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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione III
18.
Martedì 1° dicembre 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Pianetta Enrico, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI OBIETTIVI DI SVILUPPO DEL MILLENNIO DELLE NAZIONI UNITE

Audizione di rappresentanti di ActionAid in occasione della Giornata mondiale di lotta all'AIDS:

Pianetta Enrico, Presidente ... 2 9 10 11 12 13 15
Boniver Margherita (PdL) ... 9
Narducci Franco (PD) ... 10
Simonelli Marco, Policy officer Area Salute e Aids per ActionAid ... 4 13
Tempestini Francesco (PD) ... 9 12
Touadi Jean Leonard (IdV) ... 11
Zoli Livia, Responsabile Unità Policy ActionAid ... 3 15
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI
Comitato permanente sugli obiettivi di sviluppo del millennio

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 1° dicembre 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DEL COMITATO ENRICO PIANETTA

La seduta comincia alle 13,05.

(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresenti di ActionAid in occasione della Giornata mondiale di lotta all'AIDS.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli Obiettivi di sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite ed in occasione della giornata mondiale di lotta all'AIDS, l'audizione dei rappresentanti di ActionAid.
Sono presenti Marco Simonelli, policy officer dell'area Salute e AIDS; Livia Zoli, responsabile dell'unità Policy, e Chiara Palombella, responsabile dell'ufficio stampa. Saluto i nostri ospiti a nome dei colleghi e mio personale.
Come sappiamo, la Commissione affari esteri della Camera ha voluto istituire un Comitato apposito per discutere, valutare e approfondire i temi collegati ai grandi Obiettivi di sviluppo del Millennio che le Nazioni Unite hanno inteso prefiggersi come fondamentali. Il loro raggiungimento, in previsione della scadenza del 2015, è messo indubbiamente a dura prova, soprattutto per quanto riguarda il primo di tali obiettivi, che consiste nel dimezzare il numero delle persone che soffrono la fame.
Purtroppo, in occasione del vertice mondiale sulla sicurezza dell'alimentazione, che si è svolto proprio qui a Roma, abbiamo potuto toccare con mano tale problema.
La crisi finanziaria che ha colpito tanti Paesi ha fatto regredire il raggiungimento di questo primo obiettivo, sebbene, a mio modo di vedere, essa non sia l'unica causa.
Sono, inoltre, a rischio anche altri obiettivi. Non intendo dilungarmi; vorrei solo sottolineare l'esigenza che i Parlamenti - e in questo caso il vostro interlocutore è il Parlamento italiano - si facciano promotori del coinvolgimento dei Governi e, fuori dal palazzo, dell'opinione pubblica. Questo è stato l'input che abbiamo voluto dare anche in occasione della giornata della FAO.
Il raggiungimento di questi obiettivi, infatti, deve essere condiviso e non deve assolutamente essere considerato come un fatto marginale. È necessario dare un segnale molto forte e concreto: ne va della capacità della nostra generazione di gestire la convivenza civile di questi anni.
Questa mia piccola premessa è soltanto propedeutica all'ascolto della relazione dei nostri ospiti. Pertanto, lascio loro immediatamente la parola, avvertendoli che, purtroppo, oggi non siamo molto numerosi, ma siamo ben qualificati. Ci faremo carico di informare i nostri colleghi. Di questa audizione, come sapete, viene redatto il resoconto stenografico che potrà conseguentemente rappresentare la base di informazione per i colleghi che oggi non sono presenti.


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Ovviamente, siamo desiderosi di conoscere il punto di vista di ActionAid sulla situazione generale e avere informazioni sulla sua attività. Sottolineo ancora una volta che il vostro interlocutore è oggi il Parlamento. Sulla base delle informazioni che riusciremo a raccogliere, ci faremo promotori nei confronti del Governo, delle autorità e dei soggetti istituzionalmente preposti a dare un contributo, affinché il problema dell'AIDS sia risolto. Questa, infatti, è la funzione propria del Parlamento.
Questa piaga, soprattutto in determinati Paesi, decima la popolazione e rende inconsistente o precaria la convivenza civile. Penso, ad esempio, ai tanti orfani che esistono alcuni Paesi africani: ciò provoca un depotenziamento di quei Paesi e mina alla base la stessa convivenza civile e lo sviluppo di un popolo e di una nazione.
Do ora la parola agli auditi.

LIVIA ZOLI, Responsabile Unità Policy ActionAid. Presidente Pianetta, la ringrazio per la sua introduzione. Ringrazio, inoltre, tutti i presenti per averci dedicato questo spazio in un momento che sappiamo essere molto intenso di attività per il Parlamento italiano, soprattutto per via della discussione della legge finanziaria in corso proprio in questi giorni nelle varie Commissioni della Camera. Per questo motivo vi ringraziamo ancora di più per aver scelto di ascoltare le nostre posizioni in una giornata così importante come quella della lotta contro l'HIV.
Sebbene molti di voi ci conoscano da tempo, vorrei procedere innanzitutto a una breve presentazione dell'organizzazione che rappresento, a beneficio di quanti, invece, ancora non la conoscessero. ActionAid è un'organizzazione internazionale non governativa impegnata nella lotta alla povertà in oltre sessanta Paesi in Asia, in America latina, in Africa e nella stessa Europa. Si tratta, dunque, di un'organizzazione molto importante che ha una matrice internazionale, e che svolge il suo lavoro sia direttamente sul campo a contatto con le popolazioni più povere, sia nei paesi «del Nord» in attività di policy, campaigning, marketing.
ActionAid lavora soprattutto sui progetti di sviluppo. Negli ultimi anni, tuttavia, ha sempre più aperto l'area di lavoro alle emergenze, e su esse interveniamo solamente in Paesi dove già siamo presenti. Le aree di sviluppo sulle quali lavoriamo si caratterizzano soprattutto per un approccio basato sui diritti.
L'aspetto più importante e il messaggio che teniamo maggiormente a far passare è quello relativo al rispetto dei diritti umani in generale e, in particolare, dei diritti che rientrano in sei aree tematiche per noi prioritarie: il diritto al cibo - quindi ad un'alimentazione adeguata -, i diritti delle donne, il diritto alla salute - e in questo ambito rientra il nostro lavoro per la lotta all'HIV -, il diritto ad una governance giusta e democratica, il diritto all'istruzione e il diritto alla sicurezza umana nei conflitti e nelle emergenze. Questi sono grosso modo i sei filoni sui quali lavora ActionAid.
All'interno di tali filoni si sviluppa l'area di lavoro della lotta contro l'HIV e per la salute. Siamo coscienti delle problematiche cui l'onorevole Pianetta ha fatto accenno nell'introduzione. Gli Obiettivi del Millennio sono dei benchmark, ossia dei target e che stabiliscono delle date chiave, per i quali noi crediamo che sia necessario lavorare nell'ambito più ampio della lotta alla povertà.
Due settimane fa, siamo stati presenti al vertice della FAO, in quanto il nostro lavoro sul diritto al cibo è molto importante. Crediamo che i diversi Governi, sia a livello internazionale - e per questo faccio riferimento al vertice FAO -, sia a livello nazionale, abbiano molta responsabilità rispetto al raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Il Governo italiano quest'anno ha rilasciato delle importantissime dichiarazioni, in particolare durante il vertice G8 de L'Aquila. Durante tale vertice abbiamo prestato molta attenzione a tutti gli impegni presi rispetto al diritto al cibo. L'Aquila Food Initiative rappresenta


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un'iniziativa molto importante dal nostro punto di vista, e su di essa stiamo lavorando e continueremo a lavorare anche in seguito. Essendo presenti in molti Paesi, cercheremo di monitorare tutti i Governi del G8 rispetto agli impegni presi.
Per introdurre il tema di oggi, vorrei aggiungere che in quella stessa sede sono state rilasciate importantissime dichiarazioni riguardo alla lotta all'HIV, in particolare per quel che riguarda il pagamento al Fondo globale per la lotta all'HIV, alla tubercolosi e alla malaria. Verso tale fondo il Governo italiano è ancora in debito per la quota del 2009. Non essendo ancora finito l'anno, ci auguriamo che questo impegno possa essere onorato. Il Governo si è inoltre impegnato per una cifra aggiuntiva di 30 milioni di euro. Noi crediamo che questo sia un impegno molto importante e che altrettanto lo siano altre dichiarazioni relative, ad esempio, all'accountability.
In ogni caso, soprattutto per quanto riguarda i due filoni sui quali maggiormente lavoriamo, la sicurezza alimentare e la lotta all'HIV, ci auguriamo davvero che i nostri rappresentanti governativi possano ottemperare agli impegni presi al più presto, o comunque nell'ambito di quest'anno finanziario.
Infine, vorrei aggiungere un'ultima osservazione relativa alla discussione della legge finanziaria in atto in questi giorni. Dobbiamo rilevare che purtroppo l'impegno dell'Italia rispetto all'aiuto pubblico allo sviluppo è veramente molto debole. Secondo la nostra analisi - che troverete nel documento che vi abbiamo consegnato -, l'aiuto pubblico che quest'anno il Governo italiano ha devoluto allo sviluppo è stato di poco superiore allo 0,17 per cento del PIL. Questo ci mette in grande difficoltà rispetto agli impegni presi a livello internazionale e a livello comunitario: entro il 2010, infatti, dobbiamo raggiungere il target dello 0,50 per cento.
Noi crediamo fermamente che tutti gli impegni settoriali, ossia quelli relativi alla sicurezza alimentare, alla salute e quant'altro, abbiano bisogno di una cornice, che noi definiamo «framework»; tale cornice non può che essere rappresentata da un adeguato aiuto pubblico allo sviluppo, che ci consenta di rispettare gli impegni.
Vi ringrazio. Passo ora la parola al collega Marco Simonelli che illustrerà il rapporto di ActionAid International in uscita oggi. Il titolo è «Ogni promessa è debito», ed è quest'anno alla sua quarta edizione.

MARCO SIMONELLI, Policy officer Area Salute e AIDS per ActionAid. Grazie e buongiorno a tutti. Vorrei anch'io ringraziarvi per la vostra presenza e per l'attenzione che ci dedicate.
Come diceva poc'anzi la mia collega, ActionAid produce ogni anno, o ogni due anni, un rapporto che intende fare il punto della situazione della lotta all'AIDS, illustrando ciò che sta succedendo a livello globale, quale sia il trend generale della lotta all'HIV e quale il ruolo dell'Italia all'interno di tale lotta.
Il rapporto è quindi diviso in due parti. Nella prima parte presentiamo la situazione generale, nella seconda presentiamo il contributo italiano.
Qualche giorno fa è uscito il nuovo rapporto dell'Agenzia per la lotta all'AIDS delle Nazioni Unite, la UNAIDS, che presenta il trend globale del 2008: esso non differisce moltissimo da quello del 2007.
Noi abbiamo ovviamente utilizzato i dati di entrambi questi rapporti per analizzare la situazione attuale. Per fare subito il punto, dirò che i dati generali oscillano oggi dai 33,4 ai 33,5 milioni di malati di AIDS nel mondo.
I dati dell'anno scorso erano abbastanza simili: avevamo, infatti, 33 milioni di malati. Di questi, 2 milioni sono bambini. La cosa particolarmente sconvolgente è che oltre il 70 per cento dei malati - prima si trattava del 67-68 per cento, oggi siamo ormai al 70-71 per cento - si trova in un solo continente: l'Africa, e in Africa subsahariana in particolare.
Sette Paesi africani hanno dei tassi di incidenza superiori al 15 per cento; questo significa che in sette Paesi africani, almeno quindici persone su cento sono sieropositive. In altri sette o otto Paesi i tassi sono


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comunque superiori al 5 per cento. In Swaziland, dove si registrano tassi pari al 26-27 per cento, più di un quarto della popolazione, è sieropositiva.
Ciò si traduce in una decimazione della popolazione giovane - ossia delle persone attive e in grado di lavorare - che non è mai stata documentata a livello mondiale. Si parla di 2 milioni di decessi ogni anno. Il 75 per cento di questi, ovvero 1,5 milioni di decessi, avviene nell'Africa subsahariana.
Vorrei illustrare ora quali siano state, dall'insorgere dell'emergenza della pandemia, le date fondamentali che hanno caratterizzato il percorso degli impegni presi da parte dei donatori internazionali.
Nel 2000, con la Dichiarazione del Millennio, le Nazioni Unite hanno posto gli Obiettivi di sviluppo. Fra essi, il sesto - che conosciamo tutti -, è quello che riguarda la lotta all'AIDS, alla tubercolosi e alla malaria. Importante, però, e collegato a quest'ultimo, è anche il quinto obiettivo, che concerne la salute materna e tutte le questioni di terapia antiretrovirale da adottarsi sulle donne incinte.
Nel 2001, nel corso del G8 di Genova, venne ideato e lanciato uno strumento innovativo di lotta all'AIDS: esso è il Fondo globale per la lotta all'AIDS, alla tubercolosi e alla malaria.
Si tratta di uno strumento che ha contribuito notevolmente alla causa. Nel 2001 esso rivestiva una piccola percentuale di contributo rispetto ai finanziamenti per la lotta all'AIDS; oggi, è invece arrivato a rappresentare una percentuale che oscilla fra il 22 e il 24 per cento.
Nel 2006 - quindi dopo il G8 del 2005 -, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite si è impegnata per contrastare un problema che stava cominciando a profilarsi come fondamentale: i finanziamenti, infatti, sono necessari, ma bisogna anche permettere l'accesso ai farmaci salvavita e antiretrovirali per le popolazioni dei Paesi a medio e basso reddito. Nasce così l'idea dell'impegno assunto per il 2010 di permettere l'accesso universale non solo alle terapie, ma anche ai sistemi prevenzione, di informazione, di cura, di testing e quant'altro che interessano la sfera della diffusione dell'HIV.
A quale punto siamo oggi? La questione fondamentale che sta attirando l'attenzione di tutti gli stakeholder, sia donatori, sia Paesi riceventi, è proprio l'accesso universale ai farmaci entro la data del 2010. Sicuramente, in questo ambito, si sono raggiunti dei grossi risultati. Le percentuali di partenza di coloro che avevano accesso ai trattamenti erano bassissime e ora siamo arrivati a percentuali molto alte.
L'ultimo rapporto dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, redatto insieme all'Unicef, indica che circa 4 milioni di persone sono attualmente in trattamento nei Paesi del Sud del mondo. Il numero è dunque cresciuto di circa il 30 per cento rispetto ai 3 milioni dell'anno scorso e di circa dieci volte rispetto a otto o dieci anni. Si tratta, pertanto, di innegabili successi, da questo punto di vista.
Il problema è che il numero delle persone che non ha accesso alle terapie rimane ancora alto (tra i 5 e gli 8 milioni). Dei 33 milioni di persone sieropositive, circa un terzo ha necessità di terapia, in quanto si tratta di persone in uno stadio avanzato d'infezione. Si parla, quindi, di una cifra che si aggira fra i 9 e i 12 milioni di persone che necessitano di terapia. Di queste, 4 milioni hanno accesso alle terapie, mentre i restanti 5-8 milioni ancora non hanno tale accesso.
Oltretutto, questi dati non considerano la problematica della resistenza ai farmaci di prima linea. I farmaci antiretrovirali infatti allungano la vita dei pazienti sieropositivi e di conseguenza avremo un sempre un maggior numero di persone arriverà, nel giro di pochi anni, ad avere una resistenza ai farmaci di prima linea, e questo è un altro grosso problema.
Noi sappiamo che tenere una persona sotto trattamento con un farmaco di prima linea costa, in media, tra i 100 e i 150 euro all'anno. Aumentando il numero di persone in trattamento probabilmente aumenteranno anche le resistenze. In Paesi come il Brasile, dove i farmaci di


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prima linea sono disponibili su larga scala da molti anni, si stanno già sperimentando queste soglie di non funzionamento della prima linea e, quindi, si sta passando alla seconda linea.
Le seconde linee, però, hanno attualmente costi dieci volte maggiori rispetto a quelli di prima linea: essi vanno dai 1.000 ai 2.000 dollari l'anno per persona.
Se dovessero aumentare in maniera drastica le persone resistenti ai farmaci di prima linea, nel giro di pochissimi anni, una grande percentuale degli attuali finanziamenti - che sono ancora sotto la quota necessaria - dovrebbe essere impiegata per l'acquisto dei farmaci di seconda linea in modo da sottoporre le persone alla terapia idonea. Questo significa che il 5-10 per cento di queste persone potrebbe drenare il 25-30 per cento delle risorse per i medicamenti.
Inoltre, recentemente è sorto un altro problema molto grosso. Nonostante l'impegno della comunità internazionale, dei Paesi donatori, del Global Fund e di tutte le agenzie che a questo scopo lavorano - dalla Clinton Foundation, alle Nazioni Unite -, si sta verificando un fenomeno abbastanza inaspettato. Sebbene ci siano 4 milioni di persone in trattamento, un altissimo numero di esse, circa il 40-45 per cento, esce dalla terapia prima di due anni per ragioni piuttosto singolari. Ciò accade nonostante esse abbiano accesso ai farmaci: il 90 per cento delle policy dei Paesi del Sud del mondo, infatti, prevede la fornitura di farmaci gratuiti per tutti coloro che ne hanno bisogno. In alcune regioni del Sud Africa, però, le persone che sono ancora in terapia dopo 18-24 mesi sono solamente il 27-28 per cento del totale.
Ciò si verifica perché i pacchetti per la terapia antiretrovirale non comprendono dei costi che a noi sembrano irrisori, ma che per popolazioni che vivono con meno di un dollaro al giorno non lo sono affatto. Pensiamo, ad esempio, al trasporto verso strutture sanitarie: tali trasporti costano dai 5 ai 6 dollari per l'andata e altrettanti per il ritorno. Tenete in considerazione, quindi, che è ben vero che una persona riceve un trattamento equivalente a 100-400 euro ma, d'altra parte, deve mettere di tasca propria la tariffa per il trasporto. Se il viaggio è lungo, poi, bisogna considerare anche il pernottamento. Stiamo parlando di Paesi nei quali le infrastrutture e le strade sono praticamente inesistenti, e dove è quindi necessario ricorrere a mezzi di fortuna, anche privati. L'alimentazione durante i giorni di viaggio e di permanenza in ospedale comporta dei costi rilevanti che, per una persona che vive di sussistenza, non sono facilmente abbordabili.
Inoltre, sebbene le policy governative prevedano il trattamento gratuito, i farmaci «paralleli» alla terapia antiretrovirale, come i farmaci per le infezioni opportunistiche - poco più che antibiotici - costano dai due ai quattro dollari la scatola ed essi non vengono forniti gratuitamente, o meglio, gli ospedali dovrebbero fornirli, ma ne sono spesso sprovvisti. Paradossalmente, dispongono di farmaci antiretrovirali, ma non hanno dei semplicissimi antibiotici.
Un malato di AIDS in terapia che abbia un'infezione deve, dunque, andare in una struttura privata per avere un antibiotico, e lì questi farmaci hanno un costo.
Esiste, quindi, un elevato numero di persone che, nonostante disponga di un trattamento gratuito da portare avanti insieme a terapie antibiotiche e a un'adeguata alimentazione, esce dalla terapia perché in realtà non può avere il trattamento completo. Questa è la ragione per cui circa il 40 per cento delle persone esce dalla terapia dopo soli diciotto mesi. Manca un pacchetto completo, ossia quello che viene chiamato home-based care o hospital-based care. L'ospedale, infatti, dovrebbe fornire a chi vive lontano, ed ha quindi dei costi da sostenere, l'intero pacchetto di visite domiciliari. Spesso si tratta di persone che hanno anche difficoltà a prendere i mezzi di trasporto. Ebbene, questi pacchetti non esistono: esistono solo sulla carta. Il Governo della Tanzania, ad esempio, che è il case study che affrontiamo a metà del documento fornito, prevede farmaci gratuiti antiretrovirali per


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tutti e sistemi di home-based care. Io ho trascorso molti anni in Tanzania e ricordo che questi sistemi di home-based care esistevano sulla carta ma non si vedevano nella realtà. I pochi sistemi di home-based care che funzionano sono quelli portati avanti da organizzazioni missionarie o non governative, le quali però sono altamente dipendenti dai finanziatori esterni, quindi dai vari ministeri degli affari esteri, dal DFID (UK Department for International Development) dalla SIDA (Swedish International Development Agency), eccetera.
Il Governo, invece, nonostante sia tenuto a farlo, non fornisce questi pacchetti. I funzionari statali della Tanzania dichiarano che tali pacchetti sono in atto da molti anni, ma funzionano veramente solo in pochissimi distretti. I rappresentanti distrettuali affermano che il pacchetto non è finanziato a livello distrettuale a causa di un meccanismo di distribuzione che va dal livello centrale a quello distrettuale: la riforma sanitaria in Tanzania è consistita in una sorta di decentralizzazione ma i finanziamenti non arrivano alla base.
Il problema, inoltre, non è esclusivamente di natura finanziaria, ma anche di risorse umane. La spiegazione è piuttosto semplice: in un Paese come la Tanzania, che ha due medici e meno di quattro-cinque infermieri od ostetriche ogni dieci mila abitanti, è chiaramente comprensibile il motivo per cui un sistema come quello dell'home-based care, che necessita di medici e infermieri, o almeno assistenti infermieri, non possa funzionare. L'AIDS ha prepotentemente travolto la situazione sanitaria di Paesi come la Tanzania o l'Uganda, che versavano già in condizioni abbastanza critiche e che avevano sistemi sanitari molto fragili. La questione dell'AIDS ha completamente sconvolto le già fragili dinamiche interne. Ci siamo, quindi, ritrovati con ospedali occupati per il 60-70 per cento dei casi da pazienti sieropositivi, anche terminali, e con un personale sanitario che spesso viene drenato dalle sue funzioni quotidiane per andare a lavorare su casi di AIDS.
Sta, pertanto, nascendo un forte dibattito. Uno studio pubblicato da Lancet di un gruppo di ricerca costituito dal WHO ha fatto emergere, dunque, la seguente problematica: i finanziamenti per la lotta all'AIDS, da una parte, stanno portando a dei risultati, ma dall'altra, stanno indebolendo i sistemi sanitari che con scarse infrastrutture e con scarse risorse umane non possono reggere all'impatto di una malattia del genere e continuare a lavorare sulle normali patologie che gli ospedali si trovano ad affrontare tutti i giorni.
Per quanto riguarda il ruolo dell'Italia, dal 2000 ad oggi, secondo i bollettini della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo e secondo l'estrapolazione compiuta da noi, il nostro Paese ha stanziato circa 572 milioni di euro per la lotta all'AIDS. Il canale privilegiato scelto dall'Italia è il Global Fund: l'81 per cento dei finanziamenti italiani va, infatti, al Fondo globale. Il contributo bilaterale, quindi, è piccolo: si tratta di meno del 19 per cento; il 5 per cento è rappresentato dalle ONG che implementano progetti di sviluppo per la lotta all'AIDS, e il 3-4 per cento è rappresentato dalla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo. L'Italia ha un ruolo così forte all'interno del Fondo globale in quanto è stato uno dei Paesi che nel 2001 ha voluto lanciare questa iniziativa. Essa è, quindi, il terzo donatore all'interno del Fondo globale dopo Stati Uniti e Francia, e contribuisce per l'8 per cento delle risorse totali a disposizione del Fondo globale.
Il problema italiano risiede nella discontinuità degli stanziamenti: nel 2004 e nel 2006 non sono state versate le rate; esse sono state versate in ritardo nel 2007. Nel 2008 non è stata versata la rata, ma solo perché era già stata versata anticipatamente nel 2007. La rata del 2009, invece, non è stata ancora versata.
Nei grafici che accompagnano il nostro rapporto è chiaramente illustrato l'andamento molto altalenante dell'Italia. Un andamento simile rappresenta un problema. Innanzitutto, se tutti i Paesi si comportassero in questa maniera, per il Fondo globale e per tutte le agenzie multilaterali che lavorano nel settore sarebbe veramente impossibile stilare delle previsioni,


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pianificare il budget e fare pronostici su come e dove investire. In secondo luogo, esso rende meno credibile la posizione dell'Italia: all'inizio degli anni 2000, infatti, l'Italia ha lanciato l'idea del Fondo globale, ma questa è già la terza volta nella quale l'Italia tarda nel versamento della rata annuale.
In ogni caso, noi sicuramente speriamo che il finanziamento venga stanziato entro il 2009 o quanto meno nel 2010, rendendo così più credibile la posizione italiana. Ci auguriamo ciò soprattutto perché tutte le persone che sono in terapia antiretrovirale non possono permettersi di attendere ancora. Abbiamo visto quanti problemi ci sono dietro le cure antiretrovirali, se vi si aggiungono anche problemi di mancati finanziamenti, la situazione si complica ancora di più.
Il dato che è emerso durante la nostra indagine è che l'Italia è il terzo finanziatore del Fondo globale; esso, però, non è il solo che combatte l'AIDS. Il Fondo globale oggi contribuisce per circa il 20 per cento delle risorse mondiali stanziate per la lotta all'AIDS. L'Italia, quindi, contribuendo per l'8 per cento sul 20 per cento, ha un impatto molto piccolo rispetto a tutti i finanziamenti mondiali per la lotta a questa malattia. Considerando anche i finanziamenti delle fondazioni private e dei contributi domestici dei diversi Paesi, esso ammonta a meno dell'1 per cento. Se invece guardiamo solo ai Paesi donatori, l'Italia offre finanziamenti che raggiungono al massimo il 2 per cento negli anni nei quali vengono stanziati i contributi per il Fondo globale, e l'1 o l'1,5 per cento negli altri anni.
La nostra conclusione, pertanto, è che l'Italia non ha un ruolo molto forte all'interno del panorama internazionale per la lotta all'AIDS; essa ha, però, un ruolo forte all'interno del Fondo globale, ed è fondamentale che mantenga almeno l'impegno del versamento delle quote. Attraverso tale impegno, infatti, si può riportare l'Italia a dei livelli quasi commisurati al proprio peso economico. Bisogna sottolineare, infatti, che in realtà, neanche con i versamenti al Fondo globale l'Italia riesce a coprire uno stanziamento per la lotta all'AIDS adeguato al proprio peso economico.
Una nota molto positiva, a mio avviso e secondo le analisi che abbiamo condotto, è rappresentata, invece, dal contributo bilaterale dell'Italia. Il comportamento e la strategia bilaterale dell'Italia è molto appropriata, sebbene sia completamente opposta a quella della maggioranza dei Paesi del gruppo DAC (Development Assistance Committee). Tutti i Paesi del gruppo DAC, infatti, stanno incrementando notevolmente i fondi per la lotta all'AIDS e, contemporaneamente, stanno facendo scendere i fondi per il sostegno alle strutture sanitarie di base. L'Italia fa l'esatto contrario: sta aumentando i fondi per il sostegno delle strutture sanitarie di base e, parallelamente, sta facendo crescere meno in percentuale quelli per la lotta all'AIDS.
Secondo noi, questo approccio è più in sintonia con il problema che sta nascendo oggi e che è stato evidenziato anche dal gruppo di lavoro del Lancet. Senza un sistema sanitario di base forte e capace di convogliare, accogliere, spendere, implementare i finanziamenti e trasformarli in attività; senza un sistema sanitario di base che funzioni con personale qualificato, è inutile fare versamenti continui su strutture incapaci di reggere il peso di tali finanziamenti.
Da parte dell'Italia, quindi, abbiamo due comportamenti diversi: quello multilaterale e quello bilaterale. Dal punto di vista multilaterale, l'Italia non ha ancora stanziato le proprie quote; il comportamento bilaterale è, invece, a nostro avviso, molto appropriato e molto in linea con le nuove problematiche che stanno emergendo.
Queste, in breve, sono le conclusioni del nostro rapporto. Tra le raccomandazioni che ci sentiamo di fare, c'è ovviamente quella di versare il contributo al Fondo globale: non solo per saldare la rata di quest'anno, ma anche per rendere prevedibili gli stanziamenti per i prossimi anni. Un'altra raccomandazione è che l'Italia elabori un documento strategico. Esiste già un documento di linee guida per la cooperazione


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sanitaria che menziona anche la lotta all'AIDS; ActionAid auspica, però, che si possa avere un documento più specifico su questo settore.

PRESIDENTE. Grazie. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

FRANCESCO TEMPESTINI. Abbiamo tenuto molte audizioni su questo argomento. La domanda che mi viene spontanea è se sia ipotizzabile, teoricamente e praticamente, un ragionamento sulla prevenzione e in che cosa essa potrebbe consistere. Si è fatto qualcosa in questo senso o si tratta di un'ipotesi da scartare? Vorrei un'integrazione su questo punto.

MARGHERITA BONIVER. Signor presidente, la domanda rivolta dall'onorevole Tempestini è molto interessante. Soprattutto come cittadini italiani, ci dobbiamo ogni tanto scontrare con delle diverse interpretazioni della prevenzione dell'AIDS. Ci sono autorevolissime fonti ecclesiastiche che sostengono che per curare l'AIDS l'unica via sia l'astinenza. Naturalmente questa scelta, che immagino non possa essere imposta a intere popolazioni, non so se possa essere condivisa da un punto di vista scientifico.
Tralasciando, dunque, la domanda che comunque intriga anche me, vorrei ringraziare i dirigenti di ActionAid. In un certo senso siete fortunati, in quanto presentate le vostre istanze a pochi giorni dall'inizio del voto in Aula sulla legge finanziaria; siete, però, anche sfortunati, in quanto la III Commissione non è competente in materia finanziaria.
In riferimento a quanto ho ascoltato, e senza voler arrivare a delle conclusioni particolarmente eclatanti, vorrei solo dire che voi parlate a delle persone assolutamente consapevoli della questione oggi in discussione. Tra l'altro, oggi, in una sala attigua, si è tenuto un importante seminario con dirigenti sanitari al massimo livello proprio sulla lotta all'AIDS: oggi, infatti, è la giornata della lotta contro questa malattia. Siete, dunque, di fronte a persone assolutamente consapevoli del flagello, delle difficoltà del combatterlo, della lenta presa d'atto da parte di alcuni Governi africani - sebbene non di tutti - di questo tipo di peste del nostro secolo.
Siamo anche consapevoli che la questione non riguarda soltanto il continente africano, ma si sta rapidissimamente espandendo anche in molti Paesi asiatici. Siamo consapevoli, naturalmente, delle difficoltà di bilancio che riguardano non solo l'Italia, ma una buona fetta dei Paesi simili al nostro, soprattutto quelli europei, i quali, in concomitanza con la crisi finanziaria internazionale, hanno drasticamente diminuito il loro contributo.
Questo è stato, purtroppo, anche il caso molto pesante della cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri. Infatti, in perfetta sintonia con il «pianto» del Ministro degli affari esteri, la Camera dei deputati, qualche giorno fa, ha approvato all'unanimità alcune mozioni nelle quali, sinteticamente, si chiedeva quantomeno un rapido reintegro di una parte del crudelissimo taglio orizzontale fatto dal Ministero dell'economia e delle finanze per motivi che non ripeto in questa sede, in quanto sono noti a tutti.
Voglio semplicemente ricordare che l'Italia ha il terzo debito pubblico più importante fra le nazioni industrializzate.
In secondo luogo, vorrei ricordare che prima dell'estate, sotto la guida del presidente Pianetta, si è svolto qui alla Camera un importantissimo convegno internazionale proprio sugli Obiettivi del Millennio, teso a fare il punto della situazione e a cercare il modo di progredire insieme in una strategia e in una battaglia squisitamente politica. È ovvio, infatti, che non si può immaginare un interesse fatto solo di finanziamenti pubblici: per sconfiggere queste piaghe è necessario che vi sia una forte volontà politica.
La forte volontà politica che lei ricordava, e che è stata ribadita anche al G8 de L'Aquila, credo verrà onorata senz'altro. Mi auguro ciò avvenga in tempi rapidi anche se, in una seduta della Commissione della scorsa settimana, il Governo è stato, ahimè, piuttosto negativo. Da allora fino al


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voto in Aula, però, può succedere qualcosa di molto positivo e credo che succederà. Sono stati, infatti, presentati molti emendamenti, sia da parte dell'opposizione che da parte nostra, proprio per cercare di rettificare queste asprezze e queste inaccettabili manchevolezze sul piano internazionale rispetto ad un impegno assunto molto solennemente.
Inoltre, ho letto con un grado molto vivo di interesse che Tremonti avrebbe già in qualche modo anticipato che una parte dei proventi dello scudo fiscale saranno destinati proprio a reintegrare alcuni pezzi dei bilanci dei vari ministeri, fra i quali mi auguro vivamente - e per questo naturalmente noi ci impegniamo - ci siano anche i tagli al Ministero degli affari esteri. Non ci sono naturalmente conclusioni a seguito della vostra audizione; semplicemente ci teniamo a dire quanto apprezziamo il lavoro che svolgete, la serietà con la quale lo svolgete, l'impegno e la capacità di tenuta che dimostrate, malgrado le difficoltà e gli altalenanti stanziamenti dei Paesi DAC.

PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Boniver per il suo intervento e anche per avere ricordato l'impegno di questo Comitato. Noi condividiamo l'appello che state rivolgendo per quanto riguarda gli impegni del Governo italiano a far fronte a tutto ciò che era stato dichiarato. L'abbiamo ascoltato anche in questa audizione e, pertanto, esso dà ancora più forza alla nostra volontà di far sì che ci sia, anche da parte del Parlamento, una pressione affinché tutto ciò possa avvenire. Da questo punto di vista, ho apprezzato moltissimo quando Marco Simonelli ha sottolineato l'efficienza dell'aiuto bilaterale. Puntare all'AIDS è importantissimo, ma se manca la condizione di contorno del sistema sanitario in un certo Paese, è chiaro che tutto viene reso più problematico e deficitario.

FRANCO NARDUCCI. Vorrei anch'io ringraziare i rappresentanti di ActionAid. Effettivamente, le questioni sono state già in parte molto bene illustrate. Io ho partecipato in passato a delle campagne di prevenzione con associazioni in altri contesti geografici, e credo nel valore della prevenzione. Questo effetto pandemico dell'AIDS, infatti, soprattutto in continenti come l'Africa, difficilmente può essere frenato se non con un impegno veramente straordinario di tutte le nazioni industrializzate, di tutti i Governi e i Parlamenti. Sotto questo profilo, quindi, credo che sia necessario rafforzare le campagne di prevenzione. In Europa tutto ciò si innesta ovviamente su un humus più fertile da un punto di vista culturale, nel senso che è più semplice e che funziona meglio.
Ricordo che abbiamo tenuto un'audizione con parlamentari di Paesi dell'Africa subsahariana e le cose che ci hanno riferito erano veramente terrificanti. Chiaramente, ci sono anche i problemi oggettivi che il dottor Simonelli ha ben illustrato: se un centro di terapia si trova a trecento o quattrocento chilometri e le strade sono nelle condizioni che sappiamo, è certo molto difficile creare le condizioni per l'accesso alle terapie e ciò richiede un grande impegno di mezzi e un grande sforzo economico.
Tale grande impegno, una settimana fa, è stato lungamente dibattuto in questa Commissione in sede di parere sul disegno di legge finanziaria. Il mio gruppo parlamentare aveva presentato un emendamento per uno stanziamento di duecento milioni di euro per gli anni 2010, 2011 e 2012. Purtroppo, il Governo e il relatore del provvedimento sono stati di diverso avviso. Intendo, però, sottolineare che c'è la volontà di tutto il Parlamento per trovare una soluzione e, in questo senso, sottoscrivo assolutamente quanto ha detto la collega Boniver. Ciò sicuramente non accadrà in Aula; speriamo, tuttavia, nell'effetto positivo dello scudo fiscale affinché ci aiuti a trovare le risorse.
Poiché il tema dell'Africa subsahariana, a partire dal vertice di Tokyo in poi, è stato uno dei temi cavalcati con molta forza dal nostro Governo, anche per quanto riguarda gli Obiettivi del Millennio - rispetto ai quali avevamo presentato un emendamento - ci aspettiamo che tutto si


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concretizzi in coerenza con gli impegni assunti nell'Aquila Joint Statement on Global Food Security.
Credo, infatti, che i Paesi sviluppati debbano assolutamente fare di più. Spesso, quando noi parliamo dei nostri problemi, probabilmente non abbiamo presente la situazione terrificante che vive l'Africa, che rappresenta una minaccia, in termini di pandemia e di costi di vite umane, anche per il mondo intero.
Le cifre che lei ha enunciato, così come quelle che ci sono state comunicate anche in altre audizioni, sono veramente drammatiche.
In questo senso, vorrei ringraziare anche il presidente del Comitato che dimostra un'altissima attenzione verso questi problemi; le audizioni, infatti, sono state numerose.
Con l'impegno di tutte le forze politiche in Parlamento, speriamo di poter fare di più. Dobbiamo anche riconoscere che il nostro Paese, nonostante le fluttuazioni di cui lei parlava, non ha mai fatto venire meno l'attenzione verso questo dramma dell'AIDS in Africa. Forse dovremmo trovare una linea meno fluttuante e di maggiore costanza, ma ciò vale anche per tanti altri settori.
Grazie veramente di cuore per il vostro impegno.

PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Narducci per aver sottolineato la situazione e la preoccupazione che questa minaccia suscita in tutto il mondo: è un vero flagello, come usiamo chiamarlo.
Do la parola al collega Touadi, che è molto attento a questi temi. Anche fuori dal Parlamento infatti, qualche volta ci siamo incontrati per dibattere, discutere e promuovere tutto ciò che rappresentano gli Obiettivi di sviluppo del Millennio.

JEAN LEONARD TOUADI. Mi unisco ovviamente ai ringraziamenti per ActionAid per i dati che ci sono stati riferiti e ricordati. Ringrazio lei, presidente, per la sensibilità e tutti i colleghi che sono intervenuti per dare, in questo giorno così particolare, una sostanza a questa audizione.
Dobbiamo insistere per far diventare gli Obiettivi del Millennio e, in generale, la lotta contro la povertà una priorità della politica internazionale. Con la caduta del Muro di Berlino - avvenimento di cui abbiamo celebrato recentemente i vent'anni - si era pensato che, una volta superata questa contrapposizione tra Est ed Ovest, il mondo si sarebbe dedicato con maggiore energia e continuità a contrastare l'altra grande guerra non dichiarata, la guerra della povertà, cancellando o, comunque, riducendo gli squilibri che esistono tra il Nord ricco e il Sud povero del mondo.
Sappiamo tutti che la geografia della miseria e della ricchezza si sta modificando con l'ingresso di nuovi soci nel club dei Paesi a reddito medio o alto; rimane ancora fuori, tuttavia, quell'ultimo miliardo di persone di cui parla Paul Collier nel suo bellissimo libro; in esso l'autore afferma che queste persone vivono nel XXI Secolo, ma le loro condizioni di vita economiche e sociali rimandano al XVI secolo.
Rispetto a questo miliardo di individui, gli economisti, molto cinicamente, dicono che sono persone inutili: a breve e a media scadenza, infatti, non potranno né produrre né consumare e sono pertanto assolutamente irrilevanti per gli andamenti dell'economia.
La politica e l'etica, invece, ci impediscono di fare a nostra volta una simile considerazione; tra l'altro, penso che per l'Italia e per l'Europa, occuparsi della povertà e raggiungere gli Obiettivi del Millennio sia conveniente sotto tanti punti di vista. La lotta alla povertà costituisce, a mio modo di vedere, il vero contrasto all'immigrazione; ci permette di diminuire i fattori di espulsione in quei Paesi, ossia le guerre. Anche in questo caso esiste, infatti, un legame molto netto tra condizioni economiche e sociali da una parte, e instabilità politica e conflitti dall'altra.
L'immigrazione deve essere vista non solo nella sua parte finale, ma soprattutto nella sua parte originale e la lotta alla povertà è una grande operazione di contrasto all'immigrazione clandestina.


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Inutile aggiungere, poi, che la lotta alla povertà è un contributo alla stabilità globale. Non posso, infatti, pensare a un'Europa stabile dal punto di vista geopolitico se vi sono un miliardo di abitanti - tanti sono gli africani oggi - alle porte di casa che vivono nello stato di frustrazione economica e di grande instabilità politica che conosciamo.
Infine, anche dal punto di vista della convenienza economica, alcuni studi ritengono che nella tentativo affannoso di riscaldare la domanda mondiale, un innalzamento del potere d'acquisto di queste popolazioni potrebbe contribuire a questo fine, favorendo una ripresa rispetto alla situazione di recessione.
Ebbene, sostenerle è, dunque, bene eticamente; politicamente è intelligente e lungimirante. Direi che sia anche molto conveniente. Purtroppo - mi permetterete questa considerazione -, nonostante un recente sondaggio di Oxfam mostri che il 72 per cento degli italiani crede che il Paese debba onorare gli impegni internazionali, e l'85 per cento si è espresso contro una diminuzione dell'aiuto pubblico allo sviluppo, vedo che c'è un diffuso calo di attenzione rispetto a questo tema, anche nei partiti politici, a cominciare dal mio. Ho l'impressione che, superato il vecchio terzomondismo degli anni Settanta e Ottanta, si stenti ora a trovare le nuove ragioni di un impegno politico per la cooperazione e la lotta contro la povertà.
Vedo, altresì, un calo di mobilitazione popolare all'interno della società: le stesse ONG - mi spiace dirlo - sono in affanno nel proporre e riproporre la questione della lotta alla povertà e della cooperazione. C'è una sorta di assuefazione alle cifre e alle statistiche, una retorica incantatoria che a intermittenza si sveglia per poi ricadere in una specie di letargo collettivo della politica e della cosiddetta società civile che, sotto questo punto di vista, non credo sia migliore della politica.
Ben vengano, quindi, presidente, questo Comitato e queste occasioni che permettono a noi tutti di riprendere in mano questi fili. Noi faremo una battaglia, e spero che sia una battaglia trasversale.
Mi conforta l'auspicio espresso dalla collega Boniver precedentemente affinché in sede di finanziaria ci si impegni a spingere il Governo a riparametrare le spese, anche sulla scorta delle indicazioni pratiche che ci sono state fornite nel dossier da ActionAid. La politica internazionale, infatti, passa anche attraverso una buona politica della cooperazione e la nostra stabilità, così come quella globale, passano anche attraverso la soluzione e la gestione, in termini di programmazione a media e lunga scadenza, delle questioni che toccano la povertà.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola al collega Tempestini, vorrei sottolineare quanto ha rimarcato il collega Touadi, affermando che promuovere le condizioni di sviluppo nel mondo è conveniente. Lo dobbiamo proprio considerare come tale. Dal convegno richiamato dalla collega Boniver, svoltosi nel mese di luglio, è emerso proprio questo: conviene di più aiutare a creare le condizioni di sviluppo piuttosto che non farlo. Conviene anche da un punto di vista morale, beninteso; è chiaro che non si tratta di un fatto squisitamente economico, di dare e avere.
L'altra questione è quella dell'opinione pubblica. Abbiamo un movimento e un consenso dell'opinione pubblica che rappresentano un elemento estremamente positivo. Proprio la settimana scorsa, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per la campagna del Millennio, insieme ad altre organizzazioni, hanno illustrato in Parlamento la campagna Stand up, consegnando a questo Comitato una targa per sottolineare che l'opinione pubblica è dalla nostra parte e desidera che ci sia una grande attenzione verso questi temi e soprattutto un grande elemento operativo nei confronti dello sviluppo.

FRANCESCO TEMPESTINI. Io, piuttosto che fare lunghi discorsi, ripetendo concetti già espressi tante volte, vorrei porre una seconda domanda, fermo restando quella già formulata sulla prevenzione, che credo sia stata intesa nel senso più ampio del termine, ossia delle politiche


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della prevenzione che si possono mettere in atto.
La seconda domanda, dunque, è la seguente e riguarda il Global Fund. Esso nasce con una filosofia semplice, ossia cercare di raggiungere una maggiore efficacia nella centralizzazione, nel coordinamento e nell'unificazione degli interventi. Questa è la sua funzione. Essendo il Global Fund soltanto una parte minoritaria del complesso dei fondi che vengono stanziati dal pubblico o dal privato, mi piacerebbe sapere qual è il giudizio che voi date sul resto. Il resto dei finanziamenti devoluti all'AIDS è canalizzato in strutture sufficientemente ampie, tali da poter coordinare questa attività? Noi sappiamo che uno dei maggiori problemi consiste nella dispersione dei finanziamenti e nella inefficienza della prestazione finale. Anche lei, nel ricordarci, poco fa, le tante interruzioni dei trattamenti che si verificano, ci ha sostanzialmente detto che si tratta di soldi buttati e buttare via dei soldi, in questo caso, sappiamo bene cosa significa.
Qual è, dunque, il vostro giudizio sulla gestione o sul comportamento complessivo dei flussi finanziari che vengono messi in campo nei confronti della lotta all'AIDS?

PRESIDENTE. Mi accodo alla considerazione svolta dal collega Tempestini per sottolineare il seguente aspetto. È giusto, infatti, incrementare i fondi, in quanto essi sono la benzina fondamentale per svolgere queste azioni; ma come si può riuscire a incrementare l'efficienza globale? Mi pare che questo sia un punto centrale per tentare di far sì che si arrivi davvero a debellare completamente la piaga dell'AIDS nel mondo.
Do la parola agli auditi per la replica.

MARCO SIMONELLI, Policy officer Area Salute e AIDS per ActionAid. Ringrazio tutti voi per le domande che avete posto. Esse aprono un dibattito molto interessante relativamente a due temi in particolare: prevenzione da una parte, ed efficacia degli strumenti della cooperazione dall'altra.
Per quanto riguarda la prevenzione, il rapporto delle Nazioni Unite dell'anno scorso evidenzia la necessità di incrementare gli sforzi in questo ambito. Per ogni due persone che entrano in terapia antiretrovirale, infatti, ce ne sono contemporaneamente cinque che vengono infettate.
Il discorso della terapia è, pertanto, completamente inutile se, nello stesso momento, vengono infettate il doppio delle persone e queste, fra cinque o sei anni, avranno a loro volta bisogno della terapia.
Il rapporto di quest'anno delle Nazioni Unite è leggermente più ottimista da questo punto di vista, ma forse solo perché si tratta di un rapporto intermedio, mentre il rapporto annuale vero e proprio lo avremo nel 2010. In ogni caso, dal mio personale punto di vista, la prevenzione non riceve ancora le dovute attenzioni. A livello finanziario forse ciò già avviene, ma - se devo riportare quello che sento dire dai colleghi nativi e che io stesso ho sperimentato lavorando sul campo - troppo spesso la prevenzione viene fatta con dei parametri culturali importati dall'Occidente.
L'onorevole Narducci poc'anzi menzionava l'humus culturale diverso. È chiaro che qui da noi c'è un humus culturale sul quale un certo tipo di attività e di strategia di prevenzione funzionano. Tali attività di prevenzione, però, se trasferite in un altro contesto culturale, devono essere completamente riadattate. Molto spesso, invece, - e questo è il problema -, esse vengono semplicemente importate senza fare attenzione al contesto culturale.
Per passare ad un argomento che è molto legato a quello della prevenzione, vorrei spendere poche parole sulla questione della salute materna. Proprio in questo periodo, stiamo conducendo un'altra indagine in tal senso il cui rapporto dovrebbe essere pronto a gennaio. Se, infatti, sull'AIDS gli avanzamenti non sono eccezionali, sulla salute materna sono un disastro. Mentre nella lotta all'AIDS alcuni indicatori sono cresciuti dal punto di vista della qualità e della quantità, per la salute materna essi sono completamente stagnanti da dieci anni a questa parte.
Un dato interessante che sta venendo fuori da una survey condotta dai nostri


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colleghi in Uganda consiste nel fatto che, al di là della questione dei finanziamenti, il diverso substrato culturale fa sì che le donne incinte non percepiscano la gravidanza come una malattia e, quindi, non si rivolgono alle strutture sanitarie per i servizi prenatali. In tal modo, diventa quasi inutile provvedere ai servizi dal momento che le persone, semplicemente, non li usano. Dovrebbe essere ricercata un'altra forma di contenitore per veicolare i messaggi culturali e far sì che ci sia un incontro fra il servizio che si propone e la persona che, in teoria, potrebbe averne bisogno.
Molto spesso, per tornare alla questione della prevenzione, le campagne di prevenzione come le conosciamo noi, ossia quelle fondate sull'astinenza, sulla fedeltà e sull'uso del preservativo, sono molto limitate. Esistono, infatti, una serie di comportamenti che non vengono presi in considerazione, oltre alla «a» dell'astinenza, alla «b» del be faithful e alla «c» del condom use. Alcune survey condotte in Paesi dell'Africa orientale mostrano che l'80-90 per cento delle persone, e dei giovani in particolare, sono a conoscenza dei mezzi trasmissione dell'HIV e dei suoi mezzi di prevenzione, ma i loro comportamenti sono completamente diversi. A cosa è dovuto questo scarto fra la conoscenza e la pratica? Quali sono le attitudini che le persone hanno nei confronti di qualcosa che conoscono? Ebbene, tale comportamento è sicuramente da mettere in relazione con una certa componente di precarietà sociale.
Stiamo, infatti, parlando di una malattia come l'AIDS e tutti sanno che un'infezione di HIV porterà, dopo un certo numero di anni, alla malattia e alla morte. In un contesto di precarietà - parliamo degli slum di Nairobi o di altre grandi capitali dell'Africa subsahariana - quanto può importare veramente prevenire una malattia che renderà una persona invalida o la ucciderà fra dieci anni quando queste persone non sanno neanche che cosa mangiare domani e non riescono a curarsi per una malattia opportunistica o per un'infezione qualunque, come una bronchite? Pensate davvero che possano preoccuparsi di quello che accadrà fra cinque, sette o dieci anni? Tutti sono a conoscenza del periodo finestra dell'HIV; bisognerebbe, quindi, giocare su qualcos'altro ed è una partita che, secondo me, non è stata mai giocata a sufficienza.
L'AIDS, soprattutto in questi Paesi, si trasmette per via sessuale, nella maggioranza dei casi. Per via sessuale si trasmettono anche malattie come la sifilide o la gonorrea che, invece, hanno un impatto quasi immediato e toccano la sfera della fertilità e della riproduzione nel giro di poche settimane o pochi mesi. Bisognerebbe, quindi, esplicitare il legame esistente fra il prevenire una malattia venerea e il prevenire una possibile infertilità. Una sifilide non curata, infatti, può portare a una gravidanza extrauterina. Sono questi i parametri sui quali si dovrebbe giocare e che, secondo me, sono stati sempre usati troppo poco. Ci si è sempre fermati alle prime nozioni: astinenza, fedeltà, condom.
Prevenire deve invece significare anche tutto il resto: una vita sessuale normale, felice e soprattutto una salute riproduttiva che consenta alla donna di riprodursi. È necessario, dunque, utilizzare i mezzi di prevenzione non solo per sconfiggere l'AIDS o per prevenire qualcosa che forse succederà fra dieci anni, ma per prevenire qualcosa che potrebbe capitarmi fra due, tre, quattro settimane o nei prossimi nove mesi. Bisogna far passare il messaggio che non si sarà in grado di far nascere un figlio vivo. Questo è l'aspetto su cui si dovrebbe giocare molto.
Da questo punto di vista, stanno ora nascendo delle campagne. Per fare un esempio, la cooperazione svedese e la cooperazione italiana - e ne approfitto per collegarmi al discorso dei finanziamenti verticali e orizzontali - pongono molta attenzione a questo discorso. Questi finanziamenti «verticali», come sono appunto quelli del Global Fund, stanno portando a dei risultati. Se ci sono 4 milioni di persone in terapia, è anche grazie al Global Fund: il 20-25 per cento di queste persone, infatti, sono attribuibili ad esso.


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D'altra parte, secondo ActionAid sono, tuttavia, necessari anche gli interventi «orizzontali». Pensiamo alla cooperazione bilaterale. Come si è detto, il contributo italiano è in percentuale molto basso: l'Italia stanzia meno del 30-40 per cento sul bilaterale rispetto al multilaterale. Nella sanità il rapporto si fa ancora più basso: si parla dell'80 per cento per il multilaterale e del 20 per cento per il bilaterale.
Tuttavia, è proprio l'intervento bilaterale che potrebbe agire sulle dinamiche di cui parlavamo prima, ossia sulle attitudini culturali e sulla prevenzione.
Se il contributo del Global Fund rappresenta solamente il 20 per cento, l'altro 80 per cento è rappresentato dalle agenzie multilaterali, da una parte, e dalle cooperazioni bilaterali, dall'altra. Purtroppo, il contributo italiano in questo ambito è ancora molto in ritardo.
Secondo il nostro il nostro punto di vista, e secondo quanto emerso dalla nostra indagine, la strategia italiana è ottima. Se il peso dei finanziamenti italiani fosse commisurato al reale valore dell'economia italiana, dobbiamo dire che l'Italia potrebbe fare molto di più. L'Italia è uno dei Paesi che sta spingendo, anche all'interno del Fondo globale, affinché non si determini questo forte unbalance fra un sistema che favorisce le terapie antiretrovirali, a scapito del sistema sanitario di base.
Sono perfettamente d'accordo, quindi, con quanto si diceva poc'anzi. Secondo noi, devono essere rafforzate tutte le iniziative bilaterali e multilaterali, favorire il bilanciamento tra i due sistemi, preparare un sistema che possa far funzionare le strategie di prevenzione e, al contempo, creare infrastrutture sanitarie in grado non solo di accogliere e spendere i finanziamenti, ma anche di farli fruttare a lungo termine.

LIVIA ZOLI, Responsabile Unità Policy ActionAid. Innanzitutto, rivolgo un ringraziamento generale per i contributi molto interessanti che sono venuti da parte dei diversi deputati.
Vorrei solo ricordare la campagna che ActionAid ha in corso proprio sulla lotta all'HIV. Probabilmente, molti di voi hanno ricevuto in casella postale una lettera dell'onorevole Sarubbi in sostegno alla nostra campagna. In allegato, si trova una cartolina con la quale si chiede di firmare una petizione per il sostegno al Fondo globale e per ricordare al Governo gli impegni presi in diversi consessi internazionali, non ultimo quello cui accennavamo poc'anzi del G8 de L'Aquila. Chiederei, dunque, a chi fosse interessato a questi temi nell'ambito dei propri lavori e dei propri impegni parlamentari, di dare supporto a questa campagna. La cartolina è presenta anche nella cartellina che abbiamo distribuito.

PRESIDENTE. Ringrazio, in particolare, il dottor Marco Simonelli. Si vede che indubbiamente egli ha lavorato sul campo e che conosce molto bene la problematica. È evidente, infatti, la sua partecipazione professionale e umana, da cui traspare entusiasmo. Di questo lo ringrazio molto.
Ringrazio, inoltre, la dottoressa Livia Zoli e la dottoressa Chiara Palombella.
L'appello che voi fate è rivolto al Parlamento e questo Comitato cercherà in tutti i modi di far sì che, in via trasversale e nonostante tutte le difficoltà evidenziate anche dai colleghi, si possa compiere questo passo fondamentale per debellare l'AIDS.
Nel ringraziare i nostri auditi per la disponibilità manifestata, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,25.

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