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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissioni Riunite
(Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, V Camera e 5a Senato)
INDAGINE CONOSCITIVA
3.
AUDIZIONE
4.

Mercoledì 27 ottobre 2010

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

La Loggia Enrico, Presidente ... 3

Audizione del Comitato di rappresentanti delle autonomie territoriali di cui all'articolo 3, comma 4, della legge n. 42 del 2009 nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di determinazione dei fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province (Atto n. 240) (ai sensi dell'articolo 144 del Regolamento della Camera dei deputati, dell'articolo 48 del Regolamento del Senato della Repubblica e dell'articolo 5 del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale):

La Loggia Enrico, Presidente ... 3 4 6 7 9 11 12 13 14 15
Barbolini Giuliano (PD) ... 13
Castiglione Giuseppe, Presidente dell'UPI ... 4 12 14
Causi Marco (PD) ... 6
Chiamparino Sergio, Presidente dell'ANCI ... 3 13 14
D'Ubaldo Lucio Alessio (PD) ... 7
Franco Paolo (LNP) ... 8
Nannicini Rolando (PD) ... 10
Rossi Enrico, Presidente della regione Toscana ... 6 15
Simonetti Roberto (LNP) ... 11
Vannucci Massimo (PD) ... 11
Vitali Walter (PD) ... 7

ALLEGATI:
Allegato 1:
Documentazione consegnata dai rappresentanti dell'ANCI ... 19
Allegato 2: Documentazione consegnata dai rappresentanti dell'UPI ... 27

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Seduta del 27/10/2010


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...
Audizione del Comitato di rappresentanti delle autonomie territoriali di cui all'articolo 3, comma 4, della legge n. 42 del 2009, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di determinazione dei fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province (Atto n. 240).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 144 del Regolamento della Camera dei deputati, dell'articolo 48 del Regolamento del Senato della Repubblica e dell'articolo 5 del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, l'audizione del Comitato di rappresentanti delle autonomie territoriali di cui all'articolo 3, comma 4, della legge n. 42 del 2009, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di determinazione dei fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province (Atto n. 240).
Diamo il benvenuto al Comitato delle regioni, quest'oggi rappresentato dal sindaco Chiamparino, dal presidente Castiglione, dal presidente Rossi e dalla presidente Polverini.
Do la parola al sindaco Chiamparino.

SERGIO CHIAMPARINO, Presidente dell'ANCI. Grazie, presidente. Abbiamo portato un documento, che lasceremo agli atti, che entra più dettagliatamente nel merito del decreto. In estrema sintesi illustrerò i punti che intendevo sottolineare.
Prima di tutto, come abbiamo già affermato e ora ribadiamo, abbiamo apprezzato il metodo con cui si è giunti a elaborare il documento. Vi è stata la possibilità di un dialogo, sia con la Commissione, sia, a livello tecnico, con gli uffici del Governo, che ci ha portato a esprimere un'intesa in sede di Conferenza unificata.
Ciò non toglie che ci siano aspetti anche non secondari che potrebbero subire in sede di parere parlamentare ulteriori modifiche, di cui mi auguro che il Governo possa tenere conto.
Per facilitare la comprensione di questi punti - apprezzamento del metodo, intesa in Conferenza unificata ed elementi sui quali riterremmo utile un'attenta riflessione del Governo - divido il mio breve intervento in due parti e cerco di rendere espliciti i punti che per noi sono sostanzialmente condivisibili rispetto a quelli sui quali, invece, auspicheremmo alcune modifiche.
Un punto che condividiamo è la scelta metodologica di non inserire all'interno del decreto una formulazione anche già tecnicamente definita del calcolo dei costi


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e dei fabbisogni. So che vi sono opinioni diverse anche al nostro interno, ma fanno parte della discussione.
Noi riteniamo che una formulazione anche tecnicamente definita rischierebbe di essere troppo rigida e, quindi, di non poter tenere conto, come invece mi sembra si faccia anche col periodo di adattamento dei tre anni, delle diversità delle situazioni e delle possibilità di adattamento.
Ciò, naturalmente, tiene anche in considerazione la differenza di ruolo che i diversi enti ricoprono. Per noi vi sono diverse funzioni fondamentali. Penso alle politiche territoriali, a quelle di stato civile e di sicurezza, che hanno necessità di una maggiore adattabilità alle realtà territoriali.
Condividiamo, come abbiamo già osservato, che sia stato affidato il compito di elaborare questa metodologia a due società, di cui IFEL è una fondazione vicina all'ANCI, non perché vogliamo perseguire un conflitto di interessi o mettere le mani al tema dall'interno, ma perché, ovviamente, IFEL è un tramite col quale pensiamo di poter interloquire e con cui, quindi, ci sentiamo partecipi.
Questi sono, nella sostanza, i punti di condivisione.
Vengo ora ai punti problematici, sui quali auspicheremmo una riflessione più attenta del Governo. Illustro prima di tutto quello il punto per noi più critico.
Si dice, ma non so se sia vero, che ci sarebbe un orientamento teso a vincolare il costo standard e il fabbisogno standard all'entità dei trasferimenti. Non so se mi spiego: si calcola, cioè, il costo dell'asilo nido o dell'anagrafe e, se esso eccede il trasferimento, si taglia il costo economico e non si aumenta il trasferimento.
Se sbaglio, chiedo scusa; se, invece, ci fosse l'intenzione di andare in questa direzione, preannuncio che noi saremmo decisamente contrari. Questo è il punto più significativo.
In secondo luogo, a noi interesserebbe che si tenesse conto, nell'elaborazione della metodologia, di una differenza fra piccoli comuni e comuni di dimensioni diverse, per ovvie ragioni che non credo di dover spiegare.
Credo che ci sia una discussione e che anche in Parlamento ci sia stato un ampio confronto sul fatto che, se la metodologia definita potesse essere resa un po' meno generica, senza arrivare alla definizione della formula tecnica nel decreto, ma circostanziandola a ridosso delle funzioni fondamentali, riteniamo che ciò rappresenterebbe un passo in avanti. Tutto ciò che il Parlamento può fare da questo punto di vista è auspicabile.
Il documento entra molto più nel dettaglio, ma mi riservo eventualmente, se ci sono domande, di rispondere agli onorevoli deputati e senatori.

PRESIDENTE. Grazie. Non posso non notare un punto, sindaco Chiamparino: la distinzione tra comuni piccoli, grandi e medi è ovvia; quella che a me sembra ancora più pregnante è tra i comuni che hanno i servizi e quelli che non li hanno. Quelli che non hanno i servizi, non hanno nemmeno la riduzione dal costo storico a quello standard.
È un discorso che stiamo già sviluppando in Commissione, anche con contatti con il Governo. Si sta tentando un'ipotesi di soluzione, sulla quale ovviamente vorremmo coinvolgervi, perché forse meglio di tanti altri potete fornire suggerimenti su come meglio procedere.
Occorre una base di ragionamento che nel corso del tempo porti a eliminare la grossa disparità di trattamento tra i cittadini che abitano i comuni che hanno i servizi e quelli che abitano i comuni che non li hanno.
Do la parola al presidente Castiglione.

GIUSEPPE CASTIGLIONE, Presidente dell'UPI. Grazie, presidente. Anche noi lasceremo un documento, ma non possiamo, come Unione delle province d'Italia, non apprezzare il metodo. In sede di Conferenza unificata abbiamo sancito l'intesa e, quindi, sul piano del metodo siamo d'accordo con questa predisposizione del decreto legislativo, che rappresenta il vero


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primo passo concreto per l'attuazione del federalismo fiscale.
Oggi abbiamo espresso questa nostra posizione in Conferenza unificata e l'abbiamo ribadita il 15 luglio in sede di Conferenza Stato-città e autonomie locali. Sul piano del metodo siamo, quindi, assolutamente soddisfatti del percorso e del rapporto instaurato sia con la Commissione, sia con il Governo, per quanto vorremmo evidenziare alcuni aspetti.
Apprezziamo certamente la gradualità impressa a tutto il processo delineato nello schema di decreto legislativo. Vi sono tutta l'estrema delicatezza del tema e l'innovazione dei contenuti che impongono questo percorso progressivo, un percorso che deve essere ordinato, monitorato e, se necessario, anche soggetto a una correzione di tiro, attraverso meccanismi di revisione previsti.
Per noi è assolutamente importante anche la grande mole di dati che afferiranno a livello centrale, arrivando dalle amministrazioni periferiche. A nostro avviso, dovranno trovare auspicabilmente la loro sede, come era previsto dall'articolo 13 della legge n. 196 del 2009, in una banca unitaria della pubblica amministrazione, sia per favorire una maggiore trasparenza e una comprensibilità dei dati in nostro possesso, sia per semplificare i flussi informativi e soprattutto per renderli disponibili tra i diversi livelli di Governo.
Auspichiamo, dunque, la realizzazione e la creazione di una grande banca al livello centrale, laddove arrivino tutte le informazioni dal livello periferico e soprattutto dalle province.
Per quanto ci riguarda, anche a nostro avviso occorre l'attuazione di un processo di armonizzazione dei sistemi contabili tra i diversi livelli di Governo, fondata sui princìpi generali.
Sul piano metodologico si parlava della differenza tra comuni piccoli e grandi. Per quanto riguarda le province, esse svolgono certamente funzioni amministrative, ma in una logica di area più vasta, di pianificazione strategica e territoriale. Sul piano metodologico bisogna analizzare questo percorso ed occorre possibilmente esprimere in maniera corretta il concetto di fabbisogno, che deve essere applicato a diversi contesti e, soprattutto, a diversi livelli di Governo.
Per quanto ci riguarda rimane aperto il tema, che non è di secondaria importanza, della spesa in conto capitale. Nella metodologia che porterà all'individuazione dei fabbisogni standard non mi pare ce ne sia alcuna traccia. Ci rendiamo conto di che cosa significhi un fabbisogno standard per l'edilizia scolastica o per la rete viaria, laddove non si tenga conto dei necessari investimenti per la manutenzione straordinaria e per la messa in sicurezza. A nostro avviso, è importantissimo, nella realizzazione del fabbisogno standard, individuare anche le spese in conto capitale.
Abbiamo espresso la nostra opinione, come ho affermato anche nella prima seduta della Commissione, sul fatto che per le regioni a statuto speciale non viene individuato nulla. A mio avviso, questa è una scommessa.
Per quanto riguarda le regioni, mi pare che la posizione sia chiara: i costi standard non si applicano alle regioni a statuto speciale. Per quanto riguarda le autonomie locali e soprattutto le province, è una prima vera sfida, che vogliamo portare avanti, quella per cui l'individuazione dei fabbisogni standard e successivamente dei costi standard possa essere applicata anche alle regioni a statuto speciale.
Sarà, infatti, molto faticoso spiegare successivamente laddove un servizio costa dieci in un'area del Paese e cento in un'altra. È una sfida che va raccolta e che noi vogliamo raccogliere fino in fondo. Lo affermo anche da presidente di provincia in una regione a statuto speciale. Questa è una posizione che, come avevamo già anticipato, può trovare una condivisione da parte nostra.
Porremo le altre considerazioni a disposizione della Commissione. Vogliamo continuare ad andare avanti. Oltre all'intesa che abbiamo sancito in Conferenza unificata, vogliamo continuare a seguire


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un percorso sul piano tecnico e metodologico con il Governo e con la Commissione.

PRESIDENTE. Do la parola al presidente Rossi.

ENRICO ROSSI, Presidente della regione Toscana. La Conferenza delle regioni e delle province autonome su questo tema non si esprime e mette in evidenza il fatto che non è stata coinvolta nella predisposizione del provvedimento. A nostro parere, quindi, nulla osta acché il provvedimento prosegua il suo iter. Ci rimettiamo sostanzialmente alle opinioni espresse dai comuni e dalle province.
Nello stesso tempo evidenzio, però, come questo decreto legislativo non determini i fabbisogni standard, ma rinvii a un DPCM successivo, rendendo tutto, a nostro parere, ancora incerto riguardo alla definizione dei livelli essenziali di assistenza, che dovrebbero essere definiti insieme ai costi standard. In questo senso, anche riguardo alla legge delega, noi temiamo che si verifichino scostamenti.
Riconfermiamo, inoltre, un parere importante espresso dalle regioni a statuto speciale, le quali chiedono che venga specificato che il decreto non si attui, per i loro poteri speciali, a tali regioni.
Infine, la Conferenza delle regioni e delle province autonome chiede al Governo e al Parlamento che si riapra un confronto per riprendere il filo complessivo di un ragionamento tra regioni, comuni, province e Governo nazionale. Questo è il parere che esprime la Conferenza delle regioni e delle province autonome. Grazie.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MARCO CAUSI. Ringrazio il sindaco Chiamparino, il presidente Castiglione e il presidente Rossi.
Formulo una prima domanda. La questione che ha colpito di più in questa fase soprattutto i gruppi di opposizione, ma, da un dato punto in poi, dopo il seminario, anche i gruppi di maggioranza e un po' tutti i parlamentari della Commissione bicamerale, è quella per cui in questo decreto non ci sia appiglio ai LEP. Polemicamente, potremmo osservare che ciò era evidente già dalla relazione dell'albero storto, una delle cui mancanze consisteva proprio nel fatto che non vi venivano definiti i LEP.
In ogni caso, al di là delle polemiche, il tema è che intraprendere un percorso di definizione dei fabbisogni standard senza avere un'ancora, per quanto ovviamente da descrivere all'interno dei vincoli di finanza pubblica e dei processi dinamici di coordinamento, sembra a molti un problema.
Volevo chiedere all'ANCI, dato che il tema diventa «quanto irrigidire o rendere più arduo il procedimento di fissare i fabbisogni standard», se ritiene che un riferimento ai LEP, che mi pare molti vorrebbero inserire, sarà un condizionamento, oppure se non lo vede come naturale.
In secondo luogo, ho letto il documento dell'ANCI e sono concorde; credo che anche dopo il seminario che abbiamo tenuto la settimana scorsa abbiamo tutti capito che c'è bisogno di formule aggregate di riparto, tuttavia pongo una domanda, rivolgendomi soprattutto a comuni e province: se guardiamo l'esperienza della sanità, in cui il lavoro sui costi standard è avviato già da alcuni anni, accanto alla formula aggregata di riparto top-down è stata costruita - è molto importante per la gestione e per la governance del sistema - una banca dati di indicatori di monitoraggio e di valutazione dell'efficienza, dell'efficacia e dell'appropriatezza dei sistemi sanitari. Tale banca dati permette di stabilire i benchmark tra i sistemi e di valutare il raggiungimento dei LEP ed è alla base dei piani di rientro.
Siamo d'accordo che è molto complicato per il mondo di comuni e province, per via dell'eterogeneità dei servizi che vengono offerti, arrivare a un concetto di costo unitario di produzione, ma riterreste utile oppure no affiancare al fabbisogno


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standard come formula aggregata di riparto la costruzione di indicatori di costo, di efficienza, di efficacia e di appropriatezza che servano, se vogliamo, innanzitutto alla governance del sistema e poi a tante altre questioni?
Pongo una terza domanda secca. Non è stata ancora istituita la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica. Vorrei conoscere un parere da parte di ANCI, UPI e regioni, perché nell'impianto della legge n. 42 del 2009 la Conferenza permanente è la sede in cui tutte queste vicende interistituzionali vengono «masticate» nel dialogo.
Gli stessi fabbisogni standard, come sostiene la legge, vengono monitorati e valutati dalla Conferenza permanente con l'ausilio della COPAFF. A noi sembra, invece, che in questo schema di decreto ci sia solo l'organo tecnico, la COPAFF, ma non quello vero e proprio di coordinamento interistituzionale, rappresentato dalla Conferenza permanente.
Infine, fatemi rilevare che - affronteremo poi questo tema, presidente, ma voglio lasciarlo agli atti - se i comuni e le province delle regioni a statuto speciale dovessero restare fuori da questo processo, sarebbe un male per le popolazioni che abitano quei territori, perché il processo dei costi e dei fabbisogni standard migliora le amministrazioni pubbliche. Lasciare fuori quelle delle regioni a statuto speciale significa abbandonarle a un futuro peggiore di quello delle regioni a statuto ordinario.
D'altra parte, le regioni a statuto speciale del Sud, come la Sicilia, hanno dovuto affrontare i piani di rientro, peraltro anche con successo. Leggevo oggi sui giornali che tra le regioni soggette a piano di rientro la Sicilia è quella che ha meglio raggiunto gli obiettivi, ma ha accettato di assoggettarsi ai costi standard e adesso sta compiendo un percorso importante.
Ritengo, pertanto, che dobbiamo trovare il modo, ragionando con le regioni a statuto speciale, affinché ci sia una convergenza verso una metodologia comune.

PRESIDENTE. So che le regioni a statuto speciale stanno già ragionando su eventuali proposte da presentare insieme. Mi auguro che esse arrivino quanto prima, se non nel corso dell'intesa in Conferenza Stato-regioni, quanto meno nell'ambito del nostro lavoro in Parlamento.

LUCIO ALESSIO D'UBALDO. Presidente, rinuncio al mio intervento perché volevo porre la stessa domanda sulle regioni a statuto speciale. Sono, quindi, stato assorbito dal collega Causi, da cui mi distingue un solo punto: lui è ottimista e sostiene che, nel caso in cui adottassimo questo futuro provvedimento, le popolazioni delle regioni a statuto speciale sarebbero penalizzate. Io non sono altrettanto ottimista.

PRESIDENTE. È una bella scommessa e non so chi la vincerà. Chiunque la vinca, speriamo, comunque, di non penalizzare i cittadini.

WALTER VITALI. Non ripeto le domande già poste dal vicepresidente Causi. Ne aggiungo una sola, che si riferisce proprio al tema che ha sollevato il presidente prima, ossia alla questione degli obiettivi di servizio.
Gli obiettivi di servizio sono per noi fondamentali e sono citati dalla legge n. 42 perché rappresentano esattamente il processo di convergenza verso uno standard elevato di fornitura di servizi a cui il presidente faceva riferimento.
Fin dall'inizio abbiamo inteso il federalismo fiscale come un processo, non come un fenomeno che dalla sera alla mattina passa da una situazione attuale dominata dalla spesa storica a una situazione nuova dominata da questo sistema.
Per di più, l'abbiamo sempre concepito non come la fotografia dell'esistente, ma come un percorso, che, ovviamente in termini poliennali e tenendo conto delle compatibilità di finanza pubblica generale, consenta ai territori che hanno una dotazione di servizi inadeguata di raggiungere progressivamente gli standard più elevati. È una scommessa molto forte e in questo


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senso concordo con Marco Causi e, quindi, mi dichiaro ottimista, a differenza del collega D'Ubaldo.
Se la situazione è questa, dunque, qualora le regioni a statuto speciale rimanessero fuori, è evidente che sarebbero penalizzate. Sono necessari, però, tre punti.
Il primo è che nel decreto sui fabbisogni venga chiaramente richiamato il citato percorso dalla situazione attuale verso i livelli essenziali delle prestazioni e gli standard di servizi garantiti da questi obiettivi.
Il secondo, come afferma la legge n. 42, è il fatto che è indispensabile che gli strumenti di contabilità pubblica che determinano le grandi entità finanziarie del bilancio dello Stato recepiscano il contenuto della legge n. 42, a partire dal Patto di convergenza contenuto all'articolo 18.
Abbiamo praticamente legato il nostro contributo positivo alla legge esattamente a questo punto, oltre a tanti altri, ma questo per noi è stato caratterizzante. Anche la legge n. 196 del 2009 contiene giustamente questo aspetto, ma nella traduzione pratica dei documenti contabili non lo ritroviamo. Siamo, quindi, molto preoccupati.
Il terzo punto riguarda il reperimento delle risorse. Da dove vengono le risorse per compiere questa operazione? Possono venire solo da una direzione, ossia da quella dell'efficientamento. Ciò che deriva da questo passaggio dalla spesa storica a costi e fabbisogni standard deve essere in prima istanza destinato all'operazione di cui parlava il presidente La Loggia.
L'insieme di questi tre punti può dare sostanza a questo discorso e attuazione piena ai princìpi della legge n. 42. Altrimenti applichiamo un discorso diverso, non la legge n. 42, non la legge sul federalismo fiscale che abbiamo votato insieme, ma una questione completamente diversa. La mia domanda è che cosa ne pensano i rappresentanti delle autonomie locali.
Per il resto, voglio solo rimarcare l'ulteriore questione della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica. A proposito di legge di stabilità, ricordiamo tutti, e il presidente Giorgetti ne può dare atto, che la legge n. 196 prevede che le linee guida del documento di finanza pubblica vengano sottoposte preliminarmente a questo organismo, per poi dar luogo a tutto il resto.
Il fatto che, in base alle normative europee, dobbiamo tenere sessioni semestrali, non significa che tutto ciò venga meno. Quest'anno non è stato assolutamente possibile attuarlo, perché manca l'organismo. Che cosa ne pensano i presidenti di ANCI, UPI e regioni di tale questione?

PAOLO FRANCO. Ringrazio i nostri ospiti per le loro relazioni e svolgo due brevi considerazioni.
La prima è in ordine anche al lavoro di audizione che la Commissione ha svolto in queste settimane e che, con la relazione dei relatori Leone e Stradiotto, ha iniziato adesso il percorso tecnicamente vicino all'espressione del parere, come compete alla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale.
In questo percorso, ascoltando oggi i rappresentanti delle autonomie, mi sembra quasi di vedere per il momento un accoglimento da parte loro più disponibile e fattivo, con riferimento al decreto sui fabbisogni standard, rispetto a quello della Commissione stessa.
La mia intenzione è di esprimere l'auspicio che la Commissione nel proprio percorso di costruzione e di elaborazione delle proposte da formulare al Governo per l'emanazione definitiva dei decreti tenga conto di questo e non tenti magari, per quanto con buoni fini, di raggiungere formulazioni quasi in contraddizione con quanto espresso dalle autonomie o che rendano più difficile l'applicazione del decreto sui fabbisogni standard.
Espongo altrettanto brevemente il secondo punto. Vi è un continuo ripetere, nelle audizioni e negli interventi degli amici e dei colleghi della Commissione - mi permetta, presidente, di riprendere le sue osservazioni, che condivido - che il federalismo fiscale, con i fabbisogni standard, applicati alle funzioni fondamentali


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e ai livelli essenziali delle prestazioni, debba quasi garantire la copertura di servizi che la legge ordinaria ex ante o anche dopo la riforma del 2001 non è riuscita ad assegnare all'intero Paese.
Sappiamo benissimo quali differenze esistano nell'erogazione di servizi tra comuni e comuni. L'ormai abusato esempio dell'asilo nido mi farebbe pensare che un paese lo può volere perché gli serve e perché il tasso di lavoro femminile è molto elevato, mentre un altro, che non ha lo stesso tasso di occupazione femminile, può aver bisogno di uno standard di servizio diverso sull'asilo.
Sono questioni che vengono poste all'interno della discussione e dell'elaborazione di dati, di cui si occuperanno le autorità deputate a ciò, e previste nel decreto sui fabbisogni standard.
Approfitto dell'occasione anche per svolgere un'altra osservazione sempre su questo tema. Il federalismo fiscale non risolve - deve essere un percorso - il problema delle differenze della capacità dei nostri enti locali di fornire un servizio equo e standard su tutto il territorio nazionale.
Esso pone, invece, le basi per risolverlo, proprio con la valutazione e l'identificazione dei fabbisogni e delle funzioni, con i livelli essenziali e la Carta delle autonomie locali, ossia con altri strumenti legislativi che possano cominciare a identificare la cornice di questo quadro, in cui nel tempo saranno espresse le esigenze degli enti locali, non quelle che noi pensiamo debbano essere necessariamente uguali per tutti.
Quando si parla del Patto di convergenza, ossia dell'articolo 18, fortemente e giustamente voluto dai colleghi del Partito democratico, dal senatore Vitali e dal senatore Giaretta - ricordo proprio l'elaborazione della legge n. 42 in primis - osservo che l'articolo 18 dispone che nell'ambito del disegno di legge finanziaria, ovvero con apposito disegno di legge collegato a manovre di finanza pubblica, e in coerenza con gli obiettivi, il Governo, previo confronto, propone norme di coordinamento dinamico della finanza pubblica volte a realizzare l'obiettivo della convergenza. La ricordavo, ma ho letto in maniera più precisa il testo della legge sul federalismo fiscale.
Quando sostengo che si tratta di un percorso parallelo che può essere effettuato da una legge e può essere effettuato come previsto dalla legge n. 42 con la legge finanziaria, osservo che esso non può essere effettuato, così com'è, all'interno del decreto sui fabbisogni standard, perché così dispone la legge n. 42.

PRESIDENTE. Non siamo in disaccordo, tutt'altro. Occorre forse continuare a parlarne, perché alla fine scopriremo di essere tutti sulla stessa linea.
È ovvio che né la legge n. 42, né, tanto meno, i decreti legislativi che ne susseguono sono la panacea di tutti i problemi e i mali di questo Paese. È anche vero, però, che, se procediamo per passi successivi, gradino per gradino, approfittando degli strumenti legislativi che abbiamo a disposizione, quali la legge n. 42 con il suo articolo 18 e il decreto sui costi standard, sul quale se mettiamo, come appare stia emergendo in maniera piuttosto condivisa anche da parte del Governo, una base di ragionamento comune - stiamo usando tutti la stessa espressione e forse ne dovremmo trovare un'altra ancora più facile da spiegare all'esterno (sono stato io per primo a parlare di base di ragionamento e quindi svolgo autocritica), e troviamo un modo per affermare che questo è il percorso che si deve seguire al fine di arrivare all'obiettivo in un dato periodo di tempo, proseguiamo verso una direzione che a me pare da tutti condivisa.
È altrettanto ovvio che non tutto il percorso può essere inserito in questo decreto. Non avviene che, all'indomani della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale di questo decreto legislativo, come i funghi in un bosco, nascono i servizi essenziali in tutto il Paese. Se iniziamo il percorso, però, forse ci arriviamo, con la legge di stabilità, con il piano o programma che ne consegue, con i decreti legislativi sul federalismo fiscale, nonché con il Codice delle autonomie, pilastro essenziale di questo progetto, senza il quale non si


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capisce da che parte andiamo e tutto ciò che ne segue.

ROLANDO NANNICINI. Vorrei porre alcune domande al presidente Rossi, che ringrazio, sul tema delle regioni a statuto speciale e ordinario.
Tutto il livello dei fabbisogni ci dovrebbe portare al superamento del finanziamento attraverso il trasferimento della spesa storica. In base a dati del 2008 la COPAFF riferisce che i contributi e i trasferimenti dello Stato dalla categoria 1 per le 15 regioni a statuto ordinario ammontavano a 12 miliardi e 860 milioni, somma che lo Stato dovrebbe in futuro considerare ai fini della determinazione dei trasferimenti.
Per le regioni Sardegna e Sicilia, dove il trasferimento delle regioni agli enti locali è molto forte e quasi superiore al trasferimento statale, si tratta di ben 2 miliardi e 104 milioni.
Il Friuli Venezia Giulia dallo Stato riceve solo 25 milioni, perché gli enti locali nel Friuli sono finanziati essenzialmente per spesa derivata dalla legislazione regionale. Il Trentino-Alto Adige riceve 9 milioni dallo Stato, integralmente finanziati per trasferimenti dalla legge regionale e la Val d'Aosta riceve 5 milioni e 350 mila euro. Si tratta quindi di finanziamenti molto forti delle regioni per il finanziamento degli enti locali.
Tutto ciò mi porta a osservare che su alcuni aspetti del decreto dobbiamo essere precisi, perché dobbiamo ragionare sui 12 miliardi 860 milioni, alla luce della presa di posizione delle regioni a statuto speciale.
È chiaro che non considerare anche la Sardegna e la Sicilia, che concorrono per 2 miliardi e 104 milioni, è forse un errore, anche se sappiamo che esistono gli Statuti che disciplinano la materia.
La Valle d'Aosta, il Friuli-Venezia Giulia e le province autonome di Trento e Bolzano presentano differenze di segno opposto.
Ritengo che tali regioni dovrebbero anch'esse ragionare sul livello di omogeneità da raggiungere in merito ai livelli di servizi e di prestazioni nei confronti dei loro enti locali.
L'osservazione è la seguente: non occorre solo convincere, ma anche decidere, perché, se esiste questo livello di distinzione, la nostra valutazione, che porterà a livello del costo al superamento della spesa storica e dei trasferimenti, si baserà sulle 15 regioni a statuto ordinario per una spesa di 12 miliardi e 860 milioni riferita al 2008. Sappiamo che si tratta di un sogno, perché in realtà ora saranno 9,5 e poi, gradualmente, con un Patto di stabilità così rigido si ridurranno ulteriormente.
Un'altra riflessione riguarda la legge n. 42. Per quanto concerne gli enti locali, ai sensi dell'articolo 11, comma 1, lettera b), della legge n, 42, si prevede che «il finanziamento integrale delle funzioni fondamentali con riferimento ai fabbisogni standard è assicurato in via prioritaria da tributi propri, dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali e dalle addizionali a tributi erariali e regionali nonché dall'intervento del fondo perequativo».
Certamente ci sarà un periodo transitorio: qualche ente avrà una spesa del personale di 650 euro pro capite e qualcun altro di 150 euro: pertanto sfoltirà le sue segreterie e creerà alcuni asili nido. Però è chiaro che il superamento della spesa storica si accompagna ai livelli essenziali dei servizi, al fabbisogno standard e che sulle funzioni fondamentali è obbligatoria la copertura. Scusatemi per questa considerazione, ma altrimenti avremmo dovuto scrivere la legge in modo diverso, perché per le funzioni non fondamentali esistono i fondi propri.
Bisogna ripensare il meccanismo del decreto, perché delega troppo e rinvia. Ne discuteremo e non dobbiamo certamente sottoporre le nostre discussioni assai vivaci all'attenzione degli enti locali.
Apprezzo lo sforzo degli enti locali, ma la richiesta secca, rivolta al presidente Rossi, è che questo elemento sia preciso, perché esistono alcune differenze. Se non vogliamo superare la spesa storica, se rimarranno alla spesa storica, possiamo


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procedere solo nei 12 miliardi 860 milioni del 2008, mentre per le regioni a statuto speciale si dovrebbero stipulare accordi. Non credo che potremmo continuare così e pensare che vi sia il finanziamento senza un elemento di pianificazione che tenga conto di una dimensione nazionale.
La Sicilia riceve 1 miliardo e 701 milioni anche se ha una consistente popolazione; però noto che agli enti locali del Piemonte è destinato 1 miliardo e 73 milioni. Quelle risorse per la Sicilia rimangono, senza alcuna discussione. Possiamo pure ammetterlo, però siamo precisi su questo punto, perché non credo che si possa permettere di rinviare il processo del federalismo, in quanto senza federalismo non si possono ritoccare le tasse locali. Finché non si arriva a questo, non si può fare nulla di concreto. Abbiamo la prospettiva del paradiso di fronte all'inferno. Ora siamo all'inferno e abbiamo una promessa di paradiso. Vediamo se questo paradiso si interrompe e facciamo un po' di purgatorio nella fase transitoria.

PRESIDENTE. Forse occorre un po' di purgatorio per tutti prima del paradiso.

ROBERTO SIMONETTI. Buonasera ai presidenti intervenuti. Spero di non andare fuori tema, ma mi pare che nel dibattito possa rientrare anche il seguente ragionamento.
Stiamo pianificando una nuova linea di gestione della spesa pubblica degli enti locali che andrà a regime come minimo fra quattro o cinque anni. Come affermava giustamente il collega Nannicini, senza federalismo non c'è uno spazio o un futuro e si deve passare dall'inferno al paradiso. Il periodo in cui dobbiamo sopportare questa attesa è tale per cui molti enti locali, sia comuni, sia province, non hanno più lo spazio economico e fiscale di entrate proprie per poter resistere.
L'esempio è dato anche dal taglio previsto dal decreto-legge n. 78 e dalla manovra finanziaria che stiamo elaborando in Commissione bilancio. A me piacerebbe capire quanto i grandi comuni e le grandi province abbiano intenzione di aiutare i piccoli comuni e le piccole province a traghettare in modo tale da avere la forza di poter resistere durante questo spazio politico ed economico e riuscire ad avere le soddisfazioni derivanti dall'attuazione del federalismo fiscale.
Vorrei anche e soprattutto sapere quanto, secondo i presidenti dell'ANCI e dell'UPI, siano utili, nel senso di capaci di dare soddisfazione alle esigenze dei cittadini, i piccoli comuni e le piccole province e se essi hanno in mente una dimensione minima entro la quale o con la quale si possano dare effettivamente risposte vere ai cittadini. Stiamo parlando dei fabbisogni standard, che potrà offrire il comune di Torino, ma non quello di Gifflenga, che conta 40 abitanti, pur avendo le stesse competenze a livello costituzionale. Questo punto è pacifico.
Bisogna capire quanto sforzo intendano compiere anche i sindacati degli enti locali per accorpare, se hanno il desiderio al loro interno di affrontare questo tema. Altrimenti non riusciamo a procedere.
Parla il presidente di una piccola provincia, quella di Biella, che il presidente Chiamparino conosce bene. L'anno prossimo, se arriveranno i tagli, così come sono stati stabiliti - le grandi realtà provinciali non dovranno subire alcun tipo di taglio soprattutto perché non hanno più trasferimenti - molte province nella situazione di Biella andranno dai prefetti, consegneranno le chiavi e i loro bilanci saranno redatti dal Ministero dell'interno.
È una questione reale che sollevo da leghista, federalista e parlamentare che vuole attuare il federalismo fiscale. In questo lasso di tempo bisogna, però, trovare una sintesi per cui i grandi comuni e le grandi province debbano aiutare i comuni e le province più piccoli.

MASSIMO VANNUCCI. Il presidente Rossi ha espresso il parere delle regioni a statuto speciale di non far parte di questa partita e sembra che la Conferenza delle regioni abbia fatto propria questa richiesta.
Siamo, però, di fronte a un decreto che si riferisce alla determinazione dei fabbisogni


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standard di comuni e città metropolitane. Ciò significa che non ci dobbiamo occupare dei comuni e delle province delle regioni a statuto speciale, perché ovviamente la determinazione dei fabbisogni standard incide sul rapporto tra la regione e i propri comuni?
Se così fosse, mi sembrerebbe una richiesta che va oltre le prerogative. A questo punto, girerei la domanda ai presidenti Chiamparino e Castiglione, come ANCI e UPI. Forse ero distratto, ma, visto che il tema ha preso questa direzione, è bene ribadirlo.

PRESIDENTE. Mi permetto solo di ricordare che la legge n. 42 del 2009, per un verso, prevede già l'istituzione dei tavoli ad hoc regione per regione con il Governo e, per un altro, le norme che nascono dalle Commissioni paritetiche attraverso il processo di attuazione.
Essa segna anche il termine della delega, il 21 maggio del 2011. Possiamo parlarne o non parlarne, rilevarlo espressamente oppure no all'interno del decreto, ma la legge prevede alcuni elementi e va rispettata. È ovvio che ogni regione speciale è diversa dalle altre. Esprimo una banalità, ma, in caso contrario, l'aggettivo «speciale» non avrebbe alcun significato.
Mi pare, quindi, che continuare a discettare sul fatto che si parli o non si parli delle regioni a statuto speciale sia un fuor d'opera. Se si vuole mettere in chiaro - e su questo punto solo le regioni a statuto speciale insistono molto - che questo decreto non si occupa delle regioni a statuto speciale, va benissimo: è assolutamente corretto. In ogni caso, però, le norme che varranno in tali regioni non potranno essere meno garantiste dei diritti dei cittadini di quelle valide per altre regioni che non hanno la stessa specialità. È assolutamente impossibile che ciò possa accadere.
Bisognerà provvedere attraverso le norme di attuazione e i tavoli di confronto, che dovranno esaurire, non solo essere instaurati e iniziare il loro lavoro, entro la data del 21 maggio 2011. È corretto o sto commettendo un errore? Mi pare che sia così.

GIUSEPPE CASTIGLIONE, Presidente dell'UPI. La posizione dell'UPI era piuttosto chiara. È un tema molto delicato. Peraltro, lo afferma il presidente di una provincia in una regione a statuto speciale: a nostro avviso la legge n. 42 non esclude l'applicazione alle regioni a statuto speciale.
Per noi è anche un obiettivo di carattere politico. Vogliamo, al pari delle altre province italiane, entrare in questo processo di realizzazione dei fabbisogni standard e, quindi, dei costi standard.
Per quanto ci riguarda, dunque, la nostra posizione è molto chiara ed è un obiettivo a cui lavoriamo quello per cui anche in Sicilia e nelle regioni a statuto speciale si applichi il decreto sui fabbisogni standard.

PRESIDENTE. Per tranquillizzare la senatrice Thaler, che si sta agitando e allarmando, preciso che stiamo affermando che comunque tutto ciò avverrà attraverso le procedure costituzionalmente garantite e, quindi, le Commissioni paritetiche, i tavoli di confronto e altro.
Ciò che ho aggiunto e che mi sta confermando anche il presidente Castiglione, a nome dell'UPI e delle province di una regione a statuto speciale, è che non possiamo lasciare una parte del Paese fuori da questo tipo di previsione. Ce ne occuperemo attraverso le procedure citate in un confronto diretto tra regione a statuto speciale e Stato, ma entro quel termine e seguendo tali procedure.
Dopodiché, se SOSE vi andrà o non vi andrà, è un problema che esamineremo a parte.

GIUSEPPE CASTIGLIONE, Presidente dell'UPI. Noi andiamo un po' oltre e non parliamo delle procedure previste per le regioni a statuto speciale. Sosteniamo, invece, che la legge n. 42 per quanto riguarda i comuni e le province sui fabbisogni standard si applica anche alle regioni a statuto speciale.


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Se si decide diversamente, chiediamo che venga scritto espressamente che il decreto non si applica ai comuni e alle province delle regioni a statuto speciale. Noi non condividiamo questa posizione. Chiediamo che il decreto venga applicato anche ai comuni e alle province delle regioni a statuto speciale.

PRESIDENTE. Presidente Castiglione, questa è un'affermazione di cui noi certamente dobbiamo tenere conto. Solleciterei però una posizione, se possibile, unitaria delle regioni a statuto speciale. Stando a quanto sentivo riferire dal presidente Rossi, mi sembrava vi fosse una situazione leggermente diversa.

GIULIANO BARBOLINI. Vorrei rivolgere una domanda telegrafica, ringraziando tutti i contributi, in particolare al sindaco Chiamparino.
Sulla questione vedo che nel documento che ha depositato l'ANCI - non mi è sembrato di coglierlo nel suo intervento, ma, se l'aveva trattata, chiedo scusa - mi interesserebbe approfondire la questione relativa al tema investimenti.
Voi auspicate nel documento che il decreto articoli meglio anche la questione degli investimenti, che riveste ovviamente una valenza strategica nel governo dei fabbisogni e nell'individuazione delle opportunità di intervento. Mi interessava questo tema e, in particolare, sapere se avete anche maturato alcune indicazioni o indirizzi da esplicitare.
Colgo l'occasione per rimarcare anche un'altra carenza, relativa ai criteri per la definizione dei meccanismi di carattere dei fabbisogni perequativi anche dal punto di vista degli investimenti per supportare le aree più carenti dal punto di vista delle dotazioni infrastrutturali. Vorrei sapere se questo è un elemento che rientra e in che termini in una valutazione e in una metodologia che deve tener molto conto anche di questo fattore.

PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la replica.

SERGIO CHIAMPARINO, Presidente dell'ANCI. Tenterò di fornire risposte in stile verbale di procura, per aiutare, come spero, il vostro processo decisionale.
Comincio con la domanda del senatore Barbolini. La risposta è affermativa. Quando ho fatto riferimento, in modo un po' generico, alla necessità di rivedere e approfondire alcuni criteri metodologici che nel decreto ci paiono altrettanto generici, alludevo anche alla questione di considerare gli investimenti. La risposta è, quindi, senz'altro positiva.
Rispondo affermativamente anche al discorso che lei accennava sui rapporti perequativi. Avvicinandomi alla prima delle richieste dell'onorevole Causi e di altri parlamentari, quando mi riferivo alle necessità di precisare meglio, alludevo al fatto che per i comuni, a parità di funzioni fondamentali, il contesto del territorio in cui si inscrivono può rappresentare una differenza significativa da molti punti di vista: l'anagrafe in un comune di un dato tipo può essere diversa da quella in un comune con caratteristiche sociali diverse e un tasso di invecchiamento della popolazione differente, per portare un esempio.
Rispondo all'onorevole Causi e al senatore Vitali. Per quel che riguarda sia i cosiddetti LEP, sia gli obiettivi di servizio, siamo assolutamente d'accordo che, se ci sono i margini per aggiungere e modificare il testo, ciò sia utile. A nostro avviso, ciò riguarda però alcuni servizi, perché non tutte le funzioni fondamentali dei comuni possono avere lo stesso riferimento. L'esempio dell'anagrafe mi sembra emblematico.
Le politiche sociali e i servizi educativi sono sicuramente, invece, un esempio di tipo opposto. Se si riesce e se la Commissione valuterà di aggiungere, noi siamo assolutamente d'accordo e lo stesso discorso vale, analogamente, per gli obiettivi di servizio come base di riferimento per calcolare il costo standard o industriale della prestazione.
Vorrei svolgere anche un'osservazione sul primo intervento del presidente La Loggia. Credo che le funzioni fondamentali - non so se si riferiva a questo punto


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- debbano essere finanziate tutte integralmente. Se ci sono comuni che non le esercitano, ritengo che ciò apra un problema su come tali risorse possano essere distribuite e con quali parametri.

PRESIDENTE. Non c'è dubbio. Occorre trovare un itinerario.

SERGIO CHIAMPARINO, Presidente dell'ANCI. Non mi permetto di criticare l'intervento, però la sua considerazione poteva lasciare spazio al fatto che, nel tenere conto delle differenze, mancasse la considerazione che le funzioni fondamentali devono essere finanziate. Se una non si svolge, occorre che i soldi relativi vadano ad altri.

PRESIDENTE. Ci sono microcomuni - in Piemonte ne esistono un'infinità e, quindi, li conoscerà bene, come anche in Lombardia, in Veneto e in tante altre parti d'Italia - in cui si pone un problema di base sociale, di numero di abitanti e di base contributiva. Il comune di Moncenisio, che conta 35 abitanti, che servizi essenziali può svolgere? Se si mette insieme con un'altra ventina di comuni forse li può attuare.
Dobbiamo porci il problema e non possiamo fare finta che non esista. Poiché i comuni di questo genere in Italia sono quasi 4.000, comincia a diventare un tema serio.

SERGIO CHIAMPARINO, Presidente dell'ANCI. Chiarito questo aspetto, sulla questione della specialità noi siamo assolutamente d'accordo - non vi ho fatto riferimento e me ne scuso - affinché i comuni delle regioni a statuto speciale entrino dentro al processo federalista, sia per quanto attiene al decreto in esame, sia più in generale. Diversamente, si rischia di costruire un federalismo a stratificazioni geologiche, che non avrebbe molto senso.
Spero che questa sia una risposta sufficiente. L'onorevole Vannucci si è espresso in modo chiaro. Rischieremmo di trovarci con comuni di regioni confinanti che hanno un regime fiscale radicalmente diverso nel 2014.
Per quanto riguarda la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, anche noi l'abbiamo sollecitata. Ciò mi permette di integrare il discorso con una questione che non avevo affrontato prima. Siamo molto preoccupati, al di là del decreto - voglio lasciare a verbale anche questo punto - del rischio che gli effetti della manovra possono determinare sulle basi stesse di partenza del federalismo.
L'intervento dell'onorevole Simonetti, presidente della provincia di Biella, il quale sa quanto mi stiano a cuore la provincia di Biella e il comune di Gifflenga, è una buona testimonianza in questa direzione. Gli rispondo che per i piccoli comuni, parlando della Carta delle autonomie locali - faccio riferimento all'assemblea che abbiamo tenuto a Riccione - abbiamo proposto un sistema di incentivazione della costruzione di aggregazioni più ampie che consentano di dare tali risposte.
Dal punto di vista della manovra, però, mi permetto di richiamare l'attenzione sul fatto che vi è un problema generale di quantità che nessuna aggregazione di piccoli comuni può consentire, almeno a parere nostro, di ovviare.
Mi pare di aver risposto a tutte le questioni poste.

GIUSEPPE CASTIGLIONE, Presidente dell'UPI. Sulle regioni a statuto speciale mi pare di aver risposto.
Per quanto riguarda la Conferenza permanente anche noi l'abbiamo sollecitata ufficialmente, perché la riteniamo uno strumento importante. Insistiamo, quindi, su questa richiesta.
Per il resto confermiamo la nostra volontà di credere in questo processo e in un Paese federale che l'abbracci in maniera armoniosa, dalla Sicilia al Trentino. Per quanto ci riguarda siamo assolutamente d'accordo perché il decreto si applichi ai comuni e alle province.
È da vedere sul piano procedimentale, però sul piano politico ribadiamo che anche i comuni e le province, soprattutto queste ultime, si inseriscano nel processo


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di attuazione del federalismo e che si superi la spesa storica con il meccanismo dei costi standard, come l'abbiamo discusso stasera.

ENRICO ROSSI, Presidente della regione Toscana. La risposta che posso dare sulle regioni a statuto speciale è semplice. Dal momento che le regioni non sono state coinvolte nel processo di stesura del provvedimento, la regione Friuli-Venezia Giulia - è pur vero che ci sono regioni con statuti speciali diversi - fa presente che questo provvedimento toccherebbe potestà primarie in tema di ordinamento degli enti locali. Toccherà poi al Parlamento e al Governo assumere provvedimenti.
Questa è l'informazione specifica che posso dare. Non sono in grado di fornirne altre.

PRESIDENTE. Credo che a questo punto possiamo anche concludere la nostra seduta. Ringrazio il presidente Chiamparino, il presidente Castiglione, il presidente Rossi e gli altri che hanno voluto partecipare per il contributo offerto nonché per i documenti depositati, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegati).
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 21,40.

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