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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione X
4.
Mercoledì 25 gennaio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Manuela Dal Lago, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA CRISI DEL SETTORE DELLA RAFFINAZIONE IN ITALIA

Audizione di rappresentanti di ENI Spa:

Manuela Dal Lago, Presidente ... 3 7 11 12 13
Bellodi Leonardo, Responsabile delle relazioni istituzionali di ENI Spa ... 3 11 12 13 15
Colaninno Matteo (PD) ... 10
Fanelli Angelo, Direttore generale di ENI Spa ... 10 13 15
Lulli Andrea (PD) ... 9
Mastromauro Margherita Angela (PD) ... 8
Saglia Stefano (PdL) ... 7
Testa Federico (PD) ... 10
Torazzi Alberto (LNP) ... 8
Vico Ludovico (PD) ... 9
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.

COMMISSIONE X
ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 25 gennaio 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MANUELA DAL LAGO

La seduta comincia alle 14,30.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti di ENI Spa.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla crisi del settore della raffinazione in Italia, l'audizione di rappresentanti di ENI Spa.
Saluto i rappresentanti dell'ENI, che sono intervenuti. Ci scusiamo per il rinvio delle date dell'audizione che abbiamo dovuto operare in queste settimane. Non è colpa della Commissione attività produttive, ma dei continui cambiamenti nell'organizzazione dei lavori dell'Assemblea. In ogni caso, ci scusiamo con i nostri ospiti.
Vi ringrazio per la relazione che ci avete mandato. Vi chiederei di svolgere una breve illustrazione della vostra posizione per permettere ai parlamentari di porvi tutte le domande che desiderano e dare a voi la soddisfazione di rispondere.

LEONARDO BELLODI, Responsabile delle relazioni istituzionali di ENI Spa. Buongiorno. Innanzitutto vorrei presentare la nostra delegazione di oggi. Penso che molti di voi già conoscano il dottor Stefano Meloni. È la persona che è responsabile per ENI dei rapporti con il Parlamento.
L'ingegner Angelo Fanelli è il direttore generale della divisione Refining & Marketing. Io sono Leonardo Bellodi e mi occupo dei rapporti internazionali di ENI e dei rapporti con i Governi.
Quest'audizione, o meglio l'urgenza di affrontare la problematica relativa alla crisi del settore della raffineria, tema dell'audizione di oggi, nasce in un momento in cui la raffineria di Venezia ha fermato la propria produzione per un periodo di sei mesi. Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Da ciò è nata la richiesta da parte della Commissione attività produttive della Camera dei deputati di far luce sul fenomeno e sulle tematiche relative alla raffinazione in Italia, tematiche che, ovviamente, come vedremo tra poco, comprendono anche alcuni ultimi sviluppi relativi all'embargo deciso l'altro ieri dall'Unione europea.
Tale embargo vieta, come voi sapete, dal 1o luglio - sul punto ritornerò in seguito - di quest'anno l'importazione e la vendita di prodotti petroliferi dall'Iran. È una decisione che, per quanto riguarda non tanto ENI, quanto l'Italia e i flussi petroliferi a livello europeo, avrà sicuramente alcune ripercussioni.
Non posso che ringraziare la Commissione per averci dato l'occasione di fare il punto sulla crisi della raffinazione in Italia, perché purtroppo di crisi stiamo parlando. Si tratta di una crisi iniziata già nel 2008, che, per le ragioni che vedremo, anche se in outline, è destinata, in assenza di interventi maggiori e di carattere strutturale, a nostro parere, ad aggravarsi.


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Cominciamo col sottolineare che il settore della raffinazione è, per quanto riguarda l'Europa, particolarmente strategico. Pensate che impiega circa 600 mila persone in Europa, di cui 100 mila solo in Italia. On top di queste 600 mila persone, 800 mila addetti operano nel settore della petrolchimica, che è strettamente connesso a quello della raffinazione. Stiamo parlando di numeri molto importanti, che in un quadro economico particolarmente fragile hanno una propria rilevanza.
Come possiamo ben immaginare, l'industria della raffinazione è influenzata da due macrotemi. Il primo è quello dell'andamento del prezzo del greggio, da cui si alimenta, e il secondo quello della domanda di prodotti da parte dei consumatori, siano essi civili o industriali.
Guardando ciò che sta succedendo in questi ultimi mesi e, purtroppo, anche in questi ultimi anni, riscontriamo due fenomeni principali. Uno è l'escalation dei prezzi del greggio e l'altro il crollo della domanda dei prodotti petroliferi. Il combinato disposto di questi due elementi fa sì che il quadro che ci troviamo di fronte sia preoccupante.
Oggi vorremmo anche spiegare, in estrema sintesi, perché ci troviamo di fronte a due fenomeni apparentemente in contraddizione. Di solito, le teorie economiche indicano che, se la domanda aumenta, il prezzo aumenta e, se la domanda cala, i prezzi calano. In questo caso ci troviamo di fronte, invece, a due curve che non sono tanto sincrone.
A questo quadro macroeconomico dobbiamo aggiungere, in primo luogo, l'introduzione di regole che qualcuno definisce penalizzanti a livello europeo. Non lo so se siano penalizzanti o meno, se siano giuste o ingiuste, ma di sicuro comportano costi supplementari per il settore della raffinazione in Italia e in Europa.
Il secondo elemento di contesto è la concorrenza di Paesi extraeuropei, con riferimento a Medio Oriente, India e Cina in particolare, che si stanno attrezzando non unicamente per il proprio mercato interno, ma anche per le esportazioni.
Come voi sapete, questi Paesi non solo hanno un prezzo della manodopera particolarmente basso, ma godono anche di sussidi a livello governativo, tanto che di tali Paesi quelli che erano nel WTO hanno procedure aperte di infrazione per pratiche relative ad aiuti di Stato.
Entrando nel merito di questi due punti, partiamo dai costi della raffinazione e, quindi, dal prezzo del greggio. Abbiamo elaborato in merito alcune tabelle che sono contenute nella documentazione che abbiamo consegnato agli atti della Commissione.
Dal 2005 a oggi il prezzo medio del greggio è raddoppiato, passando da circa 50 dollari al barile a oltre 100 dollari. Il prezzo del greggio è una cifra che difficilmente si indovina. Pensate che nel 1998 il prezzo del greggio era a 8 dollari al barile. Una famosa vignetta di The Economist recitava «Andrà a 5?». Sappiamo, però, che non è andata così. Il prezzo del greggio è veramente un tema sul quale nessuno, credo, può fare grandi scommesse. Ovviamente, e questa sembra una contraddizione, il fatto che il greggio aumenti ha un impatto sul costo della raffinazione, perché per raffinare, come l'ingegner Fanelli ci insegna, si consuma energia. Più questa energia costa, maggiore sarà il prezzo della raffinazione.
Dunque, dal 2005 al 2011 il costo dell'energia consumata per le raffinerie è aumentato del 150 per cento. Sono costi che ovviamente non sono stati traslati a carico del consumatore, perché sarebbe stato impossibile e che, dunque, hanno ridotto il margine di contribuzione della raffinazione.
Inoltre, il che è piuttosto importante, il differenziale tra il brent, che è il riferimento del greggio per il mercato europeo, e il WTI, che è il riferimento per gli Stati Uniti, ha raggiunto più o meno i 20 dollari a barile, generando così una situazione di vantaggio per le raffinerie americane, che lavorano sul brent, rispetto alle nostre, che hanno come riferimento il WTI.
Inoltre, e veniamo purtroppo a eventi di questi giorni, ci sono alcuni fenomeni esterni all'Unione europea che hanno particolarmente


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aggravato sia il quadro sostanziale, sia la percezione da parte dei trader e degli operatori. Da un lato, ci sono stati i fatti della «primavera araba» che - se continua così - si trasformerà in un inverno arabo. Sabato scorso siamo stati in Libia e la situazione, per quanto riguarda le nostre produzioni, è a posto, ma sicuramente, per quanto riguarda la situazione politica, ci sono alcuni elementi di preoccupazione. Come voi sapete, questi signori iraniani non fanno nulla per aiutarsi e, dunque, hanno provocato una forte reazione da parte della Comunità internazionale e soprattutto dell'Unione europea, le quali hanno deciso un embargo. Dall'altro lato, c'è stata la minaccia della chiusura dello stretto di Hormuz e il combinato disposto di tutto ciò fa sì che noi vediamo tensioni sui prezzi del petrolio.
La strategia russa - la Russia sta giocando un ruolo molto importante in questi mesi - prevede il dirottamento del greggio Ural, una materia prima avente minor costo rispetto al brent e utilizzata nelle maggiori raffinerie europee, dal Mediterraneo alla Cina.
Dunque, sul fronte dell'offerta, abbiamo sicuramente un problema di tensioni sul mercato. Sul fronte, invece, della domanda vediamo tutti com'è la situazione. Pensate che la crisi economica dal 2008 a oggi ha provocato il crollo dei consumi di prodotti petroliferi di 40 milioni di tonnellate nella sola Unione europea, di cui il 15 per cento in Italia. È un fenomeno al quale non abbiamo mai assistito dal dopoguerra a oggi e, apro un inciso, che non interessa solo il settore del greggio (petrolio e benzina), ma anche il settore del gas. Pensate allo scenario dell'Agenzia internazionale per l'energia al 2035. Questi scenari al 2035 contano e voi me lo insegnate.
Un politico inglese sosteneva che una settimana in politica è un tempo molto lungo. Lo sta diventando anche nel nostro settore, che era piuttosto noioso e stabile. Si comincia ora ad avvicinare molto al vostro, perché noi stessi abbiamo problemi a prevedere che cosa succederà non dico al 2035, ma anche tra un mese.
Le stime di queste agenzie internazionali hanno ripercussioni per quanto riguarda il posizionamento dei trader e delle società petrolifere e creano ovviamente aspettative negative o positive. Lo scenario dell'Agenzia internazionale per l'energia è uno scenario che dà un trend di ulteriore riduzione dei consumi a un tasso più o meno dell'1-1,5 all'anno, il che non è poco.
In più, e questo è un fenomeno che riguarda l'Europa e particolarmente l'Italia, la domanda di prodotti petroliferi si è spostata dalla benzina al diesel. Il mercato si è molto sbilanciato. Noi abbiamo un sistema di raffinazione che non necessariamente ci avvantaggia rispetto a tale scelta. Poiché, inoltre, tutti non possono che dare la colpa all'Europa, anche noi non siamo da meno e ovviamente pensiamo che l'Europa non abbia una colpa, ma certamente contribuisca a questo aggravio di costi e di oneri.
Il pacchetto «20/20/20 by 2020», la direttiva sulla qualità dei carburanti e l'applicazione assolutamente legittima di nuove disposizioni internazionali in materia di trasporti marittimi di greggi fanno sì che ci sia un aumento di oneri e costi per le imprese.
Non entriamo nel merito se queste siano misure giuste o meno. Personalmente, ritengo che tutto ciò che si fa per l'ambiente sia assolutamente sacrosanto. Di certo, però, provoca un aumento dei costi.
L'escalation dei prezzi del greggio e il crollo della domanda di prodotti petroliferi hanno determinato una situazione di crisi del settore. Ne parlavamo molto spesso con il Ministro Romani. C'è una riduzione significativa del tasso di lavorazione delle raffinerie. Nel periodo 2005-2008 tale parametro era al 97 per cento, praticamente al 100 per cento. Ora la capacità è di poco superiore al 70 per cento, con una perdita per le nostre raffinerie molto importante. Inoltre, abbiamo assistito ad una continua riduzione dei margini di raffinazione a causa del combinato


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disposto degli elementi che ho citato prima, per cui si è scesi sotto il 70 per cento dal 2008 e, dunque, si è verificata una riduzione dei profitti dei raffinatori europei. Non parliamo di riduzione nel senso che da 100 guadagniamo 10, ma di un margine di contribuzione addirittura negativo.
So che voi siete abituati a produttori industriali che fanno un po' di terrorismo e propongono di chiudere tutto. Noi non vorremmo continuare sulla medesima linea. Temiamo, però, che in questo contesto, se continua così - magari il prossimo mese è tutto diverso, ma si potrebbe anche continuare in questo modo - se analizziamo questo trend, abbiamo sicuramente davanti a noi un periodo molto difficile. C'è chi ipotizza addirittura la chiusura di sette raffinerie su dieci in Europa. È un dato che vi riportiamo, perché ce lo riferiscono le diverse associazioni europee di raffinatori.
Speriamo di no. Mentre in Italia noi, però, per tante ragioni, a mio parere giuste, cerchiamo di contrastare i fenomeni di chiusure in altri settori, in altri Paesi non c'è la stessa attenzione e tantissime raffinerie sono state fermate per periodi lunghissimi, chiuse oppure vendute.
Come voi sapete, in Italia c'è una capacità di raffinazione pari a 100 milioni di tonnellate, distribuite su 15 raffinerie, che sono certamente tante, per la verità, e noi stimiamo per i prossimi anni un eccesso di capacità superiore a 20 milioni di tonnellate. Per darvi un'idea, 20 milioni di tonnellate corrispondono a circa quattro raffinerie di media dimensione.
Qual è il problema che noi affrontiamo? Il problema è che ovviamente tutte queste raffinerie sono situate in differenti regioni e che ognuno propone di chiudere o fermare le altre. È una questione facilmente comprensibile. Abbiamo fermato la raffineria di Venezia per un periodo di sei mesi, perché era quella che aveva un margine di contribuzione negativo maggiore delle altre: più producevamo e più perdevamo. Si tratta di una situazione che ha fatto sì che abbiamo chiesto e ottenuto con mille difficoltà alcune concessioni. L'onorevole Saglia ha presieduto un tavolo particolarmente vivace, nel quale i partecipanti si sono sbizzarriti.
Permettetemi una chiosa finale. Noi abbiamo fermato una raffineria per sei mesi con cassa integrazione al 100 per cento, nel senso che ENI ha integrato quanto gli ammortizzatori sociali non davano, con una promessa scritta col sangue, ossia che avremmo riaperto sei mesi e un giorno più tardi.
Abbiamo avuto contestazioni molto vivaci, anche con minacce personali. Sono situazioni che non giudichiamo ragionevoli rispetto a quanto succede negli altri Paesi europei. È una chiosa, al di là della documentazione che vi abbiamo consegnato.
Questa è la situazione. Prima di procedere alla conclusione e illustrarvi le possibili soluzioni, permettetemi di mostrarvi un quadro sintetico del sistema di raffinazione ENI in Italia e in Europa.
ENI è il primo operatore nel settore della raffinazione e della distribuzione di prodotti petroliferi in Italia. Siamo presenti anche nel resto dell'Europa, a livello sia di raffinazione, sia di vendita rete ed extra rete. Nel 2010 abbiamo una capacità di raffinazione di circa 38 milioni di tonnellate e un indice di utilizzo, purtroppo, non altrettanto incoraggiante.
In Italia abbiamo cinque raffinerie di proprietà, deteniamo il 50 per cento della raffineria di Milazzo e ciascuna delle raffinerie ha una propria connotazione: c'è chi può raffinare i greggi pesanti, chi i greggi leggeri e chi i medi, il che fa sì che dobbiamo tener presenti i diversi scenari internazionali, perché il greggio libico non è certamente il greggio di altri Paesi, ragion per cui una raffineria può essere più penalizzata rispetto a un'altra, a seconda della provenienza del greggio che tratta e che è disponibile.
Queste raffinerie in Italia sono senza dubbio tante. Voi sapete, e di ciò devo molto ringraziare il lavoro svolto dal Ministro Prestigiacomo fino a poco tempo fa, che abbiamo investito notevoli risorse in una nuova tecnologia, la tecnologia EST


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nella raffineria di Sannazzaro de' Burgondi. In questa raffineria abbiamo investito veramente molti soldi per implementare la nuova tecnologia.
L'investimento è stato compiuto a tempo di record grazie ad alcune autorizzazioni che ci sono state concesse in tempi ragionevoli, ma soprattutto compatibili con i nostri piani di investimenti. Purtroppo, come vi comunicavo prima, essendo noi molto dipendenti da eventi esogeni - non possiamo controllare lo Stretto di Hormuz - dobbiamo compiere gli investimenti quando ci si apre una finestra e, quindi, per noi era estremamente importante l'approvazione di investimenti in tempi ragionevoli, pur ovviamente nel rispetto delle procedure previste dalle norme in materia.
Naturalmente, tutto ciò è stato importante, ma non basta. Con riferimento ai risultati economici nel settore refining e marketing del sistema di raffinazione, per quanto riguarda ENI, dal 2009 al 2011 abbiamo riportato perdite per oltre un miliardo di euro. A queste perdite, chiedo scusa se introduco una ulteriore osservazione, dobbiamo sommare altre perdite di ENI in Italia, legate alla petrolchimica e anche a tutte le attività regolate per legge negli anni Ottanta e che abbiamo chiuso.
Lo scenario non è così roseo per quanto riguarda l'Italia. Le perdite sono molto alte e anche le vendite di gas, che erano uno dei nostri fiori all'occhiello per quanto riguarda il nostro Paese, soffrono sia della caduta dei consumi di gas, per la prima volta nella storia, sia del fatto che noi siamo molto legati a contratti take-or-pay, che fino a due anni fa erano estremamente vantaggiosi rispetto al mercato spot e che in questo momento si dimostrano meno vantaggiosi.
Dunque, noi abbiamo dovuto pagare gas che non abbiamo poi ritirato. Questo gas non è perso, andrà in coda ai contratti take-or-pay, però, nel frattempo, il nostro conto economico ne ha sofferto, perché non siamo riusciti a vendere il gas che noi riceviamo da alcuni Stati, quali, per esempio, la Russia e la Norvegia.
So già che il professor Testa sicuramente affermerà che abbiamo fatto male a stipulare tutti questi contratti take-or-pay, osservo che è molto semplice svolgere una simile considerazione oggi. Se noi avessimo avuto quest'audizione due anni fa, questa nostra scelta sarebbe stata considerata oculata, dal punto di vista della sicurezza degli approvvigionamenti, ma anche dal punto di vista del nostro conto economico. Oggi la situazione non è tale, però vediamo che cosa succederà nel prossimo futuro.
Che fare, in conclusione? In primo luogo, ovviamente, parliamo di interventi di razionalizzazione, un tema che non vi piacerà molto, nel senso che razionalizzazione significa fermata e chiusura di impianti.
In secondo luogo, occorre svolgere un discorso di semplificazione amministrativa per quanto riguarda gli interventi di bonifica e di riconversione dei siti dismessi.
In terzo luogo, secondo noi, c'è bisogno di un sistema di fiscal bonus per quanto riguarda i certificati verdi e gli interventi sull'efficienza energetica.
Chiuderei così il mio intervento, in attesa di vostre eventuali domande. Vi ringrazio per l'attenzione.

PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

STEFANO SAGLIA. Io penso che l'intenzione della Commissione con quest'indagine sia quella di arrivare ad elaborare un provvedimento bipartisan sul tema della raffinazione. C'è consapevolezza, dunque, nella Commissione, dei problemi.
I suggerimenti finali del vostro documento sono sicuramente utili a questo fine, però vorrei chiedervi se, secondo voi, esistono le condizioni per tentare un programma di ristrutturazione europeo della raffinazione, evocando il vecchio programma di riconversioni per la siderurgia che è stato attuato negli anni Ottanta.
A mio avviso, oggi siamo davanti a una crisi di eccesso di capacità produttiva, fondamentalmente. È pensabile, secondo voi,


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che ci sia un'alleanza fra i Paesi più importanti in Europa per arrivare anche a un Piano di ristrutturazione europeo, dal quale possano poi derivare risorse? Stanti le attuali condizioni dei bilanci pubblici statali, siamo un po' in difficoltà. Vorrei sapere se è un obiettivo realistico oppure no.
Passo alla seconda domanda. Ho colto un passaggio dalla relazione del dottor Bellodi che mi spinge a richiamare ciò che è successo oggi.
Il Ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov, sostiene che ci vuole una rapida ripresa dei colloqui tra la comunità internazionale e l'Iran sul programma nucleare di Teheran e indica la Turchia quale sede degli incontri. È un messaggio politico molto forte. Innanzitutto afferma che l'embargo introdotto dall'Europa e dagli Stati Uniti senza la Russia e senza la Cina rischia di essere una pistola senza proiettili, ossia una pistola scarica. In secondo luogo, l'Italia non ha più il ruolo che aveva un tempo, di cinghia di trasmissione tra mondo arabo e mondo occidentale. L'ENI ha avuto un ruolo importante in queste vicende.
Senza fare troppa filosofia, la domanda è quali conseguenze effettive possono esserci da questa situazione, sia per il fatto che si sposta l'asse del dialogo altrove, ad Ankara e non più a Roma, se vogliamo evocare una suggestione, sia a livello pratico. Non credo che il nostro 13 per cento di approvvigionamento di petrolio dall'Iran sia sostituibile con la stessa celerità con la quale abbiamo sostituito altre situazioni. Quali sono i problemi tecnici effettivi delle raffinerie italiane, nel momento in cui viene meno il prodotto iraniano?

MARGHERITA ANGELA MASTROMAURO. Il mio intervento è teso solo a capire meglio alcuni aspetti.
La relazione è stata a tinte piuttosto fosche, ragion per cui la prima domanda è la seguente: le proposte che sono state avanzate di chiusura di impianti, semplificazione delle procedure, fiscal bonus, che risultano generiche, corrispondono a un piano industriale che la società ha già elaborato, per capire se esiste realmente la possibilità di coprire queste partite, che mi sembrano davvero ingenti? Esiste davvero una prospettiva per il settore, oppure sono proposte per continuare a boccheggiare e a sopravvivere? Questa è la prima domanda.
Passo alla seconda, in accordo anche con quanto rilevato dall'onorevole Saglia. Lei parlava, tra le criticità che ha sottolineato, della concorrenza di Paesi extraeuropei e affermava che oggi tali Paesi riescono a esportare a minori prezzi con manodopera a basso costo e sovvenzioni statali.
Dal momento che questo tema riguarda la raffinazione in Europa, è stata presa, a livello europeo, un'iniziativa per attivare procedure di countervailing e anti-dumping, che in sede WTO sono generalmente gli strumenti dati ai nostri Paesi per difendersi?
Inoltre, mi piacerebbe capire e sapere quanto incidono queste importazioni, se sono determinanti ai fini della crisi oppure no.

ALBERTO TORAZZI. Vorrei porre due ordini di domande.
Il primo riguarda l'impatto dell'embargo nei confronti dell'Iran sul costo dell'energia, non solo per voi, ma anche per le imprese e le famiglie.
Vorrei capire la vostra opinione relativamente alla politica dell'Unione europea e chiedere se mi confermate il fatto che la Shell avrebbe avuto una deroga per continuare a commerciare il petrolio.
Inoltre, chiedo se, sempre a vostro parere, svolgendo un ragionamento in termini di commercio e di quantità, lo strumento dell'embargo abbia un senso, se la Cina ne rimane fuori, come mi risulta.
Vorrei sapere, inoltre, che cosa vi aspettate dal nostro Governo e se l'ENI dovrebbe essere più coinvolta, visto che è molto importante, che noi siamo un Paese manifatturiero e che, a differenza degli inglesi, non vendiamo, ma utilizziamo l'energia. Vi chiedo se voi non riteniate che sarebbe necessario per la nostra Commissione


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dare un input più pesante al Governo in questo senso.
Passo al secondo ordine di questioni. Tornando a quanto sentito dagli altri soggetti che hanno partecipato a queste audizioni, ossia le altre imprese e gli altri operatori, mi chiedo se voi non riteniate - considerato il precedente statunitense delle misure anti-dumping sulle merci cinesi per via della svalutazione competitiva - che nel nostro caso ci sia un dumping ambientale pesantissimo. È veramente folle affermare che il mondo è di tutti, quando si tratta di stringere noi i bulloni, metterci nelle condizioni migliori per rispettare le regole e poi, invece, continuare a importare da chi produce senza rispettare l'ambiente e senza sicurezza per i lavoratori.
Vorrei sapere se voi non riteniate che ci siano i presupposti, in sede europea, per introdurre alcuni dazi anche in considerazione di quanto ricordava il collega Saglia, dal momento che occorre ristrutturare un intero settore in crisi.

LUDOVICO VICO. Ringrazio i rappresentanti dell'ENI. Porrò alcune domande piuttosto semplici che derivano dal quadro che ci è stato offerto in questa sede, che risulta assai preoccupante e che, grazie all'indagine in corso sulle società partecipate dallo Stato, si arricchirà di nuove informazioni e dati.
Preciserò subito che ho un'impressione, che spero potrà essere chiarita nel prosieguo dei nostri lavori, su quale sarà nel prossimo futuro l'impegno dell'ENI nel nostro Paese, ovviamente con riferimento alle attività sia esplorative, sia di produzione. Questo è il punto più delicato che chi vi parla in questo momento, si pone.
In via riflessa tale problematica riguarda anche la crisi del settore della raffinazione. Però vi prego di tener conto che esiste questo grande interrogativo, reso ancor più pressante dal quadro generale che ci è stato presentato. Le considerazioni che ha posto l'onorevole Saglia mi trovano perfettamente d'accordo, ragion per cui non aggiungo nulla in merito.
Voi prevedete per il 2014 una riduzione dei costi fissi a carico delle raffinerie, a fronte del previsto utile operativo della divisione, che ha segno positivo, come è ovvio. Sono le perdite operative quelle che mi sembra lei ci abbia rappresentato. Il primo problema che si pone è se il programma per il 2014 marcia lungo i segnali di Venezia, per dare un'impressione fattiva.
Come secondo punto, è evidente che la lavorazione del petrolio e dei semilavorati presenta alcune criticità. Ciò premesso, poiché la questione relativa a Venezia meriterebbe una risposta in questa sede e non solo al MiSE, dove c'è un tavolo aperto, la questione centrale che si pone è se gli investimenti che attualmente sono stati effettuati in alcune raffinerie riguardino gli investimenti di Enipower.
C'è, però, un grande settore, cui lei ha accennato, ossia la questione degli obiettivi del 20-20-20, che forse meriterebbe più attenzione, in particolare per ciò che riguarda la produzione, l'integrazione fra le raffinerie e la conversione degli impianti esistenti in direzione della green economy e l'esperimento importante che con Novamont state svolgendo a Porto Torres. Vorrei capire se e quanto il gruppo ENI intenda confermare l'impegno di investimenti nel proprio Paese d'origine, che, a mio giudizio, dovrebbe essere straordinario, per le ragioni relative alla crisi generale che il Paese sta vivendo.

ANDREA LULLI. Avete valutato - ovviamente l'avrete fatto - l'incidenza del cambio euro-dollaro sulle analisi? Mi interesserebbe approfondire questo aspetto.
Lei ha affermato che l'aumento del consumo del gasolio e il calo della benzina hanno accentuato la crisi delle raffinerie in Italia. Vorrei capire perché tale rischio non sia stato preso in considerazione da parte vostra. Non mi pare che si trattasse di una previsione difficile da effettuare alcuni anni fa.
Venendo alla terza domanda, lei ci ha presentato alcune proposte che mi paiono sostanzialmente interessanti in una logica di resistenza. Vorrei capire se ENI ha


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interesse, invece, a impegnarsi nei settori destinati a sostituire le raffinerie.
Del resto, lei ha sostenuto che non vuole commentare il quadro normativo europeo, che però non è semplicemente un quadro di vincoli amministrativi, ma comprende anche una determinata scelta di sviluppo economico che l'Europa ha compiuto. Si può discutere se sia giusta o sbagliata. Io la condivido, ma ciò è conseguente al fatto che i grandi soggetti devono non solo avere un'attenzione rispetto ai costi che si determinano nell'attuale apparato industriale, ma anche un'idea di come utilizzare questa scelta, che non è solo ambientalista, ma anche di sviluppo.
Naturalmente mi associo alle domande poste sulle questioni che attengono ai problemi della Libia, che speriamo risolti - io non ne sono tanto sicuro, ma spero che lo siano - e a quelli relativi all'Iran, che ovviamente possono comportare problemi aggiuntivi non secondari per il settore della raffinazione.
Il problema riguarda la politica estera e il ruolo nel Mediterraneo. Su questo tema non intendo criticare l'ENI, perché è più un problema della politica che, a mio avviso, negli ultimi anni ha abbandonato la tradizionale amicizia verso i Paesi arabi che era essenziale agli interessi nazionali italiani.

MATTEO COLANINNO. Vorrei sapere a quanto ammonta l'EBITDA del settore raffinazione rispetto a quello complessivo del gruppo e, se possibile, quanto è l'EBITDA nell'ambito della raffinazione in Italia.
Quello del gruppo è noto, sarà sul sito e immagino che lo conoscerà. Mi interessa conoscere quanto è l'EBITDA del settore Refining & Marketing e quanto è quello italiano, se avete il dato.

FEDERICO TESTA. Pongo tre questioni molto veloci.
Nel suo intervento lei ha fatto più volte riferimento all'eccesso di capacità produttiva, però la capacità produttiva in settori capital intensive come questi si valuta nel medio-lungo periodo. Stando a ciò che parrebbe di capire, il calo grosso della domanda rispetto alla capacità produttiva si è verificato proprio in questi anni di crisi, cioè negli ultimi anni.

ANGELO FANELLI, Direttore generale di ENI Spa. Dal 2006.

FEDERICO TESTA. La prima crisi Lehman Brothers è avvenuta nel 2006.
In altri settori, in cui pure il gruppo è presente, come la produzione di energia elettrica, ci sono i turbogas che vanno al 30 per cento. È un problema analogo, probabilmente riferibile molto al dato crisi.
Si tratterebbe di capire, dunque, se al di là del dato puntuale degli ultimi cinque anni, che possiamo considerare anni di crisi acclarata, voi avete prospezioni che riguardino un possibile trend di medio-lungo periodo in ipotesi di ripresa dell'economia, che speriamo tutti avvenga. Questa è la prima questione.
Vengo alla seconda questione, peraltro già sollevata dalla collega Mastromauro. Sarebbe interessante capire più puntualmente il dato sulle importazioni in dumping da parte dei Paesi in via di sviluppo. Il 2 per cento non significa nulla.
Infine, una terza questione, velocissima, solo perché il dottor Bellodi vi ha fatto espresso riferimento e, quindi, è giusto dargli soddisfazione. È evidente che i take-or-pay danno garanzie nel medio-lungo periodo, mentre lo spot no. Tuttavia, la capacità imprenditoriale si valuta proprio sulla capacità di fare i conti con i rischi. È evidente che, se ci si copre del tutto dal rischio con la clausola take-or-pay, poi si corre il rischio, come in questi ultimi due anni, di pagare il petrolio due o tre volte tanto, un po' di più, non il pochissimo cui accennava il dottor Bellodi strumentalmente, ma parecchio di più di quanto lo pagherebbe sul mercato spot. È un costo che evidentemente c'è.
Vorremo capire meglio quanto siamo esposti sul take-or-pay e quanto spazio abbiamo di utilizzo di un mercato spot, che è molto facile.


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PRESIDENTE. Vi ringrazio e intervengo anch'io, prima di passarvi la parola per le risposte. In merito, vi prego di essere concisi. Eventualmente, se non aveste il tempo di rispondere a tutte le questioni poste, vi chiedo di inviarci successivamente un documento scritto.
Quest'indagine conoscitiva è nata soprattutto per conoscere le problematiche relative alle ipotesi di chiusura di alcune raffinerie in Italia; da veneta penso, per esempio, a Mestre. Non ho capito bene che cosa avete intenzione di fare per questo impianto; le chiedo brevemente quali siano le intenzioni di ENI in proposito. Mi pareva di aver colto dal collega Vico la medesima richiesta di chiarimento. Parliamo anche di molti lavoratori coinvolti, che potrebbero evidentemente avere alcuni problemi di prospettiva.
Do ora la parola ai nostri ospitI per la replica.

LEONARDO BELLODI, Responsabile delle relazioni istituzionali di ENI Spa. Con il suo permesso, presidente, risponderemo alle domande sia io, sia l'ingegner Fanelli.
L'onorevole Saglia, l'onorevole Mastromauro e l'onorevole Torazzi hanno posto alcune domande relative alla questione Iran e Turchia, soprattutto in merito alle possibili iniziative del nostro Governo, di quale sia la posizione dell'Italia rispetto all'Iran e che cosa la Shell ha ottenuto.
Noi avremo, come voi sapete, un embargo totale dal 1o luglio 2012 per quanto riguarda le importazioni di greggio da parte dell'Iran. Questa decisione dell'Unione europea, che poi si trasformerà in un regolamento del Consiglio, prevede due eccezioni. La prima è una deroga per quanto riguarda i pagamenti di contratti pregressi, che è stata applicata a noi. Noi abbiamo con l'Iran due contratti firmati nel 2000 e nel 2001 e siamo pagati con greggio. Dunque, non riceviamo soldi, ma greggio.
Alla fine di un lungo percorso durato tre anni, abbiamo ottenuto dagli Stati Uniti, con una lettera ufficiale da parte del Dipartimento di Stato firmata da Hillary Clinton, un waiver, in sostanza un atto scritto di rinuncia. Il contenuto di tale accordo è che loro non sanzioneranno ENI, malgrado siano state previste alcune sanzioni, purché non si compiano nuovi investimenti in Iran. Nel contempo, è concessa la possibilità di continuare ad adempiere ai contratti, cioè ad eseguire tali contratti fino alla loro scadenza naturale.
Che cosa abbiamo fatto presente al nostro Governo e all'Unione europea in queste settimane di discussione a Bruxelles? Abbiamo osservato che era una contraddizione il fatto che a livello americano noi avessimo ottenuto una deroga (il waiver), ossia la possibilità di andare avanti con i nostri contratti, mentre a livello di Unione europea venivamo bloccati, perché non eravamo più in grado di ricevere il petrolio come corrispettivo per il pagamento dei nostri contratti.
Tale argomentazione è stata accolta favorevolmente da parte di tutti gli Stati membri e, dunque, abbiamo la possibilità, nell'ambito di questo pacchetto, di continuare a prendere il greggio che serve per il pagamento dei contratti del 2000 e 2001 fino alla loro scadenza naturale, che per il momento è il 2014.
Dunque, questo è un regolamento di cui non beneficia solo Shell, ma di cui beneficiamo anche noi. Deriva, a mio giudizio, prima che da una regola di certezza giuridica, da una regola di buonsenso.
Tale regolamento, che non riguarda tanto noi, ma potrebbe riguardare anche noi, prevede una cosiddetta review clause. L'Unione europea ha introdotto l'embargo, per cui nessuno si muove e dal 1o luglio nessuno effettua più trading. Nel momento in cui, però, questo embargo dovesse mettere in grave pericolo l'economia di uno Stato membro, è possibile rivedere l'embargo medesimo.
Chi ha chiesto questa clausola? L'ha chiesta la Grecia, perché gli iraniani, che non sono sciocchi, in questi mesi hanno concordato con la Grecia di anticiparle il greggio di cui ha bisogno e che la Grecia avrebbe pagato non subito, ma in seguito.
Chiaramente, la Grecia, che ha la situazione economica che tutti noi conosciamo, ha visto aumentare la percentuale


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di greggio iraniano, perché non lo paga e, dunque, si pone come un alleato dell'Iran all'interno dell'Unione europea. Questa dilazione del 1o luglio, questo phasing out serve alla Grecia per riorganizzarsi. Nel caso in cui la Grecia o un altro Stato non dovesse riorganizzarsi, il Consiglio dell'Unione europea si riunirà di nuovo per cercare di capire come intervenire. Questo è il quadro per quanto riguarda il discorso iraniano.
Con riferimento alla questione con la Turchia, effettivamente siamo molto attenti alla Turchia, perché è sicuramente un crocevia per quanto riguarda il transito. Segnalo, peraltro, che sui rapporti con l'Iran, discorso che non è così semplice - non voglio fare geopolitica, perché non è il nostro mestiere - ovviamente un grosso ruolo in questo discorso dell'embargo è stato svolto da Israele. Rappresentanti di Israele hanno visitato la Grecia sei volte negli ultimi tre mesi. Non era mai successo dal dopoguerra a oggi. Alcuni analisti politici pensano che queste visite siano in funzione antiturca.
In realtà, quindi, la Turchia vuole giocare un ruolo, però poi c'è Israele, ci sono gli Stati Uniti, c'è il problema tra il Congresso e l'Amministrazione americana. Si tratta di una serie di variabili che non rendono tutto semplice.
Shell ha ottenuto una deroga, non ancora però completamente accettata dagli americani, per quanto riguarda il campo di produzione di idrocarburi di Shah Deniz in Azerbaijan, che ha una quota di una società iraniana. Tecnicamente, quindi, loro erano all'interno dell'embargo. Ne stanno uscendo, anche se non completamente. Questo è il punto per quanto riguarda il discorso Iran.
Per quanto riguarda il discorso dumping, lei ha perfettamente ragione, onorevole Mastromauro. Il problema del dumping è che il regolamento WTO non comprende due tipi di dumping, il cosiddetto dumping sociale e il dumping ambientale.
Innanzitutto, non tutti gli Stati appartengono al WTO e, già ciò rappresenta un problema, ma andiamo avanti. Se uno Stato ha un costo della manodopera che è un centesimo di quello europeo, questo è dumping sociale, ma non può essere preso in considerazione da parte dell'Unione europea con l'istituzione di un dazio. Può essere giusto o sbagliato. Io credo fermamente che sia sbagliato, ma non importano le idee mie o di altri. È così.
Dunque, non si può fare nulla nei confronti della Cina, per esempio, o di altri Stati che hanno un costo della manodopera infinitamente minore rispetto al nostro.
Lo stesso discorso si applica al dumping ambientale. In alcuni Stati ci sono regole meno stringenti e ciò non può essere tenuto in considerazione. Anzi, ai sensi proprio del regolamento WTO, non si può bloccare l'importazione da parte di altri Stati solo sulla base del fatto che non hanno le nostre stesse regole ambientali. È vietato dal WTO.
Si è provato con il discorso della chimica del sistema REACH a instaurare norme europee chimiche e a sostenere che ci sono alcune regole e che tutte le società extraeuropee che non hanno tali regole non possono importare. Vi posso assicurare che ci sono due tipi di problemi. Vi è un problema giuridico enorme, perché ci sono questioni a livello di WTO, ma soprattutto un problema di efficacia di questo divieto, perché i prodotti di tali società comunque entrano.
Purtroppo, il discorso dumping è molto bello in teoria, però le regole o non sono applicabili o, quando lo sono, sono facilmente aggirabili. Da questo punto di vista non credo che si possa fare molto.
Vedo che stranamente il professor Testa annuisce, ragion per cui devo aver svolto una considerazione lapalissiana.

PRESIDENTE. Le chiedo scusa, ma dovrebbe concludere il suo intervento di replica perché è prevista anche una riunione dell'ufficio di presidenza della Commissione.

LEONARDO BELLODI, Responsabile delle relazioni istituzionali di ENI Spa. Ho quasi finito.
Sul discorso della presenza italiana, onorevole Vico, ci siamo confrontati tante volte.


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Lei sa che, per quanto riguarda l'Italia, noi ci siamo e anche Paolo Scaroni ha dichiarato che ci vogliamo restare.
Per rassicurare il presidente, noi abbiamo effettuato a Marghera, e non già a Mestre, la chiusura della raffineria di sei mesi...

PRESIDENTE. A me interessa cosa eventualmente succederà dopo.

LEONARDO BELLODI, Responsabile delle relazioni istituzionali di ENI Spa. Apriamo di nuovo gli impianti. Il 2 maggio alle ore 8 del mattino riapriamo. Abbiamo effettuato un tipo di fermata che ci consente di riavviare gli impianti dopo sei mesi e un giorno. Abbiamo firmato l'accordo alla Sala Verde.
Sul discorso dei prezzi in Italia e che cosa potremmo fare, prima di lasciare la parola all'ingegner Fanelli per le altre domande, rispondo che potremmo ridurre notevolmente il costo della bolletta energetica italiana, se ne avessimo il coraggio.
Mi rivolgo all'onorevole Stefania Prestigiacomo, che è stata, purtroppo, l'iniziatrice di questa questione. Noi siamo l'unico Paese che, a seguito dell'incidente di Macondo, ha emanato una norma restrittiva sulle produzioni di petrolio e gas nei propri offshore.
Mi spiego meglio. È vero che gli Stati Uniti, l'Inghilterra e la Norvegia, all'indomani di Macondo, hanno posto uno specifico divieto, così come abbiamo fatto noi. È vero. È altrettanto vero, però, che questi altri Paesi l'hanno immediatamente eliminata. Nel momento in cui hanno capito che cosa è successo, l'hanno eliminata. Inoltre, essa non ha mai riguardato il gas, ma unicamente il greggio.
Noi abbiamo fatto l'opposto di quanto hanno fatto gli altri Paesi, cioè abbiamo inserito una norma che riguarda anche il gas e che, a differenza degli altri Paesi, è rimasta in vigore. Il legislatore è sovrano e non siamo certo noi a poter stabilire se ciò è giusto o è sbagliato. Siamo sempre rispettosi della sovranità. Di certo, però, nel momento in cui ci si chiede quale potrebbe essere la ricetta per la riduzione della bolletta energetica, non possiamo che sottolineare il fatto che noi siamo un Paese che molto potrebbe produrre e che non produce per alcune ragioni. Queste ragioni possono essere valide, però questo è lo stato delle cose.
Sulle domande dell'onorevole Colaninno e anche, in parte, dell'onorevole Lulli sull'incidenza del cambio dollaro-euro che ci penalizza, di cui tratterà l'ingegner Fanelli, rispondo solo che, per quanto riguarda le osservazioni svolte dall'onorevole Colaninno, non possiamo dare dati troppo disaggregati perché, se li portiamo in questa sede, li dovremmo portare anche, per una regola di trasparenza informativa, a Consob e a diversi nostri investitori.
Dunque, le forniremo alcuni dati che non corrispondono perfettamente alla tipologia di dati che ci ha chiesto, perché sono dati price sensitive.

PRESIDENTE. Sono come quelli dell'azienda dell'onorevole Colaninno, ossia riservati.

LEONARDO BELLODI, Responsabile delle relazioni istituzionali di ENI Spa Non sono riservati, però o li diamo a tutti, o non li diamo a nessuno. Non è un discorso di riservatezza.

ANGELO FANELLI, Direttore generale di ENI Spa. Vorrei soltanto enfatizzare, se mi permettete e se non è emerso da questa nostra rappresentazione, uno stato di forte crisi della raffinazione in Italia. È pur vero che dal 2008 se ne parla, ma forse abbiamo sottovalutato la situazione e adesso nascono i primi veri, grandi problemi.
È nato con il discorso di Marghera ma, se vogliamo, leggendo i giornali di ieri, con il discorso della Petroplus, che è fallita praticamente con cinque raffinerie, con un sistema di raffinazione europeo, in un mercato leggermente diverso dal nostro. È fallita dedicandosi esclusivamente all'attività di raffinazione.
Sono cinque raffinerie, c'è una complessità di impianto simile al nostro, che raffina quanto noi come ENI, quasi a dire che


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una raffinazione soltanto a sé stante di ENI è un sistema fallimentare. Su questo punto dobbiamo lavorare.
L'onorevole ha chiesto qual è il nostro piano. Deve essere un Piano nazionale. Non se ne esce soltanto con un discorso di chiusura di un impianto o dell'altro, perché il complesso sistema di raffinazione si può strutturare in modo diverso in funzione di quello che noi vogliamo ottenere.
È stato chiesto perché non abbiamo programmato una necessaria variazione della domanda dei prodotti benzina e gasolio. È vero. Questo è un discorso che merita una certa attenzione. Ugualmente, noi abbiamo attuato un sistema nel Mediterraneo finalizzato fortemente alla raffinazione di alcuni tipi di prodotti, ad avere alcuni tipi di impianti, che si caratterizzano con un sistema di un indice di complessità che porta ancora a raffinare un prodotto che non serve, cioè la benzina, e ad avere difficoltà nel recuperare il gasolio che viene importato in questo momento. Sarà sempre più importato gasolio dai Paesi dell'Est asiatico, se noi non modifichiamo gli impianti.
Si pone quindi un discorso di investimento e di impianti convertibili o non convertibili. Noi, dove possiamo convertire, l'abbiamo fatto. Il progetto EST (ENI Slurry Technology) è un esempio unico al mondo, basato su tecnologia prettamente italiana. Anche in un momento di crisi già conclamata noi abbiamo investito perché, con una domanda crescente di gasolio, solo questo ci permette di poter arrivare con i nostri impianti. Fondamentalmente, da un greggio medio in Italia e nel Mediterraneo il 40 per cento è gasolio, il 23-25 per cento è benzina, che viene utilizzata sempre di meno, e poi c'è un residuo di oltre il 20 per cento. La tecnologia EST fa sì che il 20 per cento di residuo si trasformi in gasolio, lasciando un residuo del 3 per cento. Ora stiamo cercando di portarlo all'1 per cento. È un investimento legato alla tecnologia e sul quale dobbiamo spingere, come sistema di raffinazione italiano.
È fondamentale il discorso delle raffinerie. Mediamente in Italia le 15 raffinerie di cui parlava Bellodi prima hanno un raffinato di 5,5 milioni di tonnellate l'anno. In Europa sono 8 milioni, mentre l'India conta 30 milioni di tonnellate l'anno. C'è un parametro di uno a sei, un discorso moltiplicatore eccezionale.
Se poi aggiungiamo che le ultime realizzate hanno un indice di complessità, cioè tendono a sviluppare sempre di più prodotti richiesti dal mercato, come il gasolio, intorno a un indice di complessità pari a 16, in Italia abbiamo 5 come indice di complessità. Abbiamo soltanto il cosiddetto topping, quello che fa soltanto un po' di benzina e poi riesce a fare anche un po' di gasolio.
Il discorso è investire, ma selettivamente in quest'ottica, sulla base della domanda futura. La domanda futura porta sempre più a incrementare il gasolio. Teniamo presente che gli studi condotti ultimamente portano a prevedere che nel mondo i prodotti petroliferi incrementeranno del 6 per cento e in Europa, come ha riferito primo Bellodi, avranno una flessione del -1 per cento. Se andiamo a esaminare quali sono i prodotti che vanno bene, vediamo che il gasolio andrà fortemente rispetto alla benzina.
Tornando alla questione del Piano nazionale, esso deve avere un contenuto strategico. L'aspetto strategico è fondamentale per capire che non abbiamo un'alternativa se ognuno opera per conto suo, perché ci porta fondamentalmente a un disallineamento e all'impossibilità di operare. Un impianto da 5 milioni di tonnellate non potrà mai trasformarsi in un impianto con un indice di conversione altissimo, perché non ha un suo ritorno economico.
Dal punto di vista economico, vorrei svolgere soltanto una ulteriore considerazione. I numeri che vi abbiamo illustrato sono il risultato di un'aggregazione tra attività di raffinazione e marketing dell'ENI, della nostra divisione Refining & Marketing, e incidono sull'EBITDA di tutta l'ENI intorno al 2,5 per cento (Commenti).
Conosco il dato della mia divisione, ma non ricordo quello di tutta l'ENI.


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LEONARDO BELLODI, Responsabile delle relazioni istituzionali di ENI Spa. Lei ha ragione, presidente. A oggi i nostri take-or-pay sono take-or-pay per quanto riguarda la Russia, mentre per quanto riguarda la Libia e l'Algeria non abbiamo questo problema. Con l'Algeria abbiamo chiuso la negoziazione prima di Natale e anche con la Libia. La Russia è un problema.
Ricordo solo una questione. Quando, tre anni fa, c'è stato il problema di identificare il fornitore di ultima istanza, nessuno si è fatto avanti ed è stato chiesto a ENI, che era l'unico ad avere disponibilità di gas.
Lo ripeto, c'è sempre una diversità di vedute tra coloro i quali sostengono che dobbiamo essere completamente flessibili per cogliere tutte le possibilità economiche e coloro i quali sostengono che, se noi non abbiamo il gas, l'Italia, non per una scelta fatta da noi, ma per una scelta energetica compiuta in passato, si ferma. Ci dobbiamo sempre attentamente muovere tra queste contrapposizioni fra «Scilla e Cariddi». Non è semplice, ma lei lo sa meglio di me.

ANGELO FANELLI, Direttore generale di ENI Spa. Vorrei completare la risposta ad una questione in particolare. Riguarda il discorso della Comunità europea e del regolamento. Il regolamento va benissimo, ma naturalmente deve essere un discorso che vale per tutto e, quindi, anche per il tema delle importazioni, il che non avviene in questo momento.
Per quanto riguarda, invece, l'adeguamento degli impianti italiani, dal 1997 a oggi, sono stati investiti nella raffinazione 22 miliardi, di cui il 60 per cento per la questione dell'impatto ambientale e per l'adeguamento alle norme europee.

PRESIDENTE. Ringrazio i partecipanti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,45.

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