte le agevolazioni fiscali del mondo per far accedere al mondo del lavoro un giovane, ma, se le aziende non hanno bisogno di posti di lavoro perché non producono, è difficile che, anche se diamo loro un costo uno invece che dieci, li assumano. È chiaro che bisogna intervenire anche sul mercato globale con politiche che non sono di competenza esclusiva dell'Italia.
In merito vi pongo un'altra domanda: come si può competere? Continuare a raccontare la favola che noi realizziamo grandi prodotti specializzati è assurdo. Io ricordo che lo scorso anno si sono laureati in Cina 600 mila ingegneri. Non hanno formano lo spazzino o chi scava nelle cave, bensì 600 mila ingegneri. Mi domando come possiamo ancora pensare di realizzare il prodotto tecnologico di alto spessore, lasciando invece alla Cina la bassa manovalanza.
Se non esiste una politica difensiva, in un periodo di crisi, dell'Unione europea, perché ormai la competenza è quella, vorrei sapere come pensiamo di creare o perlomeno di tutelare i posti di lavoro.
GIULIANO CAZZOLA. Non avrei voluto neanche parlare, se non fosse intervenuto l'onorevole Damiano. Premesso che l'interpretazione dell'articolo 8 è una forzatura, perché esso non consente affatto la licenziabilità dei lavoratori, ma consente di trasformare gli effetti...
PRESIDENTE. È un dibattito che abbiamo già svolto. Teniamo per acquisita la nostra conoscenza in merito.
GIULIANO CAZZOLA. Formulo solo una domanda secca, subordinata alla domanda di Damiano. Ritenete voi che una riforma dell'articolo 18 dello Statuto che preveda la nullità e, quindi, la reintegra nel caso di licenziamento discriminatorio o nei casi gravi che sono indicati e il risarcimento del danno negli altri casi possa contribuire a risolvere il dualismo nel mercato del lavoro?
PRESIDENTE. Potremmo aprire un convegno e andare avanti almeno tre o quattro ore sull'argomento. Noi abbiamo esigenze di Commissione e di Aula, come potete immaginare, con tempi estremamente stretti.
Dal momento che avete raccolto le domande, potreste far pervenire alla Commissione le risposte scritte, in modo da completare in maniera adeguata la nostra audizione; ve ne saremmo estremamente grati.
Mi scuso con voi, ma debbo essere assolutamente rigido, perché abbiamo davvero tempi molto stretti. Grazie e buon lavoro.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15,10.