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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione V
6.
Martedì 28 febbraio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Marinello Giuseppe Francesco Maria, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE - ANALISI ANNUALE DELLA CRESCITA PER IL 2012 E RELATIVI ALLEGATI (COM(2011) 815 DEFINITIVO)

Audizione di rappresentanti del CER:

Marinello Giuseppe Francesco Maria, Presidente ... 3 7 10 11 13 18
Brunetta Renato (PdL) ... 10
Cambursano Renato (Misto) ... 11
Ciccanti Amedeo (UdCpTP) ... 10 15
Duilio Lino (PD) ... 13
Fantacone Stefano, Direttore del CER ... 3 13 18
Nannicini Rolando (PD) ... 11
Rubinato Simonetta (PD) ... 12
Simonetti Roberto (LNP) ... 15
Tutino Salvatore, Consigliere scientifico del CER ... 7 14 15
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.

COMMISSIONE V
BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 28 febbraio 2012


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO

La seduta comincia alle 13,05.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti del CER.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame della comunicazione della Commissione - Analisi annuale della crescita per il 2012 e relativi allegati (COM(2011)815 definitivo), l'audizione di rappresentanti del CER.
Sono presenti il dottor Stefano Fantacone, direttore del CER, e il dottor Salvatore Tutino, consigliere scientifico del CER.
Do la parola al dottor Stefano Fantacone.

STEFANO FANTACONE, Direttore del CER. Innanzitutto, da parte mia e del CER esprimo un ringraziamento alla Commissione per averci convocato. Per noi è sempre un motivo di grande soddisfazione e un onore intervenire in una sede così importante.
L'odierna audizione riguarda l'analisi della crescita proposta per quest'anno dalla Commissione europea, e più in generale si allarga all'impostazione del semestre europeo e al significato che questo può avere per le prospettive di crescita della nostra economia.
Nel documento che depositiamo agli atti della Commissione, e che cercheremo di sintetizzare il più possibile nella nostra relazione orale, sottolineiamo, innanzitutto, come, dalla lettura dei documenti europei, emerga in modo evidente un forte allineamento delle politiche italiane con le raccomandazioni europee.
Indubbiamente le misure intraprese dal nuovo Esecutivo, la spinta impressa ai processi di riforma strutturale e, in particolare, gli interventi già adottati in materia di liberalizzazioni - mentre, in merito alla riforma del mercato del lavoro, vedremo quali saranno le proposte -, il tutto anticipato dall'approvazione del cosiddetto decreto-legge «salva-Italia», quindi dalla ulteriore messa in sicurezza dei conti pubblici, allineano fortemente la politica italiana alle prescrizioni europee.
Ricordiamo che, nell'analisi della crescita, tali prescrizioni sono declinate sostanzialmente in cinque punti: il risanamento del bilancio pubblico; il buon funzionamento del mercato creditizio; l'adozione di riforme strutturali per la crescita e la competitività; gli interventi sul mercato del lavoro; l'efficientamento della pubblica amministrazione.
Con l'eccezione, per ora, dei punti concernenti il funzionamento del mercato creditizio e, in parte, l'efficientamento della pubblica amministrazione, sugli altri il Governo è già intervenuto. Rileviamo anche che l'accelerazione impressa nell'adozione delle misure è evidente, ma è


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anche, per molti versi, forte la linea di continuità con le idee e con le linee programmatiche espresse dal precedente Esecutivo.
La speranza che ci viene dai documenti europei e che risiede anche nei provvedimenti di riforma in corso di approvazione è quella di sbloccare l'economia italiana, di risolvere il problema della bassa crescita e della bassa produttività. In merito, naturalmente, non disponiamo di valutazioni precise dei possibili effetti delle misure adottate. Gli stessi documenti europei sono al riguardo piuttosto vaghi, mentre ci sono analisi più approfondite dell'OCSE. Le metodologie adottate in molti punti dovranno essere approfondite e discusse. Noi del CER ci stiamo attrezzando per fare alcune elaborazioni e, quando le avremo disponibili, le metteremo a disposizione della Commissione.
Per ora ricordiamo le valutazioni dell'OCSE, che indicano come le cosiddette riforme strutturali possano comportare l'aumento del livello di produttività totale dei fattori fino a 8 punti percentuali in un orizzonte decennale e come anche le riforme del mercato del lavoro possano contribuire a un aumento della produttività, anche se in misura assai più modesta, pari allo 0,5 per cento. Si tratterà di verificare - e cercheremo di farlo in tempi abbastanza rapidi - se queste valutazioni sono condivisibili e quali sono effettivamente le condizioni perché esse possano realizzarsi, ma ovviamente va ricordato - e lo facciamo anche nel nostro ultimo rapporto, che distribuiremo in questi giorni - che, in assenza di questi interventi, ai ritmi attuali l'economia italiana ritornerebbe sui livelli di ricchezza precedente la crisi finanziaria del biennio 2008-2009 soltanto alla fine del decennio, laddove gli altri principali Paesi o hanno già recuperato il terreno perso o lo recupereranno entro il 2013. Indubbiamente, quindi, questo passo verso le riforme strutturali era in qualche modo necessitato.
Riconosciuta, però, l'aderenza fra le attuali linee programmatiche della nostra politica economica e le prescrizioni europee, ci sembra importante, per un istituto indipendente come il nostro, sottolineare alcuni fattori di rischio e di contraddizione che risiedono nelle politiche proposte a livello europeo e, quindi, a cascata, anche nelle scelte adottate in Italia.
In particolare, nel documento depositato ci soffermiamo sul fatto che sia in Europa sia in Italia ci confrontiamo con una politica di restrizione del bilancio pubblico particolarmente accentuata, che in parte è motivata dal forte nervosismo dei mercati, ma non soltanto da questo, poiché c'è anche un'impostazione molto forte dei documenti europei che assegna priorità alla disciplina di bilancio che noi non condividiamo in pieno. Comunque sia, nella situazione attuale l'Europa è l'area che registra il maggiore rallentamento dell'economia e, allo stesso tempo, registra la maggiore restrizione nelle politiche di bilancio. Insomma, l'impostazione della politica europea ha orientato in senso prociclico la gestione delle politiche di bilancio e questo ovviamente comporterà dei costi nel breve termine - ma bisognerà capire se ci saranno anche dei costi nel medio termine - per l'economia europea e anche per quella italiana.
Al riguardo si possono citare alcuni dati contenuti nel documento depositato, a cui rimando per non annoiare gli onorevoli commissari.
Quello che ci sembra importante sottolineare, nel dare una valutazione alle prescrizioni dell'analisi della crescita e dell'intero semestre europeo, è che il modello di politica economica proposto in questi documenti non è, in realtà, o non è per intero il modello seguito dalla maggiore economia di successo in questo momento, ossia la Germania. Ci soffermiamo su questo punto un po' perché ci è stato esplicitamente richiesto, un po' perché abbiamo dedicato a questo argomento un importante rapporto. Ci sembra importante ricordare che il nuovo miracolo tedesco non poggia su questi effetti di aumento della produttività totale dei fattori generalmente associati alle riforme


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strutturali; quindi, il miracolo tedesco non si inserisce nei risultati e nelle analisi dell'OCSE che vi ricordavo prima.
In Germania è stata fatta una scelta assai più mirata. Sono state fatte delle riforme, naturalmente - del mercato del lavoro e del sistema di tassazione delle imprese - ma l'intero processo di riforma non è stato orientato genericamente ad aumentare l'efficienza dei mercati o a creare condizioni di contesto favorevoli alla crescita. La politica è stata molto più orientata, individuando nell'industria manifatturiera e nella sua competitività il fattore di forza della Germania e anche il fattore in grado di preservare gli istituti del Welfare State tedesco. Tutte le politiche strutturali sono state messe al servizio di questo obiettivo di competitività dell'industria manifatturiera. Certo, questo ha comportato forti costi, scaricati sul resto dell'Europa, ma non è questo l'aspetto importante da sottolineare ora, quanto invece il fatto che l'esperienza tedesca ci mostra, a nostro parere, che le politiche strutturali e quant'altro sono sicuramente efficaci, ma che la condizione per cui queste possano diventare efficaci è che vengano messe al servizio di un qualche obiettivo più generale.
Rispetto a tale aspetto, dobbiamo rilevare che, tanto nei documenti europei, quanto nell'impostazione attuale della politica economica italiana, questo orientamento delle politiche strutturali verso qualche obiettivo in realtà manca. Ci si limita, invece, a un'impostazione generale aspettando che questa abbia prima o poi effetti. Il rischio molto forte è che i costi di breve termine imposti dalle politiche possano essere recuperati soltanto nel lungo periodo. Il processo tedesco in questo è stato molto più rapido.
Non siamo convinti che il modello tedesco possa essere considerato un aspetto specifico del modello proposto in Europa; in parte è, invece, un'impostazione alternativa sulla quale ci sembrerebbe opportuno approfondire la discussione.
Venendo al nostro Paese e a questo problema del trade-off fra breve e lungo periodo, che tipicamente pone l'impostazione di un documento quale l'analisi della crescita e che coinvolge anche il semestre europeo, ci sembra che questo trade-off sia particolarmente acuto in Italia, anche per l'ovvia ragione che da noi la manovra di correzione dei conti pubblici è stata particolarmente severa.
Nel documento depositato riportiamo le nostre ultime previsioni dalle quali emerge - è ormai acclarato - un andamento recessivo dell'economia italiana nel 2012, che rimarrà stagnante nel 2013, per registrare solo un lieve recupero nel 2014. Le cifre che riportiamo sono più o meno in linea con quelle prodotte da altri istituti di previsione o dagli stessi istituti internazionali.
Desideriamo sottolineare che la nuova recessione italiana ha una fortissima componente fiscale. È molto forte la restrizione del bilancio pubblico attuata a partire dall'estate scorsa fino all'ultimo decreto varato dal nuovo Governo, ma il contenuto delle manovre adottate va visto come un insieme, perché in realtà anche le misure assunte sono molto omogenee fra di loro.
Stimiamo che, nel complesso, le manovre adottate abbiano almeno un effetto recessivo di mezzo punto sul tasso di crescita dell'economia italiana, il che vuol dire che le politiche strutturali dovrebbero aumentare il potenziale di crescita dell'economia italiana di almeno mezzo punto per compensare tale effetto recessivo. Sottolineiamo e richiamiamo come in questo caso l'effetto recessivo sia legato anche all'impatto sull'inflazione derivante dall'aumento dell'imposizione diretta - stimiamo in un triennio quasi due punti in più di inflazione legata all'aumento dell'IVA e delle accise - e ricordiamo come questa maggiore inflazione vada a incidere su un andamento del reddito disponibile già fortemente penalizzato sia dalla debolezza dell'economia sia dall'aumento dell'imposizione fiscale.
Ricordiamo - e qui ci sembrava importante richiamare questo confronto - come nella recessione attuale il peso delle imposte sul reddito disponibile aumenterà,


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nell'anno in corso, del 6 per cento e di un altro 2 per cento nel 2013, mentre nella recessione del 2009 si era avuta una riduzione della pressione fiscale, a dimostrazione che, sotto l'impostazione europea, le politiche di bilancio italiane sono oggi procicliche e hanno rinunciato a quella funzione stabilizzatrice che forse sarebbe auspicabile.
Ovviamente la maggiore inflazione va a incidere su un reddito disponibile che si contrarrà, in termini reali, fino a tutto il 2013. Complessivamente, nel 2013 arriveremo a registrare il sesto anno consecutivo di riduzione del reddito disponibile delle famiglie, un evento che non si era mai verificato nelle serie storiche italiane del dopoguerra. Questo è un po' l'elemento caratterizzante di questa recessione.
Sottolineiamo, altresì, - qui vogliamo dare il nostro contributo specifico ai temi sollevati - come esista, nell'impostazione della politica di bilancio italiana, una qualche contraddizione intrinseca. Ovviamente le manovre adottate aiutano o dovrebbero portare all'azzeramento del disavanzo pubblico, in linea con quello che ci chiede l'Europa. Noi stimiamo che tale obiettivo possa essere effettivamente raggiunto e pensiamo che nel 2013 l'indebitamento netto sarà pari allo 0,4 per cento del PIL, ma, sostanzialmente, l'obiettivo del pareggio di bilancio è alla portata.
Tutto questo viene realizzato, però, a fronte di un forte aumento della pressione fiscale, e più in generale, di una crescita delle dimensioni del bilancio pubblico in termini percentuali rispetto al PIL. Questo è un elemento su cui occorre fare qualche riflessione. L'obiettivo del risanamento del bilancio ha, ovviamente, un effetto immediato se è accompagnato da una restrizione del bilancio pubblico: disponendo di un bilancio più basso, a fronte del quale vi è un settore pubblico che riduce il suo livello di intermediazione sull'economia e, sostanzialmente, tende a ridurre le spese e le imposte, quindi libera risorse perché le scelte di consumo e le scelte di investimento degli operatori privati possano dispiegarsi appieno. Qui la situazione è invece completamente diversa. Se sommiamo - noi abbiamo utilizzato le nostre previsioni, ma non sono distanti dalle stesse stime ufficiali - le entrate e le spese del bilancio pubblico, al netto della spesa per interessi, che è comunque esogena, e della spesa in conto capitale, su cui si è fatto troppo affidamento per conseguire gli obiettivi, vediamo che il peso complessivo del bilancio pubblico raggiungerà l'89 per cento del PIL nel 2012 e rimarrà su questo livello per tutto il nostro periodo di previsione, ossia fino al 2014.
Sono valori da confrontare con quelli inferiori all'86 per cento del PIL, che invece registravamo all'inizio della crisi, e sono valori storicamente alti. In sostanza, il settore pubblico, se gli obiettivi verranno rispettati, andrà riducendo il ricorso al mercato finanziario, ma aumenterà il drenaggio di risorse del settore privato, che appunto si manifesta attraverso le maggiori imposte o attraverso una riduzione della spesa, ancora un po' timida.
Questa è a nostro parere - ma basiamo la nostra valutazione sulla letteratura economica e sulle teorie economiche - una situazione caratterizzata dall'inefficienza che rischia di scaricare sicuri costi sulla potenzialità di crescita del sistema economico, ma che, invece, non avrà i desiderati effetti espansivi.
Su questo punto, ci sembra che uno degli aspetti rilevanti sia proprio quello relativo alla pressione fiscale: una pressione fiscale che rimane troppo elevata e che ovviamente va a detrimento delle aspettative e delle scelte di consumo e di investimento, sulla quale ci sembrerebbe auspicabile prendere un impegno forte, se non di riduzione, di contenimento.
Già in passate occasioni, nei nostri rapporti, avevamo immaginato come utile indicare e fissare l'obiettivo di restituire ai contribuenti le risorse reperite attraverso la lotta all'evasione. In effetti, anche dalle notizie che si erano diffuse sembrava che questo impegno potesse essere assunto anche con l'emanazione del decreto-legge in materia di semplificazioni. In realtà si è rinunciato con la motivazione che, in


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assenza di risorse certe, sarebbe improprio alimentare aspettative che non potranno essere rispettate.
Naturalmente questa è una posizione che rientra nel grande rigore con cui vengono affrontate le questioni della politica economica oggi, però noi osserviamo che, in termini di aspettative, una promessa in tal senso, in questo caso avrebbe fatto bene: sarebbe stato bene fissare un paletto in base al quale si prometteva che, non appena si fossero raggiunte le condizioni, la priorità sarebbe diventata la restituzione di risorse al settore privato. In questo modo, il rischio è di alimentare negli operatori privati l'aspettativa di un aumento permanente della pressione fiscale, ma anche questa è una situazione che non fa bene alle prospettive di crescita. Tra l'altro, questo si muove anche fuori linea rispetto alle prescrizioni dell'analisi annuale della crescita per il 2012, che invece indicano come uno dei passi da compiere proprio la redistribuzione del carico fiscale dai fattori della produzione al patrimonio e al consumo. Finora, invece, più che una redistribuzione c'è stato un allargamento del carico fiscale sul patrimonio e sul consumo.
Su questo, comunque, noi abbiamo compiuto molte analisi e vorremmo fare un approfondimento. Per questo, con il permesso del presidente, passerei la parola a Salvatore Tutino che, grande esperto in materia di evasione fiscale e in generale della materia fiscale, potrà dare qualche elemento di maggiore specificità su questo argomento.

PRESIDENTE. Poiché i colleghi hanno a disposizione la relazione, è importante, a mio avviso, che abbiano il tempo di porre una serie di domande e di ricevere le relative risposte. Gradirei ascoltare, dunque, da parte vostra un intervento sintetico.

SALVATORE TUTINO, Consigliere scientifico del CER. Dando per scontata la lettura della nostra relazione, mi limiterò a qualche battuta.
Nel percorso che la Commissione europea indica nell'utilizzo delle politiche fiscali, noi individuiamo come praticabile nella nostra realtà un'azione redistributiva, in quanto la realtà italiana rispetto all'Europa, appare caratterizzata da alcuni aspetti particolari. Il primo aspetto è una pressione fiscale molto elevata: secondo noi, anche tenendo conto delle scadenze presenti per l'attuazione del federalismo fiscale - quelle già approvate - non siamo distanti dal livello del 46 per cento del PIL. Inoltre, vi è una distribuzione distorta del prelievo, nel senso che esso grava soprattutto sui fattori della produzione e meno su consumi, patrimoni e rendite. Altro aspetto è una dimensione dell'evasione fiscale sulla quale non c'è bisogno di spendere molte parole nel momento in cui, ormai, le stime si succedono l'una alle altre.
In conclusione, la politica fiscale del nostro Paese, secondo noi, si trova a doversi confrontare con una contraddizione ormai abbastanza consolidata: da un lato, l'elevato rendimento dell'assetto impositivo, dall'altro, le inefficienze e i laceranti conflitti distributivi prodotti dalla coesistenza di elevate aliquote legali e da una diffusa evasione.
Il nostro Paese ci sembra il candidato naturale a porre in essere l'azione redistributiva che è una delle linee, se non quella fondamentale, prefigurate dalla Commissione.
Non partiamo certamente da zero; anzi, devo dire che l'esperienza dello scorso anno ci fa ritenere che già abbiamo imboccato questa strada. I provvedimenti che si sono succeduti nel corso del 2011 hanno consentito di recuperare spazi - direi che si possono misurare in quasi un punto e mezzo del PIL - per quanto riguarda la tassazione sul patrimonio, mentre più timidi sono stati i passi compiuti verso gli interventi di sgravio a favore dei redditi d'impresa e da lavoro, i cui risultati si possono misurare in appena tre decimi di PIL.
In altri termini, nel 2011, l'azione redistributiva associata alla revisione del sistema del prelievo si è manifestata in modo molto contenuto, nella considerazione che i quattro quinti del maggior


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prelievo che si è realizzato per il 2011, secondo le stime ufficiali, sono stati destinati ad assicurare gli equilibri del bilancio pubblico, rispetto all'ultimo quinto, finalizzato invece più a un'azione redistributiva.
Questa azione redistributiva deve sicuramente interessare una revisione del sistema delle aliquote legali, ma deve soprattutto puntare a un ampliamento della base imponibile. Le linee da seguire sono almeno due. Da un lato, si deve intervenire sui sistemi di esenzioni e agevolazioni. Sotto questo profilo c'è un grosso lavoro svolto a suo tempo dalla Commissione presieduta da Vieri Ceriani, ma da esso bisogna trarre delle conclusioni, e non è semplice perché aver quantificato in oltre 170 miliardi di euro la ulteriore ipotetica base imponibile che può sottoporsi a tassazione configura più un approccio «probabilistico» che non un approccio praticabile.
Parlando di queste cose mi viene sempre in mente quello che è successo vent'anni fa. Nel 1991 - all'epoca il Ministro delle finanze era Rino Formica - ci fu un analogo tentativo di riduzione delle agevolazioni fiscali. Ricordo che il ricavato di quella revisione doveva essere destinato a una riduzione del prelievo, nella specie all'introduzione del quoziente familiare. Allora ci furono confronti con le varie categorie, ma di tutte le esenzioni da rivedere, abolire o modificare, quasi nessuna fu intaccata. In realtà, quell'ipotesi di redistribuzione venti anni fa è fallita. C'è da augurarsi che oggi, anche perché c'è un grosso lavoro alla base, si possa giungere a risultati diversi.
A risultati sicuramente diversi si può giungere sull'altro versante, più importante in questo momento, ossia quello del recupero della base imponibile sottratta a tassazione per effetto dell'evasione. Il terreno da arare è sicuramente molto ampio, anche se le stime non si avvalgono della palla di vetro. Il contesto normativo appare favorevole: tutti i decreti-legge emanati nel 2011 e, da ultimo, il decreto-legge sulle semplificazioni hanno notevolmente potenziato la forza d'urto dell'amministrazione finanziaria nei confronti del fenomeno dell'evasione.
Chi ha vissuto l'esperienza del segreto bancario sa cosa significa essere arrivati oggi a potenziare, con le indagini finanziarie, le capacità di verifica. Ricordo, invece, che in passato vigeva il segreto e, inoltre, si dovette penare molto per arrivare alla famosa anagrafe dei conti, che non era nient'altro che un elenco telefonico, come si diceva allora.
Devo dire che attualmente è favorevole non soltanto il contesto normativo, ma anche il contesto sociale. Forse adesso c'è una maggiore adesione e disponibilità, a livello di collettività, a dare un supporto a questa azione di contrasto all'evasione, proprio perché, probabilmente, si percepiscono le possibili ricadute positive in termini redistributivi.
Questo consenso e quel potenziale d'urto sul piano normativo, probabilmente, sono due dei fattori che in qualche modo spiegano la rivitalizzazione della logica del cosiddetto «tesoretto». Alla base di tutto c'è una sorta di patto sociale, in cui c'è una formalizzazione di un patto per cui il legislatore cerca di ottenere il massimo consenso e la massima disponibilità a procedere nel recupero dell'evasione, promettendo in cambio la restituzione di tutto o almeno di una parte del recuperato.
È un'esperienza che ormai data da molto tempo. Ricordo che le prime operazioni, in questa logica, furono fatte alla fine degli anni Novanta e all'inizio degli anni Duemila, e sono state ripetute quattro o cinque volte negli ultimi anni. Da ultimo, questa logica del «tesoretto» è stata riaffermata nella manovra dell'agosto scorso, l'ultima del precedente Governo. All'articolo 2, comma 36, del decreto-legge n. 138 del 2011, si chiarì formalmente che le maggiori entrate derivanti dalla lotta all'evasione, al netto di quelle necessarie per garantire l'equilibrio della finanza pubblica, dovessero essere destinate ad alimentare un fondo da cui attingere per una redistribuzione del prelievo.


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La riuscita di operazioni di questo tipo è stata sempre incerta; anzi, possiamo dare un giudizio di insieme e dire che finora è stata fallimentare. Questo è avvenuto perché è mancato quello che sarebbe invece necessario. A nostro parere, ci sono alcuni punti importanti da considerare.
Il primo è la quantificazione e il monitoraggio del fenomeno dell'evasione fiscale. Fino a poco tempo fa, a livello ufficiale si nicchiava molto, anzi in qualche modo si era restii a quantificare il fenomeno dell'evasione, quasi che arrivare a questo punto fosse una sorta di autocritica per la stessa amministrazione finanziaria. Negli ultimi anni sono stati fatti molti passi in avanti e c'è una quantificazione dell'evasione, ma soprattutto bisogna seguire l'evoluzione del fenomeno per capire quali passi facciamo e in quale direzione.
Il secondo punto è come valutare i risultati della lotta all'evasione. Devo dire che quando si parla di evasione in termini quantitativi nel nostro Paese c'è una grande sensibilità a livello di previsione. Questo avviene perché i proventi della lotta all'evasione sono stati ormai da moltissimo tempo - l'unica eccezione è la manovra varata nel dicembre scorso - utilizzati a copertura di nuovi oneri. In altri termini, le maggiori entrate attese dalla lotta all'evasione sono state una sorta di terza via fra la riduzione di spese e gli aumenti espliciti di entrate per la copertura di spese certe, con il rischio - possiamo aggiungere - che si è fatto affidamento su entrate incerte per coprire spese certe.
Nella nostra esperienza, non esiste una valutazione a consuntivo dei risultati della lotta all'evasione. Il Parlamento decide certe misure, ma non è in grado - e tantomeno lo sono gli studiosi - di sapere quanto quelle misure effettivamente hanno fruttato in termini di maggior gettito. Questo è importantissimo, non fosse altro per capire se quelle misure andavano bene, eventualmente per rivederle e via dicendo.
Cosa significa recupero dell'evasione? Oggi c'è la tendenza diffusa a considerare recupero di gettito derivante dalla lotta all'evasione le riscossioni fatte da Equitalia: quello che Equitalia riscuote annualmente - parliamo da ultimo di 11,5 miliardi di euro - sarebbero i recuperi della lotta all'evasione. Questa è un'accezione errata, per eccesso e per difetto. Ritengo che sia errata per eccesso perché i citati 11,5 miliardi di euro che per quest'anno vengono considerati come recupero di evasione sono le riscossioni che Equitalia fa per conto dell'Agenzia delle entrate, per conto dell'INPS, che rappresentano un'altra fetta importante, per conto dei comuni, e mi riferisco alle multe, oppure si tratta di recuperi di aiuti illegittimi di Stato.
In altri termini, in quella cifra complessiva solo una parte è riconducibile al recupero dell'evasione. Peraltro, bisognerebbe discutere se è recupero dell'evasione il gettito che si incassa a titolo di sanzioni e di interessi, oppure se sono da considerarsi tali le maggiori entrate che sono espressione della maggiore base imponibile. Ci sarebbe, quindi, molto da dire su questo, ma c'è molto da dire soprattutto - qui il concetto usato è riduttivo - su quello che va inteso veramente come recupero dell'evasione. Non può essere soltanto il recupero dell'attività di controllo: sarebbe riduttivo, perché significherebbe che per sconfiggere l'evasione bisogna reclutare un esercito di controllori. È molto importante contabilizzare gli effetti di tax compliance, ossia individuare in quale misura un fisco dal volto più giusto e più umano, un fisco efficace, in grado di fare dei buoni controlli può incutere timore al contribuente e indurlo ad aderire a comportamenti più virtuosi. Questo dato andrebbe recuperato e quantificato, quindi considerato come risultato della lotta all'evasione.
Queste regole furono fissate circa dodici anni fa. Fu declinata una sorta di metodologia, per la quale si stabilì che si dovesse stimare quanto, nell'ambito del maggior gettito, è riconducibile al recupero dell'evasione e quanto, invece, è il frutto di modifiche normative o di modifiche


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del quadro economico rispetto alle previsioni. Questa stima non fu fatta quasi mai. Ricordo che i primi anni, in particolare negli anni 2000, si distribuì a titolo di recupero dell'evasione tutto l'incremento di gettito, mentre in altri anni si restituì molto meno; ricordo, a tale proposito, l'intervento a favore dei soggetti cosiddetti «incapienti». In ogni caso, queste sono incertezze che vanno risolte. Se vogliamo andare avanti con questa logica dei «tesoretti» e portare avanti questo scambio tra lotta all'evasione e recupero di gettito per una sua redistribuzione, questi aspetti vanno chiariti, altrimenti si fa confusione, in un senso o nell'altro. È in questa logica che andrebbe esaminata forse l'incertezza dell'ultimo «tesoretto», quello che si pensava dovesse essere previsto nel decreto-legge in materia di semplificazioni e poi è scomparso. A questo riguardo, un accenno lo abbiamo inserito anche nella relazione che abbiamo consegnato.

PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti del CER. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

RENATO BRUNETTA. Porrò una domanda molto semplice.
Chiedo se si può calcolare in maniera puntuale l'incremento della pressione fiscale dovuto alle manovre effettuate nell'intero 2011, vale a dire sostanzialmente quella di luglio, quella di agosto e quella di dicembre. Se è vero che fanno parte tutte di uno stesso quadro, venendo peraltro tutte dalla stessa mano ministeriale, nulla cambiando tra dicembre, agosto e luglio, è anche vero che l'ultima ha avuto connotati fiscali molto più pesanti.
Vorrei conoscere, se è possibile, l'incremento della pressione fiscale del 2011 attribuendolo - in maniera stimata, ovviamente - alle manovre fatte nello stesso anno. Grazie.

AMEDEO CICCANTI. Ringrazio anche io i rappresentanti del CER per l'analisi approfondita. Le domande poste dal dottor Tutino erano rivolte ai parlamentari, giustamente, ma io, avvalendomi della sua conoscenza e della sua esperienza, giro a lui la questione relativa al recupero di evasione fiscale.
Credo che la lotta all'evasione fiscale sia la madre di tutte le battaglie, sia da un punto di vista culturale, sia da un punto di vista politico sia ovviamente da un punto di vista economico-finanziario. Sottolineo, però, l'aspetto culturale perché la coesione di un Paese si vede anche dal livello di legalità che riesce a mantenere; l'appartenenza a una comunità nazionale consiste proprio nell'individuare il senso di responsabilità in questa direzione.
In questi ultimi venti anni abbiamo avuto l'idea che non pagare le tasse o pagarle al minimo fosse una virtù. Probabilmente il significato inteso da chi lanciava questo messaggio - è capitato più volte all'ex Presidente del Consiglio Berlusconi - era diverso, però per strumentalizzazione o perché mal pronunciato o non spiegato, il messaggio è stato sempre interpretato nel modo peggiore, come se non pagare le tasse fosse un legittimo e quasi doveroso impegno di ciascuno.
Io mi preoccupo di una valutazione. Noi abbiamo parlato - e se n'è parlato anche sulla stampa - del «tesoretto», ossia di un fondo dove far confluire il recupero dell'evasione fiscale. Quando si parla del «tesoretto» - lo abbiamo visto per i due «tesoretti» del Governo Prodi - tutti si stracciano le vesti per capire dove destinarlo: chi vuole destinarlo a finanziare famiglie e imprese, chi alla riduzione del debito pubblico, insomma, ognuno ha la sua ricetta.
Svolgendo una riflessione nell'ambito del nostro Gruppo, abbiamo sempre visto nella tax compliance la soluzione migliore per affrontare questo tema. In questa discussione mi sono inserito con una mia idea, riguardo alla quale chiedo, se del caso, il suo conforto. Noi abbiamo sempre pensato che attraverso un sistema di deduzioni e di detrazioni si potesse in qualche modo condurre la lotta all'evasione fiscale soprattutto incidendo su alcuni settori, ambienti, soggetti e via dicendo: una sorta


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di fisco all'americana, nel quale è presente anche il contrasto di interessi. Certamente, finora, né l'ex Ministro Tremonti né l'ex Ministro Visco né gli altri ministri che si sono succeduti negli ultimi venti anni hanno mai creduto a questa strada e non hanno mai voluto seguirla.
Da un lato, da parte degli organismi competenti e della Ragioneria generale dello Stato vi è stata una legittima resistenza, perché questa soluzione, nella fase iniziale, avrebbe comportato minori entrate, per poi determinarne una stabilizzazione a regime nel brevissimo, nel breve e nel medio termine. Questo potrebbe avere un suo valore, tuttavia, se in presenza di un cosiddetto «tesoretto», vale a dire di un fondo alimentato dalla riscossione - attenzione, come ci ha più volte ripetuto il Ministro Monti, tra l'accertamento e la riscossione c'è un rapporto, in termini temporali, che va da cinque a sette anni e, in termini quantitativi, da uno a dieci, cioè riscuotiamo il 10 per cento di ciò che accertiamo, dunque è chiaro che quando parliamo del «tesoretto» dobbiamo, in realtà, fare riferimento a una quota molto limitata di disponibilità finanziarie - noi riuscissimo a impiegarlo per recuperare quel gap iniziale del contrasto di interessi rappresentato dalle minori entrate, riusciremmo a mettere in movimento, nel giro di un decennio, un meccanismo virtuoso che ci consentirebbe in qualche modo di consolidare questo sistema fiscale cosiddetto «americano» a livelli molto più alti, anche alzando le aliquote. Se consentiamo al veterinario di detrarre il 19 per cento, con l'IVA al 21 per cento, credo che non abbiamo risolto il problema; se però alziamo la soglia della detrazione o della deduzione al 25-30 per cento, ecco che creiamo un sistema sotto questo aspetto attrattivo.
Chiaramente, le minori entrati che inizialmente si produrrebbero, potrebbero essere compensate con il cosiddetto «tesoretto» - non so se ho spiegato bene il mio pensiero - e da qui deriverebbero maggiori entrati a regime. Questo sarebbe, però, un sistema che fungerebbe da leva, non un sistema per avere delle maggiori entrate a regime.

PRESIDENTE. Prego i colleghi di porre domande più sintetiche.

RENATO CAMBURSANO. Non ripeterò quanto già riferito dal collega Ciccanti. Credo, tuttavia, che l'argomento principale dell'audizione sia l'analisi annuale della crescita. Semmai, la lotta all'evasione e l'utilizzo dei ricavi derivanti da questa azione, che finalmente sembra si sia intrapresa negli ultimi tempi - dico genericamente nel 2011, così accontentiamo, nel senso positivo del termine, il collega Brunetta -, sono uno strumento per rilanciare la crescita nel nostro Paese.
Io stesso, pur convinto sostenitore di questo Governo, sono stato molto critico rispetto al passo indietro fatto sull'utilizzo delle risorse rivenienti dalla lotta all'evasione, quindi sulla costituzione di un fondo per la riduzione della pressione fiscale. Vi chiedo dove incidereste, se dipendesse da voi, nell'immediato o nel tempo utile, cioè quando questo fondo venisse costituito e avesse risorse sufficienti: sulla riduzione della pressione fiscale, come è stato ipotizzato, sul sostegno delle persone fisiche a più basso reddito, oppure alla riduzione del costo del lavoro, del cuneo fiscale?
In secondo luogo, come avrete visto anche voi, oggi nei giornali è stato ripreso il dibattito su come ridurre in modo drastico, nel breve periodo, il debito pubblico. La conclusione di questo ragionamento, che io condivido totalmente, è questa: oltre che il beneficio della riduzione del debito avremmo anche una riduzione del costo del servizio del debito, il cui ricavato sarebbe da destinare per l'appunto alla crescita. Non avendo, ahimè, altre risorse, oltre quelle rivenienti dai fondi europei, queste risorse potrebbero servire per il rilancio della nostra economia.

ROLANDO NANNICINI. Pongo una domanda che ripeto spesso. Noi adottiamo


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dei provvedimenti, in questa fase, per favorire la crescita, per garantire l'equilibrio di bilancio, per contrastare l'evasione fiscale, e, eventualmente, per far emergere i cosiddetti «tesoretti». Tuttavia, non abbiamo mai strumenti di verifica delle politiche, né ex-anteex-post.
Vi ringrazio dei dati che ci mettete a disposizione, ma dico con molta franchezza che per avere dei dati più incisivi ai fini del controllo della nostra politica il Parlamento e il Governo dovrebbero avere, dall'accademia e dai vari centri di ricerca, una proposta che porti a prevedere, nelle varie leggi, delle verifiche. Diversamente si riempie il nostro Paese di norme la cui efficacia non viene verificata con criteri scientifici.
Vi prego, dunque - come ho già chiesto all'ISTAT e ad altri istituti - di darci un consiglio perché ci sia una legislazione complessiva in questo senso oppure si preveda, in ciascuna legge, la possibilità della verifica, che oggi manca.
Se leggo l'articolo 1, comma 4, della legge finanziaria 2007, trovo che il famoso «tesoretto» doveva essere destinato a sollievo dei redditi sotto i 30.000 euro, ma ne è derivata una querelle politica, senza che si arrivasse a nulla di concreto.
Vi chiedo, pertanto, se potete aiutarci, anche con suggerimenti, al fine di condurre verifiche più puntuali e una politica coerente riguardo all'aspetto della crescita.

SIMONETTA RUBINATO. Mi unisco anch'io alla richiesta su quale sia il miglior utilizzo del «tesoretto». Sono convinta che il primo contrasto di interessi consista nel mettere in pratica il fatto che la lotta all'evasione fiscale produce l'emersione di fondi per una restituzione ai contribuenti onesti almeno di una parte preponderante dei proventi della lotta stessa. Tuttavia, ho sentito di recente un economista affermare che in questo momento di recessione restituire qualcosa ai contribuenti, anche ai titolari di redditi medio-bassi, non aiuterebbe quanto invece una destinazione di queste risorse a favore della crescita e della realizzazione di infrastrutture nel Paese. Vorrei conoscere al riguardo la vostra opinione.
La seconda domanda riguarda un aspetto toccato dal dottor Fantacone, ossia quello della pesantezza dell'apparato pubblico italiano e del suo livello di intermediazione sull'economia. Questo è per me un punto cruciale. Noi dobbiamo tener presente due obiettivi: non si tratta semplicemente di tagliare le risorse, ma si tratta anche di individuare quali siano i reali bisogni della popolazione e di allocare le risorse in modo funzionale. Per diversi anni abbiamo discusso in merito al federalismo, dicendo che esso avrebbe permesso, attraverso meccanismi di autonomia e di responsabilità, di allocare meglio queste risorse. Si è iniziato un lavoro di spending review, poi sospeso, e che dovrebbe ripartire a breve, sebbene si sia perso del tempo.
In questo momento non si hanno strumenti a disposizione per la valutazione dei costi standard, nonché per la valutazione dei risultati delle politiche pubbliche, né tantomeno per la valutazione delle performance dei livelli di governo. Pertanto, stiamo procedendo con una politica tendente a tagliare le risorse a prescindere e che non tiene conto dalle varie funzioni assegnate. Ogni ente pubblico - penso per esempio al comune che amministro - deve svolgere tutte o quasi le funzioni che svolgeva già prima, deve applicare leggi che prevedono standard di sicurezza comparabili a quelli adottati in Svezia, ma deve farlo con molte meno risorse di quelle che aveva prima. Tutto questo avviene senza una valutazione della quantità di risorse necessarie per far fronte ai bisogni dei cittadini, risorse di cui gli enti prima avevano disponibilità. Partiamo tutti dalla spesa storica, che tutti smentiscono essere una buona base da cui partire, ma siamo ancora lì e su quella base operiamo, perché ci mancano altri dati.
Vi chiedo, quindi, un contributo su come si possa alleggerire il peso dell'intermediazione pubblica sull'economia e liberare risorse, come è stato detto, indirizzandole al settore privato, facendolo


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tuttavia in modo tale che non si metta l'apparato pubblico, in particolare la parte sana - con un buon rapporto di dipendenti per abitanti - che fin qui ha dato buone performance, ma non viene valutata, in condizione di non potere svolgere le sue funzioni, e al contempo non si riesca a correggere distorsioni della parte meno efficiente dell'apparato pubblico.

LINO DUILIO. Chiedo scusa del ritardo. Ho dato una scorsa al documento e vorrei rivolgere qualche domanda ai rappresentanti del CER, un organismo che stimo da tempo.
In primo luogo, ho letto da qualche parte - mi pare sul Corriere della sera - partendo dall'analisi della situazione che si sta determinando negli Stati Uniti, una considerazione che mi intriga e che, in verità, risponde anche in parte a una mia opinione: piuttosto che puntare a mettere a posto i conti per porsi poi l'obiettivo della crescita, bisognerebbe puntare alla crescita per mettere a posto i conti. Mi sembra una buona considerazione, essendo io un neo-keynesiano, ma ritengo che la stessa non sia banale, anche perché stiamo finendo sul nodo gordiano di un impoverimento progressivo che rischia di farci morire tutti e di non mettere nemmeno a posto i conti. Vorrei conoscere la sua opinione su questa considerazione.
In secondo luogo, il relatore sul documento della Commissione europea, onorevole La Malfa, - oggi assente perché impossibilitato - ha scritto di recente un articolo sul Foglio in cui sostiene che per i Paesi che hanno adottato le riforme strutturali per sistemare i conti si pongono le condizioni per chiedere in sede europea l'autorizzazione ad adottare misure una tantum per la crescita, proprio per dare uno stimolo in questa direzione. Il discorso si ricollega alla considerazione precedente, ma in questo caso si fa riferimento a una proposta molto precisa, concreta, che potrebbe essere interessante da sostenere a livello comunitario. Anche a questo riguardo vorrei conoscere la vostra opinione.
Di recente, la Camera, indotta dalla normativa europea, ha approvato in terza lettura la proposta di legge costituzionale per introdurre nella Costituzione il principio del pareggio di bilancio, nella quale - ahimè - abbiamo previsto che nemmeno per gli investimenti possiamo permetterci di agire in deficit. Dunque, le classiche politiche keynesiane del deficit spending non esistono. Non riesco però a capire, come ho già detto a suo tempo quando ne abbiamo discusso, come si possa uscire da una condizione disastrata come quella della finanza pubblica italiana, se non si può nemmeno pensare vagamente a stimolare la crescita, a meno che non si pensi - in un'ottica neoliberista - che togliendo di mezzo lacci e lacciuoli, la mano invisibile (che è sempre più invisibile) del mercato si rimetterà in movimento e ci assicurerà sorti magnifiche e progressive. Vorrei sapere cosa ne pensate. Grazie.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola ai rappresentanti del CER, anche io vorrei porre una breve domanda. Fin dall'inizio avete posto l'attenzione sul mercato creditizio, ma su questo tema, se è possibile, desidererei conoscere qualche proposta o, comunque, il vostro punto di vista.
Vorrei, inoltre, fare presente ai nostri ospiti che se, su alcuni temi, riterranno opportuno un approfondimento o considereranno non possibile una risposta in un tempo ragionevole, potranno farci avere ulteriori considerazioni che noi acquisiremo in aggiunta alla relazione che cortesemente hanno già fornito a questa Commissione.

STEFANO FANTACONE, Direttore del CER. Risponderò in ordine inverso rispetto alle domande. L'onorevole Duilio richiamava la considerazione secondo la quale piuttosto che puntare prima al risanamento dei conti e poi pensare alla crescita bisognerebbe intervenire sulla crescita per poter fare il risanamento. Noi diciamo nel documento - ma lo diciamo ripetutamente in tutte le nostre analisi - che la dose di restrizione fiscale impostaci in questo momento è eccessiva.


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C'è una comunicazione un po' fasulla che ci viene dai documenti europei, ossia l'idea che non si possa aumentare la crescita con la spesa pubblica. Questo è ovvio per chi studia la politica economica: la politica di bilancio serve a stabilizzare il ciclo, non a creare la crescita, che è una cosa diversa. Sta passando però un messaggio molto più forte, vale a dire che le politiche di bilancio devono essere in qualche modo procicliche. Con la giustificazione del nervosismo dei mercati, dello spread e via dicendo, di fatto, però, in Europa quasi tutti i Paesi adottano politiche di restrizione fiscale e quasi tutti i Paesi entreranno in recessione per questo, quindi ci saranno effetti moltiplicativi perversi di questo tipo.
Avrei visto molto più favorevolmente, senza andare nell'eccesso di cercare di aumentare la crescita col bilancio pubblico, una regola più moderata, ad esempio cristallizzare, nella fase di recessione, in questa fase difficile, il disavanzo pubblico ad un livello compatibile con il famoso rapporto del 3 per cento tra deficit e PIL, e poi, a quel punto, lasciar agire gli stabilizzatori automatici, una volta riavviata la crescita.
A nostro avviso, dunque, è vero che c'è un eccesso di restrizione del bilancio pubblico.
Quanto alla proposta di legge costituzionale sul pareggio di bilancio - in verità noi del CER non ne abbiamo mai discusso approfonditamente, quindi esprimerò ora una posizione personale - è anch'essa un elemento di rigidità immesso nella gestione della politica economica, che non so quanto potrà essere utile. Sicuramente una regola simile alla golden rule sarebbe stata desiderabile. Il problema è che adesso, poiché i margini di manovra sono legati ad una recessione di dimensioni eccezionali e al concetto di ciclicità del bilancio, si dovrà discutere su questi aspetti tecnici e, se da una parte noi saremo contenti poiché ci chiederete di fare i conti, dal punto di vista dell'opinione pubblica sarà invece una perdita di trasparenza.
Quanto alla domanda sui livelli di governo, noi diciamo che se contestualmente abbassiamo il disavanzo ma aumentiamo le risorse drenate dal settore pubblico (perché aumentano le tasse e non si riducono le spese o perché le spese aumentano e via dicendo) in realtà ci stiamo muovendo su una configurazione inefficiente. Dal punto di vista teorico, a questo punto, è meglio avere un disavanzo pubblico. Ovviamente la domanda è complicata, perché si pone il tema di come ridurre la spesa. Non vorrei su questo sollecitare sensibilità oppure lanciare idee che possano essere mal interpretate, ma sicuramente una scelta va fatta. Noi pensiamo che sia opportuno dire che il bilancio pubblico non deve superare una certa dimensione e, all'interno di quella dimensione, scegliere come muoversi. Quello dei livelli di governo è, a nostro parere, - ma forse è più il mio parere che il nostro - uno dei problemi. Indipendentemente dalle valutazioni che si possono fare sulla tematica federalista, è chiaro che se i livelli locali duplicano le funzioni del livello centrale si pone un problema. Secondo me, qui va fatta una scelta: o più livello locale e meno livello centrale o al contrario. Avere tutti e due insieme mi sembra inefficiente e, da parte nostra, auspichiamo che ci sia una scelta.
Rispondo, infine, al professor Brunetta, ritenendo che alle altre domande possa rispondere più di me il collega Tutino. Certo, si possono calcolare gli effetti delle varie manovre e in realtà li abbiamo calcolati; a memoria non saprei rispondere, ma vi fornirò i dati. Comunque sia, è chiaro che con questo aumento di pressione fiscale e, soprattutto, in una fase di recessione come questa, quindi di ripiegamento dei redditi, le imposte tendono ad aumentare.

SALVATORE TUTINO, Consigliere scientifico del CER. Innanzitutto proverei a rispondere sul famoso metodo americano, che viene sistematicamente evocato. Se si introduce un conflitto di interessi a base di detrazioni e deduzioni diffuse, ne consegue l'emersione di basi imponibili. I cinesi,


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ad esempio, hanno organizzato la lotteria sugli scontrini fiscali e pare che la cosa abbia funzionato. Ogni scontrino riporta un numero valido per partecipare a una lotteria nazionale che si svolge periodicamente.
Nel nostro Paese un sistema del genere viene criticato dagli studiosi, per una serie di motivi che provo a sottolineare. In primo luogo, il livello di prelievo fiscale è così elevato che nel confronto fra il prestatore e il cessionario di un'attività c'è sempre lo spazio per un accordo, per dividersi il frutto dell'evasione.
In secondo luogo, se improvvisamente si introducesse un sistema di deduzione totale, l'erario verrebbe comunque a sostenere immediatamente un costo. Il costo è rappresentato dal risparmio di imposta che otterrebbero i contribuenti su quella parte di reddito che è già emersa, quello che è già dichiarato. Ora, su quello che è già dichiarato e conosciuto oggi lo Stato non riconosce nulla, mentre già da domani si effettuerebbero delle detrazioni.
Inoltre, c'è un problema di complessità del sistema, poiché si richiederebbe una tenuta di documentazione notevole. Non dimentichiamo che nel 1993 fu abolito l'obbligo di allegare alle dichiarazioni dei redditi quella montagna di documentazione prima prevista. Allora, se partiamo da un discorso di questo tipo, effettivamente riproponiamo un problema legato alla complessità.
In realtà, nel tempo questo modello del conflitto di interesse si è abbastanza diffuso. Pensate alla detrazione del 36 per cento delle spese sostenute per lavori di ristrutturazione, a quella del 55 per cento per il risparmio energetico e alle spese mediche. Insomma, la montagna di deduzioni e detrazioni è molto ampia, dunque in realtà su questo terreno siamo già molto ferrati. La verità è che si potrebbe, forse, di volta in volta, fatta eccezione per alcune problematiche, introdurre in misura temporanea forme di contrasto. Personalmente, però, riterrei che estendere questo all'insieme delle operazioni non sarebbe opportuno. Peraltro, se ci si pensa, alla fine questo significherebbe tassare i risparmi. Se si può detrarre dal proprio reddito tutto quello che si consuma, alla fine rimane la quota di reddito che è stata risparmiata, quindi le imposte finirebbero per essere limitate sulla componente del risparmio.
In realtà sarebbe un cerchio, del quale ognuno è un anello della catena. La base imponibile sarebbe molto contenuta e ridotta e questo richiederebbe, a parità di gettito, un forte aumento delle aliquote...

ROBERTO SIMONETTI. Si possono ridurre le spese dello Stato...

SALVATORE TUTINO, Consigliere scientifico del CER. Tutto è possibile. Stiamo parlando di un segmento molto ridotto in materia fiscale. Se poi andiamo sulla finanza pubblica in generale, sicuramente si può fare.

AMEDEO CICCANTI. Non ci crede nemmeno lei?

SALVATORE TUTINO, Consigliere scientifico del CER. Non posso crederci. Conoscendo i vincoli esistenti e i rischi, mi guarderei bene dal farlo.

AMEDEO CICCANTI. Gli americani sbagliano?

SALVATORE TUTINO, Consigliere scientifico del CER. Non è così nemmeno in America. In America hanno molte deduzioni, sicuramente ne hanno più di noi, ma alla fine c'è un tetto complessivo. Per molto tempo nel nostro Paese ebbe fortuna il cosiddetto «forfettone», e non è detto che non andremo in questa direzione, con la riforma delle agevolazioni. Insomma, parlo di prevedere un tetto complessivo: si mettono insieme detrazioni per spese mediche, mutui e così via, ma lo Stato, pur riconoscendo l'importanza di talune deduzioni e detrazioni, sancisce che, nell'equilibrio fra l'esigenza del privato e quella pubblica, non si può andare verso un livello di riconoscimento superiore a una certa cifra, magari graduata in base alle condizioni familiari.


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In America avviene questo e, infatti, il concetto di minimum tax che lì viene applicato riguarda questo. Le imprese, in particolare, negli Stati Uniti hanno una serie di deduzioni e di abbattimenti, però vige sempre un discorso di tetto complessivo. Ho provato a semplificare.
Quanto al «tesoretto», secondo noi è importante perché lancia un messaggio che in economia è vincente. Il professor Brunetta ce lo può spiegare: in economia le aspettative sono moltissime e producono esse stesse il fenomeno che si attende. In altri termini, se si continua a gridare «al lupo, al lupo!», il lupo arriva. Aspettative positive possono di per sé innescare un circolo virtuoso, soprattutto se l'aspettativa si accompagna alla definizione di un percorso e di un punto d'arrivo, magari lontano, però individuabile come praticabile e raggiungibile, insomma un impegno che si rinnova annualmente, magari con attuazioni temporanee, anno per anno, poiché non è detto che si debba raggiungere subito il massimo.
L'ultimo «tesoretto» che in realtà non si è materializzato - come si rende conto chi ha letto le notizie apparse sulla stampa - era impossibile da definire e, peraltro, molto limitato, perché faceva riferimento alle maggiori risorse derivanti dalla lotta all'evasione fiscale. È ridicolo: la restituzione dei risultati della lotta all'evasione si fa sull'insieme del sistema, non riferendosi solo, ad esempio, alla norma sull'elenco clienti e fornitori. Insomma, come si fa a stabilire quanto la reintroduzione dell'elenco clienti e fornitori ha restituito in termini di recupero di evasione? Anche mettendo insieme tale norma e l'eliminazione dell'obbligo dell'emissione della fattura per le operazioni pari o superiori a 3.600 euro, risulta impossibile calcolare l'importo del gettito.
Quel «tesoretto», quindi, è molto meno perché in realtà era nato male. Non capisco, anzi, come sia potuto nascere in questo modo. L'unica motivazione che poteva sostenerlo era la seguente: invece che prevederlo dal 2014, come sanciva la regola introdotta ad agosto con il decreto-legge n. 138 del 2011, questo «tesoretto» - vorrei sottolinearlo, poiché la norma non è stata letta bene - non veniva previsto dal 2014, perché quella data citata nella norma fa riferimento alla regola generale, ma si richiamava a una sorta di regola speciale, che si applicava ai risultati di recupero del 2012 e 2013. Questo significava che, per come era previsto, si prospettava anche un intervento di sgravio già dall'anno prossimo.
Tuttavia, vorrei sottolineare un aspetto. Il fatto di avere un «tesoretto» o un sistema per scambiare recupero di evasione e ridistribuzione nel tempo si è dimostrato non vincolante, cioè l'Esecutivo può scegliere di non utilizzarlo, magari perché semplicemente c'è bisogno di destinare le risorse agli equilibri del bilancio pubblico; per contro, il fatto di non averlo non impedisce di fare una manovra di sgravio, per essere chiari.
Insisto, dunque, nel dire che l'aspettativa è importante, perché l'aspettativa di un «tesoretto» nobilita in qualche modo il discorso della lotta all'evasione.
Vengo alla questione del debito. Come è noto, da Amato, Modiano e altri, furono avanzate proposte per abbattere il debito, in modo da poter destinare una parte delle risorse recuperate dalla spesa di gestione del debito, cioè gli interessi, alla ripresa. Si trattava di manovre imponenti, da 500 miliardi in su. Ricordo che c'era stata un'apertura forte anche da parte dei soggetti che erano candidati a essere più colpiti e si parlò anche di aliquote; la stessa Confindustria e R.ETE. Imprese Italia emisero un documento in cui accoglievano quella proposta arrivando anche a definire l'aliquota. La cosa non è passata perché evidentemente si è preferito operare con un prelievo ordinario - e siamo a livello ormai di 13-14 miliardi di euro l'anno, con l'IMU, perché parliamo sempre di imposte patrimoniali, che non sono costituite solo dall'IMU - piuttosto che avere un prelievo una tantum.
Siamo chiaramente su terreni diversi. Può essere un'imposta patrimoniale, può essere un consolidamento, può essere un prestito forzoso - c'è la proposta di Monorchio, ad esempio - ma chiaramente


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siamo su una lunghezza d'onda completamente diversa, che peraltro si scontra con l'individuazione della base imponibile.
Sicuramente la base imponibile del patrimonio immobiliare c'è e, al massimo, può scontare gli effetti delle intestazioni societarie oppure il fatto che le rendite catastali non sono aggiornate. Il patrimonio mobiliare, invece, è molto difficile da individuare, anche perché da quando si è iniziato a parlare di questo credo che la fuga dei capitali sia ripresa, quindi ci prepariamo forse a un altro «scudo fiscale», anche se speriamo di no.
Se c'è qualcosa da distribuire a chi lo distribuiamo? Se dovessi rispondere in questo momento, direi che il poco - perché di poco si tratterebbe - da distribuire va impiegato in maniera selettiva e anche se il messaggio della riduzione dell'aliquota avrebbe un impatto molto ampio, non c'è dubbio che le risorse che ci sono si prestano solo a un impiego limitato. Io lo vedrei, in teoria, destinato a sostenere i consumi, quindi ai redditi bassi, magari alle famiglie monoreddito o a quelle che, quando percepiscono lo sgravio, non lo destinano neppure in minima parte al risparmio ma lo convogliano tutto sui consumi.
Se ci pensiamo, i passi che, come dicevo prima, sono stati compiuti in direzione di una redistribuzione del prelievo hanno riguardato il reddito di impresa, c'è stato l'ACE (Aiuto alla crescita economica), in particolare, la riduzione, nell'ambito del cuneo fiscale, della componente a carico delle imprese (il cuneo fiscale ha tante componenti, ma qui si parla dei contributi sociali versati dalle imprese, quindi di IRAP posta a carico delle imprese). L'unica voce che in questi mesi non ha visto alcuno sgravio è il reddito da lavoro. Questa è la verità. È stato toccato tanto, ma non sono stati toccati i redditi da lavoro, né in bene né, per fortuna, in male, anche se forse non è esattamente così.
Mi è stata posta una domanda sulla verifica delle politiche. Per quanto possa sembrare assurdo, io insisto nel dire che abbiamo una Ragioneria generale dello Stato molto attrezzata, che si impegna moltissimo nel predisporre, con riferimento ad ogni provvedimento varato, l'allegato con le previsioni di gettito collegate e la relazione tecnica, che reca analisi molto approfondite.
A questo impegno non ne corrisponde uno analogo con riferimento agli effetti dei provvedimenti né qualcuno si sobbarca l'onore di verificare a consuntivo quello che è successo: ad esempio, se si introduce una norma antievasione che cosa succede? Quali effetti ottengo?
Nell'ultima manovra, quella varata lo scorso dicembre - apro un piccolo inciso - si è introdotta una norma stranissima, che prevede che l'Agenzia delle entrate debba riferire ogni anno, credo a febbraio, al Parlamento qual è l'effetto sul recupero dell'evasione della dilatazione delle indagini finanziarie. Come è possibile? Come si fa a capire quanto la dilatazione delle indagini finanziarie produce in termini di recupero di evasione?
Ho detto questo perché, come la Corte dei conti sottolinea da sempre, per capire quali risultati ha dato una misura bisognerebbe dedicare a ogni misura introdotta un capitolo specifico di bilancio in cui le varie entrate confluiscono. In quel caso si avrebbe una quantificazione, ma questo non avviene. Ogni anno, dunque, quando la Corte dei conti fa una valutazione ex post, nel chiedere le valutazioni del Dipartimento delle finanze riceve risposte in cui le quantificazioni possibili riguardano - mi riferisco all'ultimo anno - circa il 5 per cento delle maggiori entrate. In altri termini, delle maggiori entrate attese è stato possibile verificare a consuntivo soltanto il 5 per cento, quindi in quel caso è possibile confrontare le previsioni con i risultati.
Devo dire che questo, invece, è importante sia perché in termini di bilancio bisogna stare attenti a non dare per scontati effetti di gettito che magari non sono tali, con rischi di buchi in ogni direzione, sia perché il Parlamento ha in questo modo un feedback e capisce se quella misura è stata efficace, se bisogna migliorarla e che cosa fare.


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STEFANO FANTACONE, Direttore del CER. Presidente, ho dimenticato di rispondere alla sua domanda sul credito. Vorrei ricordare che comunque qualche timore di razionamento - forse parlare di credit crunch è eccessivo - c'è e anche nel testo che vi abbiamo consegnato diciamo che potrebbe esserci un mezzo punto di recessione in più se i dati sul credito confermassero gli andamenti dell'ultimo trimestre del 2011. Il rischio, quindi, c'è.
Cosa fare? Questa domanda è più complessa. Possiamo dire che, laddove sono ben organizzati, funzionano piuttosto bene i Confidi per le imprese; forse qualche forma di garanzia pubblica estesa anche alle famiglie potrebbe essere una soluzione, anche se in quel caso ritorniamo al problema se debba esserci la garanzia statale o di qualche ente locale.

PRESIDENTE. La ringrazio. Partendo dalla risposta che lei mi ha fornito, gradirei acquisire, se è possibile, qualche ulteriore elemento, anche perché abbiamo notizia che alcuni istituti di credito in Italia stiano attuando, in questo momento, delle operazioni di stretta creditizia non giustificata dalla reale difficoltà del momento. Vorremmo cercare di capire se questi fondi distribuiti dalla BCE vengono utilizzati per operazioni finanziarie oppure anche per sostenere il credito.
Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,20.

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