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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione X
1.
Mercoledì 1° aprile 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Gibelli Andrea, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SITUAZIONE E SULLE PROSPETTIVE DEL SISTEMA INDUSTRIALE E MANIFATTURIERO ITALIANO IN RELAZIONE ALLA CRISI DELL'ECONOMIA INTERNAZIONALE

Audizione di rappresentanti del distretto industriale di Prato:

Gibelli Andrea, Presidente ... 3 5 6 9 14 18
Bellandi Stefano, Segretario generale della CISL Prato ... 17
Belli Andrea, Presidente nazionale tessili di Confartigianato ... 8
Logli Massimo, Presidente della provincia di Prato ... 6 14
Marini Riccardo, Presidente dell'Unione industriale pratese ... 3 5 15
Melani Massimo, Presidente regionale di Federmoda Cna ... 17
Pezzotta Savino (UdC) ... 9
Raisi Enzo (PdL) ... 5 11
Vico Ludovico (PD) ... 10
Vignali Raffaello (PdL) ... 12
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.

COMMISSIONE X
ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 1° aprile 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ANDREA GIBELLI

La seduta comincia alle 14,40.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti del distretto industriale di Prato.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla situazione e sulle prospettive del sistema industriale e manifatturiero italiano in relazione alla crisi dell'economia internazionale, l'audizione di rappresentanti del distretto industriale di Prato.
So che alcuni amministratori locali accompagnano le rappresentanze delle attività produttive del distretto pratese ed è consuetudine, nella nostra Commissione, lasciare la massima libertà riguardo all'organizzazione degli interventi. Preciso soltanto che questa indagine conoscitiva si prefigge lo scopo di far emergere le opinioni e l'orientamento dei soggetti che operano sul campo - cioè degli imprenditori e dei loro rappresentanti - offrendo altresì a questi ultimi la possibilità di fornire un proprio contributo alla Commissione, rispetto alle problematiche in oggetto.
Do la parola al presidente dell'Unione industriale pratese, Riccardo Marini.

RICCARDO MARINI, Presidente dell'Unione industriale pratese. Ringrazio questa Commissione per averci dato la possibilità di essere ascoltati e di portare il contributo del nostro distretto che, per quanti non lo sapessero, è il distretto tessile più grande d'Europa, nonostante le perdite che abbiamo subito, a partire dal 2001 fino ad oggi.
Esso fa parte dei tre principali distretti tessili italiani e annovera, fra tessile e abbigliamento, circa 8 mila imprese. Le persone coinvolte nell'attività lavorativa di questo distretto, direttamente o tramite l'indotto, sono circa 60 mila.
Si tratta di un distretto in cui il settore tessile e abbigliamento è davvero molto importante, radicato ormai da tanti anni e occupa, grosso modo, i due terzi delle forze lavorative della provincia di Prato. Questo distretto, inoltre, si allarga anche ad altre province, quali Firenze e Pistoia, raggiungendo quindi dimensioni veramente estese.
L'attuale momento è abbastanza difficile - non rivelo niente di nuovo nel dirlo - con una situazione grave per ciò che riguarda non solamente l'attività del nostro distretto, ma anche una macroeconomia che non sta funzionando e che ha avuto tutti i problemi di cui ciascuno di noi è a conoscenza.
Fino ad oggi abbiamo attraversato sicuramente tante crisi, superate con difficoltà, però sempre da noi, senza l'aiuto di nessuno. Del resto, a Prato la gente è molto operosa, si è sempre data molto da fare e, in qualche modo, ha sempre cercato


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di superare le crisi «tirandosi su le maniche» e cercando di fare ancor più di quello che già hanno sempre fatto.
Questa volta, da soli sicuramente non ce la facciamo e abbiamo bisogno dell'aiuto del Governo, sia regionale che nazionale.
Abbiamo fatto - penso che ognuno di voi lo sappia - una bellissima manifestazione, sulla quale vorrei che parlasse in maniera più approfondita il presidente della nostra provincia, Massimo Logli. Abbiamo anche istituito un tavolo di distretto, il cui coordinatore è il presidente della provincia. Si tratta di un tavolo che, per la prima volta, ha riunito in maniera trasversale tutte le forze che sono parte integrante e attiva del distretto: gli imprenditori (che qui rappresento), le categorie degli artigiani, le sigle sindacali, le istituzioni.
La nostra non è stata una manifestazione di protesta, giacché non protestiamo contro nessuno, bensì di sensibilizzazione sull'attività del nostro distretto, per indicare quali possano essere i mezzi per poter uscire dall'attuale difficoltà.
A parte le richieste provenienti dal tavolo ristretto, quali gli ammortizzatori sociali e facilitazioni all'accesso al credito, esistono alcune richieste aggiuntive che, come rappresentante di Confindustria, mi sentirei di avanzare.
Le aziende hanno necessità di essere liquide, perché non si sa quanto sarà lunga questa crisi. Sicuramente non sarà breve, dal momento che è iniziata già da tanto tempo. Inoltre non si conosce quale sarà la sua portata a livello economico, una volta che essa sarà superata, né a che punto del «guado» ci troviamo in questo momento.
Per arrivare a superare questo momento, quindi, abbiamo bisogno che le aziende rimangano liquide. Non sto parlando delle aziende che avevano problemi già prima della crisi - quelle aziende erano in dirittura d'arrivo e probabilmente potrebbe essere fatto qualcosa per accompagnarle verso la chiusura - bensì di quelle aziende che avrebbero i numeri per poter superare questa crisi, ma non hanno le forze finanziarie sufficienti per poterlo fare.
Riguardo all'accesso al credito ordinario, ringrazio il Governo, che ha compiuto sicuramente passi avanti con la messa a disposizione di 1,6 miliardi di euro di fondi di garanzia destinati alle banche. Queste ultime, in qualche modo, sono il mezzo di transito per il flusso finanziario che deve arrivare alle imprese.
Tuttavia, per accedere a questi flussi finanziari, occorrono alcuni parametri da rispettare. Ci sono i «paletti» della cosiddetta direttiva Basilea 2 che non tutte le aziende che sono comunque in grado di superare questo momento difficile hanno. Per evitare ciò, proporrei di favorire la liquidità delle aziende, posponendo alcuni pagamenti nei confronti dello Stato (a livello sia regionale che nazionale) e facendo finanziare questi ultimi dalle banche (del resto, lo Stato fa un bilancio per cassa e non per competenza), garantendo alle banche stesse il pagamento nei loro confronti e nei confronti dello Stato da parte dei contribuenti - a qualsiasi titolo i pagamenti dovessero slittare - spalmandolo su periodi successivi, a tassi di interesse sostenibili. Alludo per esempio ai versamenti relativi all'IRAP, all'INPS e a contributi di qualsiasi genere: potrebbero essere finanziati dalle banche, con lo Stato che garantisce le banche per il pagamento successivo di questi tributi. Non si vuole certo che questi tributi vengano «abbonati», ma solo che sia data la possibilità di lasciare le aziende liquide, grazie al loro slittamento in avanti per un lasso di tempo ragionevole.
Le imprese hanno necessità di rimanere liquide, aggirando lo scoglio dei parametri di Basilea che, in questo momento, rappresentano un ostacolo all'accesso al credito da parte delle aziende che questi parametri non rispettano, ma che hanno al proprio interno tutti i numeri e le possibilità per poter superare questo momento estremamente difficile ed emergenziale. Di emergenza, in effetti, si sta parlando ormai da tempo.


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Mi fermerei qui e lascerei la parola al presidente della provincia Massimo Logli, che riferirà, in qualità di coordinatore del tavolo di distretto, su quanto questo tavolo ha messo in piedi.

PRESIDENTE. Prima di proseguire i nostri lavori, darei la parola all'onorevole Raisi.

ENZO RAISI. Ritengo utile precisare che la Commissione sta svolgendo un'indagine sui settori industriali italiani, in modo particolare sui distretti. La volontà di questa Commissione è di arrivare a fare anche proposte concrete - una delle quali potrebbe essere quella, importante e da lei appena accennata, sull'accesso al credito - su eventuali ipotesi per aiutare il vostro settore.
Al di là di interventi che, come ha detto giustamente il presidente, possono essere a ruota libera, suggerirei di sottolineare soprattutto gli aspetti di debolezza del sistema che voi individuate e le proposte concrete per superarli. In definitiva, alla chiusura di questi incontri, che sono numerosi, dovremo poter redigere una sintesi. Se questa Commissione vuol essere «produttiva» (nel senso nobile del termine), allora dobbiamo arrivare anche a tirare qualche conclusione. Al di là di una generica illustrazione - che è importante, ma fino ad un certo punto, poiché allora potremmo anche limitarci a studiare qui in Commissione quanto sta avvenendo - l'elemento più rilevante, a mio parere, è la sottolineatura degli aspetti di debolezza nonché il suggerimento su quello che, secondo voi, oggi, il Governo o il Parlamento possono concretamente fare, a livello centrale, per intervenire e per cercare di analizzare la situazione non limitatamente alla presente crisi. Quest'ultima va certamente subito affrontata, poiché sarebbe inutile parlare del «dopo» se non doveste superare la crisi. Però occorre affrontarla anche in chiave di prospettiva futura. Questo è il tema.
Ad esempio, provenendo dal ramo export, immagino che uno dei temi importanti per voi sia quello della globalizzazione. Anche riguardo a questo aspetto c'è da capire cosa possiamo fare.
Scusate se mi sono permesso di interloquire: l'ho fatto soltanto per aiutare tutti a condurre un dialogo proficuo.

RICCARDO MARINI, Presidente dell'Unione industriale pratese. La ringrazio per queste sue indicazioni, anche perché gli argomenti di cui parlare sarebbero numerosi. Parlando di export, per esempio, resta penalizzante la reciprocità di accesso ai mercati e il famoso made in che, da noi, rimane soltanto un auspicio, in quanto siamo contrastati dalle lobby del commercio e della grande distribuzione a livello europeo. Su questo tema qualcuno ha fatto tanto: specialmente il sottosegretario Urso si è sempre speso parecchio sul tema del made in, eppure ancora non ci siamo arrivati.
Mi sono limitato finora a indicare le attività che vorremmo che il Governo esercitasse nell'immediato, per superare l'emergenza. Poi, per quanto riguarda il sistema economico legato alla globalizzazione - con tutto quello che di buono e di cattivo ha portato - è chiaro che, rispetto alla possibilità di etichettare tutti i capi che vengono messi in commercio dall'Unione europea, riteniamo che tale etichettatura dovrebbe essere obbligatoria. Lo chiediamo per permettere al consumatore di compiere scelte più oculate; al momento questa obbligatorietà non sussiste, così come non sussiste la reciprocità di accesso ai mercati. Per esempio, la Cina - tanto per non fare nomi - viene da noi duty free, mentre quando noi andiamo in Cina, tra dazi trasversali e verticali, il nostro prodotto, alla fine, costa al cliente cinese il 100 per cento in più. Non parlo, poi, dei dumping che i cinesi stanno praticando, sia ambientali, sia sociali, sia sul prezzo. Mi risulta, infatti, ancora in riferimento all'esportazione di tessuti nell'Europa unita, che essi godano di un rimborso pari a circa il 18 per cento. Si tratta di anomalie che, sinceramente, ci lasciano ben poca speranza riguardo alle nostre possibilità di concorrenza.


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PRESIDENTE. In realtà, non ho alcuna necessità di sottolineare quanto il capogruppo del PdL in Commissione, l'onorevole Raisi, ha richiamato: l'obiettivo della Commissione è proprio quello di raccogliere sufficienti informazioni, per poi produrre atti normativi conseguenti.
Sussiste, quindi, un ragionamento di breve periodo che, in realtà, risponde al normale rapporto fisiologico tra territori e Governo, rispetto ai provvedimenti che transitano in Parlamento. Abbiamo inoltre una prospettiva più ampia, per cui anche allo scopo di ricondurre i lavori della Commissione all'interno di un dibattito non frammentato ed emergenziale - al di là delle valutazioni politiche, in tante occasioni ci siamo trovati in Commissione a inseguire temi riferiti a provvedimenti fatti dal Governo - occorrerà conseguire una visione complessiva, per poi produrre atti normativi.
Un esempio per tutti: la fiscalità di distretto. Ne abbiamo parlato in tante occasioni e l'abbiamo trovata in un provvedimento, con tutte le implicazioni che una questione così delicata comporta.
Avere la vostra opinione, da operatori sul campo, rispetto a questi temi, ci consentirà di procedere ad atti concreti, in maniera significativa.
Do la parola ai rappresentanti del distretto industriale di Prato.

MASSIMO LOGLI, Presidente della provincia di Prato. Signor presidente, desidero soffermarmi sull'anomalia che deriva da questa esperienza tutta pratese, a cui anche il presidente Marini faceva riferimento, con la costituzione di quello che noi chiamiamo «Tavolo di distretto pratese» e che, sotto la regia della provincia e con la partecipazione di tutte le istituzioni, ha raccolto il fascicolo che vi abbiamo trasmesso e che abbiamo chiamato «Punti di forza del distretto». In esso sono contenute una serie di indicazioni e strategie unitarie.
Si tratta di un'esperienza che mi fa piacere presentare in questo modo: non si è registrata alcuna volontà di regia da parte di nessuno, di fronte all'emergere della terza crisi in dieci anni. Di questo, infatti, si tratta. La prima crisi il distretto tessile l'ha subìta a seguito dell'introduzione dell'euro e della fine della svalutazione competitiva. La seconda crisi si è verificata con l'ingresso dei paesi emergenti, quali la Cina e i paesi dell'est, nel WTO.
Oggi ci troviamo ad affrontare la terza crisi, dovuta alle ricadute industriali della crisi finanziaria. Tutto ciò ha portato a un aumento della coesione sociale e istituzionale.
La delegazione qui riunita è composta da imprenditori, sindacati e categorie di artigiani, che rappresentano un po' tutto il sistema produttivo pratese.
Questa è la piattaforma che abbiamo portato, per fornirvi alcuni dati positivi.
Per completare l'illustrazione del presidente Marini, ricordo che questo distretto, nel 2008, ha prodotto un export di tessile abbigliamento pari a circa 2,2 miliardi di euro.
Per parlare di strategia futura, non si tratta di un distretto morente, bensì di un distretto che possiede tutte le condizioni per essere vivo e vitale.
I punti che abbiamo messo in risalto parlano di affrontare l'emergenza perché - come diceva il presidente Marini e come penso ripeteranno anche altri - il grosso problema dei distretti è come mantenere in vita le filiere sane.
Non so se sia un concetto da esplicitare meglio, in quanto credo che esso sia abbastanza noto a chi conosce le politiche industriali e le fisionomie dei distretti.
Abbiamo il problema di mantenere in piedi un sistema; non solo alcune aziende leader, ma un intero sistema. Alcune proposte riguardanti l'estensione alle categorie artigiane di norme relative agli ammortizzatori sociali vanno in questo senso.
Abbiamo anche voluto rappresentare un distretto che si era preparato ad affrontare il tema della globalizzazione. All'inizio di questa pagina, abbiamo riportato alcuni investimenti strategici: l'interporto


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di cui ci stiamo dotando, un centro di ricerca e tutta una serie di infrastrutture.
Abbiamo organizzato la manifestazione del 28 febbraio, che ha avuto un risalto importante, anche per segnalare come alcune norme generali - per questo apprezzo il senso di questa audizione - abbiano poi bisogno di essere verificate considerandone la ricaduta sui sistemi di impresa reale del Paese.
Nel testo viene specificata molto bene la questione dei rimborsi IVA, che potrebbe essere l'altro terreno su cui operare per permettere alle aziende di avere liquidità disponibile, senza costi da parte dello Stato. Vi è poi una parte riguardante la necessità di non creare barriere in un mondo globalizzato.
Vorrei essere chiaro: chiediamo la possibilità di una competizione che sia, in qualche maniera, a salvaguardia delle capacità manifatturiere del Paese.
A me compete, prima di lasciare spazio alle altre categorie economiche qui presenti, di farvi apprezzare - come abbiamo tentato di fare, proprio nello spirito dell'intervento dell'onorevole Raisi - l'utilità di una sorta di piattaforma complessiva, suggerendo che non basta un intervento spot, una tantum sugli ammortizzatori sociali. È necessario che il Governo si relazioni con le realtà produttive, che possiamo chiamare distrettuali, e discuta sul modo di costruire una serie di norme che, intrecciate fra di loro, parlino del superamento della crisi e delle opportunità che questo sistema ha di stare nel mercato globale.
Abbiamo legato la questione - che abbiamo inserito - del mantenimento della liquidità delle aziende tramite, sostanzialmente, la dilazione del pagamento di imposte, al mantenimento dei livelli occupazionali, poiché abbiamo chiaro che, se ci sono meno risorse disponibili per lo Stato, ci saranno meno risorse anche per gli ammortizzatori sociali. Puntiamo sull'idea che è meglio avere aziende che stanno sul mercato e che mantengono l'occupazione, piuttosto che aziende che licenziano e creano necessità d'ammortizzatori sociali. Quindi c'è anche l'idea - credo che sarebbe troppo lungo spiegare tutto in questa sede - di offrire questo metodo di lavoro territoriale.
Non è semplice tenere in piedi un tavolo di questo tipo, in cui si firmano documenti unitari e vengono superate anche le giuste e normali dialettiche categoriali, trovando un accordo su alcuni punti a nostro parere essenziali per il rilancio dei distretti in quanto tali e che sono condivisi al di là degli interessi che ciascuna categoria porta avanti individualmente nelle proprie battaglie, anche nelle sedi parlamentari e nella concertazione.
Di questo fenomeno fanno parte gli enti locali. Per chiarezza, la rilevanza mediatica delle nostre iniziative ci ha anche posto all'attenzione di alcune discussioni.
Stiamo lavorando anche alla piattaforma di una nuova sorta di patto sociale in base al quale, alla fine, questo sistema di risorse che potrebbe ricadere sui distretti ritrovi modalità di distribuzione attraverso tutta la filiera. L'idea che porto e che gli altri espliciteranno per la loro parte e per la loro competenza, in sostanza, è di mantenere, insieme all'assetto industriale che i distretti si sono dati (rinnovandolo, anche alla luce delle necessità di adeguamento della concorrenza alla globalizzazione), un'idea di unità sociale che accompagni la tenuta del sistema economico.
Riguardo a un tale spirito, ricordo che anche il presidente Napolitano ci ha più volte sollecitato ad affrontare insieme la crisi.
Mi permetto solo di citare un dato, proprio per rimanere allo spirito dell'intervento dell'onorevole che mi ha preceduto. Puntualizzo nuovamente la questione del credito. Siamo molto soddisfatti - l'abbiamo anche scritto nel documento - dell'ultimo emendamento con il quale si prevedono ulteriori dieci milioni di euro che sono stati inseriti da questa Commissione. Il problema è trovare un meccanismo, al di là delle proposte del presidente Marini, affinché i rapporti del credito con


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le singole realtà imprenditoriali di piccola e media impresa siano più agevoli. Oggi le banche hanno garanzie sufficienti, costituite dai soldi messi dallo Stato, l'attività dei Confidi, le regioni (penso alla regione Lombardia e alla regione Toscana, che hanno propri strumenti di garanzia).
Sto parlando delle piccole e medie imprese «affidate», come merito bancario, fino al 31 dicembre 2008, non delle aziende che a quella data erano già in sofferenza nel rapporto con il mondo bancario; non riusciamo a sbloccare il rapporto con le banche. Vista la scadenza dei tempi - permettetemi di dirlo - per cui, entro la fine di marzo, molte imprese dovranno ripresentarsi alle banche con i bilanci, per ricontrattare i propri «affidamenti», tutto ciò rischia di rappresentare la leva attraverso la quale passerà tutta una serie di cessazioni che, in un sistema come il nostro, rischia di portare a un deficit industriale altissimo.
Quindi il tema oggi è il seguente: come rendere operativi, nella concretezza, questi strumenti che, comunque, va dato atto al Governo di aver messo in atto.
So che non si tratta di un tema semplice e che si entra in un campo complesso, perché anche le banche hanno i propri bilanci. Non sono un tecnico di competenza tale da poter arrivare alla soluzione, però mi permetto di segnalare la problematica quotidianità di relazione tra imprese e piccole aziende. Lo ripeto, assistiamo a revoche di affidamenti (parlo di affidamenti solo per considerare uno degli aspetti del problema) a soggetti che non hanno di fatto peggiorato il proprio rating bancario, anche a fronte di aumenti delle garanzie. Questo è il dato di fatto che mi preme sottolineare.
Quando si parla di Basilea (problema che, in qualità di amministratore, mi preoccupa), vorrei spiegare cosa significa la nostra richiesta di «rallentamento», altrimenti potremmo passare per matti.
Vi riporto un esempio che è sotto gli occhi di tutti: il problema di Ittierre che, a Prato, ha una ricaduta di circa 10 milioni di euro di insolvenze non pagate. Dietro Ittierre chiude uno dei tanti lanifici fornitori. Dietro questo lanificio, diventano insolventi dieci artigiani che non hanno alcuna colpa, che qualche mese fa hanno fatto investimenti per mantenersi allineati ai processi produttivi più innovativi e che oggi, a causa di questa insolvenza, si presentano in banca vedendo peggiorato il proprio rating.
Questo è un circolo vizioso che non permette a questi artigiani di essere disponibili, domani, per una nuova iniziativa industriale.
Anche se dovessero chiudere, non si sostituisce immediatamente un altro sistema di imprese che recuperi quella capacità produttiva, si crea il deserto.

ANDREA BELLI, Presidente nazionale tessili di Confartigianato. Non sono avvezzo a parlare al microfono, perché sono un artigiano e anche oggi, prima di venire qui, mi sono recato in azienda. Ho solo il desiderio di farmi capire e se poi non metto «punti e virgole» nel posto giusto, ve ne chiedo scusa in partenza.
Una precisazione: quando si parla di piccole e medie aziende, nel caso del distretto di Prato e, nello specifico, nel caso dei terzisti e degli artigiani, si parla di 4.800 aziende, la cui media è di due dipendenti per azienda e in cui il titolare è a contatto con i dipendenti di tutte e due i turni, mattina e sera. In altre parole, non sta in ufficio.
Francamente, ho la sensazione, quando mi confronto con personaggi al di fuori di Prato - riconoscendo peraltro la sincerità dell'interlocutore - che non si capisca appieno il «modello Prato». Nel caso del tessile e degli artigiani, la manodopera impiegata è al 75 per cento femminile. Credo che questo sia un elemento importante.
Sono tra quelli che credono che il tessile non sia affatto finito. Lo sarà, forse, negli articoli basici, che non verranno più recuperati a causa della differenza nel costo del lavoro. Secondo me rimane ancora un bel settore in cui penso possano ancora esserci prospettive per continuare


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ad esprimere la nostra flessibilità e la nostra professionalità e tecnologia.
L'onorevole Raisi ci invitava a fare proposte concrete.
Ebbene, a mio modesto parere, il tessile al momento non sta male, è proprio infartuato! Alziamo il telefono perché abbiamo il dubbio che non funzioni la linea, dal momento che sta tutto il giorno senza trillare.
Personalmente suddividerei i provvedimenti da proporre da parte di questa spettabile Commissione in «immediati», come abbiamo avuto modo di esporre al ministro Scajola il 26 febbraio, e «suscettibili di concertazione», poiché di argomenti da discutere su come si possa essere competitivi anche in futuro, una volta arrivata la ripresa economica, ce ne sono. Alludo, ad esempio, ai piani di settore. Capisco bene che siamo tutti portati a lamentarci, ma quando tornerà un po' di lavoro a Prato, non ne avremo il tempo: saremo lì, a lavorare.
Sfrutto questa grande opportunità che ci avete offerto per sensibilizzarvi sul fatto che a noi occorre un aiuto, in questa occasione, immediato.
Immediato, perché, specialmente per noi artigiani, esiste un lasso di tempo molto breve per sperimentare se la ripresa arriva o no. L'avere spese e non avere ripresa, per noi che abbiamo sempre «rigiocato» quello che avevamo vinto negli anni, ci condanna a morte sicura, in percentuali altissime. Si possono mettere in dubbio le mie affermazioni, che, però, sono facili da verificare. Sarà perché sono pratese, sarà perché sono uno dei pochi pratesi rimasti (esistono infatti anche altre turbative: l'immigrazione più o meno regolare, etnie più o meno forti), ma mi sento di dire che noi desideriamo rimanere nel tessile e ci crediamo.
Abbiamo bisogno di interventi immediati, quali ad esempio la defiscalizzazione per chi non licenzia, oppure la dilazione del pagamento dell'Irap (non chiediamo di non pagare l'Irap, chiediamo che ci venga sospesa per un anno, per salvaguardare la nostra grande professionalità).
A me preme salvare l'azienda, ma soprattutto salvare l'azienda con i dipendenti dentro, altrimenti non mi interessa.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano porre domande o formulare osservazioni.

SAVINO PEZZOTTA. Condivido l'analisi del settore nonché l'esigenza di interventi immediati. Ho solo un dubbio, che vorrei mi fugaste, che viene da una storia e non nasce certo oggi. Mi domando quanta parte del tessile salveremo e che cosa dobbiamo fare per reindustrializzare un territorio come Prato. Potremo salvarne dei pezzi, non sono convinto che sparirà del tutto, ma non sono neanche convinto, per dirci la verità, che manterremo tutto.
Parlo, in quanto provengo da una zona tessile, la Valle Seriana, per cui so benissimo che cosa sta succedendo, quali disastri e quale desertificazione possa avvenire.
Mi domando se dobbiamo salvare e tenere aperto per mantenere, diciamo così, un tessuto di cultura industriale, sia imprenditoriale che di manodopera, mentre il problema è cosa pensiamo per il «dopo». Se un distretto industriale monoculturale, come Prato, il biellese o la Val Seriana, non pensa a un arricchimento e a un'«uscita» dalla monocoltura, nutro forti dubbi che riesca a salvarsi. Ritengo che abbiamo un problema di reindustrializzazione di queste aree.
A me piacerebbe capire se voi avete delle idee, rispetto alla vostra realtà. Per quanto riguarda i provvedimenti sul credito, stiamo ripetendo una serie di provvedimenti con i quali, tuttavia, tamponiamo la situazione. È giusto adottarli, non dico di no: anch'io userei la cassa integrazione, più che per assistere, per dare soldi e tenere aperta un'azienda.
Dico chiaramente che mi interessa più questo aspetto, che quello della chiusura. Sono altresì profondamente convinto che non riusciremo a salvare tutto.
Porto un esempio: sono un operaio tessile e leggo sul giornale, quindici giorni


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fa, che la mia azienda chiude. Così mi propongo di andarla a vedere un'ultima volta. Mi reco là e mi trovo di fronte un'azienda - poi vi dico il nome se volete, non è un problema - che dal punto di vista tecnologico è al top. Tuttavia, la proprietà mi dice che intende chiuderla perché non si compete più e non sussiste più la possibilità di un incremento di produttività attraverso uno sforzo tecnologico, il che vuol dire che bisogna spostarsi su altre cose.
A me interessa capire (non ci sono ricette: bisogna compiere uno sforzo di comprensione) se anche per un distretto tessile, salvando il salvabile e innovando il più possibile - anche se oltre un certo livello di innovazione non si può andare, giacché più innoviamo più comprimiamo: questo è l'effetto che abbiamo visto in vent'anni di storia del tessile - si possa mettere in campo un'idea di reindustrializzazione, se si possa attuarla e con quali risorse, dal punto di vista della formazione e dell'incentivazione alla dimensione imprenditiva.
Se pensiamo solo di difendere il tessile, ci si limita a una battaglia legittima, che bisogna combattere, ma che non rappresenta una via di uscita.
Vorrei capire qualcosa in più da questo punto di vista.

LUDOVICO VICO. Desidero innanzitutto esprimere un apprezzamento per il contributo che state fornendo alla nostra Commissione. Entrerò subito nel merito di alcune questioni che ci avete proposto. Potrei rassicurarvi, molto modestamente, a nome della Commissione, che gli aspetti considerati in base al vostro schema metodologico - i risultati raggiunti, quello che bisogna fare e si chiede rispetto all'emergenza - sono tutte questioni che stiamo affrontando.
In questo senso, con molta onestà intellettuale, faccio presente che nel provvedimento che verrà approvato fra poche ore dalla Camera sono presenti misure che solo parzialmente rispondono a questa domanda. Tuttavia, penso anche che restiamo comunque impegnati, perché il Paese certamente avrà bisogno di ulteriori provvedimenti.
I temi che ci avete sottoposto, delle piccole e medie imprese e dei distretti italiani, li abbiamo affrontati nei termini precisi. Vorrei in questo modo tranquillizzarvi, poiché siamo su una lunghezza d'onda che guarda a quella parte del Paese, importante, che bisogna salvare in questo lungo percorso, di cui non conosciamo il termine.
Detto ciò, per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali, vi sono la nostra discussione e le nostre richieste. Per quanto riguarda il rapporto con il credito, abbiamo anche esaminato ipotesi di lavoro che riguardano i contoterzisti, in ordine ai piani di settore.
Abbiamo preso in esame questioni più specifiche, che ci avete rappresentato in questa circostanza e che attengono alla traslazione di IRAP, IRES, IRFEF e IRE, rispetto alle scadenze ravvicinate di giugno e a quelle che verranno. Sul fondo di garanzia, siamo fra coloro che sostengono che il decreto legislativo n. 185 del 2000 del Mediocredito centrale è un meccanismo molto lento. La disponibilità di un miliardo dai fondi FAS o dai conti dormienti (da ristorare con le risorse del FAS, perché abbiamo il dovere di dire anche questo) riguarda risorse che si stanno esaurendo. Siamo quindi dell'opinione che bisognerebbe ricorrere alla Cassa depositi e prestiti, o magari ad altre misure in relazione all'applicazione del patto di stabilità (il riferimento cade a proposito, dato che il vostro presidente è un amministratore pubblico).
Passo alle due domande che vorrei porre. Vorrei capire, da un distretto quale è il vostro, se i Tremonti bond vi siano davvero utili, ad esempio dal punto di vista dell'accesso alla liquidità, magari per le anticipazioni di cassa laddove, nella piccola e media impresa, sorgesse una tale esigenza.
Rispetto a quanto è stato annunciato in merito al rapporto su basi territoriali e distrettuali, mi è sembrato di capire che


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l'ABI o le banche non sono rappresentate nel tavolo del distretto pratese. Forse sarebbe utile che lo fossero, poiché ritengo che un sistema di relazioni vada costruito anche su questi rapporti; si tratta comunque di decisioni vostre.
Vorrei riprendere rapidissimamente alcune affermazioni del collega Pezzotta.
Sul made in e sulla reciprocità siamo perfettamente d'accordo, ma anche - voglio pensare - sulla legislazione di sostegno emanata in Europa e nel Paese per l'evenienza della crisi che è subentrata. La domanda che volevo porre è invece la seguente: al Senato sta per essere approvato il provvedimento collegato, che alla Camera era indicato come C. 1441-ter, sullo sviluppo industriale del Paese (riguardava anche l'energia, argomento che non considererei per un attimo). In questa Commissione e alla Camera si era discusso sui processi di reindustrializzazione e di diversificazione. Il Governo ci aveva sottoposto un'ipotesi, cui avevamo aderito come Partito Democratico, di ricorso alla legge n. 181. Il problema che ci interessa in questa fase di difficile passaggio, oltre alle urgenze, è che, alla fine del percorso, alcune problematiche che già avevamo nel settore non ne escano ulteriormente aggravate.
In conclusione, sull'emergenza siamo perfettamente d'accordo, fatti salvi alcuni aggiustamenti, per cui la Commissione, quando tirerà le conclusioni, deciderà ciò che sarà utile e urgente; tuttavia, continuiamo a domandarci che cosa accadrà alla fine della crisi. Non si tratta solo delle aziende liquide che bisogna salvaguardare comunque, o degli ammortizzatori in deroga, che ho l'impressione rappresentino un interrogativo, diciamo così, risolvibile. Il punto è se quella parte di made in Italy che è targato «Prato», con tutte le sue relazioni, proprio in questa fase debba essere messo in condizione di relazionarsi con provvedimenti più grandi, che attengono direttamente al processo di innovazione, di diversificazione e di reindustrializzazione.
Chiarire se questo è anche il vostro pensiero, che al momento sembra riassunto solo nell'ultima pagina della documentazione che ci avete distribuito, ci aiuterebbe per un lavoro molto più proficuo.

ENZO RAISI. Vorrei svolgere due osservazioni. Il primo dato mi è venuto, come spunto, dall'intervento del rappresentante di Confartigianato, quando ha detto che la media delle aziende è composta da due dipendenti. Effettivamente, in un mercato in cui la sfida è fatta sui grandi numeri, sulle grandi realtà, sulla grande competizione e sui grandi volumi, questo, sicuramente, è un elemento, per certi versi, anche di debolezza. Anzi, non dico che è un elemento di debolezza, bensì che può esserlo. Del resto, sperimentiamo fenomeni analoghi in tutti i settori, tant'è che nelle ultime normative che abbiamo in qualche modo promosso - cambiano i Governi ma la logica è stata perseguita da tutti - si tende favorire la fusione e la possibilità di creare aziende di dimensioni un po' più consistenti.
Ciò permette, ovviamente, anche di strutturarsi meglio, di avere, oggettivamente, maggior forza sul mercato. Ho sentito già, involontariamente, la risposta: il tema specialistico. Vorrei conoscere, comunque, qual è l'elemento ostativo e se non si possa pensare che sussistano comunque le condizioni affinché quell'obiettivo possa essere raggiunto. Non potrà raggiungersi per tutte le aziende, poiché immagino che in molti casi ci si trovi di fronte a una specializzazione, ma mi si consenta di pensare che 4.500 aziende non possono essere tutte specialistiche, uniche e insostituibili. Ogni azienda ha sicuramente la sua peculiarità, il suo modo di produrre e di avere un prodotto di riferimento sul mercato, ma lei mi insegna che, anche in questo caso, bisogna cominciare a pensare a un momento di evoluzione.
Dico ciò perché non so se l'area debba pensare anche di diversificare il sistema produttivo in altri settori. Questa è peraltro solo una ipotesi.


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Sicuramente, non si può far finta di non dover fare i conti con l'irruzione di certi Paesi. Lo dico a partire dalla mia piccola esperienza. Arrivo dell'Emilia, dove la maggior parte della realtà industriale è fatta da artigiani che sono diventati poi imprenditori. Il grosso limite che ho incontrato, vivendolo sulla mia pelle da professionista, è che si ha difficoltà a far capire che è importante, nel momento in cui si affronta l'export, avere un management all'altezza. Abbiamo l'esperienza di imprenditori che andavano con la valigetta in mano, senza sapere le lingue, a vendere i propri prodotti, il che, con tutto il rispetto, è una cosa sciocca e devastante dal punto di vista della concorrenza sui mercati.
Il management ha un costo, piaccia o non piaccia. Quando lei dice che l'imprenditore sta tutto il giorno a fianco agli operai, lei dice di non avere management. Da questo punto di vista, questo è un tema di forte debolezza. Può essere superato, ci possono essere tanti altri aspetti positivi, ma si tratta di un elemento di debolezza.
Penso che, con tutta la buona volontà, il tema dell'aggregazione, all'interno di certi settori che hanno questo punto di debolezza, sia inevitabile. Non dimentichiamo che gli imprenditori sono molto legati alla propria azienda e vedono con difficoltà la possibilità di aggregarsi ad altri. Vi chiedo quindi se sia possibile applicare tale filosofia nel vostro settore specifico.
L'altro aspetto, toccato dal collega Vico nel suo intervento, riguarda il credito e gli interventi del Governo che hanno, in qualche modo, dato garanzia alle banche delle risorse, a condizioni che sostengano il credito. La logica di allocare in quella posizione risorse di un bilancio dello Stato molto magro, funziona non per salvare le banche, ma per salvare le aziende, altrimenti l'operazione che stiamo facendo non ha alcun senso.
Sono state fatte tante proposte e qualcuno ha sorriso quando è stata fatta la proposta del prefetto. Io ho sorriso meno, perché il prefetto è il rappresentante del Governo; siamo noi che siamo abituati a prefetti che fanno solamente cerimonie. I prefetti dovrebbero adeguarsi, come hanno dovuto fare gli ambasciatori, quindi non vedo questo tema come scandaloso.
Vorrei capire se ci sono suggerimenti e proposte concrete anche da parte vostra, perché è chiaro che esiste un impegno da parte del Governo, ma c'è volontà da parte del Parlamento di spronare il Governo affinché questo impegno che si è preso dando le risorse alle banche sia rispettato. Lo dico nel momento in cui incontriamo il mondo della produzione, perché per noi è vitale.
Mi scuso se sono stato molto diretto nel mio intervento, ma volevo concentrare l'attenzione. Siamo qui a svolgere una indagine che credo non sia mai stata fatta. Sono da sette anni in questa Commissione, è la terza legislatura; uno dei grossi temi è che in realtà rincorriamo i problemi, ma non pianifichiamo e non creiamo strategie - questo è il mio parere - a cominciare dal Parlamento, che interviene di rimessa sulle proposte del Governo e non ha un proprio percorso.
Guardando alla strategia del futuro la prima domanda si riferiva proprio a quello: mi interessa il superamento di questa crisi, perché non si può pensare al futuro quando non si ha una struttura. È chiaro che occorre valutare tutti gli aspetti del problema e questo era un modo per sottolinearlo.
Il tema del credito sicuramente riguarda l'immediato, dato che, senza il credito, non si va da nessuna parte e saltano, evidentemente, tutti i discorsi e i temi che stiamo portando avanti.

RAFFAELLO VIGNALI. Ringrazio i presenti per essere intervenuti. Sono convinto - lo registro anche in questo periodo e oggi ne ho avuta un'ulteriore conferma - dell'impegno sia delle istituzioni locali che, soprattutto, degli imprenditori, come ricordava giustamente prima il presidente di Confartigianato. Conoscendoli, sono convinto anch'io che la loro maggiore preoccupazione, in questo momento, è


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l'essere costretti a lasciare a casa qualcuno.
Vivo in Brianza e vedo, appunto, che fanno dipingere il capannone quattro o cinque volte, oppure fanno spazzare il cortile, pur di non lasciare a casa i propri dipendenti. Si tratta anche di un nostro impegno. Sono nuovo del Parlamento e prima facevo il presidente di un'associazione di imprese. Ebbene, devo dire, comunque, che il clima di questa Commissione è positivo nei confronti delle imprese e soprattutto di quelle piccole.
Abbiamo deciso diverse misure e ora aspettiamo che il collegato alla Finanziaria sullo sviluppo economico torni dal Senato. In quel provvedimento avevamo inserito alcuni interventi proprio mirati alle piccole e medie imprese come, ad esempio, la riserva di almeno il 50 per cento dei fondi per l'innovazione, anche con strumenti semplificati.
Voteremo domani, o la prossima settimana, la risoluzione relativa allo Small business act dell'Unione europea, che credo segni alcuni punti importanti, sui quali non solo il Governo, ma anche noi stessi saremo impegnati. Penso di parlare a nome di tutti i colleghi.
Devo svolgere anche una considerazione in dissenso dal mio capogruppo. Lui lo sa, noi abbiamo due temi sulle imprese su cui non siamo d'accordo, il primo dei quali è la questione delle piccole imprese. Il giorno che si condurranno indagini accurate sulle microimprese, scopriremo che esse innovano più delle grandi. Parto dal fatto che avere tanti milioni di imprenditori è una ricchezza e che, se è vero che l'impresa ha al centro il capitale umano, la dimensione viene molto dopo. Non è una questione di numeri. Conosco tante piccole imprese con meno di dieci addetti che sono multinazionali.
In ogni caso, parto dalla considerazione - approfitto dell'occasione per ripeterlo al mio capogruppo - che «piccolo, è quello che c'è», non che «piccolo è bello» e che preferisco un francobollo di realtà ad un lenzuolo di sogno. È poi anche vero che, se ne consideriamo le dimensioni, un distretto equivale a una Fiat.
Quindi, esiste una strada diversa dalla fusione, anche perché i nostri imprenditori - mi metto anch'io fra loro - vogliono appunto fare gli imprenditori e non i manager. Questo è un altro difetto che essi hanno, per fortuna: vogliono fare la loro azienda. Però, esiste un modo di «fare rete» e, per questo, secondo me, diventa importante tutto ciò che si può fare sulle politiche di rete, facendo in modo che le imprese di un territorio abbiano la dimensione della grande impresa.
Ricordo che il «miracolo italiano» non l'abbiamo compiuto con le grandi imprese, bensì con le piccole: un miracolo nel miracolo.
L'altra considerazione su cui non sono d'accordo è che il mio capogruppo afferma che ci sono troppi finanziamenti a pioggia e che questo fenomeno deve cessare. Ebbene, è vero che i finanziamenti sono a pioggia, ma piove sempre sullo stesso posto: sulle grandi e mai sulle piccole aziende. Se ciò è vero, allora non sono a pioggia, anzi sono molto mirati. Dunque, che vadano a pioggia sulle piccole imprese!
Ho due domande e chiedo scusa per questa lunga introduzione.
In primo luogo volevo capire, anche per interesse personale - mi occupo di innovazione - quali siano le linee strategiche, rispetto a ricerca e innovazione, lungo le quali ci si muove. Teniamo conto del periodo, ma, in generale, diamo uno sguardo anche oltre l'oggi. Ho esaminato il lavoro presentato, svolto in collaborazione con l'università, ma vorrei capire, in termini di linee, in quale direzione ci si muove. Mi spiego con un esempio. Quindici o vent'anni fa, a Lione, si verificò una forte crisi del tessile. Il tessile di Lione - lo sapete meglio di me, non ve lo devo insegnare - si convertì, da una parte, sul tessile per la bioedilizia e dall'altra sui tessuti tecnici.


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Carpi, invece, ha diversificato in tutt'altro modo: il distretto è orientato sulla meccatronica, nata dalla capacità di produrre macchine legate al tessile.
La seconda domanda riguarda le nanotecnologie e, in generale, se ci sono nuove linee che riguardano le nuove tecnologie.
Infine, vorrei sapere se nel distretto ci sono aziende che vanno bene e conoscerne eventualmente la ragione.
Penso che lo sviluppo si faccia partendo dalle realtà positive, che ci servono per capire quali possono essere i punti di forza del sistema Italia complessivo e su quale di tali punti Prato possa fornirci un esempio che abbia valore di metodo.

PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per le repliche.

MASSIMO LOGLI, Presidente della provincia di Prato. Darò due risposte rapide. È stata richiamata dall'onorevole Vico la questione del rapporto fra il nostro tavolo di distretto e il credito. È stata inoltre sollevata dall'onorevole Raisi la questione dei prefetti.
Per quanto riguarda i Tremonti bond, ancora non ne abbiamo visto gli effetti. Vediamo la situazione nel modo che segue: se si tratta di un'ennesima operazione che garantisce i bilanci delle banche e non svincola un rapporto diretto con la piccola e media impresa, ebbene, non possiamo apprezzarla. Se invece si tratta di un'operazione destinata a liberare questo rapporto, gli effetti non li abbiamo assolutamente visti.
Abbiamo incontrato le banche prima delle ultime disposizioni legislative - quelle sui Tremonti bond e sui prefetti, tanto per essere chiari - e non è emerso un interesse ad un colloquio. Quello che io rappresento è che ogni banca ha la propria strategia. L'affermazione che abbiamo registrato dalle banche è la seguente: «Siamo aziende e rispondiamo alle nostre strategie di azienda». Tale risposta è stata data durante un incontro ufficiale con il tavolo di distretto ed è del tutto ineccepibile.
Abbiamo la sensazione che, a parte le piccole banche locali - che hanno un rapporto più stretto, ma non hanno una forza di decisione - il sistema nazionale delle grandi banche sia molto preoccupato delle semestrali di cassa e poco del rapporto con la clientela. Questa è la nostra preoccupazione legittima.
Confermo quanto affermato dall'onorevole Raisi: facciamo fatica a immaginare il ruolo dei prefetti, poiché in questi ultimi anni li abbiamo visti depotenziati nella loro funzione, al di là della qualità delle persone (argomento su cui assolutamente non entro).
Da amministratore, dico che sono abituato a rispettare le normative. Abbiamo chiesto un incontro con il prefetto, il quale è stato ben felice di accordarcelo. Il 9 di questo mese ci incontreremo per capire come egli intenda esercitare questo ruolo, pur sapendo che, come leggo sulla stampa, non c'è un orientamento favorevole a questa iniziativa, da parte delle banche.
In qualità di amministratore, il mio compito è di sfruttare le occasioni che la legge ci fornisce. Pertanto, prima andiamo ad incontrare il prefetto e poi vi saprò dire l'efficacia di questa norma. Saremo ligi nel seguire questa vicenda.
Per quanto riguarda l'argomento introdotto dall'onorevole Pezzotta, un po' trasversale a tutti gli interventi, svolgo due considerazioni.
Questo distretto non si è mosso per chiedere particolare attenzione, se non di fronte all'ultima crisi, lasciando convintamente che fossero le dinamiche di riorganizzazione interna - nelle sfide che il mercato globale portava - a determinare la riutilizzazione di capitali, la nuova organizzazione di processi o di prodotti. Abbiamo avuto la perdita di 5 mila posti di lavoro nel tessile ogni anno, dal 2005 al 2007, riassorbiti sostanzialmente in altri settori: nei servizi o in altri tipi di innovazione. Oggi ci siamo mossi proprio nell'ottica introdotta dall'onorevole Pezzotta: salviamo la parte salvabile di questo settore.


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Se questa Commissione è interessata, potremo illustrare le linee lungo le quali le amministrazioni pubbliche, di concerto con la regione, si stanno muovendo per favorire la diversificazione industriale. Pensiamo, infatti, che, al di là di sviluppare tutti i settori economici, dall'agricoltura al turismo, la grande vocazione di questo distretto sia manifatturiera. Ciò vuol dire aumentare i servizi all'industria: ho parlato di interporto, di logistica, di grandi macro lotti.
Sottolineo un aspetto, che qui accenno soltanto, che meriterebbe un'audizione ad hoc e che Andrea Belli ha già richiamato all'inizio: dovremo affrontare la questione dell'immigrazione cinese, non come fenomeno di immigrazione, bensì come fenomeno industriale. Dovremmo dirlo con chiarezza: abbiamo quasi 30 mila cinesi, che non rappresentano un problema di immigrazione come lo conosciamo o come l'ha rappresentato Annozero, ma un fenomeno di imprenditoria. Qui chiudo, perché questo non è l'argomento di oggi.
Concludo invitando i due onorevoli del centrodestra a riflettere sulla seguente affermazione: viviamo in Toscana e accanto a noi, nel comune di Firenze, c'è una grande industria internazionale, l'Electrolux. Ebbene, Electrolux, che sta sul mercato con le dimensioni adeguate - ma potrei anche portare l'esempio della Dresser Wayne Pignone - decide di delocalizzare i propri stabilimenti per motivi logistici interni, di organizzazione del sistema produttivo. Il giorno dopo, queste realtà sono a zero. Sto parlando di stabilimenti all'avanguardia, non di siti industriali. Con un sistema di piccole e micro imprese, questo non succede. Dico che tutto ciò, in un momento di crisi, riduce i costi sociali che si possono determinare per scelte fatte da grosse aziende. Li riduce in termini oggettivi. Abbiamo chiaro - ho parlato prima di un patto sociale, lo dico da amministratore - che le imprese di due dipendenti non sono in grado di stare sul mercato, se non in un sistema di filiera. Non sono le imprese di due dipendenti che vanno a fare l'internazionalizzazione, bensì l'impresa leader, come quella del dottor Marini, o altre. Ma questo è un sistema di filiera che Prato - non so se è chiaro - stava riorganizzando per conto proprio.

RICCARDO MARINI, Presidente dell'Unione industriale pratese. Vorrei rispondere ai quesiti che ci sono stati posti e che mi fanno estremamente piacere. Prima di tutto rispondo all'onorevole Pezzotta e anche all'onorevole Vico. Del tessile si salva solo la parte buona, non certamente la parte che buona non è!
Come ha già anticipato il presidente Logli, la diminuzione di unità lavorative nel tessile non ha comportato, di fatto, un aumento della disoccupazione. Dal 2001 al 2008 abbiamo perso 10 mila posti di lavoro nel tessile, ma il tasso di disoccupazione è rimasto invariato. Sono stati tutti riassorbiti nel terziario innovativo e in tutti i vari «satelliti» che, comunque, dipendono dal tessile. A Prato, se il tessile non funziona, il bar non vende caffè: questo è fuor di dubbio.
Inoltre, tanto per chiarire che non siamo qui - anche se viviamo l'emergenza - solamente per chiedere un accesso facilitato al credito e che si venga in qualche modo aiutati nel superamento del «guado», facciamo delle proposte riguardo a quello che abbiamo intenzione di fare in futuro.
Faccio il mestiere dell'imprenditore e ciò vuol dire avere fiducia, altrimenti alzarsi la mattina per andare a lavorare diventa abbastanza difficile.
Parlando di tessile, viene automatico parlare di allungamento della filiera, cioè di abbigliamento. Ciò coinvolge quanto richiamato dal presidente Logli sull'abbigliamento e su quello che in questo momento stanno facendo i cinesi, in maniera illegale.
Dobbiamo trovare il modo di poter portare sul piano della legalità chi vuole essere legalizzato e arrivare successivamente a ottenere un beneficio da una realtà che, attualmente, si configura come danno.


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La Inditex - o Zara, come comunemente è conosciuta - una delle realtà europee più grandi nell'abbigliamento di un certo tipo, sta cercando uno stabilimento a Prato, in cui collocare parte della logistica e la testa delle proprie attività. Se viene a Prato, lo fa perché è in prossimità di chi può fornire la materia prima, l'operazione di façon e di confezione.
Zara si basa quasi esclusivamente sulla velocità di vendita del prodotto, per cui avere nello stesso posto tutte le possibilità di logistica necessarie per realizzare un capo di abbigliamento, secondo me, è già indicativo di quello che dovrebbe essere il nostro futuro.
Una volta che si è mossa Zara, sicuramente si muoveranno anche altre realtà, dato che abbiamo la fortuna di essere territorialmente centrali, in Italia, e di possedere quell'appeal che il made in Italy sicuramente riscuote a livello mondiale.
Parlando di made in Italy, vi dico che se - per eccesso - Prato non ci fosse più, sparirebbe anche il made in Italy nell'abbigliamento. Non credo, infatti, che i nostri stilisti - punti di riferimento del mercato internazionale della moda - potrebbero essere così creativi senza che noi si metta a disposizione la nostra creatività e il nostro saper fare. Credo che l'abbigliamento sarebbe destinato a diventare piatto, come quello di importazione.
Per quanto riguarda la crescita dimensionale, anch'io sono d'accordo che le aziende sono troppo piccole: dovrebbero avere dimensioni maggiori, per avere un impatto diverso sul mercato globalizzato.
Va considerata però la filiera nel suo insieme, non tanto l'azienda singola. Se ho un'azienda di trenta persone, mi tiro dietro altre trecento persone alle spalle, per cui la mia azienda non è più quella di partenza. Se non funziono, non lavorano neppure le duecentosettanta persone che sono dietro di me; se funziono, mi porto dietro anche loro.
La crescita dimensionale va bene, ma nel limite delle possibilità, poiché non trattandosi di aziende così strutturate e così grandi da potersi permettere dei manager, la crescita dimensionale avviene solo verticalmente. Uno sviluppo orizzontale, infatti, potrebbe farsi fondendo le aziende, eliminando i due titolari e mettendo un manager per la gestione. Diversamente, accadrebbe come fra due galli in un pollaio che dopo tre giorni iniziano a farsi la lotta.
Quindi, crescita dimensionale sì, ma in un certo modo, o con certi tipi di percorso.
Poi, per quanto riguarda il discorso dell'innovazione, sicuramente mi fa molto piacere la domanda posta dall'onorevole Vignali, poiché stiamo, fra l'altro, mettendo insieme un centro di ricerca che, appunto, parlerà sicuramente di innovazione. Metteremo insieme tutto quello che è possibile per quanto riguarda il tessile, di cui continuo a parlare in quanto, dagli studi svolti sia con la Fondazione Nord Est, sia con l'istituto Nomisma, risulta che esso rimarrà un punto di riferimento nel distretto, almeno per i prossimi quindici-venti anni.
Per innovare questo settore bisogna andare, innanzitutto, verso un tessile etico. Stiamo producendo tipi di tessuto senza emissione di CO2, per cui già siamo un bel pezzo avanti. Inoltre, l'innovazione sui tessuti vuol dire tessuto tecnico e non solamente tessuto per abbigliamento.
Abbiamo inoltre, all'interno di Confindustria, una sezione che si chiama «Il club dei quindici», cui aderiscono le quindici province «più manifatturiere» d'Italia. L'iniziativa che adesso è in discussione e che verrà presentata fra poco, parla di indirizzo degli studi tecnici. Ognuno di noi adotta, al proprio interno, un istituto tecnico, affinché sia rivalutato rispetto ai licei (che hanno fatto tanta strada e che, però, a livello puramente di servizio all'attività tecnica, non risultano poi così validi). In definitiva, stiamo cercando di muoverci e non solamente di presentare le richieste illustrate nel corso di questa audizione. Cerchiamo di proporre qualcosa per il nostro futuro, poiché cerchiamo di avere una visione più lungimirante.


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STEFANO BELLANDI, Segretario generale della CISL Prato. Per la nostra organizzazione sindacale l'emergenza primaria, ovviamente, è l'occupazione e il lavoro. I numeri anticipati da chi mi ha preceduto rappresentano, forse in minima parte, la realtà che i lavoratori di Prato stanno vivendo. Riporto un dato dell'ultim'ora, riguardante la cassa integrazione in deroga. Dal 23 marzo al 31 marzo 2009, in questo brevissimo lasso di tempo, sono state fatte richieste di cassa integrazione in deroga da 182 aziende, per 843 addetti.
Gli ammortizzatori sociali che la regione ha messo in campo - i 10 milioni di euro di cui richiediamo velocemente l'erogazione - serviranno a tamponare l'emergenza iniziale, quantomeno per tutta la Toscana. Prato avrà necessità di ammortizzatori sociali realmente fruibili nel breve periodo, altrimenti si rischia veramente la crisi sociale del distretto.
Ovviamente, condividiamo tutto il discorso sull'innovazione che è stato già fatto e affrontato; condividiamo che le imprese debbano essere sane per produrre lavoro buono. Siamo, tuttavia, in un momento in cui l'acqua ha ormai raggiunto gli argini e, dunque, o li alziamo, o il fiume straripa.
Successivamente faremo bene a individuare quali siano state le cause del fenomeno, però l'attuale emergenza sociale è alta: abbiamo bisogno di sostegno per la cassa integrazione in deroga e per gli ammortizzatori sociali, in particolare per la mobilità, come è riportato anche nella documentazione che vi abbiamo consegnato

MASSIMO MELANI, Presidente regionale di Federmoda Cna. Condivido tutto quello che è stato detto perché, in linea di massima, si tratta della piattaforma che è stata condivisa a Prato.
Volevo toccare un punto che ritengo importante e al quale si è già accennato: alludo alle microimprese con due addetti. Innanzitutto, voglio rimarcare che oggi una persona che apre un'azienda, per forza di cose, deve cominciare dal basso, cioè con un'impresa familiare, oppure con un dipendente. Si consideri il nanismo delle nostre imprese e ci si chieda come mai le piccole imprese artigiane non crescano, nonostante che rappresentino il fiore all'occhiello del sistema moda. Di fatto, le piccole imprese e la subfornitura, a Prato, stanno lavorando per le migliori marche e per la moda in Italia, tanto nel tessile, che nella pelletteria e nell'abbigliamento.
Rilevo che, negli ultimi anni, i finanziamenti sono stati dati a poche imprese industriali, non a quelle della struttura manifatturiera e della micro impresa. Non ci sono state politiche di governo che abbiano contribuito a far crescere le nostre imprese e, in qualche modo, non ci sono state neppure politiche volte all'aggregazione di imprese.
Ben vengano gli stimoli, perché oggi siamo in concorrenza sul costo del lavoro e ciò che permette a un'azienda di essere competitiva nella piccola impresa, non permette alla stessa di esserlo nell'industria con più di quindici addetti. Lo sapete meglio di me: un'azienda artigianale di secondo livello, nel tessile, risparmia 3.500 euro l'anno di spesa rispetto all'industria. Questo è un punto da analizzare e valutare all'interno del Governo, affinché si trovi effettivamente un rimedio al nanismo della nostra impresa.
Sono inoltre convinto che oggi sia importante fornire input a chi vuole rimanere sul mercato. La fiducia è importante e deve essere ispirata da un Governo che, oltre ai necessari ammortizzatori sociali e tutto il resto che è stato qui già citato, deve far vedere che crede in una continuità, per quanto minima.
Che avverrà un ridimensionamento lo abbiamo capito (e lo abbiamo anche visto nel corso degli anni), ma deve comunque essere assicurata una continuità per quelle aziende che intendano continuare un cammino senz'altro difficile, ma che porterà i suoi frutti.
Soprattutto, va portato a regime un sistema di regole più capillare. Non si può


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vivere in un Paese dove ognuno si fa le regole in proprio. Questa è, effettivamente, la realtà attuale.
In questa nazione, apparentemente, convivono due realtà: una realtà nelle regole, che rispetta l'etica, paga le tasse ed i contributi e una realtà che fa quello che le pare.
Abbiamo realtà fiscali che fanno ridere, sul profilo degli utili aziendali. Non alludo soltanto ai cinesi, ma in generale alle aziende che, in qualche modo, non lasciano sul territorio ricchezze da impiegare per ciò di cui oggi abbiamo bisogno: ammortizzatori sociali e quant'altro.
Un altro punto essenziale è il ruolo dell'Unione europea nei confronti della tutela del nostro sistema. A Napoli si sdoganano ogni giorno mille container e si fa passare tutto con un semplice foglio cartaceo. Ci potrebbero essere carri armati, all'interno dei container, e nessuno se ne accorgerebbe.
Credo che le regole siano importanti per tutti, per restituire la fiducia ad un distretto e all'Italia in generale, perché si possa continuare a vivere e a generare ricchezza per il benessere generale dell'intera nazione.

PRESIDENTE. Ringraziamo gli auditi per essere intervenuti, per questo scambio costruttivo e per la grande passione che c'è stata nell'esposizione dei diversi punti di vista. Faremo tesoro delle osservazioni che sono state espresse.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16.

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