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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VI
1.
Martedì 20 dicembre 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Conte Gianfranco, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME CONGIUNTO DELLA PROPOSTA DI REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO RELATIVO AI REQUISITI PRUDENZIALI PER GLI ENTI CREDITIZI E LE IMPRESE DI INVESTIMENTO (COM(2011)452 DEFINITIVO) E DELLA PROPOSTA DI DIRETTIVA DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO SULL'ACCESSO ALL'ATTIVITÀ DEGLI ENTI CREDITIZI E SULLA VIGILANZA PRUDENZIALE DEGLI ENTI CREDITIZI E DELLE IMPRESE DI INVESTIMENTO E CHE MODIFICA LA DIRETTIVA 2002/87/CE (COM(2011)453 DEFINITIVO)

Audizione dei rappresentanti dell'Agenzia di ratingMoody's:

Conte Gianfranco, Presidente ... 3 7 9 11 17 18
Barbato Francesco (IdV) ... 9
Cataldo Alex, Direttore generale di Moody's Italia Srl ... 3 13 16 17 18
Causi Marco (PD) ... 17 18
Comaroli Silvana Andreina (LNP) ... 9
Fluvi Alberto (PD) ... 7
Fugatti Maurizio (LNP) ... 7
Laurin Alain, Senior Vice President, Credit Policy, Moody's Investors Service ... 3 10 11
Ravetto Laura (PdL) ... 16
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia (Grande Sud): Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI.

COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 20 dicembre 2011


Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO CONTE

La seduta comincia alle 12,05.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione dei rappresentanti dell'Agenzia di rating Moody's.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento (COM(2011)452 definitivo) e sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'accesso all'attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica la direttiva 2002/87/CE (COM(2011)453 definitivo), l'audizione di rappresentanti dell'Agenzia di rating Moody's.
Sono presenti il dottor Alex Cataldo, direttore generale di Moody's Italia, e il dottor Alain Laurin, Senior Vice President, Credit Policy, Moody's Investors Service, ai quali do la parola per ascoltare una prima valutazione sulle proposte di riforma concernenti i requisiti di adeguatezza patrimoniale e di liquidità degli enti creditizi e sulle conseguenti implicazioni.

ALEX CATALDO, Direttore generale di Moody's Italia Srl. La ringrazio, signor presidente. È un piacere, per Moody's, avere l'opportunità di trattare, al cospetto di codesta Commissione, un argomento tanto importante.
Devo dire, preliminarmente, che riconosciamo sia l'importanza, sia i limiti delle modifiche che saranno introdotte da Basilea 3 al quadro normativo in materia di requisiti patrimoniali degli enti creditizi. Per questo motivo, le nostre osservazioni verteranno, congiuntamente, su quello che Basilea 3 può e non può ottenere.
Ciò premesso, il collega Alain Laurin svolgerà alcune considerazioni di carattere generale sui temi oggetto dell'audizione.

ALAIN LAURIN, Senior Vice President, Credit Policy, Moody's Investors Service. Il «concepimento» di Basilea 2 ha richiesto dieci anni e l'accordo non era ancora in attuazione al momento in cui è iniziata la crisi finanziaria nel 2007. Tale crisi ha portato alla luce una serie di lacune sostanziali di Basilea 2, in particolare un disallineamento tra gli incentivi che comportano un elemento di rischio e quelli, invece, volti ad ammortizzare il rischio stesso. Ha anche evidenziato un eccessivo affidamento sui modelli e, cosa ancora più importante, l'inadeguatezza delle riserve o cuscinetti patrimoniali e di liquidità.
Basilea 3 vuole proprio far fronte a queste lacune per i prossimi sette anni al fine di migliorare la resilienza di lungo periodo del sistema bancario globale. Se questo sforzo avrà successo, ovviamente la società ne trarrà un grande vantaggio.
D'altro canto, l'attuazione di modifiche strutturali nella regolamentazione di un settore importante come quello dei servizi finanziari comporta una componente di rischio, soprattutto nel periodo di transizione.


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Dobbiamo anche mantenere una certa ragionevolezza delle aspettative rispetto ai possibili risultati di Basilea 3: la crisi finanziaria ha portato chiaramente alla luce la fragilità del merito di credito delle banche, le ripercussioni dell'opacità e dell'incertezza sulla fiducia nel settore bancario e le gravi conseguenze della perdita della fiducia stessa. Aumentare le riserve patrimoniali e di liquidità non modifica queste caratteristiche di fondo.
Come potete immaginare, Moody's segue molto da vicino le iniziative di regolazione internazionali, proprio perché queste iniziative impattano sulla struttura e il merito di credito del settore bancario a livello globale.
Nel mese di maggio abbiamo pubblicato un rapporto speciale dal titolo «Banks' Standalone Credit Strength Unlikely to Return to Pre-Crisis Levels, Even under Basel 3», in cui abbiamo espresso la nostra posizione sulle potenzialità di Basilea 3. In nuce abbiamo concluso che il nuovo accordo avrà delle implicazioni positive, ma che ci sono anche rischi per il periodo di transizione: di per sé, Basilea 3 non ridurrà il rischio di credito in misura sufficiente acciocché i rating bancari in Europa e nel resto del mondo tornino ai livelli pre-crisi. Questa rimane la nostra posizione, anzi ancor di più, alla luce della persistente fragilità dei diversi sistemi bancari europei.
Oggi mi concentrerò su tre aspetti principali: i vantaggi che possono scaturire dall'approvazione e dall'attuazione dell'accordo Basilea 3, le sfide che le banche debbono affrontare nella sua attuazione e i limiti delle potenzialità dello stesso.
Complessivamente, esprimiamo una valutazione positiva di Basilea 3 per quanto riguarda i creditori delle banche: sostanzialmente la crisi finanziaria è stata alimentata da un eccessivo indebitamento e dalla mancanza di liquidità. Con Basilea 3 bisognerà innalzare i livelli di capitalizzazione, diminuire l'indice di leva e rafforzare la liquidità e la raccolta a lungo termine: tutto ciò migliorerà la resilienza del sistema bancario.
A tal proposito, ricordiamo che, alla fine del 2009, 94 delle più grandi banche globali avevano una carenza di capitale di Classe 1 pari a 577 miliardi di euro, secondo le valutazioni dello studio del Comitato di Basilea sull'impatto quantitativo globale. Tale cifra era di tre volte superiore agli utili netti aggregati delle stesse banche nello stesso anno.
Lo stesso studio ha constatato che quelle banche dovrebbero dotarsi di 1,7 trilioni di euro di attivi liquidi per ottemperare ai nuovi coefficienti di copertura della liquidità e di 3 trilioni di euro in finanziamenti a termine per soddisfare il Net Stable Funding Ratio, ossia il coefficiente di finanziamento stabile netto.
Le banche saranno incoraggiate a riscoprire l'antica virtù della prudenza: ovviamente, criteri più rigorosi e una più rigida vigilanza bancaria costringeranno le banche a distinguere meglio tra mutuatari più o meno validi. Diversi elementi del più ampio quadro della riforma regolamentare mirano a ridurre le oscillazioni nell'erogazione di credito bancario nell'intero ciclo economico: si tratta di riserve anticicliche, di una più stabile probabilità delle previsioni di default, di riforme delle regole contabili a supporto delle riserve a fronte di perdite su crediti, nell'intero ciclo economico.
Complessivamente ci attendiamo da Basilea 3 e dalle riforme ad esso collegate una serie di effetti positivi sul profilo creditizio delle banche: le banche in tutto il mondo deterranno più capitale e di maggiore qualità, e saranno introdotti anche tetti sull'indice di leva; le banche il cui fallimento sarebbe particolarmente pregiudizievole per il sistema finanziario dovranno detenere riserve di capitale aggiuntive; le misure regolamentari del rischio e del capitale rifletteranno meglio le realtà economiche soggiacenti e le banche dovranno detenere riserve di liquidità più ampie e di maggiore qualità, estendere le scadenze dei finanziamenti e ridurre i disallineamenti delle scadenze tra attività e passività.
Dobbiamo anche renderci conto - non è una critica, ma un dato di fatto - che


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il nuovo quadro regolamentare comporta un lungo periodo di transizione, fino al 2019 per una piena ottemperanza, e che i cambiamenti potenzialmente profondi che Basilea 3 comporterà per la struttura stessa del settore bancario creeranno molta incertezza. E l'incertezza, nel contesto attuale, può comportare rischi sia per il settore bancario, sia per l'economia nel suo complesso.
Il lungo periodo di transizione mira a scoraggiare i mercati dall'accelerare l'applicazione delle nuove regole, costringendo le banche a far fronte a requisiti che oggi non sono in grado di soddisfare. Ma questo in realtà sta già avvenendo, poiché l'annuncio delle nuove regole ha generato pressioni da parte degli investitori e delle controparti affinché le banche si adeguino prima dei tempi previsti. Queste pressioni sono state fortissime nell'Unione europea, data l'esigenza pressante che le banche accumulassero riserve di capitale e di liquidità nell'attuale situazione di mercato.
Le Autorità di vigilanza hanno reagito anticipando alcuni aspetti di Basilea 3. Ad esempio, l'EBA, nel suo recente test, ha imposto un coefficiente patrimoniale minimo del 9 per cento. Si tratta di iniziative comprensibili e forse inevitabili, viste le reazioni del mercato alla crisi, crisi che si sarebbe verificata anche in assenza del nuovo quadro regolamentare: si sono, tuttavia, tradotte in ulteriori pressioni sugli stati patrimoniali delle banche, il che a sua volta genera rischio.
Ci sono alcune parti dell'accordo Basilea 3 che non sono ancora complete. Ad esempio, i requisiti su finanziamento e liquidità, fulcro del nuovo sistema, e i coefficienti patrimoniali rafforzati per le banche di rilevanza sistemica sono ancora suscettibili di cambiamenti.
C'è anche un margine di discrezionalità a livello nazionale per quanto riguarda i tempi e il rigore di alcune parti fondamentali del framework. Se ci fosse un'attuazione differenziata di Basilea 3 nei diversi Paesi, si creerebbe una disparità di regolamentazione, anche se noi crediamo che il sostegno a Basilea 3 da parte dei maggiori Paesi del G20 limiterà divergenze nell'attuazione. Potremmo, quindi, avere effetti positivi nel lungo termine, ma negativi nel breve e medio termine.
Una finalità importante è costringere le banche a ridurre l'indice di indebitamento e a valutare meglio il merito di credito dei clienti. Mentre l'alto leverage e il credito indiscriminato e a basso costo sono stati tra le cause principali della crisi, un abbassamento dell'indice di indebitamento migliorerà la resistenza agli shock. Anche un'attività di erogazione dei crediti più prudente e più stabile sosterrà la crescita di lungo periodo, limitando l'ampiezza dei cicli economici, che un alto indice di leva tende invece ad accentuare.
Nel breve termine, però, questo abbassamento dell'indice di leva comporterà un restringimento del credito, proprio in un momento in cui, in realtà, le economie europee ne hanno maggiormente bisogno. Una restrizione del credito porterebbe probabilmente a un abbassamento del tasso di sviluppo economico e a un maggior livello di default aziendali e delle famiglie, contribuendo ad un ulteriore indebolimento della posizione patrimoniale delle banche.
Il mercato obbligazionario potrebbe colmare in parte questo gap. Ci chiediamo, tuttavia, se soggetti non bancari potranno farsi carico di una porzione significativa del finanziamento attualmente garantito dalle banche. Oggi circa il 50 per cento del debito societario UE è commercializzato verso investitori non UE ed è, quindi, fondamentale cercare di aumentare l'attrattiva dei mercati del debito europei per investitori non UE. A prescindere dal successo di tali sforzi, in ogni caso, le imprese più piccole rimarranno molto dipendenti dal credito bancario e continueranno a subire le conseguenze più dure di una stretta creditizia sostenuta.
Basilea 3 potrebbe portare a cambiamenti potenzialmente assai profondi nella struttura stessa del settore bancario. Le nuove regole patrimoniali e di liquidità comporteranno probabilmente ritorni più bassi sul capitale, aumentandone i costi. Le banche più piccole e meno redditizie potranno avere difficoltà nel soddisfare i


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nuovi obiettivi patrimoniali, soprattutto se la loro capacità interna di generazione di capitale verrà indebolita da margini operativi bassi e da alti costi del credito.
Le banche che non saranno all'altezza scompariranno a seguito dell'intervento regolamentare, ovvero attraverso fusioni e assorbimenti. Nella transizione, alcune banche potrebbero essere incoraggiate ad aumentare i ritorni aumentando il profilo di rischio, oppure a cercare assistenza esterna, eventualmente al prezzo di haircuts - tagli del valore nominale dei titoli - o condivisione degli oneri con i creditori.
Persino alcuni degli enti creditizi globali più gradi, che hanno richiesto un forte supporto sistemico durante la crisi, potrebbero trovarsi in difficoltà nel soddisfare i nuovi requisiti più rigorosi, nel momento in cui dovranno rimborsare il capitale o i prestiti governativi. Anche questi operatori potrebbero essere incoraggiati ad assumersi rischi per migliorare la redditività.
La tensione tra il desiderio degli azionisti di avere un rendimento e la volontà delle Autorità di vigilanza di imporre vincoli non è un fatto nuovo, ma tale tensione sarà più acuta nel nuovo contesto.
Basilea 3 non colpirà ugualmente tutte le istituzioni: le banche attive sui mercati finanziari saranno particolarmente colpite dall'aumento delle ponderazioni del rischio di controparte e altre esposizioni nel portafoglio di negoziazione.
Molti operatori globali sono grandi e diversificati, con una forte base clienti, e potranno modificare i propri indirizzi senza danneggiare in modo irreparabile il loro core business. Saranno le banche più piccole, più deboli e meno redditizie, che non hanno clientele differenziate, a subire un impatto più duro. Alla fine emergerà un settore finanziario più piccolo e più concentrato.
Si tratta di cambiamenti che saranno sostanzialmente positivi nel lungo periodo. Non saranno in grado di mantenere la propria posizione gli operatori più deboli e di nicchia, ragion per cui il settore potrebbe emergere più forte e più asciutto. Tuttavia, ogni cambiamento comporta incertezze e rischi.
Inevitabilmente, i rischi per i creditori bancari aumenteranno nella fase di transizione ed è difficile prevedere l'impatto dei cambiamenti sul livello di concorrenza nel settore, la concentrazione dei rischi e la capacità del settore di innovare.
Da ultimo, è importante concentrarsi su ciò che Basilea 3 non può realizzare: non può rendere le banche del tutto sicure. Il settore dell'attività bancaria è intrinsecamente rischioso: ce ne siamo resi conto negli ultimi quattro anni! Le banche manterranno un alto indice di leva, rimarranno intrinsecamente illiquide e sensibili alla fiducia: i nostri rating rifletteranno tali rischi.
La crisi ci ha ricordato quanto il fattore fiducia sia essenziale perché le banche possano continuare a funzionare. Abbiamo anche visto quanto sia facile perdere rapidamente la fiducia e come un problema contingente possa diventare un problema sistemico. Da sottolineare è anche il ruolo dell'opacità e dell'incertezza nella propagazione del timore, della non propensione al rischio e del default.
Anche se a lungo termine l'impatto di Basilea 3 sarà positivo, i più elevati coefficienti di capitale e liquidità saranno, necessariamente, relativamente contenuti e non elimineranno i rischi: in realtà, già oggi i livelli di capitalizzazione e liquidità sono superiori a quattro anni fa, ma il settore bancario non è più stabile. Come dimostra la crisi, una forte posizione patrimoniale non garantisce la sopravvivenza di una banca sottoposta a stress e ampie riserve di liquidità non sono in grado di garantire la resistenza a pressioni severe e sostenute.
Complessivamente, non prevediamo che con Basilea 3 i nostri rating tornino ai livelli pre-crisi. Vogliamo garantire che i nostri rating rispecchino in modo adeguato i rischi particolarmente elevati inerenti a modelli operativi che la crisi ha evidenziato come vulnerabili. Ceteris paribus, noi attribuiremo i rating più bassi alle banche che presenteranno le seguenti caratteristiche:


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maggiore affidamento sui mercati di finanziamento all'ingrosso a breve termine, garantiti o non garantiti; una partecipazione considerevole ai mercati monetari a breve termine; stati patrimoniali fluidi e mutevoli; un alto leverage; una forte concentrazione di attivi soprattutto con modelli operativi «monolinea»; mancanza di trasparenza, soprattutto connessa a consistenze significative di attivi complessi e opachi.
Continueremo ad eliminare gran parte delle ipotesi di sostegno governativo, inerenti ai rating bancari in molti Paesi. In parte tali ipotesi saranno mantenute, perché non crediamo che le Autorità abbandoneranno in ogni circostanza le banche in default. Basilea 3 riconosce implicitamente il problema del «troppo grande per fallire», aggravando i requisiti patrimoniali per le istituzioni finanziarie importanti dal punto di vista sistemico.
Le Autorità stanno mantenendo il loro sostegno alle banche nel contesto attuale, ma è chiara la direzione di lungo periodo. Molte Autorità, tra cui la Commissione europea, hanno già attuato o attueranno cambiamenti legislativi e regolamentari per superare l'impostazione di una totale protezione dei creditori. In futuro vedremo, probabilmente, un maggior ricorso ad approcci più flessibili alla soluzione dei problemi delle banche, incentrati sulla tutela dei contribuenti e la garanzia della disciplina dei mercati. L'esigenza di tener conto di tale trend è un'ulteriore spiegazione del motivo per cui i rating non torneranno ai livelli pre-crisi, a prescindere dalle iniziative regolamentari volte a migliorare la stabilità e la resilienza del settore.
In sintesi, noi consideriamo Basilea 3 come un passo positivo, ma rileviamo anche che ci sono alcuni inevitabili rischi transitori e limitazioni intrinseche della capacità di Basilea 3 di migliorare il merito di credito e, quindi, i rating del sistema bancario europeo.
L'innalzamento del capitale e della liquidità renderà le banche più sicure, ma non renderà del tutto sicura l'attività bancaria: tali misure non risolveranno, nel breve periodo, la causa strutturale dell'attuale turbativa dei mercati finanziari, cioè la crisi del debito sovrano.

PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MAURIZIO FUGATTI. La relazione del dottor Laurin ci consente di comprendere quali effetti produrranno sugli enti creditizi le nuove regole di Basilea 3, nonché l'applicazione della Raccomandazione dell'Autorità bancaria europea dello scorso 8 dicembre, relativa al rafforzamento della posizione patrimoniale delle banche che hanno partecipato all'ultimo esercizio sul capitale.
È degna di nota, sotto questo profilo, l'affermazione che i rating degli intermediari creditizi non torneranno ai livelli pre-crisi: nonostante Basilea 3 e la richiesta di elevare fino al 9 per cento il core tier 1 ratio, attraverso la costituzione di un buffer patrimoniale eccezionale e temporaneo, persistono i dubbi sull'andamento dei rating degli istituti di credito.
Ci chiediamo, allora, cosa debbano fare le banche per ottenere rating più favorevoli.
Sappiamo quanto sarà difficile, soprattutto per gli istituti di credito italiani, rispettare le nuove regole di Basilea 3 e le raccomandazioni dell'EBA.
Peraltro, il predetto buffer patrimoniale, da costituire a fronte delle esposizioni verso gli emittenti sovrani, dovrà riflettere i prezzi di mercato alla fine di settembre, secondo il principio del mark-to-market. Anche su questo aspetto desidereremmo avere un vostro parere.
Come devono strutturarsi, quindi, gli istituti di credito per riuscire ad avere una valutazione positiva, o comunque per tornare ai livelli di rating che avevano raggiunto prima della crisi? Grazie.

ALBERTO FLUVI. Anch'io ringrazio i rappresentanti di Moody's per le considerazioni svolte, le quali saranno sicuramente utili per il nostro lavoro.


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Un primo problema risiede, a mio avviso, nel fatto che non in tutti i Paesi sono state applicate le regole di Basilea 2. La prima domanda potrebbe essere, quindi, la seguente: tra gli elementi che Moody's prende in considerazione al fine di valutare il merito di credito potrebbe essere compresa, ad esempio, l'applicazione o meno, in un determinato Paese, degli accordi di Basilea?
Tra i fattori che determinarono, nel 2008, l'esplosione della crisi finanziaria - ormai, ce ne siamo resi conto tutti: l'ha ribadito nella relazione introduttiva il dottor Laurin, ma era emerso chiaramente già nel corso di una precedente audizione -, ebbe un peso maggiore non tanto il livello del core tier 1 ratio, quanto, piuttosto, quello del leverage, della leva finanziaria. Basta fare riferimento, per averne conferma, ai casi Lehman Brothers e Dexia: entrambi vantavano un core tier 1 molto elevato; tuttavia, era molto elevato anche il leverage.
La considerazione serve a farci comprendere come, probabilmente, il nocciolo del problema non sia rappresentato soltanto dalla capitalizzazione del sistema bancario.
Poiché ci sono interi continenti dove Basilea 2 non è stata ancora applicata, o è stata applicata solo ad alcune banche e non al sistema creditizio nel suo complesso, suggerirei che anche di ciò si tenesse conto nel procedimento di elaborazione dei rating.
Il Consiglio europeo del 26 ottobre scorso ha concordato un pacchetto di misure sul capitale cui ha fatto seguito la Raccomandazione dell'EBA dello scorso 8 dicembre. In sostanza, l'Autorità bancaria europea chiede che il core tier 1 sia portato entro la fine di giugno 2012, laddove necessario, al 9 per cento.
A mio parere, c'è un altro punto che converrebbe approfondire. Com'è noto, la quantificazione delle necessità di buffer da detenere, a fronte dei titoli di Stato che le banche italiane, francesi e tedesche hanno nella pancia, come si suole dire, deve essere effettuata in base ai prezzi di mercato alla fine di settembre. Ebbene, qual è, secondo voi, la differenza tra le banche che possiedono titoli di Stato dei rispettivi Paesi, valutati ai prezzi di mercato, e quelle che, invece, hanno ancora nella pancia grandi quantità di titoli tossici? In realtà, poiché i titoli di Stato sono emessi con una precisa scadenza, si dovrebbe avere riguardo al valore di carico e non al prezzo di mercato. Si introduce, quindi, una differente valutazione per le banche che hanno introiettato, per così dire, una sorta di rischio Paese?
Passando a un altro argomento, proprio ieri il presidente della Banca centrale europea, Draghi, intervenendo a un'audizione davanti alla Commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento europeo, ha posto l'accento sulla duplice esigenza di ridurre il ruolo delle agenzie di rating e di rendere più trasparente il loro operato. Ciò sembra in sintonia con il pacchetto di proposte che la Commissione europea ha predisposto a metà novembre.
Come voi sapete, tra le misure contenute in queste raccomandazioni c'è l'obbligo per gli istituti di credito di procedere a valutazioni interne piuttosto che affidarsi a rating esterni e l'invito alle agenzie di rating, soprattutto per quanto riguarda i debiti sovrani, a pubblicare i loro giudizi dopo la chiusura dei mercati. Ci sarebbe da chiedersi a quali mercati si faccia riferimento, dal momento che, in un emisfero o nell'altro del mondo, ce n'è sempre qualcuno aperto, ma il tema principale è sotteso alla norma che introduce una sorta di responsabilità civile per le agenzie di rating.
Infine, ho da porre una domanda che prende spunto dalla situazione di Moody's. L'agenzia è quotata in borsa a Wall Street, e vanta fra i suoi principali azionisti i più grandi fondi di investimento, da quello che fa capo a Warren Buffett, ad altri come BlackRock e via elencando. In una situazione analoga si trovano, peraltro, anche le altre agenzie di rating.
La domanda è la seguente: cosa ci fanno all'interno del capitale delle agenzie di rating i gestori dei fondi, i quali investono in valori mobiliari (emessi da società


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private o da Stati sovrani) che sono oggetto di valutazione da parte delle agenzie? Non vi sembra che ciò determini un enorme conflitto di interessi? Tanto per fare un esempio, tutti i fondi di investimento hanno continuato ad acquistare i titoli di Stato ellenici anche dopo essere venuti a conoscenza delle difficoltà di bilancio della Grecia: sappiamo tutti com'è andata a finire. Grazie.

SILVANA ANDREINA COMAROLI. Ringrazio vivamente i rappresentanti di Moody's per la relazione esaustiva, ma ho ancora alcuni dubbi.
Basilea 3 dovrebbe risolvere molte delle problematiche evidenziate dalla crisi finanziaria. Ne vedremo gli effetti nel lungo periodo. In questo momento, però, rischiamo una contrazione del credito bancario, che bloccherà lo sviluppo e farà precipitare in una situazione di default molte aziende e famiglie. Peraltro, non è detto che, alla fine del percorso, l'attuazione di Basilea 3 renderà le banche sicure.
È possibile che non possa esserci una soluzione alternativa a Basilea 3, dal momento che essa non rappresenta, come abbiamo visto, la soluzione delle crisi? Basilea 3 produrrà realmente tutti i benefici di cui si sente parlare? È giustificato considerarla come una panacea, se voi stessi sostenete che, invece, non risolverà molto? C'è qualcos'altro da fare? Si può fare altro per rendere più solido il nostro sistema bancario?

FRANCESCO BARBATO. Ringrazio, anche a nome del gruppo parlamentare Italia dei Valori, i rappresentanti di Moody's, con i quali mi scuso se volgo loro le spalle: purtroppo, la mia posizione è dovuta alla conformazione dell'aula della III Commissione, che ci ospita oggi.
Ciò premesso, l'affermazione del dottor Laurin, secondo il quale i rating non torneranno ai livelli pre-crisi, mi induce a prospettare la seguente alternativa: o non c'è stata una vigilanza adeguata da parte degli organi preposti - quando si effettuano gli stress test, questi servono proprio a verificare la capacità degli enti creditizi di far fronte a circostanze straordinarie, di assorbire eventuali shock sui rischi di credito e di mercato in situazioni di crisi -, oppure che c'è stato un giudizio errato o approssimativo da parte delle società di rating, le quali danno importanza, forse, anche a considerazioni di tipo politico, non basate sulle situazioni oggettive dei soggetti sottoposti a valutazione.
C'è un altro aspetto della vostra attività che mi turba. Accade sovente, infatti, che i declassamenti siano preannunciati: quante volte sentiamo dire che, secondo una certa agenzia di rating, una società o un Paese rischia di perdere la tripla A (o altre cose analoghe)? Voi ritenete di non avere alcuna responsabilità a proposito delle conseguenze derivanti dai declassamenti, in quanto esprimete pareri. Tuttavia, non vi rendete conto che, diffondendo simili anticipazioni, create una turbativa di fatto o, quanto meno, un meccanismo che può innescare attività speculative sui mercati. Se si viene a sapere che una società sarà con molta probabilità declassata, e che, di conseguenza, il valore del relativo titolo quotato in borsa subirà un calo, è chiaro che sui mercati, allertati dalla notizia, possono determinarsi situazioni speculative, in grado di provocare un vero e proprio crollo del titolo medesimo.
Tutto ciò è davvero preoccupante. Potreste anche incorrere in spiacevoli imprevisti giudiziari, qualora si riuscisse a stabilire un legame tra i declassamenti e certi effetti sui mercati, che si potrebbero ritenere provocati ad arte. Anche senza avventurarsi su questa china scivolosa, mi sembra che il timore da me espresso sia comunque degno di considerazione.
Poiché siete pagati dalle stesse società che valutate, non sarebbe più corretto che si risolvesse questo palese conflitto d'interessi? Se non foste più pagati dai soggetti che dovete valutare, sciogliendosi questo rapporto anomalo, non sarebbe più autentica l'attività delle società di rating? Grazie.

PRESIDENTE. Devo rilevare, innanzitutto, che l'attendibilità delle agenzie di


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rating si è molto attenuata negli ultimi anni. In precedenza, anche nei nostri lavori si faceva spesso riferimento alle valutazioni delle agenzie di rating; invece, a partire dal crac di Lehman Brothers e da altri casi analoghi, non ho ricordo di colleghi che abbiano richiamato un vostro giudizio nei propri interventi e iniziative parlamentari.
In questi anni abbiamo assistito - parlerò adesso di moral hazard - a un fenomeno molto singolare. A seguito della crisi, dopo il default di Lehman Brothers, gli Stati si sono indebitati per salvare il sistema finanziario, il quale, scampato il pericolo, ha cominciato a scommettere sui debiti sovrani. Alla fine, chi ci rimette? Chi è colpito? Gli investitori e i risparmiatori.
E cosa si sta facendo negli ultimi tempi in Europa? Da un lato, si dedica molta attenzione alle agenzie di rating e si dibatte su come gestire il settore. Dall'altro, si sottovaluta palesemente il rischio americano, nonostante il downgrading e l'uscita in massa dal mercato europeo degli istituti finanziari statunitensi, che ha accentuato le tensioni finanziarie. Non lo ritenete stravagante?
La questione è già stata sollevata dal collega Fluvi: si discute, in Europa, di Basilea 3 e degli ulteriori sviluppi della regolamentazione prudenziale, mentre parti consistenti del mercato finanziario non hanno ancora attuato le regole di Basilea 2. Ciò non crea un disallineamento, che porta l'Europa a essere più esposta?
Immagino che lei sia francese, dottor Laurin. Ebbene, i criteri adottati dall'European Banking Authority penalizzano il nostro Paese e favoriscono, diciamocelo con molta franchezza, il debito francese e tedesco. Lei crede veramente che possano essere considerati sullo stesso livello i titoli italiani in pancia al nostro sistema finanziario e quelli posseduti dalle Landesbanken tedesche? Non crede, tenendo conto degli asset tossici detenuti dalle banche francesi e tedesche, che il nostro Paese sia stato penalizzato?
Mi piacerebbe conoscere una vostra valutazione anche sul complesso delle questioni all'esame dell'EBA.
Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

ALAIN LAURIN, Senior Vice President, Credit Policy, Moody's Investors Service. Proverò a rispondere ai diversi quesiti. Alcuni sono veramente molto stimolanti e difficili, ma raccolgo la sfida.
Sì, sono francese e come introduzione posso affermare che nella mia incarnazione precedente, prima della Moody's, ho passato venti anni presso l'Autorità di vigilanza francese e, quindi, sono in grado di valutare le difficoltà per tutti noi di elaborare una valutazione.
È difficile valutare e vigilare sulle banche. Era difficile prima e anche per Moody's è difficile valutare ed elaborare un rating. È una sfida per tutti noi. Non è facile per alcuni e difficile per altri: è difficile per tutti.
Io sono stato a stretto contatto con la Banca d'Italia e, quindi, so che la Banca d'Italia è molto brava nella vigilanza bancaria, ma a sua volta accusa alcune difficoltà. Proverò comunque a rispondere alle diverse domande.
Che cosa dovrebbero fare le banche per tornare ai livelli pre-crisi per quanto riguarda le valutazioni del merito di credito, i rating? Sarà molto difficile farlo, secondo me, anche se le banche lavoreranno bene, perché non tutti i fattori sono controllabili dalle banche. È una questione evidente e ovvia.
Compio un piccolo passo indietro. È importante capire che i rating di Moody's vengono elaborati dopo un procedimento in due fasi. Una prima fase è la valutazione della condizione della Banca di per sé, la stand alone, la posizione patrimoniale di Paribas o di UniCredit di per sé sulla base degli stessi parametri e degli stessi benchmark. Questo è il primo passo.
La seconda fase, invece, è cercare di capire che cosa farebbe il Governo nel caso in cui la banca UniCredit, Landesbank o Paribas si trovasse in difficoltà. Il Governo verrebbe al salvataggio oppure


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non interverrebbe perché la banca è troppo piccola, non ha valore sistemico, non ha importanza per il settore bancario e quindi non interviene per sostenerla? Noi consideriamo anche il supporto sistemico nella valutazione del rating della banca.
Un altro passo è la valutazione stand alone della banca, di per sé, che viene ovviamente colpita dalla crisi, una crisi che, peraltro, non è finita. Le banche sono colpite e soffrono a causa delle crisi sovrane e, quindi, ci sono forti pressioni sul fronte dei finanziamenti o perché l'economia non va bene. È difficile che una banca sia forte in un contesto debole, quindi non prevediamo che le banche diventeranno forti nel futuro prevedibile.
È difficile pensare a rating elevati o analoghi a quelli del boom economico. Non ci attendiamo boom nei prossimi anni. Il rating stand alone è sotto pressione, ma anche la parte sulla componente sovrana lo è, ragion per cui anche la seconda componente, il sostegno pubblico, si sta indebolendo, è debole ed è difficile riportare i rating a livelli pre-crisi.
In nuce questa è la mia risposta alla prima domanda. Spero di aver risposto in maniera completa.

PRESIDENTE. Lei sta affermando che tenete conto della capacità dello Stato, francese o tedesco, che dispone delle necessarie risorse, di intervenire per salvare una banca, anche di rilevanza sistemica. Tuttavia, si dovrebbe tenere conto anche del fatto che, se lo Stato stanzia risorse per salvare il sistema bancario, il suo debito aumenta.
Premesso che, da noi, non sono previsti salvataggi di banche, se le Landesbanken tedesche dovessero richiedere l'intervento dello Stato per evitare il fallimento, a che livello salirebbe il debito tedesco, e quanto inciderebbe ciò nelle valutazioni dell'EBA?

ALAIN LAURIN, Senior Vice President, Credit Policy, Moody's Investors Service. Ci troviamo di fronte a una circolarità di effetti, perché, se le passività contingenti delle banche sono molto elevate per un Governo, a quel punto si indebolisce anche la qualità del soggetto che deve dare il sostegno.
Nei Paesi in cui il settore bancario è in difficoltà e il debito sovrano non è molto forte, si arriva a rating molto simili, a seconda dell'interazione delle due componenti del rating, il rating della banca e il rating del soggetto sovrano. Interagiscono queste due componenti.
La seconda domanda era che cosa cerca di realizzare Basilea 3 e quali implicazioni ci sono per le attività di rating. In estrema sintesi, posso rispondere che Basilea 3 forse può non essere un enorme vantaggio, ma che potrebbe essere, invece, uno svantaggio.
Noi vediamo Basilea 3 non soltanto come uno strumento per rafforzare l'adeguatezza patrimoniale delle banche o la loro liquidità, ma come un quadro molto complesso che, in ultima analisi, dovrebbe portare a migliorare la gestione dei rischi delle banche. Basilea 3 ha implicazioni molto positive sotto molti aspetti, che sarebbe lungo elencare, quale una definizione comune del capitale.
In Europa manca una definizione comune dei fondi propri, del capitale. È una situazione che dovrebbe sorprenderci. Se andiamo a vedere le situazioni concrete, per i capitali di classe 1, ossia tier 1, la situazione è la stessa in tutti i Paesi? No. L'aspetto positivo di Basilea 3 è di fornire un quadro comune, per esempio, per la definizione dei capitali, nonché una serie di elementi fondamentali.
Forse ci occupiamo anche troppo di capitale, di fondi propri. Per noi è fondamentale il denominatore del rapporto e non soltanto il numeratore. Il denominatore è importantissimo. La crisi è stata scatenata e innescata da una valutazione inadeguata del denominatore, cioè gli attivi ponderati per il rischio che erano in realtà mal valutati nella contabilità. A tutte queste attività tossiche in realtà, in virtù di Basilea 1 e 2, era stato assegnato un coefficiente di rischio molto basso. Basilea 2 è stato un miglioramento e Basilea 3 sarà un ulteriore miglioramento.


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Per i motivi che ho citato i rating non potranno salire, però non ho sostenuto neanche che le banche perderanno e avranno rating inferiori. Ho parlato in linea generale del contesto, che è difficile per le banche.
La strategia dell'EBA è stata quella di imporre prima di Basilea 3 un coefficiente patrimoniale del 9 per cento su un campione di 71 banche dell'Unione.
Analogamente, l'idea è di produrre banche più resilienti, più forti e la reazione delle banche è quella di pensare che è difficile aumentare il numeratore e, quindi, di ridurre il denominatore. Potrebbe verificarsi una riduzione delle capacità operative delle banche, cioè dell'erogazione di credito. Ovviamente ci preoccupiamo tutti di una stretta creditizia. Non è ancora alle porte, ma è una possibilità e ciò è dovuto anche al fatto che l'EBA ha invitato ad aumentare il capitale. Le banche hanno capito che si vuole un maggior coefficiente tier 1, mentre l'EBA chiedeva più capitale, quindi di sospendere i dividendi, i bonus e le gratifiche e rafforzare la base patrimoniale e non soltanto il capitale di base di classe 1.
Anche quello dei titoli pubblici è un problema contabile. Noi non ci occupiamo di contabilità. Un rapporto dell'ESMA (European Securities and Markets Authority) sulla contabilità nell'Unione europea e soprattutto in Grecia è giunto a una conclusione molto chiara: la contabilizzazione non era valida, non era corretta e, quindi, ci sono stati problemi in alcune banche, che hanno riconosciuto i loro errori, mentre altre banche non hanno riconosciuto i loro errori di contabilizzazione. Se i titoli greci sono scambiati con uno sconto sul mercato, bisogna registrare il mark to market, con questi titoli al valore di mercato nei propri libri contabili detenuti fino a scadenza. Magari si calcolano le perdite potenziali, ma in definitiva, se si ritiene che ci sarà una possibile perdita nella propria gestione contabile, bisogna contabilizzare tali perdite. Noi comunque non ci occupiamo di contabilità bancaria.
Quanto alle eventuali alternative a Basilea 3, essendo stata posta una domanda su questo tema, ricordo che Basilea 3 inizierà nel 2013 e che poi seguirà una lunga fase transitoria fino al 2019. Passerà molto tempo prima di una piena attuazione di Basilea 3. Il problema è che i mercati stanno esercitando pressioni sulle banche, affinché esse ottemperino a Basilea 3 prima dei tempi previsti.
Che cosa possiamo fare? Se i mercati vogliono un 9 per cento di patrimonio di classe 1, le banche possono comportarsi diversamente e rispondere che non importa? Io credo che le Autorità di vigilanza facciano del loro meglio per garantire un margine di duttilità e per non indebolire troppo il settore bancario.
Ovviamente l'obiettivo delle Autorità di vigilanza non è quello di indebolire le banche, ma piuttosto di garantire la disciplina e un rafforzamento delle banche. Al tempo stesso queste banche vanno protette. C'è una certa tensione e forse ci sono anche alcuni compromessi da realizzare tra un'attuazione troppo rapida e una troppo lenta. Questa è la sfida per tutti noi, ma soprattutto per voi.
Un'altra domanda verteva sull'eventuale inadeguatezza del monitoraggio delle Autorità pubbliche o eventuali errori di giudizio da parte nostra. In Italia c'è la Banca d'Italia, l'Autorità di vigilanza, che non mi sento di criticare. Penso che svolga un buon lavoro. Quando noi valutiamo le banche, guardiamo anche il quadro normativo e il quadro di vigilanza di riferimento. Nella maggior parte dei Paesi il quadro di vigilanza è molto valido. Ovviamente deve essere garantito, ma deve essere garantita anche l'attuazione delle norme di vigilanza.
Non vorrei parlare di un'inadeguatezza del monitoraggio in Italia o nell'Unione europea. Mi pare che ci sia un forte impegno volto a migliorare il monitoraggio.
Che ci sia un errore di valutazione da parte nostra? Che cosa posso rispondere? Noi facciamo del nostro meglio giorno dopo giorno per valutare le banche e il rating stand alone. Abbiamo una nostra metodologia, che cerca di garantire anche la correttezza, il che non significa che, alla


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fine dei conti, non ci sarà una situazione come quella di Lehman Brothers, cioè che una banca con un forte capitale classe 1 magari il giorno dopo dichiari insolvenza per mancanza di trasparenza. Basilea 3 cerca di garantire una maggiore trasparenza, perché le banche non danno informazioni sufficienti ai mercati affinché questi possano valutare la robustezza e la tenuta di una banca rispetto all'altra.
Per poter svolgere una buona valutazione servono tante informazioni e, quindi, se noi volgiamo lo sguardo al futuro, è difficile credere che, nonostante tutte le ricadute positive che possono verificarsi, le banche non continueranno a rimanere un'attività opaca. Rimarrà un alto livello di opacità nell'attività bancaria.
C'era poi un'altra domanda su Warren Buffett.

ALEX CATALDO, Direttore generale di Moody's Italia Srl. Premesso che non conosco Warren Buffett, desidero aggiungere qualche considerazione con riferimento alle domande concernenti il nostro ruolo e la situazione determinatasi negli ultimi quattro anni. Entrerei anche nel merito della regolamentazione europea relativa alle agenzie di rating del credito (CRA 1, 2 e, in prospettiva, 3).
Innanzitutto, farei un passo indietro, per ricordare come, in effetti, l'obiettivo più importante che si sta cercando di perseguire - e noi stiamo fornendo il nostro supporto, anche con la presenza in questa sede parlamentare - sia quello di restituire fiducia ai mercati internazionali dei capitali: questo è il tema fondamentale; questo è l'obiettivo cui tutti miriamo.
Il nostro ruolo, in quanto agenzia di rating del credito, è quello di partecipare a un mercato finanziario internazionale sano.
Utilizzando il termine «sano», intendo richiamare anche le novità, che condividiamo e che consideriamo molto positive, introdotte dalla normativa europea con riferimento al nostro ruolo e all'uso dei rating.
La prima innovazione positiva è rappresentata dall'istituzione di un regulator, ossia l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati, presso la quale abbiamo provveduto a registrarci in conformità alla normativa vigente.
A prescindere dalle nuove proposte di modifica del Regolamento (CE) n. 1060 del 2009, predisposte dalla Commissione europea il mese scorso, l'introduzione di un'Autorità di vigilanza cui sono attribuiti poteri incisivi - come, a titolo esemplificativo, quello di eseguire ispezioni nei locali professionali delle agenzie di rating, di vedere da vicino come svolgiamo la nostra attività, di effettuare controlli, richiedendo informazioni o esaminando documenti, di promuovere, nell'ipotesi in cui siano constatate violazioni, l'adozione di misure di vigilanza e l'imposizione di sanzioni amministrative pecuniarie da parte del consiglio delle autorità di vigilanza - costituisce sicuramente un'iniziativa positiva per ridare fiducia ai mercati. Certo, non accadrà subito: dobbiamo lasciare all'Autorità il tempo per agire, ma consideriamo l'istituzione di tale organismo un'innovazione positiva.
Il secondo aspetto rilevante è la trasparenza, che è davvero essenziale. Noi siamo nati, cent'anni fa, proprio a causa della mancanza di trasparenza dei mercati. Siamo ancora qui, oggi, per fornire le nostre opinioni e per cercare di aiutare, in tal modo, quanti operano sui mercati. Questo è l'uso sano del rating. In tale ambito, le disposizioni relative alle informazioni che le agenzie di rating devono indicare nei propri comunicati stampa costituiscono ulteriori elementi positivi. In proposito, una delle lezioni che ho imparato nel corso degli anni, riguardo agli strumenti finanziari strutturati e ai sub-prime - nella crisi, il primo anello della catena - è che mancava un'informazione trasparente. Aggiungo che Moody's ha inserito nei propri rapporti informazioni ulteriori rispetto a quelle indicate nel predetto Regolamento, per fornire al mercato elementi più completi e in maniera tempestiva.
Per quanto riguarda i conflitti di interessi, utilizziamo diverse metodologie per prevenirli e gestirli. Ad ogni modo, siamo


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sul mercato. Ciò significa che chiunque, leggendo i nostri rapporti, può formarsi un'opinione in merito alle metodologie che utilizziamo per formulare le nostre valutazioni. Si può anche non essere d'accordo con noi: in un mercato sano, si può anche pensare che il rating da noi assegnato sia, nel caso specifico, più basso o più alto di quello ritenuto confacente; in ogni caso, noi aiutiamo a garantire quella trasparenza che manca al livello dell'emittente e, di conseguenza, anche dell'investitore.
Su tali temi, quindi, si è già lavorato.
Ci preoccupano, invece, i problemi che abbiamo già indicato nel corso di una precedente audizione, sui quali insistiamo, del resto, da un decennio.
Il primo è quello dell'automatismo. L'uso del rating non è sano quando si acquista o si vende soltanto perché è intervenuto un upgrade o un downgrade: un investitore deve decidere se comprare o vendere in modo indipendente dal rating.
Un altro aspetto da considerare con maggiore attenzione è quello dell'utilizzazione dei rating a fini regolamentari. In altre parole, come avevamo anticipato un anno fa, si dovrebbero eliminare i riferimenti ai rating nella regolamentazione. Non mi pare che a livello europeo si stia operando in tale direzione. Al riguardo, posso soltanto ribadire l'insegnamento che ho tratto dalla mia esperienza: va eliminato l'impiego dei rating nella regolamentazione.
Per quanto riguarda le nuove proposte di modifica del Regolamento (CE) n. 1060 del 2009, presentate dalla Commissione europea il mese scorso, siamo felici di partecipare a un dibattito finalizzato a un recupero di fiducia da parte dei mercati dei capitali.
Si discute, tra l'altro, di modifiche concernenti la responsabilità civile delle agenzie di rating del credito nei confronti degli investitori.
A tale proposito, non va dimenticato che l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati, come ho già posto in risalto, esercita controlli penetranti sulla nostra attività, svolgendo la quale dobbiamo rispettare i numerosi adempimenti prescritti dal Regolamento (CE) n. 1060 del 2009 (CRA 1) e dal successivo Regolamento (UE) n. 513 del 2011 (CRA 2). Io, ad esempio, operando in Italia, ed essendo cittadino italiano, devo sottostare a tutte le leggi vigenti in Italia.
Ciò premesso, se si vuole parlare di noi come soggetti esenti da responsabilità, devo precisare che non è assolutamente così. Per rispettare le leggi vigenti in questo Paese, siamo tenuti a porre in essere, quotidianamente, tantissimi adempimenti. In una situazione analoga si trovano anche gli altri miei colleghi francesi ed europei. Essendo, peraltro, una società internazionale, ogni giorno dobbiamo rispettare le regole vigenti nei diversi Paesi in cui siamo operativi. A ciò siamo tenuti in base alla legislazione vigente. In Europa, ripeto, svolgiamo la nostra attività sotto la vigilanza dell'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati, sui cui contenuti richiamo le considerazioni già sviluppate.
Bisogna evitare, piuttosto, che si arrivi a considerare il rating alla stregua di una garanzia: l'investitore non avrebbe più alcun onere, se non quello di acquistare un prodotto finanziario con un rating favorevole. Una simile impostazione sarebbe molto dannosa: non si può togliere ogni responsabilità a colui che investe, inducendolo a chiudere gli occhi e a fare affidamento soltanto sul rating.
Per quanto riguarda, quindi, l'introduzione nella legislazione europea di una disciplina che potenzi la responsabilità civile delle agenzie di rating del credito nei confronti degli investitori, non siamo d'accordo con chi ritiene che ciò aiuterà a ripristinare la fiducia nei mercati finanziari e nella qualità dei rating. Al contrario, crediamo che tale innovazione possa essere foriera di criticità, che sarebbe opportuno evitare, soprattutto in un momento in cui l'Europa ha bisogno che le operazioni finanziarie sui mercati internazionali si svolgano in un clima caratterizzato da maggiore serenità.
Invito anche a verificare quali regole vigano, a livello mondiale, in materia di


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controlli sulle agenzie di rating. La normativa europea potrebbe rivelare criticità a livello internazionale.
Altri temi rilevanti riguardano la procedura di registrazione e la regola di rotazione obbligatoria.
Comprendiamo la ratio delle disposizioni volte ad assicurare l'indipendenza delle agenzie di rating, a prevenire i conflitti di interessi, ad aumentare la concorrenza nel settore industriale in cui operiamo. Tutti hanno interesse ad avere opinioni indipendenti e trasparenti sugli emittenti e sui loro strumenti di debito. Condividiamo pienamente tale esigenza, tanto che abbiamo cercato di migliorare autonomamente alcuni aspetti della nostra attività. Nella definizione e nell'affinamento dei nostri modelli organizzativi e operativi cerchiamo sempre di imparare dal mercato, in modo da essere sempre all'avanguardia. Moody's è sul mercato da cent'anni e tiene ad esservi ancora fra altri cent'anni. Questa è la strada che intendiamo percorrere.
Forzare in qualche modo il processo di valutazione, imporre un modello che consente a un'agenzia di esprimere un rating su una banca per un massimo di tre anni (ovvero addirittura di un anno, in taluni casi), significa togliere, a un certo punto, informazioni al mercato e avere la necessità di aspettare che qualcun altro elabori nuovi rating. Ciò aiuta, forse, ad avere un numero maggiore di valutazioni, ma può far mancare informazioni al mercato proprio nel momento in cui questo può averne maggiore bisogno.
Certo, più voci ci sono, meglio è: aumenta la trasparenza, e l'investitore può compiere le proprie scelte in maniera più avveduta. Tuttavia, consideriamo il caso di Moody's, che esprime rating su 40-50 banche italiane e su altre a livello europeo: non vedo come la cessazione dei relativi incarichi possa aiutare a ripristinare la fiducia nei mercati. Pensate anche agli investitori che si trovano negli Stati Uniti o in Giappone. Personalmente, preferisco avere più informazione e magari ignorarla: non averla mi sembra più preoccupante.
Un altro aspetto importante è quello dell'indipendenza.
Moody's, come ogni altra società di rating, fornisce opinioni, non garanzie. Esprimere un rating positivo non implica sostenere che non vi è, nel caso sottoposto a valutazione, alcuna probabilità di default. Se fosse così, sarebbe semplice sapere chi, in futuro, si troverà in una situazione di insolvenza e chi no.
L'unico ruolo che abbiamo, da sempre, è quello di esprimere, basandoci sulla capacità di elaborare professionalmente le informazioni disponibili, le nostre opinioni, che possono essere confrontate con quelle espresse da altri istituti mondiali. È tutto qui. La tripla «A» non significa che il merito di credito di un determinato soggetto è tale che egli non sarà mai insolvente: semplicemente, esprimiamo un'opinione su un rischio di credito, un giudizio probabilistico.
A presidio dell'indipendenza stanno le prerogative dell'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati. È importante che un regulator valuti la conformità delle metodologie ai requisiti vigenti e le approvi, perché l'opinione può essere manipolata (e nessuno vuole che ciò accada).
Venendo a Warren Buffett e al modello issuer-pays, secondo il quale l'agenzia di rating è scelta e remunerata da parte dell'entità valutata, ci si domanda se esista un conflitto di interessi. È sempre esistito. Tuttavia, bisogna considerare che siamo al centro di relazioni che coinvolgono l'emittente, gli investitori e il regulator, e che ciascuno di tali attori ha un interesse diverso da quello degli altri.
Per noi è importante non tanto chi sia lo shareholder, quanto, piuttosto, la trasparenza. Se pubblichiamo un rapporto in cui illustriamo esattamente la metodologia che abbiamo seguito per elaborare un rating, l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati, che ci controlla, ha la possibilità, se siamo incorsi in violazioni della normativa vigente, di promuovere l'applicazione di sanzioni a nostro carico. Ciò può accadere in ogni Paese


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in cui operiamo, ed è molto più importante che avere uno shareholder o un altro.
Per prevenire i confitti di interessi, occorre un'efficiente gestione di taluni aspetti organizzativi, ma la semplice presenza nella compagine sociale di un emittente o di uno shareholder non basta per ritenere esistente un conflitto. Non bisogna dimenticare che siamo una società di capitali e che, negli Stati Uniti, Moody's Corporation è quotata sul mercato azionario di New York.
Penso che la trasparenza sia l'ingrediente veramente fondamentale. La questione del conflitto di interessi, come viene presentata da un altro punto di vista, non è mai entrata nelle discussioni che si svolgono presso i nostri organi. Ne leggo, come voi, sulla stampa. È l'unica risposta che posso dare alla domanda concernente questo aspetto.

LAURA RAVETTO. Proprio con riferimento al tema della trasparenza, avete regolamentato in qualche modo la comunicazione, per esempio, dei membri del board o della corporate in generale? Inoltre, vi sono regole interne che escludono o limitano l'appartenenza ad altre aziende o eventuali investimenti dei membri dell'organizzazione? Infine, come valutereste la costituzione di un'agenzia di rating più legata alle strutture nazionali, ad esempio di un'agenzia di rating europea?

ALEX CATALDO, Direttore generale di Moody's Italia Srl. Innanzitutto, bisogna considerare che, operando a livello mondiale, dobbiamo rispettare tutti i requisiti stabiliti dalle singole legislazioni - statunitense, canadese, europea, italiana e via discorrendo - che fanno tutte parte, per così dire, del nostro mondo.
Una difficoltà emersa in questi anni attiene alla ricerca di regole che si applichino in maniera uniforme. Si dovrebbe fare in modo che le regole valide per uno lo siano anche per gli altri. Siamo molto interessati all'argomento.
Ci siamo dati regole molto precise per garantire la qualità e l'integrità del processo di rating, l'indipendenza delle persone che vi partecipano, nonché, come ho già detto, per evitare i conflitti di interessi.
La prima è che nessuno decide i rating da solo. L'analista è semplicemente la prima persona a dialogare con l'entità da valutare, in quanto esperto di quel tipo di credito. Naturalmente, egli non può possedere azioni dell'ente oggetto della valutazione, né può intrattenere o avere intrattenuto con esso, o con terzi ad esso collegati, relazioni che potrebbero causare un conflitto di interessi. Queste disposizioni, contemplate per la gran parte dalla normativa vigente, corrispondono, peraltro, a regole che avevamo tratto dalla nostra esperienza sul campo nel corso degli anni e che sono già confluite nel nostro Codice di condotta professionale: siamo i primi a tenere alla nostra reputazione, alla correttezza del nostro modo di operare, all'integrità del processo di rating.
Siamo molto trasparenti in ogni nostra azione, che si tratti di upgrade, di downgrade, ovvero di negative outlook. In altre parole, nel rispetto delle regole in precedenza richiamate, tramite metodologie pertinenti, si giunge alla formulazione delle valutazioni di affidabilità creditizia, che sono decise da comitati di rating e non da singoli analisti. Infine, viene approntato un rapporto. Abbiamo pubblicato una quantità enorme di rapporti, nei quali, oltre a divulgare i rating (come nel caso di Alitalia), diamo conto delle metodologie seguite per elaborarli. Noi sosteniamo che è meglio dire tutto ciò che si può sull'entità o sullo strumento valutato, anziché indicare il solo rating. Ovviamente, si può anche non essere d'accordo con le opinioni che esprimiamo.
Tutti i nostri rating sono elaborati a maggioranza. Nel comitato di rating sono oggetto di esame tutte le informazioni ritenute rilevanti: aspetti positivi, aspetti negativi, criticità, debolezze, pregi, punti di forza.
Per quanto riguarda, in particolare, l'Italia, oltre al rating, nei rapporti sono indicati il processo valutativo e gli elementi di cui abbiamo tenuto conto. Di solito, nessuno fa caso, a prima vista, ai


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punti di forza, ma se si prende il tempo per leggere più attentamente i nostri documenti, si avvede che anch'essi sono considerati ed evidenziati.
Certo, sono maggiori, in questo momento, le criticità, ma non ci sono soltanto quelle: il rapporto contiene anche l'indicazione degli elementi che possono elevare il rating. È questa la trasparenza alla quale facevo riferimento.
Quanto alla seconda domanda, onorevole Ravetto, io sono un analista. Conosco il mio mestiere e, come a ogni persona, anche a me piacerebbe essere il più bravo al mondo. Ribadisco che, per quanto mi riguarda, più voci ci sono, meglio è; più trasparenza c'è, meglio è. Se c'è l'intenzione di istituire un'agenzia di rating europea, ben venga, purché tutti siamo tenuti a rispettare le medesime regole: come in tutti i campi, la sana competizione aiuta, mentre quella cattiva danneggia.

PRESIDENTE. Spero che non ci si rivolga a Dagong.

MARCO CAUSI. Come entrano nei vostri processi le valutazioni di tipo politico?
Ha destato molta impressione, in Italia e in tutto il mondo, il downgrade degli Stati Uniti. Ebbene, leggendo i rapporti divulgati dalle agenzie di rating, ho potuto constatare come alle analisi di tipo economico-finanziario si affiancassero, in tali documenti, valutazioni relative alla situazione politico-istituzionale di quel Paese, con riferimento alle decisioni circa il livello massimo del debito pubblico.
Se oggetto di valutazione sono i debiti sovrani, sembra inevitabile che le vostre analisi vadano al di là dei profili finanziari.
Poco fa, dottor Cataldo, lei ha riferito di essere un analista. Le metodologie sottese alle vostre analisi finanziarie, piuttosto consolidate, sono note. State migliorando? Avete l'intenzione di migliorare? E a quale tipo di benchmark fate riferimento per migliorare le vostre valutazioni politiche, visto che siete inevitabilmente portati a effettuare anche quelle?

ALEX CATALDO, Direttore generale di Moody's Italia Srl. Sottolineo che noi, dovendo esprimere esclusivamente opinioni sul rischio di credito, ci interessiamo di tutto ciò che riguarda la promessa incorporata in un'obbligazione finanziaria, determinando la probabilità, in termini relativi, di un mancato pagamento (ad esempio, della cedola). Se l'aspetto decisionale, concernente il fatto di pagare un interesse o un capitale nel tempo, impatta con quello finanziario, allora anche tale elemento deve essere incluso nella nostra analisi.
Sono tantissime le iniziative assunte ogni giorno sul piano politico che non hanno attinenza con l'opinione sul rischio di credito: noi non le commentiamo e non le commenteremo mai - non importa se siamo d'accordo o no - se non viene in considerazione il rischio di credito. Non lo facciamo e non dobbiamo farlo, perché non è questo il nostro ruolo. Io non sono esperto degli aspetti politici: siete voi gli esperti in materia.
A proposito degli aspetti che possono influire sulla valutazione di un debito sovrano, vengono in rilievo, innanzitutto, la fiducia e la volontà di pagare. Accanto alla possibilità e alla capacità di pagare un debito, bisogna tenere conto anche della volontà di pagarlo: quest'ultimo aspetto ha a che fare con l'attività legislativa, con il potere decisionale. Si tratta, ovviamente, di una frazione minima di tutta l'attività svolta a livello politico. Tuttavia, occorre tenere conto, talvolta, anche di elementi che attengono alla struttura del sistema: non può non avere importanza, ad esempio, se il pagamento di una cedola debba avvenire in maniera pressoché automatica ovvero richieda il perfezionamento di un processo decisionale. Nel senso precisato, è assolutamente vero, quindi, che sono oggetto di valutazione, da parte nostra, anche determinati fatti di rilievo politico.
Quanto al miglioramento delle nostre valutazioni, impariamo dal mercato e dagli eventi, monitoriamo l'adeguatezza e la completezza di modelli, metodologie e procedure impiegati nei servizi di rating e procediamo a revisioni periodiche. Gli


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aspetti politici sono importantissimi, ma rappresentano soltanto una piccola parte degli elementi rilevanti nell'analisi di un'agenzia di rating. In genere, quando assegniamo o aggiorniamo un rating, pubblichiamo un comunicato stampa, ma i nostri rapporti sono molto più dettagliati: consiglio di leggerli. Quando un investitore o un emittente mi chiama, lo invito sempre a leggere i nostri rapporti, anche con spirito critico. Si può essere d'accordo o no sui giudizi che esprimiamo, si può pensare, sul momento, che siamo stati troppo aggressivi ovvero troppo conservativi, ma per farsi un'idea precisa sul nostro operato è importante leggere i rapporti.

MARCO CAUSI. La sua risposta, dottor Cataldo, conferma che state sottovalutando - e ciò appare grave - la questione da me segnalata.
Una frase del tipo «la maggioranza parlamentare è incerta», che compare proprio in un vostro rapporto (con riferimento agli Stati Uniti, non all'Italia) esprime una valutazione politica, con riferimento, come lei giustamente ha precisato, alle procedure che presidiano i meccanismi decisionali pubblici nei sistemi costituzionali.
Se si tratta di valutazioni che attengono alla public policy, la trasparenza dei modelli utilizzati per elaborarle mi sembra non meno importante rispetto a quella dei modelli di valutazione ordinari.
Come lei ben sa, l'argomento è valorizzato da chi ritiene che il vostro lavoro dovrebbe essere svolto da agenzie non private, ma pubbliche.

ALEX CATALDO, Direttore generale di Moody's Italia Srl. Spero di rispondere in maniera adeguata.
Nel procedere alla valutazione dell'affidabilità creditizia di ogni singolo emittente o prodotto, ci atteniamo a una metodologia pertinente, che è resa pubblica. Quando viene in considerazione un debito sovrano, tra i molteplici elementi di cui bisogna tenere conto c'è anche l'aspetto decisionale, quando incide sul rischio di credito.
Non voglio dare l'impressione di sottovalutare il tema. Relativamente ad alcuni Paesi, l'aspetto decisionale può assumere, in un dato momento, un'importanza predominante, perché, in effetti, influisce in maniera considerevole sul rischio. Tuttavia, occorre rammentare che esprimiamo pur sempre un giudizio probabilistico, soppesando tutte le informazioni rilevanti raccolte dalle diverse fonti. In altre parole, anche quando figura tra le ragioni che ci hanno indotto a formulare un negative outlook o ad operare un downgrade, la valutazione dell'aspetto decisionale, per quanto importante, non è - ci tengo a sottolinearlo - l'elemento che fa cambiare il rating da A a Z.

PRESIDENTE. Onorevole Causi, anche alla luce della Raccomandazione dell'EBA dell'8 dicembre, non so quanto un'agenzia pubblica, che potrebbe comunque avvantaggiare alcuni Paesi, a scapito di altri, sia preferibile rispetto a un soggetto privato indipendente, che agisca secondo regole prestabilite. L'esperienza che stiamo vivendo è molto significativa.

MARCO CAUSI. Mi permetta di obiettare, signor presidente, che l'EBA stabilisce le regole, mentre le agenzie valutano anche in base a quelle regole.

PRESIDENTE. Bisogna vedere con quali criteri sono stabilite le regole.
Ringraziamo i rappresentanti di Moody's.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13,25.

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