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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione III
3.
Martedì 20 novembre 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Pianetta Enrico, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUI NUOVI INDIRIZZI INTERNAZIONALI DELLE POLITICHE DI COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO E IL RUOLO DEI PARLAMENTI

Audizione di Giovanni Camilleri, Coordinatore internazionale della UNDP - ART Global Initiative (Articulation of Territorial and Thematic Networks of Cooperation for Human Development):

Pianetta Enrico, Presidente ... 3 7 8
Camilleri Giovanni, Coordinatore internazionale della UNDP - ART Global Iniziative ... 3 7
Galli Daniele (FLIpTP) ... 7
Touadi Jean Leonard (PD) ... 7
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Autonomia Sud - Lega Sud Ausonia - Popoli Sovrani d'Europa: Misto-ASud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 20 novembre 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ENRICO PIANETTA

La seduta comincia alle 13,45.

(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto chela pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di Giovanni Camilleri, Coordinatore internazionale della UNDP - ART Global Initiative (Articulation of Territorial and Thematic Networks of Cooperation for Human Development).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui nuovi indirizzi internazionali delle politiche di cooperazione allo sviluppo e il ruolo dei parlamenti, l'audizione di Giovanni Camilleri, Coordinatore internazionale della UNDP - ART Global Initiative (Articulation of Territorial and Thematic Networks of Cooperation for Human Development).
Il dottor Camilleri è accompagnato dalla dottoressa Marina Ponti, direttrice per l'Europa della campagna per gli Obiettivi di sviluppo del Millennio. Voglio ricordare che ART Global Initiative è un programma di cooperazione internazionale finalizzato a promuovere lo sviluppo sostenibile a livello locale.
Quando sono stato a New York, insieme al collega Tempestini, in occasione della settimana inaugurale dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, abbiamo avuto modo di incontrare i rappresentanti del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP). L'audizione di oggi è una continuazione di quell'incontro in ragione del ruolo che UNDP svolge a livello globale. Ci interessa soprattutto conoscere l'insieme delle iniziative in vista degli Obiettivi di sviluppo del Millennio, che rappresentano il cuore dell'attività del nostro Comitato.
Do, quindi, la parola al dottor Camilleri per lo svolgimento della relazione.

GIOVANNI CAMILLERI, Coordinatore internazionale della UNDP - ART Global Iniziative. Vi ringrazio per questa opportunità. Il lavoro che Marina Ponti ha realizzato in Italia nell'ambito delle mete del Millennio ha espresso l'obiettivo dello UNDP nonché le potenzialità della campagna.
Oggi vorrei presentarvi una modalità di cooperazione che le Nazioni Unite hanno attivato nel 2002 in una forma sperimentale e che solo nel 2009 è stata formalizzata come metodo operativo nell'ambito della cooperazione. Vorrei focalizzare innanzitutto l'attenzione sulla necessità di collegare i territori per una maggiore efficacia dell'aiuto.
Il collegamento dei territori è l'elemento basilare di questa metodologia. Ciò dovrebbe avvenire sia tra territori dello stesso Paese sia soprattutto tra territori di Paesi diversi. Poiché la distanza tra la dimensione locale e la dimensione globale è sempre più ridotta, ciò che avviene in Italia ha conseguenze positive o negative sulla qualità della vita dei cittadini e sulle autorità elette di Paesi a diecimila chilometri di distanza e viceversa.


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Il collegamento dei territori permette di operare sia sulla testa che sulla coda dei problemi, identificando nella cooperazione un canale che favorisce il dialogo tra le due dimensioni. Sarebbe demagogico pensare che la cooperazione possa risolvere i grandi problemi dell'ambiente, della pace e della sicurezza. È compito della politica, ma la cooperazione può essere un ottimo strumento di dialogo per considerare gli stessi effetti da punti di vista diversi, come il 6 che visto sottosopra sembra un 9 e viceversa. L'importante è che il dialogo conduca a una sintesi individuando un'azione efficace e positiva.
L'efficacia dello sviluppo è la seconda dimensione. La cooperazione è stata accusata in termini generali di essere poco efficace o poco effettiva. A maggior ragione, in questo momento in cui le risorse sono minime se non azzerate, è obbligatorio utilizzare le poche che ci sono per ottenere il miglior risultato possibile.
Da questo deriva l'immagine dei tre ingranaggi che, articolandosi tra loro, generano energia. Uno rappresenta la dimensione locale, un altro la dimensione nazionale e l'ultimo la dimensione globale, tre dimensioni che devono interagire. Il programma ART, Articolazione reti tematiche e territoriali, non è un programma sull'arte, ma un programma sulle reti territoriali del nord e del sud. Il dialogo che si vuole promuovere è pensato e sviluppiamo in una dimensione rispettosa delle responsabilità locali, nazionali e globali.
Il punto è non scegliere il livello locale pensando di migliorare la situazione immediatamente. Bisogna anche considerare le politiche di decentramento e gli strumenti che i territori hanno a disposizione. Le reti territoriali servono per lo scambio delle migliori esperienze in diversi campi di azione e promuovono partenariati internazionali.
Il nostro programma rafforza i partenariati tra soggetti pubblici, privati, accademici o della società civile dei territori di due Paesi affinché possano dialogare sul tema dell'acqua, dell'energia, del lavoro, dell'economia illegale, delle migrazioni e così via. Non ci aspettiamo demagogicamente di trovare e applicare una soluzione, ma piuttosto che, a partire da questo dialogo, si arricchisca il numero di elementi che i legislatori, i politici locali o i soggetti responsabili possono prendere in considerazione per evitare di cadere nella trappola del 6 e del 9.
I partenariati sono, quindi, orizzontali e hanno l'obiettivo di rafforzare la coesione sociale e massimizzare l'impatto della conoscenza e delle risorse. È un primo aspetto molto concreto, che riteniamo abbastanza innovativo. La cooperazione è sì locale, ma coinvolge soggetti, quali ad esempio allevatori o produttori di due Paesi, che arrivano a condividere proposte per i rispettivi processi di sviluppo locale e per le politiche nazionali.
Il secondo elemento innovativo è pensare ad altre risorse oltre a quelle economiche. Ci sono risorse altrettanto importanti che vengono poco utilizzate e che possiamo chiamare i saperi dei territori. Tali saperi sono riferiti ad aspetti che sembrano banali, ma che nei Paesi in via di sviluppo possono essere determinanti, come per esempio l'anagrafe. In un Paese che esce da una guerra, prima di poter votare bisogna capire chi è chi. Condividere con un Paese simile l'esperienza del funzionamento di un servizio di anagrafe è una risorsa dal valore molto superiore al costo effettivo.
Mobilizzare i saperi e le conoscenze dei territori nei due sensi, non solo dal nord verso il sud, ma anche dal sud verso il nord, è una risorsa che può contribuire a compensare la riduzione delle risorse finanziare.
L'articolazione delle reti territoriali non può essere lasciata completamente alla propria dinamica. In Italia la cooperazione decentrata è molto attiva, come peraltro lo è nel resto d'Europa. Sono impegnati almeno cinquemila soggetti. Se ciascuno si attiva mosso dalla buona causa che persegue, è facile che nel Paese dove si opera si crei una galassia di piccole azioni assolutamente lodevoli nella loro finalità e probabilmente ben concepite, ma che non fanno strategia.


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Come sapete, c'è una legge fisica secondo la quale più vettori che vanno in direzioni diverse danno somma zero, mentre più vettori che seguono una direzione comune danno un risultato superiore alla somma delle parti. Questo è l'obiettivo del programma.
La nostra presenza nei vari Paesi non è dovuta a un progetto, ma a un accordo tra le Nazioni Unite e i governi nazionali. C'è quindi una continuità e, come sapete, uno dei grandi limiti della cooperazione è quello di istituire progetti di un anno o due che, anche qualora siano ben congegnati, purtroppo non garantiscono la sostenibilità del beneficio prodotto.
Le Nazioni Unite appoggiano le politiche di sviluppo dei Paesi in cui operano e sono presenti con continuità. Siamo base di consultazione per tutti i donatori esterni. Parlando, ad esempio, di acqua, conosciamo le politiche di un dato Paese e la direzione che vuole intraprendere. La nostra proposta è che la cooperazione, in particolare quella decentrata, interessata a questo dialogo e all'interscambio di conoscenze tra territori possa mobilitarsi, ma articolando la propria azione e il proprio sapere con il processo in corso nel Paese per rendere quest'ultimo di miglior qualità e per rendere l'azione di cooperazione sostenibile e al minor prezzo.
Per schematizzare abbiamo scelto alcune immagini. La prima richiama la tipica iniziativa di cooperazione in cui i motivi per operare sono importanti, ma ognuno parte spinto dalla propria volontà e determinazione a fare qualcosa. Utilizzando i nostri programmi, che sono quadri di riferimento operativi, le diverse realtà possono organizzarsi tanto dal lato italiano, in questo caso, quanto dal lato del Paese di destinazione. La linea che unisce queste due realtà è il collegamento tra le reti territoriali d'origine, che mobilitano saperi, e i processi di sviluppo locali che questi saperi utilizzeranno.
Questa operazione è logica, ma, come dicevo prima, nel 2001 tutto è cominciato in via sperimentale. Lo stesso UNPD voleva che dimostrassimo che la cosa poteva funzionare. Oggi siamo presenti con i nostri programmi in ventidue Paesi e possiamo dire che si tratta di un processo complesso, ma che funziona. Quando il programma va a buon fine, i risultati politici, quantitativi e qualitativi fanno la differenza. Valutazioni locali, nazionali e internazionali in maniera diversa dicono esattamente questo.
Non si tratta di trovare la formula magica. Si tratta di un diverso paradigma di cooperazione non più basato sulla logica donatori/beneficiari, ma su una logica in cui i cittadini sono soci e colleghi nel raggiungimento di obiettivi comuni, come quelli della piattaforma delle campagne per il millennio, che interessano sia i cittadini del nord che del sud. In questo senso, essi si alleano, comunicano, dialogano e operano per trovare formule e mettere a disposizione esperienze che possano concorrere, insieme alle politiche di sviluppo, a risolvere o dare risposta a varie problematiche.
Questa è la visione del programma. Dal lato dei Paesi in via di sviluppo lavoriamo per rafforzare la capacità di programmazione e di gestione dei nostri interlocutori locali nei loro territori, mettendoli in collegamento con gli attori dal lato europeo per creare partenariati che siano in grado di ampliare le potenzialità dei territori.
In concreto, la missione è dunque quella di ampliare le potenzialità e consolidare la partecipazione locale. Dopo Roma andrò a Milano per la presentazione dell'iniziativa «Senegal» alla presenza delle autorità senegalesi e lombarde e dei soggetti della società civile lombarda. È un esempio che sintetizza quanto ho detto finora. Nella regione di Luga esiste un grosso problema legato all'acqua. Il progetto che è stato formulato prevede la riorganizzazione di tutto il sistema idrico del nord del Senegal, di cui Luga fa parte. Abbiamo proposto alla Lombardia non di erogare dei fondi, ma innanzitutto di mettere a disposizione le conoscenze sulla tecnologia e sugli aspetti legali della gestione dell'acqua.
Il progetto prevedeva di estendere l'accesso al prelevamento di acqua a centomila persone in più. Ogni provincia lombarda ha versato 15.000 euro e la regione


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Lombardia 50.000 euro. Come Nazioni Unite, abbiamo investito 300.000 euro e altrettanti ne ha destinati il Governo senegalese. Questa è la nostra formula. Ai Paesi del sud, anche ai più poveri, chiediamo, se veramente interessati al progetto, di utilizzare le risorse presenti nel loro bilancio nazionale, suddividendo il finanziamento in tre parti.
Il progetto è terminato e ha comportato un costo di circa 900.000 euro. Nessuno ha finanziato nessuno, ma tutti hanno mobilitato risorse tecniche e finanziarie di entità accettabile anche di questi tempi. L'impatto è stato notevolissimo e venerdì a Milano si svolgerà la presentazione di fronte a tutti i partecipanti. La partecipazione è un altro elemento fondamentale. Solo dal lato italiano, sono stai coinvolti quasi cinquanta soggetti. Questo vuol dire anche trasparenza. Dal lato senegalese hanno partecipato invece la regione di Luga, il Ministero delle acque, le comunità rurali.
Segnalo che dalla regione di Luga proviene il maggior numero di emigranti nel nord Italia. Io ho vissuto in quella regione per tre anni. La gente se ne va per diversi motivi, ma mantiene l'idea di tornare. Dare più opportunità significa soprattutto migliorare la qualità della vita.
La continua articolazione tra dimensione locale, nazionale e internazionale, rappresentata dal quadro programmatico delle Nazioni Unite, è la sostanza del programma. Come dicevo, oggi siamo presenti in ventidue Paesi di Asia, Africa e America latina, il che significa che il nostro modello è applicabile in diversi contesti politici, culturali ed economici.
Io risiedo a Ginevra da quattro anni e ho vissuto in molti Paesi africani, asiatici e sudamericani, ma da italiano tengo a dire che la proposta di questo metodo cooperativo è stata lanciata proprio dall'Italia, in virtù della ricchezza della propria storia basata sui sistemi locali, metodo che ha attecchito in contesti culturali molto diversi.
Quella che vi sto raccontando non è la visione di Giovanni Camilleri, che potrebbe essere nazionalista o nostalgica. È il target della nuova cooperazione che il sistema delle Nazioni Unite e l'insieme di tutti gli attori stanno percorrendo. Siamo fortemente collegati all'Italia. Abbiamo accordi con quattordici regioni italiane, settantasette province e duecento comuni, oltre che con centinaia di soggetti della società civile.
È anche interessante notare che si tratta di un modo per far partecipare attivamente i territori alle sfide globali, sfruttando ciò che meglio sanno fare e impiegando risorse minime. Questo serve anche al dibattito globale. Oggi si parla del post-2015, di Rio 20. È bene che in queste sedi, in cui le Nazioni Unite sono fortemente attive, portiamo anche queste esperienze e dinamiche, arricchendo il dibattito.
Credo che possiate percepire a fondo cosa significhi questo dialogo. Nei Paesi più difficili, come ad esempio la Palestina, dove sono stato due settimane fa e dove tornerò tra poco, il fatto che le popolazioni siano in comunicazione con qualcuno e possano condividere i propri problemi è già una parte importante dell'atteggiamento con cui si affrontano le difficoltà. La cosa peggiore è il sentirsi abbandonati. A quel punto prevale la disperazione e diventa difficile proporre razionalmente aiuti e programmi. Se non si riesce a recuperare la situazione, è problematico operare positivamente. Il dialogo con i territori è, quindi, un elemento importante.
Vorrei aggiungere un'ulteriore informazione. Mi interessa che abbiate chiara l'idea del meccanismo che stiamo applicando, della sua fattibilità e di quanto sarebbe interessante rafforzarlo. Siamo in totale sintonia con l'Unione europea. Nel novembre 2011 l'Unione ha approvato la cosiddetta Agenda for change, che ribadisce quanto vi ho illustrato e dimostra come il dibattito stia andando in questa direzione.
L'Agenda for change, inoltre, destina una quantità di risorse importantissime a questi scambi e partenariati di cooperazione decentrata, come mai era avvenuto in passato. Tra l'altro, per la prima volta viene operato un distinguo fondamentale tra le ONG, che svolgono un'azione molto importante, e le autorità locali, il cui ruolo


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viene riconosciuto per la prima volta. Ritengo utile condividere questo aspetto. Stiamo lavorando insieme affinché si crei la massima collaborazione a livello locale.
Grazie dell'attenzione.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Camilleri per averci fornito una presentazione di carattere generale di questo meccanismo di cooperazione e soprattutto per averci dato un riscontro concreto sulla base del progetto per il Senegal. Mi pare che si possa parlare di una cooperazione a somma vettoriale positiva. La collaborazione di tutti i soggetti può dare luogo a un risultato indubbiamente migliore.
Do ora la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

DANIELE GALLI. Trovo estremamente interessante questo nuovo metodo di impostare la collaborazione tra Stati. L'apporto può essere molto più dinamico e coordinato e può garantire risultati più duraturi grazie alla compartecipazione istituzionale dei Paesi che ne beneficiano.
Credo sia importante sottolineare come questa collaborazione permetta a un territorio di sviluppare la capacità di gestire il proprio avvenire con l'aiuto di realtà che sono già avanzate. Inoltre penso che sia un modo per trasmettere anche qualcosa di più e cioè il rispetto della vita e di determinati valori e diritti della persona, che, a mio parere, dovrebbero essere conseguenti allo sviluppo economico e sociale.
Non ho domande da porre. Prendo atto e sono contento che si esuli in parte dal solito discorso relativo alle ONG, che spesso sono indirizzate e agiscono con scopi non esclusivamente cooperativi.

JEAN LEONARD TOUADI. Mi scuso per il ritardo, ma ho potuto prendere visione del documento di grande interesse che ci è stato fornito e ho seguito le ultime considerazioni.
La mia domanda riguarda l'insistenza sul protagonismo dei territori e delle comunità locali. È una riflessione avviata da tempo sia a livello teorico sia a livello di dibattiti e convegnistica. Pur essendo un'idea passata da tempo, è difficile trovare la pedagogia concreta per riuscire a metterla in pratica.
Uno dei nodi fondamentali, a mio avviso, è il fatto che gli operatori internazionali che arrivano nei Paesi in via di sviluppo devono rapportarsi ai poteri formali esistenti, mentre spesso le comunità locali sono caratterizzate da una maggiore informalità. Da un lato c'è la formalità delle istituzioni con le quali interloquite e dall'altro c'è l'informalità di questo pulviscolo di reti associative, di comunità locali e così via.
Almeno nel caso dei Paesi africani, molto spesso il carattere informale delle comunità che hanno più bisogno non è sempre in sintonia con il carattere formale delle strategie pubbliche ufficiali. Come si fa in questi contesti? Qual è la metodologia più appropriata per conferire soggettività e protagonismo a realtà locali strutturalmente organizzate in modo informale?
C'è un'altra questione interessante. Più si va negli ambiti locali più ci si scontra con quella che qualcuno chiama la sostenibilità antropologica della progettualità. Occorre cioè tener conto di dinamiche che, se ignorate, abbattono il grado di efficacia degli interventi. Vorrei sapere se esistano, sotto questo punto di vista, una metodologia e delle buone pratiche che possano dare una prospettiva incoraggiante alla linea che ci avete indicato.

PRESIDENTE. Vorrei porle un'ulteriore domanda. Oltre al progetto che ha coinvolto la Lombardia, esistono in Italia altri esempi utile a farci capire come questo metodo possa mobilitare le realtà locali in altri settori e nei confronti di altri Paesi?
Do la parola al dottor Giovanni Camilleri per la replica.

GIOVANNI CAMILLERI, Coordinatore internazionale della UNDP - ART Global Initiative. Grazie. Comincio con il commentare le vostre osservazioni, che non solo sono pertinenti, ma toccano il punto.
La cooperazione si è confrontata fin dall'inizio con la necessità di applicare le buone intenzioni, che a volte non riescono


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a concretizzarsi perché, come diceva molto bene l'onorevole Touadi, esiste un gap tra la dimensione formale di un ministero e l'operatività e la percezione di una comunità rurale. Se dicessi che il nostro metodo ha risolto questo problema, non sarei credibile prima di tutto ai miei occhi.
Quello che posso dire è che la nostra preoccupazione costante è fare tesoro delle diverse esperienze. Per questo ho detto che uno dei vantaggi del sistema delle Nazioni Unite è la continuità. Operiamo in questi Paesi non per un progetto, ma per svolgere un ruolo continuo nei processi di sviluppo. Non sempre, ma spesso riusciamo a stringere un rapporto di fiducia, più dinamico e meno ingessato, sia con le autorità nazionali sia con le autorità locali.
L'UNPD è l'agenzia che in tutti i Paesi segue le politiche di decentramento, che come ci insegna la storia Europea non terminano mai. Noi però lavoriamo con le autorità locali perché non esiste decentramento senza il rafforzamento della loro capacità gestionale.
Nei Paesi in cui siamo presenti spieghiamo chiaramente al governo che il nostro è un quadro programmatico e operativo volto a facilitare il dialogo tra territori e l'interscambio di saperi tra comunità locali. Vogliamo che le autorità siano completamente d'accordo di iniziare a collaborare perché siamo tenuti a rispettarne la sovranità. Nella prima fase di formulazione del progetto mettiamo sul tavolo tutti gli elementi utili per la loro valutazione.
Nel passato, per esempio, ricevemmo un no dalla Tunisia. Credo ci fosse il dubbio che i rapporti tra comunità locali potessero celare qualche disegno oscuro, una preoccupazione comune a molti governi nazionali. Ci avvantaggia il fatto di prevedere in fase di progettazione quali rapporti si instaureranno. Nel nostro programma stabiliamo che il soggetto attivo sia l'autorità locale, ma accanto a essa viene attivato un gruppo di lavoro, composto dai maggiori soggetti economici, accademici e della società civile del territorio, che parteciperà alla gestione del programma.
In questo binomio tra autorità locali e soggetti del territorio si instaura una dinamica spesso difficile, perché gli interessi sono contrastanti, ma diversa da quella competitiva tipicamente prodotta dalla cooperazione, tale per cui nessuno ha interesse a far sapere ad altri di lavorare a un certo progetto. La nostra è una dinamica esattamente opposta. Noi mettiamo sul tavole le risorse disponibili e poniamo come condizione che al tavolo siedano sia le autorità locali sia il territorio, altrimenti il programma non può partire.
Da ultimo, durante questa fase negoziale chiediamo che, fatte salve le leggi e le normative, il fondo sia gestito a livello territoriale perché le procedure delle Nazioni Unite ci permettono di seguire tutte le tappe, dalla formulazione al pagamento, alla rendicontazione. È un altro elemento utile.
Tuttavia, il problema di fondo non è risolto. Si potrà fare molto di più e molto meglio.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Giovanni Camilleri e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,25.

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