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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VI
9.
Martedì 10 novembre 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Conte Gianfranco, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUL CREDITO AL CONSUMO

Audizione del direttore generale dell'Associazione bancaria italiana (ABI):
(Include l'errata corrige pubblicato nel resoconto del 23 febbraio 2010)

Gianfranco Conte, Presidente ... 3 10 13 16 17 19 20 21 22
Ceccuzzi Franco (PD) ... 13
Comaroli Silvana Andreina (LNP) ... 12
Fogliardi Giampaolo (PD) ... 10
Pagano Alessandro (PdL) ... 12
Pugliese Marco (PdL) ... 11
Roccia Massimo, Direttore centrale dell'arearetail dell'ABI ... 21
Sabatini Giovanni, Direttore generale dell'ABI ... 3 16 17 19 20 21 22
Ventucci Cosimo (PdL) ... 11 20

ALLEGATO: Documentazione consegnata dal direttore generale dell'ABI ... 23
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

[Avanti]
COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 10 novembre 2009

TESTO AGGIORNATO AL 23 FEBBRAIO 2010

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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO CONTE

La seduta comincia alle 11,05.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del direttore generale dell'Associazione bancaria italiana (ABI).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul credito al consumo, l'audizione del direttore generale dell'Associazione bancaria italiana (ABI).
Il dottor Giovanni Sabatini è al suo esordio in questa Commissione. Sono presenti anche il dottor Massimo Roccia, direttore centrale dell'area retail, il dottor Gianfranco Torriero, direttore dell'area studi, il dottor Carlo Capoccioni, direttore della funzione relazioni esterne, la dottoressa Maria Carla Gallotti, responsabile dell'ufficio rapporti istituzionali, e il dottor Angelo Peppetti, funzionario del settore crediti retail.
Direttore Sabatini, il tema che stiamo affrontando ha suscitato un certo sconcerto tra i colleghi nel corso delle audizioni finora svolte. Oggi vorremmo conoscere la posizione dell'ABI rispetto ai problemi del credito al consumo, che diventano ancora più pressanti nell'attuale periodo di crisi.

GIOVANNI SABATINI, Direttore generale dell'ABI. Signor presidente, signori deputati, nel ringraziarvi, anche a nome dell'ABI e del presidente Faissola, per un invito che mi consente di testimoniare la posizione dell'industria bancaria rispetto al tema del credito al consumo, esprimo l'auspicio di poter fornire elementi utili per i lavori della Commissione.
Negli ultimi dieci anni, le consistenze degli impieghi alle famiglie consumatrici sono cresciute con un trend positivo che, ad agosto 2009, ha raggiunto i 382 miliardi di euro, con un tasso medio di crescita pari al 15,6 per cento. Collegato all'andamento dell'economia internazionale, si è recentemente registrato un rallentamento di tale tasso. In ogni caso, nell'ultimo anno, il trend è tornato a salire. Nel periodo fra agosto 2008 e agosto 2009 il tasso di crescita è stato pari al 4,7 per cento, rispetto ad una crescita che nell'anno precedente non aveva superato l'1,6 per cento.
La maggior parte dei predetti finanziamenti, circa il 63 per cento, è rappresentata dai mutui erogati alle famiglie consumatrici per l'acquisto di abitazioni. Stiamo parlando di circa 240 miliardi di euro. Si tratta, quindi, di strumenti che non rientrano nell'ambito del credito al consumo.
Per quanto riguarda il credito al consumo vero e proprio, si può notare che questa forma di finanziamento sta assumendo in Italia un'importanza crescente, in linea con le tendenze europee. Negli ultimi anni si è registrato un tasso di crescita costante nel nostro Paese. A giugno 2009 le consistenze dei finanziamenti


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in essere hanno superato i 109 miliardi di euro - il 28,6 per cento del totale degli impieghi alle famiglie italiane -, registrando una crescita annuale di circa l'8,5 per cento.
Sono da sottolineare due importanti aspetti che caratterizzano il nostro mercato del credito al consumo.
Per quanto riguarda, innanzitutto, i dati relativi alle consistenze, poc'anzi citati, meno del 50 per cento si riferisce a finanziamenti erogati dalle banche. Una quota maggiore del credito al consumo, infatti, è erogata da intermediari finanziari iscritti negli elenchi, generale o speciale, di cui agli articoli 106 e 107 del TUB. Si tratta di intermediari non bancari, i quali sono sottoposti a una vigilanza meno stringente da parte della Banca d'Italia (su tale elemento, al quale bisogna prestare attenzione, mi soffermerò nel prosieguo della mia esposizione).
Il secondo aspetto da sottolineare consiste nel fatto che il nostro mercato del credito al consumo è tra i meno sviluppati in Europa. Il rapporto tra stock di credito al consumo e prodotto interno lordo è, infatti, pari al 6,9 per cento, contro il 7 per cento della Germania, l'8 per cento della Francia, il 9,4 per cento della Spagna e il 16,4 per cento della Gran Bretagna.
Il basso grado di sviluppo del nostro mercato del credito in generale e, segnatamente, del credito al consumo, è il riflesso del basso grado di indebitamento delle famiglie italiane rispetto a quelle degli altri Paesi europei. I dati pubblicati nella relazione del Governatore della Banca d'Italia di maggio 2009 mostrano che, alla fine del 2008, i debiti finanziari complessivi - ossia i dati relativi allo stock del debito delle famiglie, sia consumatrici sia produttrici - non erano superiori al 57 per cento del reddito disponibile (quindi, una famiglia ripagherebbe il debito con poco più della metà del proprio reddito di un anno). In Europa, invece, tale valore è pari, in media, al 93 per cento. Se consideriamo più in dettaglio i singoli Paesi, il grado di indebitamento è pari all'80 per cento in Francia e in Belgio, al 92 per cento in Germania e ad oltre il 130 per cento in Spagna. Siamo, quindi, ben lontani dai livelli di indebitamento che si registrano negli altri Paesi europei.
Se ci soffermiamo sul solo credito al consumo, constatiamo, inoltre, che il tasso di indebitamento delle famiglie italiane è ancora più basso e non supera il 10 per cento. Lo stock di debito per il credito al consumo è, quindi, pari a un decimo del reddito complessivo.
L'evidenziato fenomeno, che contraddistingue il comportamento delle famiglie italiane, è da ascriversi a fattori socioculturali e macroeconomici che hanno caratterizzato il nostro Paese.
Tra i fattori socioculturali è da annoverare sicuramente una percezione negativa del debito. Il debito era spesso inteso come un motivo di vergogna sociale. Aggiungiamo il dato, sicuramente positivo, che un'alta percentuale di famiglie italiane è proprietaria di abitazioni - circa l'80 per cento -, mentre in altri Paesi le percentuali sono inferiori: in Germania le famiglie proprietarie di abitazioni sono il 42 per cento, in Olanda il 53 per cento, in Francia il 56 per cento e in Gran Bretagna il 70 per cento. La stessa scarsa mobilità del lavoro, che consente alle famiglie italiane di vivere per tutta la vita lavorativa nella stessa abitazione, senza dover programmare l'acquisto di un'altra casa in un luogo diverso, contribuisce a rendere meno necessario il ricorso al credito. Infine, non si può trascurare che il sistema della famiglia e i legami amicali hanno sempre rappresentato due delle principali fonti di finanziamento degli italiani.
Per quel che riguarda i fattori macroeconomici che hanno contribuito al basso livello di indebitamento delle famiglie italiane, sono certamente da menzionare, prima dell'entrata in vigore della moneta unica, gli alti tassi di interesse che caratterizzavano il mercato italiano, una minore attenzione all'innovazione di prodotto da parte degli intermediari - tenuto conto di una bassa dinamica della domanda - nonché la bassa diffusione della grande distribuzione, fenomeno intrinsecamente legato al credito al consumo.


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Complessivamente, quindi, i dati finora esposti consentono di affermare che non esiste un problema, allarmante e generalizzato, di sovraindebitamento delle famiglie italiane, come appare confermato anche da due elementi ulteriori.
Se analizziamo, infatti, i dati forniti dalla Banca d'Italia sui bilanci delle famiglie italiane che ricorrono al credito, in particolare al credito al consumo - attualmente, il 26 per cento delle famiglie italiane -, vediamo che la propensione a ricorrere all'indebitamento è più alta quando il capofamiglia ha un titolo di studio medio-alto e un'età non superiore ai cinquant'anni, ovvero esistono più percettori di reddito.
Il profilo dell'utente medio del credito al consumo fa quindi ritenere che tale strumento non sia utilizzato dalle famiglie per soddisfare esigenze primarie. Ciò è confermato anche da un'indagine condotta da Eurisko nel 2009 sulla tipologia di beni acquistati attraverso il credito al consumo.
Giungiamo, così, al secondo elemento: questa forma di finanziamento è utilizzata prevalentemente per l'acquisto di auto e moto - di cui circa la metà sono vendute attraverso lo strumento del credito al consumo -, mobili ed elettrodomestici.
Direi, pertanto, che la crescita della domanda di credito al consumo registrata negli ultimi anni non è attribuibile a un fenomeno di impoverimento delle famiglie, ma è da ascriversi all'esistenza di un processo di cambiamento dell'interpretazione del ricorso all'indebitamento e alle modalità di gestione del bilancio familiare.
Possiamo, pertanto, affermare che il fenomeno di crescente ricorso al credito che sta accompagnando l'evoluzione culturale delle famiglie italiane è riconducibile all'evolversi dei comportamenti finanziari delle famiglie stesse verso modelli in cui le scelte di investimento, consumo e risparmio sono effettuate utilizzando il credito disponibile come una modalità di armonizzazione dei flussi di cassa attuali e futuri.
Terminata l'esposizione del quadro generale, con l'analisi che segue entrerò nel dettaglio dei segmenti in cui il mercato del credito al consumo è articolato.
Possiamo fare una prima distinzione tra credito finalizzato e credito non finalizzato. Il credito finalizzato è la forma tecnica di credito al consumo per l'acquisto di un dato bene o servizio, venduto da un terzo soggetto, noto come dealer. In questo caso, la somma finanziata viene versata, su disposizione del cliente, direttamente al venditore del bene o del servizio. Questa è la tipologia di credito al consumo più diffusa: rappresenta il 39 per cento del totale dei finanziamenti erogati. In tale contesto, fatto la parte del leone i finanziamenti per l'acquisto delle automobili.
Il credito non finalizzato si articola in tre diverse tipologie di finanziamenti.
La prima è rappresentata dai prestiti personali, finanziamenti tradizionali concessi direttamente allo sportello bancario; questa forma rappresenta il 36 per cento dei flussi di credito al consumo, per un ammontare di consistenze pari a circa 39,4 miliardi di euro.
Vi sono, poi, i prestiti contro la cessione del quinto dello stipendio o della pensione. Il prenditore, in questo caso, cede una quota fino a un quinto del proprio credito futuro, in termini di stipendio o pensione, a garanzia del rimborso delle rate dovute dall'intermediario cessionario. Si tratta di una forma di credito che, presentando particolari complessità nella fase di concessione, anche in relazione alle coperture assicurative richieste, viene erogata attraverso agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi. Tali soggetti, infatti, per perfezionare l'operazione, devono adempiere una serie di formalità sia presso il datore di lavoro del cliente sia presso l'INPS. I prestiti contro la cessione del quinto rappresentano solo il 9 per cento dei flussi di credito al consumo, per un ammontare di consistenze stimabili in circa 9,8 miliardi di euro.
L'ultima tipologia è rappresentata dai finanziamenti concessi mediante l'utilizzo delle carte di credito revolving. In questo caso, l'erogazione del finanziamento avviene attraverso la concessione di una linea di credito al cliente, supportata dall'emissione di una carta di credito utilizzabile


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presso punti di vendita convenzionati. La caratteristica peculiare di questa forma di credito è il ripristino della linea di fido man mano che il debitore provvede al rimborso delle rate. Contrariamente, quindi, alle carte di credito tradizionali, che permettono di effettuare gli acquisti nei limiti di un plafond stabilito e di rimborsare le somme utilizzate a saldo, alla fine del mese successivo, la carta revolving permette di restituire tali somme con pagamenti rateali.
Quest'ultima tipologia di finanziamento, collocata in maniera importante da mediatori e agenti in attività finanziaria, ha una consistenza molto limitata: si stima che, complessivamente, in termini di stock, essa sia pari a circa 17,5 miliardi di euro e rappresenti l'uno per cento del totale dell'indebitamento delle famiglie italiane. Si tratta di una forma di finanziamento poco sviluppata nel nostro Paese. In Italia, infatti, le carte di credito revolving rappresentano il 16 per cento del totale dei finanziamenti al consumo erogati, mentre in Francia raggiungono il 42 per cento, in Spagna il 49 per cento e in Gran Bretagna il 61 per cento.
Quelli testé elencati sono, dunque, gli strumenti attraverso i quali si accede al credito al consumo. Di per sé, essi non presentano caratteristiche tecnico-contrattuali tali da renderli intrinsecamente più complessi o diversi da altre tipologie di servizi bancari offerti alla clientela retail.
Tuttavia, l'elemento peculiare che contraddistingue il segmento del credito al consumo rispetto alle altre forme di finanziamento è rappresentato dalla catena distributiva.
Per ciascuna delle quattro forme tecniche analizzate, infatti, la distribuzione attraverso mediatori e agenti in attività finanziaria assume un rilievo particolare, soprattutto per quanto riguarda gli intermediari finanziari o le banche specializzate, ossia quelle che non hanno sportelli.
A tale proposito, vorrei tornare su una riflessione cui accennavo all'inizio della mia presentazione. L'utilizzo di soggetti terzi per la vendita di prodotti di credito al consumo modifica innanzitutto il profilo e la distribuzione dei costi commerciali. L'intervento dell'agente o del mediatore comporta il pagamento, da parte della banca o della finanziaria, ossia del soggetto che realizza il prodotto, di provvigioni il cui onere viene incluso nel tasso finale praticato al cliente. Ciò avviene senza che il cliente riesca a comprendere quanta parte del tasso finale remuneri il finanziamento e quanta, invece, corrisponda alla commissione pagata all'agente o al mediatore per il servizio di collocamento. Se mi è consentita una rapida digressione, fondata su una precedente esperienza lavorativa, osservo che avevamo un problema per certi versi analogo con riferimento alle commissioni di gestione dei fondi comuni di investimento. La Consob, avendo verificato che le commissioni di collocamento avevano un peso rilevante all'interno delle commissioni di gestione, ha richiesto che nei prospetti dei fondi fosse evidenziata in maniera separata quanta parte della commissione fosse relativa all'effettivo servizio di gestione e quanta, invece, andasse a remunerare la rete distributiva e, quindi, l'attività di collocamento. Questo è un importante elemento di informazione: per l'investitore, nel caso dei fondi; per il consumatore, nel caso che in questa sede interessa.
Inoltre, l'utilizzo di tecniche di vendita incrociata dei prodotti di credito - il cosiddetto cross selling - e, quindi, di tecniche di vendita più aggressive da parte di soggetti terzi, agenti e mediatori, ha contribuito ad ampliare il problema della trasparenza e, di fatto, ha generato un atteggiamento di critica generalizzata nei confronti dello strumento del credito al consumo.
L'attuale situazione di scarsa trasparenza delle diverse componenti del tasso applicato al credito e la regolamentazione poco restrittiva dei mediatori creditizi hanno un impatto significativo sul costo complessivo delle operazioni di finanziamento. In effetti, la combinazione di questi due elementi può portare - e ha portato - al paradosso che in alcune operazioni nelle quali intervengono i mediatori (un esempio è sicuramente costituito


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dalla cessione del quinto dello stipendio) la commissione percepita da questi ultimi è addirittura superiore al tasso di finanziamento. Pertanto, la blanda regolamentazione delle figure degli intermediari costituisce un problema.
In particolare, con riferimento alla figura del mediatore, i requisiti per l'iscrizione all'albo sono molto generici. È sufficiente essere domiciliati in Italia, possedere un diploma di scuola media superiore e non essere stati condannati per reati penali con sentenza passata in giudicato. La facilità con cui si può diventare mediatori si riflette nel fatto che i soggetti iscritti nell'albo presso l'Ufficio di informazione finanziaria della Banca d'Italia sono oltre centomila. A pagina 14 del fascicolo che abbiamo consegnato troverete un dettaglio della distribuzione del numero dei mediatori creditizi per regione.
Ad oggi, non esiste una disciplina ad hoc volta a garantire, da un lato, che tali soggetti operino con un adeguato livello di professionalità e, dall'altro, che il cliente possa procedere all'acquisto del prodotto di credito con la massima consapevolezza. Credo, pertanto, che vi sia un interesse congiunto, da parte dell'industria bancaria e delle autorità pubbliche, affinché si arrivi ad una più puntuale disciplina del fenomeno.
In effetti, l'ABI è impegnata da tempo nel promuovere una normativa che disciplini in maniera adeguata i mediatori creditizi. In maniera molto sintetica, ribadisco le proposte avanzate dall'Associazione bancaria nell'ambito del processo di recepimento della direttiva sul credito al consumo.
Innanzitutto, come accennavo poc'anzi, sarebbe necessario prevedere per legge che la parte del tasso annuo effettivo globale attinente ai ricavi del finanziatore e quella riferibile, invece, alle commissioni dell'agente o del mediatore creditizio fossero evidenziate separatamente nei documenti contrattuali. Ciò renderebbe esplicito il reale costo bancario dell'operazione e l'incidenza sul tasso dei costi di distribuzione. L'obiettivo da perseguire è fare in modo che, nel medio termine, tutti i soggetti della catena che contribuiscono a rendere disponibile il finanziamento al cliente, dovendo addossarsi, attraverso l'obbligo di trasparenza, una responsabilità diretta dei margini percepiti, siano indotti ad assumere comportamenti virtuosi e competitivi. In altre parole, banalizzando quanto detto, se una persona che intende comprare una moto è posta in condizione di capire che il tasso che paga al dealer nell'operazione di credito al consumo contiene, in realtà, una forte componente di remunerazione dell'attività di collocamento dallo stesso svolta, può anche decidere di verificare se non le convenga, piuttosto, rivolgersi alla banca, ottenere un prestito personale e comprare direttamente la motocicletta, pagandola in contanti. La trasparenza dovrebbe attivare il meccanismo della consapevolezza da parte del consumatore, che potrebbe innescare, a sua volta, una virtuosa competizione tra gli erogatori dei prodotti di credito al consumo.
Il secondo aspetto importante in ordine al quale l'ABI ha avanzato alcune proposte riguarda la necessità di una disciplina specifica dei mediatori e degli agenti in attività finanziaria, la quale individui le modalità e le condizioni dell'operatività di ciascuna figura professionale, con particolare riferimento ai rapporti intrattenuti con i soggetti finanziatori e con i consumatori, eventualmente riservando un ruolo complementare ad appositi strumenti di autoregolamentazione.
Inoltre, occorre stabilire requisiti più stringenti per l'iscrizione all'albo tenuto dall'Ufficio di informazione finanziaria, prevedendo, ad esempio, un percorso di formazione professionale e un esame finale. Si potrebbe fare un confronto con i promotori finanziari: all'origine, infatti, anche questa categoria aveva creato delle difficoltà. In seguito, però, grazie a una regolamentazione avveduta e a un'attenta vigilanza, tali soggetti sono giunti a svolgere correttamente il proprio ruolo nel sistema finanziario.
Proponiamo, altresì, che siano fissate regole di comportamento, nonché specifi


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che sanzioni - che comprendano anche la radiazione dall'albo - per quei mediatori o agenti che attuino comportamenti non corretti nei confronti della clientela.
Infine, sempre in una logica di trasparenza e di corretta informazione, sarebbe opportuno vietare per legge che gli agenti in attività finanziaria e i mediatori creditizi impieghino nella ragione sociale o nelle pubblicità, per fare riferimento all'attività da essi svolta, i termini «finanziaria», «finanziario» o «credito». In questo modo, per il consumatore sarebbe possibile comprendere immediatamente se stia operando con soggetti e intermediari vigilati, oppure con soggetti al di fuori di una specifica regolamentazione.
Da parte del sistema bancario, l'esigenza di un'attenta regolamentazione di questa parte della filiera distributiva è stata talmente sentita che, nelle more dell'attuazione della direttiva sul credito al consumo, è stato definito un codice deontologico dei mediatori creditizi. Sulla base dell'autoregolamentazione, esso prevede espressamente che il mediatore il quale vi aderisce si impegna a garantire al cliente la massima comprensibilità e consapevolezza relativamente ai prodotti che colloca e all'attività di consulenza svolta. Inoltre, abbiamo chiesto ai nostri associati aderenti al predetto meccanismo di autoregolamentazione di impegnarsi a scegliere, in occasione del conferimento degli incarichi, esclusivamente mediatori creditizi che abbiano aderito al codice deontologico.
Per quanto riguarda il quadro normativo, il credito al consumo, proprio in relazione al suo progressivo sviluppo, ha trovato disciplina in diverse normative nazionali: nel Testo unico bancario, nel codice del consumo e, ultimamente, anche nelle istruzioni di vigilanza della Banca d'Italia in materia di trasparenza di servizi bancari e finanziari. Tutto ciò testimonia l'attenzione con la quale il legislatore cerca di presidiare sempre più la tutela del consumatore nei confronti di un fenomeno che si sta sviluppando.
In tale contesto si inserisce - e, dal nostro punto di vista, rappresenta un asse portante del sistema - il processo di revisione della normativa sul credito al consumo, di cui alla direttiva n. 87/102/CE, avviato dalla Commissione europea nel 2002 e conclusosi con l'approvazione della nuova direttiva 2008/48/CE sul credito ai consumatori.
La direttiva - che è attualmente in fase di recepimento e di cui l'ABI è sostenitrice da anni - ha fondamentalmente armonizzato le principali regole del credito ai consumatori, operando in termini di «completa trasparenza informativa» in tutte le fasi del rapporto, di necessaria verifica del merito di credito del consumatore, di congruità ed estensione della tempistica per esercitare il diritto al recesso - portato a quattordici giorni -, nonché introducendo una formula ad hoc che consente di calcolare l'importo della penale in caso di esercizio del diritto di estinzione anticipata da parte del consumatore.
Vorrei segnalare, in questa sede, alcuni dei punti salienti della direttiva, che il Governo italiano dovrà recepire in base alla delega conferitagli dall'articolo 33 della legge comunitaria 2008. Il Parlamento è stato sicuramente lungimirante. Il citato provvedimento enuncia principi e criteri direttivi specificamente riferiti alle aree di criticità poc'anzi evidenziate, al fine di fornire una risposta significativa all'esigenza del consumatore di effettuare con piena consapevolezza le scelte concernenti la propria sfera finanziaria.
Innanzitutto, le nuove regole saranno applicate ai contratti di credito al consumo non inferiori ai 200 euro e non superiori ai 75.000. La previsione è particolarmente importante: rispetto all'attuale normativa, che fa riferimento ad un importo massimo di soli 30.987 euro, viene ampliato il campo di applicazione della nuova disciplina e delle tutele da essa introdotte.
La direttiva prevede una nuova composizione del tasso annuo effettivo globale, che rappresenta in forma percentuale il costo totale del credito. Il consumatore non soltanto potrà comparare le informazioni che riguardano i tassi annui effettivi


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globali in tutta l'Unione, ma sarà consapevole di tutti i costi, compresi gli interessi, le commissioni, le imposte e tutte le altre spese che dovrà pagare in relazione al contratto di credito di cui il creditore è a conoscenza, escluse le spese notarili. Il costo totale del credito per il consumatore includerà anche i costi relativi ai servizi accessori connessi con il contratto di credito, in particolare i premi assicurativi, se, in aggiunta, la conclusione di un contratto avente ad oggetto un servizio sarà obbligatoria per ottenere il credito, oppure per ottenerlo alle condizioni offerte.
Infine, un altro dato rilevante consiste nel fatto che il consumatore viene messo nella condizione di decidere consapevolmente se concludere o meno il contratto di credito anche attraverso le informazioni che l'intermediario è tenuto a fornirgli in tutte le fasi del rapporto e prima ancora che il contratto sia stato stipulato.
Credo che due esempi siano importanti per cogliere la portata innovativa della previsione della direttiva e la sua incisività nell'orientare le scelte dei consumatori. L'informativa precontrattuale sarà resa mediante un modulo standard recante le «Informazioni europee di base relative al credito al consumatore», comunicazioni a tutto tondo tarate sulla tipologia contrattuale. Troveranno adeguate forme di presidio anche i contratti di credito al consumo conclusi attraverso modalità tecniche innovative (ad esempio, i contratti conclusi utilizzando mezzi di comunicazione a distanza).
Un'ulteriore, importante previsione stabilisce che i mediatori dovranno: indicare l'ampiezza dei loro poteri, sia nella pubblicità sia nei documenti destinati ai consumatori; informare il consumatore del compenso da versare per il servizio di mediazione; comunicare al creditore il compenso che il consumatore deve versare all'intermediario del credito per i servizi di sua competenza.
Anche il legislatore italiano si sta muovendo nel solco delle previsioni della direttiva che operano nel senso di una maggiore «responsabilizzazione» dei mediatori creditizi e degli agenti in attività finanziaria. Infatti, la disposizione che conferisce al Governo la delega per l'attuazione della direttiva prevede l'auspicato riordino della disciplina dei mediatori e degli agenti, al fine di assicurare trasparenza e professionalità.
In tale contesto, ci sentiamo di rinnovare l'auspicio che sia introdotto l'obbligo di dare separata evidenza, nell'ambito delle informazioni relative al tasso annuo effettivo globale, della quota che va a remunerare il finanziamento e di quella che va a remunerare il servizio di collocamento.
Nelle more del recepimento della direttiva un progresso è stato compiuto con le Disposizioni in materia di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari, emanate dalla Banca d'Italia il 29 luglio 2009 ed entrate in vigore il 25 settembre 2009, che non ritengo opportuno illustrare in questa sede (ove fosse ritenuto necessario, potrei darne conto successivamente).
Un ulteriore elemento di tutela è contenuto nella disciplina recata dal codice del consumo in materia di pratiche commerciali scorrette poste in essere dai professionisti (è questa la terminologia del codice), la quale abbraccia complessivamente i comportamenti di tali soggetti che si manifestano prima, durante e dopo un'operazione commerciale relativa all'offerta di un prodotto o alla fornitura di un servizio. In questo caso, la competenza a vigilare sul rispetto della normativa è affidata all'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Credo risulti evidente l'efficacia mostrata dall'applicazione di tale normativa, che ha consentito all'Autorità di sanzionare i comportamenti scorretti di taluni professionisti nei confronti dei consumatori. Peraltro, la maggior parte dei comportamenti sanzionati non potranno essere reiterati nel nuovo assetto legislativo, all'indomani del recepimento della direttiva sul credito ai consumatori, dal momento che questa, fortunatamente, non lascia spazio a zone grigie che si prestino a comportamenti poco trasparenti.


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Mi soffermerei, ora, su un ultimo problema strettamente connesso con il tema del credito al consumo: le frodi attraverso il cosiddetto furto di identità, perpetrate a danno dell'industria bancaria nell'esercizio del credito al dettaglio. Intendo riferirmi alla indebita appropriazione dei dati personali di un soggetto (dati anagrafici, codice fiscale, dati previdenziali) da parte di un altro soggetto, che li utilizza al fine di ottenere un finanziamento a proprio nome. Si tratta di un fenomeno che ha un impatto non solo sull'industria bancaria, ma anche sui consumatori, i quali non subiscono soltanto ripercussioni di natura psicologica, per essere stati fraudolentemente derubati della propria identità, ma anche danni economici ingenti, riconducibili a due categorie. L'utilizzo fraudolento di dati personali, infatti, può comportare, per la vittima del furto di identità, l'impossibilità di accedere al credito, per effetto della segnalazione come cattivo pagatore nei sistemi di informazione creditizia, nonché oneri significativi in termini economici e di tempo per ottenere l'accertamento della frode e il ripristino della propria posizione.
Dispongo di un dato che non è riferito all'Italia, ma che comunque è significativo: nel Regno Unito, la Credit industry fraud avoidance system ha calcolato che un individuo vittima di un furto di identità impiega mediamente 400 ore per difendersi.
Per far fronte a questo problema è all'esame del Parlamento il provvedimento recante «Disposizioni di contrasto al furto d'identità e in materia di prevenzione delle frodi nel settore del credito al consumo, dei pagamenti dilazionati o differiti e nel settore assicurativo», che è stato approvato in un testo unificato dal Senato della Repubblica il 16 settembre scorso. Al momento, codesta Commissione non ha ancora iniziato l'esame in sede referente della proposta di legge n. 2699, che rappresenta un importante pilastro del sistema di tutele del credito al consumo. Noi riteniamo che una rapida approvazione del provvedimento sia importante per rafforzare le tutele dei consumatori.
Signor presidente, onorevoli deputati, vi ringrazio per l'attenzione. Ovviamente, rimango a disposizione per tutti gli approfondimenti che riteniate utili. In proposito, troverete dati più dettagliati nel fascicolo che ho consegnato.

PRESIDENTE. Ringraziamo il dottor Sabatini per il buon esordio.
Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

GIAMPAOLO FOGLIARDI. Più che porre domande, desidero svolgere alcune riflessioni stimolate dal contenuto della relazione che abbiamo ascoltato.
Parto dal primo aspetto sul quale il nostro ospite si è soffermato: il tasso di indebitamento delle famiglie italiane, che è più basso rispetto a quello delle famiglie degli altri Paesi europei. Mentre ascoltavo, mi è sovvenuta la favola di Fedro, nella quale la volpe diceva che l'uva non le piaceva soltanto perché non arrivava a mangiarla
Ovviamente, non addebito alcunché all'ABI, che nulla a che fare con l'evidenziato fenomeno. Tuttavia, credo che il dato ci inviti a riflettere. Non so, infatti, se il basso tasso di indebitamento sia dovuto alla prudenza, alla buona amministrazione familiare, come mi pare induca a ritenere l'indagine macroeconomica svolta, ovvero ad una connaturata situazione di totale incapacità. Tale interrogativo è suscitato dagli ulteriori dati che emergono dalla relazione. Mi colpisce, ad esempio, il fatto che l'Italia sia, tra i Paesi europei, quello con la più alta percentuale di credito non finalizzato. Il dato mi dà la chiara sensazione che il ricorso al credito risponda all'esigenza di soddisfare tutte le necessità quotidiane e mensili cui una famiglia deve far fronte, che non possono essere catalogate come acquisti di beni durevoli. Su questo punto, quindi, vorrei chiedere ulteriori e più specifici ragguagli. Mi riferisco ai dati riportati nel grafico a pagina 10 del documento che ci è stato consegnato.
Ciò che più di tutto mi lascia esterrefatto è la figura dei mediatori creditizi, sui


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quali esprimo, in maniera drastica, un'opinione assolutamente negativa. Vedo che l'ABI formula una serie di consigli e di proposte per regolamentarne meglio l'attività; io sarei, invece, per la loro soppressione, in quanto non so davvero quanto possano assistere le famiglie anziché diventare un costo aggiuntivo, per di più proprio sulle miserie della povera gente. La provvigione per la mediazione viene pagata dall'istituto di credito o dall'intermediario finanziario, che si rivale, però, sugli utilizzatori. Spesso viene applicata, quindi, una doppia commissione.
Un altro aspetto che lascia perplessi è che, nonostante il minore ricorso al credito al consumo nel Meridione, proprio in tale area del Paese il numero di mediatori creditizi è triplo rispetto al Settentrione. Anche questo deve farci riflettere molto sulla figura dei mediatori.
Quanto al dato inerente alle frodi per furto d'identità, devo dire che non lo conoscevo. Rilevo con sconcerto, purtroppo, come gli emuli di Arsenio Lupin non si estinguano mai.
Tuttavia, mi stanno a cuore le difficoltà delle famiglie, che oggi indiscutibilmente esistono, e tutte le altre situazioni esposte.
Ci sarebbero anche domande da porre, ma ho preferito offrire, sotto forma di riflessione, un contributo che spero possa rivelarsi utile quando saremo chiamati a compiere, da qui a poco, le nostre scelte legislative.

MARCO PUGLIESE. Ringrazio il direttore generale dell'ABI per l'esaustiva relazione, con la quale ci ha offerto informazioni parzialmente divergenti rispetto a quelle che ci erano state fornite finora.
Più che vere e proprie domande ho da sottoporre al dottor Sabatini una riflessione e alcune curiosità.
È vero che l'Italia è l'ultimo Paese in Europa per quanto riguarda il ricorso al credito al consumo; tuttavia, siamo primi se si guarda alla fonte di ricchezza costituita dal risparmio. L'ABI ci ha informato, appunto, sui dati del risparmio delle famiglie e delle imprese italiane.
È alquanto preoccupante la lettura delle statistiche relative al numero di mediatori creditizi, che si aggira intorno alle 103.000 unità e raggiunge una percentuale molto alta nel Meridione.
La prima curiosità è la seguente: considerata la facilità con la quale in Italia si può diventare intermediario finanziario iscritto all'albo, vorrei sapere come siamo collocati, in ambito europeo, avendo riguardo al numero di società di mediazione creditizia.
La seconda attiene a un tema ancora più allarmante. Ci si chiede se sia ipotizzabile un connubio tra criminalità organizzata e società di credito al consumo, presenti con una percentuale abbastanza alta in regioni come la Campania, la Sicilia e la Calabria, vale a dire proprio dove risulta essere minore il numero dei consumatori che si rivolgono a tale forma di finanziamento.
Si tratta di curiosità che nascono dalla eccessiva facilità di iscrizione all'albo dei mediatori creditizi.

COSIMO VENTUCCI. Signor presidente, anch'io ringrazio il direttore per la sua esposizione molto chiara. D'altra parte, sarebbe stato assurdo attendersi un'esposizione meno chiara da parte di chi si occupa in maniera professionale della materia oggetto della nostra indagine. Ringrazio anche i collaboratori del dottor Sabatini ai quali è dovuto il documento depositato, che pure ho trovato abbastanza chiaro. Come diceva il collega Fogliardi, i dati in esso contenuti saranno oggetto di riflessione.
Mi pare che le domande vertano maggiormente sugli intermediari.
Per quanto riguarda il credito non finalizzato, il grafico 7 mostra che esso è pari al 36 per cento. Si tratta di una percentuale sulla quale è necessario riflettere.
Un'ulteriore riflessione è imposta anche dai dati contenuti nella tabella 1, che lei stesso ha sottolineato, dottor Sabatini: Lazio, Campania e Sicilia, tutte regioni del Centro-sud, sono le tre aree del Paese in cui è maggiore la presenza dei mediatori


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creditizi. Probabilmente, tale prevalenza può essere dovuta a un maggiore ricorso alla cessione del quinto dello stipendio da parte dei dipendenti pubblici, molti dei quali risiedono proprio in quelle regioni. Tuttavia, ritengo che il dato andrebbe interpretato non solo dal punto di vista sociologico, ma anche avendo riguardo ai suoi riflessi sostanziali.
Mi sono personalmente interessato al problema dei mediatori, presentando una proposta di legge. Ho anche cercato di coinvolgere l'ABI, allo scopo di strutturare meglio quella che, a mio avviso, rappresenta la base essenziale per l'esercizio della professione, vale a dire la formazione. È assolutamente inaccettabile che possano lavorare in un comparto così delicato persone che non vantano conoscenze e studi adeguati. Uno degli articoli della mia proposta prevede che sia proprio l'ABI l'organismo deputato all'organizzazione dei corsi di formazione.
Adesso, però, vorrei essere un po' cattivo. È vero che le banche, per evitare ogni responsabilità, creano società collegate il cui compito è quello di immettere sul mercato prodotti tossici - li chiamo con il nome che meglio rende l'idea -, che loro non possono vendere direttamente? Inoltre, non sono anche gli intermediari finanziari coloro che inquinano il giusto approccio al credito o al finanziamento? Credo, infatti, che possa avere la necessità di ricorrere ad un finanziamento non finalizzato anche una famiglia che deve affrontare una spesa improvvisa di minima entità o nella quale c'è un figlio che si deve sposare, oppure un pensionato che vuole incrementare la propria pensione investendo i propri risparmi.

SILVANA ANDREINA COMAROLI. Nel ringraziare il dottor Sabatini per la relazione, vorrei collegarmi all'ultima domanda. È vero che, spesso, sono i mediatori creditizi a proporre il finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio. In molti casi, però, le stesse banche pubblicizzano nei propri locali tale strumento, che può arrivare a costare all'utente, come abbiamo avuto modo di apprendere in precedenti audizioni, addirittura il doppio di quanto richiesto.
Un problema analogo si presenta anche per le carte di credito revolving. A tale riguardo, i rappresentanti dell'Assocred e dell'Assomea ci hanno riferito che la loro utilizzazione può far lievitare i costi fino al doppio. Ad esempio, una lavatrice può costare il doppio del prezzo di listino al termine di un piano di rimborso rateale di durata pluriennale.
Ebbene, dottor Sabatini, le chiedo cosa si possa fare per evitare simili fenomeni. Spesso, infatti, le informazioni fornite agli utenti non sono sufficientemente chiare. È vero che nel TAEG sono compresi vari costi e che, se non ho capito male, ora si vuole anche rivedere il sistema di determinazione di tale tasso; tuttavia, non vorrei che continuassero ad essere escluse le spese di assicurazione che l'utente deve sottoscrivere, i diritti di incasso, le spese generali e via elencando.
Il sistema attuale comporta che l'utente non abbia ben chiaro quanto spende per i servizi accessori. Ciò si verifica anche nel caso di rapporti con le banche: al cliente viene consegnato un malloppo di documenti pieni di spiegazioni e di informazioni; la maggior parte della clientela, però, non legge tutti i documenti contrattuali e si fida delle delucidazioni fornite dal personale della banca.
Mi sembra, quindi, che non vi sia grande comunicazione. Un rimedio potrebbe essere quello di dare, anziché un elevato numero di pagine informative - che certamente tutelano le banche, ma possono creare confusione nell'utente -, un solo foglio contenente pochi dati: quelli necessari per rendere chiaro a cosa va incontro chi utilizza gli strumenti di credito di cui stiamo discorrendo.

ALESSANDRO PAGANO. Essendo arrivato in ritardo, non intendo svolgere un intervento vero e proprio.
Ho una curiosità relativa ai costi che il sistema deve sopportare a causa dei furti di identità. Le società di informazione creditizia che abbiamo ascoltato in precedenti audizioni hanno fornito cifre molto


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diverse da quelle indicate oggi (per l'anno in corso, le frodi comporterebbero un costo di circa 200 milioni di euro). Noi siamo particolarmente sensibili all'argomento. Personalmente, in almeno tre o quattro occasioni ho presentato proposte volte ad accrescere l'attenzione verso tale fenomeno e a dare ad esso una soluzione. La mia, quindi, non è una critica, ma un'osservazione ispirata da intento costruttivo.
In secondo luogo, vorrei sottolineare che il disegno di legge recentemente approvato dal Senato è, a parere di molti di noi, un po' troppo macchinoso. Sebbene il testo sia stato probabilmente ispirato anche dall'ABI - e ciò è molto positivo: ci fa sempre piacere che organismi tecnici offrano il loro contributo -, riteniamo che debba essere snellito, anche per fare in modo che venga colto il cuore del problema. L'attuale articolato contempla materie la cui disciplina può benissimo costituire oggetto di normazione secondaria.

FRANCO CECCUZZI. Innanzitutto, vorrei ringraziare per il contenuto della relazione il direttore Sabatini, al quale auguro buon lavoro e una buona collaborazione con questa Commissione.
Desidero porre una domanda relativa ai prestiti personali. Mi pare di capire, soprattutto osservando l'atteggiamento dei grandi istituti, che tale segmento sia in dismissione, in quanto le banche stanno cercando di spostare il prestito personale sempre di più sul credito al consumo. Tra gli impieghi delle banche alle famiglie consumatrici lo strumento va pian piano scomparendo. Nel menzionare l'acquisto della casa, l'acquisto dei mobili o l'acquisto di elettrodomestici, ha incluso all'interno del credito al consumo, dottor Sabatini, anche la categoria dei prestiti personali. Risulta ormai sempre più chiaro, tuttavia, come il prestito personale allo sportello bancario sia caduto in disuso o, almeno, come si cerchi di indirizzare i clienti verso un canale distributivo diverso.
Tale comportamento mi pare legittimo sul piano commerciale, ma assolutamente censurabile sotto il profilo della tutela dei diritti dei consumatori e dei clienti. Infatti, se per contrarre un piccolo prestito di 10.000 euro si rimane nell'alveo del retail bancario, si continua ad avere rapporti con la banca e ad intrattenere rapporti personali. Ciò permette di evitare il circuito fatto di call center, società di recupero crediti e quant'altro, meccanismi che, anche per piccole cifre, possono compromettere in maniera irrecuperabile, come abbiamo appreso dalla CRIF, la reputazione creditizia del consumatore che salta il pagamento di una rata. Questo è un problema del quale ci dovremo occupare, a tutela dei consumatori.
Fa piacere, comunque, sapere che esiste un 10 per cento di prestiti personali erogati dalle banche. Dal punto di vista dei prodotti bancari, noi vorremmo salvaguardare tale segmento non come un residuato bellico, ma come uno spazio di libera contrattazione tra le banche e i clienti.
Ci piacerebbe sapere, inoltre - forse, dottor Sabatini, potrebbe fornirci qualche dato integrativo -, se i prestiti personali siano concentrati nelle piccole banche di credito cooperativo e nelle banche popolari o se, invece, questo strumento esista ancora anche nei grandi gruppi che hanno puntato a uniformare il comportamento dei loro canali distributivi.
Infine, vorrei esprimere condivisione per alcune delle proposte formulate dall'ABI per la regolamentazione dell'attività dei mediatori creditizi. Tali proposte, a mio avviso, sono da accogliere e da approfondire. Il numero di mediatori creditizi è molto elevato, e non possiamo far finta che il problema non esista o auspicare che si risolva da solo. Inoltre, desta preoccupazione il fatto che una quota consistente di mercato (il 50 per cento circa) sia gestita da operatori che necessiterebbero di una maggiore formazione. Queste osservazioni sono senz'altro da accogliere.

PRESIDENTE. Mi permetto anch'io di rivolgere qualche domanda al nostro ospite.
Dottor Sabatini, lei sa che questo è un momento in cui la parola disclosure sta


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diventando centrale nell'ambito del credito e, soprattutto, ha assunto una notevole importanza sotto il profilo sociologico.
In questo ciclo di audizioni abbiamo ascoltato Assofin, le associazioni dei mediatori creditizi e altri soggetti ancora. Quello che ho potuto rilevare è che, pur con accenti diversi, tutti sottolineano la centralità del proprio ruolo. In particolare, i mediatori creditizi affermano che il loro ruolo è diventato centrale in considerazione del fatto che stiamo assistendo progressivamente - mi aggancio a quanto detto dall'onorevole Ceccuzzi - a una sorta di outsourcing avente ad oggetto la gestione delle pratiche di finanziamento. In sostanza, i mediatori creditizi hanno dichiarato che la gestione diretta di una pratica costa alla banca qualche euro al minuto, mentre il costo di gestione della stessa pratica all'esterno è di qualche decina di centesimi.
L'onorevole Ceccuzzi ha osservato poc'anzi che le banche tendono ad affidare all'esterno la gestione del credito di piccola entità, cioè del credito personale. Noi stiamo approntando un atto di indirizzo concernente anche i rapporti tra i direttori di banca e le finanziarie. Si tratta di un tema francamente molto spiacevole: infatti, taluni direttori di banca tendono ad indirizzare i clienti verso finanziarie «amiche» o «vicine», nelle quali, magari, hanno anche interessi personali; anzi, non solo li indirizzano, ma addirittura avvertono la finanziaria quando il cliente si trova in una situazione di difficoltà e, quindi, è più «aggredibile». Questo è un atteggiamento che si constata abbastanza spesso, soprattutto nelle aree più difficili del Paese.
A tale proposito, si rivela molto interessante il documento che ci è stato consegnato. Tuttavia, sarebbe interessante verificare il rapporto esistente tra il credito al consumo e il numero degli intermediari per ciascuna regione, in maniera da avere una chiara fotografia degli importi erogati e del numero dei soggetti che si sono occupati delle erogazioni. Ci farebbe molto comodo disporre di dati più dettagliati.
Nel corso delle precedenti audizioni abbiamo anche notato la tendenza dei nostri ospiti a glissare ogni volta che tentavamo di approfondire il tema dei costi: nessuno è stato in grado di illustrare in concreto un contratto-tipo di finanziamento, spiegando analiticamente gli oneri allo stesso connessi, e di indicare in quali modi sia possibile ridurre i costi complessivi. Credo, invece, che ciò sia assolutamente necessario.
Naturalmente, i mediatori creditizi affermano di essere assolutamente necessari per mettere i consumatori in contatto con le banche e per generare competizione nel sistema dell'offerta. Inoltre, essi sostengono che la competizione tra le banche aumenta anche per effetto del loro orientamento a sostenere il cliente piuttosto che gli istituti di credito. Quest'ultimo argomento potrebbe anche essere meritevole di considerazione se le stesse banche non avessero costituito società finanziarie che operano nel settore del credito al consumo servendosi di proprie strutture distributive.
Per quanto riguarda il numero dei mediatori creditizi, ci è stato detto che sono più di 100.000. Poiché gran parte del credito al consumo è erogato nel settore della compravendita di automobili, il numero dei soggetti che si occupano di finanziamenti cresce sensibilmente se si tiene conto anche dei broker automobilistici, i quali, per prassi ormai consolidata, anziché offrire lo sconto sull'acquisto in contanti, cercano di invogliare il cliente a richiedere un finanziamento, sul quale, naturalmente, percepiscono una provvigione. Questo è il motivo per cui anche tali soggetti vanno sommati ai mediatori creditizi.
Un tema di un certo interesse, sul quale mi piacerebbe ascoltare una sua valutazione, dottor Sabatini, è quello del tasso di usura. Com'è noto, alle banche non è concesso andare oltre certi limiti. Al contrario, tali limiti sono superabili dalle finanziarie, i cui tassi, comprendendo le spese e le commissioni, arrivano a percentuali che vanno ben oltre la soglia dell'usura; in alcuni casi, infatti, secondo


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quanto riferitoci da alcuni tecnici venuti a ragguagliarci sullo stato dell'arte, si arriva addirittura a tassi vicini al 26 per cento. Ebbene, alcuni sono del parere che l'eliminazione del tasso di usura imposto alle banche potrebbe consentire a queste ultime di acquisire quella quota di mercato che presenta un maggior rischio di credito: le banche potrebbero avere interesse ad accompagnare i clienti più «deboli» - diciamo così - in un percorso finalizzato al recupero di un più elevato grado di affidabilità.
In un momento in cui le banche si disimpegnano dai prestiti personali e dalla gestione dei piccoli crediti, nulla viene detto per quanto riguarda il microcredito. Anche su ciò mi interesserebbe acquisire il suo parere, dottor Sabatini. Le banche sono in condizione di affrontare il tema delle categorie più sfortunate, oppure bisogna farlo gestire da terzi?
Chi l'ha preceduta in questo ciclo di audizioni, dottor Sabatini, si è sforzato di dimostrare l'apertura delle banche nei confronti della clientela. Io ho sempre nutrito grossi dubbi al riguardo. Anche in relazione al «Piano per le famiglie», è evidente come si ponga un problema di fondo, riscontrabile, del resto, anche per quanto concerne la moratoria dei debiti delle imprese. Dai dati in nostro possesso, si evince che pochissimi imprenditori e, presumo, pochissime famiglie potranno accedere a tali procedure.
In particolare, le imprese temono che l'espressa dichiarazione del proprio stato di difficoltà possa produrre, in concreto, effetti opposti a quelli prefigurati dall'avviso comune. Le banche, infatti, anziché aderire, ad esempio, ad una proposta di concordato, sono portate a restringere immediatamente il credito nei confronti dell'impresa che autodenuncia la propria situazione di difficoltà.
Io credo, e su ciò vorrei conoscere il suo parere, dottor Sabatini, che un'iniziativa promozionale da parte delle banche sarebbe molto utile. Essendo stato nel mondo dell'impresa, ho potuto constatare che gli istituti di credito hanno difficoltà a comunicare le opportunità di cui gli imprenditori possono avvalersi. Se le facilitazioni di cui è possibile usufruire (siano esse il concordato, la possibilità di sospendere le rate di un finanziamento e via elencando) fossero pubblicizzate in forma idonea, probabilmente i clienti, appresa dalle stesse banche l'esistenza di una determinata opportunità, non essendo più necessario autodenunciarsi, sarebbero più inclini a chiedere informazioni. Non mi sembra, quindi, che si sia operato in maniera sagace: sono convinto che un'efficace comunicazione potrebbe rivelarsi il vero atout che il sistema bancario e l'ABI potrebbero giocare per aiutare il Paese in questo momento di crisi.
Gradirei avere un suo parere, dottor Sabatini, anche in ordine all'attività della CRIF. Abbiamo verificato che le procedure gestite dalla CRIF sono altamente lesive degli interessi dei consumatori. I rappresentanti della società sostengono di svolgere semplicemente un servizio, consistente nel mettere a disposizione dei partecipanti al sistema di informazione creditizia i dati relativi ai mancati pagamenti. Tale affermazione fa il paio con una tesi che ho avuto modo di ascoltare, nel pieno della crisi, dai rappresentanti di Standard & Poor's: in quanto agenzia di servizi, essa si limiterebbe a fornire valutazioni che possono essere utilizzate oppure no; di conseguenza, non può esserle addebitato alcunché per avere assegnato la tripla «A» alla Lehman Brothers poco prima che questa fallisse. Insomma, la predetta società sostiene di avere fornito un servizio del quale si poteva tenere conto o meno.
Anche la CRIF asserisce di limitarsi ad acquisire l'informazione che un determinato soggetto non ha pagato la rata di un prestito. Peccato che ciò comporti la registrazione dell'insoluto nella banca dati del SIC per periodi assolutamente inaccettabili, con gli immaginabili danni per il consumatore che incorre nell'inadempimento. Per fare un esempio, proprio di recente una persona mi ha segnalato di non avere pagato, per mera dimenticanza, due rate del finanziamento ottenuto per l'acquisto di un motorino e di essere finito, quindi, nell'archivio della CRIF. Ebbene,


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nonostante si fosse rivolta, per una quindicina di giorni consecutivi, alla banca che le aveva concesso il prestito - una banca diversa, con la quale intratteneva altri rapporti, e che non rispondeva attraverso un call center -, la persona in questione non è riuscita ad ottenere la cancellazione dell'iscrizione e, di conseguenza, non ha avuto più accesso al credito, che la banca sostiene di non poter erogare a causa della segnalazione ricevuta dalla CRIF.
Secondo lei, dottor Sabatini, la CRIF ha il dovere, quando segnala un insoluto, di specificare di cosa si tratti e di offrire una valutazione del merito di credito dell'inadempiente, oppure deve limitarsi alla mera segnalazione, con la conseguenza che la persona a nome della quale è registrato il mancato pagamento diventa inaffidabile per il sistema bancario e finanziario?
Do la parola al nostro ospite per la replica.

GIOVANNI SABATINI, Direttore generale dell'ABI. Grazie, signor presidente. Spero di riuscire a fornire utili elementi di valutazione in relazione alle numerose e articolate domande che mi sono state poste.
Mi sembra che la prima domanda riguardasse le forme tecniche di credito al consumo e, più specificatamente, i prestiti non finalizzati. A tale proposito, mi si chiedeva se le banche abbiano convenienza a spingere verso certe forme piuttosto che verso altre.
Nel primo intervento ho evidenziato come una quota rilevante dello stock complessivo del credito al consumo sia costituita dai prestiti non finalizzati. Mi è stato chiesto a cosa sia dovuto tale fenomeno.
Il grafico a pagina 12 illustra la ripartizione dei flussi di credito per canale distributivo. In relazione alle modalità con le quali il credito al consumo viene erogato, possiamo constatare che, distinguendo per canali distributivi, quello che abbiamo denominato «diretto sportello» è in crescita. Il rapporto diretto tra consumatore e banca ha sicuramente un costo inferiore. Oltre a spiegare i dati che citavo in precedenza, il minore costo - dovuto all'assenza della commissione che remunera l'attività di collocamento - chiarisce anche per quale motivo le famiglie siano più propense a rivolgersi direttamente allo sportello.
Peraltro, è interesse della banca avere un rapporto più stabile con il cliente, in quanto ciò consente di ridurre gli oneri connessi all'analisi del merito di credito. Il rapporto più stabile che si crea mediante l'attività di sportello ha, quindi, una valore positivo, come mi pare sia stato riconosciuto anche in alcuni interventi.
Dal nostro punto di vista, riteniamo che una delle tendenze del sistema sia quella di incentivare la clientela a utilizzare il canale diretto, quindi lo sportello, anche per le forme di credito al consumo. Ciò consente di offrire i prodotti a un costo più basso, nonché, come ho già detto, di ridurre gli oneri relativi all'analisi del merito di credito, grazie al fatto che la banca riesce a conoscere la storia creditizia del cliente.
Questo per quanto riguarda il tema delle forme di finanziamento. Vogliano scusarmi se non procederò esattamente secondo l'ordine delle domande; ciò nonostante, spero di coprire ugualmente tutti gli argomenti di interesse della Commissione, anche ricorrendo a qualche utile collegamento logico.
Per quanto riguarda il tema del costo, sollevato dal presidente, possiamo elencarne le componenti. Sul costo complessivo dell'operazione incidono gli oneri fiscali, le commissioni della banca che remunerano l'attività istruttoria, le commissioni del dealer e gli interessi annui. In relazione ad alcune tipologie di operazioni, si può aggiungere una quinta componente di costo, rappresentata dagli oneri collegati alla stipula di un contratto assicurativo,.
Purtroppo, l'assenza di obblighi che consentano di dare evidenza a ciascuna delle voci di costo che ho indicato ci rende difficile fornire un'informazione sui valori medi delle singole componenti.

PRESIDENTE. Mi scusi se la interrompo, dottor Sabatini, ma è veramente


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imbarazzante trovare pubblicate sui giornali tabelle secondo le quali una rata di 100 euro diventa di 150 a causa dei costi. Ci chiediamo quindi quale valore dobbiamo attribuire a simili inchieste giornalistiche, anche perché quelle che riguardano i costi medi di un conto corrente vengono puntualmente smentite dall'ABI.
È dunque necessario un momento di chiarezza: qualcuno ci dovrebbe indicare quanto incidono mediamente i costi su un finanziamento, ad esempio, di 10.000 euro.
Sui mercati dovrebbe esserci concorrenza, ma sarebbe comunque opportuno avere un prospetto che ci permetta di sapere quanto incida ogni voce e, eventualmente, di intervenire in via legislativa anche prima che sia data attuazione alla direttiva europea.

GIOVANNI SABATINI, Direttore generale dell'ABI. La sua osservazione è certamente corretta, signor presidente. Riterrei opportuno, tuttavia, distinguere per tipologia di prodotto.
Per i conti correnti riteniamo di essere in grado di dare la massima informazione su tutte le componenti di costo. Il sito Pattichiari.it ha un motore di ricerca che rappresenta un prodotto all'avanguardia in Europa: esso consente al consumatore di fare una stima preventiva in funzione delle sue esigenze e del suo profilo di utente, comparando circa 700 prodotti, e di compiere una scelta più meditata.
Riguardo al credito al consumo, spaccando un dato riferito in maniera aggregata otteniamo soltanto rilevazioni parziali. Siamo in grado di assumere singole informazioni, che però, per onestà intellettuale, non potremmo trasformare in un dato medio di sistema. Una norma che consentisse di dare correttamente una descrizione delle singole componenti di costo ci permetterebbe di produrre dati attendibili, ma soprattutto di creare motori di ricerca che potrebbero essere utilizzati dai consumatori per comparare i diversi prodotti e per orientare meglio le proprie scelte.
Hanno suscitato un certo interesse il numero e la ripartizione territoriale dei mediatori e degli agenti in attività finanziaria. Provo a rispondere, per ora, in maniera approssimativa, riservandomi di far avere alla Commissione dati più dettagliati relativi a Lazio, Campania e Lombardia.
Nel Lazio, la percentuale di mediatori risulta essere pari a circa il 16 per cento del totale, mentre la percentuale dello stock di credito al consumo è dell'11 per cento. In Campania, abbiamo una percentuale di mediatori pari al 15,45 per cento e una percentuale di stock di credito al consumo pari al 9,7 per cento. In Lombardia, abbiamo una percentuale di mediatori dell'11 per cento e una percentuale di credito al consumo pari a quasi il 16 per cento. Sembrerebbe esistere, dunque, una relazione inversa tra numero di mediatori e stock di credito al consumo, tra l'altro con una prevalenza del numero di mediatori nelle regioni meridionali. In assenza di requisiti di accesso rigorosi e di efficaci barriere all'ingresso, nelle aree dove più forte è la disoccupazione c'è, ovviamente, un maggiore incentivo a intraprendere l'attività di mediatore creditizio. A tale riguardo, mi sia consentito richiamare osservazioni già formulate da altri, sulle quali concordiamo assolutamente: una più rigorosa disciplina della predetta attività, in termini di requisiti di ingresso, di formazione e di esami professionali, è fondamentale soprattutto per tracciare una linea di rigore in un'area grigia all'interno della quale potrebbero svilupparsi fenomeni di devianza finanziaria pericolosi per l'intero sistema. Quest'ultimo è un ulteriore elemento che depone a favore di un maggiore rigore.

PRESIDENTE. Dottor Sabatini, sembra che stia rappresentando un sistema di mutua assistenza fra disoccupati, nel quale alcuni fanno i mediatori e altri si avvalgono della loro opera. Questo, soprattutto in Campania, sarebbe un fenomeno interessante...

GIOVANNI SABATINI, Direttore generale dell'ABI. La formazione è fondamentale.


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Per ridurre il costo delle operazioni, sicuramente si può aumentare la trasparenza delle informazioni e la professionalità degli operatori del settore, prevedendo una maggiore selezione e una maggiore vigilanza.
Il tema non è stato toccato; tuttavia, facendo riferimento alle mie precedenti esperienze, mi permetto di rilevare come la vigilanza sulle persone fisiche sia estremamente complessa. L'ho constatato quando mi sono occupato della vigilanza sui promotori finanziari, ma credo che la complessità sia anche maggiore nel caso dei mediatori creditizi. Invero, mentre il promotore è legato alla banca rete da un rapporto di monomandato, con la conseguenza che è più facile per la mandante esercitare un controllo di primo livello sulla sua attività - vi è, inoltre, il controllo della Consob -, il mediatore non ha per definizione un legame unico con l'istituzione finanziaria per conto della quale colloca i prodotti, e ciò rende molto più debole il modello di controllo.
Era stata ventilata l'ipotesi, che forse troverà attuazione nel decreto legislativo, di prevedere un organismo di controllo e autodisciplina analogo a quello operante per i consulenti indipendenti, vigilato dalla Banca d'Italia. Una riflessione è opportuna, perché insieme alle regole è necessario un apparato che le faccia rispettare.
La trasparenza e la maggiore correttezza nei comportamenti porteranno a una maggiore concorrenza e, quindi, anche alla capacità del consumatore di accedere ai prodotti del credito al consumo senza il necessario ricorso ai mediatori, scavalcando uno degli anelli nella catena distributiva.
Il disegno di legge recante disposizioni di contrasto al furto d'identità può apparire complesso, ma rappresenta un elemento importante per ridurre il costo delle operazioni. La possibilità di accedere a un database centralizzato, che consenta la verifica dell'identità di chi richiede un finanziamento, fa diminuire il rischio e contribuisce a ridurre il costo per l'istruttoria concernente il merito di credito. Anche dal punto di vista dei costi dell'operazione, quindi, consideriamo utile la menzionata iniziativa legislativa.
Le ultime considerazioni, signor presidente, mi consentono di ricollegarmi alla sua osservazione sulla CRIF, che nella nostra visione rappresenta una struttura necessaria per ridurre l'onerosità del processo di valutazione del merito di credito. Riteniamo che nella filiera del collocamento dei prodotti del credito al consumo tale struttura svolga una funzione utile anche per l'utente finale.
Non commento le procedure interne adottate dalla CRIF e la capacità della società di correggere errori o segnalazioni incongrue, né il processo che, a seguito di un furto d'identità, può causare segnalazioni a danno di un consumatore ignaro e sicuramente meritevole di credito. Posso dire, tuttavia, che terrei distinti l'aspetto procedurale e quello dell'utilità di strutture che contribuiscono a semplificare e a facilitare l'istruttoria relativa al merito di credito.
La CRIF è una struttura comunque importante: è analoga, mutatis mutandis, alla Centrale dei bilanci per quanto riguarda il credito alle imprese. Questi depositari di informazioni svolgono una funzione che, a livello complessivo, riduce i costi dell'erogazione del credito da parte del sistema finanziario. Certo, alcuni aspetti procedurali possono meritare una particolare attenzione, nel senso che eventuali segnalazioni erronee, anche dovute a furti d'identità, dovrebbero essere corrette in maniera più rapida e con minori oneri per i consumatori.
Altro tema importante, e per certi versi complesso, è quello relativo alla quantità e al grado di comprensibilità dell'informazione. Da un lato, dobbiamo constatare un fatto molto positivo: la cultura della disclosure e della trasparenza delle informazioni, nata e sviluppatasi soprattutto nell'area della prestazione dei servizi di investimento, viene oggi trasferita a un altro settore importante, che è quello dell'erogazione del credito. In questo senso, un passo fondamentale è stato compiuto con le istruzioni emanate dalla


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Banca d'Italia nell'esercizio della funzione di vigilanza, improntate anche a criteri di proporzionalità e di semplificazione dell'informazione fornita.
Per brevità, non ho letto alcune pagine del documento consegnato alla Commissione che sono riferite alle nuove norme di trasparenza. La Banca d'Italia ha effettivamente richiesto due elementi: che la documentazione di trasparenza sia formulata in modo che le informazioni da trasmettere alla clientela siano accessibili e il più possibile comprensibili, anche mediante l'adozione di accorgimenti grafici che ne agevolino la lettura; che l'intermediario calibri la semplicità sintattica e la chiarezza lessicale della documentazione informativa anche «sul livello di alfabetizzazione della clientela a cui il prodotto è destinato».
La Banca d'Italia chiede che, nell'ambito della prestazione dei propri servizi, l'intermediario adotti le misure di carattere organizzativo in grado di assicurare che siano rispettate le prescrizioni in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali e che il collocamento del prodotto al cliente avvenga quando questi abbia avuto la possibilità di effettuare un'adeguata valutazione di ciò che si appresta ad acquistare. Crediamo che le nuove istruzioni diffuse dalla Banca d'Italia vadano nella direzione di un'informativa più chiara e più semplice.
Anche PattiChiari può giocare un ruolo importante, nel contesto di una logica di semplificazione, sotto il profilo della migliore informazione alla clientela.
Al livello di complessità e di dettaglio raggiunto dalla disciplina comunitaria (e da quella nazionale di attuazione) si affianca lo sforzo dell'industria bancaria, la quale sta rinnovando i propri modelli di comportamento e si sta impegnando a seguire, anche secondo una logica di semplificazione, pratiche standard che siano compliant nei confronti delle prescrizioni normative. PattiChiari, nella sua rinnovata veste, sta effettuando tale sforzo, promuovendo gli impegni per la qualità.
Per quanto riguarda un altro aspetto dell'informazione, le banche e l'ABI hanno promosso, in collaborazione con il Ministero dell'economia e delle finanze, campagne informative volte a rendere edotte le imprese e le famiglie circa gli strumenti oggi disponibili per alleviare la situazione di crisi. Nonostante si fosse in pieno periodo estivo, a metà agosto era già disponibile, nel nostro sito, una scheda tecnica contenente le risposte alle domande più ricorrenti in relazione alla sospensione delle rate dei mutui. Recentemente, abbiamo reso disponibile presso tutti gli sportelli bancari, in accordo con la Cassa depositi e prestiti, un opuscolo nel quale sono illustrati gli strumenti accessibili alle piccole e medie imprese, che è stato pubblicato anche dal quotidiano Il Sole 24 Ore.

PRESIDENTE. Le chiedo scusa se la interrompo, dottor Sabatini, ma appare complesso informare il contadino lucano attraverso Il Sole 24 Ore o il sito dell'ABI. Sarebbe molto più semplice scrivere una lettera, che in maniera chiara e comprensibile informasse dell'esistenza di alcune opportunità e invitasse chi intendesse fruirne a presentarsi agli sportelli bancari.
Internet è ancora poco diffuso in Italia; il tasso di scolarizzazione è ai livelli europei, ma è decisamente più basso, rispetto ad altri Paesi, se si ha riguardo ai laureati. Di conseguenza, o le campagne informative sono capillari e comprensibili anche al più semplice degli utenti o, altrimenti, mi sembra vano dichiarare di avere predisposto strumenti volti a pubblicizzare le iniziative assunte per fronteggiare le conseguenze della crisi economica.

GIOVANNI SABATINI, Direttore generale dell'ABI. Da questo punto di vista, signor presidente, anche accogliendo il suo positivo spunto critico, cercheremo di coinvolgere nell'attuazione del «Piano per le famiglie» i comuni e la CEI, vale a dire proprio i soggetti che hanno la capacità di diffondere l'informazione tra le famiglie nella maniera più semplice e più capillare.

PRESIDENTE. L'unica comunicazione che personalmente ricevo dalla banca è la


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variazione del tasso di interesse. È curioso che non se ne ricevano altre.

GIOVANNI SABATINI, Direttore generale dell'ABI. Signor presidente, lei guida la discussione.
Per quanto riguarda l'inclusione finanziaria, alla quale si collega anche il tema del microcredito, l'ABI è particolarmente attiva. Noi abbiamo promosso una serie di iniziative volte ad aumentare il livello di cultura e di inclusione finanziaria, rivolgendoci anche agli immigrati regolari.
A tale proposito, credo che un ottimo strumento sia il conto corrente semplice, il cui profilo di utilizzo è stato definito insieme alle associazioni dei consumatori; poiché ha un canone fisso, e quindi un costo certo, il conto corrente semplice può aumentare il livello di inclusione finanziaria di soggetti non ancora integrati nel sistema.
Un altro tema rilevante è quello del costo dei furti di identità. Nella documentazione consegnata ci siamo riferiti al costo totale delle frodi, perché non siamo riusciti a indicare nel dettaglio quanta parte di esso sia specificamente riferibile ai furti di identità. Probabilmente, la discrepanza tra le cifre di 1,6 miliardi e 200 milioni deriva proprio dal fatto che abbiamo guardato al fenomeno delle frodi nel suo complesso, mentre chi opera direttamente nel settore riesce ad avere anche il dettaglio relativo ai furti di identità.

COSIMO VENTUCCI. Lo stiamo torchiando il direttore. Sembra quasi un processo.

GIOVANNI SABATINI, Direttore generale dell'ABI. Se posso testimoniare lo spirito di civil servant che ha contraddistinto parte della mia vita lavorativa, considero assolutamente fondamentale e doveroso fornire alla Commissione ogni elemento di valutazione atto ad agevolare l'inquadramento di un fenomeno così delicato.
Credo di avere risposto più o meno a tutte le domande che sono state poste, ma rimango comunque a disposizione della Commissione.

PRESIDENTE. Per quanto riguarda la tenuta degli albi, in questi anni abbiamo riflettuto sui promotori finanziari, figura sulla quale abbiamo focalizzato la nostra attenzione a partire dalla legge sulla tutela del risparmio.
Di recente, abbiamo svolto anche un ciclo di audizioni sulle problematiche relative alla riscossione delle entrate degli enti locali, nel corso delle quali gli auditi ci hanno spesso informato di fideiussioni rilasciate da fantomatiche società finanziarie. Il mercato delle fideiussioni si sta spostando sempre più sulle società iscritte nell'elenco speciale di cui all'articolo 107 del TUB, le quali forniscono maggiori garanzie. Riguardo a queste ultime, vorremmo sapere, dottor Sabatini, se non ritenga opportuno un controllo più stringente da parte della Banca d'Italia, vista la delicatezza del settore, che riguarda soprattutto gli utenti i quali incontrano maggiori difficoltà nell'ottenere credito.
Sarebbe utile, altresì, conoscere la ripartizione regionale della cessione del quinto dello stipendio, nonché la tipologia dei soggetti attivi in tale ambito, anche per comprendere se esistano aree riservate e se il fruitore finale disponga di informazioni che gli consentano di evitare l'intermediazione e, quindi, di far scendere anche di molto il costo dell'operazione.
Due ulteriori questioni riguardano la carta revolving. Con la nuova direttiva europea relativa ai servizi di pagamento assisteremo all'ingresso nel mercato (del credito al consumo) di soggetti quali le catene di distribuzione, che saranno autorizzati a emettere carte revolving. Vorrei sapere se non consideri opportuno, dottor Sabatini, fare maggiore chiarezza. A mio avviso, il costo della carta revolving, per quanto nascosta dietro una fidelity card, dovrebbe essere palesato ai consumatori. In questa fase, le banche potrebbero svolgere un ruolo a supporto di nuove iniziative.
Un'ultimo problema riguarda il sistema delle carte di credito e, più in generale, la vexata quaestio del costo della circolazione del denaro contante. Recentemente, le banche stanno abbandonando l'ipotesi di


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far pagare una quota per il rilascio delle carte di credito. Sarebbe necessario, però, rivedere anche il funzionamento delle carte ricaricabili. Le commissioni massime vengono stabilite mediante un accordo tra ABI, associazioni degli imprenditori e Banca d'Italia. Mi risulta, invece, che le commissioni da riconoscere alle banche vengano determinate dalla Banca d'Italia all'esito di un confronto tra banche e associazioni degli imprenditori (come Confcommercio). Il fatto che il costo per gli esercizi sia fissato in maniera dirigistica, in un rapporto squilibrato, incide sul prezzo complessivo dei prodotti.
Vorrei sapere, infine, se l'indicatore sintetico di costo sia sufficiente e comprenda anche tutti i costi di filiera.

GIOVANNI SABATINI, Direttore generale dell'ABI. Sì, comprende tutti i costi di filiera. Il problema è che dovrebbe anche fornire lo spaccato.
Il tema della vigilanza sui mediatori creditizi è particolarmente complesso: per le autorità preposte l'esercizio della vigilanza diventa difficile a causa della consistenza numerica della categoria e soprattutto in quanto si tratta di persone fisiche.
Potrebbe rivelarsi debole la soluzione dell'attribuzione della funzione di vigilanza a un organo di categoria, le cui regole di funzionamento dovrebbero essere fissate in maniera molto chiara. Comunque, dovrebbe essere prevista una vigilanza forte della Banca d'Italia, prevalentemente orientata sull'attività del predetto organismo di categoria, ma con la possibilità di intervenire direttamente, anche tramite l'articolazione territoriale. In altre parole, alla difficoltà della vigilanza sulle persone fisiche si potrebbe sopperire mediante l'organizzazione territoriale della Banca d'Italia. Rispetto alle primissime bozze di decreti legislativi circolate in passato, si potrebbe operare un rafforzamento dei presidi territoriali.
La direttiva PSD effettivamente allarga la platea dei soggetti che possono emettere moneta elettronica (quindi, carte revolving). Premesso che gli Imel sono già conosciuti dal nostro ordinamento, gli strumenti per evitare situazioni di criticità rispetto alle carte a rimborso rateale sono, da un lato, la massima trasparenza delle informazioni concernenti le modalità di utilizzo, i costi e le commissioni - in conformità alla regola generale dell'obbligatorietà del dettaglio delle singole componenti di costo - e, dall'altro, la vigilanza sui soggetti, per i quali, ancorché si tratti di soggetti diversi dalle banche, devono essere fissati specifici paletti.
Purtroppo, in fase di elaborazione della direttiva, si determinò uno stallo a causa delle differenti posizioni assunte dai Paesi membri: alcuni ritenevano non necessari determinati requisiti, soprattutto patrimoniali; altri, tra i quali l'Italia, chiedevano una disciplina improntata a criteri di maggiore tutela. Anche in questo caso, le regole debbono riguardare la trasparenza delle informazioni, la correttezza dei comportamenti e la vigilanza sugli intermediari.
Per quanto riguarda il tema della determinazione delle commissioni, se lo consente, signor presidente, chiederei l'ausilio del dottor Roccia.

PRESIDENTE. Prego, dottor Roccia.

MASSIMO ROCCIA, Direttore centrale dell'area retail dell'ABI. In effetti, quello che l'esercente paga alla banca per l'incasso relativo alla transazione regolata dal cliente tramite carta è la merchant fee, determinata su base bilaterale, in concorrenza tra le banche che desiderano acquisire l'esercente medesimo. Quello che, invece, viene determinato su base multilaterale è la interchange fee, una commissione interbancaria che l'istituto gestore del terminale POS installato in un negozio corrisponde all'emittente della carta utilizzata per fare spese in quel punto vendita.
A livello nazionale e internazionale si dibatte se sia più efficiente uno schema multilaterale, nel quale la commissione è determina a livello di industria domestica o di circuito internazionale, o uno bilaterale, nel quale avrebbero luogo singole negoziazioni tra banca e banca. Secondo


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quest'ultimo modello ogni banca dovrebbe negoziare con tutte le altre banche quanto corrispondere per le transazioni effettuate presso i propri POS.
Riteniamo che lo schema attuale sia efficiente. Come lei ha giustamente sottolineato in più occasioni, però, non sempre il cliente capisce che, quando usa una carta di credito, non sta pagando la transazione e, inoltre, che la convenienza del prodotto aumenta in proporzione all'uso. Oggi, però, non abbiamo un problema sostanziale dal punto di vista dello schema utilizzato. La negoziazione sul cliente finale è, comunque, sempre bilaterale.

GIOVANNI SABATINI, Direttore generale dell'ABI. Su questo tema, comunque, l'Autorità antitrust ha garantito un'attenta vigilanza ed ha svolto una diligente istruttoria, riconoscendo la legittimità dell'accordo in deroga sull'interchange fee.

PRESIDENTE. Ringraziamo il direttore generale dell'ABI, riservandoci la possibilità di incontrarlo di nuovo in futuro e ricordandogli di farci avere i dati relativi alla ripartizione per regione della cessione del quinto dello stipendio e alla tipologia di intermediari attivi in tale settore.
Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione prodotta dall'ABI (vedi allegato) e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13,05.

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