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Commissioni Riunite (Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e V Camera)
AUDIZIONE
10.
INDAGINE CONOSCITIVA
1.
Lunedì 28 marzo 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Causi Marco, Presidente ... 3

Audizione di rappresentanti della Svimez, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di risorse aggiuntive e interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali (Atto n. 328) (ai sensi dell'articolo 5 del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e dell'articolo 144 del Regolamento della Camera dei deputati):

Causi Marco, Presidente ... 3 6 8
La Loggia Enrico, Presidente ... 12 13
Baldassarri Mario (Misto-FLI) ... 10 12
Giannola Adriano, Presidente della Svimez ... 3 7 10 12
Nannicini Rolando (PD) ... 7
Pica Federico, Consigliere della Svimez ... 9

Audizione di rappresentanti della Banca d'Italia, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di risorse aggiuntive e interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali (Atto n. 328) (ai sensi dell'articolo 5 del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e dell'articolo 144 del Regolamento della Camera dei deputati):

La Loggia Enrico, Presidente ... 13 17 19 20
Baldassarri Mario (Misto-FLI) ... 17
D'Ubaldo Lucio Alessio (PD) ... 17
Franco Daniele, Capo del Servizio studi di struttura economica e finanziaria della Banca d'Italia ... 13 19
Nannicini Rolando (PD) ... 18

ALLEGATI:
Allegato 1: Documentazione consegnata dai rappresentanti della Svimez ... 22
Allegato 2: Documentazione consegnata dai rappresentanti della Banca d'Italia ... 43

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Seduta del 28/3/2011


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...
Audizione di rappresentanti della Banca d'Italia, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di risorse aggiuntive e interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali (Atto n. 328).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 5 del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e dell'articolo 144 del Regolamento della Camera dei deputati, l'audizione di rappresentanti della Banca d'Italia, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di risorse aggiuntive e interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali (Atto n. 328).
Do la parola al dottor Daniele Franco, capo del Servizio studi di struttura economica e finanziaria, che è accompagnato dal dottor Luigi Cannari, dal dottor Guido De Blasio e dalla dottoressa Giovanna Messina, ringraziandolo molto per avere accolto il nostro invito.

DANIELE FRANCO, Capo del Servizio studi di struttura economica e finanziaria della Banca d'Italia. Vi ringrazio per l'invito. Abbiamo preparato un documento, che non leggerò interamente, ma mi soffermerò su alcuni aspetti. Al testo sono allegate tre appendici sulle infrastrutture, sugli incentivi alle imprese e sulla qualità dei servizi pubblici che citerò nel corso della mia introduzione e che riprendono lavori effettuati in Banca d'Italia su questi temi.
Il decreto che viene esaminato oggi riguarda le risorse finanziarie aggiuntive e quelle ordinarie per l'attuazione di interventi speciali al fine di promuovere lo sviluppo economico e la coesione sociale e territoriale. Si tratta di un decreto particolarmente rilevante nel contesto di bassa crescita del Mezzogiorno.
Come sapete, la Banca d'Italia si è occupata negli ultimi anni a lungo del Mezzogiorno. Dalla metà degli anni Settanta il rapporto tra il prodotto pro capite del Mezzogiorno e quello del resto del Paese è assolutamente fermo sotto il 60 per cento. I risultati delle politiche attuate per lo sviluppo del Mezzogiorno nell'ultimo decennio sono state di gran lunga inferiori agli obiettivi. Questo è, ovviamente, una materia considerata anche dal Governo nel Piano per il Sud. Il suddetto decreto è uno dei tasselli del federalismo fiscale, nell'ambito del quale si prevede una riduzione del ruolo dei trasferimenti statali, che verranno utilizzati soltanto per specifiche finalità.
A questo riguardo il decreto si occupa del finanziamento delle politiche di coesione e di riequilibrio territoriale. Queste politiche si concretizzeranno in parte nella realizzazione di infrastrutture. La legge n. 42 indica la realizzazione delle infrastrutture come uno degli ambiti prioritari


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per i trasferimenti a destinazione specifica e la legge delega stabilisce che il Governo provveda a individuare gli interventi necessari a colmare i divari territoriali. Alla fine di novembre il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto per l'avvio della fase propedeutica della perequazione infrastrutturale, consistente nella rilevazione del relativo fabbisogno.
Questa rilevazione ha, a nostro avviso, una grande importanza. Bisogna, infatti, essere consapevoli che la rilevazione dei fabbisogni infrastrutturali solleva vari problemi sia metodologici sia empirici. L'appendice 1 è in parte dedicata a questo tema. Non basta valutare l'offerta fisica di infrastrutture, occorre anche tener conto della domanda effettiva, potenziale, come bisogna tener conto dei fattori che condizionano l'utilizzo delle infrastrutture esistenti.
Altro aspetto di cui tenere conto è che le infrastrutture sono un sistema, non possono essere vista ciascuna separatamente dalle altre. Uno dei problemi del nostro Paese è che alcune infrastrutture, come i porti, non sono ben collegate ad altre.
Il decreto influisce anche sulla redistribuzione di risorse tra aree territoriali. In particolare, influirà sulla disponibilità di risorse per effettuare le spese in conto capitale nelle aree meno sviluppate del Paese. Sotto questo aspetto saranno importanti - ci tornerò più volte - le modalità applicative dei criteri e dei princìpi enunciati dal decreto.
La sezione 2 della nostra nota si concentra su alcune statistiche relative alla spesa in conto capitale. Nel triennio 2005-2007 le amministrazioni pubbliche hanno speso 62 miliardi di euro l'anno. Il 37 per cento di questa spesa è stato concentrato nel Mezzogiorno. La spesa in conto capitale in euro pro capite in questi anni è stata di circa 1.100 euro l'anno per cittadino nel Mezzogiorno contro circa i 1.000 euro nel centro-nord. Troverete riportati questi dati anche nelle tavole e nei grafici in appendice. I divari sono enormi, si va dai 700 euro annui della Puglia ai 1.700 euro della Sardegna.
Dal 2002 si riscontra una tendenza alla riduzione della spesa in conto capitale nelle regioni meridionali, mentre vi è una sostanziale stabilità nel centro-nord, al punto che nel 2007 in euro pro capite la spesa è sostanzialmente uguale nel Mezzogiorno e nel centro-nord.
Sotto il profilo del finanziamento, la spesa in conto capitale trova copertura in risorse ordinarie o in risorse aggiuntive. Qui è rilevante il fatto che le due componenti sono molto diverse nel Paese. Nel nord, infatti, più del 90 per cento della spesa è finanziato con risorse ordinarie, il 7 per cento con risorse aggiuntive, nel Mezzogiorno le due percentuali ammontano circa al 50 e 50 per cento.
Secondo i dati del Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica la quota delle risorse ordinarie assegnate al Mezzogiorno è andata scendendo fino ad arrivare nel 2006, ultimo anno disponibile, al 24 per cento.
Un ulteriore aspetto a differenziare il Mezzogiorno del centro-nord è il rapporto tra investimenti pubblici e trasferimenti in conto capitale. Nel centro-nord, infatti, due terzi della spesa è rivolta a investimenti diretti, un terzo a trasferimenti in conto capitale; nel Mezzogiorno, invece, sono rispettivamente destinati a investimenti e trasferimenti il 60 e il 40 per cento.
Per quanto riguarda le infrastrutture, nel Mezzogiorno la spesa è stata a lungo superiore sia in termini di incidenza sul PIL sia in termini di euro pro capite a quella del centro-nord. Il dato della maggiore spesa nel Mezzogiorno non sembra trovare riscontro in una dotazione coerente di infrastrutture che, per vari aspetti, sembra in ritardo. Ciò può dipendere da vari problemi, uno dei quali può essere la minore efficienza nella gestione della spesa nelle regioni meridionali.
In fondo a pagina 10 del documento è poi brevemente affrontato l'aspetto della spesa effettuata all'esterno delle pubbliche amministrazioni per le infrastrutture, che attualmente in Italia, come in molti altri Paesi, è effettuata da imprese di proprietà pubblica o privata. Ora, le ex imprese


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pubbliche nazionale dell'energia e dei trasporti hanno ridotto negli ultimi decenni la quota degli investimenti effettuati nel Mezzogiorno.
Abbiamo, inoltre, effettuato vari studi sull'efficacia dei trasferimenti in conto capitale, in particolare degli incentivi alle imprese, e tutti indicano che in Italia, e nel Mezzogiorno in particolare, l'efficacia di tali incentivi è stata modesta. Si sono di fatto incentivate le imprese a fare ciò che probabilmente avrebbero fatto comunque.
Nella sezione 3 delineiamo rapidamente i princìpi e i criteri per le politiche di riequilibrio così come sono trattate nel decreto. In linea generale, si tratta di criteri assolutamente condivisibili. Si parla, innanzitutto, della collaborazione tra livelli di Governo, per la quale potrebbe essere utile chiarire con maggiore precisione il ruolo delle regioni e delle autonomie locali - un assetto chiaro delle responsabilità può facilitare il funzionamento delle politiche; della programmazione e del collegamento con le priorità europee, che anche a noi sembra assolutamente opportuno, dove si richiede un più stretto raccordo tra le politiche di coesione e la strategia di Europa 2020.
Vorremmo sottolineare che, nel mutuare le priorità indicate a livello europeo, è importante nel caso italiano tener conto che la qualità dei servizi pubblici in Italia, anche di quelli essenziali, è molto diverso nell'ambito del Paese. Noi dedichiamo a questo aspetto la terza appendice a questa nota, dove si vede - sono citati lavori effettuati da noi e da altri - che la qualità dei servizi (sanità, istruzione, giustizia civile, servizi locali) è molto differenziata a livello del Paese. Nel Mezzogiorno questi sono significativamente peggiori in media rispetto a quelli del centro-nord.
Questo non dipende in linea generale da una carenza di spesa pubblica nel Mezzogiorno, che in euro pro capite è sostanzialmente in linea con quella del centro-nord. Il problema risiede soprattutto nell'efficienza dell'utilizzo delle risorse. Spendere beni i fondi per il riequilibrio economico-sociale è assolutamente importante nella finalità di questo decreto, ma negli anni recenti queste risorse della spesa pubblica per investimenti in conto capitale addizionali nel Mezzogiorno era il 5 per cento della spesa pubblica complessiva del Mezzogiorno. Ora, è fondamentale far funzionare bene questo 5 per cento, ma è essenziale che il restante 95 per cento della spesa pubblica nel Mezzogiorno sia gestito altrettanto bene. In questo è importante il disegno complessivo del federalismo fiscale in termini di costi standard, di responsabilizzazione e così via.
Un altro punto indicato nel decreto è quello dell'addizionalità delle risorse, assolutamente condivisibile. Noi vorremmo sì distinguere tra spese ordinarie e spese aggiuntive, ma quello che conta alla fine è il complesso della spesa.
Inoltre, le dotazioni di infrastrutture non devono costituire un obiettivo di per sé, non dobbiamo dotare ogni area di un certo numero chilometri di ferrovie e strade per chilometro quadrato per abitante. Quello che conta è ottenere innanzitutto dei buoni servizi pubblici, guardando alla funzionalità delle infrastrutture, ovvero alla domanda effettiva. Nel caso in cui l'infrastruttura esista, come scuole, ospedali, tribunale, strade e così via, queste debbono essere in grado di offrire in tutto il Paese dei buoni servizi.
Nella figura 2 sono riportati i dati del Ministero della pubblica istruzione sulle dotazioni infrastrutturali scolastiche. Secondo il Ministero le dotazioni delle scuole meridionali sono sistematicamente peggiori in media di quelle del centro-nord. Questa potrebbe essere una delle aree di intervento molto concreta. Sappiamo che nel sistema della sanità vi sono problemi analoghi, gli ospedali del Meridione sono in genere più piccoli, usano meno economie di scala, la qualità dei servizi è peggiore. Questa è un'altra area in cui un intervento sulle infrastrutture potrebbe portare a un miglioramento della qualità dei servizi, però, come dicevo, resta importante guardare alla domanda di infrastrutture e non soltanto all'offerta e vedere se le carenze nelle infrastrutture dipendono da ostacoli che ne impediscono il pieno sfruttamento.


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Il decreto insiste molto opportunamente sulla necessità di un utilizzo più ampio dell'informazione di natura statistica per la progettazione degli interventi e il monitoraggio degli andamenti. Si prevede il ricorso sistematico a metodologie rigorose per la valutazione dei risultati conseguiti. A noi questa sembra un'evoluzione assolutamente auspicabile. Soprattutto nel comparto delle infrastrutture è cruciale usare tecniche di analisi economica per la valutazione dei costi e dei benefici economici e sociali dei progetti. Nell'appendice sono citati alcuni studi in questa direzione.
È opportuno regolarsi allo stesso modo per la parte di spese in conto capitale per gli incentivi agli investimenti. Come dicevo, vi è un'appendice che cita alcuni studi effettuati su questa materia. Il punto da tenere a mente qui è che per poter valutare l'efficacia degli incentivi agli investimenti occorre fin dall'inizio raccogliere informazioni che consentano di valutare se funzionano o meno, quindi occorre disegnare gli schemi di incentivazioni in modo da poterne valutare l'efficacia. È, inoltre, importante che la valutazione sia effettuata da soggetti indipendenti.
Il decreto definisce, inoltre, il criterio della condizionalità, che giudichiamo opportuno in quanto può rafforzare l'efficacia dell'azione di politica economica. Occorre, però, che gli indicatori siano misurabili e sotto il controllo delle autorità soggette alla condizionalità e che si effettui una verifica del loro soddisfacimento. In questo caso, credo possa essere utile l'esperienza degli obiettivi di servizio. L'anno scorso il Ministero dello sviluppo economico ha prodotto una prima valutazione dell'esperienza mettendo in luce vari aspetti positivi, ma anche qualche considerazione critica.
Alla sezione 4 trattiamo altri aspetti del decreto, innanzitutto l'obiettivo enunciato dal Governo di accelerare gli interventi. Anche in questo caso, riteniamo sia assolutamente opportuno muovere in questa direzione. In fondo a pagina 16 del documento sono citati alcuni dati che indicano la lentezza del nostro Paese nell'utilizzare fondi comunitari. Come potete vedere, il nostro Paese è più lento degli altri maggiori Paesi europei.
Il decreto indica, inoltre, di concentrarsi su pochi grandi progetti. Anche in questo caso diamo un giudizio di opportunità. In passato la frammentarietà degli interventi ha ridotto l'efficacia delle politiche, quindi è bene ridurre il numero delle finalità anche in linea con indicazioni recenti del dibattito europeo. Credo che anche il Piano per il Sud muova in questa direzione.
Quanto alle risorse finanziarie, l'indicazione è di definirle per l'intero periodo di programmazione. Giudichiamo anche questo aspetto positivo. Una maggiore certezza sulle risorse, infatti, può facilitare e accrescere l'efficacia delle politiche. In questo caso, forse, l'esperienza del passato può suggerire che conviene avere molta prudenza nel fissare le dotazioni, ossia evitare di fissare grandi dotazioni finanziarie potenziali in modo da evitare di avviare troppi progetti, ma nello stesso tempo far sì che, una volta che le dotazioni siano fissate, restino tali.
Riteniamo che anche il contratto istituzionale di sviluppo per individuare responsabilità, tempi e modalità di attuazione per gli interventi possa rappresentare a sua volta un aspetto positivo. Ovviamente, dipenderà dalla sua attuazione.
In conclusione, riteniamo che il decreto presenti vari aspetti positivi: la concentrazione degli interventi, il rafforzamento dell'azione di coordinamento tra i vari livelli di Governo. Non va, però, dimenticato, come dicevo, che il problema principale per il nostro Mezzogiorno è la qualità dei servizi pubblici che riflette essenzialmente la gestione della spesa corrente. Questa deve essere, quindi, a nostro avviso, la priorità nell'affrontare il problema del Mezzogiorno senza nulla togliere, ovviamente, all'esigenza di migliorare la gestione delle politiche dal lato della spesa in conto capitale. Bisogna, inoltre, recuperare efficienza.
Lo stock di capitale nelle regioni meridionali sembra essere relativamente inferiore e non coerente con l'ammontare


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delle risorse spese in passato, per cui ogni miglioramento proveniente da questo decreto è assolutamente utile. La condizionalità, il lavoro ex ante, il monitoraggio in itinere, le valutazioni ex post sono, dunque, tutti elementi che riteniamo positivi, ma è importante il modo in cui il decreto verrà attuato in futuro.

PRESIDENTE. Ringraziamo il dottor Franco non solo per queste sue considerazioni, ma anche per il documento che ci lasciate. Mi sembra molto ricco di valutazioni e punti da approfondire. Lasciatemi dire che parlo da meridionalista convinto, ma non meridionalista «piagnone». Spesso questa distinzione, purtroppo, va fatta nel nostro Paese, conosco bene le cattive abitudini dei miei colleghi del Mezzogiorno. Mi riconosco, invece, in molte di queste valutazioni e questo è per me motivo di ulteriore soddisfazione. È quasi strano per me sentire dire da altri e così autorevolmente cose delle quali sono sostanzialmente convinto da parecchi anni, per cui vi ringrazio molto per questa relazione.
Do la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

LUCIO ALESSIO D'UBALDO. Abbiamo una rilevazione che ci porta a registrare una sostanziale eguaglianza nella spesa pro capite sia al nord sia al sud e, al tempo stesso, una registrazione della scarsa qualità media dei servizi nel centro-sud. Ciò non può essere anche addebitato al fatto che in realtà la spesa fotografata, che consente di fare un'affermazione di larga massima, nasconda tuttavia una distorsione? Noi sappiamo empiricamente che, anche se si dà 100 al nord e 100 al sud, per motivi strutturali la distribuzione nell'ambito della pubblica amministrazione è molto diversa perché nel centro-sud si indirizza verso una funzione di supplenza delle istituzioni a fini occupazionali.
Secondo uno studio prodotto tre o quattro mesi fa dall'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AgeNaS), nel confronto tra un ospedale di Brescia e un ospedale di non ricordo quale città del sud non si evidenziava tanto il problema astratto delle quote di finanziamento, ma che nell'ospedale meridionale c'era molto più personale, molto più di quello necessario secondo lo standard. Vorrei sapere se questo trova conferma nei vostri studi e se il dottor Franco ha da fare considerazioni a questo proposito.

MARIO BALDASSARRI. Ringrazio il dottor Franco per l'esposizione e, soprattutto, per il testo per noi molto utile.
Nei grafici finali alcuni distinguono il Mezzogiorno dal centro-nord, ma ce ne sono un paio che confrontano il Mezzogiorno con la media italiana, che comprende il Mezzogiorno. Gradiremmo che forniste questi ultimi alla Commissione non in rapporto con la media italiana, il cui accorpamento ovviamente attenua la differenza, ma anche disaggregati territorialmente.
La mia domanda è un po' in linea con quella del collega D'Ubaldo. I dati pro capite sono abbastanza allineati: è come se, a parità di euro, al nord fossero più soddisfatti che al sud, il che vuol dire che con quegli euro al nord si riesce a produrre un servizio migliore. Questo è il dato politico che può emergere. Andando nel dettaglio potrebbe risultare che in una struttura c'è una spesa maggiore per il personale, in un'altra per acquisti di beni e servizi e quant'altro. Ora, uno dei dati chiave, soprattutto nell'ultimo decreto sul federalismo regionale, è quello del passaggio dai costi storici ai costi standard, con il quale si prendono le medie dei costi storici 2010 e si trasformano in costi standard.
La figura n. 8 del vostro documento dovrebbe indurci a riflettere bene. Premetto che mi pare molto opportuna la distinzione tra qualità dell'assistenza medica e infermieristica e qualità del vitto e dell'igiene perché, evidentemente, conta la prima, preferisco mangiare meno bene ed essere curato meglio piuttosto che mangiare benissimo in una clinica privata ma rischiare di più sul fronte dell'assistenza medica.
La qualità percepita dell'assistenza ospedaliera, che è una quota rilevante della spesa sanitaria, che è a sua volta una


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quota rilevante della spesa delle regioni, evidenzia dati abbastanza preoccupanti: nelle regioni dove i cittadini esprimono il massimo possibile di consenso si arriva a malapena al 50 per cento in entrambi i casi. Quindi, anche nelle regioni dove apparirebbe una maggiore qualità del servizio, l'opinione dei cittadini indica che sono soddisfatti a metà, per scendere fino a un numero di nove su dieci che non sono soddisfatti per niente. È associata a questo dato, peraltro, un'altra assurdità che conoscevamo, ma che qui con colori diversi risalta in modo evidente, ossia l'incidenza dei parti con taglio cesareo.
Questo indica chiaramente che nel comparto della sanità c'è bisogno di una ristrutturazione industriale forse da affidare al dottor Bondi della Parmalat. Esiste, infatti, indubbiamente un problema di perequazione di risorse disponibili, ma quello che emerge in ogni indagine è che, al di là della perequazione delle risorse, esiste un problema di perequazione dei comportamenti. L'efficienza risiede certamente nel cercare di ridistribuire sul territorio risorse più adeguate, quindi le aree ricche in qualche misura sono chiamate a sostenere le aree povere, ma la chiave di volta è più nell'efficienza produttiva, chiamiamola così eufemisticamente.
Alla luce di quanto emerso nei decreti di attuazione del federalismo, pensate che tra dieci anni i due grafici alle pagine 8 e 9 potranno apparire modificati o ci ritroveremo con gli stessi colori e magari con una maggiore densità di colore delle stesse aree?
È evidente che usare una regione benchmark cambia radicalmente il giudizio. Un conto sono, infatti, i costi storici di una regione che magari avrà costi alti, ma dove i cittadini almeno sono più soddisfatti dei servizi, altra questione è una regione dove i costi sono ancora più alti in termini pro capite e i cittadini sono in modo inversamente proporzionale soddisfatti. Nel prendere quel dato benchmark come faro guida per i prossimi vent'anni dell'attuazione del federalismo, francamente, c'è una contraddizione in termini.

ROLANDO NANNICINI. Sono molto stimolato dalla vostra relazione e anche dagli interventi del senatore Baldassarri su benchmark e costi. Esiste un tema di fondo che chi studia da un punto di vista attuariale: il consumo per fasce di età è differenziato. Fornisco un esempio secco: la Liguria ogni 100 persone sotto i 15 ha 262 persone sopra i 65 anni; la Campania ne ha 98, cioè il Mezzogiorno è più giovane del nord d'Italia.
A parità di risorse, il consumo dovrebbe essere più alto secondo le fasce di età - basta pensare alla «mancata riforma Obama», l'Italia non apprezza mai ciò che ha, come una riforma universale con dati di trent'anni che possiamo studiare quanto vogliamo - e invece dove ci saremmo aspettati maggior spesa per la fascia di età troviamo addirittura minor spesa e, talvolta, maggiore gradimento.
È accaduto che una parte del Paese non ha creduto al progetto di riforma, come non crede al processo regionale federalista. Questo è il tema di fondo, il tema culturale su cui si deve lavorare. Non bisogna rincorrere, come sempre, la politica italiana della divisione e dei voti, ma lavorare in questo senso.
Anche voi avete presentato in precedenza dati sul fenomeno di fondo del gap infrastrutturale e sul tema servizi. Lombardia, Veneto, Toscana ed Emilia-Romagna hanno concorso dalla finanziaria del 1988 ai famosi 30.000 miliardi di lire per la dotazione infrastrutturale dei distretti, delle RSA (residenze sanitarie assistenziali), degli ospedali unificati. È chiaro che se oggi il Mezzogiorno crede a questo processo di riforma deve godere di una maggiore dotazione infrastrutturale. Esiste, infatti, un gap infrastrutturale non di strade, ma rispetto alla dimensione del servizio, alla sua pluralità. Ad esempio, se manca una RSA, è che aumenta la spesa ospedaliera perché l'anziano va in ospedale in quanto la famiglia non è in grado di aiutarlo. La questione più generale è di non essere neutrali rispetto a questo, bisogna dare giudizi e avviare un'iniziativa


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politica, non guardare sempre al passato. Possiamo costruire il futuro attraverso piani di intervento.
Un esempio è rappresentato dagli asili nido. La Strategia di Lisbona ci indica un obiettivo del 30 per cento da zero a tre anni. Analizzando i dati, scopro che le spese del personale dei comuni che hanno dotazione di asili nido è più bassa rispetto ad altri comuni. È necessario, allora, definire piani di dotazione infrastrutturali legati alla spesa corrente, non più separando il tema della riconversione della spesa corrente rispetto al godimento, alle necessità del cittadino. Se esistono, infatti, comuni con la spesa pro capite più alta di tutta Italia e hanno servizi di asili nido a fronte del 2 per cento di bambini da zero a tre anni, qualcosa non funziona nel sistema: forse le spese per il personale saranno eccessive, non voglio entrare nel dettaglio; tuttavia vanno sostenuti anche questi comuni in ordine alla dotazione infrastrutturale di asili nido.
Dobbiamo pertanto considerare che se ci sono carenze infrastrutturali, è necessario correggere le dotazioni in periodi medi. Se analizziamo i dati, le risorse destinate alle infrastrutture sanitarie sono stati utilizzati tutti dalle regioni centro-nord; sorge pertanto una domanda: non c'erano progetti, programmazioni nel Mezzogiorno? Esisterà qualche policlinico, qualche clinica universitaria a Palermo, Napoli, Bari. Bisogna aiutare il Mezzogiorno, smettendo di limitarci ad analizzare i dati, a confrontare chi sta peggio e chi sta meglio, e a discutere in termini politici e di voti, altrimenti non risolveremo questo problema nazionale, che invece è centrale.
Infine, come può renderci soddisfatti una governance del territorio come questa? Perché, quando si parla di infrastrutture, l'Umbria viene considerata separatamente dalla Toscana e dalle Marche? Non voglio parlare del Mezzogiorno d'Italia. In questo decreto è necessario trovare delle forme di incentivazione previste dall'articolo 117 della Costituzione, nel senso di riunire le regioni per macroarea. Analogamente ai comuni per i quali sono incentivate certe forme di aggregazione, è bene che anche la Basilicata che sia maggiormente raccordata con la Puglia, o che la Calabria si confronti con la Campania in termini generali su alcuni piani infrastrutturali, ad esempio nel settore dei servizi, dell'università.

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Franco per la replica.

DANIELE FRANCO, Capo del Servizio studi di struttura economica e finanziaria della Banca d'Italia. Innanzitutto, senatore D'Ubaldo, il punto è che le strutture pubbliche in alcune parti d'Italia sono spesso utilizzate per motivi di supplenza occupazionale. Questo lo sappiamo. Il sistema ospedaliero e della sanità è uno dei punti in cui questo accade più fortemente ed è questo, per esempio, che rallenta la ristrutturazione in alcune regioni meridionali del sistema ospedaliero, ristrutturazioni che nel centro-nord sono state realizzate con degli accorpamenti.
Non ve le ho mostrate, ma abbiamo alcune tavole sulle dimensioni degli ospedali dove emerge un dualismo molto spiccato. In linea di massima il Meridione ha ospedali molto più piccoli, probabilmente troppo piccoli, e questo ha effetti sui costi di produzione dei servizi, ma anche, ovviamente, sulla loro qualità. Facile è riconoscerlo, ma come si possa realizzare un programma di ristrutturazione è veramente un'operazione che richiede, da un punto di vista sia politico sia tecnico, molto impegno. Questo è probabilmente il problema.
Senatore Baldassarri, provvederò a fornire quanto prima i grafici. Per la sanità, il grafico fa riferimento ai cittadini molto soddisfatti, ma ce ne sono anche di solo soddisfatti. Alla domanda su cosa succederà tra dieci anni per noi è assolutamente impossibile rispondere. Credo che il decentramento, se bene utilizzato, possa essere uno strumento per muovere verso servizi più efficaci e standard migliori. Qui è essenziale il modo in cui sono fissati i costi standard e, assieme a questi, come dice la legge 42, gli standard di servizio. Poi se un ente, regione, provincia o comune,


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in futuro non soddisfacesse gli standard di servizio, occorrerà intervenire.
Noi insistiamo spesso su questo, è importante definire quante risorse vanno a ciascuna provincia, regione o comune, ma è altrettanto importante il modo in cui ogni euro viene utilizzato e che incentivi ricevono gli utilizzatori, ma questa è una considerazione di buon senso.
Quello che cerchiamo di mostrare con questa analisi sui servizi pubblici in Italia è che, a parità di spesa, all'interno del Paese si ottengono servizi molto diversi. Vi è un dualismo ovvio nord-sud, ma la situazione in realtà è molto più complicata. Alcuni grafici sulle singole regioni mostrano che all'interno del nord, del centro e del sud, ma all'interno anche della stessa regione, gli standard di servizio sono molto diversi, quindi il dualismo nord-sud è importante, ma rappresenta solo una parte del problema.
I grafici 8 e 9 individuano alcuni aspetti sulla qualità dei servizi, ma anche qui a latere c'è la questione del costo di produzione dei servizi in queste regioni. Veniamo a quanto diceva l'onorevole Nannicini. L'effetto dell'età è molto importante. Nelle nostre valutazioni abbiamo cercato di usare i pesi del Ministero della salute e, per esempio, il modo in cui le risorse andrebbero distribuite cambia enormemente. Le posizioni della Liguria o della Campania, tra le altre, cambia enormemente, ne siamo assolutamente consapevoli. Il punto è che cercavamo di fare, non so se sono stato abbastanza chiaro, esattamente quello che lei diceva. Occorre un piano che renda la dotazione infrastrutturale coerente con buoni servizi correnti.
Quello che cerchiamo di far con scuole e ospedali è esattamente questo: non dobbiamo pensare alle infrastrutture come a chilometri di strada o di acquedotti, non perché non siano importanti, ma lo sforzo dovrebbe essere quello di garantire buoni servizi, istruzione, giustizia civile, sanità, servizi pubblici locali. Vorremo fare bene in tutto il Paese - anche nel centro-nord ci sono molte carenze - questo è il messaggio che volevamo dare oggi. È importante spendere bene in conto capitale, ma questa spesa andrebbe finalizzata alla qualità dei servizi correnti in tutto il Paese, ma in particolare nelle aree che sono un po' più indietro.
In un'altra audizione simile su Europa 2020 cercavamo l'anno scorso di dire che quegli obiettivi andrebbero interpretati in modo regionale in Italia. Non si tratta solo di far sì che l'Italia converga sugli standard di istruzione o occupazione, disoccupazione e povertà medi europei, ma che le varie regioni italiane una per una da qua al 2020 convergono in quella direzione. Ci servono, quindi, obiettivi regionali e anche prodotto interno lordo. Questo è per noi lo sforzo che andrebbe fatto molto concretamente.
In sintesi, il decreto ci sembra nelle linee guida assolutamente ragionevole, tutta da verificare è l'attuazione concreta.

PRESIDENTE. Ringrazio molto anche a nome di tutti i componenti della Commissione il dottor Franco, il dottor Cannari, il dottor De Blasio e la dottoressa Messina per aver accolto il nostro invito e per queste indicazioni e valutazioni.
Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dai rappresentanti della Banca d'Italia, integrata dai grafici richiesti dal senatore Baldassarri non appena verranno trasmessi (vedi allegato 2).
Naturalmente, il vostro documento sarà oggetto di approfondimento adeguato, soprattutto da parte dei relatori, della presidenza e del Governo in maniera tale da cercare di apportare un miglioramento quanto più possibile organico e incisivo del decreto che ci è stato presentato.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 19,05.


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