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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissioni Riunite
(I e II)
2.
Venerdì 27 maggio 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Bruno Donato, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DEL DISEGNO DI LEGGE C. 4275 COST. GOVERNO, RECANTE «RIFORMA DEL TITOLO IV DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE» E DELLE ABBINATE PROPOSTE DI LEGGE C. 199 COST. CIRIELLI, C. 250 COST. BERNARDINI, C. 1039 COST. VILLECCO CALIPARI, C. 1407 COST. NUCARA, C. 1745 COST. PECORELLA, C. 2053 COST. CALDERISI, C. 2088 COST. MANTINI, C. 2161 COST. VITALI, C. 3122 COST. SANTELLI, C. 3278 COST. VERSACE E C. 3829 COST. CONTENTO

Audizione di rappresentanti dell'Organismo unitario dell'avvocatura italiana (OUA), del Consiglio nazionale forense (CNF) e dell'Unione delle camere penali italiane (UCPI):

Bruno Donato, Presidente ... 3 13 19 24
Alpa Guido, Presidente del Consiglio nazionale forense (CNF) ... 6 19 21
Bernardini Rita (PD) ... 18
Bressa Gianclaudio (PD) ... 19
Capano Cinzia (PD) ... 14
Ceriotti Fiorella, Segretario dell'Organismo unitario dell'avvocatura italiana (OUA) ... 3 21
Ferranti Donatella (PD) ... 16
Mantini Pierluigi (UdCpTP) ... 13
Marciante Filippo, Rappresentante dell'Organismo unitario dell'avvocaturaitaliana(OUA) ... 4 22
Mascherin Andrea, Consigliere segretario del Consiglio nazionale forense (CNF) ... 7 21
Spigarelli Valerio, Presidente dell'Unione delle camere penali italiane (UCPI) ... 8 22
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONI RIUNITE
I (AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI) E II (GIUSTIZIA)

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta pomeridiana di venerdì 27 maggio 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA I COMMISSIONE DONATO BRUNO

La seduta comincia alle 14,45.

(Le Commissioni approvano il verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'Organismo unitario dell'avvocatura italiana (OUA), del Consiglio nazionale forense (CNF) e dell'Unione delle camere penali italiane (UCPI).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione al disegno di legge C. 4275 Cost. Governo, recante «Riforma del Titolo IV della parte II della Costituzione» e delle abbinate proposte di legge C. 199 Cost. Cirielli, C. 250 Cost. Bernardini, C. 1039 Cost. Villecco Calipari, C. 1407 Cost. Nucara, C. 1745 Cost. Pecorella, C. 2053 Cost. Calderisi, C. 2088 Cost. Mantini, C. 2161 Cost. Vitali, C. 3122 Cost. Santelli, C. 3278 Cost. Versace e C. 3829 Cost. Contento, l'audizione di rappresentanti dell'Organismo unitario dell'avvocatura italiana (OUA), del Consiglio nazionale forense (CNF) e dell'Unione delle camere penali italiane (UCPI).
Ringrazio gli intervenuti per aver accettato il nostro invito in riferimento all'indagine conoscitiva nell'ambito del disegno di legge che reca la riforma del Titolo IV della parte II della Costituzione e delle abbinate relative.
Do subito la parola ai nostri ospiti, ad iniziare da Fiorella Ceriotti, segretario dell'Organismo unitario dell'avvocatura italiana.

FIORELLA CERIOTTI, Segretario dell'Organismo unitario dell'avvocatura italiana (OUA). Porgo a tutti voi il ringraziamento per l'invito nella giornata odierna e vi porto i saluti del nostro presidente, l'avvocato Maurizio De Tilla, che oggi per un concomitante impegno alla Fédération de barreaux d'Europe a Firenze mi ha consentito di sostituirlo e di compiere questa mia prima esperienza ufficiale davanti a voi, il che mi rende molto orgogliosa.
Spenderò pochissime parole, perché parte del nostro intervento verrà svolto più nel dettaglio dall'avvocato Filippo Marciante, componente dell'ufficio di segreteria, il quale illustrerà la nostra idea di avvocatura come soggetto costituzionale, argomento che è già stato fatto oggetto di numerosi dibattiti, nonché di un convegno qui alla Camera.
Abbiamo anche portato alcuni volumetti riassuntivi degli interventi emersi nell'ambito di tale dibattito. L'importanza del dibattito odierno è quella di essere giunti - qualcuno dirà finalmente e comunque opportunamente - a tentare di mettere mano all'articolato della Costituzione, un articolato che in materia di


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giustizia può forse, anche se senza fretta e senza pregiudizi, essere oggetto di un intervento di riforma.
Un punto di partenza, nonché di arrivo che è sempre stato un cavallo di battaglia dell'avvocatura e, in particolar modo, dell'avvocatura penale riguarda la divisione delle funzioni tra magistratura giudicante e magistratura requirente.
Forse qualcuno si sarebbe potuto aspettare di sentir affermare oggi che da parte di una frangia dell'avvocatura si ha un'idea diversa, ma non è così. Si tratta di una posizione che vede l'avvocatura veramente unita e schierata in maniera uniforme.
Ciò non significa che noi non riconosciamo che attualmente il dettato costituzionale porti un'attenzione e una garanzia dell'autonomia della magistratura e del magistrato. Riteniamo, però, che possa essere giunto il momento di valutare anche la sua effettiva terzietà all'interno del processo rispetto alle due parti, avvocato e sostenitore dell'accusa, che si trovano nel giudizio.
Questo tipo di battaglia non può essere inteso come una volontà dell'avvocatura di privare la magistratura della sua autonomia, ossia desiderare questa ulteriore garanzia non significa compiere rinunce sotto il profilo della sua autonomia.
Noi abbiamo cominciato a esaminare i numerosi progetti di legge dei quali oggi siamo chiamati a discutere e, in particolar modo, il disegno di legge Berlusconi-Alfano. Ci riserviamo, proprio per la delicatezza della materia, di presentare un documento scritto e articolato in maniera compiuta, composta e assolutamente meditata in seguito, perché questa non può che essere una materia meditata.
Riteniamo che il corollario al principio della separazione delle funzioni debba essere quello della divisione o separazione del Consiglio superiore della magistratura e non manifestiamo alcuna contrarietà rispetto all'istituzione di un organismo disciplinare autonomo e separato. Si potrà eventualmente discutere se effettivamente le modalità della proposta, ossia le modalità elettive di funzionamento e di composizione, siano le migliori per garantire il funzionamento, ma sono tutte questioni di cui si può discutere.
Penso che sia giunto il momento per tutti di trattare i diversi punti all'ordine del giorno, compresa l'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale e la formulazione di questo progetto.
Svolgo un unico accenno. Noi abbiamo giudicato positivamente un'altra delle proposte di legge sottoposte al vostro esame, la proposta di legge di iniziativa del deputato Santelli, la quale reca all'articolo 1 la proposta di modifica dell'articolo 101, proprio a ulteriore sostegno dell'idea che inserire il nomen dell'avvocatura nella Costituzione non è un'idea balzana e peregrina dell'Organismo unitario dell'avvocatura, ma un'esigenza sentita.
Abbiamo riscontrato con interesse tale proposta di modifica all'articolo 101. Ci rendiamo conto che si può e si deve discutere diffusamente del tema e che forse un breve articolo su questo argomento possa non essere esaustivo.
L'avvocato Marciante, illustrerà ora più dettagliatamente i profili della nostra proposta, peraltro contenuta in una proposta di legge d'iniziativa dell'onorevole Pecorella.

FILIPPO MARCIANTE, Rappresentante dell'Organismo unitario dell'avvocatura italiana (OUA). Signor presidente e onorevoli deputati, chiederemo ora la vostra attenzione sulla nostra idea dell'avvocato come soggetto costituzionale. Prendo la parola avendo avuto l'opportunità, per la quale ringrazio, di lavorare a questo breve mio intervento oltre che con la collega Ceriotti, anche con i colleghi Ernesto Sarno di Milano e Lucio Chimento di Cosenza, i quali hanno elaborato insieme a me le brevissime considerazioni che svolgerò.
Noi sosteniamo l'avvocato come soggetto costituzionale, ritenendo che sia un componente essenziale della giurisdizione che trova una giustificazione nel fatto che i princìpi fondamentali della giurisdizione stessa devono essere attuati con il suo decisivo intervento.


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Noi consideriamo che la magistratura e l'avvocatura siano con pari dignità le componenti della giurisdizione. L'ordine giudiziario, nei due ruoli distinti, è autonomo e indipendente da ogni potere e, allo stesso tempo, riteniamo che l'avvocatura debba essere libera e indipendente, cosicché la difesa possa assumere una funzione assolutamente indeclinabile in ogni procedimento giudiziario.
Ci piace ricordare che un giurista, il professor Aldo Loiodice, ha definito l'avvocato come «il depositario e l'affidatario della quota di sovranità appartenente alle parti processuali che non possono restare nella totale disponibilità del giudice».
Vorremmo anche richiamare l'attenzione sulla tradizione che l'articolo 82 del Codice di procedura civile evidenzia a proposito degli avvocati e del ministero dell'avvocato. Il contenuto di tale articolo sottolinea l'esigenza che gli avvocati abbiano piena coscienza dell'altezza morale e dell'importanza pubblica del loro ministero, che li chiama a essere i più preziosi collaboratori del giudice.
Pietro Calamandrei sosteneva che l'avvocato nell'esercizio del proprio ministero deve obbedire solo alla legge e alla propria coscienza e non curarsi d'altro. È quello che ricordo ogni giorno a mio figlio, che ha diciassette anni. Suo padre svolge con la dignità di queste parole il mandato di professionista, di avvocato.
L'Organismo unitario dell'avvocatura, con riferimento all'articolo 24 della Costituzione, condivide l'inviolabilità della funzione e la non sottoposizione a limiti neanche da parte del legislatore costituzionale. Condivide la modifica proposta anche nella parte in cui si prevede la modifica della denominazione «magistratura» in «organi» giudiziari o piuttosto in «giustizia». Sono modifiche che poco interessano all'avvocatura e sui quali credo non siamo chiamati a prendere posizione.
Condividiamo, tuttavia, l'impianto dell'articolo 110-bis - mi riferisco alla proposta di legge Pecorella - nella parte in cui, esso legittima l'indipendenza dell'avvocatura non solo dal potere economico, ma anche la libertà che noi abbiamo rispetto al nostro mandato nei confronti del nostro stesso cliente.
Si condivide, infine, la considerazione che la difesa è una funzione essenziale in ogni procedimento giudiziario, come affermavo prima, ossia che al ruolo di avvocato deve essere riconosciuta la stessa dignità che è riconosciuta al diritto che ogni cittadino ha di essere assistito, come previsto nella seconda parte della proposta di legge Pecorella.
Infine, non possiamo non condividere la previsione di questo disegno di legge, che vede nell'articolo 110-ter il riconoscimento e la dignità del ruolo che compete all'avvocatura, colmando quella che noi riteniamo una piccola lacuna costituzionale.
Proprio per questi motivi noi rimandiamo i loro attenti interventi a un pregevole lavoro che è stato svolto nel novembre del 2009 nella Conferenza nazionale dell'avvocatura, che il signor presidente sta illustrando. Nello specifico ci sono tre interventi che alleghiamo a questo nostro intervento: l'intervento del Presidente Maurizio De Tilla, contenuto nelle pagine iniziali, l'intervento del giurista Aldo Loiodice a proposito della funzione dell'avvocatura (dalle pagine 37 in poi) e l'intervento dell'emerito presidente della Corte costituzionale, dottor Riccardo Chieppa, (da pagina 31). Infine, si aggiunge il testo che ho già citato del professor Loiodice.
Gli studi che noi vi consegniamo riassumono, illustrano e motivano la nostra richiesta, che vi sottoponiamo, di condivisione del ruolo attribuito all'avvocato quale soggetto costituzionale.
Permettetemi in ultimo una nota personale. Noi riteniamo, presidente e onorevoli deputati, che la previsione costituzionale del ruolo dell'avvocato, che quindi diventa soggetto costituzionale, non possa che avere un impatto positivo sulla stessa riforma della professione forense e sulla maniera di intendere la nostra professione così come noi la intendiamo, ossia una


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professione di alto profilo che deve essere svolta con la dignità che discende dalle nostre stesse persone.
Signor presidente, ci riserviamo, come ha già riferito il nostro segretario Fiorella Ceriotti, di depositare in seguito una documentazione ulteriore e di consegnare agli atti delle Commissioni una ricerca specifica in materia che stiamo svolgendo.

GUIDO ALPA, Presidente del Consiglio nazionale forense (CNF). Grazie, presidente e grazie anche agli onorevoli deputati per l'audizione che ci è stata offerta e per la possibilità di esprimere alcune considerazioni che riguardano il testo in oggetto.
Svolgerò solo alcune considerazioni a carattere generale e poi, se è consentito, chiederò al consigliere segretario, l'avvocato Mascherin, penalista, di esporre in modo più analitico le specifiche osservazioni.
La premessa è ovviamente che ogni riforma di grande respiro della Costituzione debba avere un fondamento straordinariamente rilevante, anche perché noi, come giuristi, siamo nella linea dell'interpretazione adeguatrice del testo della Costituzione, tenendo conto della giurisprudenza della Corte costituzionale.
I colleghi penalisti - io sono civilista e, quindi, non praticando la professione nell'ambito dei processi penali, non sono in grado di valutare esattamente quale sia la situazione - ci riferiscono che l'intervento di modifica costituzionale è opportuno, non essendo sufficiente una modifica del Codice di procedura penale per ripristinare la parità di accusa e difesa.
Il Consiglio nazionale forense, che ha cominciato a esaminare questi problemi, si riserva di depositare una memoria nella quale prenderà posizione sui singoli aspetti della questione e anche sulla connessione fra l'equiparazione della posizione di difesa e accusa e la separazione dell'ordine dei giudici dall'ufficio del pubblico ministero.
Ci siamo chiesti se fosse opportuno realizzare lo stesso risultato attraverso una separazione delle funzioni nell'ambito della medesima carriera e l'orientamento che attualmente sembra prevalente, ma che poi chiarirà meglio di me il segretario Mascherin, sarebbe nel senso della separazione delle carriere.
Segnalo alcune altre osservazioni al testo che ci è stato sottoposto.
Innanzitutto ci sembra che l'articolo 8, che fa riferimento, come si precisa nella relazione, alla valorizzazione e alla costituzione delle funzioni requirenti svolte dai magistrati onorari, dovrebbe essere inserito in un contesto di riforma dell'organizzazione della giustizia più ampio, del quale proprio in questi giorni si sta discutendo anche per migliorare il funzionamento della giustizia civile.
Elevare a norma costituzionale la presenza di magistrati onorari implica che vi sia comunque un giudizio sull'operato dei magistrati onorari e sulla loro indefettibile necessità nell'ambito del sistema di amministrazione della giustizia e sul modo nel quale i magistrati onorari svolgono la loro attività non solo nell'ambito del procedimento penale, ma anche di altri procedimenti.
Vorremmo che il testo fosse certamente inequivoco sul punto dell'inamovibilità dei magistrati, essendo essa un presidio di garanzia della loro autonomia e indipendenza.
Per quanto riguarda l'obbligo di esercitare l'azione penale, sembra che, nonostante le discussioni che vi sono state e le diverse versioni espresse, tale obbligo sia rimasto a livello costituzionale, ragion per cui il problema è di capire se il suo esercizio possa essere modificato a livello di legge ordinaria. È un punto sul quale il Consiglio nazionale forense si riserva di far svolgere a lei e alla Commissione le vostre osservazioni.
Per quanto riguarda - su questo punto chiudo e passo la parola al segretario Mascherin - la responsabilità civile dei magistrati, il testo che diverse volte è stato modificato tiene conto dell'orientamento della giurisprudenza comunitaria, la quale, per la verità, consentirebbe di mantenere la struttura attuale, con dolo e colpa grave,


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salvi gli aggiustamenti necessari dal punto di vista processuale, perché l'assetto della responsabilità civile del magistrato, così come è previsto nella legge del 1988, non ha dato un esito particolarmente felice. Introducendo la fase di delibazione, che si inserisce nel procedimento, si limiterebbe piuttosto che non consentire un accertamento effettivo della responsabilità.
Chiederei al consigliere Mascherin di integrare la mia relazione.

ANDREA MASCHERIN, Consigliere segretario del Consiglio nazionale Forense (CNF). Tutti i penalisti si introducono con un «sarò breve», ma io lo sarò veramente, anche se sono penalista, proprio per via di quanto è stato già detto dal presidente, il professor Alpa.
Da avvocati che si esercitano nel processo accusatorio noi non abbiamo alcun problema culturale e intellettuale nell'affermare che la separazione delle carriere è sicuramente omogenea al processo accusatorio e che va sicuramente realizzata. Peraltro, si tratta di un esperimento italiano, dato che con la Francia siamo gli unici Paesi a non prevedere tale separazione.
Particolare apprezzamento da parte del Consiglio nazionale forense va anche per l'aver voluto individuare rispetto alla terminologia di «pubblico ministero» la terminologia di «ufficio del pubblico ministero». Per esperienza sappiamo come, operando sul campo, l'«eccessiva» autonomia dei pubblici ministeri all'interno dell'ufficio possa dare vita anche a indirizzi a volte schizofrenici. L'idea di un ufficio del pubblico ministero, quindi, è ritenuta da noi apprezzabile anche dal punto di vista organizzativo.
Riteniamo anche che, per quanto riguarda la separazione delle carriere, ne consegua scientificamente e tecnicamente la necessità del doppio Consiglio superiore della magistratura. Sappiamo che il disegno di legge costituzionale prevede una composizione al 50 per cento più uno, ossia il presidente, il che sposterebbe la maggioranza a favore dei togati. Sulla composizione numerica non abbiamo una posizione ferma e imprescindibile. Sicuramente apprezziamo il doppio CSM, mentre la composizione interna, qualora la magistratura si sentisse più garantita con un'altra composizione, non è una questione di grande portata per il Consiglio nazionale forense.
Sulla Corte di disciplina, voi sapete che nel nostro disegno di legge sulla riforma della professione, nostro inteso come quello votato dal Senato e attualmente giacente presso la Commissione giustizia alla Camera, ci siamo sforzati anche noi, come avvocati, di promuovere un procedimento il più possibile terzo rispetto a quello domestico.
Anche sulla Corte di disciplina, cioè sulle due sezioni, così come sul doppio CSM, in linea di principio vi è un parere di condivisione di base da parte del Consiglio nazionale forense. Anche in questo caso la composizione della Corte di disciplina può forse dare adito a eventuali modifiche e anche in merito agli equilibri e alla composizione numerica tra togati e laici il Consiglio nazionale forense è aperto a qualsiasi diversa valutazione.
Il Presidente Alpa ha già espresso le proprie riserve sul reclutamento, che parrebbe indiscriminato, dei giudici onorari. Il tema è delicatissimo, sia per la qualità che i giudici onorari dovrebbero comunque fornire, sia per le riserve su tante conseguenze che deriverebbero da una sorta di costituzionalizzazione a tutto campo del giudice onorario. Su questo tema le perplessità del Consiglio nazionale forense sono marcate e verranno più ampiamente sviluppate nel documento.
Altro motivo di perplessità e di attenzione è la supposta maggiore autonomia della Polizia giudiziaria rispetto al PM nella fase delle indagini preliminari. Chi esercita il mestiere di avvocato tutto sommato oggi - è chiaro che noi parliamo della regola, ma poi le eccezioni ci sono sempre - si sente più garantito in fase di indagine dalla presenza di un'autorità giudiziale per la quale il pubblico ministero rimarrebbe a sorveglianza della legalità


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delle indagini e della tutela dei diritti dei difensori. Credo che una legge ordinaria che dovesse andare ad attuare tale passaggio della riforma costituzionale dovrebbe tenere assai conto di questo aspetto. A noi interessa molto che vengano garantite le prerogative della difesa, anche, se non soprattutto, nella fase delle indagini.
Un altro punto è quello dell'obbligo dell'azione penale. È chiaro che nella riforma costituzionale l'obbligatorietà rimane. Forse non è molto chiara, però, l'espressione «criteri» a cui fa riferimento la norma. Non è chiaro, cioè, se essa faccia riferimento a criteri alternativi alle attuali ipotesi di archiviazione, per esempio, per non offensività del reato o per comportamento riparatorio successivo, a priorità di indagine o di esercizio dell'azione penale.
Dal punto di vista della tecnica legislativa la terminologia usata, ossia «criteri», potrebbe, dunque, lasciare il campo ad alcune interpretazioni anche assai divaricate tra di loro. Su questo punto sarebbe importante capire che cosa si intenda per «criteri».
Sulla responsabilità dei magistrati il professor Alpa si è già espresso. Segnaliamo, come Consiglio nazionale forense, essendo partiti dalla necessità di realizzare il processo accusatorio, con un giudice veramente terzo e forte e con le parti dell'accusa e della difesa sullo stesso piano, pur con le diverse prerogative, come in realtà Camera e Senato avrebbero già molto da lavorare sul processo accusatorio per riportarlo, almeno in parte, alla sua natura costituzionale.
Pensiamo ai problemi legati ai termini di iscrizione nel registro di notizie di reato all'articolo 507. Ci sono tanti interventi necessari che potrebbero essere direttamente portati a termine proprio per recuperare anche con legge ordinaria un percorso del processo accusatorio che troverebbe poi conferma anche nella riforma costituzionale.
Infine, abbiamo parlato di parità delle parti e di pari dignità, pari qualità e qualificazione tra pubblica accusa e difesa. Per l'avvocatura una riforma che ponga in una posizione di maggior parità la difesa con l'accusa è comunque una riforma monca, in mancanza della riforma della professione di avvocato che mira, come voi tutti sapete, alla professionalizzazione dell'avvocatura.
Approfittiamo dell'occasione, essendo ferma in Commissione giustizia da alcuni mesi la riforma della professione forense già approvata al Senato, per chiedere al Ministro e ai componenti della Commissione giustizia di portare avanti anche questo disegno di legge.
Vi ringrazio per l'attenzione.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA II COMMISSIONE GIULIA BONGIORNO

VALERIO SPIGARELLI, Presidente dell'Unione delle camere penali italiane (UCPI). Presidente, ringrazio dell'invito e anche dell'autorevole presenza del Ministro Alfano e dell'ufficio legislativo del Ministero, che ha contribuito molto a questo progetto.
Parto da una considerazione di carattere generale. Molte osservazioni sono state già svolte e non voglio ripeterle, ma ci sono alcuni elementi che forse vanno posti sotto i riflettori.
La terzietà del giudice è un valore attualmente costituzionalmente garantito, ma non è raggiunto nell'ordinamento, né nelle restanti parti della Costituzione. L'articolo 111 della Costituzione dispone già oggi che il giudice è terzo e con le parole «terzo» e «imparziale» intende significare due concetti diversi: l'imparzialità è una caratteristica del processo e in esso trova la sua sistemazione, mentre la terzietà del giudice non può che trovare sistemazione nell'ordinamento e nella Costituzione, ossia prevedendo un ufficio del pubblico ministero distinto e separato da quello del giudice. È una «richiesta» che la nostra Costituzione avanza già oggi e da tempo, a cui necessariamente si sarebbe dovuto attendere.


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Affronto preliminarmente, prima di svolgere alcune considerazioni sull'articolato, alcune delle questioni che vengono poste a questa riforma realmente di struttura del nostro sistema giudiziario.
Si afferma che costituire un'organizzazione realmente autonoma dell'ufficio del pubblico ministero con un organo di governo autonomo, da un lato, sottrarrebbe il pubblico ministero e il suo ufficio alla cultura della giurisdizione e, dall'altro, renderebbe tale ufficio troppo potente.
La risposta sta nella struttura generale della riforma. Ciò che si tutela con la riforma è la libertà della giurisdizione e la forza del giudice rispetto a tutte le parti nel processo. L'accusa di eccessiva potenza dell'ufficio del pubblico ministero è, in realtà, smentita sia da questa considerazione, sia dal fatto che nell'articolazione - poi vedremo la composizione dell'organo di governo autonomo del pubblico ministero - quello è un organo di governo autonomo e non un organo di autogoverno, come, per la verità, è già nella nostra Costituzione l'attuale CSM. In tale organo è presente una componente che sicuramente escluderebbe il rischio a cui si fa riferimento.
La seconda linea di contestazione che viene posta è che una riforma di questo genere interviene a troppo poco tempo dalla fine della legislatura per essere realmente meditata. I meccanismi di cui all'articolo 138 sono ampiamente satisfattivi rispetto a questo punto, ma forse una piccola riflessione storica in questa sede non è fuori luogo.
Si è tentato di riformare questa parte della Costituzione già altre volte, in altre legislature e in altri contesti politici. Si potrebbe riflettere sul perché in tali contesti politici diversi non si sia riusciti a mettere mano a una riforma di questo genere, la quale richiama alcune soluzioni che in passato erano state raggiunte e che oggi non vengono condivise, nonostante allora fossero in larga parte condivise da molte forze politiche. Faccio riferimento, per esempio, ai lavori della Commissione Boato e ad alcune soluzioni che in tale sede erano state raggiunte.
Chiudo il discorso rammentando quello che un'autorevole dottrina costituzionalista ha espresso a proposito della separazione delle carriere, ricordando anche che già da tempo noi non utilizziamo più questa locuzione e che siamo contenti del rafforzamento del concetto di terzietà del giudice e di un'organizzazione che garantisca la terzietà del giudice. Con tale dottrina la separazione delle carriere e la terzietà del giudice è l'unica che adegua la nostra Costituzione alle Costituzioni moderne e l'unica che riflette all'interno del sistema giudiziario la separazione dei poteri, che è una caratteristica delle costituzioni democratiche.
Inoltre, si tratta dell'unica sistemazione dei soggetti del processo che corrisponda al modello processuale che ormai abbiamo accolto. Noi abbiamo accolto, infatti, un modello processuale in cui le parti del processo, difesa e accusa, hanno bisogno di un giudice regolatore che non si riconosca in alcuna organizzazione, né dell'una, né dell'altra parte, e che si distingua per questo motivo.
Infine, esiste un argomento che non sempre viene richiamato, ma che è importante. Questo tipo di soluzione, anche attraverso un maggiore concorso all'interno degli organi di governo della magistratura da parte delle componenti diverse che attraverso l'indicazione parlamentare, ma forse anche attraverso alcune soluzioni diverse che illustrerò in seguito, concorre a creare non più la cultura della giurisdizione, che francamente è un tema assai vuoto quando viene indicato in questo contesto, ma la cultura della legalità e del rispetto delle norme, cultura della legalità che non può che essere una cultura che coinvolge tutti e tre i soggetti del processo.
Quando si allude alla cultura della giurisdizione si lascia da parte, senza sapere bene perché, una delle parti del processo, cioè la difesa, mentre la cultura


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delle regole è una cultura condivisa, che dovrebbe essere aiutata dalla nuova sistemazione.
La separazione delle carriere, come sosteneva Giovanni Conso nel nostro congresso del 2009, è ineludibile e successivamente a questo approdo è giunta la maggior parte della dottrina. L'organismo degli studiosi del diritto processuale e penale nel nostro Paese e, come avete sentito, tutte le organizzazioni dell'avvocatura la ritengono un elemento assolutamente necessario.
Svolgo ora alcune considerazioni sull'articolato, partendo, come è giusto, da quelle che potrebbero riguardare questioni su cui meditare in modo più approfondito.
Si è affermato, e questo tipo di opposizione merita considerazione, anche se non in una vulgata che troppo la strumentalizzi, di un eccessivo rinvio alla legge ordinaria dell'articolato. Il rinvio alla norma ordinaria è generalmente un elemento qualificativo della democraticità di una Costituzione, ma forse un elemento qualificativo che in questo senso veniva ritenuto quando la bipolarizzazione dei sistemi politici non era spinta come oggi.
Bisogna prestare attenzione, però, a questa critica per non ritenerla troppo profonda. A voler ricordare la vicenda della modifica costituzionale dell'articolo 111, non dimentichiamo che esso venne accusato di eccessiva particolarità, ossia di essere una norma processuale più che costituzionale. Bisogna, quindi, mettersi d'accordo nella storia. Ci sono alcune materie la cui definizione deve essere necessariamente rinviata alla legge ordinaria e altre che potrebbero essere maggiormente delineate in Costituzione.
Una delle soluzioni che non ci trova del tutto concordi è il sistema di eleggibilità all'interno dei due organi di governo autonomo della magistratura. Il problema è noto, con riferimento allo strapotere dal punto di vista della determinazione degli equilibri elettorali all'interno della magistratura e delle correnti, che da lungo tempo non sono più ciò che erano quando nacquero, cioè centri di elaborazione culturale, ma si trovano ora ad avere, invece, una connotazione tutta politica, che dovrebbe essere estranea a quel tipo di contesto.
Bisogna vedere se la sorteggiabilità degli eleggibili sia il meccanismo più idoneo. In prima lettura, una prima lettura svolta con il concorso degli appartenenti al Centro studi dell'Unione delle camere penali, con i professori Marzaduri, Guarnieri, Zanoni e altri, ci pare di poter affermare che con questo meccanismo della sorteggiabilità si pone un problema di autorevolezza degli eletti. Da un lato ci sono alcuni eletti dal Parlamento in seduta comune e, dall'altro, alcuni eletti che sono, invece, in quanto frutto di una operazione di scrematura di eleggibilità, scelti in base alla sorte.
Si pone poi anche un problema che ci è stato segnalato in particolare su questo meccanismo in merito alle altre componenti che vengono elette nell'organismo di governo autonomo di provenienza professionale o accademica, che non hanno tale tipo di meccanismo.
Da questo punto di vista occorre forse una rimeditazione su questo elemento, ma senza negare il problema alla base di tale scelta. Noi riteniamo che lo si possa prendere in considerazione.
Anche sulla composizione numerica la proposta sceglie un 50 per cento più uno che, come giustamente è stato ricordato dal collega Mascherin, smentisce comunque la subordinazione dell'organo alla politica.
In una proposta, che noi abbiamo trasmesso da tempo al Parlamento, di risistemazione della materia avevamo scelto una composizione diversa, con un terzo eletto dai magistrati, un terzo dal Parlamento e un terzo di nomina presidenziale in un coté scelto tra avvocati, accademici, magistrati o appartenenti alle altre corti. È un problema che segnaliamo, ma naturalmente è una questione su cui occorre una riflessione ulteriore.
Per quanto riguarda la formulazione dell'articolo 101, di cui all'articolo 2 della norma, giustamente si ribadisce in questa


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nuova distinzione tra l'ordine a cui appartengono i giudici e l'ufficio del pubblico ministero, su cui tornerò, l'autonomia dell'ordine del giudice, qualificandolo come indipendente da ogni potere e soggetto soltanto alla legge.
Qualcuno faceva notare che, quanto all'indipendenza interna del magistrato giudicante, è assolutamente importante valorizzare, ancor di più per via dei problemi che nel corso del tempo ciò ha comportato, il fatto che questa indipendenza sia essenzialmente l'indipendenza del magistrato come persona, più che non dell'ordine, che, in quanto autonomo, è sottoposto a un organo di governo ed è, quindi, garantito nella sua autonomia. Forse si potrebbe prendere in considerazione, sempre all'interno di questa disposizione, una clausola che qualifichi come indipendenti i singoli giudici, soggetti soltanto alla legge, per valorizzare ancora di più questo tipo di scelta.
Quanto alla formulazione dell'articolo 104, segnaliamo solo un problema di carattere tecnico. Ci sembra necessario coordinare la disposizione di cui all'articolo 104 con la disposizione, non toccata da questa proposta, dell'attuale articolo 107, comma 4, della Costituzione. Tale norma, che garantisce indipendenza e non sottoposizione all'esecutivo da parte dell'ufficio del pubblico ministero, un elemento e una garanzia che noi avevamo fortemente richiesto in sede di interlocuzione col Governo e che troviamo in questa proposta. Si pone un problema di coordinamento tra le due norme, che appare del tutto ovvio nel leggere l'attuale formulazione dell'articolo 107.
Mi riferisco alla qualifica, che è stata richiamata, dell'ufficio del pubblico ministero a raffronto dell'ordine a cui appartengono solo i giudici. Di fatto l'ufficio del pubblico ministero ha un rilievo pari a quello di un ordine autonomo e, quindi, dovrebbe rassicurare sotto questo punto di vista, perché affidato a un organo di governo presieduto dal Capo dello Stato, il che francamente non avviene con un ufficio che non ha il medesimo rango.
Vorrei accennare ora a un problema che l'attuale disegno di legge forse non prende in considerazione o che probabilmente affida alla legge ordinaria. Nella proposta che a suo tempo l'Unione delle camere penali fece pervenire al Parlamento era particolarmente valorizzato proprio il problema della «ventilazione» della magistratura, a tacitare tutti coloro che possano pensare che la separazione delle carriere sia la costituzione di vasi non comunicanti e che non saranno mai comunicanti.
Non è così e lo si sa perfettamente: si elaborano meccanismi in cui è previsto tramite concorso e con alcune caratteristiche un eventuale passaggio, ma deve essere garantito anche l'accesso nell'una o nell'altra funzione, sia nell'ordine dei giudici piuttosto che nell'ufficio del pubblico ministero, da parte di quote riservate di soggetti che provengono da esperienze professionali diverse. È un elemento che dovrebbe essere preso in considerazione anche nell'attuale proposta.
Il problema della sorteggiabilità degli eleggibili si ripropone anche per quanto riguarda la condivisibilissima istituzione dell'Alta Corte di disciplina. Quanto al meccanismo di elezione di alcuni dei suoi componenti, essa sconterebbe il difetto che noi abbiamo segnalato per quanto riguarda gli organismi di governo autonomo.
Non rileviamo particolari problematiche per quanto riguarda la formulazione, all'articolo 9 del disegno di legge a proposito dell'articolo 107 della Costituzione, sulla possibilità di prendere in considerazione, in casi particolari indicati in Costituzione che fanno riferimento alla norma ordinaria, un possibile spostamento dei magistrati deciso dall'organo di governo.
Voi tutti sapete perfettamente che il principio di inamovibilità non è toccato in questo disegno di legge, mentre si viene a toccare con uno stipite costituzionale ciò che, invece, è avvenuto negli ultimi tempi, quando non di inamovibilità ci siamo dovuti occupare guardando le decisioni del Consiglio superiore della magistratura ma di quello che, in maniera un po' birichina,


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Oreste Dominioni, chiamava «nonnismo giudiziario»; egli si riferiva al fatto che in alcune sedi giudiziarie si rischia di non coprire i posti o si inseriscono pubblici ministeri o giudici che non hanno la dovuta esperienza. È un'esigenza che viene presa in considerazione specificamente.
Il punto su cui noi invitiamo a una riflessione profonda il Parlamento è quello che è già stato segnalato dal collega Mascherin, ossia la nuova formulazione della norma che prevede l'espressione «direttamente» rispetto alla sottoposizione della Polizia giudiziaria al pubblico ministero. Su questo punto noi siamo assai cauti, come lo fummo già all'epoca del disegno di legge Alfano, in cui sottolineammo che ciò potesse rappresentare un problema.
Il tema è noto e, senza pretendere di fornire suggerimenti, ma esternando solo la posizione dell'Unione delle camere penali italiane, vorremmo sottolineare un punto: per i penalisti è opportuno che ci sia un diretto controllo e una diretta sottoposizione della Polizia giudiziaria al pubblico ministero. Per i penalisti è necessario che la Polizia giudiziaria riferisca in maniera molto tempestiva e senza iati temporali troppo allungati delle attività di indagine inizialmente promosse ed è altrettanto importante, affinché non si equivochi il punto, che il pubblico ministero svolga le indagini quando è di fronte a notizie di reato e non per acquisire le notizie di reato.
Segnalo un curioso paradosso: molti di coloro che, anche dalla parte della magistratura, difendono la cultura della giurisdizione e che temono un pubblico ministero sottratto all'influenza della giurisdizione legittimano che il pubblico ministero svolga quella che è schiettamente una funzione di polizia amministrativa, cioè che vada alla ricerca, con gli strumenti del processo, delle notizie di reato. La questione su cui si deve interrogare naturalmente il Parlamento è questa; è una questione che l'attuale formulazione delle norme codicistiche non ha risolto e che ha prodotto un problema sicuramente significativo.
Infine, si pone il tema della formulazione, nell'articolo 12 del disegno di legge, del nuovo articolo 111 della Costituzione. Francamente noi comprendiamo perfettamente la necessità che ne è alla base: è stata dichiarata incostituzionale una normativa che limitava la possibilità d'appello in uno schema tutto interno al processo accusatorio da parte dell'accusa e che richiamava una, a nostro giudizio, doverosa asimmetria di impugnazione da parte della pubblica accusa rispetto alla difesa, ontologica per il Codice di procedura penale, che è ispirato ai princìpi del sistema accusatorio.
Come è noto, tale scelta è stata dichiarata incostituzionale in nome di una parità delle parti che, in realtà, non è mai pari, perché al pubblico ministero competono e sono attribuiti i poteri nel corso delle indagini preliminari e nessuna norma potrà parificare i poteri della difesa.
In questo quadro la riflessione dovrebbe essere forse più ampia e dovrebbe vertere sull'intero sistema delle impugnazioni. Noi sappiamo perfettamente che il codice del 1989 ha profondissimamente riformato il sistema fino alla fine del dibattimento di primo grado, ma ha poi tirato molto il freno sulla riforma organica del sistema delle impugnazioni, sia di merito, sia di legittimità. Ci pare, però, che la formulazione attuale finisca per non raggiungere lo scopo che per noi dovrebbe essere quello più auspicabile e che sia tale da creare problemi invece che risolverli.
Sarebbe stato più corretto prevedere in Costituzione che è data la possibilità di ottenere un nuovo giudizio di merito nei confronti delle sentenze di condanna, il che riecheggia la formulazione della Convenzione di New York e, dunque, ha già un suo richiamo dal punto di vista delle norme di rango sovraordinato. Da questo punto di vista la formulazione di questa norma, secondo noi, va rimeditata.
Infine, abbiamo verificato il mantenimento del principio di obbligatorietà dell'azione penale e osserviamo che quella locuzione, come è già stato segnalato, può essere maggiormente precisata.


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Ci limitiamo a sottolineare un dato: il problema dell'enucleazione di criteri che non sono solo tali da poter trovare la loro posizione all'interno del Codice di procedura penale e perfino all'interno del Codice penale per alcuni versi, come qualcuno ha già sottolineato, è un problema che non può essere lasciato all'autonomia di ogni singola procura della Repubblica o di ogni procura generale della Repubblica, che qualcuno ha definito «califfati». È necessario che, da questo punto di vista, ci sia un controllo democratico.
La norma auspica un risultato che noi riteniamo fortemente necessario, ma bisogna vedere come esso viene tradotto. Da qui il richiamo all'eccessivo rinvio alla legge ordinaria e al mantenimento del principio: si deve mantenere il principio forse con alcuni elementi in più di quanto viene indicato in Costituzione.
In conclusione, signor presidente, noi faremo pervenire in tempi brevi, alle Commissioni, una nostra elaborazione più completa di quella che io ho appena delineato, sempre frutto del lavoro del nostro Centro studi. Grazie.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA I COMMISSIONE DONATO BRUNO

PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

PIERLUIGI MANTINI. Naturalmente ringrazio tutti i soggetti auditi. Al di là degli approfondimenti scritti, anche gli interventi sono stati più che precisi ed esaurienti.
Si tratta di questioni su cui riflettiamo da tanto tempo e mi permetterò, quindi, di muovere solo un rilievo, condividendo peraltro il contesto e, per lo più, anche il testo delle formulazioni espresse.
Mi soffermerò solo su un punto, che però è quello più nevralgico, perché finora anche altre audizioni ci hanno consegnato alternative su alcuni temi. Noi sappiamo che non è strettamente necessario - si può e a volte si deve - intervenire con riforma costituzionale, mentre il nodo è quello della cosiddetta separazione delle carriere e ciò che ne consegue.
Su questo punto io colgo anche l'occasione di ripetere ai colleghi che l'Unione di centro non ha un atteggiamento pregiudizialmente contrario a tale separazione, a cui normalmente viene ridotto il tema. Si pone, però, alcune perplessità, che vanno nel segno che alcuni interventi hanno esplicitato, tra cui quello del consigliere Mascherin e, da ultimo, del Presidente Spigarelli.
Siamo davvero in un rito accusatorio? La risposta per noi è che non lo siamo più da tempo. L'auspicio che viene espresso di ritornare ad un assetto accusatorio, ammesso naturalmente che lo spirito dei tempi e delle leggi ce lo consenta, poiché siamo dinanzi a un'operazione importante, andrebbe forse anticipato o accompagnato. Prima dobbiamo capire dove vogliamo andare a parare, con il contributo delle componenti forensi, e poi possiamo cambiare il principio della Costituzione, anche contestualmente.
Non è un argomento di specie o meramente dilatorio. Noi abbiamo un sistema, il sistema delle impugnazioni, del processo cartaceo, delle prescrizioni, un numero di istituti che non c'entrano più nulla con il rito accusatorio. Se dovessi esprimermi a livello «terra terra», osserverei che oggi - è una perplessità su cui spesso ragioniamo, anche al di fuori dei contesti tecnici, con i cittadini - un pubblico ministero come puro avvocato di accusa ci sembra alquanto pericoloso, perché la disparità rispetto alla difesa è del tutto evidente per il possesso e il dominio dei mezzi.
Noi dobbiamo intervenire su questo contesto in modo da poter arrivare a quella geometria della terzietà che non ci vede affatto contrari. Essa dovrebbe essere un punto d'arrivo, fermo restando un principio che mi pare essere da tutti condiviso, anche nelle forze politiche, ossia


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quello dell'autonomia e dell'indipendenza del pubblico ministero, del non assoggettamento all'esecutivo.
Va bene essere d'accordo in via di principio, ma vogliamo capire come fare, anche per darci una mano e non solo per porre dubbi.
D'altra parte, mi rivolgo al Ministro, che diligentemente è presente qui da stamattina. Credo che non sia il momento di interpellarlo, essendo questa una sede di audizioni, ma l'articolo 4 mostra che il disegno governativo assicura la separazione del ruolo dei giudici e dei pubblici ministeri. Si tratterebbe di capire anche come la legge assicuri tale separazione, anche in modo da anticipare anziché rinviare questi pezzi di riforma. Se bisogna attuarla, occorre farlo con questo tipo di contestualità.
Ho pressoché concluso e rilevo che da questa tesi discende un bisogno di completamento. Non sembrerebbe corretto partire dalla fine o solo da un'opzione culturale e ideologica, che in sé è anche corretta, se non vediamo l'intero svolgimento.
Il discorso naturalmente ha a che vedere con la questione del «direttamente» per quanto concerne l'esercizio della Polizia giudiziaria e anche con la questione dell'impugnazione. Se la disparità in tema di impugnazione tra accusa e difesa deve discendere dal presupposto dell'assoluta disparità delle forze in campo tra il cosiddetto avvocato di accusa e quello di difesa e uno dei rimedi è costituito dal fatto che non c'è l'appellabilità, allora ci dobbiamo capire. O si tende a riportare le parti a un sufficiente livello di parità, nel qual caso è vero ciò che afferma la Corte costituzionale, ossia che negare solo a una delle parti l'impugnazione configura una disparità, oppure dobbiamo accontentarci di un'evidente disparità, alla quale cercare rimedi.
Per parte nostra, come Unione di centro, volendo arrivare al risultato di una separazione delle carriere, osserviamo che dobbiamo lavorare seriamente sul come, sulle leggi, sui meccanismi, non con spirito dilatorio, ma anche concretamente sul tema del ritorno all'accusatorio, altrimenti rischiamo di creare altri ircocervi, mettendo mano alla Costituzione e forse causando più danni che altro.
Non ho posto una domanda, ma ho auspicato un approfondimento ulteriore. Questa potrebbe anche essere una sede per recuperare - mi esprimo ora in modo asistematico - il tema del rango costituzionale dell'avvocatura. Ho accanto il collega Pecorella, che se ne è fatto anche interprete. Si tratta di un tema che condividiamo e, dunque, vediamo come proseguono i lavori. Non c'è dubbio, però, che l'elevazione al rango costituzionale della funzione difensiva propria dell'avvocato sia ormai matura.

CINZIA CAPANO. Vorrei svolgere una valutazione sulle considerazioni che l'OUA, il CNF e l'Unione delle camere penali sono venuti a riferirci. Se non ho capito male, non esiste una posizione finale condivisa dell'OUA, il quale ha sostenuto che è ancora in corso l'esame del merito del disegno di legge. Hanno soprattutto parlato dell'interessante ipotesi di avvocatura come soggetto costituzionale e mi domando perché nelle acquisizioni che abbiamo attuato dei diversi progetti di legge questo testo sia sfuggito rispetto all'altro della collega Santelli.
Ci hanno anche riferito che non è definita un'analisi di questo testo da parte dell'OUA e mi pare che lo stesso valga per il Consiglio nazionale forense. Addirittura ci è stato comunicato che su alcune posizioni assolutamente dirimenti, come quello della separazione, che alcuni interpretano come la separazione delle funzioni e altri come quella delle carriere, è tuttora in corso la discussione. Il Presidente Alpa ha sostenuto che, allo stato, il dibattito vede prevalere solo quella delle carriere, ma mi pare che ci sia una fattispecie a formazione progressiva nella valutazione sul progetto di legge in oggetto.
Mi pare, invece, piuttosto definita, anche se si è riservata un'ulteriore produzione


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scientifica da parte dell'avvocato Spigarelli, la posizione dell'Unione delle camere penali. Temo che l'esito di queste audizioni non sarà, quindi, completo quanto l'auspicavamo, avendo soprattutto impiegato tanto tempo sul tema da questa mattina.
Rivolgo la mia domanda a tutti gli ospiti, alcuni dei quali hanno posto la questione di una terzietà del giudice che si accompagni a una professionalizzazione maggiore dell'avvocato e hanno invitato la Commissione giustizia in particolare ad accelerare l'approvazione della riforma forense, ponendo a loro il seguente problema.
Io ritengo che, ai fini dell'indipendenza del magistrato, non sia irrilevante il sistema che si sceglie nell'ambito disciplinare; credo che una scelta delle modalità di disciplina e di come si costruisce l'organo di autogoverno non sia indifferente al tipo di magistrato e alla sua indipendenza.
Ritengo che questo sentimento sia molto presente nell'avvocatura, se è vero che nella riforma forense si è a lungo discusso sul meccanismo disciplinare, privilegiando una disciplina assolutamente domestica, che in una fase aveva cercato di essere almeno domestica e centralizzata sul Consiglio nazionale forense, ma che nelle more dell'elaborazione ha visto restituire ambiti agli ordini territoriali, i quali, a loro volta, li rivendicavano.
Mi domando come sia possibile una posizione che, da un lato, rivendica per sé l'autogoverno come garanzia della propria autonomia e indipendenza attraverso una giurisdizione domestica in ambito disciplinare e, dall'altro, indica, invece, per la magistratura il superamento di questa, auspicando l'Alta Corte di giustizia.
Sarebbe stato forse più coerente quanto meno ipotizzare un'Alta Corte di giustizia per tutti i soggetti della giurisdizione, soprattutto in considerazione del fatto che si ambisce a far diventare anche l'avvocatura un soggetto costituzionale della giurisdizione.
Ho letto una delle dichiarazioni del Presidente Spigarelli in occasione di un incontro con il Presidente Fini proprio per sollecitare l'iter di approvazione della riforma costituzionale, in cui ha parlato dell'urgenza di una riforma che, attraverso la separazione delle carriere, garantisca ed esalti nell'interesse dei cittadini la terzietà dei giudici, salvaguardando la reale autonomia dei pubblici ministeri.
Avvocato Spigarelli, mi pare che, sulla base di ciò che lei ci ha riferito, tutto sommato lei vede garantita la terzietà dei giudici solo ed esclusivamente dalla separazione delle carriere. Così mi è sembrato di capire. La vede nell'autonomia dei pubblici ministeri solo ed esclusivamente per il fatto che si immagina un organo di autogoverno presieduto dal Presidente della Repubblica.
Le chiedo se non sia un po' poco e se il tema dell'imparzialità del giudice non sia, in realtà, molto più complesso. Noi abbiamo avuto un'interessantissima audizione questa mattina con il Presidente de Lise, il quale ci ha spiegato come l'autonomia del giudice, per esempio delle giurisdizioni che trattano interessi molto aggressivi dal punto di vista economico, sia soprattutto tesa a non intimidire il giudice. Dal momento che gli interessi più aggressivi soprattutto economicamente possono intimorire un giudice, occorre una disciplina della responsabilità del giudice soprattutto funzionale a evitare ciò. L'indipendenza del magistrato è sul piano dell'effettività la traduzione del principio di eguaglianza dell'articolo 3 della Costituzione, che, per quel poco che ho capito, è la cifra costitutiva del garantismo.
Se tutto sta in un meccanismo paritario, quasi geometrico, e le questioni che citavo passano in secondo ordine, in che rapporto sta una parità tra accusa e difesa che possa conciliarsi con l'articolo 12, secondo cui le sentenze di proscioglimento sono appellabili solo nei casi previsti dalla legge? O sono sempre paritarie oppure mi pare che perdano tale equilibrio.
Se siamo sempre in una condizione di parità tra accusa e difesa, in un sistema che mi pare sottragga il pubblico ministero alla cultura della giurisdizione, possiamo


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continuare a chiedere a quel pubblico ministero di svolgere indagini anche per affermare l'innocenza dell'indagato? Un sistema così rigidamente paritario tra accusa e difesa non comporta, piuttosto, la caduta di garanzie che mi sembrano essere fondamentali per il cittadino proprio perché gli strumenti dell'accusa sono ontologicamente diversi da quelli della difesa?
Non rischiamo, anche per le considerazioni che oggi sono state svolte, in realtà di andare dietro a un mito, a un tema caro alla Camera penale e che io apprezzo, ma che può rischiare di trasformarsi in un elemento di pericolo piuttosto che di vantaggio?
Voi non avete paura? Io ce l'ho. Sono un avvocato civilista, ma ho avuto un padre giudice, non pubblico ministero, e mi ricordo che andava molto più d'accordo con gli avvocati che non con i pubblici ministeri. Ho sempre valutato la preoccupazione dell'andare a braccetto un po' nominale.
Non vi fa paura un pubblico ministero che non si debba mai porre nella sua vita il problema di come si scriva la motivazione di una sentenza? Non vi preoccupa un pubblico ministero che non si ponga mai dall'altra parte, perché, una volta che si separano le carriere, non gli capiterà mai più di farlo? Io credo che un pubblico ministero che abbia nel suo bagaglio questo elemento sia migliore.
Avvocato Spigarelli, lei ha osservato che molto spesso negli uffici ci sono pubblici ministeri che non hanno l'esperienza adatta a svolgere la loro funzione. Se separiamo le carriere, i pubblici ministeri, soprattutto all'inizio, necessariamente non avranno tale esperienza, perché sarà fisiologico non provenire da esperienze precedenti. Grazie.

DONATELLA FERRANTI. Molte delle argomentazioni e delle domande poste dalla collega Capano sono tra quelle che avrei proposto io stessa. L'incontro di oggi con l'avvocatura ci stimola, anche perché noi - parlo personalmente, ma credo anche a nome del Gruppo - siamo particolarmente favorevoli a un riconoscimento dell'avvocatura come soggetto della giurisdizione a tutto titolo.
Anche io ho avvertito, e mi dispiace, nell'esame svolto oggi toni più sentiti da parte dell'avvocato Spigarelli - spiegherò poi che cosa intendo - e invece il rinvio di alcuni approfondimenti che per noi erano sicuramente importanti, perché il provvedimento all'esame delle Commissioni riunite sulla riforma costituzionale, in realtà, prevede anche la separazione delle carriere, ma il suo nucleo, il suo fulcro non è basato solo su questo tema.
Mi sembra che tutti coloro che sono intervenuti, invece, hanno iniziato l'audizione affermando che prioritariamente sono d'accordo con questo punto, che gli altri aspetti si dovranno approfondire e che le modalità che riguardano la composizione del CSM lasciano perplessi, ma si vedrà in futuro.
Vi vorrei far riflettere su questo punto. Sgombrando il campo da eventuali dubbi, comunico che io sono magistrato in aspettativa. Ho svolto funzioni di pubblico ministero e anche di giudice civile del lavoro, in particolare nella prima fase della mia carriera. Ognuno dichiara le proprie esperienze non perché debbano essere vincolanti, ma perché servono anche a misurarsi.
Oggi abbiamo sentito gli altri auditi e voi stessi sostenere che per arrivare alla separazione delle carriere - mi rivolgo anche al Ministro qui presente - non c'era bisogno di stravolgere la Costituzione, perché esisteva una sentenza della Corte costituzionale, che noi troviamo anche nel dossier messo a disposizione dal servizio studi della Camera, la sentenza n. 37 del 2000, da cui partire.
La nostra Carta costituzionale non imponeva e non impone che non si possa arrivare alla separazione delle carriere. Per arrivare a una separazione delle carriere, che voi ritenete essenziale alla garanzia del giudice terzo, vi inviterei a valutare - adesso preciserò quali sono per me, parlando a titolo personale e come


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componente della Commissione giustizia della Camera - i punti critici per arrivare a un risultato che in astratto può essere condivisibile, laddove lo si ritenga essenziale per arrivare al cosiddetto giudice terzo a tutti gli effetti. Non ho sentito rilievi in merito e vorrei capire se non ci sono stati ancora approfondimenti su questi aspetti o se non li ritenete importanti.
Voi avete affermato che volete il giudice terzo, ma che deve essere anche garantita l'autonomia e indipendenza del giudice e del pubblico ministero. In questo disegno di legge l'autonomia e l'indipendenza del magistrato, ossia di tutta la magistratura, non esiste più, perché l'articolo 101 fa riferimento al fatto che rimane il principio costituzionale solo per il giudice. Per il resto non solo non è previsto il riconoscimento dell'avvocatura come soggetto costituzionale insieme al pubblico ministero, che svolge e attua la giurisdizione come altro organo parte della giurisdizione, ma si dispone che la giurisdizione sia esercitata solo dal giudice.
Il tema è rimesso a una legge ordinaria, di cui non si fissano i criteri. Vorrei sapere se la questione vi rassicura, perché in merito alla costituzionalizzazione di princìpi che riguardano l'autonomia e l'indipendenza della magistratura tutta, distinta in carriere, separazioni, funzioni e percorsi, il problema è che l'autonomia e l'indipendenza di tutta la magistratura e, quindi, anche del pubblico ministero garantiscono adeguatamente anche l'esercizio del diritto di difesa e lo Stato di diritto.
In maniera molto abile - d'altra parte, l'esercizio della professione vi attribuisce anche queste qualità - voi avete glissato sulle modalità dell'organo di autogoverno che deve garantire l'autonomia e l'indipendenza dei pubblici ministeri e della magistratura giudicante, sostenendo che si potranno valutare successivamente.
Su questo tema chiederei, invece, una posizione più esplicita, perché è la sostanza del problema. Il problema non è la separazione delle carriere, ma come si attua tale separazione garantendo l'effettiva autonomia e indipendenza del pubblico ministero e del giudice.
Peraltro, l'autonomia del pubblico ministero è collegata all'effettiva autonomia del giudice, perché il giudice, soprattutto nell'ambito penale, si trova a giudicare ciò che il pubblico ministero gli porta.
La mia domanda è, dunque, se voi vi sentite garantiti come difesa da un organo di autogoverno della magistratura requirente e giudicante in cui l'unica formale garanzia è il Presidente della Repubblica a capo, ma il cui 50 per cento dei componenti è individuato dal Parlamento, quindi dalla maggioranza di turno, e l'altro 50 per cento eletto tra persone estratte a sorte.
Vi chiedo, sapendo quanto tenete alla rappresentanza, se ritenete che sia serio per un organo rappresentativo della parte - sicuramente nelle audizioni che oggi si sono già svolte questo 50 per cento ha lasciato molto perplessi - che il criterio per garantire la rappresentanza dell'organo di autogoverno possa essere quello di un'elezione attraverso un sorteggio degli eleggibili o se non sarebbe uno sfregio, se fosse previsto nella riforma forense che le vostre rappresentanze fossero prese a sorteggio, che poi voi doveste eleggere qualcuno preso a sorteggio e che la stessa composizione fosse prevista per l'organo della Corte di giustizia, con le stesse modalità, ossia 50 per cento del Parlamento e 50 per cento di estratti a sorte tra i quali si possono eleggere alcuni soggetti.
C'è anche un aspetto più grave, a mio avviso, perché si afferma che la maggioranza è della componente togata. Vi inviterei a riflettere su questo punto, magari non oggi. Noi attenderemo i vostri approfondimenti, perché sono materie da approfondire e noi siamo qui per questo. Per l'organo di disciplina non c'è maggioranza togata, ma una situazione di parità e la presidenza è del vicepresidente eletto dal Parlamento. Su questo non ripeterò quanto già detto dalla collega che mi ha preceduto, né quanto da voi già affermato sull'organo di disciplina perché non voglio


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fare paragoni fra magistratura ed avvocatura. Si tratta certamente di due questioni da tenere distinte.
Voi vi rendete conto di che cosa rappresenterà per l'organo di autogoverno la nomina del primo presidente della Cassazione e del procuratore generale della Cassazione, che costituiscono la maggioranza, l'uno in più rispetto al 50 per cento? Quando nei periodi di vacanza della nomina, per quanto non esisteranno più le correnti e i togati saranno eletti a sorte, le nomine saranno comunque faticose in posti così apicali, in quei periodi di vacanza il voto del vicepresidente che presiede l'Assemblea, anche se i regolamenti possono cambiare, allo stato vale il doppio.
Questo aspetto insieme al discorso per cui il pubblico ministero deve essere organo di garanzia, giustamente, con rispetto alla dipendenza funzionale della Polizia giudiziaria, credo siano le questioni sulle quali mi aspetto che l'avvocatura rifletta in maniera serena e obiettiva, ma anche approfondita. Una volta che la Costituzione, quali che siano le maggioranze che si compongono, viene cambiata, penso che l'esercizio del diritto della difesa per i singoli cittadini sia il vostro obiettivo quotidiano.

RITA BERNARDINI. Io credo che bisogna avere il coraggio di esprimere alcune considerazioni, altrimenti questo dibattito, nonostante le numerose audizioni che stiamo tenendo, rischia di andare avanti con il non detto.
Io credo che la riforma sia stata presentata in modo assolutamente tardivo rispetto ai tempi di questa legislatura e che il Governo avrebbe avuto gli strumenti per presentarla prima. Non l'ha fatto e adesso sappiamo tutti che i tempi sono quelli che sono.
Si avverte comunque la necessità di tenere un dibattito approfondito, perché è indubbio che stiamo parlando, con questa riforma costituzionale, di equilibrio fra poteri. Si sta in sostanza affrontando tale questione ed è inutile, secondo me, entrare nel merito di ciò che va bene e di ciò che non va bene. Stiamo discutendo un tema che può essere più o meno pericoloso per la vita di questo Paese, ma è di questo che dobbiamo parlare.
È indubbio che è in vigore un processo di tipo accusatorio che si è innestato - lo affermava Nordio recentemente a un convegno organizzato proprio dall'Unione delle camere penali - anche su una riforma che è stata attuata per la politica, cioè l'abolizione dell'immunità parlamentare.
Da una parte abbiamo una magistratura - questo è vero e credo che non lo si possa negare - fortissima, autonoma e indipendente e, dall'altra, un potere politico subalterno o messo in condizioni di subalternità.
A mio avviso, noi dobbiamo avere il coraggio di affrontare questo tipo di discorso e farlo con molta chiarezza. D'altra parte, abbiamo anche visto che posizioni che potremmo considerare lontanissime, come quella di Carlo Nordio, che è un liberale, o come quella di Giuliano Pisapia, che è un liberale di sinistra, l'uno procuratore generale e l'altro avvocato penalista, nel momento in cui scrivono un libro insieme, intitolato In attesa di giustizia. Dialogo sulle riforme possibili, nel disegnare una riforma giungono alle stesse conclusioni.
Passo a un'altra questione che ci dovremmo porre come problema. Abbiamo sperimentato in tutti questi anni una magistratura completamente indipendente, che compie una carriera automatica, e qual è il risultato del funzionamento della giustizia con i poteri assestati in questo modo? È disastroso per il cittadino, non per i magistrati. È disastroso per il cittadino.
Consentitemi di rilevare - vorrei che fosse messo agli atti - che a me sembra che nessuna ipotesi di riforma della giustizia possa prescindere dalla vergogna che è oggi il nostro problema carcerario. Noi stiamo accettando da anni, per meglio da decenni, un sistema di illegalità che adesso è punito in tutte le sedi. Persino la California


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ha liberato 40 mila detenuti, mentre noi lo accettiamo sostenendo che i posti sono pochi e che costruiremo nuove carceri, chissà quando, mentre intanto 68 mila detenuti vivono in 40 mila posti.
Questo è il ragionamento che cinicamente si svolge in Italia e io mi auguro che qualcuno cominci a discutere anche di questo tema per sollevare i problemi necessari di legalità che devono essere affrontati immediatamente.

GIANCLAUDIO BRESSA. Intervengo per una questione che forse dal punto di vista normativo può essere considerata minore rispetto a quelle che sono state sottoposte dai miei colleghi, ma che ritengo sia comunque culturalmente svelatrice di un'idea di giustizia.
Faccio riferimento a una questione che era comparsa ai tempi della Commissione bicamerale di D'Alema e che poi si è persa nelle nebbie dei lavori parlamentari anche successivi, ossia al fatto che in quell'occasione veniva affidata al Ministro della giustizia la possibilità, anzi il dovere, di promuovere la comune formazione propedeutica all'esercizio delle professioni giudiziarie e forensi.
Non credete che ciò possa essere altrettanto importante della costituzionalizzazione dell'avvocatura al fine di garantire una comune cultura della legalità, come ha affermato l'avvocato Spigarelli?

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

GUIDO ALPA, Presidente del Consiglio nazionale forense (CNF). Colgo l'occasione per salutare la presidente della Commissione giustizia Giulia Bongiorno e il Ministro della giustizia Angelino Alfano.
Innanzitutto svolgo una precisazione: le nostre risposte che sono state ritenute incomplete non derivano da un'esitazione in ordine alla valutazione o all'apprezzamento del testo, ma semplicemente dal fatto che, avendo ricevuto la convocazione a distanza di una settimana dal momento nel quale era prevista l'audizione, il Consiglio nazionale forense si è riunito in seduta disciplinare ieri e solo questa mattina ha potuto cominciare a esaminare e a discutere il testo.
Per questa ragione, volendo svolgere valutazioni di carattere non tanto politico quanto tecnico, abbiamo preferito enunciare alcune osservazioni e le adesioni ad alcuni princìpi, riservandoci di poter approfondire il testo nell'ambito della discussione e di consegnare poi un testo più articolato.
Vorrei anche che fosse sgombrato dalla discussione un equivoco di fondo, cioè l'equiparazione, magari soltanto per alcuni aspetti, della funzione della carriera del magistrato e dell'avvocato, anche perché l'avvocato esercita una libera professione. Noi quindi riteniamo che il legislatore si debba astenere il più possibile dal disciplinare questa professione, essendo essa libera, e che debba intervenire solo quando ci sono interessi sociali e pubblici da tutelare, lasciando alla libera professione il suo diritto di autogovernarsi e autodisciplinarsi.
L'autodichia, che peraltro è un privilegio che la nostra Costituzione ha già riconosciuto all'avvocatura, non dovrebbe essere dispersa in un'assimilazione fra queste due figure, che sono assolutamente fra loro diverse.
Mi spiego meglio. A differenza di altre professioni, come loro sanno, la professione forense ha un privilegio costituzionalmente garantito e che non può essere soppresso, quello di mantenere la sua funzione di giudice speciale attraverso il Consiglio nazionale forense. Avverso le decisioni del Consiglio nazionale forense si fa ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione e, quindi, questa funzione di autodichia è costituzionalmente già tutelata.
Non ci devono neanche essere equivoci sulla proposta che l'OUA ha avanzato a proposito del riconoscimento dell'avvocatura all'interno della Costituzione in questo progetto di revisione costituzionale, perché tale proposta è tesa ad arricchire e a dare un nuovo ruolo e, se possibile, una


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maggiore forza alla posizione dell'avvocatura, non certo a perdere il privilegio e limitare l'autodichia. Non vorrei neanche che si parlasse di giustizia domestica, perché in questo caso è la giustizia che la libera professione dà di se stessa.
Come secondo punto non c'è equiparazione fra il ruolo dell'avvocato e quello del magistrato, il quale è un impiegato dello Stato, che ha una sua qualificazione particolare. Certamente può destare alcune perplessità la formulazione del testo della riforma che estende la responsabilità degli impiegati civili dello Stato a tutti indifferenziatamente. Ovviamente si tratta di responsabilità di tipo diverso: un conto è la responsabilità nell'espressione di un giudizio, un altro la responsabilità nell'adempimento di atti amministrativi.
Per inciso, lo Stato è necessariamente responsabile per l'esercizio dell'attività delle funzioni di magistrato, perché questa è giurisprudenza costante e non soltanto un orientamento della Corte di giustizia. Lo Stato risponde per gli errori compiuti dal magistrato ex articolo 2049 del Codice civile. Su questo punto, dunque, non ci sono problemi.
Sotto il profilo dell'indipendenza dell'avvocatura noi ribadiamo i princìpi che già costituzionalmente sono previsti e, dal punto di vista dell'indipendenza del magistrato, l'impressione che si ha - ma approfondiremo ulteriormente il discorso - è che, se si coordinano fra di loro l'articolo 2, l'articolo 3 e l'articolo 4 di questo progetto, ne emerge che si sostituisce all'espressione «magistratura» quella di «giudici». Questo è l'orientamento della dottrina costituzionalistica e della Corte costituzionale.
In altri termini, laddove è prevista l'espressione «magistratura» nella Costituzione, si vuole individuare un autonomo potere, ma non una corporazione. Ciò nell'interpretazione della giurisprudenza costituzionale è molto chiaro, ragion per cui l'espressione «i giudici costituiscono un organo autonomo e indipendente» riflette questa interpretazione del testo.
Allo stesso modo, quando si afferma che l'ufficio del pubblico ministero è organizzato secondo le norme dell'ordinamento giudiziario che ne assicurano l'autonomia e l'indipendenza, io penso che si faccia riferimento, come attualmente è, alla legge sulle guarentigie. Se si tratta di distinguere l'autonomia del giudice in quanto tale, che è magistrato, ma giudice e non pubblico ministero, e che vede tutelata la sua autonomia e indipendenza direttamente nella Costituzione, per quanto riguarda i pubblici ministeri si rinvia alla legge, ma il principio di indipendenza e di autonomia è comunque sempre contenuto nella Costituzione e si riferisce alla legge che assicura la separazione delle carriere dei giudici per poter preservare l'autonomia e l'indipendenza. Credo che siano questioni più di «espressione ideologica» di un pensiero piuttosto che non della sua concreta realizzazione.
Per quanto riguarda la comune formazione, su questo punto innanzitutto, nell'attesa riforma della professione, non abbiamo chiesto la soppressione delle scuole Bassanini, ma la legittimazione delle scuole forensi, in modo che non siano soltanto l'espressione di un'autonomia solidaristica espressa dagli ordini, ma che abbiano una loro dignità legislativa e un loro riconoscimento.
Purtroppo abbiamo dovuto riscontrare che, nonostante inizialmente si pensasse che la comune formazione propedeutica potesse essere utile sia per gli aspiranti magistrati, sia per gli aspiranti avvocati, nelle modalità con cui tali corsi sono stati effettuati è venuto a mancare l'orientamento professionale delle scuole.
Noi riteniamo che le scuole forensi siano più adatte per la formazione culturale dell'avvocato a dare al corso un'intonazione e contenuti professionali di quanto non avvenga nelle scuole di specializzazione universitaria. Non ci sono, quindi, pregiudizi ideologici nell'elevazione delle scuole forensi al rango delle scuole di specializzazione universitaria, ma semplicemente una presa d'atto di un'esperienza in parte non soddisfacente e l'esigenza che


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coloro che si presentano all'esame di Stato per diventare avvocati abbiano già compiuto un'esperienza culturale connessa con la professione piuttosto che un'esperienza di tipo esclusivamente teorico.

ANDREA MASCHERIN, Consigliere segretario del Consiglio nazionale Forense (CNF). Vorrei richiamare l'intervento dell'onorevole Mantini. Sono d'accordissimo sul fatto che un quadro andrebbe completato parallelamente, ma ciò non deve comportare il ritardo di una rivisitazione della parte sia costituzionale, sia ordinaria del processo accusatorio. In sostanza, va bene, ma ciò non deve portare a un minuto di ritardo nella realizzazione delle riforme.
Le osservazioni dell'onorevole Capano sono suggestive, ma non da giuristi, perché non occorre venire a prospettare a noi, giuristi o aspiranti giuristi, il pericolo di un pubblico ministero cacciatore di taglie. È un tema che, per chi conosce la cultura mondiale del sistema accusatorio, non dovrebbe trovare accesso in una discussione giuridica.
Per l'onorevole Ferranti, che ha immediatamente distinto tra la funzione del magistrato e quella dell'avvocato, con un ragionamento da giurista, la risposta sarebbe pregiudizievole per chi pone la domanda. Se noi dovessimo rispondere - la domanda era sulla composizione basata sul 50 per cento - sulla base dell'esperienza attuale, dovremmo dire no al 50 e 50 e proporre il 60 per cento di laici e il 40 di togati. A me pareva che lei avesse fatto riferimento giustamente anche alla composizione del 50 e 50 per cento.
Ha ragione l'onorevole Bernardini sul fatto che l'esperienza attuale delle carriere dei magistrati, dei procedimenti disciplinari dei magistrati ci porterebbero veramente in maniera più radicale su questo indirizzo rispetto a quello attuale, ma noi, come ho rilevato prima, siamo aperti sotto questo punto di vista a diverse calibrazioni.
L'affermare che noi siamo garantiti come difesa dall'attuale sistema del Consiglio superiore della magistratura non è corretto e, quindi, auspichiamo un miglioramento.
La formazione comune è sicuramente importante. Noi abbiamo presentato un progetto di legge e auspichiamo che venga portato avanti, ma finora viene fermato soprattutto da alcune componenti proprio sull'idea di un ostacolo all'accesso alla professione. Bisogna partire dalle università con una facoltà diversa che apra diverse strade e la formazione comune ne fa parte. L'importante è che si vada verso una riforma che selezioni un'avvocatura e un giurista qualificato. Poi le strade possono divergere e la formazione può essere continua e comune.

GUIDO ALPA, Presidente del Consiglio nazionale forense (CNF). Se posso aggiungere solo un'osservazione, noi non abbiamo ricevuto materiali, se non quelli che sono stati depositati alla Camera, cioè il testo del disegno di legge e ovviamente le raccolte che abbiamo messo insieme nel nostro ufficio studi.
Volevo segnalare che alla fine degli anni Ottanta il Presidente Cossiga aveva istituito una Commissione per la riforma del Consiglio superiore della magistratura, di cui ho fatto parte, con Presidente Livio Paladin. Ne facevano parte anche Gustavo Zagrebelsky, Sergio Fois e altri colleghi costituzionalisti, che erano giunti a soluzioni molto interessanti, alcune delle quali emergono anche da questo disegno di legge. Era stata svolta un'analisi costituzionale molto attenta.

FIORELLA CERIOTTI, Segretario dell'Organismo unitario dell'avvocatura italiana (OUA). Spendo soltanto due parole per affermare che effettivamente il non aver voluto deliberatamente entrare con eccessivo puntiglio nel dettaglio di ogni singolo articolo è stato proprio un segno di rispetto del valore di un testo che intende riformare una parte tanto importante della Costituzione e del non voler abbozzare un lavoro tralaticio da consegnarvi su punti di estrema delicatezza.


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In merito al nostro compito di oggi - mi posso associare in questo senso alle parole del Presidente Alpa - anche noi non abbiamo avuto modo di deliberare un documento ufficiale. Ovviamente la presa di posizione ufficiale su argomenti di questo spessore è delicata, anche perché implica, come ha ricordato l'onorevole Bernardini, valutazioni di natura politica.
Volendo rimanere nel discorso più prettamente tecnico, la nostra valutazione, che ribadiamo, è di apprezzamento della volontà di cominciare a pensare ad alcuni cambiamenti. Pensiamo, però, che non necessariamente la norma debba essere esattamente questa. Sul meccanismo elettorale con l'estrazione a sorte ci riserviamo di valutare con ancor maggiore attenzione e di non lasciare la risposta alle parole al vento, ma di metterla per iscritto con la necessaria e la dovuta accuratezza.

FILIPPO MARCIANTE, Rappresentante dell'Organismo unitario dell'avvocatura italiana (OUA). Anche a nome dell'organismo, come ha fatto il Presidente Alpa, vorremmo ringraziare il Ministro Alfano e la presidente Bongiorno per la presenza e per averci ascoltato. Provenendo dalla mia terra, sono particolarmente orgoglioso che l'uno sia Ministro e l'altra presidente. È una nota personale che condivido con altri colleghi siciliani.
L'OUA ha lavorato sul tema del riconoscimento costituzionale e su quello abbiamo elaborato documenti scritti che credo siano stati apprezzati. Il presidente Pecorella è intervenuto dopo che noi avevamo fatto nostra la proposta di legge e noi amiamo confrontarci, dopo aver sentito, come asseriva il Presidente Alpa per il CNF, i nostri organismi.
Siamo pronti a interloquire su ognuno dei punti della riforma, anche sull'iniziativa sull'obbligatorietà dell'azione penale o sulla responsabilità civile dei magistrati e per questo motivo vi chiediamo, qualora lo riterrete opportuno, e sono certo che ciò avverrà, unitamente all'Unione delle camere penali e al CNF a fornire ulteriori documenti scritti. Abbiamo ritenuto opportuno, in questa sede, consegnarvi la documentazione che avevamo già predisposto.
Infine, vi ringraziamo perché pensiamo che tavoli di confronto come questi possano portare a buone leggi e a evitare inutili, costose e lunghe contrapposizioni che non hanno nulla a che vedere con gli interessi dei cittadini.

VALERIO SPIGARELLI, Presidente dell'Unione delle camere penali italiane (UCPI). L'Unione delle camere penali italiane studia la separazione delle carriere da vent'anni. Abbiamo la possibilità di essere brevissimi per questo motivo, ma alcune risposte mi sembrano doverose, soprattutto perché sono stato chiamato direttamente in causa io, insieme all'Unione delle camere penali.
Passo alla prima risposta. Non ci nascondiamo dietro a un dito. Che cosa significa, qualcuno ci chiedeva, la terzietà del giudice? Significa che non sarebbe necessario, in un ordinamento in cui ci fosse un giudice culturalmente terzo, scrivere una norma nel Codice di procedura penale che impedisca di mettere in prigione la gente per farla confessare e scriverla dopo aver elaborato il medesimo codice. Se il legislatore a metà degli anni Novanta ha dovuto «interlineare» l'articolo 274, cioè ha dovuto scrivere che non è un'esigenza cautelare la mancata confessione di un indagato o la mancata risposta all'interrogatorio è perché la gente in quel periodo - ahimè - veniva sottoposta a custodia cautelare per questo motivo dai giudici, onorevole Ferranti, non dai pubblici ministeri. I pubblici ministeri lo chiedevano e addirittura lo scrivevano apertis verbis.
Questo è un difetto di terzietà culturale. Oggi si fa lo stesso, ma si ha la decenza di non scrivere che si tratta di un'esigenza cautelare.
Un altro dei punti, onorevole Ferranti, sempre sulla mancanza di terzietà, è che noi ci occupiamo delle intercettazioni telefoniche. La Corte costituzionale nel 1975 dettò un decalogo per cui, se la magistratura


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italiana terza anche rispetto al diritto di riservatezza e all'impossibilità di sottoporre a intercettazioni in alcuni casi avesse rispettato quello Statuto, non avremmo bisogno oggi di tornarci sopra.
Mancanza di terzietà significa mancanza di una cultura della terzietà che si avverte nei tribunali e che non è soltanto un reclamo non adeguatamente soddisfatto dell'articolo 111 della Costituzione in questo Paese. Noi conosciamo perfettamente il tema. Mi lasci rilevare, e penso di poterlo fare perché gli atti dell'avvocatura lo affermano da tempo, che l'avvocatura sulla separazione delle carriere, nei suoi congressi dell'Unione delle camere penali e del Congresso nazionale forense, è unanime da sempre. Non c'è bisogno di tarare questo tipo di soluzione.
Si parlava prima di alcune norme su cui noi saremmo stati un po' disattenti, ma francamente la prima su cui non lo siamo stati è quella dell'elettorato attivo per sorteggio, che abbiamo criticato. Mi pareva di essermi spiegato piuttosto puntualmente, anche perché mi sono soffermato sufficientemente sia a proposito dell'organo di autogoverno, quanto dell'organo di disciplina. Su tale tema non penso che ci sia bisogno di interloquire ulteriormente.
Che ci sia già uno Statuto diverso del pubblico ministero rispetto a quello del giudice lo dispone l'articolo 107 della Costituzione e lo dispone oggi, non nel futuro e a Costituzione modificata. Quando si invoca la perdita della cultura della giurisdizione da parte del pubblico ministero, perché il pubblico ministero diventerebbe un cacciatore di taglie, si dimentica che in ordinamenti in cui il pubblico ministero è sicuramente del tutto diverso tanto dall'avvocato quanto dal giudice ci sono alcuni valori culturali trasversali tali per cui l'atteggiamento dei soggetti del processo è fair, cioè ispirato a una «obiettività» - non chiamiamola imparzialità, altrimenti ci confondiamo - che, non a caso, la nostra Costituzione già richiama per tutti i funzionari dello Stato nell'articolo 97.
Il pubblico ministero è una parte del processo e fa ciò che deve fare una parte onesta nel processo. Anche l'avvocato nel processo ha questo tipo di rispetto delle norme e non introduce prove false. Questa visione così alterata per cui la parzialità è quasi foriera di un comportamento scorretto è assai arretrata. Una parte può essere all'interno di un processo pienamente una parte e - vivaddio - controllata da un giudice terzo, che è sicuramente indipendente rispetto a tutti, ma non per questo subisce una deminutio all'interno del sistema e meno che mai in un sistema accusatorio.
Questa è la risposta a proposito del fatto che prima ero stato assai pacato. Non capisco perché qualcuno sosteneva che fossimo molto presi da questa discussione.
Per quanto riguarda la cultura comune, nella nostra proposta avevamo a suo tempo, quando ci si faceva notare che non si poteva modificare lo Statuto del pubblico ministero perché lo si doveva fare per legge costituzionale - parlo del periodo che va dall'anno 2002 più o meno fino alla fine dell'avventura della riforma Castelli, quando, per la verità, ci si opponeva esattamente al contrario, cioè che al fatto che per introdurre la separazione delle carriere si dovesse necessariamente modificare la Costituzione - era prevista una scuola unitaria delle professioni forensi, che poteva essere post-università e che costruiva quella cultura unitaria.
Un conto è la cultura unitaria, la cultura delle regole, la cultura che valorizza le funzioni delle parti e un altro è, invece, una cultura della giurisdizione in cui, con una visione autoritaria della funzione, si ritiene che esista una funzione giudiziaria con due sottofunzioni, l'accusa e la difesa, che vengono ricomprese in essa.
Uso l'aggettivo «autoritaria» non per sbaglio, ma perché esiste un richiamo storico puntuale. Quando venne illustrata dal ministro Grandi la legge sull'ordinamento giudiziario, in quel periodo di tempo si sostenne che l'unità delle carriere era la migliore difesa a una concezione propria dello Stato autoritario e non a caso. È vero, perché in qualsiasi democrazia


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moderna è la distinzione di queste due funzioni e non la sua unitarietà a rappresentare il crisma di una Costituzione realmente liberale e democratica, come in molti si affannano a sostenere da tempo.
Un'ultima notazione è di carattere politico-giudiziario. L'onorevole Bernardini chiedeva di prestare attenzione, di parlarci di tutto e di ciò di cui stiamo discutendo. Stiamo discutendo di una parte della Costituzione che è stata elaborata in un momento in cui quello che in altri Paesi, in altri contesti e con molta maggiore pacatezza viene analizzato da parte di tutti gli schieramenti politici, quello che viene definito l'«imperialismo giuridico», una sorta di disequilibrio tra i poteri dello Stato, viene preso in considerazione per ragionarci sopra. Solo in questo Paese, quando si ragiona di questo tema, si devono per forza alzare steccati.
Noi, invece, riteniamo che il punto che non si doveva e che non si deve oltrepassare in questo Paese e per questa Costituzione non esca scardinato da questo progetto di riforma: il pubblico ministero è un ufficio che ha un suo rilievo e che non dipende dall'esecutivo. Lasciatemi osservare che in altri contesti la dipendenza dall'esecutivo da parte dell'ufficio del pubblico ministero è serenamente accettata e certamente non è antidemocratica, almeno questo diciamocelo, ma in questo disegno di legge non lo vogliamo e non mi pare che sia proposto.

PRESIDENTE. Ringrazio gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,40.

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