Sulla pubblicità dei lavori:
Stefano Stefani, Presidente ... 3
Audizione del Ministro dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti, Corrado Passera, sulla promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Stefani Stefano, Presidente ... 3 6 8 19
Russo Paolo, Presidente ... 6 23
Bellotti Luca (PdL) ... 18
De Camillis Sabrina (PdL) ... 16
Delfino Teresio (UdCpTP) ... 16
Di Biagio Aldo (FLpTP) ... 10
Dima Giovanni (PdL) ... 17
Fava Giovanni (LNP) ... 8
Formisano Anna Teresa (UdCpTP) ... 12
Froner Laura (PD) ... 11
Garagnani Fabio (PdL) ... 18
Gava Fabio (Misto-LI-PLI) ... 12
Narducci Franco (PD) ... 13
Passera Corrado, Ministro dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti ... 4 17 19
Pianetta Enrico (PdL) ... 17
Picchi Guglielmo (PdL) ... 9
Piffari Sergio Michele (IdV) ... 16
Urso Adolfo (Misto-FCP) ... 14
Vico Ludovico (PD) ... 10
Vignali Raffaello (PdL) ... 15
Zucchi Angelo (PD) ... 18
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare:
Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.
Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 11.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti, Corrado Passera, sulla promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane.
Saluto i presidenti delle Commissioni Attività produttive e Agricoltura e tutti i colleghi, ringraziandoli della presenza. Rivolgo un ringraziamento anche al Ministro Passera per la sua disponibilità.
Signor Ministro, desidero sottolineare l'importanza della promozione all'estero e dell'internazionalizzazione delle imprese italiane nell'attuale economia caratterizzata dalla crisi. Forse è pleonastico, ma mi consenta di ribadirlo.
I più accreditati studi sulla materia hanno infatti dimostrato che ogni investimento in tale direzione ha uno straordinario effetto moltiplicatore. Ciò vale ancora di più per un'economia come la nostra, fortemente proiettata verso l'estero e dipendente dalla competitività. Ho ancora in mente alcuni dati, prodotti dai tedeschi e fornitimi dieci o dodici anni fa, che sostenevano che ogni lira investita in promozione ne faceva tornare 73. Non so se questi dati siano aggiornati, ma credo siano ancora abbastanza utili.
Sotto questo aspetto, ritengo sia una responsabilità primaria del Parlamento seguire con la massima attenzione l'adozione delle misure più idonee a sostenere le aziende e i prodotti italiani all'estero, molto più di quanto non sia stato fatto per il passato e di quanto abbia saputo fare sino a oggi l'Istituto nazionale per il commercio estero (ICE), la cui inadeguatezza è da tempo sotto gli occhi di tutti gli operatori e in particolare delle piccole e medie imprese. Basta dire che soltanto il 15 per cento del suo personale, quindi 95 unità su 657 - è un dato raccapricciante - è dislocato nella rete estera, mentre tutti gli altri sono qui in Italia.
Personalmente, ho preso l'iniziativa di presentare la proposta di legge C. 1938 per trasferire al Ministero degli affari esteri la gestione dell'ICE. Dai tempi in cui ho esercitato le funzioni di governo in qualità di sottosegretario al commercio estero, infatti, ho potuto verificare un grande cambiamento di mentalità nella carriera diplomatica, in cui si è radicata una forte propensione alla promozione del sistema Paese al punto che una direzione generale del Ministero degli affari esteri ha assunto questa dizione nell'ultima riorganizzazione di quel Dicastero. Successivamente, ho
preso atto di un diverso orientamento maturato in sede di governo sia dal precedente esecutivo che dall'attuale, anche se la materia è stata oggetto di interventi legislativi piuttosto discordanti che non hanno certo favorito la continuità e l'affidabilità del sostegno alle imprese.
Ricordo che, in un primo tempo, il decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, aveva soppresso l'ICE, trasferendo le sue competenze al Ministero dello sviluppo economico e al Ministero degli affari esteri. Successivamente, il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, ha ricostituito l'ente come Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, prevedendo una cabina di regia formata dal Ministero dello sviluppo economico, da quello degli affari esteri e da quello dell'economia e delle finanze. Pertanto, ritengo particolarmente importante ascoltare direttamente il Ministro Passera, per quanto di sua competenza, sulle prospettive del settore e sulla configurazione della nuova agenzia.
Nel ringraziarlo nuovamente, do quindi la parola al Ministro Passera per lo svolgimento della sua relazione.
CORRADO PASSERA, Ministro dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti. Grazie, presidente. Vorrei fornire alcuni spunti sui temi che lei ha indicato per lasciare più tempo possibile alle domande e alle risposte. È un fatto che le esportazioni e l'internazionalizzazione delle imprese italiane siano la principale leva di crescita del nostro Paese. Sappiamo che già oggi circa un terzo del nostro PIL dipende dalle esportazioni e che per le imprese italiane c'è uno spazio di crescita su tanti mercati.
Difatti, le imprese italiane hanno punti di forza inequivocabili in tanti settori. Si citano sempre i famosi quattro settori dell'automazione industriale, del «sistema moda», del «sistema casa» e quello agroalimentare, ai quali possiamo aggiungere turismo, salute e tanti altri. Comprendiamo, quindi, che una buona parte della nostra economia può crescere se sa servire i bisogni crescenti del resto del mondo.
Nel passato, il nostro sistema industriale e di servizi si è concentrato soprattutto sulle destinazioni europee. È chiaro, però, che gran parte dello spazio futuro riguarderà soprattutto i Paesi emergenti a più alta crescita. Peraltro, mese dopo mese vediamo già crescere la nostra penetrazione, come Paese, in queste piccole economie crescenti, quindi vi sono segnali positivi.
In sostanza, il primo punto riguarda l'enorme importanza delle esportazioni e dell'internazionalizzazione. Dopodiché, bisogna domandarsi cosa si può fare per supportare lo sforzo degli imprenditori in questa direzione. Certamente, uno dei temi è la promozione, ma non è l'unico. Credo, quindi, che dobbiamo avere un quadro generale più ampio per poi collocare più in dettaglio il lavoro dell'ICE.
Personalmente, vedo tre grandi aree di attività per favorire l'internazionalizzazione delle imprese italiane. Prima di tutto, tanto più le imprese raggiungono la loro dimensione critica, tanto più sono forti, tanto più sono patrimonializzate, tanto più hanno i mezzi per poter investire in internazionalizzazione. Una delle prime iniziative prese con il decreto «salva Italia» è stato puntare a rafforzare le imprese e a favorire e incoraggiare gli imprenditori che mettono soldi nelle loro imprese. Penso, in particolare, all'aiuto alla crescita economica (cosiddetto ACE), ma anche all'intervento sull'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), per complessivamente 6 miliardi, che vanno nella direzione del rafforzamento dimensionale e patrimoniale. Ovviamente, si dovrà fare di più per adottare tutte le misure che rafforzano le aziende, ma non necessariamente mettendo in esse nuovo capitale. Mi
riferisco, infatti, alle reti di impresa e al fatto di favorire fiscalmente fusioni e consolidamenti. Tuttavia, il primo capitolo è certamente quello del rafforzamento patrimoniale e dimensionale.
Vi sono, poi, gli strumenti per supportare lo sforzo di internazionalizzazione, in particolare i servizi legati alla promozione, all'informazione e alla formazione. Sono,
però, altrettanto importanti i servizi legati alla finanza per l'esportazione. Tutto ciò che riguarda formazione, informazione, promozione e scouting all'estero è il compito che affidiamo all'ICE, ma non dobbiamo dimenticare un altro settore nel quale l'Italia non è storicamente forte, ovvero quello degli strumenti finanziari all'internazionalizzazione, i cui principali attori oggi sono la Società italiana per le imprese all'estero (Simest), la SACE Spa - Servizi Assicurativi del Commercio Estero e la Cassa depositi e prestiti.
Sul fronte finanziario, stiamo cercando di assicurarci una capacità di supporto in termini sia di export finance, sia di assicurazione all'esportazione e agli investimenti, sia di intervento di capitale sulle aziende che investono in progetti di internazionalizzazione, creando maggior raccordo fra queste tre entità. In questo quadro, è forte il ruolo della SACE Spa; sicuramente è di soddisfazione quello svolto dalla Simest ed è crescente quello, come export finance, della Cassa depositi e prestiti.
Tornando al tema dell'ICE e ai servizi di formazione, ritengo che bisogna creare le competenze per andare all'estero, soprattutto in relazione all'informazione sui mercati esteri e alla promozione. Come sapete, il nostro Paese - unico tra i grandi Paesi del mondo a fare una scelta di questo genere - aveva deciso di abolire l'ICE. Si è poi deciso - giustamente - di fare marcia indietro e di costituire una nuova Agenzia, che tenga conto delle lezioni e degli errori del passato, ma anche delle grandi potenzialità che altri Paesi dimostrano si possono cogliere in questo settore. Si è creata, quindi, una nuova ICE che ha la caratteristica, forse fondamentale, di saper lavorare insieme.
Signor presidente, lei accennava al tema della collocazione dell'ICE, se dovesse essere prevista presso il Ministero degli esteri o altrove. Ebbene, poco importa, perché un grandissimo passo avanti è che l'ICE riconduca a una cabina di regia che metta insieme il meglio delle competenze sia del Ministero degli esteri, sia di quello dello sviluppo economico, sia di tutti coloro che possono contribuire a far vivere questa iniziativa, come le associazioni di categoria, le regioni e le camere di commercio. Insomma, mi sembra superato il problema del riferimento ministeriale poiché l'ICE ha come chiaro punto di riferimento una cabina di regia in cui sono presenti tutte le entità ministeriali e imprenditoriali più interessate allo sviluppo estero.
Il nuovo ICE sarà più piccolo in dimensione, ma molto più focalizzato sulle attività da svolgere. Faremo poi in modo che man mano che le attività crescono possano aumentare anche le risorse. In ogni caso, il nuovo ICE avrà innanzitutto un chiaro punto di entrata e uno di uscita per i suoi servizi perché in passato non era facile comprendere come si potessero usare i servizi dell'ICE, ma soprattutto - come lei ha giustamente accennato - non era forte la presenza sul campo delle strutture all'estero. Pertanto, sapendo che le risorse sono limitate, abbiamo deciso di evitare che sui mercati esteri ci siano tante piccole attività separate tra loro, svolte un poco dall'ICE, un poco dalle ambasciate, un poco dalle Camere di commercio, facendo in modo che queste tre entità - le ambasciate, l'ICE e le Camere di commercio italiane all'estero - lavorino insieme. Infatti, quando ciò accade, la forza di fuoco sui
vari Paesi può essere molto più forte.
In particolare, l'ICE fa coordinamento, ma il ruolo dell'ambasciata diventa fondamentale. Peraltro, molto spesso l'Agenzia è fisicamente all'interno dell'ambasciata, cosa che raddoppia enormemente la nostra presenza, evitando di far disperdere le risorse che nel passato ognuno orientava nella propria direzione. Come casello di entrata in Italia abbiamo le camere di commercio, che sono molto presenti anche nella cabina di regia dell'ICE. Anche le associazioni di categoria hanno un ruolo importante, senza contare che le banche possono rappresentare un ulteriore punto di entrata.
In sostanza, rispetto alla situazione che abbiamo ereditato in cui tutti facevano tutto, con una molteplicità di entità che si
occupavano di supporto all'internazionalizzazione, stiamo costruendo due motori di servizio, uno intorno all'ICE, per l'informazione, la formazione e la promozione, e un altro intorno alle tre entità che ho citato, Cassa depositi e prestiti, SACE e Simest, per la parte finanziaria. Inoltre, senza disperdere le risorse, vogliamo avere dei chiari punti di entrata in Italia, come le camere di commercio, le associazioni di categoria e le banche. Infine, intendiamo garantire una presenza unitaria e coordinata all'estero attraverso il lavoro integrato di ambasciate, uffici dell'ICE e camere di commercio italiane all'estero.
Se associamo questo tipo di riorganizzazione agli interventi che abbiamo cominciato a fare e che dovremo incrementare in termini di sviluppo e di rafforzamento dimensionale e patrimoniale delle aziende e di promozione di iniziative come le reti d'impresa, consentendo loro di mettersi insieme su iniziative di internazionalizzazione, proprio per poter far fronte all'insufficiente dimensione delle singole aziende, credo che qualcosa si potrà muovere nella giusta direzione. È ovvio che stiamo parlando di risorse ancora molto limitate, anche perché per adesso stiamo lavorando con quello che abbiamo ereditato. Tuttavia, dimostrando l'utilità di queste nuove strutture, nel tempo vorremmo aumentare molto le risorse disponibili.
Invece, quanto al supporto finanziario, lo sviluppo della SACE e della Simest e il crescente interesse e impegno della Cassa depositi e prestiti fanno pensare che potremmo recuperare, in questo campo, il ritardo accumulato rispetto ad altri Paesi.
In sintesi, il messaggio che portiamo alle Commissioni è che abbiamo messo insieme le tante iniziative tra loro scoordinate, realizzandole in maniera unitaria. In particolare, ci stiamo ponendo degli obiettivi di crescita quantitativa dell'export, andando a vedere in quali settori e in quali Paesi c'è maggiore spazio e dirigendo lo sforzo verso di essi. È chiaro, del resto, che non possiamo essere presenti con la stessa intensità in 180 Paesi diversi, ma è altrettanto evidente che concentreremo gli sforzi là dove ci viene segnalata, soprattutto dal mondo dell'impresa, la necessità di una maggior presenza.
Ecco, non aveva senso non avere una Trade Agency come tutti gli altri Paesi. Crediamo che chi si occupa di promozione all'estero debba anche aiutare gli investimenti all'estero e, verosimilmente, anche favorire gli investimenti in Italia, altro settore nel quale abbiamo scarsa forza. Infatti, il nostro Paese, pur avendo tutti i numeri per poter attirare investimenti esteri, oggi richiama molto meno investimenti esteri di quasi tutti i Paesi similari. Questo succede per le ragioni più diverse, ma le due principali sono da collegare a un sistema giudiziario e legale che non garantisce gli investitori esteri e soprattutto alla mancanza di una chiara interlocuzione con le amministrazioni sia locali che centrali in occasione degli investimenti. Tuttavia, questo è un tema diverso, anche se, nel lavorare sull'ICE, ci occupiamo anche di questi aspetti.
Ho concluso la mia breve introduzione per poter dare maggiore spazio alle eventuali domande.
PRESIDENTE. Grazie, signor Ministro. Do la parola al presidente della Commissione agricoltura, Paolo Russo, che ha chiesto di intervenire.
PAOLO RUSSO. Come presidente della Commissione agricoltura desidero richiamare l'attenzione del Ministro e delle Commissioni sul ruolo del settore agroalimentare, non solo per il peso che ha sul PIL nazionale o nel commercio con l'estero, ma anche per il valore trainante che il made in Italy agroalimentare ha per la promozione dell'immagine del nostro Paese, come ben sa chiunque abbia fatto una visita all'estero. Infatti, il settore agroalimentare italiano rappresenta circa il 9 per cento degli scambi commerciali con l'estero. In particolare, il settore agroalimentare italiano ha registrato un aumento delle esportazioni nel 2011 - che hanno un valore più o meno di 30 miliardi di euro - dell'8,5 per cento rispetto al 2010; l'aumento del 2010 rispetto al 2009
era stato del 12,8 per cento. Abbiamo, insomma, un trend assolutamente positivo in questa direzione.
Per il settore agricolo, forse più che per altri settori, la capacità di affermarsi sui mercati esteri assume un valore strategico in uno scenario che vede significativamente aumentare i costi di produzione, peggiorare le ragioni di scambio e che prospetta, nella nuova PAC e nel nuovo quadro finanziario europeo, una prevedibile riduzione degli aiuti diretti al reddito. Le imprese agricole sono, quindi, forzate a ricercare un incremento dei ricavi sui mercati, specialmente internazionali, perché solo questi possono offrire opportunità, soprattutto per le produzioni di qualità.
Sono ben note le caratteristiche delle nostre aziende, citate anche quest'oggi nell'introduzione del Ministro, soprattutto di quelle agricole, particolarmente deboli in questa azione di inserimento nelle dinamiche commerciali a causa delle dimensioni inadeguate, della debolezza finanziaria, della loro frammentazione, della difficoltà di organizzarsi per aumentare la capacità operativa e negoziale complessiva e dell'inesistenza di canali commerciali e di distribuzione capaci di veicolare le produzioni nazionali all'estero. Tutto ciò è ancora più amplificato nel Mezzogiorno, dove vi è addirittura una scarsa propensione alla crescita.
Per queste ragioni, riteniamo necessario sostenere gli sforzi delle imprese che in questi anni hanno molto investito nella qualità, riuscendo anche a raggiungere obiettivi straordinari. Abbiamo, perciò, salutato con favore l'iniziativa del Governo che nel suo primo provvedimento ha riconosciuto la necessità di dotare il sistema nazionale di un operatore pubblico specializzato nella promozione dei prodotti italiani nel mondo e nel sostegno all'internazionalizzazione delle imprese.
Tuttavia, ricordo che, sebbene i settori agricoli e agroalimentari siano esplicitamente evocati nelle norme che riguardano la nuova agenzia, nella cabina di regia chiamata a definire le linee guida e l'indirizzo strategico in materia di promozione e internazionalizzazione delle imprese, anche per quanto riguarda la programmazione delle risorse, non sono stati inseriti né il Ministro delle politiche agricole, né i rappresentanti delle organizzazioni agricole. Non vorrei manifestare una sorta di complesso di inferiorità, di cui pure l'agricoltura soffre ormai in modo evidente, ma solo comprendere dal Ministro come intenda affrontare, nello svolgimento concreto delle politiche che è chiamato ad attuare, i temi e i problemi propri dell'agroalimentare, ovvero come intenda valorizzare le grandi opportunità che offre il patrimonio agroalimentare dei nostri territori e coinvolgere il mondo agricolo nella definizione degli obiettivi e degli
strumenti.
D'altra parte, dobbiamo riconoscere che, a questo riguardo, il comparto agroalimentare viene da un'ulteriore esperienza non positiva. Mi riferisco alla Buonitalia Spa, creata nel 2003 quale strumento operativo del Ministero delle politiche agricole con le finalità di promuovere e diffondere nel mondo la conoscenza del patrimonio agricolo e agroalimentare italiano ed erogare servizi alle imprese per favorirne l'internazionalizzazione. Oggi, la società è in liquidazione per la perdita del capitale sociale, dopo aver svolto un'attività troppo spesso più di catering che di promozione. Invitiamo, perciò, a fare tesoro di questa esperienza negativa, puntando a una seria organizzazione e finalizzazione delle attività da svolgere che consenta di evitare sovrapposizioni e dispersioni, causa di debolezza e scarsa incisività del sistema.
Con l'occasione, vorrei anche riconoscere al Ministro di essere intervenuto per correggere l'azione dei soggetti pubblici, ed in particolare della Simest, in relazione alla necessità assoluta di contrastare la pratica dell'Italian sounding e di assicurare l'obiettivo di una corretta e trasparente informazione al consumatore circa l'origine delle produzioni estere, con specifico riferimento al settore agroalimentare. Ricordo, a questo proposito, la recente direttiva del Ministro che ha chiesto alla Simest di revocare gli atti relativi a
partecipazioni deliberate a favore delle imprese operanti nel settore agroalimentare, nel caso in cui le società attivino pratiche commerciali tali da indurre in errore i consumatori sull'origine o sulla provenienza dei prodotti.
Si tratta di una questione della quale la Commissione Agricoltura si è a lungo occupata e che costituisce un fattore di danno enorme sia materiale che d'immagine per i nostri produttori, a discapito del loro impegno sulla qualità, sulla sicurezza e sulla genuinità degli alimenti prodotti, ma anche per l'economia italiana nel suo complesso, come dimostra la vicenda di talune internazionalizzazioni che, di fatto, non sono altro che delocalizzazioni di lavoro e di conoscenze, con un profilo che si ripercuote negativamente sul fronte della competizione dei prodotti agricoli italiani.
Ringrazio, quindi, il Ministro della sensibilità dimostrata nel comprendere come questo sia un tema non solo caro a noi, ma anche centrale per il Paese sotto il profilo produttivo e ancor di più etico.
PRESIDENTE. Vorrei ringraziarla, signor Ministro, sottolineando che concordo perfettamente con la sua disamina. Lei ha voluto citare un organismo che ci costa meno degli altri, le camere di commercio italiane all'estero, di cui entrambi riconosciamo l'utilità. Inoltre, ho sentito con piacere che è inutile spargere in mille rivoli le poche risorse che abbiamo, ma occorre concentrarsi sugli obiettivi.
Siccome vi sono molti iscritti a parlare, prego i colleghi di attenersi ai tempi. Do ora la parola ai deputati che intendano intervenire per porre domande o formulare osservazioni.
GIOVANNI FAVA. In tre minuti bisognerà intervenire per slogan, cosa che non farà bene al dibattito, stante l'importanza delle tematiche che stiamo affrontando.
Signor Ministro, lei ha parlato dell'ICE. Ecco, io vorrei che un giorno si dilettasse a fare una ricerca su tutto quello che abbiamo prodotto in questo Parlamento, in termini di interrogazioni e altro, sull'ICE. Per esempio, personalmente, fui firmatario di un'interrogazione che chiedeva per quale motivo e con quali funzioni all'ICE venivano promossi dei dirigenti che facevano gli agronomi. Mi fu risposto che i dirigenti che facevano gli agronomi avevano la funzione di misurare le dimensioni delle banane. Se non fosse stata una cosa simpatica, credo che questa risposta avrebbe fatto arrabbiare tutti.
Insomma, ritengo che occorresse da molto tempo un ripensamento generale sul ruolo e sulle funzioni dell'ICE. Purtroppo, ci siamo arrivati tardi. Mi auguro, però, che questa situazione congiunturale della quale dobbiamo tutti prendere atto ci aiuti a far sì che questi strumenti che dovrebbero essere di promozione del made in Italy nel mondo non si trasformino, ancora una volta, in inutili carrozzoni, buoni solo per garantire prebende a soggetti che, diversamente, avrebbero scarse possibilità di trovare spazio nell'impresa privata.
Vorrei focalizzare l'attenzione su due questioni che lei ha posto. Ha parlato di rafforzamento dimensionale e patrimoniale. Al di là del tema delle reti di imprese, di cui parliamo da vent'anni, ma che, di fatto, ha prodotto pochissimi risultati, in relazione al rafforzamento dimensionale, dobbiamo sempre tener conto di un dato fisiologico del nostro sistema, fatto di aziende che mediamente occupano 7 addetti, senza considerare che per il 90 per cento di queste siamo su numeri molto inferiori, compensati da alcune poche residue grandi industrie. La questione dimensionale è, quindi, importante. Ugualmente, è importante il tema del cosiddetto rafforzamento patrimoniale.
Vorrei chiederle, tuttavia, come può essere coerente il ragionamento di chi parla di rafforzamento patrimoniale dopo aver approvato un provvedimento - il cosiddetto «salva Italia» - in cui si riporta il capitale delle società a responsabilità limitata a un euro, cosa che è esattamente in controtendenza rispetto a quanto sta dicendo. Se è vero come è vero che da tutte le autorevoli istituzioni finanziarie europee ci viene detto che le nostre imprese sono sottocapitalizzate, dovete
spiegarmi come si può giustificare questo tipo di intervento in una logica che dovrebbe andare verso il rafforzamento patrimoniale delle imprese. Questo è assolutamente contraddittorio, per cui credo che lasci il tempo che trova anche perché ritengo che sul versante liberalizzazioni i risultati saranno molto pochi in termini concreti.
Vorrei riprendere l'intervento del presidente Russo su due questioni, in primo luogo il tema della contraffazione e dell'Italian sounding, che credo che debba diventare una battaglia di civiltà esportabile, alla quale dobbiamo partecipare tutti. Dico questo non solo perché sono presidente della Commissione di inchiesta sulla contraffazione, ma perché sono estremamente convinto che, finché ci limitiamo ad adottare regole rigide all'interno del nostro Paese, non risolviamo il problema, considerato che il nostro sistema è facilmente aggredibile dall'estero per cui tutto quello che avviene fuori, paradossalmente, rischia di diventare più importante rispetto a quanto accade sul fronte interno.
Vorrei chiudere ricordando che il ruolo della Simest è a dir poco grottesco, per usare un eufemismo. Infatti, abbiamo vissuto vicende al limite dell'attentato al sistema Italia poiché la Simest interviene direttamente in aziende che fanno apertamente Italian sounding. Sotto questo aspetto, il caso di Lactitalia è emblematico; in sostanza, abbiamo finanziato un'attività in Romania che produce prodotti che richiamano prodotti italiani e che vanno in giro per il mondo a ingigantire la dimensione dell'Italian sounding, già di per sé pazzesca perché raggiunge i 60 miliardi di euro nel mondo. Questa cifra è più del doppio delle esportazioni del nostro vero made in Italy agroalimentare; il che significa che se non mettiamo mano una volte per tutte ad accordi bilaterali forti possiamo aprire tutti i desk che vogliamo senza, però, risolvere i problemi
dell'internazionalizzazione delle imprese.
GUGLIELMO PICCHI. Signor Ministro, grazie della sua relazione. È indubbio che il commercio estero sia una delle poche leve di sviluppo di questo Paese, per cui intervenire su questo tema è fondamentale. A dire la verità, però, ci aspettavamo un intervento con maggiore anticipo.
È evidente che dobbiamo pensare alla riorganizzazione dell'ICE, ma non basta trasformare l'istituto in agenzia, come è stato delineato. Bisogna andare a incidere, invece, sull'operatività in loco. Difatti, da anni si parla di coordinare le camere di commercio con l'ICE e le ambasciate, ma chi da anni vive e lavora all'estero, come me, sa che ci sono dei fattori specifici, come le invidie tra l'addetto commerciale, il presidente della camera di commercio e gli altri operatori in loco, che rendono vano il bell'esercizio di coordinarsi. Occorre, quindi, creare protocolli, convenzioni e modalità operative con cui rapportarsi e che siano a sostegno delle imprese. Pertanto, vorrei sapere qualcosa di più a questo riguardo. Come si pensa, insomma, che questa operatività possa effettivamente realizzarsi?
È altrettanto indubbio che lasciare fuori dalla riorganizzazione dell'ICE il settore di promozione agroalimentare e il turismo rappresenta un passo indietro. Infatti, è fondamentale che le iniziative di promozione agroalimentare, essendo rilevantissime per il nostro export, siano ricomprese nell'attività dell'agenzia, superando il cattivo esempio di Buonitalia. In altri termini, occorre un approccio onnicomprensivo di promozione del Paese all'estero; non si possono promuovere tre settori, lasciandone fuori uno, per giunta fondamentale per noi.
Inoltre, l'agenzia deve avere un ruolo nella lotta alla contraffazione affinché possa acquisire sul territorio tutti gli elementi che possono sfuggire ad altri, operando, in tal modo, come un'antenna della lotta alla contraffazione.
Concordo sul fatto che è stata creata, a monte dell'agenzia, una cabina di regia con la politica estera perché quest'ultima si fa anche con la politica economica. L'Italia è un Paese che dovrebbe utilizzare maggiormente questa leva. Non la utilizza e questo è un fattore di debolezza che
penalizza le nostre esportazioni. Occorre, quindi, rafforzarsi su tutte le missioni di sistema, anche perché siamo totalmente assenti in varie aree che potrebbero essere, potenzialmente, fondamentali per il nostro Paese.
Vorrei, poi, sottolineare il fatto che tutte le altre agenzie estere omologhe dell'ICE hanno una parte relativa all'attrazione degli investimenti. Per esempio, se gli inglesi hanno commercio e investimento nelle due direzioni, non capisco perché noi non possiamo fare altrettanto. Pertanto, occorre un maggiore coordinamento dell'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa (Invitalia), anche con la Simest, la SACE e la Cassa depositi e prestiti, cercando di non duplicare le competenze di questi organismi. Come gruppo parlamentare, siamo disponibili a confrontarci su questa tematica dentro e fuori il Parlamento, ma credo che occorra fare di più. Peraltro, in Parlamento ci sono tutte le competenze per un miglioramento.
LUDOVICO VICO. Signor Ministro, vorrei formulare alcune riflessioni rapidissime, nel tempo consegnatoci, in ordine alla legge 22 dicembre 2011, n. 214, che istituisce nuovamente l'ICE. Ciò mi consentirà di non parlare dei danni che abbiamo avuto nei mesi passati, prima della legge. Vorrei discutere, insomma, delle criticità. Innanzitutto, nella legge non si parla di piccole e medie imprese. Le chiedo allora alcune informazione in ordine all'organizzazione strutturale della legge.
In secondo luogo, ho l'impressione che la dotazione delle risorse umane - come lei ha detto nel suo breve intervento - sia di gran lunga inferiore rispetto ai grandi competitori inglesi, francesi e tedeschi e particolarmente ai penultimi, che continuano a fare shopping nel nostro Paese sotto tutti i punti di vista.
In terzo luogo, abbiamo l'impressione di vedere nella legge n. 214 una riduzione del personale dipendente che si concentra nelle 300 unità dell'ICE, mentre si moltiplicano gli incarichi dentro la cabina di regia. Tuttavia, penso che successivamente capiremo meglio cosa vuol dire.
Inoltre, la nuova agenzia viene sottomessa a una doppia vigilanza. Non le sembra che le procedure operative rischino di diventare più farraginose rispetto all'aspettativa che imprese e cittadini hanno di ottenere una riduzione dei tempi?
Un altro aspetto poco chiaro - almeno fino a questo momento - della legge n. 214 riguarda il ruolo della rete estera, che è la questione che ha consentito al Governo in carica di ripristinare l'ICE. Questa, infatti, è inserita nelle rappresentanze diplomatiche che esercitano una funzione di vigilanza e di direzione.
Ancora, per quale ragione nella cabina di regia non è prevista la partecipazione dell'agenzia? Ecco, questo ci sembra - anche come contributo alla discussione e a questa audizione - un aspetto imprescindibile.
Infine, per quale ragione non è prevista, nell'attività nazionale dell'agenzia, l'opzione di avere, oltre all'ufficio di Roma e di Milano, un ufficio nel Mezzogiorno? Ella comprenderà che in quei territori c'è una necessità di accelerazione dei processi di internazionalizzazione.
Si pone, poi, il corrispettivo problema del mantenimento dei coordinamenti regionali, che per ora non sono definiti. È ovvio che stiamo parlando delle normative, che sono sempre molto complicate.
ALDO DI BIAGIO. Signor Ministro, mi preme ringraziarla della sua presenza e del valido contributo all'approfondimento e all'analisi della tematica dell'internazionalizzazione delle imprese, che meriterebbe di essere sempre e comunque una priorità tra le intenzioni del Governo. La ringrazio dell'analisi puntuale, della chiarezza e della pragmaticità. La avverto, però, che troverà nelle ambasciate una confusione forse inaspettata.
Passo alle domande. Ho bisogno di un chiarimento su alcuni aspetti che probabilmente esulano dalla sua ricostruzione, avendo una natura sindacale. Vorrei capire a che punto è la riorganizzazione
dell'ICE (l'attuale Agenzia per la promozione all'estero) e in che modo si è inteso risolvere il problema delle risorse investite dagli imprenditori per partecipare alla filiera internazionale e alle iniziative proposte all'ICE che non sono state più realizzate a seguito della scellerata abrogazione dell'ente.
Inoltre, vorrei condividere con lei la questione del futuro di RetItalia internazionale Spa. Questa è stata una società in house all'ICE, ma all'indomani della legge 15 luglio 2011, n. 111, che ha di fatto soppresso l'ICE, la priorità dell'azienda è passata all'ACE e al Ministero dello sviluppo economico con la legge n. 214 del 2011. Mi risulta, però, che l'amministrazione si stia completamente disinteressando alla gestione dell'indirizzo strategico della società, non affidando a RetItalia alcuna attività e decretandone dunque la crisi. Ora, il contributo di collaborazione svolto in questi anni da RetItalia è stato senza dubbio di valore e di grande professionalità, ma sono ormai otto mesi che la società vive una grave crisi determinata da una riduzione delle commesse affidate dall'ex ICE e dal Ministero dello sviluppo economico. Di recente, il consiglio di amministrazione è
arrivato a ridurre l'orario e i compensi dei lavoratori, ignorando qualsiasi accordo sindacale. Parliamo di circa 70 famiglie che rischiano di trovarsi senza lavoro perché non vi sono riscontri da parte dell'amministrazione. A tal riguardo, vorrei comprendere che tipo di iniziative sono previste al momento per salvare RetItalia.
LAURA FRONER. Innanzitutto ringrazio il Ministro di questa audizione che avevo richiesto in Commissione in quanto relatrice delle proposte di legge citate dall'onorevole Stefani. Proprio alla luce di ciò che è avvenuto, cioè della cancellazione dell'ICE prima e dell'istituzione della nuova agenzia poi, è necessario sentire da parte del Governo quali siano le intenzioni rispetto al proseguimento della riorganizzazione della materia.
A questo proposito, vorrei fare una considerazione di fondo. Mi chiedo, infatti, se l'importanza dell'internazionalizzazione per il nostro Paese non richieda anche da parte nostra una maggiore ambizione. Guardando ad altri Paesi e ad altre esperienze, vediamo che la Germania ha acquistato notevoli quote di mercato in Brasile, Russia, India e Cina (cosiddetti «Paesi BRIC»), grazie anche a politiche organiche e coerenti del sistema delle imprese, delle istituzioni e delle amministrazioni competenti.
Vorrei sottoporle, in particolare, due questioni. Sono sicuramente positive le iniziative concrete che vengono intraprese anche dal nostro Paese in questo campo, ma non sarebbe il caso di pensare a un riordino complessivo della materia e della relativa disciplina che aiuti a un maggiore coordinamento e a capire le strategie, evitando la dispersione di risorse e di iniziative adottate anche a livello regionale? Sotto quest'aspetto, è indubbio che si tratta di una competenza delle regioni, ma c'è bisogno - come diceva anche lei - di razionalizzare l'uso delle risorse e di concentrarle in modo da renderne più efficace l'effetto.
Un'altra questione che le sottopongo riguarda gli ottimi risultati che ha raggiunto la SACE, anche in termini di bilancio, e che potrebbero indurci a una politica più dinamica e proattiva per allargare la platea delle imprese che possono avvalersi della garanzia di tale società. Mi riferisco, in particolare, alle medie e piccole imprese perché, se è pur vero che c'è bisogno di patrimonializzare e di rafforzare le imprese italiane, è anche vero che il tessuto produttivo che abbiamo a disposizione attualmente è diverso. Sappiamo, infatti, che è composto per la maggior parte di piccole e medie imprese, per le quali dobbiamo pensare sicuramente in termini di rete e di strategie che vadano a sostegno della loro formazione e delle loro informazioni.
Non ripeto quanto ha detto il collega Vico rispetto alla rete dell'ICE sul piano sia estero che nazionale. È evidente, però, che abbiamo bisogno di rendere operative queste istituzioni. In particolare, l'agenzia deve essere messa in condizione di lavorare
al massimo delle sue possibilità, tenendo conto anche delle grandi professionalità e delle competenze del personale dell'ex ICE, che può essere pienamente utilizzato per dare seguito a quell'azione di internazionalizzazione che mai come in questo momento è stata tanto importante per il nostro Paese.
FABIO GAVA. Ringrazio anch'io il Ministro della sua audizione. In termini di inquadramento generale della situazione, condivido la sua esposizione, anche se credo che sconti qualche aspetto di genericità, avendo capito che siamo ancora in una fase di work in progress. Proprio perché ci troviamo in una situazione che va completata e implementata, vorrei soffermarmi su alcuni aspetti che anche lei ha ricordato.
Credo che le funzioni principali siano l'aiuto di accompagnamento sotto il rispetto sia finanziario sia di scouting, nonché una maggiore, migliore e più organizzata presenza nei Paesi. È evidente che dobbiamo intensificare la presenza nei Paesi più difficili, ma anche più interessanti per il nostro mercato dal punto di vista delle potenzialità. Faccio un esempio. C'è, probabilmente, meno necessità che la rete sia fortemente operativa in Europa, dove gli imprenditori si arrangiano da soli; invece, occorre che lo sia nei Paesi in cui le distanze culturali o geografiche possono rappresentare un elemento di ostacolo.
Credo anche che in questa fase di riorganizzazione occorra partire dalle maggiori difficoltà che sono state prospettate dalle imprese. Ricordo due problemi, che hanno carattere generale, ma coinvolgono anche molti aspetti particolari. Mi riferisco alla presenza estera non sufficientemente coordinata e alla poca assistenza finanziaria complessiva del sistema Italia nell'aiuto all'internazionalizzazione. Queste erano le lamentele ricorrenti. Su questo occorre, quindi, focalizzare molto modestamente l'attenzione. Insomma, bisogna partire, con modestia appunto, dagli aspetti che funzionavano meno bene, o non andavano affatto, proprio per cercare di dare una svolta sotto il profilo organizzativo.
Ritengo anch'io che la visione non possa che essere olistica, nel senso che tutti i settori devono essere rappresentati. Peraltro, il nostro agroalimentare - come accade per la moda - ha una caratteristica di valorizzazione del made in Italy che può essere perfino di traino rispetto ad altri prodotti, pertanto deve essere integrato in questo sistema. Credo, insomma, che in questa riorganizzazione vada presa in considerazione la necessità di una visione complessiva, che includa anche gli aspetti finanziari.
ANNA TERESA FORMISANO. Ringrazio anch'io il Ministro. Non ripeterò le considerazioni già formulate da alcuni colleghi della Commissione attività produttive. Mi soffermerò, in particolare, su tre aspetti.
Il Ministro sa bene che una legge votata all'unanimità dal Parlamento italiano è stata quella sul made in Italy. Purtroppo, abbiamo, però, verificato tanti ostacoli a livello europeo su questo terreno. Vengo così alla prima questione. Abbiamo in mente di portare avanti, come Governo italiano, una qualche azione nei confronti dell'Europa, visto che l'unico Paese che ha da rimetterci sul made in siamo noi?
Inoltre, lei ha parlato dell'export come fattore che costituisce un terzo del PIL. In Commissione attività produttive, abbiamo costantemente avuto in audizione i rappresentanti delle piccole e medie imprese (Confartigianato, Rete Imprese Italia; insomma il mondo imprenditoriale). È emersa - cosa che è sotto gli occhi di tutti - una lamentela forte da parte delle piccole e medie imprese. Infatti, quelle di loro che decidessero di affacciarsi sul mercato dell'export non hanno strumenti e risorse adeguati per farlo, pur avendo un prodotto appetibile per il mercato estero. Allora, che misure vogliamo mettere in campo per aiutare le piccole imprese a esportare, qualora avessero volontà e prodotti per poterlo fare?
Concludo con l'ultima domanda, ma non in ordine di importanza. Lei ha parlato di un un'organizzazione del punto di entrata in Italia, pensando alle camere di commercio, alle banche e alle associazioni imprenditoriali. Mi permetto sommessamente di dire che manca un altro elemento importante. Infatti, in Italia abbiamo una rete capillare di consorzi industriali che è uno strumento operativo importante per le imprese. Esiste anche una Federazione nazionale dei consorzi industriali (FICEI). Credo, quindi, che non sarebbe errato ipotizzare, al fianco delle tre strutture da lei citate (banche, Camere di commercio e associazioni imprenditoriali), la presenza dei consorzi industriali, anche perché, visto che parliamo da tanto tempo di impresa in un giorno, sono coloro che devono rilasciare materialmente le famose autorizzazioni per gli imprenditori che vogliono iniziare una nuova attività nelle aree industriali. Insomma, credo che anche questo sarebbe un segnale
importante, anche per non ripetere la «bella figura» fatta con la Ikea non troppo tempo fa.
FRANCO NARDUCCI. Vorrei ringraziare il Ministro perché mi pare che il Governo abbia le idee molto chiare sulle esportazioni e sul ruolo dell'ICE. Il problema è come tradurle in azione concreta, tenendo conto di tutte le problematiche che ci trasciniamo, come le già citate gelosie o la questione degli addetti commerciali.
Signor Ministro, le camere di commercio italiane all'estero sono fondamentali. Sono numerose; lavorano bene e sono le uniche che raccordano il nuovo protagonismo degli italiani all'estero, che fanno impresa e guardano ai nostri mercati e ai nostri prodotti, rappresentando una grandissima risorsa per il nostro Paese, che, forse, i governi hanno sempre sottovalutato. Considerando l'esempio alla Germania, notiamo che i pilastri sono tre: formazione e forte azione interna, forte promozione all'esterno e ruolo politico del Governo in raccordo con i Land.
Ecco, abbiamo bisogno di fare sistema, come fanno i tedeschi. Questa è la carta vincente. Le nostre imprese sanno che cos'è l'internazionalizzazione. Basta vedere i risultati del 2011; anche se abbiamo avuto aumenti consistenti in Europa, abbiamo incrementi meno esaltanti nei Paesi emergenti, specialmente nel continente asiatico, rispetto soprattutto ai tedeschi; abbiamo, però, un forte aumento per quanto riguarda i prodotti di alta qualità. Pertanto, nel quadro piuttosto desolato dell'economia italiana del 2011, l'unica carta vincente mi pare siano proprio le esportazioni.
In questo ambito abbiamo, però, un ulteriore problema rispetto ai tedeschi, quello delle infrastrutture. Per esempio, non capisco perché i colossi asiatici, come la Corea o il Giappone, abbiano come loro porti di riferimento Tolone e Barcellona e noi abbiamo il grande problema, soprattutto per quanto riguarda l'ortofrutta, dei nostri porti liguri, sui quali il Governo credo debba puntare di più sul piano infrastrutturale.
Tra l'altro, occorre considerare anche la strozzatura che si avrà con la chiusura del San Gottardo, tenendo conto che il Ticino è uno dei centri logistici principali di smistamento dell'ortofrutta, dovendo portare 10 mila container presso i nostri porti liguri, inadeguati per il momento a questa sfida. Bisogna, per esempio, che ci allacciamo al corridoio Amsterdam-Genova, quindi occorre investire di più in quella direzione. Gli svizzeri finiranno nel 2016, mentre, nel nostro caso, rischiamo di rimanere con le strozzature e le opere morte. Credo che lei abbia ben chiara la portata di questa sfida e di come il problema della rete infrastrutturale coinvolga anche le nostre aziende.
Concludo con un appello. Il Governo deve fare qualcosa di più verso le banche, signor Ministro. Parliamo di internazionalizzazione e di esportazione quando le nostre imprese sono soffocate dalla mancanza di credito o di fideiussioni. Allora, come vogliamo realizzare questi obiettivi? Ieri ho incontrato un imprenditore italiano che opera a Monaco di Baviera con
200 dipendenti; costruisce ponti e grosse opere in Tunisia, in Svizzera e così via, ma è strozzato dalle nostre banche. Ecco, questa è una sfida che il Governo deve raccogliere per aiutare il nostro sistema delle imprese, non solo quello che esporta, ma anche quello interno. In Germania - ripeto - c'è una forte azione interna per incentivare la promozione all'estero.
ADOLFO URSO. Signor Ministro, vorrei dedicare un minuto del mio intervento alla promozione e due minuti all'internazionalizzazione.
Prima il presidente Stefani citava un dato tedesco relativo alla promozione fieristica. Noi abbiamo il secondo sistema fieristico in Europa, il quarto nel mondo. Avevamo fatto un accordo con questo sistema per un calendario fieristico nazionale unico sul campo internazionale. Che fine ha fatto quell'accordo?
È stato citato il ruolo della Simest, che è una società in utile. Credo che lo scorso anno abbia avuto 12 milioni di euro di utili, quindi non è a carico dello Stato. Partecipa a 500 imprese italiane all'estero, quindi ha un ruolo fondamentale. Se oggi le medie imprese multinazionali italiane sono il miracolo economico di questo Paese, ciò è dovuto anche alla Simest.
Invece, passando alla SACE, le chiedo, signor Ministro, di quanto è esposta la SACE con il gruppo Carnival e con l'Iran. Le pongo questa domanda perché sappiamo che la SACE è esposta con il gruppo Carnival, a livello privato, in maniera significativa. Ugualmente, sappiamo, per la nostra consapevolezza istituzionale, che la SACE è esposta con l'Iran, anche se l'abbiamo bloccata in questo processo. Peraltro, questo è il Paese nei confronti del quale siamo maggiormente esposti a livello globale. Parlo di questo non a caso, ma in riferimento a eventi che potrebbero accadere.
Le chiedo, inoltre, se la Cassa depositi e prestiti, oltre che acquisire le eventuali azioni pubbliche della SACE e della Simest - cosa che ritengo lodevole - possa anche intervenire, come avevamo predisposto con una direttiva in tal senso, a finanziare essa stessa le operazioni di internazionalizzazione attraverso la SACE e la Simest. Credo che questo sia possibile, come avevamo elaborato con l'allora presidente Bassanini.
Per quanto riguarda la promozione, le chiedo se non sia il caso di attuare la legge approvata da questo Parlamento all'unanimità nel 2004-2005 sugli «sportelli Italia». Infatti, quella legge già prescrive la realizzazione degli sportelli, nonché la partecipazione «coatta» di enti e Ministeri. Anche in quel caso, c'era, poi, un riferimento specifico persino alle banche, oltre che al sistema fieristico. Tuttavia, purtroppo, per diversi motivi, è stata attuata soltanto in parte.
Aggiungo che sull'internazionalizzazione i problemi veri sono le regole, non gli enti promozionali. A tal proposito, le chiedo se il Doha Round può ripartire. Credo che si possa riprendere dopo il ciclo elettorale, come è accaduto sempre nella storia dei round commerciali. Mi riferisco al ciclo elettorale dell'Occidente. In pratica, dopo la rielezione di Obama, l'America sarà pronta all'accelerazione sul Doha Round; ciò vale anche nel caso di Sarkozy e della Merkel. Le chiedo, pertanto, di predisporre un piano di intervento attraverso la Commissione europea affinché il round di Doha si sblocchi dopo le elezioni americane. Questa è una cosa importantissima per l'Italia.
Nel dettaglio, all'interno del Doha Round, le chiedo di fare particolare attenzione ai cosiddetti «ostacoli non tariffari», che sono il principale problema delle esportazioni italiane. La vera difficoltà non sono i dazi o gli accordi bilaterali, ma gli ostacoli non tariffari, ovvero quelli apposti, specie da alcuni Paesi emergenti (Cina e India), ma anche dagli Stati Uniti, per impedire, attraverso sotterfugi, che le merci delle piccole imprese possano entrare in alcuni campi.
Inoltre, mi giunge notizia che siamo in procinto di realizzare l'accordo di libero scambio tra Unione europea e Stati Uniti, che ritengo abbia, per le imprese italiane, un valore dieci, cento, mille volte maggiore
di un buon istituto del commercio con l'estero. A questo riguardo le pongo due domande specifiche.
Con riferimento all'India - parlo anche delle questioni che abbiamo in campo con questo Paese - le chiedo se non ritiene di dare un segnale forte, attraverso l'Unione europea e in particolare la Commissione europea, che ha le competenze in materia, facendo leva sull'accordo di libero scambio tra l'Unione Europea e l'India. Infatti, l'India vuole fortemente raggiungere questo obiettivo, peraltro contrastante con gli interessi delle imprese italiane, almeno per la parte che conosco. Ecco, si potrebbe per far capire che l'Italia non darebbe mai il suo consenso se l'India non dovesse sbloccare il problema che abbiamo in questo momento.
Nel contempo, in occasione della visita del Presidente del Consiglio in Cina ho letto che, in merito agli investimenti cinesi in Italia, uno degli scambi che avrebbe prefigurato con questo Paese sarebbe la concessione alla Cina, da parte dell'Unione europea, dello status di economia di mercato. Le chiedo, allora, se il Governo italiano abbia scelto di dare il via libera alla Commissione europea per il riconoscimento dello status di economia di mercato alla Cina, anche perché ciò renderebbe più difficile attuare i sistemi di difesa di cui oggi le imprese italiane possono usufruire attraverso l'Unione europea. Siamo, infatti, il Paese che meglio tutela, con l'antidumping e l'antisovvenzione, le imprese italiane nel contesto internazionale. Viceversa, ove quel riconoscimento fosse dato, sarebbe più difficile tutelare dal dumping e dalla sovvenzione le imprese italiane che operano nei mercati internazionali.
Infine, siamo un sistema di legislazione concorrente, il che vuol dire che, per quanto riguarda promozione e internazionalizzazione, il ruolo dello Stato e delle regioni è paritario. Allora, qual è il ruolo delle regioni nella nascente agenzia? Qual è, poi, il ruolo che si potrebbe svolgere attraverso gli accordi di programma con le regioni? In particolare, vorrei sapere se questi sono proseguiti e in che direzione perché - ripeto - siamo in un regime di legislazione concorrente.
RAFFAELLO VIGNALI. Vorrei porre tre questioni. In Parlamento spesso discutiamo di strumenti, ma raramente di obiettivi. Da questo punto di vista, le chiedo se non sia il caso di predisporre un vero e proprio programma strategico triennale e annuale in riferimento all'internazionalizzazione. Spesso i cosiddetti «programmi strategici» erano, di fatto, delle liste della spesa. Credo, invece, che abbiamo bisogno di un programma vero e proprio, con la definizione degli obiettivi.
Inoltre, rispetto alla nuova ICE e a tutte le altre agenzie, vorrei chiederle quali strumenti di monitoraggio e di valutazione si intendono mettere in campo sia ex ante che ex post. In passato, si è ritenuto che l'ICE fosse uno schifo, ma è difficile dirlo, visto che faceva anche tante cose positive, per esempio, con i nostri distretti. Tuttavia, se non si fa un monitoraggio e una valutazione, è difficile poter giudicare. Insomma, abbiamo bisogno di poter valutare. Personalmente, sarei anche per finanziare sul risultato e non ex ante per il semplice fatto di esistere.
In terzo luogo, i Governi che si sono succeduti hanno sostenuto soprattutto le grandi imprese nei processi di internazionalizzazione, spesso anche attraverso accordi con gli altri Governi. Non c'è niente di male in questo. Ciò nonostante, credo che ci sia la necessità di coinvolgere maggiormente le piccole e medie imprese. Faccio un esempio. Se vi va a Belo Horizonte, in Brasile, si scopre che, quando arrivò, tantissimi decenni fa, la FIAT si portò dietro l'indotto, facendolo crescere e internazionalizzare. Quindi, le grandi imprese sono evidentemente anche navi scuola per l'internazionalizzazione. Oggi, questo meccanismo è scomparso; le grandi imprese vanno all'estero, senza portarsi dietro l'indotto. Mi chiedo, pertanto, se non si possa pensare a un maggiore impegno del Governo, anche con un sistema
di premialità, nei confronti di chi coinvolge l'indotto, con particolare attenzione alle piccole e medie imprese.
TERESIO DELFINO. Mi associo al ringraziamento al Ministro. Per parte mia, vorrei dire che non sono tifoso del «grande è bello». Nel sistema Italia, la grande e la piccola e media impresa svolgono entrambe ruoli essenziali. A questo proposito, vorrei sollevare alcune questioni.
Se l'export è cresciuto, malgrado tutte le carenze che abbiamo avuto, ciò dipende dalla capacità del nostro tessuto produttivo - per come è oggi - di fare impresa e di muoversi. Per il futuro, vanno molto bene le azione coordinate; tuttavia, non ho sentito nella sua introduzione un richiamo al ruolo delle regioni e degli enti locali. Vorrei, pertanto, capire questo punto, nel contesto dell'azione di riordino, ammodernamento e innovazione della promozione e dell'internazionalizzazione.
Inoltre, riguardo alla questione della qualificazione e della semplificazione degli strumenti soprattutto finanziari e assicurativi, la denuncia che più sento rivolgermi quando partecipo a incontri, peraltro spesso promossi dalle locali Camere di commercio, è che le regole non sono chiare e i tempi di risposta indefiniti. Pensiamo, visto che è anche nella sua competenza, signor Ministro, che abbiamo contratti di programmi regolarmente approvati - parlo del settore agroalimentare - datati 2004. Ecco, se questo vale per l'interno, figuriamoci per l'esterno. Occorre, quindi, una qualificazione e una semplificazione degli strumenti.
In terzo luogo, come è stato detto poc'anzi, occorrerebbe misurare l'efficacia degli interventi. Sarebbe necessaria un'azione che, senza mettere in dubbio il sostegno e l'erogazione, permetta di capire se gli interventi effettuati sono rispondenti alla possibilità di grande crescita che lei ha prospettato.
Avrei ancora altre due questioni. La prima, rispetto a Buonitalia, è stata già richiamata autorevolmente dal presidente Russo. Vorremmo, infatti, che in questo riordino ci fosse anche il riassorbimento di questa società, con le sue professionalità.
L'ultima questione - magistralmente toccata dall'onorevole Urso - riguarda i negoziati internazionali. Infatti, chi ha avuto modo di partecipare nell'attività di Governo all'estero conosce i limiti del WTO, del Doha Round o anche di altri tipi di accordi europei che creano situazioni innovative. Allora, come si innesta questo progetto nel contesto degli accordi internazionali?
SERGIO MICHELE PIFFARI. La presentazione del Ministro è partita dall'importanza dell'esportazione, che pesa per un terzo del PIL. Ebbene, la riorganizzazione dei nostri sportelli all'estero lascia sempre in disparte l'ENIT, come se il turismo fosse un qualcosa a sé. Per contro, sappiamo che l'esportazione che costa meno è proprio quella del turismo perché sono gli stranieri a entrare con valuta in Italia.
D'altra parte, credo che queste strutture non possano essere solo «timbrifici» in cui si passano delle carte, ma è importante avere programmi quantomeno triennali o quinquennali e verifiche, anche annuali, sui risultati.
SABRINA DE CAMILLIS. Prendo atto di quanto il Ministro ha detto e sono convinta che le iniziative che ci ha rappresentato, se si riuscirà a realizzarle, possano essere di grande importanza. Condivido, però, anche tutte le questioni e le preoccupazioni che il presidente Russo ha espresso in premessa. Essendo in Commissione Agricoltura, vorrei dire che il settore dell'agricoltura può rappresentare, insieme all'agroalimentare, una grande potenzialità per il nostro Paese, proprio in un momento di crisi come questo, se si riuscisse a intervenire in modo efficiente sulle debolezze dell'internazionalizzazione del settore agroalimentare.
Mi riferisco ad alcune questioni che le associazioni di categoria lamentano in più sedi. La prima è la frammentazione aziendale. È intenzione del Governo mettere in piedi qualche iniziativa per rafforzare il
sistema delle reti di imprese, cosa che consentirebbe loro anche di essere più forti per l'accesso al credito?
Il secondo aspetto è che questa dimensione piccola fa sì che sui grandi mercati che andrebbero aggrediti - come quelli della Cina e della Thailandia, dove si inizia a mangiare europeo e in modo particolare italiano e di qualità - e che hanno dei numeri enormi, le nostre piccole imprese diventano dei moscerini.
Un'altra questione è relativa alla mancanza di una rete di grande distribuzione italiana. Per esempio, in questo momento, la Francia, che sta lavorando molto sul settore agroalimentare verso i mercati cinesi, sta aprendo, attraverso Auchan e Carrefour, circa 2.000 punti vendita in quelle aree. È chiaro, quindi, che la Francia e le imprese francesi del settore agroalimentare avranno enormi vantaggi perché potranno usufruire di una loro rete di distribuzione. Ecco, è immaginabile da parte del Governo mettere su un'iniziativa che consenta al nostro Paese di recuperare lo svantaggio di non avere una sua rete di distribuzione?
ENRICO PIANETTA. La ringrazio, signor Ministro. Lei ha parlato di una cabina di regia, con ambasciate, nuova ICE e camere di commercio. Dal punto di vista concettuale, il coordinamento è fondamentale. Tuttavia, ha detto che poco importa per quanto riguarda i rapporti tra il Ministero degli affari esteri e il Ministero dello sviluppo economico.
CORRADO PASSERA, Ministro dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti. Ho detto che poco importa da chi dipende, visto che lavoriamo insieme.
ENRICO PIANETTA. Invece, credo che questo debba essere chiarito perché storicamente c'è sempre stata una complessità che poi inficiava tutto il coordinamento e ricadeva sulla sua efficienza. Pertanto, questa affermazione mi lascia molto perplesso, anche in ragione - come hanno accennato alcuni colleghi - del coordinamento e del ruolo delle regioni. Insomma, ritengo che questa modalità non debba essere considerata un fatto minimale o da trascurare.
Inoltre, lei ha fatto riferimento alle risorse limitate. Vorrei capire se, in prospettiva, ci sono degli incrementi perché si tratta - come ha detto il presidente - di investire, cosa fondamentale in un momento di difficoltà.
Infine, rispetto a promozione, informazione e formazione, vorrei chiederle di spendere qualche parola per quanto attiene alla formazione, che potrebbe essere legata anche alle associazioni di categoria. Ritengo, infatti, che questo sia un elemento fondamentale per creare le migliori condizioni in futuro.
GIOVANNI DIMA. Signor Ministro, la mia considerazione vuole essere anche una sorta di suggerimento. Delle quattro grandi aree che segnano l'esportazione italiana, mi riferisco in modo particolare al settore agroalimentare e agricolo, che si presenta, di impatto, in modo maggiormente frammentato. Tuttavia, la frammentazione del prodotto agricolo e agroalimentare italiano è anche e soprattutto una ricchezza perché il nostro territorio, da nord a sud, presenta una specificità di produzioni che ci rende assolutamente unici nel mondo. Da questo punto di vista, non siamo la Francia, la Germania o la Spagna, ma l'Italia che, con le sue caratteristiche fisiche, morfologiche e climatiche, ci ha reso unici anche nella fantasia agricola e quindi nella capacità di trasformazione. Se questa è sicuramente una ricchezza e se accanto a essa passa anche il concetto identitario, il territorio, la
storia, le tradizioni, i luoghi, il paesaggio e quant'altro, quale migliore occasione per poter trasferire all'estero questa nostra ricchezza in una visione intelligente e organica?
Mi permetto, quindi, di suggerire al Ministro di fare un raccordo intelligente con le regioni. Il collega Urso ha trattato questo aspetto con chiarezza. C'è, infatti, il rischio che quando si va a promuovere all'estero questa nostra ricchezza sia poco
coordinata. Molto spesso si esagera non solo con la regione, ma anche con le province, i comuni, i borghi e le contrade, dando all'estero la sensazione che questa grande potenzialità sia poco organizzata. Facciamo, allora, in modo che questo punto di forza sia valorizzato in modo intelligente e organico.
ANGELO ZUCCHI. Signor Ministro, abbiamo visto con grande positività la nascita dell'agenzia che si occupa di promozione all'estero e che dovrebbe - come ha detto lei - anche fare tesoro delle esperienze negative, da una parte, dell'ICE e dall'altra, della Buonitalia, l'altro ente che si occupava dell'internazionalizzazione dei prodotti agroalimentari e che sta velocemente andando verso il fallimento. Tuttavia, non vorremmo che l'assenza del Ministero dell'agricoltura dalla cabina di regia rappresenti una sottovalutazione della specificità del settore agroalimentare, al quale non possiamo pensare di dedicare attenzione, anche attraverso provvedimenti legislativi, solo in relazione alla crescita dimensionale. Difatti, la specificità di questo campo è tale da richiedere maggiore concentrazione riguardo alla qualità dei prodotti piuttosto che alla capacità di crescere dal punto
di vista dimensionale. Vorrei, pertanto, sapere, come viene rappresentata questa specificità nella sua iniziativa.
Vorrei ricordare che il citato fenomeno dell'Italian sounding, che, da stime fatte, rappresenta circa due volte e mezzo il valore del fatturato delle nostre esportazioni, significa, da una parte, che abbiamo una grande potenzialità di perforazione di alcuni mercati e, dall'altra, che dobbiamo incominciare a pensare a quali iniziative mettere in campo per contrastare questo fatto, che, oggettivamente, è complicato e difficile da combattere. Ciò nonostante, possiamo agire attraverso negoziati, accordi bilaterali e occasioni di moral suasion con altri Paesi. Insomma, non possiamo più trascurare questo tema.
Concludo ringraziandola della sua tempestività sulla questione Simest. Ha detto, peraltro, che verranno ridefinite le regole di ingaggio di questa società che si era «macchiata» di una sorta di Italian sounding casareccio. Ecco, a che punto è la costruzione di queste regole?
FABIO GARAGNANI. Vorrei porre due domande. Innanzitutto, se, anche alla luce dell'illustrazione del Ministro, il Governo intenda provvedere a una ridefinizione delle competenze e, più in generale, del quadro normativo delle camere di commercio presenti sul territorio. Spesso, infatti, si risolvono in un duplicato di settori del Ministero. Credo, per contro, che la loro funzione burocratica vada snellita e riformata profondamente con un'ulteriore integrazione con le aziende private presenti sul territorio, che sono già determinanti nel registro delle imprese. Occorre - ripeto - che siano profondamente riformate. Le camere di commercio hanno spesso l'ufficio rapporti o commercio con l'estero che spesso non so a cosa serva. Insomma, credo che occorra un ripensamento globale della loro funzione e del loro ruolo, anche in relazione a come sono dislocate in ogni provincia italiana.
In secondo luogo, ritengo che si imponga, a questo punto, una migliore ridefinizione del ruolo delle regioni, a proposito del quale si sta parlando anche di riforma costituzionale. Nello specifico, occorre considerare la concorrenza che molte regioni pongono in essere, di fatto, con l'ICE e con i Ministeri competenti. Non si tratta, naturalmente, di sopprimere la competenza delle regioni che molto spesso, conoscendo la realtà meglio di altri enti o dello stesso Governo, si fanno portatrici di interessi regionali anche a livello europeo. Tuttavia, credo che si imponga una migliore sinergia e una ridefinizione delle competenze.
LUCA BELLOTTI. Signor Ministro, ha iniziato parlando della necessità, per quanto riguarda l'internazionalizzazione, di affiancare al sistema produttivo nazionale anche quello bancario. La mia vuole essere anche una sorta di provocazione. Oggi, le banche non stanno assistendo nemmeno il sistema produttivo italiano.
Occorre, quindi, partire da questa riflessione. Mi auguro che, prossimamente, tutte le risorse provenienti dall'Europa a questo scopo possano essere rese utilizzabili dalle nostre imprese per quanto riguarda le esportazioni.
Nel settore agroalimentare, indirizziamo il 65 per cento di tutta la nostra produzione in soli quattro Paesi. È, quindi, assolutamente necessario tentare di capire il perché. Forse nel nostro Paese c'è un grande frazionamento e solamente le principali aziende agroalimentari (come la Barilla o la Ferrero) hanno in proprio le risorse e l'autonomia per poter affrontare i mercati stranieri. Tuttavia, il nostro settore agroalimentare è fatto di microimprese con 7, 8 o 9 addetti, che non sono in grado, da sole, di poter arrivare sul mercato.
Poc'anzi, la collega De Camillis faceva riferimento alla necessità di ripensare anche alla grande distribuzione, considerando che, nel settore agroalimentare, il 70 per cento di essa è in mano agli stranieri. Non abbiamo un benché minimo competitor che possa esportare le nostre migliori qualità all'estero. Credo che sarebbe importante pensare a consorzi o a una sorta di «casa Italia». Peraltro, ci sono anche proposte legislative in questa direzione.
Un'altra considerazione, associandomi ai colleghi, è che l'agroalimentare, negli ultimi 15 anni, ha dato all'Italia un incremento in termini sia di crescita sia di volume di fatturato molto maggiore rispetto a quello dell'auto. Si tratta, quindi, di un settore molto trainante. È evidente, però, che non possiamo andare all'estero - comuni, province e regioni - in ordine sparso. A volte facciamo addirittura ridere. Dobbiamo promuovere l'Italia e la sua qualità agroalimentare, solo così riusciremo, sebbene con poche risorse, a costituire una massa critica adeguata per riuscire a ottenere dei risultati importanti.
Vorrei, infine, fare un'ultima brevissima osservazione. Anche se non è oggetto dell'incontro di oggi, le faccio presente, in riferimento alla sua funzione di Ministro dello sviluppo economico, che, con la Commissione agricoltura, stiamo attendendo il decreto sulle rinnovabili, un settore vitale che può portare sviluppo e produttività, ma che, senza regole, si è fermato, gettando nella disperazione chi ha creduto nelle leggi di questo Paese.
PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Passera per la sua replica.
CORRADO PASSERA, Ministro dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti. Spero di aver segnato tutte le domande, che provo a ripercorrere, nei limiti del possibile.
Sul tema dell'importanza del settore agroalimentare, non si può non essere d'accordo. Proprio per questa ragione ed essendo molto vicino, in termini di collaborazione, al ministro Catania, ho messo a sua disposizione uno dei nostri posti nel consiglio di amministrazione affinché nell'operatività della nuova agenzia ci fosse una presenza forte della filiera dell'agroindustria. Pertanto, questo settore è fortemente e autorevolmente rappresentato.
Un altro tema sollevato da molti è l'Italian sounding che, in parte, esula dalle nostre responsabilità. Tuttavia, mi è sembrato giusto dare una chiara indicazione politica alla Simest, specificando che non sono autorizzati a fare interventi che, in qualche modo, siano legati ad aziende che cadono in quel tipo di errore di comportamento. Devo dire che il messaggio è passato chiaro e forte.
L'onorevole Fava ha fatto dei riferimenti a strani comportamenti di dirigenti precedenti. Questa è, forse, una delle ragioni per cui il Parlamento ha deciso di sopprimere l'ICE. Non credo che siamo arrivati troppo tardi. Tuttavia, in questi pochi mesi di attività, stiamo cercando di recuperare, come Governo, un bel ritardo.
Giustamente, l'onorevole Fava ha ribadito la necessità di rafforzare patrimonialmente e dimensionalmente le aziende. Non a caso, il primo e forse più grosso intervento quantitativo, in termini finanziari, che il Governo ha fatto, attraverso l'Ace e l'IRAP, investendo 6 miliardi nel «salva Italia», è stato proprio diretto a favorire il
rafforzamento delle aziende. Non mi sembra del tutto rilevante il cenno alle società a responsabilità limitata da un euro perché una cosa è il rafforzamento delle aziende medio-piccole e medio-grandi che devono crescere, un'altra è far nascere nuove aziende. Difatti, dobbiamo sia far nascere nuove aziende nel modo più semplice, veloce e non costoso possibile sia aiutarle a crescere.
Sono d'accordo con l'onorevole Picchi che non basta trasformare l'ICE in agenzia, né dire che dobbiamo coordinarci. Mi sembra, però, che siamo andati oltre rispetto a questo. In merito all'aver superato il problema del riferimento ministeriale, vorrei dire - e rispondo a tanti di voi - che l'ICE è una struttura del Ministero dello sviluppo economico, ma abbiamo pensato che fosse molto importante che a livello di cabina di regia ci fosse il coinvolgimento di entrambi i Ministeri perché ambasciate e uffici ICE lavoreranno insieme nella gran parte dei Paesi. Del resto, non c'è una soluzione ideale. Qualsiasi decisione avessimo preso, qualcuno avrebbe chiesto perché l'altro non era coinvolto. Insomma, per come si sono creati anche i rapporti personali e per come si è chiarita la responsabilità condivisa del rilancio dell'ICE, mi sembra che la scelta fatta sia stata la migliore possibile.
Per quanto riguarda, invece, il turismo abbiamo proposto al Ministro Gnudi di partecipare comunque alla cabina di regia, per cui anche da questo punto di vista pensiamo di aver superato il problema.
Riguardo al rafforzamento delle missioni di sistema, sono d'accordo, ma con una precisazione. Credo poco alle macromissioni, quelle per cui vanno in un Paese aziende di ogni tipo, settore e dimensione, mentre reputo molto più efficaci gli interventi approfonditi per cui il Governo, in appoggio a specifici settori, prepara degli incontri con precisione. Ciò non vuol dire che non ci saranno pure missioni di sistema, ma, anche per l'esperienza delle vite precedenti, posso dire che sono sempre più apprezzate, anche dagli interlocutori, missioni specialistiche e specifiche per singoli settori o più settori.
Nella mia introduzione credevo di aver parlato della questione di rendere attrattivi gli investimenti. L'idea è di mettere insieme e di avere un'unica responsabilità o almeno un unico punto di riferimento sia per gli investimenti verso l'estero che per quelli dall'estero verso l'Italia per non duplicare le funzioni.
L'onorevole Vico osserva che nella legge non si parla di piccole e medie imprese. Ecco, l'ICE è fatto solo per le piccole e medie imprese, atteso che le grandi imprese non ne hanno bisogno. Insomma, se ci sarà da chiarire lo faremo, ma l'ICE esiste per le piccole e medie imprese, non certo per la FIAT o per la Finmeccanica. Le assicuro, quindi, che nello spirito della legge che sta nascendo questo punto è molto chiaro.
Riguardo alla questione della dotazione non sufficiente di persone, siamo partiti da 300. È verosimile che non siano sufficienti, se riusciremo a fare delle cose. Insomma, sono dell'idea che si debba dimostrare di saper realizzare programmi e interventi e poi chiedere, risultati alla mano, maggiori risorse. È verosimile, quindi, che le chiederemo, ma queste richieste devono essere basate su piani molto concreti. Come molti hanno detto, occorrono piani che abbiano obiettivi chiari. Dicevo, appunto, che dobbiamo porci degli obiettivi anche quantitativi, per Paese e per settore, altrimenti non si potrà capire se i risultati ci sono stati. Difatti, se gli obiettivi sono solo qualitativi molto spesso è difficile fare una valutazione.
Inoltre, che nella cabina di regia non ci sia l'agenzia non vuol dire niente. L'agenzia è l'oggetto del controllo della cabina di regia; quest'ultima è fatta dagli azionisti che esprimono un consiglio, il quale gestisce l'agenzia.
Riguardo alla mancanza dell'ufficio nel sud, dovendo passare da 700 a 300 unità di personale, gli uffici sul territorio non potevano che essere pochissimi. Come lei sa, peraltro, una parte importante delle competenze dell'ICE erano nella sede di
Milano. Tuttavia, non escludo che nel rafforzamento successivo si possa pensare a un qualcosa di questo genere, che per ora, però, non c'è.
L'onorevole Di Biagio diceva che troverò le ambasciate in confusione. Il rapporto tra addetti commerciali delle ambasciate e il rappresentante della nuova ICE sul territorio è da costruire. Questa è una delle cose che qualifica questo esercizio. Certamente, lavorare separati era sbagliato, quindi dovremo imparare a lavorare insieme.
Riguardo a dove sono finite le risorse dei privati che erano state accumulate, posso dire che tutte le attività, circa 120, previste per il primo semestre di quest'anno, sono state comunque gestite dal Ministero. Pertanto, nessuna delle iniziative preventivamente programmate è andata perduta.
In merito a RetItalia Spa, si tratta di un'azienda che viveva solo di ICE. Peraltro, ci si deve chiedere se è giusto fare tutte queste società. Credo, per contro, che dobbiamo andare ad asciugare la struttura societaria che abbiamo creato in ogni settore per ragioni che sapete benissimo. RetItalia continuerà, probabilmente, a esserci per l'ICE ma non sarà della stessa dimensione del passato.
L'onorevole Froner consigliava maggiore ambizione. Ebbene, rimettere in moto l'ICE come abbiamo in mente, dopo averla chiusa e dopo i risultati del passato, rappresenta già un buon livello di ambizione. È chiaro che altri Paesi dimostrano che si può fare di più. Ci poniamo, quindi, certamente questo obiettivo, ma occorre procedere per gradi.
Come altri suoi colleghi, anche lei solleva il tema delle regioni. Devo dire che esse sono rappresentate nella cabina di regia. Tuttavia, il nostro auspicio è che, vedendo che l'ICE funziona, concentrino su di esso parte delle risorse che utilizzano diversamente. Soprattutto, essendoci una cabina di regia, un consiglio e un ICE funzionante, speriamo che venga meno la tendenza a fare ognuno per proprio conto. Anche per quanto riguarda le missioni, è importante sapere quantomeno chi intende fare che cosa. Insomma, se in tre devono andare in Brasile per un certo impegno, andarci insieme può essere utile. Credo che, anche da questo punto di vista, il meccanismo dalla cabina di regia sia un fatto rilevante. In tanti settori, il nostro Paese spreca risorse perché si vuol fare a livello di singola amministrazione locale attività che potrebbero essere fatte meglio a livello nazionale. Tuttavia, siccome questo è previsto dalla normativa
vigente e dalla Costituzione, dobbiamo convincere le regioni, grazie a strutture centrali funzionanti, a convergere sulle iniziative che si creano a livello statale.
L'onorevole Gava diceva che siamo ancora in fase di work in progress. Ebbene, non devo dire a voi qual è il processo attraverso il quale si possono selezionare le persone o con cui si possono individuare nuove strutture. Vi posso dire, però, che, anche se il processo sta seguendo le sue tempistiche, l'attività non si è fermata, come testimonia il fatto di aver individuato il consiglio d'amministrazione e di non aver interrotto nessuna delle iniziative intraprese, anche grazie allo spirito positivo del nostro Ministero e degli altri che vi collaborano. Il processo attraverso il quale dalle 700 unità di personale iniziali si arriverà a 300 prende, purtroppo, un tempo più lungo di quello che il buonsenso pretenderebbe.
È chiaro che con una struttura significativa, ma non enorme, dovremmo concentrarci in quei Paesi e in quei settori in cui c'è più potenziale per l'Italia. Come ha detto qualcuno, in alcuni Paesi non c'è più o c'è meno bisogno di supporto da parte di una struttura di promozione, mentre in altri, che per lingua, cultura, distanza e quant'altro risultano più complessi, c'è invece maggiore necessità.
All'onorevole Formisano rispondo che insisteremo sul made in Italy, ma - come lei sa - c'è un veto fortissimo da parte di alcuni grandi Paesi europei del nord. Pensiamo, però, che sia talmente importante che, anche a costo di essere sconfitti, si debba andare avanti.
Non mi sento di fare un discorso generale sugli strumenti per le piccole e
medie imprese. Mi limito a ribadire che l'ICE è uno strumento per le piccole e medie imprese. Inoltre, quando si parla di meccanismi di entrata e di utilizzo attorno all'ICE, probabilmente anche i consorzi industriali possono essere un tramite.
L'onorevole Narducci parla giustamente della vitalità delle camere di commercio italiane all'estero. A questo proposito, pensiamo di andare oltre la collaborazione tra ambasciate e ICE, valorizzando molto quelle entità, che sono profondamente private nello spirito, quindi imprenditoriali, e che rappresentano le aziende nei singoli Paesi più interessati. Crediamo, infatti, che in questo modo si possano avere dei risultati importanti.
Riguardo all'esigenza di fare sistema, mi sembra che, da tanti punti di vista, in questi quattro mesi si sia fatto più sistema che in altre occasioni. Storicamente, fare sistema non è una forza del nostro Paese, ma tutti insieme dobbiamo spingere in questa direzione.
Vorrei dire, poi, che l'importanza dei porti è fondamentale. Siccome è stato citato il tema con riferimento alla Liguria, tutto ciò che è in corso, in termini di infrastrutture ferroviarie, stradali e portuali, dimostra che ci si è mossi tenendo ben chiaro questo aspetto.
Passando al problema del credito, che è stato toccato anche da altri, sapete che, dal punto di vista dei numeri, negli anni passati il sistema bancario italiano e le imprese non bancarie hanno avuto un rapporto, anche in termini di volumi, migliore di quello di altri Paesi. Non c'è dubbio, infatti, che il sistema bancario italiano sia stato più vicino all'economia reale rispetto a quello di altri Paesi. Alla fine dell'anno scorso si è creato, poi, un insieme di eventi - le regole dell'European Banking Authority (EBA), che hanno tolto capitale, gli spread e la mancanza di liquidità sui mercati internazionali e la crisi economica che ha portato quasi 20 miliardi di perdita nei conti delle banche - che ha forzato un certo rallentamento che dobbiamo, però, in ogni modo contrastare.
Le scelte della BCE di ridare liquidità al mercato hanno permesso di rimettere in moto almeno la parte relativa alla liquidità. Tuttavia, dobbiamo sicuramente intervenire anche in termini di norme perché è assurdo che, per esempio, chi investe in finanziamenti al mondo pubblico (public finance) sia penalizzato, come oggi accade. Credo anche che l'ultima moratoria, che abbiamo favorito, con il mondo delle imprese, quindi dei debitori bancari, sia una mossa nella direzione giusta.
In merito all'attrazione e alla promozione attraverso il sistema fieristico non potrei essere più d'accordo con l'onorevole Urso. Lo stesso vale per l'utilità della Simest. Prendo, poi, atto delle due segnalazioni sui rischi della SACE. Mi sembra, però, che si apprezzi il tema di mettere insieme in coordinamento la Cassa depositi e prestiti, in quanto export bank, con la SACE e la Simest.
Riguardo allo «sportello Italia», so bene che è un auspicio già da tempo indicato. Forse, le ambasciate con l'ICE e con le Camere di commercio assomigliano e realizzano in parte le finalità dello sportello.
Molto importante è, inoltre, il tema delle norme. Vedremo dopo le elezioni americane. Personalmente, non sono particolarmente ottimista sul Doha Round, dato il tempo che si sta accumulando e l'assenza di risultati. Tuttavia, è chiaro che dopo il giro elettorale può darsi che si riapra la questione. Altrettanto importante è l'accordo commerciale con gli Stati Uniti. Concordo anche sul tema che è stato segnalato riguardo all'India. Invece, sullo status dell'economia di mercato da conferire alla Cina non sono preparato, non sapendo cosa è stato materialmente concordato durante la visita.
All'onorevole Vignali ribadisco, poi, che bisogna avere obiettivi chiari e non soltanto qualitativi, ma anche quantitativi. Occorre un programma triennale senza il quale monitoraggio e valutazione significano poco. Solo sulla base dei risultati si possono poi chiedere risorse aggiuntive e si può dare una valutazione di chi svolge il ruolo.
Sono d'accordo che non basta spingere soltanto le grandi imprese. A questo proposito, si faceva l'esempio della FIAT che, in taluni casi, si è portata dietro l'indotto. Ovviamente, questo è più un auspicio da parte nostra che un comportamento che possiamo imporre. Come sappiamo, sono poche le grandi aziende italiane che hanno un ruolo di traino e questa è proprio una delle nostre debolezze.
Siamo tutti d'accordo - ripeto - sul fatto che i tempi di risposta, in generale, devono essere più brevi, come anche sulla necessità di misurare l'efficacia degli interventi.
L'onorevole De Camillis ha evidenziato due fondamentali debolezze, la frammentazione aziendale, su cui qualcosa si è fatto, ma molto dipende dalle aziende, e la mancanza di grandi aziende di distribuzione organizzata per l'estero. Sotto questo aspetto, abbiamo venduto senza andare troppo per il sottile su quanto c'era di italiano, per cui supplire a questa mancanza non è per nulla facile. Ci sono delle iniziative di creazione di luoghi di presenza di prodotti italiani che devono essere favorite. La Confindustria, infatti, sta lavorando su alcuni di questi progetti. Ciò nonostante, questo è un problema grave e difficilmente lo Stato può supplire alla mancanza di grandi imprenditori della distribuzione che abbiano una visione anche internazionale.
Il fatto, poi, che all'ICE corrispondano due Ministeri, oltre alle regioni e alle principali associazioni di categoria, non mi sembra - ripeto - un problema che possa determinare un cattivo funzionamento.
Ho accennato all'inizio al tema della formazione, ma vorrei tornarci. È chiaro che se formiamo centinaia o migliaia di export manager, facciamo di più per l'esportazione che non apprendo 10 o 20 nuovi uffici di promozione. Siccome l'ente ha sempre avuto questo ruolo, anche nella nuova ICE, pur essendo ridotta di dimensione, l'attività di formazione e di promozione dell'informazione rimane tra quelle fondamentali.
Riguardo alla domanda sulla necessità di riformare le camere di commercio, vorrei dire che, essendo centrale il motore ICE, ma non avendo più i suoi uffici sul territorio perché non ci sono le risorse, c'è da chiedersi come farà la piccola azienda ad arrivare all'ICE. Siccome le camere di commercio sposano fino in fondo, e sono parte anche della cabina di regia, l'ICE, l'idea è quella di puntare molto sugli uffici commerciali delle camere di commercio, a cui naturalmente si aggiunge il ruolo delle associazioni di categoria e, in taluni casi, delle banche. Non so se ho capito fino in fondo la sua domanda, ma pensiamo che le camere di commercio, come raccordo tra piccole e medie imprese e l'ICE, siano molto importanti.
Come dicevo prima, occorre convincere le regioni a realizzare una migliore sinergia. È un peccato, infatti, che si disperdano risorse, facendo tutti separatamente piccole cose, quando si potrebbe fare insieme. Pensiamo che realizzando bene iniziative italiane di sistema, le regioni ci salgano sopra. Se poi non ci dovesse essere questa disponibilità, vedremo come convincerle.
La questione, poi, che troppi si occupino di promozione è sicuramente una grande verità. Questo vale anche per il turismo, dove si arriva a manifestazioni addirittura ridicole di frammentazione della promozione.
Infine, sul problema delle energie rinnovabili, ci siamo. Stiamo mettendo a punto gli ultimi punti con il Ministero dell'ambiente. Personalmente, credo molto in questo settore. Infatti, in termini sia di obiettivi europei sia di ammontare investito, l'Italia sarà fra i primissimi, se non il primo Paese in Europa.
PRESIDENTE. Signor Ministro, a nome dei colleghi presidenti Stefani e Dal Lago
e di tutti i colleghi parlamentari, la ringrazio non solo della cortesia che ha avuto nell'essere stato con noi diverse ore, ma soprattutto degli utili elementi che ha voluto offrirci e che indicano ancor di più che vi è un'adeguata attenzione, una lucida analisi, nonché una precipua sensibilità sul fronte delle soluzioni anche per la filiera agroalimentare per rendere il nostro sistema per l'internazionalizzazione delle imprese ancor più efficace e più forte.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 12,50.