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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissioni Riunite
(Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, V Camera e 5a Senato)
INDAGINE CONOSCITIVA
2.
AUDIZIONE
3.

Martedì 19 ottobre 2010

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

La Loggia Enrico, Presidente ... 3

Audizione del presidente della Commissione paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (COPAFF), Luca Antonini nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di determinazione dei fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province (Atto n. 240) (ai sensi dell'articolo 144 del Regolamento della Camera dei deputati, dell'articolo 48 del Regolamento del Senato della Repubblica e dell'articolo 5 del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale):

La Loggia Enrico, Presidente ... 3 6 11 14 15
Antonini Luca, Presidente della COPAFF ... 3 11 12 13 14
Causi Marco (PD) ... 8 11 13
D'Ubaldo Lucio Alessio (PD) ... 11
Lanzillotta Linda (Misto-ApI) ... 7 12 13 14
Stradiotto Marco (PD) ... 10
Vitali Walter (PD) ... 6 13 14

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Seduta del 19/10/2010


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...
Audizione del presidente della Commissione paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (COPAFF), Luca Antonini, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di determinazione dei fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province (Atto n. 240).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 144 del Regolamento della Camera dei deputati, dell'articolo 48 del Regolamento del Senato della Repubblica e dell'articolo 5 del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, l'audizione del presidente della Commissione paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (COPAFF), Luca Antonini, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di determinazione dei fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province (Atto n. 240).
Do subito la parola al presidente Antonini per lo svolgimento della relazione.

LUCA ANTONINI, Presidente della COPAFF. Grazie e buona sera. Cercherò di essere sintetico, visti l'orario e altre concomitanze. Lascerò poi spazio alle domande.
Credo che tutto il lavoro svolto all'interno di questa Commissione abbia portato suggerimenti molto utili al fine della razionalizzazione del decreto. Le audizioni tenute, in particolare quella dei rappresentanti di SOSE, hanno permesso anche una maggiore comprensione del processo che si va a strutturare.
Ci troviamo di fronte a una scelta di base molto impegnativa. Nessun sistema federale prevede un meccanismo come quello dei fabbisogni standard in relazione a dodici funzioni fondamentali, sei di comuni e sei di province. La scelta è stata, quindi, molto impegnativa e prospetta al sistema italiano una soluzione estremamente moderna, nonché ispirata al principio di uguaglianza.
Abbiamo incontrato i rappresentanti del Fondo monetario internazionale, che, quando abbiamo esposto il procedimento per l'elaborazione dei fabbisogni standard, erano estremamente interessati, dal momento che stiamo intraprendendo un percorso nuovo.
Ricordo che, quando venni qui la prima volta in cui si pose a tema quest'argomento, ci fu un'obiezione dell'onorevole Lanzillotta. Raccontavo i fallimenti del passato, quando si è cercato di costruire con algoritmi o regressioni una standardizzazione della spesa dei comuni per


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superare il criterio della spesa storica e parlavo di una storia di fallimenti: hanno fallito, infatti, Giarda e molti altri che si sono cimentati su questo sistema. Ricordo la domanda che mi fu posta, piuttosto spiazzante: che cosa vi garantisce che questo non sarà l'ennesimo fallimento?
Per evitare l'ennesimo fallimento occorreva cambiare metodo. Abbiamo tenuto mesi di riunioni per cercare di capire se con una regressione, una formula, si potesse riuscire a rappresentare la realtà, andare a colpire gli sprechi e premiare chi forniva servizi efficienti. L'esito di mesi di lavoro e di riunioni durate ore e ore è stato che con una regressione era impossibile farlo, perché la formula matematica andava a ingabbiare la realtà in un modo o troppo stretto o troppo largo.
Inoltre, procedendo nei lavori e negli approfondimenti, ci siamo resi conto che si impatta anche con tutto il complesso sistema di governance nel settore.
Per esempio, in materia di assistenza sociale e nel settore sociale, il Veneto con le sue leggi regionali favorisce molto l'esternalizzazione a cooperative sociali. Di conseguenza per la funzione di amministrazione e controllo si spende di più, ma si spende di meno nel processo di garanzia del servizio di assistenza sociale, perché mediamente la cooperativa sociale fa risparmiare rispetto all'azione diretta da parte del potere pubblico.
A seconda della legislazione, quindi, vi sono geometrie variabili, tenuto conto che queste materie sono per la maggior parte di competenza esclusiva regionale. Creare una formula, col metodo della regressione, per quanto evoluta - avevamo provato a prendere in considerazione anche metodi più evoluti elaborati in ambito di scienza delle finanze - era impossibile. Inevitabilmente per il contesto italiano era difficilissimo creare un sistema che poi reggesse alla prova della realtà.
Nel caso del Veneto la funzione di amministrazione e controllo deve costare di più perché si controlla maggiormente e non si esercita direttamente, mentre la funzione di assistenza sociale costerà mediamente meno perché si ricorre all'esternalizzazione a cooperative sociali, che hanno un alto tasso di virtuosità.
Sarebbe stato più facile evidentemente lavorare con una regressione o con una formula. Una formula si calcola in una settimana. Il problema è quali variabili inserirvi: diventa praticamente impossibile sceglierle.
Di qui l'affidamento a SOSE, che rappresenta, con l'esperienza che ha maturato negli studi di settore, un meccanismo di garanzia. Abbiamo raccolto un suggerimento dell'onorevole Causi, perché è proprio da questa Commissione che è venuta, in primo luogo, l'idea di guardare ai fallimenti del passato. In secondo luogo arrivò il suggerimento di rivolgersi a SOSE, che dispone di una base informativa che, messa a disposizione e calibrata, potrebbe diventare interessante.
So che le obiezioni mosse al decreto sono che è troppo stretto e che c'è scritto poco. In realtà, quando sono stati introdotti gli studi di settore, si trattava di quattro righe. Gli studi di settore per 30 milioni di contribuenti italiani sono stati introdotti sulla base di quattro righe. Tenete conto che sull'evasione fiscale ci sono anche le sanzioni penali, quindi non era una partita da meno rispetto a quella dei fabbisogni standard.
Il meccanismo che si struttura trova nella metodologia le forme di garanzia, cioè la collaborazione con IFEL, alcuni paletti che vengono inseriti, l'esigenza di coinvolgere la Ragioneria generale, nonché un coinvolgimento di questa Commissione, perché le note metodologiche siano paragonabili anche di fronte al Parlamento.
Non ritorno sull'esposizione del dottor Brunello, mettendo in evidenza la condivisione nei processi di costruzione del sistema, nella predisposizione dei questionari, nell'individuazione dei modelli organizzativi, nella valutazione dei risultati, nell'analisi della fase di applicazione e nei processi di evoluzione del sistema. Gli attori della condivisione, che sono aumentati a seguito di suggerimenti, hanno compreso la Ragioneria generale e l'ISTAT nei tavoli tecnici di lavoro.


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Le fasi metodologiche che si sono configurate vanno a identificare diversi indicatori, come la territorialità e i gruppi omogenei di comuni.
Sono state effettuate poi la valutazione dei processi di erogazione dei servizi, distinguendo fra servizi istituzionali e servizi a domanda individuale, la valutazione delle modalità organizzative dei servizi, in forma diretta, tramite municipalizzate oppure in appalto ad aziende esterne, l'analisi comparativa con riferimento ai livelli di servizi, quindi costi, produzione ed erogazione, indicatori di performance, e la determinazione finale di un modello di fabbisogni standard correlati a livelli di servizio definiti in base a criteri di gradualità.
Per quanto riguarda i questionari, si parte da dati istituzionali e dalla contabilità, ma anche da questionari, che permettono di filtrare da un determinato punto di vista le contabilità, correggendo le eventuali distorsioni che possono emergere nel sistema.
Aggiungo ancora l'analisi periodica e l'attivazione di un processo virtuoso verso l'efficienza.
Da questo punto di vista mi sembra che il meccanismo che si va a strutturare sia l'unico che consenta di rispondere all'obiettivo ambizioso che ci si è posti con la legge n. 42. Si sarebbe potuto semplicemente indicare che la perequazione era data dalla capacità fiscale. Si sarebbe realizzato in tre giorni il meccanismo perequativo.
Un obiettivo tanto ambizioso implicava un metodo adeguato: non si poteva procedere, come nel passato, con la formula che poi determinava l'inapplicabilità, un'inapplicabilità, peraltro, giustificata.
Porto sempre un esempio: se un comune tiene aperta l'anagrafe il sabato, non è uno spreco, perché permette ai cittadini di non dover ritirare il certificato durante l'orario di lavoro. Se il comune usa il doppio del personale di un comune analogo per l'anagrafe, invece, è uno spreco. La formula non distingue.
Con un altro esempio, la domanda di asili nido è molto più forte al nord, perché c'è più occupazione femminile rispetto al sud. Se si va a standardizzare, si rischia di erogare risorse per una domanda che non esiste e si va a scombinare il sistema in modo inopportuno.
Il meccanismo dei fabbisogni standard permette, funzione per funzione, all'interno di un metodo condiviso e attraverso la collaborazione con ANCI, con la Ragioneria e con l'ISTAT, di mettere in piedi un procedimento che effettivamente può superare la sfida di questa standardizzazione, il che significa lotta agli sprechi e razionalizzazione del sistema.
Non vedo altre soluzioni praticabili rispetto all'obiettivo ambizioso che anche la nostra Costituzione stabilisce. Il rischio è, però, che, se l'obiettivo è ambizioso, esso rimanga inattuato, perché non ci sono metodi alternativi. Rimane, quindi, il criterio della spesa storica che, come abbiamo visto - è ormai sotto gli occhi di tutti - ha determinato risultati inaccettabili e inefficienti nel nostro sistema ed è un criterio nato negli anni della finanza allegra. Si tratta di due ingredienti estremamente inaccettabili oggi in un sistema che deve fare i conti con il contesto internazionale che conosciamo.
Per questo motivo sostengo che il coinvolgimento di SOSE rappresenta, mutuando un'esperienza utilizzata in altri ambiti estremamente sensibili, come quello della lotta all'evasione fiscale e dei redditi dei contribuenti, a mio avviso, un procedimento adeguato, che porta in termini estremamente innovativi anche il percorso del federalismo fiscale nel nostro Paese. Altri ordinamenti non prevedono questa soluzione; o si basano sulla spesa storica o si accontentano di meno. Noi abbiamo chiesto tanto, al limite dell'inapplicabilità con i sistemi tradizionali.
Credo che questa sia la sfida che, nella storia del nostro sistema di finanza pubblica, può probabilmente essere all'altezza della situazione. Francamente non vedo alternative.
Mi fermerei qui e lascerei spazio alle domande.


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PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

WALTER VITALI. Grazie, presidente. Vorrei porre una domanda, che cercherò di formulare nel modo più preciso possibile, in modo tale che il professor Antonini ci possa rispondere. Dico «ci possa» perché la domanda si riferisce al documento che il Gruppo del Partito Democratico ha consegnato in Commissione e che sicuramente il professore conosce.
Svolgo due premesse, però, anche in relazione a quello che ci ha appena riferito.
In primo luogo, per quanto ci riguarda siamo pienamente consapevoli dell'importanza, della necessità, dell'urgenza e dell'indilazionabilità del superamento del criterio della spesa storica, ma siamo estremamente allarmati per uno schema di decreto legislativo predisposto dal Governo che, a nostro modo di vedere, non ci consente di raggiungere questo obiettivo secondo ciò che stabilisce la legge n. 42.
Leggo a pagina 5 del fascicolo predisposto dal Servizio studi della Camera a commento di questo decreto legislativo. Credo che anche questo sia un documento a lei noto. Il testo recita: «Alla luce di tali criteri direttivi si osserva in via preliminare come il contenuto dispositivo dello schema in esame non rechi una puntuale determinazione dei fabbisogni standard, come previsto dal criterio di delega cui all'articolo 2, comma 2), lettera f), ma disponga norme volte a disciplinare il metodo e le procedure (direi più le procedure del metodo); non contenga alcuna indicazione in ordine agli obiettivi di servizio inerenti le funzioni fondamentali degli enti locali, né in relazione ai livelli essenziali delle prestazioni eventualmente ad esse sottese; rinvii per la completa attuazione dei principi e dei criteri direttivi della determinazione del fabbisogno standard a provvedimenti di rango inferiore nel sistema delle fonti normative, quali il DPCM, senza alcuna determinazione del termine per la loro adozione, realizzando in tal modo una dequalificazione della fonte disposta a opera non della legge di delega, ma del medesimo decreto delegato. In linea generale si rileva, altresì, come, in base allo schema di decreto, non risulti esplicitato se i fabbisogni standard debbano essere calcolati per singolo bene o servizio prodotto, oppure per ciascuna funzione o, al limite, per il complesso della spesa primaria di ciascun comune e provincia.»
Per quanto ci riguarda, non ci si poteva esprimere meglio di così.
La mia domanda, professor Antonini, è molto secca e diretta. Come gruppo del Partito Democratico - non siamo stati solo noi, per la verità - abbiamo avanzato una proposta precisa. Il seminario che si è svolto questa mattina ha dato, secondo me, un contributo molto importante al tema e ha, peraltro, dimostrato come la discussione in sede tecnica sia molto più avanzata dello schema di decreto legislativo che qui ci è stato proposto.
Per quanto ci riguarda abbiamo molto apprezzato gli interventi del presidente La Loggia e del vicepresidente Leone, i quali hanno ripreso molte considerazioni scritte nel nostro documento, nonché nel documento del Servizio studi che ho appena letto.
Nel nostro documento si avanza la proposta «di stabilire con chiarezza la separazione fra due successive fasi di lavoro. La prima fase prevede una profonda riscrittura dello schema di decreto legislativo attualmente all'esame della Commissione parlamentare, con l'indicazione della metodologia di calcolo da adottare per la definizione dei fabbisogni standard, per la raccolta dei dati e per le prime analisi aggregate. Questa fase può concludersi con una relazione da presentare in Parlamento».
Francamente, avendo ascoltato con attenzione il seminario di questa mattina, nonché le audizioni tenute, in modo particolare quella con SOSE e IFEL, ritengo che ciò sia perfettamente possibile. Occorre, quindi, compiere un passo in avanti deciso rispetto a uno schema di decreto legislativo vuoto che il Governo ci ha presentato. Perché non farlo, visto che


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questa Commissione ha tra le sue funzioni anche quella di recepire ciò che di maggiormente avanzato si produce nel corso dei nostri lavori?
Fino a questo punto anche da parte del Ministro Calderoli, almeno nelle discussioni cui ho assistito e nelle diverse Commissioni in cui si sta discutendo del parere, non vi è un'opposizione pregiudiziale.
Il punto riguarda la fase due della nostra proposta, che prevede un nuovo decreto legislativo contenente l'indicazione dei fabbisogni standard nelle diverse accezioni, che sia sottoposto al parere della Commissione parlamentare e della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica e non della sola Commissione tecnica paritetica.
L'obiezione del Governo è che ciò non è possibile perché occorre più tempo. Poiché la delega scade comunque entro il maggio del 2011, non ci sarebbe il tempo tecnico necessario per formulare un secondo decreto legislativo.
Chiedo al professor Antonini se ritiene che sia possibile muoversi nella direzione che abbiamo proposto. Se la risposta è affermativa, sarò lieto di conoscere il suo parere, se è negativa, vorrei conoscere il motivo. La discussione che abbiamo tenuto anche questa mattina al seminario ha dimostrato come, a mio modo di vedere, sia invece estremamente possibile elaborare un testo molto più avanzato di quello che il Governo ci ha presentato.

LINDA LANZILLOTTA. Voglio dare atto al presidente Antonini e non dubito che la Commissione abbia svolto un enorme lavoro. Mi domando, tuttavia, che cosa avrebbe fatto se non avesse incontrato l'onorevole Causi sul suo cammino. Saremmo stati veramente nel disastro.
Mi chiedo anche, però, perché si sia accettato di scrivere la legge n. 42, che descriveva un percorso impossibile. Tale legge è stata scritta in Parlamento almeno con il consenso del Governo, che aveva presentato un altro testo, poi riscritto in Parlamento; il Governo ha, tuttavia, valutato nella sua responsabilità che il percorso scritto nella legge n. 42 avesse un fondamento di fattibilità e di razionalità.
È arrivata, invece, dal cielo la salvezza rappresentata dalla SOSE, mentre si brancolava nel buio, perché una simulazione di applicazione dei fabbisogni calcolati in modo semplificato, nei termini in cui lei la descriveva prima, aveva evidenziato quell'impatto che, tutte le volte che si è tentato di varare una standardizzazione dei fabbisogni dei comuni, ha bloccato il processo.
Fermo restando il futuro esito della simulazione dei calcoli della SOSE, vi è un punto che dobbiamo conoscere e che io le chiedo come risolveremo, visto che l'operazione deve essere a saldo zero in termini pluriennali, proiettata anche con i dati dell'ultimo documento di stabilità finanziaria. Ciò significa, che, poiché sappiamo che vi è un grande squilibrio nelle dotazioni finanziarie attuali dei comuni, le quali dovranno essere via via corrette sulla base dei fabbisogni e dei meccanismi perequativi della capacità fiscale di ogni comune, questo processo comporterà inevitabilmente una redistribuzione delle risorse disponibili, salvo che non la si diluisca nel tempo in modo tale da determinare la riallocazione o a modificare i rapporti relativi nelle dotazioni di ciascun comune con risorse aggiuntive. Questo, evidentemente, non è previsto dal modello prefigurato dalla legge n. 42 e poi dai decreti attuativi, perché è sempre stabilito esplicitamente che l'operazione debba avvenire senza aumenti di spesa.
È questo il punto che, in sostanza, non capisco. Noi partiamo da un dato noto, che è la sperequazione delle dotazioni finanziarie dei comuni. Il discorso per quanto riguarda le regioni è più di inefficienza nella gestione di alcune funzioni e attività, mentre per i comuni e in parte per le province è in atto un fenomeno che ha una sua storicità e un suo consolidamento. Continuo a domandare soprattutto se - questo è un altro elemento - non si preveda almeno di intervenire con gli strumenti del comma 5 dell'articolo 119, ossia con strumenti che consentano la


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riconversione dei modelli di gestione delle funzioni. Questo è un dubbio di scenario che non riesco a chiarirmi.
Vengo al secondo quesito. Anche se l'onorevole Causi ha cercato di spiegarmelo, ancora non l'ho capito: per me il fabbisogno è logicamente il risultato di una moltiplicazione di un costo per una quantità di prestazioni. Se non si conosce la quantità, cioè il livello della prestazione, né il costo, in quanto non si dispone della contabilità analitica dei comuni, non avendo l'obiettivo di servizio e la quantità, come si può determinare un fabbisogno? Non riesco a comprendere questo punto, proprio a livello logico.
Passo a un'altra domanda. Poiché giustamente si sottolinea come il federalismo sia il rapporto tra potere e responsabilità, tra potere di spesa, responsabilità di entrata e sanzione, che è o amministrativa o politica, e poiché tutti ci ripetono - anche stamattina gli esperti ce l'hanno confermato e noi tutti lo sappiamo - che la contabilità dei comuni e delle province non è disponibile, non è comparabile, non è standardizzata, in moltissimi comuni non esiste proprio e nella maggior parte anche di quelli più evoluti non c'è la contabilità analitica; se non conosciamo attraverso la contabilità analitica i dati di partenza, come facciamo a monitorare via via il processo di convergenza e, quindi, ad applicare i meccanismi di sanzione e responsabilità?
Un elemento che fa molto effetto all'opinione pubblica è il fatto che manderemo in esilio gli amministratori che amministrano male. Se non riusciamo a determinare e a imputare agli amministratori in tempi attuali - non dopo dieci anni che hanno amministrato, hanno già cambiato vita e si sono dedicati ad altre attività - il risultato della loro azione amministrativa in termini quantitativi e qualitativi, come si fa a far scattare questo meccanismo? Come si srotola, come si snoda questo percorso?
Personalmente penso che, oggi come oggi, abbiamo veramente una scatola vuota in un'operazione totalmente al buio. Fermo restando che si tratta di un'operazione complessa, non si può chiedere al Parlamento di accettare di procedere al buio. Occorre, quanto meno, l'esplicitazione del percorso metodologico che dovrà applicare la SOSE e la definizione di tappe rispetto alle quali tale processo acquisisce via via chiarezza e conoscenza. Stamattina - lei forse non era presente - si è svolto un interessante intervento del professor Pammolli, il quale ci ha sottolineato come le diverse variabili nella determinazione dei fabbisogni possano avere un impatto distributivo altissimo, anche molto poco trasparente.
Rispetto a indicatori elementari e semplici, dunque, l'utilizzo di una molteplicità di indicatori presenta un grado di sofisticazione maggiore, ma anche il rischio molto più alto di compiere operazioni a impatto fortemente sperequante o comunque con implicazioni politiche molto forti.
Credo che il Parlamento abbia non solo il diritto, ma il dovere di monitorare tutta la fase di attuazione e di verifica delle attività di questo processo, che trasforma profondamente tutto il nostro sistema di governo e di finanziamento di funzioni essenziali come quelle interessate dal federalismo.

MARCO CAUSI. Presidente, mi trovo costretto a parlare per un fatto personale. Mentre mi associo alla domanda posta dal mio capogruppo Walter Vitali, vorrei ricostruire, anche a beneficio del professor Antonini, qual è stata l'origine dell'idea avanzata, su cui poi il Governo, a mio modo di vedere, non ha lavorato in modo efficiente.
La variabilità della spesa comunale è molto più complicata di quella della spesa delle regioni. Quando lei, professore, sostiene che tutti i tentativi del passato sono andati male, si riferisce al tentativo compiuto più volte, sia dal Dipartimento della finanza locale, sia da numerosi studiosi, sia quando fu realizzato il fondo perequativo nella seconda metà degli anni Novanta, sia da altri contributi come, per esempio, quelli di IFEL, di trovare una spiegazione sistematica, in termini statistici, di questa variabilità, utilizzando i


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normali e tradizionali metodi di analisi della varianza, come la regressione lineare.
Dato che tali metodi non funzionano, quando io, ad aprile, intervenendo in una delle primissime riunioni della Commissione bicamerale, avanzai quest'idea, intendevo sostanzialmente affermare che una regressione lineare con l'applicazione del metodo delle determinanti anni Sessanta non funziona. Occorre, invece, trovare un metodo statistico che abbia alcune caratteristiche.
In primo luogo si deve analizzare una quantità enorme di microdati. Supponiamo di compiere un esercizio, che non so se si potrà applicare su tutti gli 8.000 comuni; supponiamo di farlo solo su 3-4.000. Per otto funzioni e sette servizi - giustamente ci è stato riferito da SOSE e IFEL che non lo vogliono fare soltanto sulle funzioni aggregate, ma anche sulle principali tipologie di servizio, singolo o complesso - ricaviamo quindici dati, che per 4.000 comuni sono 60.000 dati puntuali. Andranno raccolti per cinque anni almeno. Diventano, quindi, 300.000 dati.
Occorre adottare quelle tecniche statistiche che - attenzione, professore, lei è più esperto di altre questioni, ma l'invito a non sostenere che non sono regressioni, perché anche quelle lo sono - rappresentano un cross-section time series. Ci sono nuvole di punti disperse nello spazio e, pertanto, i punti nel tempo. In queste nuvole di punti ci sono 300.000 punti.
Queste tecniche statistiche, che sono sempre di analisi della varianza ma non più soltanto sullo spazio lineare, perché sono sullo spazio tridimensionale, si sono evolute molto negli ultimi anni, grazie ovviamente alla nuova potenza computazionale dei computer e su di esse si effettuano le cosiddette analisi per microdati. Sono proprio le tecniche utilizzate nell'esperienza amministrativa italiana, a parte quella scientifica, per gli studi di settore. Il precedente di un utilizzo a fini amministrativi, in quel caso fiscali, di questo tipo di tecniche è rappresentato proprio dagli studi di settore.
In più, il che secondo me è positivo, ci è stato riferito dalla SOSE l'altra sera che intendono giustamente inserire in questi modelli molte variabili qualitative, come i modelli organizzativi utilizzati, e uscire dalla normale, per quanto raffinata e complicata, analisi della varianza, per entrare in un'analisi statistica multivariata con l'utilizzo di tecniche di «clusterizzazione». Si porrebbero all'interno variabili qualitative, potendo, quindi, definire gruppi omogenei non soltanto in base a variabili quantitative.
Infine, altro elemento importante che deriva dall'esperienza sugli studi di settore, occorre una grandissima attenzione agli outlier o anche ai casi specifici, perché anche qualsiasi caso specifico verrà analizzato con la condivisione.
Sicuramente questo aspetto emergerà, per esempio, nelle grandi città che hanno la metropolitana. È chiaro che il fatto che una città possieda oppure no una metropolitana cambia tutto nei costi. A quel punto si specifica in modo definito un modello che tenga conto di quanti chilometri di metropolitana hanno le poche città italiane che ne sono dotate.
Questi tre elementi, analisi della varianza su modelli cross-section time series con l'uso dei microdati, utilizzo di variabili qualitative e applicazione di metodi di tipo statistico multivariato e condivisione, ossia attenzione agli outlier, che non sono a priori elementi che sbagliano, configurano un lavoro da svolgere. È questo il punto critico che prego il professore di trasmettere anche al ministro.
Se questo mio suggerimento, avanzato a marzo-aprile, avesse incontrato l'attenzione da parte del Governo, esso avrebbe potuto e potrebbe ancora oggi tranquillamente stipulare una convenzione di ricerca con SOSE, IFEL, ISTAT o altri istituti. Non ha bisogno di un decreto per stipulare una convenzione di ricerca.
Già ad aprile o maggio si sarebbe potuta realizzare, se davvero quest'idea era positiva, una convenzione con le citate istituzioni e avviare miliardi di esperimenti quantitativi, econometrici, multivariati. Magari già oggi, a metà ottobre, o entro la fine di ottobre, dopo tre o quattro mesi di lavoro, avremmo potuto forse


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essere in grado di portare qui non l'affidamento di un incarico di ricerca od operativo a SOSE e IFEL, ma i primi dati, le prime valutazioni sui cluster, su come e quanti sono, e su quali sono ancora i problemi aperti.
Gradisco il fatto che una mia idea abbia compiuto alcuni passi, ma purtroppo devo rilevare che l'avete fatta camminare poco. Ripeto ancora che si sarebbe potuto benissimo e che si potrebbe ancora oggi attivare una convenzione di ricerca e stabilire due o tre mesi di tempo per compiere il lavoro che ho cercato adesso di spiegare. Dopodiché, si potrebbe procedere sulla base dei modelli di analisi statistica un po' più avanzati, che io ritengo possano essere in grado di superare l'incapacità storica del passato nell'affrontare questo problema.
Infine, è ancora poco chiaro, non solo nel testo del decreto, dove addirittura il punto non è affrontato, ma nella discussione politica - ha ragione Vitali e stamattina i tecnici ci hanno chiarito molto bene questo tema - che questi metodi vanno finalizzati sia al bottom-up, sia al top-down. Abbiamo bisogno di entrambi i procedimenti. Ciò deve essere riferito chiaramente a chi si occuperà di questo lavoro.
Abbiamo sicuramente bisogno, in termini top-down, di arrivare alla fine a una formula di riparto. Finché non arriveremo nel mondo fantastico in cui il calcolo dei fabbisogni teorici corrisponderà alla dimensione del fondo perequativo, avremo bisogno comunque di una formula di riparto. I tecnici che lavoreranno su questo punto lo devono sapere e deve essere un paletto chiaro da porre.
Abbiamo bisogno, contemporaneamente, anche del bottom-up, altrimenti ovviamente tutto il lavoro che svolgiamo per raccogliere i dati non va in porto. Il bottom-up deve servire a costruire un vero e proprio cruscotto di gestione per le otto funzioni e i sette servizi che individuiamo, affinché sia un cruscotto di gestione, come è stato affermato stamattina dei tecnici, che serva per gli amministratori per effettuare le comparazioni di quanto costa e come è organizzato il servizio nei diversi comuni e nella diverse città e, perché no, anche per calcolare i fabbisogni teorici.
I fabbisogni teorici, come nel caso della sanità, saranno sicuramente superiori al riparto possibile in base ai vincoli di finanza pubblica, però - anche questo punto deve essere chiaro, ma il testo del decreto è assolutamente silente - ci vuole un obiettivo di tipo sia top-down, sia bottom-up.
È evidente che non possiamo pretendere, come Parlamento, di andare a discutere di ogni singolo microdato, ma credo che il Parlamento abbia diritto ad avere almeno la restituzione degli esperimenti metodologici, delle alternative metodologiche, una prima sgrossatura dei dati e un controllo sui metodi utilizzati per arrivare al microdato fabbisogno standard, non soltanto l'idea che qualcuno compirà un miliardo di equazioni e che un DPCM chiuderà tutto. Ciò è, naturalmente, inaccettabile per il Parlamento.

MARCO STRADIOTTO. Credo che sia assolutamente necessario, per arrivare a un federalismo che funzioni, riuscire ad avere un'unità di misura rispetto ai servizi, ai loro costi e al modo con cui vengono erogati nei diversi enti locali, quindi province e comuni. A tale scopo serve assolutamente il lavoro che, in questo caso, si prevede di affidare a SOSE e IFEL. Su questo punto siamo tutti d'accordo.
Rispetto al testo che ci è stato presentato, o cambiamo il testo o cambiamo il titolo. Se il testo del decreto resta questo, non possiamo affermare che questa sia la determinazione dei fabbisogni standard. Al limite possiamo chiamarla standardizzazione della spesa storica di comuni e province. Questa è la realtà.
Viceversa, se vogliamo che questa sia la determinazione dei fabbisogni standard, bisogna che cambiamo completamente il testo, dove ci sarà l'articolo che prevede la mappatura e incaricherà ovviamente SOSE e IFEL di compiere questo tipo di lavoro, altrimenti non abbiamo un'unità di misura con cui paragonarsi e raffrontarsi. Serve molto altro,


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però, per arrivare agli obiettivi standard e ai fabbisogni standard.
Delle due l'una, quindi: o cambiamo completamente il decreto, o cambiamo il titolo del decreto.

PRESIDENTE. Do la parola al professor Antonini per la replica.

LUCA ANTONINI, Presidente della COPAFF. Ho la tentazione di togliermi la giacca del tecnico e di indossare quella del cittadino per chiedere se vogliamo veramente cambiare il criterio della spesa storica oppure se vogliamo lasciarlo per altri cento anni in Italia. Questa è la risposta che vorrei avere come cittadino.
Rimetto, però, la giacca del tecnico e parto dalle osservazioni che avete svolto voi. L'onorevole Lanzillotta parlava di sperequazione delle dotazioni finanziarie, l'onorevole Causi di variabilità della spesa comunale e di una nuvola di dati enorme che bisognerebbe gestire. Sempre l'onorevole Lanzillotta parlava delle contabilità che non esistono in alcuni casi.
Se mettiamo insieme questi elementi, capiamo che non esiste una via d'uscita.

LUCIO ALESSIO D'UBALDO. Poiché siamo in una sede in cui abbiamo il diritto di conoscere bene i fatti e questa audizione passerà agli atti, pongo una domanda: quando si continua a sostenere che non ci sono i dati, potete essere precisi? Che cosa manca?
Non ne sono del tutto convinto e in altre occasioni l'ho ribadito. Vengo da una stagione, forse dimenticata, in cui il Ministero dell'interno, oggi per responsabilità politiche declassato, forniva tutti i dati possibili e immaginabili. Adesso è possibile e immaginabile che non ci sia nulla? È una domanda tecnica che muove una domanda politica.
Poiché lei è in audizione - chiedo scusa del tono, ma vuole essere una sollecitazione, non un monito; poi ognuno si formerà il proprio giudizio in base alla parte politica - abbiamo il diritto di acquisire questo elemento. Ci sono i dati o non ci sono? Che cosa manca e che cosa serve? Altrimenti continuiamo a formarci un'opinione distorta. Scusi per l'interruzione.

LUCA ANTONINI, Presidente della COPAFF. Uno dei prossimi decreti riguarderà proprio l'armonizzazione della contabilità. Si prevede un decreto, visto che il problema esiste.
Per le esternalizzazioni solo la COPAFF per la prima volta ha imposto un modo unitario e, quindi il Ministero dell'interno ha comunicato che le esternalizzazioni venissero comunicate secondo uno schema unitario. Prima ciò non avveniva. È un primo passo che si compie.
Tenga conto che oggi il 60-70 per cento delle funzioni di un comune sono esternalizzate. Se ogni comune le registra in modo diverso, come ci siamo resi conto che avveniva, ciò porta a una differenziazione dei dati contabili che rende più difficile il processo di standardizzazione. È un dato di fatto.
Il problema è che si è creato un federalismo contabile a livello regionale, indotto dalla riforma del 2001, e a livello comunale per via dei processi di esternalizzazione avviati, che presentano regole di contabilizzazione diverse, al punto che uno dei decreti previsti dalla legge n. 42 riguarderà proprio l'armonizzazione dei sistemi contabili.
È un problema, una delle anomalie del nostro federalismo. Quando la relazione del Governo parlava dell'albero storto, uno dei punti principali era questo.

MARCO CAUSI. Lei sa, professore, che questo è un problema più delle regioni che dei comuni.

LUCA ANTONINI, Presidente della COPAFF. No, le esternalizzazioni riguardano anche il livello dei comuni. Data la mole delle funzioni esternalizzate, il problema è reale.
Se partiamo da questo elemento, cioè dalla sperequazione delle dotazioni finanziarie, che giustamente veniva messo in evidenza, vediamo che esso deriva dalla stratificazione del criterio della spesa storica,


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per cui i trasferimenti sono stati modulati nel tempo secondo criteri molto variabili, che non avevano a che fare con il reale fabbisogno di spesa o di servizi. La stratificazione del criterio della spesa storica ha, quindi, portato alla sperequazione delle dotazioni finanziarie. Non è detto che essa corrisponda a reali fabbisogni dei comuni. Alcuni sono probabilmente sovradotati senza che abbiano un reale bisogno di quelle risorse per servizi qualificabili come servizi essenziali da erogare ai cittadini.

LINDA LANZILLOTTA. L'audizione deve essere costruttiva. Ci incontriamo da molti mesi. Dobbiamo pervenire a un punto di conoscenza. Conosciamo la storia perché ci occupiamo tutti di questa materia da tempo.
Il punto è che tutti sappiamo da dove nascono le distorsioni e nessuno, nemmeno coloro che parlano di albero storto, è venuto dalla luna. Per raddrizzare quest'allocazione, comunque la si analizzi, in termini di fabbisogni, con il metodo della regressione lineare, con il metodo della SOSE, alla fine bisogna ridistribuire i soldi. Chi ha dieci ha troppo e dovrà avere sette, chi ha due dovrà avere cinque.
Questa operazione, non un difetto di metodologia contabile, ha sempre fatto fallire il riequilibrio dei fabbisogni. Il punto non è che non si sia capito che, con i metodi un po' artigianali che si usavano al Ministero dell'interno all'epoca del dottor Giuncato, il problema non era risolvibile.
Le ho chiesto se, secondo lei, la clausola dell'invarianza delle risorse è sostenibile per riallineare le dotazioni finanziarie dei comuni ad alcuni standard di efficienza che saranno calcolati secondo il metodo SOSE.

LUCA ANTONINI, Presidente della COPAFF. Sicuramente è necessario che sia così. Se per i servizi cimiteriali un comune usa dodici persone e un altro di dimensione analoga ne usa due, ci sarà una redistribuzione all'interno del comparto. Ci sarà una funzione in cui magari quel comune perde e un'altra in cui guadagna.
Secondo me è possibile il riequilibrio a risorse invariate, altrimenti andiamo a confermare ancora, indirettamente, il criterio della spesa storica. Poiché un comune aveva dodici, allora non gli si possono tagliare le risorse. Questa non è la logica della standardizzazione, che deve partire dall'esigenza reale rispetto a un comune analogo.
Svolgo una considerazione. I criteri utilizzati in passato erano evoluti, perché avevano visto all'opera personaggi come Giarda, quindi non erano proprio tanto rozzi. Erano criteri evoluti, che però hanno fallito.
Pongo la seguente domanda: perché, quando sono stati introdotti gli studi di settore, non esisteva questa problematicità? Eppure sono stati determinati gli studi di settore per 30 milioni di contribuenti, 200 diverse categorie. Sono quattro righe che rimandano a un DPCM, ma 30 milioni di italiani pagano le imposte secondo gli studi di settore.
Il metodo è imposto dall'oggetto. Non posso decidere di guardare una stella con un microscopio, perché non la vedrò mai, né posso decidere di guardare un microbo con un telescopio. Il metodo è imposto dall'oggetto. Una volta che si sceglie la metodologia degli studi di settore, bisogna essere coerenti con l'oggetto che si vuole analizzare.
Il metodo della standardizzazione, in questo caso, dipende dall'oggetto. Vado a prendere la metodologia e l'esperienza maturata in questi anni, che hanno portato all'elaborazione dei sistemi sofisticati della SOSE e mi affido a quelle. Tanti più paletti vado a mettere nel sistema, quindi alterando l'oggetto, tanto più rischio di non ottenere il risultato.
È pura utopia pensare che il decreto avrebbe dovuto determinare i fabbisogni standard di 8.000 comuni da Drezzo, che conta 800 abitanti, a Milano per sei funzioni fondamentali. Fra cento anni forse il Governo, se avesse lavorato con chissà quali risorse, sarebbe arrivato a un decreto di numeri di questo tipo, ma ci sarebbero voluti cento anni. Non avremmo concluso nulla da questo punto di vista. Se


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il decreto avesse dovuto indicare i fabbisogni standard quantificati per 8 mila comuni da Drezzo a Milano...

WALTER VITALI. Non ho proposto questo. Il PD non sta proponendo questo, ma di adottare un decreto coerente con la legge n. 42, che non ci autorizza a un decreto di semplice delega al Governo per emanare un DPCM sulla base degli studi SOSE. Non è scritto così nella legge n. 42.
Ovviamente non pretendiamo che ci sia un decreto con i fabbisogni standard di tutti gli 8 mila comuni; chiediamo, invece, un decreto che indirizzi il lavoro di chi lo deve svolgere per poi successivamente arrivare ad altri strumenti.
Il Governo afferma che sarà il DPCM a stabilire quei fabbisogni. Il Ministro Calderoli ci ha anche scadenzato, riferendo che entro determinate date saranno ultimate porzioni da un terzo del lavoro. Le chiedo non se non si possa emanare il primo decreto - sono sicuro che si possa - ma se si può arrivare in tempo utile per l'esercizio della delega a un nuovo schema di decreto legislativo contenente i fabbisogni standard di cui stiamo parlando. Ci si può arrivare oppure no?

LUCA ANTONINI, Presidente della COPAFF. Quale sarebbe l'oggetto del secondo decreto?

WALTER VITALI. Evidentemente non ha letto il nostro documento, ragion per cui glielo fornisco.

LUCA ANTONINI, Presidente della COPAFF. Me lo può spiegare? Non capisco tecnicamente l'oggetto del secondo decreto. Che cosa ci dovrebbe essere scritto?

WALTER VITALI. Il secondo decreto deve contenere ciò che voi affermate dovrà contenere il DPCM.

LUCA ANTONINI, Presidente della COPAFF. Una volta acquisito che i dati sono quelli che ha citato l'onorevole Causi, quindi nuvole di dati, evidentemente il secondo decreto, che sarebbe per noi un DPCM, dovrà definire i fabbisogni. Secondo lei, dovrebbe essere un decreto. Il tempo tecnico che SOSE impiega per elaborare viene indicato, essendo un'operazione che non si compie alla spicciolata. Tecnicamente è molto complessa.

LINDA LANZILLOTTA. Il primo blocco di funzioni è previsto per il 2011, se non erro. L'applicazione dei fabbisogni, secondo il decreto, opererebbe per il primo blocco - il lavoro è diviso in tre, quindi non sono cento anni, ma quattro - e, pertanto, il primo decreto relativo al terzo per andare a regime nel 2012 dovrebbe essere emanato...

LUCA ANTONINI, Presidente della COPAFF. Entro il 31 dicembre del 2011 o comunque entro il 2011. Evidentemente, però, ciò non è compatibile con i tempi della delega, perché se questa prevede l'esame parlamentare e il parere in Commissione, il decreto dovrebbe essere pronto oggi. Tecnicamente non è possibile, nemmeno svolgendo un lavoro raffazzonato.

MARCO CAUSI. È possibile, però, avere nella sede di un decreto e non di un DPCM le schede tecniche allegate agli studi di settore, che indicano come si è arrivati a determinati calcoli, quali sono stati i cluster - saranno 20 o 25 o un numero n che verrà stabilito sulla base delle successive sperimentazioni - quali sono gli obiettivi di servizio, come si sono inserite le variabili qualitative relative al modello organizzativo, per quali settori e per quali LEP, in sostanza almeno la cornice metodologica del lavoro da svolgere nei prossimi tre anni.

LUCA ANTONINI, Presidente della COPAFF. Un passaggio procedimentale che porti all'attenzione del Parlamento il risultato del decreto SOSE può essere previsto, però non può essere un decreto legislativo emanato nei tempi e con i procedimenti della delega, perché significa non emanarlo.


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È impossibile, perché prevede funzioni nel 2013, con il terzo blocco. Ci sono tempi tecnici. Trattandosi di un procedimento complesso e molto razionale, prevede tempi tecnici molto articolati. È meglio non farlo, allora. Torneremo, quindi, alla regressione, ci incuneeremo nell'ennesimo fallimento del passato e rimarremo con il criterio della spesa storica, di cui tutti ci lamentiamo. Non esiste un'altra strada.
Poiché il Parlamento è sovrano, una volta che riceve il parere per il decreto può attuare tutte le azioni possibili nei confronti del decreto che viene presentato da SOSE. Anche dopo il decreto legislativo il Parlamento rimane sovrano di decidere.
Un DPCM è presentato all'esame del Parlamento. Se il Parlamento lo rigetta può avere conseguenze politiche fortissime. Il Parlamento può usare tutti gli strumenti politici a sua disposizione.

PRESIDENTE. Scusate, poiché l'interlocuzione a livello politico non può necessariamente trovare un'interlocuzione nel presidente Antonini, è inutile avviarla.

WALTER VITALI. È la passione per l'argomento che ci porta a questo punto.

PRESIDENTE. Ho capito, anche la mia passione porta al desiderio di avere risposte, però il professor Antonini non può darci le risposte che voi state chiedendo. Rivolgeremo le domande al Ministro Calderoli o al Ministro Tremonti, a un interlocutore che ce le possa fornire.

LUCA ANTONINI, Presidente della COPAFF. Dal punto di vista tecnico ci sono tempi richiesti a SOSE. Non si può pensare di comprimere la sua attività, altrimenti avremo una situazione peggiore dell'albero storto. Ci sono tempi necessari per tutto il lavoro che è stato svolto. IFEL era partita da molto tempo con le sue ricerche e, di fatto, il problema su cui ci si è scontrati è quali determinanti inserire col metodo delle determinati.
Abbiamo provato anche un altro metodo più evoluto, che si chiama «sistema della spesa rappresentativa», utilizzato in ambito anglosassone. Anche quello, come ci siamo resi conto, in un sistema come quello italiano non funzionava, perché comporta una tale quantità di varianti, anche per effetto della riforma del Titolo V su quelle materie, da essere praticamente inapplicabile. Applicarlo significava creare storture peggiori di quelle della spesa storica.
Onorevole Lanzillotta, è vero che la delega prevede il meccanismo che ha citato. Era un obiettivo ambizioso, però poi ci si deve ragionare, nel momento in cui ci si trova ad attuare la delega, per vedere tutte le possibili soluzioni. Le assicuro che vi è stato un lavoro enorme dietro per tentare di farlo.
È chiaro che una formula avrebbe tranquillizzato tutti, però in un sistema come il nostro avrebbe portato a risultati aberranti, che non avrebbero ottenuto l'obiettivo di colpire gli sprechi e favorire, invece, i servizi reali.
Avevamo tentato diverse formule. L'IFEL ha compiuto un gran lavoro, avendo tutto l'interesse a cercare di portare avanti una razionalizzazione di questo tipo.
Da tecnico che conosce un po' la materia, affermo che il sistema era inapplicabile. Sfido qualsiasi altro tecnico a portare, anche per gusto accademico, un'ipotesi di soluzione a questo problema elaborata con i metodi tradizionali. Andiamo a vedere le simulazioni comune per comune e vediamo che risultato portano in un sistema come quello italiano.

LINDA LANZILLOTTA. Presidente, oggi lei non sa qual è il risultato dell'altro metodo e sostiene che è buono perché non ne conosce il risultato. Quindi, che Dio ce la mandi buona. Noi chiederemmo di poter deliberare conoscendo l'impatto.

LUCA ANTONINI, Presidente della COPAFF. La metodologia analoga è stata utilizzata per 30 milioni di contribuenti. Perché in quel caso non si è posto il problema? Eppure ci accorgiamo che gli studi di settore, a giudizio dell'esperienza


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storica, hanno funzionato: hanno fatto emergere il livello di evasione e hanno portato un accompagnamento progressivo verso questa emersione. Quella metodologia, in un settore specifico che non riguardava punti meno vitali della vita del Paese, ha funzionato. L'idea è, quindi, che si può tentare di replicarla.
L'altro dato che lei citava, onorevole Lanzillotta, è l'inattendibilità delle contabilità. Proprio il metodo dei questionari e la banca dati di SOSE, che permette di filtrare le informazioni errate, rappresentano l'altro punto di forza di SOSE, che non lavora solo sui dati contabili, ma su informazioni strutturali che richiede.
Se avessimo svolto una ricerca di dati, mi dispiace dirlo, i comuni non ci avrebbero fornito le informazioni. Occorre una sanzione per poter ottenere un questionario restituito da parte dei comuni. Questo è un altro punto fondamentale, altrimenti si compie la ricerca, ma il comune può scrivere quello che vuole, mentre in questo caso si studia un meccanismo che preveda anche sanzioni se il questionario non è inviato nei termini previsti.
Si tratta di un altro elemento necessario perché, se si mette in piedi un sistema che si basa sulla collaborazione e sulle informazioni che si ricevono dai comuni, occorre anche un meccanismo vincolante tale per cui se non vengono inviati i questionari, sia prevista una sanzione. Il sistema non funziona solo sulle rilevazioni scientifiche.

PRESIDENTE. Ritengo che questa audizione sia stata comunque utilissima, perché ci ha consentito quanto meno di avere le idee più chiare su come si debba instaurare il rapporto politico tra il Parlamento e il Governo, in questo caso tra la Commissione e i ministri interessati.
Ringrazio molto il professor non voglio dire per la pazienza, perché sicuramente l'ha fatto con molto piacere, ma per essersi sottoposto a questo tiro incrociato.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 21,35.

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