Sulla pubblicità dei lavori:
Nirenstein Fiamma, Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ANTISEMITISMO
Seguito dell'esame e approvazione del documento conclusivo:
Nirenstein Fiamma, Presidente ... 4 5 7
Bressa Gianclaudio (PD) ... 6
Corsini Paolo (PD) ... 5
Ferrari Pierangelo (PD) ... 3 4
Mantini Pierluigi (UdCpTP) ... 7
Pianetta Enrico (PdL) ... 6 7
Volpi Raffaele (LNP) ... 6
ALLEGATO: Documento conclusivo approvato ... 9
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A.
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Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
Il Comitato d'indagine sull'antisemitismo | Pag. | 10 |
Il programma e gli obiettivi dell'indagine | » | 11 |
Il contesto dell'indagine conoscitiva | » | 12 |
Sintesi delle audizioni svolte | » | 15 |
Dibattiti connessi ed eventi di rilievo parlamentare | » | 23 |
La definizione di antisemitismo | » | 25 |
Razzismo, antisemitismo, antigiudaismo, antisionismo, anti-israelismo | » | 27 |
L'antisemitismo nel contesto internazionale | » | 30 |
Il caso italiano | » | 32 |
L'antisemitismo e il diritto di critica nei confronti dello Stato di Israele | » | 35 |
L'antisemitismo on line | » | 36 |
I giovani e l'antisemitismo | » | 39 |
L'antisemitismo di matrice islamico-fondamentalista | » | 40 |
Strategia di contrasto | » | 41 |
Proposte di lavoro | » | 43 |
PRINCIPALI DATI FORNITI NEL CORSO DELL'INDAGINE | » | 44 |
«Se Auschwitz non ha guarito il mondo dall'antisemitismo, cosa potrà farlo?....Cosa abbiamo quindi imparato dal passato? Abbiamo imparato che il razzismo è stupido e che l'antisemitismo è un'infamia. Abbiamo imparato che la nostra umanità è definita dal nostro atteggiamento verso l'alterità dell'altro, che abbiamo una chiara scelta tra cadere nella provocazione del nemico e il nostro dovere morale nei confronti gli uni degli altri, la scelta tra il nichilismo e il senso, il significato, tra la paura e la speranza. Questa scelta appartiene a ciascuno di noi».
(Elie Wiesel, Premio Nobel per la pace, intervento presso l'Aula della Camera dei deputati nel Giorno della memoria, il 27 gennaio 2010)
Il Comitato d'indagine sull'antisemitismo
Alla fine del primo decennio del XXI secolo, in base ai dati diffusi dalle maggiori agenzie internazionali competenti, il fenomeno dell'antisemitismo appare in forte ripresa nelle società europee ed assai diffuso nella comunità internazionale. Anche in Italia la situazione desta preoccupazione, seppur il nostro Paese evidenzi un quadro meno allarmante rispetto ad altri importanti Paesi dell'Unione europea.
In linea con l'impegno rafforzato, assunto dal Parlamento italiano, sui temi della lotta contro ogni forma di razzismo e intolleranza, per la pace e la sicurezza a livello internazionale e per la tutela dei diritti umani, sulla base delle determinazioni raggiunte dalle rispettive Commissioni, gli Uffici di presidenza, integrati dai rappresentanti dei gruppi, delle Commissioni riunite I (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio ed interni) e III (Affari esteri e comunitari), nella riunione dell'8 ottobre 2009, hanno quindi convenuto all'unanimità sull'opportunità di procedere in modo congiunto allo svolgimento di un'indagine conoscitiva sul fenomeno dell'antisemitismo.
In tale occasione si è valutata l'istituzione di un comitato d'indagine, cui affidare l'organizzazione dei lavori, fermo restando il compito delle stesse Commissioni permanenti di esaminare le risultanze dell'indagine e di approvarne il documento conclusivo in sede plenaria.
La volontà di istituire un organo ad hoc ha rappresentato un dato assai innovativo sia sul piano procedurale che sul piano del merito politico ed è indubbiamente da inquadrare in una determinazione condivisa ad attribuire visibilità al tema della lotta contro l'antisemitismo sia per accrescere la consapevolezza sulle dimensioni del fenomeno sia per adottare adeguate misure di contrasto.
Sulla base dell'intesa con il Presidente della Camera, di cui all'articolo 144, comma 1, del Regolamento, il 28 ottobre 2009 le Commissioni riunite I e III hanno, quindi, deliberato lo svolgimento dell'indagine conoscitiva, adottando il relativo programma di lavoro. Il termine di conclusione dell'indagine è stato inizialmente fissato al 31 dicembre 2010. Nel corso dei lavori tale termine è stato prorogato una prima volta al 30 aprile 2011, quindi al 30 giugno 2011 e infine al 30 settembre 2011.
Nella successiva riunione degli Uffici di presidenza, integrati dai rappresentanti dei gruppi, delle due Commissioni del 10 dicembre 2009, è stato quindi istituito il Comitato d'indagine sull'antisemitismo, composto inizialmente da 26 membri in modo da garantire la rappresentanza paritetica delle due Commissioni e quella proporzionale dei gruppi (2).
A presiedere il Comitato è stata chiamata l'on. Fiamma Nirenstein (PdL), vicepresidente della Commissione affari esteri e comunitari. Ulteriori componenti dell'Ufficio di presidenza del Comitato sono l'on. Michele Bordo (PD), in qualità di vicepresidente, e l'on. Raffaele Volpi (LNP), in qualità di segretario, entrambi componenti della I Commissione (3).
Il programma e gli obiettivi dell'indagine
Il programma dell'indagine conoscitiva, deliberato dalle Commissioni, ha fissato l'obiettivo dello svolgimento di un'attività di monitoraggio
e di approfondimento tematico del fenomeno dell'antisemitismo, sia a livello internazionale che nazionale, in una logica e prospettiva di indirizzo politico.
In particolare, l'indagine è stata impostata in modo da evidenziare i nuovi caratteri che tale fenomeno ha assunto rispetto a quelli tradizionali, con particolare riferimento all'odio etnico e religioso, alimentato dal fondamentalismo, ed allo strumentale intreccio con l'antisionismo e con le derive negazioniste.
Si è valutato che la recrudescenza dell'antisemitismo a livello mondiale, ed in particolare in Europa, unitamente al complesso rapporto con le vicende del Medio Oriente, induce a non sottovalutare gli episodi di intolleranza, che hanno avuto luogo anche in Italia, e ad adottare un'impostazione del problema che coniughi i profili di interesse internazionale con quelli di interesse nazionale.
In particolare, si è inteso verificare il grado di consapevolezza dell'opinione pubblica, dei mezzi di comunicazione e del sistema educativo; l'adeguatezza degli apparati e delle misure legislative nazionali e delle previsioni delle convenzioni internazionali; nonché l'efficacia degli organismi preposti al contrasto dell'antisemitismo.
In tale ottica, si è valutato che dall'indagine sarebbero potute emergere utili indicazioni ai fini di un rafforzamento del tessuto normativo, sia preventivo che repressivo, anche con riferimento ai nuovi mezzi di diffusione dell'antisemitismo, come le reti informatiche. Il programma dell'indagine ha inteso, in generale, inquadrare il fenomeno dell'antisemitismo nella tematica dei diritti umani e della discriminazione sotto il profilo etnico e religioso.
In base al programma, l'attività di indagine si è quindi articolata principalmente in audizioni di soggetti rilevanti ai fini dei temi trattati.
Il programma ha pertanto indicato come soggetti da audire i Ministri degli affari esteri, dell'interno e dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dirigenti dei relativi ministeri; rappresentanti delle organizzazioni internazionali e delle istituzioni europee; parlamentari esteri ed europarlamentari componenti di comitati per la lotta all'antisemitismo; rappresentanti delle associazioni e delle organizzazioni non governative per la lotta all'antisemitismo; magistrati e dirigenti della pubblica sicurezza; rappresentanti dei mezzi di comunicazione, della scuola e dello sport; accademici, studiosi ed esperti di centri ed istituti di ricerca; rappresentanti di confessioni ed organismi religiosi.
Si segnala infine che, in conformità con l'articolo 144, comma l, del Regolamento, nel corso dei lavori dell'indagine le Commissioni hanno deliberato un'integrazione del programma dell'indagine, al fine di includere l'audizione del Ministro per la gioventù.
Il contesto dell'indagine conoscitiva
Il 44 per cento degli italiani manifesta, in qualche modo, atteggiamenti e opinioni ostili agli ebrei; nel 12 per cento dei casi tale ostilità si configura come antisemitismo vero e proprio. Sono alcuni tra i dati raccolti nel 2008 dal Centro di documentazione ebraica contemporanea (CDEC), che hanno contribuito a smentire il convincimento
che in Italia l'antisemitismo sarebbe fenomeno dai connotati trascurabili. Sono dati cui lo stesso Ministro degli affari esteri, on. Franco Frattini, ha in più occasioni dato risalto, illustrando un fenomeno diffuso non solo nella società europea, ma a livello di comunità internazionale.
I dati sulla situazione italiana s'inquadrano, peraltro, in una tendenza europea di forte ripresa del fenomeno, tornato di conseguenza al centro dell'azione di monitoraggio svolta dalle maggiori agenzie internazionali competenti in tema di diritti umani e di lotta contro ogni forma di razzismo e intolleranza.
Dopo la Conferenza dell'OSCE sull'antisemitismo del 2003, che ha rappresentato una pietra miliare per la definizione e comprensione del fenomeno, nel gennaio del 2009 l'Ufficio per le Istituzioni Democratiche e i Diritti Umani (ODIHR) della stessa organizzazione, a fronte dei nuovi dati disponibili, rinnovando la preoccupazione per la crescita di episodi di antisemitismo nei Paesi europei, ha inaugurato una poderosa strategia mirata alla formazione dei giovani ed alimentato un dibattito sull'antisemitismo nel discorso pubblico, culminato in una Conferenza svoltasi nel 2011.
A livello di Unione europea, l'Agenzia per i diritti fondamentali (FRA), che ha sede a Vienna e che conduce ogni anno una verifica sull'andamento del fenomeno, ha pubblicato nel 2010 un documento sul periodo 2001-2009 che attesta come l'antisemitismo sia costantemente cresciuto nell'ultimo decennio e come in Italia esso si sia mantenuto a livelli piuttosto elevati rispetto alla precedente rilevazione del 1991.
L'incremento del fenomeno in Europa è stato ulteriormente confermato dalla storica Agenzia ebraica, che ha documentato l'aumento esponenziale di episodi antisemiti nell'Europa occidentale nell'anno 2009, l'«anno terribile» per l'antisemitismo dalla fine della Seconda Guerra mondiale. In base al rapporto dell'Agenzia, nei soli primi tre mesi del 2009 si sono verificate più aggressioni di stampo antisemita che nell'intero arco del 2008 e i Paesi più colpiti sono stati il Regno Unito, la Francia e l'Olanda. Tale incremento è da porre in relazione, secondo gli autori del rapporto, con le reazioni all'intervento militare di Israele nella Striscia di Gaza. Gli episodi sono consistiti in atti vandalici, aggressioni personali fino all'assassinio di ebrei e hanno avuto per sfondo ideologico prevalente la negazione del diritto dello Stato di Israele alla propria esistenza e della verità storica della Shoah.
Anche un recente studio della tedesca Friedrich Ebert Stiftung, condotto in otto Paesi europei, tra cui l'Italia, riferisce di una significativa percentuale di intervistati che ha risposto positivamente al quesito «considerata la politica dello Stato di Israele, posso capire perché la gente non ami gli ebrei». Tuttavia, la percentuale di risposte di questo tipo in Italia - il 25 per cento - è inferiore rispetto a quella della Germania e della Gran Bretagna (35 per cento), dell'Olanda (41 per cento), del Portogallo (48 per cento) e della Polonia (addirittura il 55 per cento).
D'altra parte, i tragici episodi di Oslo, avvenuti nel mese di luglio 2011, dimostrano, pur nella specificità del loro contesto nazionale, la terribile potenzialità violenta insita nei gruppi estremisti, in particolare neonazisti.
È a partire da questo quadro statistico allarmante e dall'analisi di un contesto globale - in cui le comunità ebraiche in Italia e nel mondo, la legittimità dello Stato di Israele e il suo diritto ad un'esistenza sicura sono oggetto di frequenti attacchi anche nelle sedi internazionali più prestigiose - che ha avuto avvio l'indagine conoscitiva sul fenomeno dell'antisemitismo.
Un importante stimolo allo svolgimento dell'indagine conoscitiva è giunto dalla riunione, tenutasi a Roma l'11 settembre 2009 sotto la presidenza dell'on. Fiamma Nirenstein, della Coalizione Interparlamentare per la Lotta all'Antisemitismo (ICCA), attiva nella promozione di specifici approfondimenti istruttori da parte dei Parlamenti nazionali di area occidentale sul tema dell'antisemitismo, in particolare in Paesi come il Canada e il Regno Unito (4).In quell'occasione i rappresentanti dell'ICCA hanno incontrato anche il Presidente della Camera, on. Gianfranco Fini. Tra l'altro, la Coalizione ha promosso lo svolgimento di un'analoga iniziativa di carattere conoscitivo presso il Parlamento canadese, affidata alla Canadian Parliamentary Coalition to Combat Antisemitism, che ha concluso il proprio lavoro nel luglio del 2011 con la pubblicazione di un rapporto (5).
Appare opportuno citare in questa sede l'inchiesta svolta dal Parlamento del Regno Unito e conclusa nel 2006 con l'adozione di un documento finale che rappresenta un punto di riferimento fondamentale nel quadro dei contributi conoscitivi di fonte parlamentare sul tema (6). Notevole è anche che il Governo canadese abbia sottoscritto la Risoluzione di Ottawa adottata dall'ICCA (7).
Un definitivo impulso all'avvio dell'indagine è giunto dai lavori preparatori della celebrazione del Giorno della memoria della Shoah il 27 gennaio 2010, tenutasi presso l'Aula di Montecitorio, nel quadro delle iniziative assunte dalla Camera dei deputati nella ricorrenza del decennale dall'entrata in vigore della legge che ha istituito tale ricorrenza (8). La celebrazione si è svolta alla presenza del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e con l'intervento di Elie Wiesel,
Premio Nobel per la Pace nel 1986 e sopravvissuto ad Auschwitz. Il carattere storico della giornata è stato sottolineato dal contestuale intervento del Presidente dello Stato d'Israele, Shimon Peres, presso l'Aula del Bundestag e dalla visita, svolta il 17 gennaio 2010, dal Papa Benedetto XVI presso la Sinagoga di Roma, a conferma di una visione globalmente condivisa sui valori della conoscenza e della memoria.
Sulla base di questi spunti decisivi, si è determinato, pertanto, in seno alle Commissioni Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio ed interni ed Affari esteri e comunitari della Camera dei deputati un orientamento unanime allo svolgimento in modo congiunto di un'indagine conoscitiva per approfondire i diversi aspetti del fenomeno dell'antisemitismo, verificare l'adeguatezza degli strumenti e delle misure legislative nazionali e internazionali, nonché l'efficacia degli organismi preposti al contrasto del fenomeno.
L'iniziativa del Parlamento italiano corrisponde, peraltro, ad una precisa sensibilità del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che negli anni non ha mai mancato di ribadire la centralità della lotta contro l'antisemitismo e l'esigenza di coltivare la memoria della Shoah, soprattutto presso le nuove generazioni. Un impulso rinnovato è giunto, in tal senso, all'inizio del 2011, anno di celebrazione del 150o anniversario dell'Unità d'Italia, quando il Presidente della Repubblica, intervenendo in occasione del Giorno della memoria, ha ricordato «gli spiriti liberali e democratici, le convinzioni laiche e moderne, l'adesione ai principi di libertà, indipendenza e autodeterminazione dei popoli che motivarono gli ebrei patrioti risorgimentali», sottolineando che la storia del nostro Paese è fatta anche dell'apporto degli ebrei italiani, gli stessi cui il fascismo, con le leggi
«razziste» del 1938, tolse diritti e garanzie fondamentali in omaggio ad un razzismo persecutorio. Il Capo dello Stato in quella specifica occasione ha, inoltre, individuato nell'intolleranza e nella demonizzazione del diverso il primo germe distruttivo che, nella storia europea recente, ha portato alle criminali degenerazioni dei totalitarismi nazifascisti e stalinisti.
Sintesi delle audizioni svolte
L'indagine ha avuto inizio il 27 gennaio 2010, in occasione del Giorno della Memoria della Shoah, con l'audizione del Ministro degli affari esteri, on. Franco Frattini.
Al centro dell'esposizione del Ministro si è collocata la illustrazione dei dati allarmanti sulla diffusione e sulla crescita del fenomeno in Italia, sulla base delle ricerche svolte dal Centro di documentazione ebraica contemporanea. Il Ministro ha insistito sulla gravità del dato che vede il 44 per cento degli italiani assumere atteggiamenti ostili agli ebrei, che nel 12 per cento dei casi diventano autentico antisemitismo. Ha quindi richiamato l'impegno di lungo periodo sul tema a partire dalle iniziative assunte in qualità di Vicepresidente della Commissione europea con particolare riferimento alla promozione di un'indagine da parte dell'allora Osservatorio europeo dei fenomeni razzisti e xenofobi (EUMC), sostituito nel 2007 dall'attuale Agenzia europea per i diritti fondamentali (FRA).
Nel suo intervento il Ministro ha quindi dato risalto all'importanza della conoscenza e comprensione del fenomeno al fine di un'efficace azione di contrasto. Ha in particolare segnalato la pericolosità di un nuovo antisemitismo strisciante, che si aggiunge a quello «tradizionale», e che si fonda sulla assuefazione, sulla noncuranza e sull'adesione acritica alle posizioni di chi asserisce il «controllo» ebraico sulla politica, sui mezzi di informazione e sull'economia ed elabora argomenti retorici utili a dissimulare il pregiudizio antisemita. Da tali atteggiamenti «passivi» si passa così a prese di posizione che, unendosi alla critica alla politica dello Stato di Israele, evolvono in forme di incitamento a considerare Israele uno «Stato razzista», fino ad auspicarne la distruzione. Esemplari in proposito sono le dichiarazioni dell'attuale Presidente della Repubblica islamica dell'Iran, Mahmud Ahmadinejad, o gli esiti
delle Conferenze dell'Onu di Durban, svolte nel 2001 e nel 2009. Il Ministro ha richiamato numerosi rapporti e studi che hanno dimostrato il collegamento tra la tensione in Medio Oriente e l'odio antiebraico.
Il 25 febbraio 2010 si è svolta, quindi, l'audizione di rappresentanti del Centro di documentazione ebraica contemporanea (CDEC) e dell'Osservatorio sull'antisemitismo operante al suo interno, che raccoglie dati e testimonianze sul pregiudizio antiebraico in Italia, mantenendo una attenzione anche di carattere generale sulla base della considerazione per cui l'ostilità nei confronti degli ebrei è solo uno degli aspetti del meccanismo del pregiudizio.
Per questo motivo il CDEC ha svolto nel 2008 tramite l'Istituto per gli studi sulla pubblica opinione (ISPO) un'ampia indagine sul fenomeno per comprendere le caratteristiche e le motivazioni delle differenti forme di pregiudizio, che è stata sommariamente illustrata.
Le ricercatrici, Adriana Goldstaub e Betti Guetta, hanno in tale occasione potuto fornire un quadro aggiornato degli episodi antisemiti in Italia che comprendono, tra l'altro, atti di vandalismo, fortunatamente in numero limitato, graffiti offensivi e lettere di insulti alle comunità. Hanno quindi esposto una documentata analisi sull'atteggiamento antisemita riconducibile ad alcune forze politiche estremiste, sia di destra che di sinistra, non senza proporre riferimenti ai temi dell'integralismo cattolico e del fondamentalismo islamico. In base alla ricerca del CDEC le condotte antisemite in Italia restano prerogativa di piccoli gruppi estremisti mentre un discorso diverso va fatto sugli atteggiamenti antisemiti, su cui occorre intervenire prima che diventino comportamenti e atti di violenza.
Il 15 aprile 2010 l'indagine è proseguita con l'audizione di rappresentanti delle Comunità ebraiche in Italia. In particolare, Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche d'Italia, ha sottolineato che l'antisemitismo ha molte origini e sfaccettature, ma deriva da un substrato culturale generico, che coincide con l'odio e la diffidenza nei confronti del diverso, colpevole di non volere rinunciare alla propria cultura e alle proprie tradizioni, pur volendo vivere nella società e non volendo esserne escluso. Secondo Gattegna l'antisemitismo e il pregiudizio, che permangono in diversi strati e in diversi modi nella società, possono essere combattuti alla radice solo con la cultura e con la conoscenza. Ma il pregiudizio antiebraico si nutre oggi anche di ragioni anti-israeliane, cui danno alimento taluni
mezzi di informazione che appaiono pregiudizialmente ostili nei confronti dello Stato ebraico. In tali casi, la linea di separazione fra antisemitismo e antisionismo diventa labile. E non vi sono più dubbi quando si nega il diritto di esistere allo Stato di Israele e se ne minaccia l'annientamento. Sul piano dell'attualità è stata posta attenzione al successo elettorale del partito dell'ultradestra ungherese Jobbik, che utilizza una propaganda e un linguaggio che ricordano da vicino le ideologie razziste sviluppatesi in Europa negli anni Venti e Trenta del secolo scorso, e al drammatico incremento di episodi antisemiti registrato a seguito del conflitto militare a Gaza, soprattutto in Gran Bretagna e Francia.
Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma, ha toccato il tema dell'antisemitismo su Internet e della sua difficile repressione ed evidenziato il pericolo del nuovo antisemitismo rappresentato dall'antisionismo e dagli episodi violenti di cui si sono resi protagonisti immigrati musulmani in Europa. Richiamando nei contenuti talune riflessioni di Robert Wistrich, docente di storia europea ed ebraica presso l'Università di Gerusalemme, ha segnalato la saldatura che sussiste tra alcune organizzazioni islamiche e gruppi neonazisti e che è alla base di aggressioni alle comunità ebraiche, alle loro sinagoghe, scuole e cimiteri, ma anche di azioni di boicottaggio in occasione di eventi sportivi, come avvenuto in Svezia a Malmö, nel marzo del 2009, in occasione di una partita di Coppa Davis tra Svezia e Israele, disputata a porte chiuse a causa delle veementi manifestazioni anti-israeliane. Anche la Nazionale israeliana di taekwondo
è stata costretta ad annullare la trasferta scandinava «per ragioni di sicurezza». Ha altresì auspicato specifici interventi nei confronti delle comunità dell'emigrazione islamica in Europa per isolare le organizzazioni legate al fondamentalismo ed aiutare i soggetti disposti a condividere i valori fondamentali di eguaglianza e tolleranza. Ha dato quindi risalto all'importanza di rafforzare i legami tra le comunità ebraiche e le altre comunità e di migliorare il versante della cooperazione universitaria nel campo scientifico tra atenei italiani e israeliani al fine di offrire una risposta di civiltà a chi propone di boicottare Israele anche nel campo della cultura.
Il rabbino Benedetto Carucci, preside della scuola ebraica di Roma, ha affrontato preliminarmente il tema delle diverse categorie dell'antisemitismo, osservando però che se dal punto teorico è possibile distinguerle, spesso i fenomeni concreti si pongono nella saldatura tra le definizioni. Ritiene che fra le cause profonde dell'antisemitismo vi sia un «perturbamento» dovuto al fatto che gli ebrei sono estremamente forti dal punto di vista identitario ma non facilmente identificabili. L'antisemitismo in alcuni casi è determinato da ignoranza, ma in altri deriva da atteggiamenti ideologicamente costruiti e assolutamente coscienti, più gravi e difficili da superare. Ritiene quindi importante ma non sufficiente diffondere cultura e informazione. Ha anche paventato il rischio che le iniziative incentrate solo sulla memoria della Shoah possono far passare l'idea che l'ebraismo sia risolvibile solamente con il tema dello sterminio,
principio inaccettabile per gli ebrei, che non intendono riconoscersi solamente come discendenti delle vittime o come sopravvissuti.
In considerazione dell'ampia diffusione di contenuti antisemiti sul web e delle importanti ricadute che tale fenomeno ha sulla realtà giovanile, rispetto alla quale il Comitato aveva avvertito la necessità di effettuare approfondimenti, il 22 aprile 2010 si è proceduto all'audizione di esperti in materia di monitoraggio on line del fenomeno dell'antisemitismo.
I ricercatori intervenuti, Stefano Gatti, ricercatore dell'Osservatorio sul pregiudizio antiebraico presso il CDEC, e l'australiano André Oboler, Chief Executive officer di Zionism on the Web, richiamando anche l'operato del Gruppo di lavoro del Forum globale contro l'antisemitismo svoltosi nel 2009, hanno osservato che il pericolo principale non risiede tanto nei siti web tradizionali chiaramente antisemiti, dei quali è stata fornita una veloce panoramica, che pure possono fomentare l'odio e dei quali si evidenza un aumento verticale, ma piuttosto nei social media. È stato sottolineato che i social network hanno ormai, specialmente a livello giovanile, un'importanza per la diffusione di informazioni e opinioni molto superiore ai canali tradizionali e sono stati forniti esempi circa il fatto che anche attività come quelle costituite da semplici ricerche su Internet possono comportare la diffusione di messaggi
antisemiti o comunque distorti. Così, su Facebook o Twitter si crea un contesto in cui l'antisemitismo e altre forme di odio diventano accettabili a livello sociale, anche se non per forza condivise, rendendo più probabile che gli stimoli della comunità on line incidano sui comportamenti reali.
L'antisemitismo on line deve essere considerato un problema globale, cui contrapporre una reazione globale e costante, e gli auditi hanno fornito alcuni suggerimenti per contrastarlo, tenendo conto della struttura della rete e delle regole con le quali sono amministrati i social network e gli altri siti di scambio di informazioni attraverso il web.
A confermare l'urgenza di dare seguito a tali spunti, soprattutto a seguito di questa audizione sono apparsi su siti razzisti e antiebraici attacchi specifici e minacce ai componenti del Comitato d'indagine, in particolare alla presidente Nirenstein, dettati anche dalla preoccupazione che il lavoro istruttorio possa sfociare in proposte legislative atte a fermare l'odio antisemita in rete.
L'11 maggio 2010 si è svolta l'audizione del professor Renato Mannheimer, presidente dell'Istituto per gli studi sulla pubblica opinione (ISPO), che ha illustrato i risultati dell'indagine demoscopica svolta su incarico del CDEC nel 2008. Dall'analisi delle risposte fornite ai questionari è emerso che il 10 per cento degli intervistati condivideva affermazioni riconducibili al pregiudizio antiebraico «tradizionale», quello di natura religiosa; l'11 per cento condivideva un pregiudizio definito «moderno», xenofobo, che vede gli ebrei come gruppo organizzato che pensa solo ai propri interessi e si aiuta strettamente al suo interno, tramando contro il resto della società; il 12 per cento condivideva un pregiudizio «contingente», legato ad una distorta valutazione su Israele. Accanto ad essi è risultato un ulteriore 12 per cento di intervistati che dichiaravano il loro accordo a tutte le affermazioni antiebraiche e
che possono essere definiti antisemiti puri. La ricerca ha documentato informazioni circa l'età, il titolo di
studio e gli atteggiamenti politici di coloro che manifestano le diverse forme di pregiudizio.
Il tema della diffusione on line di contenuti antisemiti e razzisti, considerato di importanza cruciale da parte del Comitato, è stato ripreso con l'audizione di Domenico Vulpiani, dirigente generale della Polizia di Stato, coordinatore della sicurezza informatica e per la protezione delle infrastrutture critiche informatizzate sul territorio nazionale, svolta il 25 maggio 2010.
In proposito Vulpiani ha osservato come la propaganda antisemita e negazionista, fino a poco tempo fa relegata a pubblicazioni di nicchia, ha trovato in Internet uno strumento facile ed economico di diffusione. La legge 25 giugno 1993, n. 205, recante «Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa» (la cosiddetta «legge Mancino»), entrata in vigore prima della diffusione del web, sconta in proposito alcuni limiti di applicazione. Ciò nonostante la polizia postale è riuscita a promuovere con successo alcune azioni di contrasto, di cui sono stati forniti esempi.
Più complesso appare il terreno dei social network dove non si può procedere ad oscurare. Con essi è in atto una collaborazione, sostanziale più che formale, attraverso la quale contenuti a carattere criminale vengono rimossi. Tale procedura appare però non agevole nel caso di affermazioni di tipo razzista od antisemita perché si pone il problema della difficoltà di assumere la veste di censore rispetto all'espressione di opinioni, per quanto discutibili. Pertanto anche in tale occasione è stata ribadita l'importanza di una sfida culturale e sul piano dei valori che accompagni l'azione di tipo repressivo.
Nel corso dell'audizione di Vulpiani è stata formulata la richiesta che il Governo provveda con urgenza a risolvere il problema della mancata sigla da parte dell'Italia del Protocollo addizionale alla Convenzione sulla criminalità informatica, relativo all'incriminazione di atti di natura razzista e xenofobica commessi a mezzo di sistemi informatici, aperto alla firma nel 2002 ed entrato in vigore nel 2004.
Con la Convenzione internazionale del Consiglio d'Europa per la lotta alla cybercriminalità, adottata nel 2001, entrata in vigore nel 2004 e ratificata dall'Italia con la legge 18 marzo 2008, n. 48, gli Stati si sono impegnati per la prima volta a regolamentare il settore. Il Protocollo addizionale del 2002 chiede agli Stati di criminalizzare la diffusione del materiale razzista e xenofobo per mezzo dei sistemi informatici attraverso due strumenti: l'armonizzazione del diritto penale e il miglioramento della cooperazione internazionale nell'azione di contrasto. Il Protocollo amplia la portata della Convenzione sulla cybercriminalità per includere i reati legati alla propaganda a sfondo razzistico o xenofobo. In tal modo, il Protocollo intende fornire alle Parti la possibilità di utilizzare i mezzi e le vie della cooperazione internazionale indicati in questo campo dalla Convenzione.
Il 19 ottobre 2010 si è tenuta l'audizione della professoressa Dina Porat, direttrice dello Stephen Roth Institute per lo studio dell'antisemitismo contemporaneo e del razzismo dell'Università di Tel Aviv, incentrata sull'analisi delle nuove forme di antisemitismo, sviluppatesi negli ultimi dieci anni, e dell'emergere di una matrice islamista. La professoressa Porat ha evidenziato che il nuovo antisemitismo si
contraddistingue per la sua sovrapposizione all'antisionismo e per la tendenza ad attaccare le comunità ebraiche all'estero per il loro legame con Israele. Nello stesso tempo i gruppi estremisti non sono solo antisemiti, ma operano contro chiunque non abbia la loro stessa identità o cultura. La professoressa Porat ha fornito anche alcuni dati statistici sull'evoluzione degli incidenti antisemiti nel corso dell'ultimo ventennio, per anno e per singoli Stati, evidenziando la loro correlazione con determinati accadimenti. Nel complesso l'Italia non rientra tra i Paesi in cui gli episodi antisemiti sono più frequenti.
Anche in questa occasione è stata ribadita l'importanza dell'educazione dei giovani in modo che possano acquisire adeguati strumenti per una corretta interpretazione degli avvenimenti storici e contemporanei ed è stato affrontato il tema della definizione del limite tra critica ad Israele e antisemitismo, analizzando le dinamiche che portano ad una visione che preclude allo Stato d'Israele un'esistenza «normale». Quanto al tema della critica, la professoressa Porat ha richiamato la definizione di antisemitismo data a livello europeo nel 2004 in occasione della Conferenza di Berlino in base alla quale i movimenti antisionisti diventano antisemiti quando negano al popolo ebraico il diritto all'autodeterminazione, spettante ad ogni popolo, o applicano il doppio standard chiedendo agli ebrei e ad Israele quanto non chiedono ad altri popoli e Stati. Sono sicuramente antisemite le critiche che conducono ad equiparare la politica di Israele con
quella del nazionalsocialismo o che estendono a tutti gli ebrei sparsi nel mondo la responsabilità delle azioni compiute dallo Stato di Israele.
Ha precisato che la critica ad Israele non si differenzia da quella mossa a qualunque altro Paese se essa riguarda singoli episodi o una determinata politica in un determinato momento. Se invece tale critica si manifesta attraverso espressioni antisemite ed è generalizzata nei confronti degli ebrei e dello Stato ebraico allora cessa di essere tale e diventa antisemitismo.
Per approfondire il tema della diffusione del pregiudizio antisemita tra i giovani il 16 novembre 2010 il Comitato ha audito Alessandro Cavalli e Enzo Risso, rispettivamente presidente e direttore dell'Istituto Ricerche politiche e socioeconomiche (IARD), che hanno illustrato i risultati di un'indagine svolta per conto dell'Osservatorio sui fenomeni di xenofobia e razzismo, istituito nella presente legislatura presso la Camera dei deputati.
Dall'analisi dei dati risulta l'elemento molto rilevante per cui il 22 per cento di giovani tra i 18 e i 29 anni manifesta ostilità nei confronti degli ebrei, con dati superiori alla media per quanto riguarda i maschi, i residenti nell'Italia del Nord, i giovani che hanno un livello di istruzione inferiore, i soggetti che si sentono territorialmente radicati e quelli che si percepiscono esclusi dalla società. È stato in ogni caso osservato che gli ebrei non sono attualmente la minoranza nei cui confronti si manifestano le forme più crude di intolleranza. È stato quindi ribadito il nesso tra intolleranza e antisemitismo.
Come ulteriore momento di riflessione sulle dinamiche nel mondo giovanile, il 27 gennaio 2011, si è tenuta l'audizione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, on. Mariastella Gelmini, che ha illustrato le numerose iniziative in atto nella scuola italiana per la conservazione della memoria storica delle persecuzioni razziali e la
formazione dei ragazzi alla lotta contro l'antisemitismo nelle sue più diverse e insidiose manifestazioni. Richiamando un ordine del giorno accolto dal Governo in occasione dell'approvazione della riforma universitaria, ha espresso preoccupazione per le iniziative ed appelli al boicottaggio delle università e degli accademici israeliani da parte delle università italiane. Nel corso dell'audizione si è nuovamente focalizzata l'attenzione sul fatto che, in particolare attraverso i social network, si stia sviluppando un nuovo tipo di antisemitismo, meno apertamente razzista e per tale motivo più subdolo. Nel corso del dibattito si è anche proposto che gli insegnanti siano formati a spiegare, oltre che la Shoah e la religione ebraica, anche la storia dello Stato di Israele e del sionismo al fine di fornire adeguati strumenti di interpretazione della realtà alle giovani generazioni.
Il rabbino Andrew Baker, Rappresentante personale della Presidenza dell'OSCE per il contrasto all'antisemitismo, nonché delegato del Governo americano alla prima Conferenza dell'OSCE sull'antisemitismo, è stato audito il 4 maggio 2011. È opportuno richiamare in questa sede che l'OSCE, organizzazione specializzata sui temi della sicurezza e della cooperazione, si contraddistingue per un approccio globale a tali tematiche, approccio che include i temi dei diritti umani, della tutela delle minoranze e della democratizzazione. In quest'ottica l'Organizzazione, in reazione alla ripresa dell'antisemitismo in Europa registrato a partire dal 2002, ha indetto nel 2003 a Vienna una Conferenza su tale argomento. Nel 2004 si è quindi tenuta la Conferenza di follow-up, svoltasi a Berlino e che ha visto la partecipazione della maggior parte dei Governi dei Paesi OSCE e che ha avuto per esito anche l'istituzione del Rappresentante personale della
Presidenza, con responsabilità nel campo dell'antisemitismo, oltre che di analoghe figure nel campo della lotta alla discriminazione contro i musulmani, i cristiani e in generale all'intolleranza religiosa. In tale occasione è stata approvata la Dichiarazione di Berlino, nella quale si è affermato esplicitamente che l'antisemitismo ha assunto nuove forme e nuove manifestazioni e che è in atto un processo di demonizzazione di Israele teso a mettere in dubbio la sua legittimità. Nel marzo del 2011 si è tenuto a Praga un incontro sull'antisemitismo nella dialettica pubblica in cui è emerso che anche quando la leadership politica riconosce come inaccettabili i discorsi antisemiti non vi è sufficiente azione di contrasto e che i media sono protagonisti nella diffusione dei messaggi negativi.
Baker ha inizialmente fornito una breve ricostruzione storica dello sviluppo delle nuove forme di antisemitismo nell'ultimo decennio, a partire dal fallimento del processo di pace in Medio Oriente e dagli esiti della Conferenza di Durban del 2001. In conseguenza di ciò le comunità ebraiche in diversi Paesi occidentali per la prima volta in decenni hanno affrontato una situazione di insicurezza derivante da aggressioni fisiche, ma soprattutto da un nuovo clima culturale. Anche l'impegno per ottenere la restituzione dei beni confiscati dal regime nazista o nazionalizzati dai regimi comunisti ha provocato reazioni antisemite nell'incertezza dei governi circa il modo di farvi fronte.
Nel corso dell'audizione è stato ampiamente trattato il tema, più volte affrontato, della definizione dell'antisemitismo, in particolare quando entrano in gioco valutazioni sulle politiche dello Stato
di Israele. In proposito, in risposta ad una domanda dell'on. Corsini, Baker ha osservato che occorre essere molto cauti nell'etichettare un discorso come antisemita e lasciare un ampio spazio alla critica, anche aspra. Ma vi sono posizioni, quali il negare il diritto di esistere ad Israele, in cui si supera una linea che è forse difficile da definire in maniera precisa ma che appare evidente nel momento in cui la si travalica.
La conoscenza degli ebrei, secondo l'audito, non proviene principalmente da fonti dirette, ma dai media, che svolgono quindi un ruolo cruciale. In proposito è stato osservato che rispetto ad interventi normativi, appare più agevole la definizione di buone pratiche, incoraggiando, ad esempio, i provider a monitorare e vagliare meglio quello che viene diffuso attraverso i loro server e oscurare quei siti che sono veicoli di espressione brutale di odio. Più in generale si deve reagire rapidamente a ogni manifestazione di antisemitismo, renderlo un tabù, qualcosa che non ha diritto di cittadinanza nella dialettica pubblica. In questo campo vi è spazio per l'azione parlamentare.
L'intervento del Ministro della gioventù, on. Giorgia Meloni, audita il 18 maggio 2011, è partito dalla constatazione che in Italia l'antisemitismo si manifesta raramente in maniera violenta ma si appalesa piuttosto come un fenomeno culturale che deve essere contrastato sullo stesso piano. Ha quindi illustrato le azioni che il Ministero ha portato avanti per diffondere conoscenza come chiave per combattere qualunque forma di odio razziale e soprattutto quella dell'antisemitismo.
Rispetto ai nuovi strumenti di comunicazione ha osservato come essi si possano utilizzare in positivo, per fare «controinformazione», piuttosto che subirne solo l'utilizzo negativo, esprimendo invece perplessità verso l'efficacia di soluzioni normative. A suo avviso occorre, quindi, promuovere la formazione di giovani adeguatamente sensibilizzati a combattere le espressioni di razzismo e antisemitismo in rete per evitare che prevalgano le opinioni di una minoranza «rumorosa».
Con l'audizione del professor Gert Weisskirchen, membro del Comitato direttivo dell'Interparliamentary Coalition for Combating Antisemitism (ICCA), già Rappresentante personale della Presidenza dell'OSCE per il contrasto all'antisemitismo, svolta il 15 giugno 2011, vi è stata un'apertura dei lavori dell'indagine all'attualità internazionale: si è ampliato il quadro alle rivoluzioni in corso in molta parte del mondo arabo, sottolineando i rischi di un'insorgenza integralista islamica che possa ritorcersi contro gli ebrei. Riguardo alla cosiddetta primavera araba si è osservato che occorre dare aiuto alle forze che lottano per la democrazia, condizionando l'assistenza economica e istituzionale al rispetto dei diritti umani e alla promozione di una soluzione pacifica del conflitto mediorientale. Si sono ribadite le preoccupazioni per lo sviluppo di grandi movimenti antisemiti in Ungheria e in altri Stati europei, che si sono
istituzionalizzati in partiti non marginali nello scenario politico dei rispettivi Paesi.
L'ultima audizione dell'indagine è stata quella del Ministro dell'interno, on. Roberto Maroni, svoltasi il 26 luglio 2011, il cui intervento si è concentrato sull'attività degli organismi preposti alla prevenzione e all'azione di contrasto anche in relazione ai nuovi mezzi di diffusione dell'antisemitismo attraverso le reti informatiche.
Assicurando la massima attenzione delle forze di polizia nei confronti di ogni manifestazione di intolleranza o di discriminazione razziale, etnica o religiosa il Ministro ha segnalato l'importanza dell'istituzione, nel settembre del 2010, dell'Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (OSCAD), presieduto dal vicecapo della polizia, con il compito di monitorare e analizzare tutte le informazioni relative ad atti discriminatori commessi nei confronti di soggetti a causa delle loro origini etniche o del credo religioso, nonché di elaborare le relative strategie di intervento sul piano locale e provvedere ad agevolare la presentazione di denunce. È stato inoltre stipulato un protocollo di intesa tra l'OSCAD e l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (l'UNAR), istituito presso il Dipartimento delle pari opportunità, con lo scopo di definire le modalità di scambio informativo nella trattazione dei casi di discriminazione posti
all'attenzione delle parti, e cioè l'invio reciproco dei casi aventi o meno rilevanza penale.
Il Ministro Maroni ha comunque evidenziato che, a differenza di altri Paesi europei, l'Italia non deve fare i conti con frequenti episodi di intolleranza antiebraica o contro lo Stato di Israele, ricordando in proposito il pacifico svolgimento della manifestazione Unexpected Israel, svoltasi nel mese di giugno 2011 in piazza Duomo a Milano.
Confermando il massimo impegno profuso contro la diffusione della propaganda antisemita sul web, ha condiviso l'auspicio per una rapida sottoscrizione da parte dell'Italia del Protocollo addizionale alla Convenzione di Budapest. Sul piano operativo il Ministro ha ricordato che vi sono difficoltà e resistenze da parte dei gestori dei social network a provvedere alla rimozione di contenuti discriminatori sulla base della semplice segnalazione della Polizia postale. Di conseguenza, la Polizia postale provvede al monitoraggio dei siti e segnala i vari casi all'autorità giudiziaria, che, a sua volta, emana provvedimenti di natura giurisdizionale che consegna ai gestori dei siti. Questi ultimi, specie se aventi sede all'estero, non sono obbligati al rispetto del provvedimento, ma generalmente lo eseguono.
Dibattiti connessi ed eventi di rilievo parlamentare
Tra il 2009 e il 2010, parallelamente ai lavori d'indagine, hanno avuto luogo importanti iniziative di studio e approfondimento, svolte in ambito parlamentare, su temi connessi a quelli oggetto dell'indagine. Tali eventi, tutti caratterizzati da una folta partecipazione sia da parte di parlamentari che di prestigiosi esponenti istituzionali, del mondo accademico e della società civile impegnata contro l'antisemitismo, hanno contribuito ad accrescere l'attenzione dell'opinione pubblica nei confronti del lavoro del Comitato d'indagine e a portarne il contributo al di fuori del «palazzo».
In questa sede si ritiene opportuno richiamarli anche per gli spunti e stimoli che da tali eventi sono derivati allo stesso lavoro d'indagine.
Nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle violazioni dei diritti umani nel mondo, svolta dalla III Commissione, si è tenuta il 16 giugno 2009 l'audizione del Presidente onorario del Centro Justice for
Jews from Arab Countries, Irwin Cotler, e di David Meghnagi, docente dell'Università di Roma Tre. L'audizione si è concentrata sulla questione dell'esodo massiccio di ebrei e palestinesi come conseguenza della nascita nel 1948 dello Stato di Israele. Irwin Cotler, già ministro della giustizia del Canada e giurista esperto di diritto internazionale umanitario, avvocato di Nelson Mandela noto per il suo impegno nella causa contro l'apartheid, ha ricordato che i fatti del '48 determinarono, insieme alla nota Naqba palestinese, anche un meno noto ma più consistente movimento di profughi ebrei, che coinvolse circa 850 mila persone. L'esilio/esodo fu allora determinato dal rifiuto da parte della leadership di molti Stati arabi nei confronti del nascente Stato di Israele ed ebbe per vittima i cittadini di ascendenza ebraica. Il riconoscimento dei diritti dei profughi ebrei appartiene al novero delle questioni che
compongono il nodo mediorientale e che dovrebbe trovare soluzione nel quadro di negoziati di pace. Quanto alla questione delle compensazioni, più che ragionare in termini di ritorno è opportuno ragionare in termini di restituzione della memoria, della verità e della giustizia, concetti che rientrano nella nozione di compensazione data dal diritto internazionale. L'audizione ha quindi fatto emergere la proposta di considerare il 29 novembre - giornata in cui presso le Nazioni Unite si commemora ogni anno la tragedia dei profughi palestinesi - la ricorrenza riguardante l'esodo forzato di entrambi i popoli quale primo passo nella direzione di un reciproco riconoscimento della tragedia subita.
Nella sua esposizione David Meghnagi ha proposto una rappresentazione della società araba moderna segnata dall'esperienza del nazionalismo che, culminato alla fine degli anni Sessanta, avrebbe azzerato la tradizione di pluralismo etnico e il modello di convivenza tra comunità islamiche e non, almeno in parte preesistente alla nascita degli Stati nazionali nell'area. Anche alla luce di questa evoluzione, di questa «sparizione dell'alterità», sarebbe da leggere l'attrito con la presenza ebraica nella regione e l'insofferenza nei confronti dello Stato di Israele.
Sul tema dell'antisemitismo, nel corso dell'audizione è stato evidenziato come nei confronti di Israele, anche in occasione di dibattiti sulla questione degli esodi forzati dei due popoli, si utilizzino espressioni mutuate dall'esperienza della Shoah, non solo nell'intento di delegittimare Israele, ma anche di privare il suo popolo della sua specifica identità ed esperienza storica.
Una successiva occasione di approfondimento sulla tematica è stato il seminario, promosso dal Comitato d'indagine, sul tema «Perché l'antisemitismo: le domande della storia», svoltosi il 5 luglio 2010 e al quale hanno contribuito Robert Wistrich, Mario Toscano, Piero Craveri, David Meghnagi, Marcello Pezzetti, Giulio Meotti. Il seminario si è aperto con la testimonianza di Ruth Halimi, madre di Ilan, giovane ebreo parigino trucidato nel 2006 da una banda di antisemiti. Il seminario ha approfondito le radici storico-sociali dell'antisemitismo nella società europea. Nella relazione di David Meghnagi è stato evidenziato come l'antisemitismo non sia fenomeno solo di destra. Secondo lo storico Craveri l'antisemitismo ha trovato alimento nella politica di appeasement adottata da Inghilterra e Francia negli anni Trenta, con lo scopo di placare le mire espansionistiche
di Hitler e scongiurare l'intervento militare contro la Germania. Le circostanze del rapimento e uccisione di Ilan Halimi richiamano, secondo lo storico Mario Toscano, il prototipo antisemita dell'ebreo ritenuto ricco e degli elementi che hanno caratterizzato l'antisemitismo contemporaneo, fra cui la questione israeliana e il ruolo politico internazionale del mondo sovietico. Secondo Marcello Pezzetti, storico della Shoah e direttore del Museo della Shoah di Roma, le ragioni dell'odio antisemita vanno ricercate in radici arcaiche e non solo negli ambienti politici di destra e sinistra. «L'antisemitismo è un'azione di barbarie all'interno della società» - ha dichiarato Wistrich in teleconferenza da Gerusalemme - «una specie di nuovo jihad che dai ritrovi dei gruppi nazifascisti si diffonde nelle università, nei giornali, nelle televisioni, tra coloro che hanno gli strumenti per tenere a distanza
il pregiudizio antiebraico». Secondo Wistrich, una parte prevalente del problema è il clima di sospetto da parte degli accademici e dei media nei confronti di Israele e la banalizzazione dell'antisemitismo, che non viene più avvertito come minaccia. Occorre fare appello alla responsabilità dei mezzi di informazione, tenendo conto che l'atteggiamento verso gli ebrei rappresenta un barometro del grado di tolleranza di una società.
Al convegno è intervenuto anche l'on. Volpi che ha sottolineato l'importanza che l'attività svolta dal Comitato d'indagine muova verso proposte concrete, possibilmente di natura legislativa.
In questa sede appare opportuno richiamare, infine, la missione svolta dalla III Commissione in occasione della Seconda Conferenza Interparlamentare contro l'Antisemitismo, organizzata dall'ICCA e svolta ad Ottawa dal 7 al 9 novembre 2010. Ai lavori della Conferenza hanno preso parte l'on. Fiamma Nirenstein, in qualità di vicepresidente della III Commissione, e l'on. Paolo Corsini. La Conferenza è terminata con l'adozione del «Protocollo di Ottawa», che indica una serie di linee direttrici per l'azione futura di contrasto alla diffusione dell'antisemitismo.
Anche dai lavori della Conferenza, come già dall'audizione di Vulpiani, è emersa la questione della mancata firma da parte dell'Italia del Protocollo addizionale alla Convenzione di Budapest per il contrasto a forme di xenofobia e razzismo con i mezzi informatici. In proposito la III Commissione ha approvato il 14 dicembre 2010 la risoluzione n. 7-00445, presentata dalla presidente Nirenstein e dall'on. Corsini, che impegna il Governo a siglare il Protocollo in quanto strumento necessario per potenziare il coordinamento internazionale e adottare procedure più spedite per il contrasto di reati a sfondo xenofobo e razzista sui mezzi informatici.
La definizione di antisemitismo
L'indagine si è svolta sulla base dei fondamenti definitori fissati a livello internazionale dall'OSCE e dallo European Union Monitoring Centre
on Racism and Xenophobia (EUMC), agenzia dell'Unione europea per i diritti umani, ridenominata nel 2007 Agenzia europea per i diritti fondamentali (FRA), avente sede a Vienna.
Lo stimolo all'avvio di iniziative e occasioni di studio sul tema da parte dell'OSCE e dell'Unione europea è giunto a conclusione della Conferenza di Durban sul razzismo, svoltasi nel settembre del 2001, pochi giorni prima dell'attentato alle Torri Gemelle a New York e preceduta da una conferenza regionale a Teheran fondata sull'equazione sionismo/razzismo.
Il primo riferimento è la Conferenza OSCE sull'antisemitismo, svolta a Vienna nel 2003, in cui sono state individuate le nuove forme di antisemitismo messe a confronto con le note forme tradizionali.
Nel 2004 si è quindi tenuta a Berlino la II Conferenza sull'antisemitismo, cui parteciparono al massimo livello i governi degli Stati membri dell'OSCE e che pervenne alla adozione di una Dichiarazione sul nuovo antisemitismo, ovvero la demonizzazione di Israele e la messa in dubbio sulla sua legittimità quale conclusione delle critiche mosse al governo dello Stato ebraico per il suo agire nel quadro della crisi mediorientale, sottolineando che l'evolvere della situazione in Medio Oriente non giustifica mai dichiarazioni di stampo antisemita.
Tra il 2002 e il 2003 l'EUMC ha avviato la prima indagine sull'antisemitismo nell'Unione europea per realizzare un monitoraggio sia sugli episodi antisemiti che sugli atteggiamenti e i convincimenti della popolazione europea. Nel 2005 l'EUMC ha quindi messo a punto, in collaborazione con l'ODHIR dell'OSCE, una definizione operativa dell'antisemitismo, acquisita ormai come riferimento per l'intera comunità internazionale, e che in questa sede appare opportuno riportare per intero:
«L'antisemitismo è una certa percezione degli ebrei, che può essere espressa come odio per gli ebrei. Manifestazioni retoriche e fisiche dell'antisemitismo sono dirette a individui ebrei e non ebrei o ai loro beni, a istituzioni comunitarie ebraiche e ad altri edifici a uso religioso. In aggiunta a quanto detto, queste manifestazioni possono colpire lo Stato d'Israele, concepito come una collettività ebraica. L'antisemitismo spesso accusa gli ebrei di complottare per danneggiare l'umanità, e se ne fa spesso ricorso per dare la colpa agli ebrei "quando le cose non vanno". È espresso attraverso discorsi, scritti, forme d'espressione visiva e azioni, e utilizza stereotipi sinistri e caratterizzazioni negative. Esempi contemporanei di antisemitismo nella vita pubblica, nei mezzi di comunicazione, le scuole, il lavoro, e nella sfera religiosa, possono includere, prendendo in considerazione il contesto generale, ma non si limitano a:
incitare, sostenere, o giustificare l'uccisione di o la violenza contro ebrei nel nome di un'ideologia radicale o una visione estremista della religione;
fare insinuazioni mendaci, disumanizzanti, demonizzanti o stereotipate degli ebrei in quanto tali o del potere degli ebrei come collettività, ad esempio, specialmente ma non solo il mito del complotto mondiale ebraico o gli ebrei che controllano i mezzi
d'informazione, l'economia, il governo o altre istituzioni all'interno di una società;
accusare gli ebrei in quanto popolo di essere responsabili di ingiustizie vere o immaginarie commesse da un singolo ebreo o da un gruppo di ebrei, o anche per azioni commesse da non ebrei;
negare il fatto, l'estensione e i meccanismi (ad esempio le camere a gas) o l'intenzionalità del genocidio del popolo ebraico per mano della Germania nazionalsocialista e dei suoi sostenitori e complici durante la Seconda Guerra Mondiale (l'Olocausto);
accusare gli ebrei in quanto popolo, o Israele in quanto Stato, di inventare o esagerare l'Olocausto.
accusare cittadini ebrei di essere più leali a Israele, o a supposte priorità degli ebrei in tutto il mondo, che agli interessi della loro nazione.
Esempi di come l'antisemitismo si manifesta con riguardo allo Stato d'Israele, prendendo in considerazione il contesto generale, possono includere:
negare al popolo ebraico il proprio diritto all'autodeterminazione, cioè sostenere che l'esistenza dello Stato d'Israele è un atto di razzismo;
adottare due misure diverse (a Israele) aspettandosi da esso un comportamento non atteso o richiesto a nessun'altra nazione;
usare i simboli e le immagini associate all'antisemitismo classico (per esempio accuse di ebrei che uccidono Gesù o l'accusa del sangue) per caratterizzare Israele e gli israeliani;
tracciare paragoni tra la presente politica d'Israele e quelle dei nazisti;
ritenere gli ebrei collettivamente responsabili per le azioni dello Stato d'Israele.
D'altro canto, le critiche rivolte a Israele che sono simili a quelle mosse a qualsiasi altro paese non possono essere considerate antisemite. Gli atti antisemiti sono criminali quando sono così definiti dalla legge (per esempio la negazione dell'Olocausto o la distribuzione di materiale antisemita in certi paesi). I crimini sono antisemiti quando l'oggetto degli attacchi, siano essi persone o proprietà - per esempio edifici, scuole, luoghi di culto e cimiteri - sono scelti perché sono, o sono ritenuti essere, ebraici o legati agli ebrei. La discriminazione antisemita è il diniego agli ebrei delle opportunità e dei servizi disponibili agli altri cittadini ed è illegale in molti paesi» (9).
Razzismo, antisemitismo, antigiudaismo, antisionismo, anti-israelismo
Sin dall'avvio dei lavori dell'indagine, nella certezza che, come ha sottolineato l'on. Corsini, «la necessità di una categorizzazione seria e fondata della terminologia appartiene anche alla dignità del linguaggio politico», la differenziazione tra i fenomeni del razzismo,
dell'antisemitismo, dell'antigiudaismo, dell'antisionismo e dell'anti-israelismo è apparsa un'istanza percepita come urgente e irrinunciabile.
Per operare la menzionata distinzione tra i fenomeni sono stati richiamati più volte i contributi dello studioso Pierre-André Taguieff e dello storico Robert Wistrich.
In termini scientifici si può affermare che il fenomeno antisemita ha tre declinazioni: religiosa, in chiave antigiudaica; razziale, in chiave antisemita; anti-israeliana, in parte assimilabile a quella antisionista.
Richiamando i profili definitori acquisiti a livello europeo, nel corso dell'indagine è stata ulteriormente approfondita la nozione di antisemitismo, su cui sono ripetutamente intervenuti gli onn. Boniver, Pianetta e Tempestini. È stato osservato che gli antisemiti sono tali perché attribuiscono un fondamento razzista e nazionalista, e non religioso, ad una visione in cui l'ebreo resta tale anche se laico o convertito. Inoltre, se si può affermare che tutti gli antisemiti sono razzisti ma che non tutti i razzisti sono antisemiti, è tuttavia indiscutibile che una mentalità razzista è tale perché si fonda su categorie del pensiero incentrate sull'idea di un'umanità «diversa» in quanto qualitativamente superiore o inferiore, e dunque accetta come possibili e giustificabili le teorie antisemite.
Come ha evidenziato l'audizione del Ministro Frattini, la conoscenza è la prima condizione affinché il mondo, e non solo l'Europa, non debba più assistere a tentativi di annientamento fisico del popolo ebraico. Come ha richiamato il Ministro, occorre individuare il fenomeno nelle sue forme dirette ed indirette: l'antisemitismo assume forme dirette nelle azioni delle frange estremiste di ispirazione neonazista, fenomeno che torna ad alzare la testa e che resta per lo più ascrivibile ad ambienti di sottocultura giovanile. L'antisemitismo assume invece forme indirette quando diventa negazionismo o revisionismo storiografico, sostenuto da taluni capi di Stato, illustri accademici o leader religiosi.
Quanto all'antigiudaismo, storicamente esso indica l'avversione per gli ebrei sostenuta da un'ideologia religiosa, anche se le ragioni di tale ostilità non sono solo di ordine religioso. Per gli antigiudaisti l'unico «rimedio» è la conversione del giudeo. Per quanto riguarda l'ostilità cristiana, essa ha radici antiche e si lega anche al diffondersi della «dottrina della sostituzione», secondo la quale, in quanto colpevoli di «deicidio», gli ebrei non sarebbero più il popolo eletto, come dimostrato anche dalla distruzione del Tempio di Gerusalemme e dal soffocamento della rivolta ebraica del secolo successivo. L'Alleanza tra Dio e Israele sarebbe sostituita da quella con i seguaci di Cristo e il Nuovo Testamento prenderebbe il posto di quello che viene definito «Vecchio», in luogo di «Antico», per denotarne in qualche modo il superamento.
Rispetto al rapporto con la Chiesa cattolica e alla situazione italiana, la svolta storica ha avuto luogo con il pontificato di Giovanni XXIII, con il Concilio Vaticano II e la «Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane» Nostra Aetate. Lo snodo fondamentale è coinciso poi con il pontificato di Giovanni Paolo II, che ha dato una svolta ai rapporti tra Chiesa e Stato di Israele, instaurando
un dialogo vero fra cattolici ed ebrei ed avviando la cooperazione a livello diplomatico. I colloqui tra la Città del Vaticano e lo Stato di Israele sono stati formalmente inaugurati l'11 marzo 1999 per l'applicazione dell'Accordo fondamentale («Fundamental Agreement») tra la Santa Sede e lo Stato ebraico del 30 dicembre 1993. Oltre al riconoscimento dello Stato di Israele, si deve al Papa Giovanni Paolo II la richiesta di perdono per le mancanze e i peccati dei cristiani verso i loro «fratelli maggiori» nel corso dei secoli, richiesta pronunciata in occasione della prima visita di un pontefice alla Sinagoga di Roma.
In linea generale, il cristianesimo e l'ebraismo hanno favorito se non scelto, nelle realtà istituzionali in cui si sono sviluppati, il modello democratico, fondato sul principio di responsabilità e sull'inviolabilità della persona umana.
L'antisionismo contraddistingue chi contesta radicalmente il movimento sionista, nato a fine Ottocento, imperniato sul diritto all'autodeterminazione dei popoli e finalizzato alla costituzione di uno Stato di Israele sul territorio che divenne parte del Mandato britannico in Palestina. L'antisionista non riconosce al popolo ebraico il diritto all'autodeterminazione; nega fondamento giuridico al Trattato di Sanremo del 1920 e alla Risoluzione n. 181 dell'Onu del 1947 alla base della nascita di Israele; nega il diritto al ritorno agli ebrei della diaspora e, dunque, sulla spinta di tale non riconoscimento, solleva obiezioni radicali alla stessa presenza ebraica in Israele. L'antisionista contemporaneo muove peraltro dal falso convincimento che la nascita dello Stato di Israele rappresenti una rivalsa rispetto alla Shoah ed un risarcimento europeo al popolo ebraico ai danni delle impotenti comunità arabe stanziate in Palestina, dimenticando l'ampiezza e le ben
più risalenti origini del movimento sionista.
Gli antisionisti più convinti ricorrono spesso ad argomenti utili a spiegare l'illegittimità della statualità israeliana, ad esempio instaurando paragoni tra Israele e il Sudafrica dell'apartheid, Stato al tempo collocato ai margini della comunità internazionale; nonché, insistendo su cliché antiebraici come il tema del blood libel, evocato da un articolo apparso nel 2009 sul quotidiano svedese Aftonbladet contenente accuse ai militari israeliani di coinvolgimento nel traffico di organi di giovani palestinesi.
Nella realtà gli attuali sostenitori dell'antisionismo esprimono per lo più autentiche posizioni antisemite, per cui l'antisionismo appare rientrare nelle forme del nuovo antisemitismo. Questa affermazione trova riscontro negli studi condotti, ad esempio dal CDEC, sul tema: esiste una correlazione tra pregiudizio antiebraico ed antisionismo; non tutti gli antisionisti sono antisemiti però una parte di coloro che esprimono atteggiamenti di critica a Israele aderiscono anche agli stereotipi antiebraici. E i siti antisemiti tendono a sostituire il termine «ebreo» con «sionista», anche se tra gli ebrei vi sono critici e detrattori del sionismo. I temi dell'antisionismo forniscono un formidabile collante a formazioni estreme di destra e di sinistra che fondono la questione negazionista con la cancellazione dello Stato di Israele.
Se è agevole condurre una differenziazione sul piano teorico, nella realtà le manifestazioni dell'antisemitismo si sovrappongono e si saldano
in un indistinto atteggiamento negativo nei confronti degli ebrei. Sostenendo che lo Stato di Israele non ha diritto di esistere si legittimano altre due dimensioni dell'antisemitismo, quella apparentemente e solamente etnica e quella apparentemente e solamente religiosa. Se poi a livello internazionale uno Stato come l'Iran legittima l'idea che è possibile cancellare Israele, questo comporta una saldatura con i temi classicamente antisemiti a partire dalla negazione della Shoah.
Il fenomeno è assai complesso e si fonda non soltanto su ignoranza ma anche e soprattutto su atteggiamenti ideologici. La speciale animosità nei confronti degli ebrei si spiega storicamente anche con il «perturbamento» derivante dal loro non essere di solito identificabili esternamente nonostante siano un gruppo molto forte sul piano identitario.
L'antisemitismo nel contesto internazionale
Secondo molti osservatori l'antisemitismo è la più antica forma di odio nei confronti di un popolo. Si può anche non condividere questo primato ma non si può porre in discussione che la Shoah ha rappresentato la più grande tragedia nella storia dell'umanità. Essa non è l'unico genocidio ma certamente si tratta del «genocidio unico», secondo la visione di David Bidussa e Bernard Bruneteau, nel senso che assomma in sé tutte le caratteristiche di tutti i genocidi ed ogni manifestazione antisemita costituisce un delitto gravissimo nei confronti dei diritti fondamentali dell'uomo.
La novità assoluta che si affaccia sulla scena internazionale - e che l'indagine ha contribuito a fare emergere - è l'elemento genocida, che consiste nel promettere che gli ebrei possano subire un'altra Shoah. È un elemento che salta agli occhi nei discorsi pronunciati dal leader iraniano Ahmadinejad dal banco dell'Assemblea generale dell'ONU e a cui fanno eco in Europa le posizioni di molti gruppi estremi, sia di destra che di sinistra, cui non corrisponde un'adeguata azione di contrasto e condanna da parte della comunità internazionale.
Il nuovo antisemitismo, che si innesta sui tradizionali sentimenti e pregiudizi antiebraici, in modo parassitario e in un esercizio di cinismo particolarmente spregiudicato, trae nuovi argomenti dal perdurare delle crisi internazionali ed assume connotati più ardui da individuare, confutare e contrastare. Come evidenziato nel corso dei lavori dell'indagine, la questione sul piano internazionale è da porre a partire dalla specificità di Israele in quanto Stato cui l'opinione pubblica - italiana, europea e mondiale - è solita chiedere più di quanto non chieda agli altri membri della comunità internazionale. È diffusa la percezione che Israele sia considerato un Paese speciale in quanto «Stato degli ebrei», che deve essere più «buono» degli altri e nei cui confronti il giudizio e la condanna sono spesso preliminari. Si tratta dell'unico caso in cui la legittimazione di uno Stato dipende da
parametri di natura etica e soggettiva, spesso affidati in sede internazionale al giudizio dei suoi nemici.
Tra le forme indirette di antisemitismo rientra l'antisemitismo nel dibattito sulla politica internazionale come critica squilibrata all'operato di Israele nell'evoluzione della situazione in Medio Oriente. Il processo è stato avviato con l'adozione della Dichiarazione e del Programma d'azione di Durban nel 2001 che ha fornito una base agli interventi di leader internazionali, primo fra tutti il presidente della Repubblica islamica dell'Iran, Mahmud Ahmadinejad, che indisturbato si pronuncia in tutte le sedi internazionali, anche dai banchi dell'Assemblea generale dell'Onu e in palese violazione della Convenzione delle Nazioni Unite, negando il genocidio e a favore dell'annientamento dello Stato di Israele. A queste minacce se ne sono aggiunte di nuove a carattere genocida. A tal proposito occorre valutare misure per dare piena attuazione alla Convenzione ONU per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, nonché l'opportunità di
dare sostegno alle iniziative assunte a livello internazionale per il deferimento del Presidente della Repubblica islamica dell'Iran, Ahmadinejad, presso la Corte penale internazionale per incitamento al genocidio.
Quanto al tema della cosiddetta «primavera araba», dai lavori di indagine è emersa la preoccupazione per una crescita delle formazioni partitiche islamo-fondamentaliste, non soltanto in Egitto, che potrebbe pregiudicare la tenuta di una visione equilibrata nei confronti di Israele e quindi comportare un deterioramento delle condizioni di sicurezza del Paese nella regione. Hanno aggravato il quadro l'accordo tra Fatah e Hamas, organizzazione antisemita che nella sua carta fondativa si prefigge di distruggere tutti gli ebrei, accordo raggiunto senza evidenti iniziative di contrarietà da parte europea. Preoccupano anche gli annunci dei candidati alle elezioni politiche egiziane, previste per l'autunno del 2011, favorevoli alla revisione del Trattato di pace con Israele, ad oggi considerato il perno dell'equilibrio mediorientale. A fronte del modello negativo rappresentato dal caso dell'Iran all'indomani della caduta dello Scià, resta l'incertezza
per l'esito delle ribellioni, attesa la difformità di contesti, il diverso ruolo giocato dall'esercito nei vari Paesi, le diverse tradizioni politiche e i diversi orientamenti culturali. Sicuramente l'attenzione maggiore riguarda lo sviluppo della situazione in Egitto, considerato il ruolo e il peso di questo Paese.
Aggrava il quadro l'assenza di un'azione coesa da parte dell'Unione europea, che, dopo il fallimento del progetto franco-egiziano dell'Unione per il Mediterraneo, stenta a fare ricorso alle leve della Politica di vicinato per promuovere il consolidamento di istituzioni democratiche in Paesi di confine. L'Unione ha finora destinato scarsi aiuti economici a fronte del piano di aiuti lanciato dal Vertice G8 di Deauville.
A livello europeo preoccupa l'ascesa in Ungheria del partito di estrema destra Jobbik che, divenuto terzo partito del Paese con il 15 per cento dei consensi, sembra contare sull'appoggio di importanti segmenti della società e della classe dirigente magiara, come pure di analoghe formazioni in altri Paesi dell'Unione europea. In tutte le formazioni estremiste che si affacciano sulla scena politica europea è presente un forte elemento di antisemitismo razzista da contrastare sia con strumenti culturali che politici.
Tutte le forme di antisemitismo hanno tratto nuova linfa e si sono potenziate grazie alla disponibilità della rete web che offre possibilità praticamente infinite di propagazione di informazione distorta.
In questo quadro l'Italia ha in questi ultimi anni offerto testimonianze visibili e concrete sul proprio impegno contro l'antisemitismo, dando sostegno allo sviluppo delle buone relazioni tra Israele e l'Unione europea, promuovendo iniziative di studio per i giovani da parte della Commissione europea, dando forte impulso alle proprie relazioni con tale Paese e coinvolgendo in questo processo importanti partner europei, a partire dalla Germania.
Anche sul piano internazionale occorre operare contro quello che il Ministro Frattini ha definito l'«assuefazione civile» e il relativismo: la lotta all'antisemitismo è un valore assoluto e non vi è dialogo o confronto che possano indurre ad attenuarla o a farvi rinunciare, poiché essa è parte non negoziabile dell'identità europea. Il dialogo tra Israele e il mondo arabo e la pace in Medio Oriente sono ulteriori obiettivi irrinunciabili, ma che non possono essere realizzati col sacrificio del valore assoluto della lotta all'antisemitismo e del diritto di Israele alla propria esistenza e sicurezza.
Una chiave possibile a livello nazionale, ma anche internazionale, è offerta dalla conoscenza, dalla cultura, dall'informazione e dal coinvolgimento di tutti i livelli di governo in una sorta di piano pedagogico nazionale sulla memoria collettiva. Si tratta di non cedere ai «cattivi maestri», a coloro che costruiscono le teorie dell'odio sfruttando, in Italia e a livello internazionale, argomenti come la crisi economica, le marginalità sociali o che minimizzano il ruolo di Internet nella diffusione di idee antisemite.
Per esplicito riconoscimento dei rappresentanti delle comunità ebraiche in Italia, il volto del nostro Paese è sensibilmente cambiato soprattutto dopo l'approvazione della legge Mancino e l'istituzione del Giorno della Memoria, votata all'unanimità delle forze politiche e avvenuta grazie all'iniziativa legislativa dei parlamentari Furio Colombo e Athos De Luca. Non esiste attualmente al mondo un Paese che sia, come l'Italia, attivo e ricco di iniziative capillari su tutto il territorio, nelle istituzioni, scuole, sindacati e persino negli ambienti militari sui temi della conoscenza dell'ebraismo e della difesa di Israele.
Tuttavia, l'Italia è immessa in una tendenza europea di forte ripresa del fenomeno, secondo quanto documentato dagli studi già richiamati, e comunque non è indenne da forme di antisemitismo sia di tipo tradizionale che di tipo più moderno. Come correttamente richiamato dal Ministro Gelmini, in occasione dell'audizione svolta nel Giorno della memoria del 2011, in Italia come negli altri Paesi europei «la memoria del dramma ebraico è un atto di verità verso le vittime e anche verso noi stessi: lo è soprattutto verso gli italiani di religione ebraica che, nel Risorgimento, combatterono a fianco degli altri italiani per l'Unità». Da qui il significativo collegamento tra mondo ebraico e celebrazioni per i 150 anni dall'Unità d'Italia in linea
con un indirizzo proposto anche dalla Presidenza della Repubblica. A tal proposito è opportuno segnalare che nel 2010 alla Camera dei deputati è stata apposta una targa che biasima il voto con cui il Parlamento italiano approvò le leggi razziali, a rimarcare la responsabilità delle istituzioni, insieme ai singoli e alla società nel suo complesso, nella realizzazione di condizioni favorevoli all'attuazione del progetto di sterminio.
L'antisemitismo italiano è riconducibile ad alcune matrici ben riconoscibili, a partire da alcuni ambienti cattolici, anche autorevoli, tanto nella tradizione ottocentesca che novecentesca. Ulteriori retaggi sono stati il fascismo, la tradizione neopagana e alcuni settori della cultura radicale, di destra e di sinistra.
Nella storia italiana, come attestano le leggi razziali o i provvedimenti per la difesa della razza nella scuola italiana del 1938, il razzismo antisemita ha avuto una specifica connotazione legislativa in seguito alle iniziative e all'ideologia del fascismo. L'avere scardinato quella impostazione va di pari passo con la interiorizzazione dei valori costituzionali per cui essere «anti-antisemiti» significa essere ancorati al patriottismo della Costituzione.
In Italia come negli altri Paesi la raccolta dei dati sull'antisemitismo avviene con il monitoraggio dei media, cartacei, televisivi e informatici, con le segnalazioni fatte da privati, da istituzioni e da comunità e con sondaggi. L'antisemitismo si descrive attraverso i dati fattuali, gli atteggiamenti sociali e il pregiudizio, quest'ultimo anche di natura politica o commerciale (si ricordi il caso del boicottaggio da parte di una nota catena di supermercati dei prodotti provenienti da Israele, le polemiche in occasione della manifestazione del 2011 a Milano Unexpected Israel e della Fiera del Libro di Torino nel 2008).
I dati fattuali consistono in atti vandalici: aggressioni più o meno gravi, violazioni di cimiteri ebraici, graffiti offensivi, messaggi email a singoli o a istituzioni considerate esponenziali della comunità ebraica. Se in questi ultimi anni si è registrato un calo degli episodi antisemiti in ambito sportivo, si sono ripetuti eventi diversi come la reiterata pubblicazione on line di una lista dei presunti 162 docenti universitari ebrei, definita «lobby», accusati di «manipolare le menti degli studenti» e di controllare gli atenei italiani. Un'ulteriore pubblicazione ha recato anche l'elenco di magistrati ebrei (o ritenuti tali), una lista aggiornata di attività commerciali, ristoranti, macellerie, pasticcerie, i cui proprietari sono ebrei. Sempre in ambito accademico si sono registrate iniziative, come quella adottata nel marzo del 2010 nell'ambito di tre università italiane (Pisa, Roma
«La Sapienza» e Bologna), cui hanno aderito singoli docenti, per una «Israeli Apartheid Week», che aveva per tema «Boicottaggio, disinvestimento, sanzioni», con l'idea di promuovere contro Israele misure punitive come quelle che colpirono a suo tempo il Sudafrica dell'apartheid. L'iniziativa è stata oggetto di un ordine del giorno accolto dal Governo e presentato in occasione dell'esame del disegno di legge di riforma dell'università per impegnare il Governo ad assumere ogni iniziativa utile a scongiurare in futuro simili azioni contrarie al rispetto dei popoli e in particolare del popolo ebraico (ordine del giorno n. 9/3687-A/18, presentato dai deputati Fiano, Fassino, Tempestini, Veltroni, Franceschini, Nirenstein, Vaccaro, Ruben).
Quanto agli atteggiamenti antisemiti - al di là delle cifre che possono apparire riduttive del fenomeno e fuorvianti per l'opinione pubblica - ci si è soffermati ad analizzare il background per individuare corrette strategie di informazione. Considerare l'antisemitismo un fenomeno comune a molti induce a sdoganare atteggiamenti di tipo antisemita. Emerge che gli atteggiamenti antisemiti si accompagnano all'assenza di conoscenza degli ebrei (solo il 15 per cento degli antisemiti motiva questo atteggiamento sulla base della conoscenza di ebrei).
Secondo la ricerca congiunta condotta da CDEC e ISPO, un italiano su tre giudica gli ebrei poco simpatici, uno su quattro non li considera italiani fino in fondo. Circa il 10 per cento condivide affermazioni riconducibili al pregiudizio antiebraico più tradizionale, quello di natura religiosa; l'11 per cento condivide un pregiudizio «moderno», quello più xenofobo; il 12 per cento condivide un pregiudizio «contingente», legato spesso al giudizio su Israele. A questi dati va aggiunto un ulteriore 12 per cento animato da antiebraismo puro: si tratta degli intervistati che dichiarano il loro accordo a tutte le affermazioni antiebraiche contenute nel questionario.
La presente situazione italiana evidenzia un incremento del pregiudizio antiebraico proveniente da ambienti di estrema sinistra, senza differenze di genere e in modo trasversale per età, e che si evidenzia in ripetute analisi e argomenti che demonizzano e delegittimano lo Stato di Israele, definito uno Stato che si fonda sull'apartheid nei confronti dei palestinesi, nell'assunto di base per cui le vittime di un tempo si sono trasformate in carnefici. La conseguenza è che gli attentati nei confronti dei cittadini israeliani sono dipinte come legittime azioni di resistenza partigiana, con ripercussioni sugli ebrei della diaspora, compresi quelli italiani.
Nell'orizzonte culturale di questi ambienti è assente il tema della negazione della Shoah anche se il paragone tra sterminio e quello che impropriamente è definito «olocausto palestinese» può condurre ad una relativizzazione del genocidio antiebraico. Il pregiudizio antiebraico in questo contesto opera secondo l'argomento per cui tutti gli ebrei ambiscono a potere e ricchezza, manipolando istituzioni e centri di potere.
In Italia l'antisemitismo negazionista rappresenta una realtà marginale, «confinata» alla dimensione di Internet, dove pochi siti sono dedicati alla trattazione di tale tematica. I riferimenti maggiori sono agli scritti di Mattogno e di Faurisson. Tuttavia, tale realtà non è in ogni caso da sottovalutare ed è dunque auspicabile approfondire il dibattito sugli strumenti di contrasto al fenomeno.
Nel nostro Paese, grazie all'impegno della Chiesa cattolica che a partire dal 1965 e poi nel 1986 ha definitivamente archiviato la secolare tradizione antiebraica e antisemita del mondo cattolico, l'antisemitismo religioso, ovvero l'antigiudaismo, appare altrettanto confinato ad alcune realtà sul web e a singoli episodi assai isolati, per quanto clamorosi. I siti antigiudaici non mancano di fare ricorso ad argomenti assai violenti anche nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche postconciliari.
Un profilo meno studiato nel nostro Paese, anche a causa della barriera linguistica, è quello dell'antisemitismo di matrice islamista. Si
sono comunque registrati casi di intolleranza e aggressioni nei confronti di ebrei da parte di fanatici appartenenti delle comunità islamiche presenti nel nostro Paese. Si ricorda che nel 2006 l'Unione delle Comunità Islamiche d'Italia (UCOII) acquistò alcune inserzioni a pagamento su diversi quotidiani italiani, paragonando il bombardamento su Gaza alla strage di Marzabotto. Anche la mostra Unexpected Israel del giugno del 2011 ha comportato tensioni tra l'organizzazione dei Giovani Musulmani italiani e l'analoga organizzazione ebraica, avendo la prima ritenuto l'evento come finalizzato a ricordare l'occupazione israeliana nei territori palestinesi.
L'antisemitismo e il diritto di critica nei confronti dello Stato di Israele
Nel corso dei lavori dell'indagine è apparso centrale il quesito sul confine tra antisemitismo e legittimo diritto alla critica nei confronti dello Stato di Israele, come nei confronti di qualunque altro Stato, con particolare riferimento alle sue politiche nel quadro della crisi mediorientale. In presenza di quali circostanze la critica nei confronti di Israele assumerebbe connotati antisemiti?
Una specifica attenzione al tema, cui hanno dato particolare rilievo l'on. Corsini e l'on. Volpi, è da porre in relazione alla preoccupazione per le nuove forme dell'antisemitismo, che contraddistinguono i settori politici per lo più di estrema sinistra e di estrema destra, schierati a favore della causa palestinese partendo da un pregiudizio antiebraico.
La questione è stata affrontata con coraggio e nettezza dallo stesso Capo dello Stato che, intervenendo sul punto il 27 gennaio 2009, nel Giorno della memoria, a pochi giorni dalla conclusione dell'operazione militare israeliana nella Striscia di Gaza, ha sottolineato: «A tattiche terroristiche senza scrupoli, che hanno a lungo colpito il territorio di Israele e messo a rischio la popolazione di Gaza, è seguita, da parte di Israele, un'azione di guerra sulla cui portata e sulle cui conseguenze non è mancata la discussione, anche in Israele e fra gli amici di Israele. Ma proprio nei momenti in cui l'operato del Governo di Israele può risultare controverso ed essere legittimamente discusso, deve restare chiara e netta la distinzione tra ogni possibile posizione critica verso la linea di condotta di chi di volta in volta governa Israele e la negazione, esplicita o subdola, delle ragioni storiche dello Stato di Israele, del suo diritto
all'esistenza e alla sicurezza, del suo carattere democratico. Proprio in questi momenti deve farsi più forte la vigilanza, ed esprimersi più nettamente la reazione, contro il riprodursi del virus dell'antisemitismo, contro l'insorgere di nuove speculazioni e aggressive campagne contro gli ebrei e contro lo Stato ebraico». In un precedente intervento, pronunciato nel 2007 nel Giorno della memoria, il Presidente Napolitano era già intervenuto sul punto dichiarando che bisogna combattere l'antisemitismo anche quando esso si travesta da antisionismo «perché antisionismo significa negazione della fonte ispiratrice dello Stato ebraico, delle ragioni della sua nascita, ieri, e della sua sicurezza, oggi, al di là dei governi che si alternano nella guida di Israele».
Lo sforzo profuso a livello internazionale ai fini di una definizione di lavoro sul fenomeno dell'antisemitismo ha permesso di definire alcuni punti di riferimento certi, secondo i quali antisemitismo è: negare il diritto all'autodeterminazione del popolo ebraico, per cui sostenere l'esistenza di Israele sarebbe un atto di razzismo; adottare due pesi e due misure (il cosiddetto «doppio standard») pretendendo da Israele ciò che non si pretende dagli altri Stati della comunità internazionale; usare i simboli o le immagini dell'antisemitismo classico (ad esempio le accuse di deicidio, il blood libel o la teoria della cospirazione) per caratterizzare Israele e gli israeliani; tracciare paragoni tra la presente politica di Israele e quella del nazismo; ritenere che tutti gli ebrei sono responsabili collettivamente per le azioni dello Stato di Israele.
Le critiche non sono in sé una forma di antisemitismo e certamente occorre usare tutta la cautela possibile prima di tacciare la critica, anche quella antisionista, di antisemitismo. Tuttavia, un primo limite certo è rappresentato dal mettere in dubbio il diritto all'esistenza dello Stato di Israele e la sua legittimità, ricorrendo all'uso di stereotipi classici, come la calunnia del blood libel o la teoria della cospirazione ebraica che, inaugurata in età moderna con i Protocolli dei Savi di Sion, finisce per attribuire alla lobby ebraica la responsabilità di eventi disastrosi, dagli attentati alle Torri Gemelle alla crisi economica internazionale in atto.
Nel corso dell'indagine un utile contributo alla questione del diritto alla critica ad Israele ed una sua ulteriore precisazione è giunto dall'audizione dalla professoressa Porat, direttrice dello Stephen Roth Institute per lo studio dell'antisemitismo contemporaneo del razzismo dell'Università di Tel Aviv. In sede di dibattito e su sollecitazione dell'on. Corsini, la studiosa ha sintetizzato la definizione data in sede europea ed OSCE osservando che «fintanto che la critica ad Israele coincide con la critica ad un singolo episodio o ad una determinata politica in un determinato momento, essa costituisce una legittima critica così come lo è alla politica di qualunque Paese. Quando per tale critica si utilizzano espressioni antisemite, che si sa essere tali, e non si riguarda il momento contingente, ma si generalizza su Israele e sugli ebrei, non si fa più critica, ma antisemitismo».
L'antisemitismo contemporaneo è dunque proprio insito nel negare al popolo ebraico il diritto all'autodeterminazione, l'applicare il doppio standard, usare simboli e immagini dell'antisemitismo classico per criticare Israele e tracciare indebiti, inaccettabili confronti tra la sua politica e quella del regime nazista.
Il dato generale da cui è opportuno partire è quello relativo al numero di siti antisemiti censiti: 5 nell'anno 1995 e 8.000 nel 2008. Sono due gli elementi centrali nelle nuove manifestazioni di antisemitismo. Il primo è l'incitamento con l'uso dei grandi mezzi di comunicazione di massa, manipolati per diffondere falsi messaggi. Tra gli innumerevoli esempi è stato citato il caso della pubblicazione in Germania su un organo di stampa a larghissima diffusione di
copertine che alludevano all'influsso ebraico in chiave guerrafondaia sulla politica dei neoconservatori americani durante la presidenza George W. Bush e il conflitto in Iraq.
Il secondo elemento è l'antisemitismo on line. L'avvento di Internet ha trasferito e amplificato a dismisura quanto prima avveniva in forma residuale e ridotta con graffiti sui muri delle città o in certe pubblicazioni di nicchia. Ma soprattutto l'avvento dei social network (come Facebook o Twitter) ha comportato una specifica amplificazione del fenomeno, che André Oboler ha denominato «antisemitismo 2.0», richiamando il passaggio da web 1.0 a web 2.0 avvenuto nel 2004 con la fondazione di Facebook.
Per comprendere le dimensioni del fenomeno occorre partire dal dato che vede Google in testa ai siti preferiti dalla popolazione globale (circa il 42 per cento degli internauti vi accede quotidianamente). Il secondo sito è Facebook, con il 32 per cento delle preferenze. Tra i primi dieci siti preferiti non figurano siti di informazione, ma solo motori di ricerca e social network. Il maggiore quotidiano degli Stati Uniti ha una diffusione pari al 2 per cento degli utenti di You Tube e un video su You Tube avrà un impatto cinquanta volte superiore ad un annuncio pubblicitario sul più popolare dei quotidiani. In Italia tra il 2008 e il 2009 i siti razzisti sono passati da 836 a 1.172.
La novità è data dalla capacità di tali siti di portare alla graduale accettazione di fenomeni di demonizzazione e disumanizzazione del popolo ebraico. L'obiettivo non è convincere alla conversione all'antisemitismo, ma rendere l'antisemitismo «socialmente» accettabile nella comunità on line, venendo meno l'equazione antisemitismo=razzismo. La prima conseguenza è che essere antisemiti degrada ad un parteggiare generico, non molto diverso dal tifo calcistico, su cui è possibile porsi anche in modo scherzoso e che in nessun caso comporta sanzioni.
Come ha riferito l'esperto di antisemitismo on line, André Oboler, nella sua audizione, «il pericolo non è tanto che la gente possa leggere contenuti ispirati all'antisemitismo, quanto piuttosto che sia indotta ad accettarli come punti di vista validi, come dati di fatto, ovvero come contenuti sui quali si può essere o no d'accordo, ma alla cui diffusione non è necessario opporsi. Ecco il rischio. Alcuni si sentiranno toccati e vorranno fare qualcosa contro l'antisemitismo, mentre altri rimarranno passivi e lo riterranno normale, quotidiano, legittimo. Ciò genera una cultura in cui l'odio, il razzismo e il comportamento antisociale possono diffondersi, con grossi rischi per l'ordine pubblico e per la sicurezza».
Paradossalmente preoccupa meno la presenza in Internet di siti negazionisti, che pur fanno uso dei social network, in quanto numericamente contenuti e di frequente oggetto di provvedimenti di rimozione e oscuramento su iniziativa degli stessi provider.
Quanto all'Italia la legge Mancino, cui va riconosciuto il merito di avere di fatto determinato la sparizione dei movimenti skinhead in Italia, è uno strumento ancora valido, ma inadeguato considerato che la legge precede l'avvento diffuso di Internet e dei social network e che, in assenza di strumenti internazionali ad hoc, dopo l'oscuramento gli stessi siti possono essere aperti con i medesimi contenuti in altri
Stati. In questo quadro, anche in presenza di strumenti giuridici adeguati, la mancata collaborazione tra forze di polizia impedisce ogni azione.
Dalle audizioni sul tema dell'antisemitismo on line sono emerse chiare indicazioni:
l'antisemitismo on line deve essere considerato un problema globale cui contrapporre una reazione globale;
l'attività normativa di contrasto deve avere per riferimento il livello di interattività dei diversi siti web, nel senso che le sanzioni più gravi devono colpire i siti e i provider che non consentono una reazione di alcun tipo alle dichiarazioni antisemite, né una responsabilizzazione degli autori;
occorre, inoltre, definire delle best practice, incoraggiando i provider a monitorare e a oscurare i siti che siano veicolo di brutale espressione di odio. In molti casi i provider si sono infatti adeguati spontaneamente e volontariamente (nei Paesi Bassi nel 90 per cento dei casi).
Dal dibattito è altresì emersa la delicatezza del tema del rapporto tra repressione dei «reati di odio» e tutela della libertà di espressione, cui si appellano i Paesi che rifiutano interventi diretti sulla rete o gli stessi provider. Se è indubbio il ruolo di una corretta formazione culturale e di una «militanza culturale» per prevenire e contrastare l'uso distorto di Internet e dei social network, anche nel caso dell'antisemitismo, è pure emerso che l'esercizio della libertà di espressione, secondo quanto prevede la stessa Carta delle Nazioni Unite, non può essere scisso dal principio di responsabilità. Centrale appare pertanto garantire su Internet la riconoscibilità dell'autore, combattendo ogni forma di tutela dell'anonimato, la sua responsabilizzazione e la possibilità di interagire al fine di confutarne le prese di posizione.
In questo è stato evidenziato il ruolo del Parlamento in prima istanza, seguito dalla magistratura e dalla società nel suo complesso.
Sul piano della repressione concreta, l'eliminazione di specifici contenuti da Internet richiede innanzitutto la buona volontà e la collaborazione degli Stati e dei provider, che dovrebbero innanzitutto condividere omogenei strumenti di repressione dei reati d'opinione.
In Italia la «legge Mancino» ha consentito di sanzionare l'istigazione alla discriminazione razziale o etnica in termini generali. L'articolo 1, comma 1, prevede la fattispecie relativa alla propaganda di idee fondate sulla superiorità e sull'odio razziale ed etnico. Non essendo specificati quali sono i mezzi per tale propaganda, la legge Mancino è in teoria applicabile anche a Internet, tuttavia resta complessa la individuazione di «idee fondate sull'odio razziale». Il motivo per cui la legge resta di difficile applicazione è che essa si rivolge contro chi istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, laddove nel diritto penale italiano, come in quello dei Paesi democratici, la condotta da sanzionare deve essere oggettiva e immediatamente individuabile, né può rimanere nella genericità.
Il secondo comma dell'articolo 1, invece, disciplina la fattispecie dell'incitazione alla violenza, non l'istigazione o la propaganda, ed è meno applicabile a quanto accade in rete.
Sul piano normativo nazionale occorrerebbe provvedere ad uno strumento analogo alla legge 6 febbraio 2006, n. 38, di contrasto alla pedofilia on line, che consente alla polizia italiana di interagire direttamente con i provider per segnalare i siti criminali e determinarne la chiusura.
Una base normativa valida è offerta sul piano internazionale dalla Convenzione di Budapest del 2001 sui crimini informatici, adottata dal Consiglio d'Europa nel 2001, già siglata e ratificata dall'Italia con legge 18 marzo 2008, n. 48. La Convenzione prevede per i crimini informatici strumenti procedurali e investigativi adeguati ad Internet, ponendo gli investigatori di tutto il mondo in collegamento tra loro e, a prescindere dalle rogatorie, nella posizione di intervenire chiedendo sequestri preventivi dei siti o il congelamento dei dati. La sua piena attuazione è condizionata tuttavia alla ratifica del Protocollo addizionale per il contrasto a forme di xenofobia e razzismo con i mezzi informatici, adottato dal Consiglio d'Europa nel 2003, strumento che il nostro Paese non ha ancora siglato (al momento i Paesi firmatari sono 34, di cui 17 hanno anche provveduto alla ratifica). Il Protocollo comporta, tra l'altro, per gli Stati aderenti l'adozione di
norme di diritto interno per la repressione del negazionismo di tutti i genocidi. In questo lavoro un interlocutore fondamentale sono gli Stati Uniti, in cui si concentra il 70 per cento dei server mondiali e che hanno ratificato la sola Convenzione di Budapest, aperta alla firma anche di Paesi non membri del Consiglio d'Europa.
La diffusione dell'antisemitismo tra i giovani e giovanissimi in tutta Europa, compresa l'Italia, è la questione di rilievo politico che deve destare maggior allarme. Sollevata in particolare dall'on. Volpi anche in quanto strettamente correlata all'uso di Internet, essa è stata oggetto di studi recenti, sia a livello internazionale che nazionale, ed è da porre in stretta relazione alle forme di antisemitismo che si alimentano della politica contingente.
I dati, che emergono dall'indagine condotta dall'Istituto Ricerche politiche e socioeconomiche (IARD) per conto dell'Osservatorio sui fenomeni di xenofobia e razzismo della Camera dei deputati, parlano per l'Italia di un 22 per cento di giovani che dimostra antipatia nei confronti degli ebrei, di cui il 6 per cento con un approccio di tipo radicale. L'80 per cento di questi giovani non conosce e non ha avuto alcuna esperienza di contatti con il mondo ebraico. Il 75 per cento non ha avuto occasione di fare tale esperienza e il 7 per cento non ha voluto cogliere l'occasione di farla, preferendo restare nell'ignoranza e nell'ottica dell'antipatia. I giovani in questione sono per lo più maschi, poco istruiti e residenti nelle regioni del Nord. Le ragioni dell'antipatia dichiarata sono per il 22 per cento motivi di natura storico-culturale, secondo cui l'ebraismo avrebbe mal influenzato la
cultura cristiana; per il 38 per cento prevale l'idea che gli ebrei siano più leali verso la propria comunità che verso il proprio Paese.
Nei ragazzi l'antisemitismo prende per lo più le forme dell'opinione intellettuale e politica, si confonde con la critica a Israele e al sionismo per cui l'ebreo immaginato si sovrappone all'immagine del soldato israeliano.
Cruciale appare, quindi, il ruolo della scuola nell'azione di prevenzione del diffondersi di atteggiamenti antisemiti tra i ragazzi, non soltanto attraverso le lodevoli e numerose iniziative, illustrate al Comitato dal Ministro Gelmini, per la conservazione della memoria della Shoah e della persecuzione razziale, ma più in generale fornendo strumenti utili a comprendere la complessità del mondo moderno, anche attraverso una maggiore attenzione al presente e al passato del sionismo e dello Stato di Israele nel contesto mediorientale.
Il rafforzarsi della convinzione della centralità del tema delle nuove generazioni nel corso dei lavori dell'indagine ha, tra le altre cose, determinato la scelta di predisporre un'integrazione del programma per audire il Ministro della gioventù, on. Giorgia Meloni. In quella sede si è ribadita la necessita di strategie di contrasto al razzismo e all'antisemitismo di tipo attivo, anche basate su iniziative di «controinformazione» on line, per evitare che sentimenti di intolleranza minoritari, ma espressi con determinazione, in un sistema di relazioni che ormai permette una comunicazione estremamente veloce e spesso superficiale, contribuiscano a creare tra i giovani un clima generale di accettazione del pregiudizio.
L'antisemitismo di matrice islamico-fondamentalista
Spesso nelle società europee si constata che l'antisemitismo è sempre segnale di un'involuzione verso modalità e pratiche razziste con conseguenze anche nel discorso pubblico e nelle scelte quotidiane.
L'antisemitismo ha una sua specifica definizione all'interno della retorica di stampo islamista militante e di una tradizione che affonda in un'interpretazione antisemita dei testi esemplificata da Ahj Amin Al Husseini e Al Bann come portato della pluridecennale crisi tra Israele e mondo arabo.
Si diffondono nelle comunità islamiche presenti in Europa episodi di intolleranza antisemita, con omicidi e attacchi fisici ad ebrei, tra cui il più noto è il rapimento e l'uccisione del giovane francese Halimi, con episodi frequenti anche nei Paesi Bassi in cui, dopo le deportazioni naziste, vive una comunità ricostituita nel dopoguerra di appena 50 mila ebrei. In Svezia, Paese che ospita una tra le maggiori comunità musulmane presenti in Europa, le comunità ebraiche destinano il 25 per cento delle risorse a misure di sicurezza.
In un quadro allarmante, adeguatamente approfondito dal maggior storico vivente dell'antisemitismo Robert Wistrich, appare opportuno, come evidenziato anche dagli auditi in tema di antisemitismo on line, seguire l'argomento sul piano della sicurezza e della prevenzione, oltre che della collaborazione con realtà islamiche moderate. È
in generale auspicabile avviare iniziative culturali di reciproca conoscenza tra le religioni tenendo conto che tali iniziative non possono prescindere dall'azione dei governi contro razzismi e antisemitismo.
Soprattutto su impulso dei Ministri intervenuti ai lavori d'indagine è emersa la centralità della formazione delle nuove generazioni per un'efficace e duratura azione di contrasto al fenomeno. La strategia formativa di ogni Paese europeo deve trovare un riferimento in iniziative di studio e di approfondimento realizzate a livello europeo, a partire dai viaggi di studio presso i luoghi della memoria, con particolare riferimento al Memoriale delle vittime dell'Olocausto di Berlino.
Soprattutto in Italia, l'antisemitismo è fenomeno per lo più culturale, connesso al dibattito politico e non tanto fondato sull'azione violenta e organizzata. La strategia di contrasto appare pertanto innanzitutto di tipo culturale. In questa prospettiva, il Giorno della memoria non deve limitarsi ad un rito, ma rappresentare un punto di approdo di una ricerca e di un apprendimento che deve attraversare l'educazione scolastica nel tempo, secondo un orientamento pedagogico che ha, ad esempio, in Raffaele Mantegazza un punto di riferimento.
Anche alla luce dei dati riferiti sulla condizione giovanile, la conoscenza e l'incontro appaiono i due filoni strategici prevalenti. Nei confronti dei giovani, in particolare, è opportuno che accanto alla strategia di reiterazione dei simboli (la celebrazione del Giorno della memoria) si sviluppi da parte degli educatori la capacità di «raccontare le storie», individuando e scongiurando modalità retoriche spersonalizzanti e «anestetizzanti». In questo percorso, occorre in particolare dare risalto alle storie positive, secondo la filosofia dei «Giusti tra le nazioni» (l'Italia ne ha 484 tra cui sono stati ricordati Giorgio Perlasca, Angelo Rotta e Giovanni Palatucci, per il quale la Chiesa ha avviato un percorso di canonizzazione), per valorizzare l'opportunità, che a tutti è data, di operare le proprie scelte e valorizzare eticamente la disponibilità ad agire controcorrente, resistendo alla forza
attrattiva del «branco». Gli strumenti devono essere molteplici e spaziare dalla storia alla letteratura, alla musica, allo sport, al viaggio privilegiando il più possibile l'interdisciplinarità.
Nel caso dei viaggi della memoria, il momento fondamentale deve essere il «ritorno», ovvero il momento della restituzione dell'esperienza fondata sulla diffusione degli esiti e delle acquisizioni del viaggio, che di fatto diventa esperienza di una comunità più ampia di soggetti, in una scuola aperta e dialogica.
Si deve però scongiurare l'idea secondo cui l'ebraismo si riduce e risolve alla questione dello sterminio, che è principio inaccettabile per gli ebrei che non si riconoscono solo come discendenti delle vittime o come sopravvissuti, come peraltro evidenziato anche dall'on. Renato Farina. Occorre evitare l'esasperazione della memoria, che lava le coscienze, e promuovere iniziative di conoscenza sull'ebraismo contemporaneo.
Quanto al tema delle critiche squilibrate nei confronti di Israele, che diffondono anche nelle scuole stereotipi antisemiti e falsificano la lettura del presente, nella consapevolezza che l'antisemitismo è anche frutto di letture parziali e faziose sui temi della geopolitica, occorre promuovere nelle scuole lo studio della storia di Israele, dei valori della sua democrazia e, in generale, della cultura dei diritti e delle libertà fondamentali. L'insegnamento della storia di Israele deve mirare ad una comprensione della collocazione storica e attuale delle comunità ebraiche, cercando di trasmettere un'immagine positiva, fondata sul fatto che le società diversificate, grazie all'apporto di diverse minoranze, sono più ricche.
Tuttavia, memoria e conoscenza non esauriscono la gamma di strumenti e azioni di contrasto. Se è vero che l'antisemitismo, anche nelle sue forme più odiose del negazionismo e del revisionismo storico, è predicato da professori universitari e da raffinati intellettuali, occorre operare con vigore anche sul terreno della condanna sociale, della deterrenza culturale e della dequalificazione dell'antisemitismo: la persona antisemita deve incorrere nel disprezzo della comunità. A tal fine è necessario predisporre una sistematica strategia comunicativo-mediatica basata su messaggi comprensibili e immediati. A ciò possono contribuire anche i parlamentari e in generale le élite del Paese con interventi e una presenza mirata nella dialettica pubblica.
Nel corso dell'indagine sono emerse perplessità sull'efficacia di un approccio normativo contro i discorsi fondati sull'odio antisemita. La strada normativa è imprescindibile per definire i crimini fondati sull'odio, magari inasprendo le sanzioni, ma l'impegno e la responsabilità collettiva non può che riguardare la formazione delle coscienze.
Quanto ad Internet, occorre sviluppare un'attitudine a farne uso in modo attivo per informare e controinformare, come nel caso dell'iniziativa lanciata dal Museo Yad Vashem che ha scelto di «dichiarare guerra» on line ai negazionisti e ha aperto un canale Youtube in lingua farsi per raggiungere gli internauti iraniani. In questo senso i social network, oltre che un interlocutore problematico, possono diventare alleati fondamentali. Inoltre, le scuole dovrebbero adeguarsi ai tempi e mettere in rete il proprio lavoro dando diffusione alle iniziative e dialogando con gli studenti anche per via informatica.
Sul piano sanzionatorio si pone la difficile questione connessa alla omogenea repressione a livello internazionale dei reati di opinione. Sarebbe necessaria un'azione coesa sia da parte della comunità internazionale che dei cosiddetti provider. Molti Paesi si oppongono, con ciò già fornendo le condizioni per l'apertura di siti antisemiti, e i gestori di siti come Google o di social network, come Facebook, sono assai restii ad intervenire.
A livello internazionale, anche alla luce del dibattito in sede ONU per la nascita di uno Stato palestinese, è necessario operare per una pace reale e duratura, mantenendo il negoziato all'interno di una cornice multilaterale e promuovendo trattative serie da ambo le parti. A livello europeo il fronte di impegno maggiore appare quello volto ad ottenere una posizione comune.
La risposta europea, fondata sull'idea di solidarietà e un approccio non nazionale alle questioni globali, non può trascurare di trattare
anche il tema dell'immigrazione, al fine di evitare che tra le vittime della povertà e delle guerre si possano annidare i fautori dell'antisemitismo.
Quanto agli sconvolgimenti in atto in Paesi arabi di fascia mediterranea e mediorientale (Siria in primis), occorre prendere decisioni di tipo politico, volte a raggiungere un punto di equilibrio, guardando alle opportunità e non solo ai rischi. Occorre dunque dare sostegno alle formazioni che, all'interno delle rivoluzioni arabe, procedono verso la democrazia. Su questo un'iniziativa internazionale di tipo parlamentare sarebbe auspicabile.
Occorrerebbe da parte dell'Unione europea un maggiore attivismo ed un ricorso più convinto agli strumenti della Politica europea di vicinato per offrire alle società civili arabe strumenti concreti atti a realizzare il percorso di democratizzazione delle istituzioni e scongiurare sviluppi analoghi al caso iraniano.
In generale è necessario intercettare le società civili di quei Paesi ed avviare un dialogo serrato. Anche i Parlamenti nazionali europei dovrebbero sollecitare i rispettivi Governi a rafforzare il cambiamento in Maghreb ed in Medio Oriente. Al centro deve restare la questione della democrazia. In questo contesto ogni programma di aiuti deve seguire un rigoroso regime di condizionalità, fondato sul rispetto di standard democratici e di diritto umanitario, a partire dalla parità tra uomo e donna; su un impiego di infrastrutture rilevanti, come il Canale di Suez, in modo conforme al mantenimento della pace nel Mediterraneo; sull'impegno al riconoscimento dello Stato di Israele e al mantenimento di relazioni pacifiche.
Nel corso dei lavori di indagine sono emerse talune puntuali proposte di lavoro, già illustrate in precedenza e che si reputa opportuno qui richiamare:
definire misure per dare attuazione alla Convenzione delle Nazioni Unite contro il genocidio e il suo incitamento;
sostenere la proposta del Premio Nobel Elie Wiesel per l'adozione di una risoluzione dell'Onu che dichiari il terrorismo come crimine contro l'umanità;
promuovere la sigla e ratifica del Protocollo aggiuntivo alla Convenzione di Budapest sul crimine informatico del 2003, eventualmente anche mediante un'iniziativa legislativa parlamentare;
avviare un dibattito sull'efficacia dell'azione di contrasto al negazionismo e al revisionismo storico;
monitorare l'iniziativa internazionale di deferimento del Presidente della Repubblica islamica dell'Iran, Mahmud Ahmadinejad, presso la Corte penale internazionale per incitamento al genocidio.
Il 2009, a seguito della guerra tra Israele e Hamas a Gaza, è risultato l'anno con il maggiore numero di episodi antisemiti dal secondo conflitto mondiale (dal Rapporto dello Stephen Roth Institute per lo studio dell'antisemitismo contemporaneo e del razzismo dell'Università di Tel Aviv «Antisemitism Worldwide 2010», presentato nel corso dell'audizione della Professoressa Dina Porat, il 19 ottobre 2010).
Tabella pubblicata nel Rapporto «Intolerance, Prejudice and Discrimination - a European Report» della Friedrich Ebert Stiftung, marzo 2011.
Tabella pubblicata nel Rapporto «Antisemitism - Summary Overview of the situation in the European Union 2001-2010», della European Agency for Fundamental Rights, aprile 2011.
Nel 2008-2009 si è registrato in Italia un preoccupante e costante incremento sulle piattaforme di Internet e nei social network di siti di tipo razzista: dagli 836 siti di tipo razzista rilevati del 2008 si è passati a 1.172 del 2009, con un aumento del 40 per cento (dati del coordinamento della Polizia di Stato per la sicurezza informatica e per la protezione delle infrastrutture critiche informatizzate sul territorio nazionale, riportati nel corso dell'audizione di Domenico Vulpiani, il 25 maggio 2010).
In Italia si rilevano, limitando il calcolo ai soli siti Internet e tralasciando i social network, una cinquantina di siti interamente dedicati alla diffusione dell'odio antiebraico, che pur essendo stati in passato oscurati, sono riusciti a eludere la legge italiana spostando i domini di registrazione in paesi stranieri (dati riportati da Stefano Gatti, ricercatore del CDEC, nel corso dell'audizione del 22 aprile 2010).
Il ruolo cruciale dei nuovi canali di diffusione della comunicazione, specie tra i giovani, è evidenziato, a titolo esemplificativo, dal dato secondo cui, nel 2009, la somma dei lettori dei dieci maggiori quotidiani americani rappresenta il 2 per cento degli utenti di Youtube, pari a 400 milioni, o a una percentuale di poco superiore di quelli di Facebook, pari a 250 milioni. (dati riportati da André Oboler, Chief Executive Officer di «Zionism on the Web», nel corso dell'audizione del 22 aprile 2010).
Dall'«Indagine sul Pregiudizio Antiebraico» condotta nel 2008 da CDEC e ISPO (dati riportati nel corso dell'audizione del CDEC del 25 febbraio 2010):
Il 44 per cento della popolazione italiana mostra qualche pregiudizio o atteggiamento ostile agli ebrei. Esso si può scomporre in quattro sottogruppi.
Il primo (10 per cento) condivide gli stereotipi antiebraici «classici»: ad esempio, gli ebrei non «sono italiani fino in fondo», «non ci si può mai fidare del tutto di loro» e «sotto sotto sono sempre vissuti alle spalle degli altri», respingendo però i pregiudizi «contingenti» (verso Israele e Shoah).
Il secondo (11 per cento della popolazione) approva invece solamente gli stereotipi «moderni», mentre respinge quelli «classici» e «contingenti». Per costoro, «gli ebrei sono ricchi e potenti», «controllano e muovono la politica, i media e la finanza» ed inoltre «sono più fedeli a Israele piuttosto che al Paese in cui sono nati».
Il terzo gruppo (12 per cento) è caratterizzato da convinzioni «contingenti» («tutti gli ebrei strumentalizzano la Shoah per giustificare la politica di Israele», «parlano troppo delle loro tragedie trascurando quelle degli altri», «gli ebrei si comportano da nazisti con i palestinesi»), ma non concorda con i pregiudizi «classici».
Il quarto gruppo è quello degli «antisemiti puri» (12 per cento degli italiani), ovvero coloro che condividono tutte le tipologie di stereotipi sopra elencati, da quelli «classici» a quelli «contingenti».
Agli intervistati è stato chiesto di esprimere un livello di accordo con 16 item relativi agli ebrei. Gli item categorizzano alcune dimensioni del pregiudizio: alcune rimandano al pregiudizio classico, altre al pregiudizio moderno, altre ancora riguardano il pregiudizio contingente, legato a Israele.
Una percentuale molto elevata - talvolta superiore alla metà del campione - non concorda né dissente con le affermazioni proposte. Questa area grigia, di apparente neutralità, talvolta è dovuta alla mancanza di conoscenza del tema o dell'argomentazione specifica e infatti troviamo qui concentrati i ceti più marginali. Altre volte tuttavia sembra sottendere un'area di pregiudizio.
(Dati forniti nel corso dell'audizione del 16 novembre 2010 sulla base di un'indagine dell'Istituto IARD presentata nel 2010)
L'indagine riguarda i giovani in una fascia di età compresa tra i 18 e i 34 anni. Il 60 per cento degli intervistati appartiene alla realtà studentesca o è laureato. Tra i giovani italiani, il 22 per cento risulta antisemita. Tuttavia, il 71 per cento di essi non ha mai avuto rapporti diretti con gli ebrei.
L'intolleranza della fetta antisemita dei giovani italiani si esplica anche in un atteggiamento di chiusura verso alcune situazioni, soprattutto l'idea di avere una figlia che fa coppia con un ebreo (51 per cento), quota che scende leggermente (48 per cento) se la cosa riguarda un figlio maschio, o l'idea di avere un capo ebreo (38 per cento), mentre si vivrebbe con più tranquillità il fatto di avere un collega ebreo (29 per cento). Poco accettate, ma più tollerate, le situazioni che contemplano un vicino di casa ebreo (35 per cento) o la possibilità di sedere alla stessa tavola durante la cena (29 per cento):
NOTE:
(1) «Ricordare, questo è forse il modo più doloroso per dimenticare e forse il modo più gentile per lenire questo stesso dolore» (trad. non ufficiale).
(2) In seguito alla costituzione dei nuovi gruppi parlamentari Futuro e Libertà per il Terzo Polo e Popolo e Territorio il numero dei componenti è stato elevato a 30.
(3) L'on. Michele Bordo (PD) è subentrato all'on. Pierangelo Ferrari (PD) nelle funzioni di vicepresidente del Comitato il 19 novembre 2010. Ulteriori componenti del Comitato d'indagine sono, per quanto concerne la I Commissione, gli onn. Isabella Bertolini, Maurizio Bianconi, Fabrizio Cicchitto, Beatrice Lorenzin e Giorgio Clelio Stracquadanio per il gruppo del Popolo delle Libertà; gli onn. Olga D'Antona e Pierangelo Ferrari, poi sostituito dall'on. Doris Lo Moro, per il gruppo del Partito Democratico; l'on. Manuela Dal Lago, poi sostituita dall'on. Pierguido Vanalli, per il gruppo della Lega Nord Padania; l'on. David Favia per il gruppo dell'Italia dei Valori; l'on. Pierluigi Mantini per il gruppo dell'Unione di Centro per il Terzo Polo; infine, il gruppo Misto ha designato l'on. Pino Pisicchio, poi sostituito dall'on. Linda Lanzillotta. In seguito alla costituzione dei nuovi gruppi parlamentari sono stati designati quali ulteriori
membri del Comitato gli onn. Carmelo Briguglio, in rappresentanza del gruppo Futuro e Libertà per il Terzo Polo e Maria Elena Stasi, in rappresentanza del gruppo Popolo e Territorio. Per quanto concerne la III Commissione, il gruppo del Popolo della Libertà ha designato gli onn. Margherita Boniver, Renato Farina, Gennaro Malgieri ed Enrico Pianetta; il gruppo del Partito Democratico ha designato gli onn. Furio Colombo, Paolo Corsini e Francesco Tempestini; il gruppo della Lega Nord Padania ha designato gli onn. Roberto Cota, poi sostituito dall'on. Marco Giovanni Reguzzoni, e Gianluca Pini; il gruppo dell'Unione di Centro per il Terzo Polo ha designato l'on. Ferdinando Adornato; il gruppo dell'Italia dei Valori ha designato l'on. Leoluca Orlando e il gruppo Misto ha designato l'on. Gianni Vernetti. In seguito alla costituzione dei nuovi gruppi parlamentari sono stati designati, quali ulteriori membri del Comitato, gli onn. Roberto Menia, in rappresentanza del
gruppo Futuro e Libertà per il Terzo Polo, e Michele Pisacane, in rappresentanza del gruppo Popolo e Territorio.
(4) La Conferenza fondativa della Coalizione Interparlamentare per Combattere l'Antisemitismo (ICCA) ha avuto luogo il 16 e il 17 febbraio 2009 a Londra. La Conferenza, promossa dal Parlamento britannico e dal Foreign Office, ha visto la partecipazione di 95 parlamentari in rappresentanza di circa 35 Paesi (oltre che di 50 esperti), che hanno approvato la Dichiarazione di Londra sulla lotta all'antisemitismo. Il documento costituisce un vero e proprio programma di azione, formato di 35 paragrafi, e comprende tra l'altro la richiesta al Consiglio dei ministri dell'Unione europea di convocarsi in un'apposita sessione sul tema della lotta all'antisemitismo. La Dichiarazione chiede anche ai governi di adottare le misure necessarie per prevenire la trasmissione in TV di programmi esplicitamente antisemiti. Tra gli obiettivi dell'ICCA figura anche quello di scambiare esperienze e best practice per ottenere i migliori risultati
nella lotta all'antisemitismo in tutte le sue manifestazioni e di elaborare raccomandazioni. Dal dicembre 2008, l'on. Nirenstein è divenuta uno dei sei componenti del Direttivo della Coalizione.
(5) Cfr. Report of the Inquiry Panel - Canadian Parliamentary Coalition to Combat Antisemitism, http://www.cpcca.ca/CPCCA-Final-Report-English.pdf.
(6) Report of the All-Party Parliamentary Inquiry into Antisemitism, http://www.official-documents.gov.uk/document/cm70/7059/7059.pdf.
(7) Cfr. infra.
(8) Si tratta della legge 20 luglio 2000, n. 211, sull'«Istituzione del "Giorno della Memoria" in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti». L'iniziativa legislativa italiana si è affiancata a quella di molti altri Paesi europei e non, contribuendo all'adozione della risoluzione dell'Assemblea Generale dell'Onu sulla Memoria dell'Olocausto (A/RES/60/7, 1 Novembre 2005).
(9) Traduzione non ufficiale a cura di European Forum on Antisemitism.
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