Sulla pubblicità dei lavori:
Stefani Stefano, Presidente ... 3
Audizione del Presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera):
Stefani Stefano, Presidente ... 3 9 14 16 17 18 23
Barroso José Manuel, Presidente della Commissione europea ... 4 18
Bellotti Luca (PdL) ... 18
Bettamio Giampaolo (PdL) ... 14
Boldi Rossana, Presidente della 14a Commissione del Senato ... 10
Casini Pier Ferdinando (UDC) ... 12
Consiglio Nunziante (LNP) ... 16
Dini Lamberto, Presidente della 3a Commissione del Senato ... 3
Gottardo Isidoro (PdL) ... 18
Gozi Sandro (PD) ... 10
La Malfa Giorgio (PdL) ... 11
Livi Bacci Massimo (PD) ... 14
Orlando Leoluca (IdV) ... 15
Pescante Mario, Presidente della XIV Commissione della Camera ... 13
Pistelli Lapo (PD) ... 16
Stanca Lucio (PdL) ... 17
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.
Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 9,40.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori sarà assicurata oltre che mediante la registrazione audio video sul circuito chiuso anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati, del Presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, al quale do il benvenuto, anche a nome dei colleghi Dini, Pescante e Boldi.
Lo ringrazio, inoltre, per aver accettato l'invito delle Commissioni riunite di Camera e Senato.
Segnalo che oggi, per la prima volta, il Presidente Barroso visita il Parlamento italiano.
Questo è un momento molto significativo per la vita dell'Unione europea, poiché si pone all'esordio del semestre di presidenza francese, nel corso del quale si dovrà delineare il destino del Trattato di Lisbona, ma anche all'indomani del G8 del Giappone e del vertice, appena concluso, dell'Unione mediterranea.
Il Presidente Barroso potrà senz'altro darci conto delle politiche che l'Unione europea intende dare ai propri cittadini che vivono quotidianamente la sfida della globalizzazione. Una sfida che si riflette sulle relazioni esterne dell'Unione, la quale deve accrescere il suo ruolo internazionale in un mondo ancora sconvolto dalla violenza terroristica, come purtroppo conferma l'attentato delle ultime ore al centro di reclutamento delle forze armate irachene di Baquba, per le cui venti vittime esprimo il cordoglio del Parlamento italiano.
Dopo l'intervento del Presidente Barroso, darò la parola ai colleghi deputati e senatori che desidereranno porre brevi domande all'ospite.
Tenendo conto della rappresentatività dei diversi gruppi e dell'appartenenza ai due rami del Parlamento, abbiamo redatto una scheda sui tempi di intervento che vi è stata comunicata.
La seduta terminerà con la replica del Presidente Barroso entro le ore 11, limite che dobbiamo rispettare perché, a quell'ora, è convocata anche l'Assemblea del Senato.
Do la parola al Presidente Dini, affinché introduca i lavori.
LAMBERTO DINI, Presidente della 3a Commissione del Senato. Signor presidente, come ha già ricordato il presidente Stefani, la sua audizione avviene in un momento particolarmente delicato per il processo di integrazione.
La Commissione esteri del Senato, che ho l'onore di presiedere, ha appena concluso l'esame del disegno di legge di autorizzazione alla ratifica del Trattato di Lisbona, che sarà all'attenzione dell'Aula la prossima settimana. Subito dopo, il Trattato verrà esaminato dalla Camera dei
deputati. Il Parlamento italiano ritiene, dunque, di completare nelle prossime settimane l'esame di questo importante atto.
Questa vuole essere una riaffermata testimonianza dell'impegno del nostro Paese nel processo di costruzione europea.
Tuttavia, signor Presidente, non possiamo nasconderci la gravità della crisi politica in cui il progetto europeo oggi versa. A seguito del «no» irlandese, incertezze e inquietudini si stanno rapidamente diffondendo, dopo che il Trattato di Lisbona aveva consentito di chiudere la fase di insicurezze che si era aperta all'indomani del referendum francese e olandese.
L'Unione spesso non viene più percepita come uno strumento efficace per affrontare le sfide dei nostri tempi. Sfide, tuttavia, che per la loro dimensione e importanza chiedono più Europa e non meno Europa. Di questo noi ne siamo consapevoli.
Di fronte a questo mutato atteggiamento, che non risparmia più nemmeno i Paesi in cui la tradizione europeista è forte e radicata, crediamo che le istituzioni europee, e innanzitutto la Commissione, debbano mostrare una rinnovata capacità di dare impulso alla costruzione della nostra Europa.
Nell'assemblea plenaria di Strasburgo del 10 luglio, sono state illustrate dal Presidente Sarkozy e da lei, signor Presidente, le priorità dell'azione dell'Unione: la lotta al cambiamento climatico, il tema delle politiche migratorie, la difesa comune e, da ultimo, l'ambizioso progetto dell'Unione per il Mediterraneo.
Sul documento preparatorio di quest'ultimo progetto, le Commissioni esteri del Senato e della Camera hanno votato degli atti di indirizzo, non solo rivolti al nostro Governo, ma anche alla Commissione europea.
Abbiamo così inteso dare attuazione, in questa legislatura, a quella iniziativa da lei promossa, che vuole coinvolgere i Parlamenti nazionali nella definizione dei principali documenti normativi, e non solo, dell'Unione. Un'iniziativa, questa, che vuole anticipare una importante novità contenuta nel Trattato di Lisbona, ossia l'affidamento ai Parlamenti nazionali di un particolare ruolo, come recita l'articolo 12: quello del buon funzionamento dell'Unione.
Questa è una ragione di più, signor Presidente, che ci fa ritenere il Trattato di Lisbona un significativo passo in avanti nella costruzione dell'Unione, e tuttavia, le prospettive che si sono aperte dopo il referendum irlandese non possono esimerci dall'interrogarci su quali scenari si aprirebbero nel caso in cui l'iter della ratifica non si completasse prima delle elezioni del Parlamento europeo. Scenari politici, come ho detto, ma anche istituzionali.
Rimarrebbe in vigore il Trattato di Nizza, che reca norme universalmente ritenute inadeguate per l'Europa allargata a 27 e che pongono immediatamente dei problemi, a partire dalla composizione del collegio che lei presiede.
Sono sicuro, signor Presidente, che il suo intervento fornirà elementi preziosi sul futuro dell'Europa, anche nel segno di una più stretta cooperazione tra i Parlamenti nazionali e le istituzioni dell'Unione.
JOSÉ MANUEL BARROSO, Presidente della Commissione europea. Signor presidente, onorevoli parlamentari, è con grande onore che mi rivolgo oggi alle Commissioni politiche dell'Unione europea e affari esteri del Senato e della Camera dei deputati.
Mi rallegro dell'occasione e sono grato di potere apportare un contributo diretto al dibattito sul Trattato di Lisbona e sul futuro dell'Unione europea, in un contesto quanto mai appropriato, al cospetto dei rappresentanti eletti del popolo italiano.
È un grande piacere pronunciare questo discorso in Italia, un Paese che ammiro profondamente, specie per il suo ruolo guida nelle politiche europee.
Il Primo ministro italiano Alcide De Gasperi, che giustamente è considerato uno dei padri fondatori dell'integrazione europea, per tutta la sua vita politica ha visto nell'integrazione europea la via verso la pace, la democrazia e la prosperità in
Europa, ben sapendo di operare per l'interesse superiore anche degli italiani.
In Italia, si sono celebrati momenti cruciali della creazione della Comunità europea.
A Messina, gli Stati membri fondatori hanno superato la crisi del 1953-54 e si sono avviati nel cammino verso Roma. Lo spirito di Messina, cioè la capacità di fare della crisi un'opportunità è uno dei segreti dell'integrazione europea.
Sono stato in quella città nel 2005, proprio per celebrare il cinquantesimo anniversario della dichiarazione di Messina.
Ovviamente, inoltre, a Roma, capitale italiana, nel 1957, è nata la Comunità europea. Da allora, si sono succeduti molti trattati, ma il Trattato di Roma resta la nostra pietra angolare e - mi sia concesso - la nostra Costituzione originaria.
La storia dell'integrazione europea e la storia italiana sono quindi intimamente legate. L'Italia è uno degli Stati membri più proeuropei e da sempre sostiene un'Unione europea più forte.
In quanto Presidente della Commissione, sono grato al vostro Paese e so di poter contare sull'Italia nei momenti in cui l'Unione affronta sfide pericolose. È in periodi come questi che i più strenui sostenitori della causa europea hanno tanto da dare. La Commissione, e chi vi sta parlando in particolare, abbiamo da sempre ottimi rapporti con le autorità italiane.
Nella giornata di ieri, ho avuto un eccellente scambio con il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che, una volta di più, mi ha confermato quanto sia ancora vigorosa la lunga tradizione italiana di sostegno all'integrazione europea.
Oggi ho incontrato anche il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, con il quale ho avuto una conversazione molto proficua, specie sulla cooperazione fra la Commissione europea e i Parlamenti nazionali.
È mia ferma intenzione lavorare a stretto contatto con il Governo italiano, in particolare con il Primo ministro, Silvio Berlusconi, per preparare l'Unione ad affrontare con successo le nostre sfide comuni sul piano interno ed esterno.
Ho già da tempo un contatto stretto con il Presidente Berlusconi. Abbiamo stabilito insieme una cooperazione eccellente come colleghi nel contesto del Consiglio europeo e anche da prima, quando ero Primo ministro del Governo portoghese. Ci siamo incontrati la settimana scorsa, nel corso della riunione del G8 in Giappone. Ho avuto l'occasione di valutare la sua esperienza di leadership nel contesto del G8. Questa leadership è molto importante per preparare con efficacia la Presidenza italiana che avrà luogo l'anno prossimo, nel 2009.
Inoltre, colgo l'occasione per dare risalto all'impegno e al sostegno del Commissario italiano, il vicepresidente Tajani, incaricato dell'importante portafoglio dei trasporti che, non più di una settimana fa, già presentava proposte su una grossa problematica: rendere più ecologici i trasporti europei.
Permettetemi anche di menzionare il grande contributo del Ministro Franco Frattini per le sue realizzazioni e il suo impegno come Vicepresidente della Commissione, responsabile per la giustizia, la libertà e la sicurezza.
Se mi permettete, da questo momento in poi, preferisco svolgere il mio intervento utilizzando la lingua inglese: forse sarà più comodo anche per voi. La prossima volta cercherò di parlare di più in italiano.
Signor presidente, onorevoli parlamentari, siete stati così cortesi a invitarmi per discutere sul Trattato di Lisbona.
Vi darò tre motivi per i quali abbiamo bisogno di questo trattato. Il primo è che la ratifica del Trattato di Lisbona e la sua applicazione, coronata da successo, apriranno la strada ad un'Unione più democratica e più trasparente.
Potremo essere più responsabili del nostro operato di fronte ai nostri cittadini ed essi saranno in grado di esercitare meglio i loro diritti, ai sensi della Carta dei diritti fondamentali. La Carta rafforza la nostra unione di diritto.
Inoltre, con il nuovo trattato, sia il Parlamento europeo sia i Parlamenti nazionali avranno un ruolo più forte, come è stato detto poc'anzi dal presidente Dini. Il Parlamento europeo accrescerà fortemente i propri poteri legislativi, rendendo la politica europea più democratica. Allo stesso modo, i Parlamenti nazionali vedranno crescere le loro prerogative. Ciò rafforzerà la capacità di rendere conto e ci aiuterà anche a far sì che la sussidiarietà sia ben attuata.
A me risulta chiaro che il Trattato di Lisbona rafforza la dimensione parlamentare della politica europea. Una tale evoluzione è salutata dalla Commissione e da chi vi parla con favore. Spero che mi consentirete di dire questo, visto che sono stato parlamentare in Portogallo fin dall'età di 29 anni. Sono sempre stato eletto nel mio Parlamento nazionale, tranne l'ultima volta, perché, essendo già Presidente della Commissione, non mi sono potuto candidare.
Questa Commissione è sempre stata fortemente impegnata nel dialogo e nella cooperazione con i Parlamenti nazionali. Ho avuto il privilegio di visitare i Parlamenti nazionali di più di due terzi degli Stati membri.
La Commissione, inoltre, ha salutato il maggior ruolo dei Parlamenti nazionali nella politica europea. Prova ne sia il fatto che abbiamo attuato misure per associare in modo più stretto i Parlamenti nazionali al processo politico europeo. Anche a questo ha accennato il presidente Dini.
Nel maggio 2006, ancor prima del varo del nuovo trattato, ho assunto l'iniziativa di annunciare che avremmo trasmesso tutte le nuove proposte della Commissione e tutti i documenti di consultazione ai Parlamenti nazionali, invitandoli a reagire, aiutandoci nell'iter di formulazione delle politiche.
Dal settembre 2006, questo nuovo meccanismo della Commissione ha funzionato in modo assolutamente agevole, tanto che, in meno di due anni, la Commissione ha già ricevuto, e vi ha replicato, 231 pareri emananti dai Parlamenti nazionali.
La nostra analisi dei risultati è estremamente positiva.
I nostri contatti con i Parlamenti nazionali ci fanno pensare che essi abbiano trovato il nuovo meccanismo utile per tre versi: innanzitutto, perché offre loro l'opportunità di avere un atteggiamento più proattivo sulle questioni europee, perché rafforza il loro diritto all'informazione e, infine, perché permette loro di esercitare un miglior controllo sui loro stessi Governi, relativamente agli affari europei.
L'interesse dei Parlamenti nazionali a far uso di questo nuovo meccanismo è anch'esso prova del loro impegno verso l'Unione europea.
In secondo luogo, il Trattato di Lisbona - a parte per l'aspetto già citato, relativo alla natura democratica della responsabilità - è importante perché rafforza la capacità dell'Unione di agire con maggiore efficienza, in particolare accrescendo i voti a maggioranza nel Consiglio.
In un'Unione allargata, abbiamo bisogno di questo tipo di regole. È chiaro che con 27 Stati membri non possiamo mantenere le stesse regole che avevamo quando lavoravamo con 15 o 12 Paesi. Non possiamo costruire un'Unione per il futuro con gli stessi strumenti del passato.
Un'Unione più efficiente sarà in grado di affrontare meglio le questioni che sono prioritarie per i cittadini europei, che sono più vicine alle loro preoccupazioni.
Gli europei si aspettano che l'Unione operi in ambiti quali l'immigrazione, l'energia, il cambiamento climatico, la sicurezza, la crescita economica e che faccia di più per rafforzare la nostra competitività di fronte alla concorrenza che arriva dalle grandi economie emergenti.
Gli europei, inoltre, si aspettano che l'Unione agisca rapidamente e con efficienza. Pertanto, per soddisfare queste loro aspirazioni, è necessario il Trattato di Lisbona.
Il terzo motivo per cui sostengo tale trattato è che esso doterà l'Unione di una maggiore coerenza esterna. Solo una cornice istituzionale stabile ci permetterà di
far fronte alle nuove sfide che attendono l'Europa nel contesto della globalizzazione.
È chiaro - penso che tutti conveniate con me - che nessun Paese europeo, nemmeno il più grande, può risolvere da solo problemi globali come quelli legati all'immigrazione, all'energia, al cambiamento climatico o al terrorismo internazionale.
Abbiamo sempre più bisogno della dimensione europea in questo mondo che si sta trasformando così rapidamente e che sta diventando sempre più interconnesso.
Le sfide e i problemi del mondo sono troppo grossi per essere affrontati dagli Stati europei autonomamente. Solo assieme possiamo avere successo.
Da quando firmammo il Trattato di Nizza il mondo è cambiato: la globalizzazione, la competizione economica sono diventate, in modo sempre più chiaro, le regole del gioco fondamentali.
Vi sono grandi opportunità nella globalizzazione (l'Europa è la prima esportatrice del mondo). Tuttavia, vi sono anche delle sfide assai serie. Dobbiamo affrontare nuove minacce esterne alla nostra sicurezza, perché anche il terrorismo si è globalizzato.
Inoltre, abbiamo una nuova consapevolezza di ulteriori sfide globali, quali quella del cambiamento climatico. Stiamo avvertendo l'impatto della crisi finanziaria, l'ascesa dei prezzi dei carburanti e degli alimenti.
È abbastanza chiaro che, mentre gran parte di questi problemi sono globali, i nostri strumenti per gestirli, in grande misura, sono ancora nazionali.
L'esempio classico a questo proposito è rappresentato dalla globalizzazione finanziaria, a fronte della quale le regole di supervisione rimangono nazionali, anche a livello europeo.
Mentre tutto ciò accade, disperdiamo gran parte del nostro capitale politico e della nostra energia discutendo di questioni istituzionali. Essendo a capo di un'importante istituzione europea, sapete che tengo alle istituzioni, ma non ci possiamo limitare ad esse. Le istituzioni non sono un fine in sé, ma sono importanti per dare risultati concreti ai nostri concittadini.
Per questo motivo, ritengo che il nostro assetto istituzionale dovrebbe essere pronto per poter dedicare il nostro tempo, le nostre risorse e la nostra energia alle preoccupazioni più importanti che incidono direttamente sulla vita dei nostri concittadini.
Negli ultimi cinquanta anni, l'Europa ha trionfato sulle enormi sfide che doveva affrontare a livello continentale. Questo va riconosciuto.
Adesso, l'Europa è un continente che in sostanza vive in pace, libertà e democrazia dal Mediterraneo al Baltico, dall'Atlantico al Mar Nero.
Nei prossimi cinquanta anni, però, l'Europa dovrà affrontare le nuove sfide che non sono più continentali, ma hanno una scala globale.
Nel XXI secolo, abbiamo più che mai bisogno di un'Europa unita per far fronte alla globalizzazione con fiducia e successo.
Come ho detto in precedenza, la settimana scorsa ho partecipato al vertice del G8 a Hokkaido e ho constatato ancora una volta che cosa può conseguire l'Europa quando agiamo assieme. Non ho visto solo che cosa si aspettano i nostri partner da noi, ma anche come l'Europa possa svolgere un ruolo centrale nel far fronte a sfide globali, come la lotta al cambio climatico o alla povertà nel mondo. Oggi l'Europa è un partner globale indispensabile.
Mentre gli altri leader si attendevano che fossero gli europei a presentare proposte e a guidare la discussione, specie sul cambiamento climatico - siamo onesti: senza la leadership dell'Unione europea non avremmo avuto i progressi nelle posizioni americana e russa, che si sono avvicinate molto alle nostre proposte - devo confessare che, quando ho visto dunque i leader globali del resto del mondo attendersi che fossimo noi a guidare la discussione, una triste ironia mi ha attraversato la mente: a volte, i dubbi maggiori sull'influsso positivo dell'Europa vengono
dall'interno e le più grandi aspettative, invece, vengono da altre parti del mondo.
Recentemente, ho vissuto un'esperienza interessante.
Come sapete, in Europa si è molto discusso della bandiera europea e dell'inno europeo. Quando mi sono recato in Cina, ho constatato che loro non hanno dubbi in proposito. Nel ricevere la Commissione, mettono l'inno europeo e la bandiera europea.
Quindi, anche se ci sono europei dubbiosi sulla necessità del nostro progetto europeo, lasciatemi dire che il mondo là fuori ci ricorderà costantemente che, dopo tutto, noi europei siamo tutti nella stessa barca e che c'è sempre più bisogno di un'unità europea.
Vengo adesso alla situazione dopo il «no» irlandese. Questo voto negativo rappresenta di certo un passo indietro grave. La cosa da notare subito è che le sfide che il Trattato cerca di affrontare non sono svanite. Il «no» non è una soluzione al problema che il Trattato di Lisbona cerca di risolvere.
Oggi potremmo riprendere le parole che Paul-Henri Spaak, il grande europeista belga, usò parlando dell'opposizione all'integrazione europea nei primi anni Cinquanta, mezzo secolo fa. Egli disse: «Se un quarto dell'energia spesa per dire di no fosse usata per dire di sì a qualcosa di positivo non ci troveremmo nello stato in cui siamo oggi». All'epoca, peraltro, non c'erano i referendum sull'integrazione europea. Abbiamo bisogno di strategie e di politiche positive, non di coalizioni negative o di un'accettazione passiva del minimo comune denominatore.
Ecco perché credo che, nonostante il «no» irlandese, le ratifiche debbano proseguire. Come ho già detto, mi attendo che gli Stati membri che non hanno ratificato il Trattato continuino il loro iter di ratifica. Tutti i Paesi hanno il diritto di esprimere la propria posizione. Le ratifiche dei trattati sono processi nazionali e nessuno Stato membro sceglie per gli altri. Nessuno di noi è autorizzato a dire che la decisione di un Paese dovrebbe impedire ad altri Stati membri di pronunciarsi.
Non è solo una questione di diritto di tutti gli Stati membri a pronunciarsi, ma è anche una questione di doveri. Quando un Governo firma un trattato, ha la responsabilità di fare tutto quanto è in suo potere per ratificarlo: è un obbligo politico verso tutti gli altri Paesi che hanno firmato il trattato.
La buona fede, bona fides, è uno dei più antichi principi del diritto pubblico europeo, un retaggio del diritto romano, un elemento centrale della nostra comune civiltà europea, nata in questa città di Roma. Ecco perché saluto la ratifica italiana del Trattato di Lisbona.
Per questo, è per me una questione di principio essere qui con voi oggi. Ratificando il Trattato, l'Italia non soltanto onora il nostro comune retaggio storico, ma anche il posto speciale da voi occupato nella storia dell'integrazione europea.
Colgo l'occasione per sottolineare la legittimità democratica delle ratifiche parlamentari. C'è chi oggi asserisce - ed è qualcosa che non posso accettare - che un'approvazione parlamentare è un'approvazione sottobanco.
Nessun democratico può dir questo, un Parlamento non è mai un sottobanco della democrazia. Va da sé che dobbiamo rispettare l'esito del referendum irlandese. Dobbiamo dare al Governo irlandese il tempo per analizzare il risultato, e poi proporre una via per andare avanti.
Non penso che ci si debba affrettare verso una decisione prematura, che potrebbe avere esiti spiacevoli. Ci vuole tempo per capire che cosa è possibile fare in Irlanda.
D'altra parte, tuttavia, non dovremo neppure prenderci troppo tempo, perché in un prossimo avvenire ci aspettano importanti decisioni che esigono chiarezza sulla strada da imboccare. Come è stato detto prima, infatti, nel giugno dell'anno prossimo ci saranno le elezioni europee.
Nei prossimi mesi, sarà cruciale lavorare in stretta associazione con il Governo irlandese per andare avanti.
È tempo di serietà sulla solidarietà europea. Sono 27 gli Stati membri che hanno firmato il Trattato. Dobbiamo fare
tutto ciò che è in nostro potere, affinché i 27 trovino una soluzione per andare avanti.
Vorrei anche sottolineare che il «no» irlandese non è una ragione perché l'Unione cada nella trappola del solipsismo istituzionale, o in un altro stato depressivo.
Abbiamo fatto importanti progressi negli ultimi anni per offrire ai cittadini europei delle politiche nel loro interesse. In un tempo in cui ci troviamo davanti a gravi sfide, non ci possiamo permettere di abbandonare la strada delle politiche concrete che vengono incontro alle preoccupazioni degli europei.
La paralisi non è una soluzione. Non possiamo dire che staremo fermi finché non avremo il Trattato di Lisbona. Nel frattempo dobbiamo andare avanti, sulla base del Trattato vigente. Non possiamo fare a meno di offrire risultati tangibili. Dobbiamo lavorare sodo per portare a termine la ratifica del Trattato di Lisbona, ma dobbiamo anche affrontare le preoccupazioni concrete dei nostri concittadini. In questo, nulla può sostituire la volontà e la determinazione politica. Abbiamo bisogno di leadership. Voglio che sappiate che ritengo, ora più che mai, che per l'Europa la leadership debba valere a tutti i livelli.
L'Europa, infatti, non è solo Bruxelles. Roma è tanto europea quanto Bruxelles. Siamo tutti dei leader europei, se viviamo in Paesi europei. A livello esecutivo e parlamentare, tutti abbiamo delle responsabilità verso il grande progetto dell'Unione europea. Ecco perché, ovunque in Europa, vado ripetendo che tutti i leader nazionali si devono comportare anche da leader europei. Un Capo di Stato, un Capo di Governo, un parlamentare, hanno anche questa responsabilità.
Non possiamo cadere nella tentazione di rimproverare le istituzioni europee per tutti i problemi e le difficoltà dell'Europa. Non è un approccio responsabile e talvolta non è neanche tanto onesto intellettualmente. Quando c'è un problema, si dice che viene da Bruxelles; quando c'è una soluzione, invece, si dice che l'abbiamo trovata noi.
Quindi, condividiamo le responsabilità e lavoriamo assieme.
La Commissione è aperta e pronta ad ascoltare tutte le critiche. Le istituzioni europee devono lavorare assieme, per migliorare la loro capacità di agire.
Accetto tutte le critiche e mi piace affrontare un bel dibattito politico, ma è importante assumere la responsabilità, avere il senso dello Stato, il coraggio e l'onestà intellettuale di difendere le nostre istituzioni, avere il coraggio di spiegare ai nostri concittadini che, senza istituzioni, le nostre decisioni non reggeranno al tempo.
Senza istituzioni forti a livello europeo, non saremo in grado di far fronte a tutte le sfide che preoccupano i nostri concittadini.
Il divario tra la lode teorica all'Europa e il colpire l'Europa in concreto, a volte, è così stretto da essere facilmente superato dall'opportunismo politico. Non credo che sia possibile amare l'Europa in generale, attaccandola però ogni volta che occorre prendere una decisione politica difficile.
Onorevoli parlamentari, un uomo politico italiano di altissimo livello, Altiero Spinelli, ha difeso strenuamente il ruolo guida e costruttivo delle istituzioni europee. Ritengo che una delle maggiori lezioni del suo pensiero sia che, senza istituzioni forti, non è possibile avere politiche comuni e difendere gli interessi europei.
Spetta ai membri di entrambe le vostre Camere spiegare agli italiani le problematiche dell'Europa e far capire che, promuovendo gli interessi dell'Europa, si difendono anche quelli dell'Italia. L'Unione europea è, prima di tutto, una costruzione basata sulla volontà.
Nell'Europa del XXI secolo, i Paesi veramente grandi sono quelli che hanno il coraggio di agire nel rispetto della responsabilità europea.
Per questo l'Italia è stata e continuerà ad essere uno dei grandi Paesi dell'Unione europea (Applausi).
PRESIDENTE. Do ora la parola ai deputati ed ai senatori che intendono
porre quesiti e formulare osservazioni, pregandoli di contenere i propri interventi entro i tre minuti circa.
ROSSANA BOLDI, Presidente della 14a Commissione del Senato. Signor presidente, mi unisco ai ringraziamenti al Presidente Barroso per aver accettato il nostro invito, proprio nel pieno del dibattito parlamentare riguardo alla ratifica del Trattato di Lisbona.
Come è stato già detto, il voto irlandese ha messo in evidenza la perdita di fiducia, la diffidenza e il progressivo deterioramento e allontanamento di molti cittadini italiani ed europei dall'idea dell'Europa.
Per giustificare questa situazione non credo che sia sufficiente, come ha fatto qualcuno, parlare di cattiva comunicazione riguardo all'Europa. La distanza percepita dai cittadini europei tra loro e le istituzioni europee - quindi anche la Commissione e lei, Presidente - è veramente enorme.
La mia domanda è la seguente: che cosa pensa possa fare la Commissione, quindi anche lei che ne rappresenta il vertice, per accorciare questa distanza?
Le risposte devono essere concrete, percepibili dalla gente, devono avere una ricaduta veloce e positiva sulla vita dei cittadini europei, altrimenti sarebbero inutili.
Non sente anche lei - ma mi pare che questo lo abbia già detto -, come rappresentante istituzionale naturalmente, di avere una certa responsabilità rispetto al progressivo deterioramento dei rapporti tra i cittadini e l'Unione europea?
L'ultima domanda è relativa all'operatività. Riguardo all'eventuale mancata entrata in vigore del Trattato di Lisbona - che comunque difficilmente avverrà entro il 1o gennaio 2009 - va evidenziato che questo comporterà, come conseguenza, la non operatività dell'articolo 8C e del protocollo n. 2 del Trattato che disciplinano il controllo di sussidiarietà delle proposte legislative comunitarie da parte dei Parlamenti nazionali.
Come intende muoversi la Commissione europea nei confronti dei tanti pareri che i Parlamenti nazionali continueranno a formulare sui più importanti progetti comunitari? In particolare, come reagirà la Commissione di fronte all'invio di tali pareri?
SANDRO GOZI. Innanzitutto, Presidente Barroso, mi permetta di esprimere la mia soddisfazione per la sua presenza oggi nel nostro Parlamento e il piacere di ritrovarla. Avrei alcune domande da porle: una sulla questione irlandese, una relativa alla governance economica in Europa e l'ultima riguardo ai rapporti con i Parlamenti nazionali.
Comincio con la questione irlandese. Posto che tutti ci auguriamo che si risolva a 27, è chiaro sempre di più che, in un'Europa che si profila a 30, 32, 33 Paesi, forse un giorno a 35 Paesi, non possiamo continuare a pensare di modificare i testi costituzionali di fondo sempre e solo all'unanimità.
Lei non ritiene che, in prospettiva, bisognerebbe cominciare a pensare a una maggioranza super qualificata per le modifiche dei trattati? In ogni caso, non crede che il «no» gratis debba essere superato?
Certamente ogni Paese è libero di accettare o rifiutare un trattato, ma non per questo può bloccare 26 Paesi, o in prospettiva 30 Paesi, che vogliono procedere. È chiaro che 860 mila irlandesi che esprimono il proprio rifiuto rappresenta un atto democratico, ma anche mezzo miliardo di persone che dicono di sì rappresentano un atto democratico. Può l'Europa continuare a essere bloccata dal veto di un singolo Paese in materie istituzionali di fondo? Questa dunque è la prima osservazione: se si possa, cioè, pensare di introdurre maggioranze super qualificate.
Vengo alla seconda questione, per certi versi legata alla prima. Mi sembra che le istituzioni europee siano un poco timide rispetto all'utilizzo della clausola delle cooperazioni rafforzate.
In realtà, però, l'Europa ha sempre proceduto attraverso cooperazioni rafforzate nei suoi risultati più importanti, che siano l'euro, Schengen, oppure, come accaduto
di recente, il Trattato di Prüm, nato addirittura fuori dall'Unione europea e oggi inserito.
In prospettiva, lei crede che la Commissione e il Parlamento potranno avere un atteggiamento più aperto rispetto al ricorso alla clausola delle cooperazioni rafforzate, alla luce di Nizza, o di Lisbona, a seconda di quello che succederà?
Il terzo punto riguarda il tema economia-globalizzazione. Lei, Presidente Barroso, ha svolto dei passaggi molto importanti al riguardo. Tuttavia, oggi, in Europa, tra i vari che abbiamo, si pone un problema sul «no» irlandese, anche alla luce dei primi sondaggi, analisi ed eurobarometri.
L'Europa sembra essere utilizzata per spiegare agli europei perché devono accettare la globalizzazione così com'è; mentre sarebbe forse utile che venisse proposta, in maniera sempre più convincente e visibile, come l'unica risposta democratica ed efficace nei confronti degli effetti negativi della globalizzazione.
Purtroppo, nella percezione dell'opinione pubblica, il concetto di Europa equivale a quello di globalizzazione e anche a quello di capro espiatorio. Lei, presidente Barroso, faceva riferimento a questo aspetto. Le chiedo, dunque, che cosa si può fare per superare questa percezione, soprattutto in materia economica e sociale.
Vengo all'ultimo punto, relativo alla governance economica e sociale, quindi alla questione del rapporto del potere politico con la Banca centrale europea.
Lei non ritiene che oggi, al di là della questione, che magari altri colleghi solleveranno, del mandato della Banca centrale europea, ci sia in Europa anche il bisogno di mettere al fianco della Banca centrale europea un potere politico e avviare un dialogo politico più concreto ed efficace?
Non dico che si debba trattare di un governo economico e sociale, ma a mio avviso occorre quanto meno rafforzare il coordinamento in materia economica e sociale e avere un rapporto dialettico tra i Governi e la Banca centrale europea.
Se riteniamo che l'attuale assetto politico sia soddisfacente, esporremo sempre di più la Banca centrale europea agli attacchi che abbiamo conosciuto negli ultimi mesi. Non è tanto la questione del mandato della Banca, ma del vuoto che esiste a livello politico nel rapporto con la Banca centrale europea.
Lei ritiene che il coordinamento in materia di politica economica oggi sia sufficiente oppure che vada ulteriormente rafforzato?
GIORGIO LA MALFA. Ho ascoltato con molta attenzione le parole del Presidente Barroso, che ringraziamo per l'apprezzamento non formale avuto nei confronti del ruolo che storicamente l'Italia ha svolto nel processo di integrazione europea e per le parole molto positive che ha espresso nei confronti del Governo italiano e della sua opera.
Intendo sollevare essenzialmente due questioni. Innanzitutto, come analizza la Commissione le ragioni del «no» irlandese? Su questo il Presidente Barroso non ci ha detto molto. Nel 2005, dopo il «no» francese e olandese, egli coniò una buona espressione: «Non è un voto "no" al testo, è un voto "no" al contesto», cioè alla situazione economica francese, al problema dell'immigrazione in Olanda e così via. Fu un'espressione molto felice.
Può essere usata anche oggi quell'espressione, oppure il «no» irlandese comincia ad essere significativo di un «no» al testo che viene dai cittadini europei? Se è così, Presidente, le istituzioni europee devono interrogarsi più a fondo sul perché i cittadini europei, quando sono interrogati direttamente in un referendum, tendono a dire «no».
Noi siamo totalmente favorevoli al fatto che i Parlamenti ratifichino i trattati. Nella Costituzione italiana, come lei sa, è vietato il referendum sui trattati internazionali. I costituenti italiani erano molto saggi. Tuttavia, non si può vietare l'uso referendario. Se un Paese vuole adottare o nella sua Costituzione prevede l'uso referendario per decidere sui trattati internazionali, è un problema da affrontare.
La seconda questione, già sollevata dall'onorevole Gozi, è collegata alla prima. Lei ha detto che tra i compiti dell'Europa vi è quello della crescita economica da dare ai suoi cittadini. Questa è una delle grandi ragioni del «no» che circola in Europa. L'Europa non cresce o cresce meno di altre zone del mondo. Il problema è che questa situazione non trova una risposta.
Questo si collega anche al problema della Banca centrale sollevato dall'onorevole Gozi. All'indomani di una decisione relativa all'aumento dei tassi di interesse, sulla cui opportunità si può discutere - io la considero inopportuna, altri legittimamente possono ritenerla giusta - lei ha dichiarato che è meglio che le decisioni monetarie vengano affidate alla Banca centrale e non ai Governi. Non pensa che questa sia una delle ragioni per cui i cittadini europei, quando vanno a votare, dicono «no» all'Europa? Possono le decisioni che riguardano il futuro economico nostro e dei nostri figli essere affidate a organismi di ordine burocratico anziché politico?
Se dobbiamo affrontare i problemi europei, abbiamo bisogno anche di istituzioni europee più democratiche che rispondano più direttamente ai cittadini. Questi sono i miei dubbi.
Presidente Barroso, voglio rassicurarla sul fatto che una larga maggioranza del Parlamento italiano è favorevole alla ratifica, alla quale procederemo - ci auguriamo - prima delle vacanze estive o subito dopo, alla ripresa.
Noi vorremmo che la Commissione si rendesse pienamente conto dei problemi che oggi riguardano l'Europa.
PIER FERDINANDO CASINI. Signor presidente, vorrei fare solo una piccolissima considerazione e su di essa chiedere la sua opinione.
Non è un caso se, quando i cittadini votano, l'Europa rischia di andare in minoranza. È la conseguenza del vero fenomeno che oggi esiste in tutto l'Occidente, e in Europa in particolare: il più gigantesco trasferimento di responsabilità dagli uni agli altri, in qualsiasi occasione.
Noi lo vediamo nel nostro Paese. Si deve realizzare un impianto di smaltimento dei rifiuti? Il sindaco è favorevole, a patto che non lo si realizzi nel suo comune, ma nel comune a fianco. Questo naturalmente è un meccanismo nel quale tutti giochiamo. Quando i Governi scaricano sull'Europa la responsabilità di tante loro inefficienze, è chiaro che i cittadini votano «no».
La situazione dopo il referendum irlandese oggettivamente è più difficile, perché il rischio è che in futuro ci possano essere altri episodi, e a quel punto - pensiamo alla situazione ceca - le cose si farebbero davvero complicate. Io credo che l'unica strada che l'Europa oggi ha davanti sia quella delle cooperazioni rafforzate. Non vedo altro modo per superare la crisi e rendere l'Europa chiaramente utile per tutti i cittadini.
Prima lei ha sostanzialmente affermato che noi abbiamo dei dubbi interni e delle grandi aspettative esterne. Noi dobbiamo rendere chiaro e visibile ai cittadini che su temi come l'ambiente, la sicurezza, i traffici illegali, i Paesi da soli non ce la fanno. Pertanto, o creiamo delle cooperazioni rafforzate più ristrette oppure, a 27, è molto difficile procedere su queste materie comunemente, perché è chiaro che il convoglio procede lentamente. È un treno che si muove troppo lentamente per affrontare i problemi in termini sostanziali, perché questo venga percepito dall'opinione pubblica.
Mi rendo conto che le cooperazioni rafforzate sono anche un grave rischio per l'Europa. Se, infatti, cominciano a partire troppi treni differenziati, il rischio è che l'Europa, come noi l'abbiamo pensata, non si costruisca. Cosa ne pensa? Per me questo è un tema fondamentale. Penso, ad esempio, al controllo delle coste: se Paesi come la Francia, l'Italia, la Spagna realizzassero davvero una politica di contrasto all'immigrazione clandestina, anche partendo dalle loro specificità - e ad un
livello più ristretto, non a 27 - credo che la gente capirebbe che l'Europa serve.
MARIO PESCANTE, Presidente della XIV Commissione della Camera. Poiché i minuti corrono, ometto i ringraziamenti al Presidente Barroso per la sua presenza davanti a queste Commissioni della Camera e del Senato.
Sono stati posti numerosi quesiti e credo che se dovesse rispondere a tutti il Presidente della Commissione europea dovrebbe trascorrere qui non i prossimi quaranta minuti, ma l'intera giornata. Cercherò, dunque, di essere breve per semplificargli il lavoro.
Il primo quesito discende da una delusione e da una preoccupazione, quella che, molto probabilmente, il risultato del referendum irlandese non sarebbe stato diverso da eventuali referendum che si fossero svolti in altri Paesi. Questo ci ha dato la sensazione - da qui la profonda delusione - che sia accaduto qualcosa.
Considerate anche le posizioni della Repubblica Ceca e del Presidente polacco, che come è noto ha chiesto il parere della Corte costituzionale in ordine alla compatibilità del Trattato con la Costituzione polacca, si comprende come questa nostra Europa stia andando verso una specie di «eurosclerosi» preoccupante.
Noi riteniamo - anche nella riunione che si è svolta recentemente a Parigi con i presidenti delle Commissioni parlamentari di altri Paesi è emersa questa posizione - che sia accaduto qualcosa negli ultimi tempi e che la gente si sia allontanata dall'Europa perché ha ritenuto che questa istituzione non risponda ai suoi problemi quotidiani e non la protegga. Ad esempio, la politica dell'immigrazione clandestina, la politica energetica, il discorso relativo all'agricoltura, ai costi, alle difficoltà, sono problemi quotidiani, e la gente su questi temi percepisce da parte delle istituzioni europee solamente proibizioni.
Vi riporto un esempio che a mio parere non va trascurato, anche se sembra riguardare un settore banale, quello dello sport. In questo momento proprio lo sport, che poteva costituire - lei conosce bene il problema presidente - un elemento di coesione tra i Paesi membri, si è allontanato dalle istituzioni europee perché ha constatato che regole che sono nate per disciplinare altri settori vengono applicate allo sport senza tener conto della sua specificità. Mi riferisco, ad esempio, alla sentenza Bosman.
L'allarme veniva dal mondo dello sport, ma l'intervento che tre giorni fa il Presidente Sarkozy ha fatto al Parlamento europeo, dove per ultimo ha toccato proprio il tema di quello che sta accadendo nello sport internazionale per il fatto che si consente la libera circolazione senza limiti degli atleti professionisti, è sintomatico.
Se è condivisa la preoccupazione che la gente si sia allontanata anche e soprattutto per questo motivo e si ritiene che molto probabilmente il Trattato di Lisbona gli irlandesi e gli altri europei che hanno votato contro non l'hanno neanche letto - altrimenti vi avrebbero trovato molte risposte positive alle loro preoccupazioni - la mia domanda è la seguente: che cosa ritiene di fare la Commissione per cercare di recuperare questo dialogo? Le posso assicurare, Presidente, che non è solo un problema di comunicazione.
Il secondo quesito riguarda l'allargamento ad altri Paesi ancor prima che venga rinsaldata la nostra unità e, soprattutto, prima che venga definitivamente approvato il Trattato: ritiene che l'orientamento di interrompere questo processo sia positivo o negativo?
Infine, capisco la prudenza, comprendo che c'è stata molta benevolenza anche nei confronti di un Paese, l'Irlanda, che ha votato contro il Trattato e, forse, ha tratto i maggiori benefici di ogni tipo (economici, fiscali, di aiuti). Che cosa si intende fare? Lo ripeto, capisco la prudenza, ma credo che non possiamo permettere di bloccare l'intero processo di unificazione se in un Paese alcune centinaia di migliaia di cittadini non accettano il Trattato e paralizzano l'intera situazione.
Francamente questa risposta non l'abbiamo avuta. Condividiamo la prudenza,
ma credo che qualche parola in più debba essere detta, anche per evitare che quello che è accaduto in Irlanda crei una specie di processo di imitazione in altri Paesi.
PRESIDENTE. Invito quanti devono ancora intervenire ad essere più sintetici per dare la possibilità al Presidente Barroso di replicare.
MASSIMO LIVI BACCI. Ringrazio il Presidente Barroso per la sua complessa esposizione e gli rivolgo due richieste di chiarimento che si riferiscono alla questione del patto europeo per l'immigrazione e l'asilo o meglio alla politica migratoria che l'Unione europea intende perseguire. Nel documento della Presidenza francese si propone di agire su tre assi: migliore organizzazione della migrazione legale, lotta efficace all'irregolarità, partnership tra Paesi d'origine, Paesi di transito e Paesi di destinazione. Su questi tre assi credo ci sia un consenso da parte di tutte le persone ragionevoli. È piuttosto nella loro declinazione che sorgono alcune perplessità.
Il primo punto riguarda l'ostilità o, meglio, la grande cautela nei confronti delle regolarizzazioni di massa. Io credo che sia una giusta cautela, ma ricordiamoci che l'Europa, secondo le valutazioni ufficiali, ha tra i 6 e gli 8 milioni di immigrati irregolari. Se, parallelamente a questo, accettiamo la logica dell'allontanamento di tutti gli irregolari, evidentemente c'è qualcosa che non quadra: non si possono allontanare 8 milioni di persone e, d'altra parte, anche una regolarizzazione selettiva, ma comunque ampia - come ampia dovrebbe essere, dal momento che gran parte di queste persone da anni lavorano nei Paesi europei - non potrebbe che essere di massa.
Insomma, c'è qualche contraddizione nel futuro delle politiche europee. In qualche modo dovremmo operare le regolarizzazioni di chi è già in Europa, sapendo che non possono che essere numerose. Sarebbe, dunque, opportuna una guida dell'Europa in questo campo.
Il secondo punto riguarda la migliore organizzazione dei flussi migratori legali. Siamo tutti d'accordo che debbano essere migliorati e coordinati, anche perché molte delle politiche migratorie dei Paesi europei producono esse stesse irregolarità, rendendo impervio l'accesso legale. Il miglioramento delle politiche migratorie, pertanto, va anche nel senso di renderle plausibilmente capaci di contrastare questa produzione continua di irregolarità. Più la politica dell'accesso legale è impervia, maggiore è l'irregolarità.
Il terzo punto riguarda l'intenzione di istituire una blu card, sull'esempio della green card, che permetta all'immigrazione di qualità una mobilità nell'area europea. L'idea è buona, ma non è altrettanto buona l'idea che la migrazione di alta qualità debba essere molto mobile, circolare. L'immigrazione di alta qualità si verifica se ha prospettive di radicamento in Europa, ma non può verificarsi se è su base temporanea. C'è, dunque, una contraddizione insita in questa proposta, che ha in sé peraltro connotazioni positive, della blu card e dell'immigrazione circolare.
GIAMPAOLO BETTAMIO. Cercherò di guadagnare qualche minuto, anche perché non sono sicuro di poter ascoltare la risposta del Presidente Barroso, dunque sarò molto sintetico. Tra l'altro, delle due domande che intendevo rivolgere al Presidente, una l'ha già posta il collega Pescante, in merito al rapporto tra l'allargamento dell'Unione europea e il rafforzamento delle sue istituzioni. L'allargamento è un fenomeno che risale alla fine del 2000, le istituzioni risalgono all'inizio del 1900. C'è naturalmente qualcosa da aggiustare.
Il Trattato di Lisbona - lo diceva prima il presidente Dini - all'articolo 12 associa all'attività dell'Unione europea i Parlamenti nazionali. La mia domanda è questa: come si armonizza questa attività futura dei Parlamenti nazionali con l'attività istituzionale del Parlamento europeo? Presidente Barroso, lei ha detto che i Parlamenti nazionali svolgeranno una funzione di vigilanza sull'attività dei Governi, informeranno i cittadini e via dicendo.
Questi, però, sono compiti che sono già insiti nelle funzioni dei Parlamenti nazionali, e forse non era necessario istituzionalizzarli in un trattato.
Leggo nel testo che i Parlamenti nazionali avranno la funzione di cooperare al buon funzionamento dell'Unione, ma non vedo quale sia l'oggetto di questa attività. Mi rifugio nella terza opzione del Trattato, in base alla quale l'attività dei Parlamenti nazionali si aggancia a quella del Parlamento europeo e delle istituzioni sulla base del principio di sussidiarietà. Vorrei che lei ci spiegasse come il principio di sussidiarietà, che demanda all'autorità locale quello che può fare meglio rispetto all'autorità centrale, si armonizza con il rapporto tra Parlamento europeo e Parlamenti nazionali.
LEOLUCA ORLANDO. Presidente Barroso, le rivolgo innanzitutto un saluto caloroso e un augurio di buon lavoro.
Intervengo per esprimere una considerazione di carattere generale e una richiesta di attenzione specifica.
Partendo dalla considerazione di carattere generale, siamo nel pieno di un processo di ratifica del Trattato di Lisbona, all'inizio di un nuovo semestre che è alla vigilia delle prossime elezioni europee. Mi chiedo come sia possibile rianimare tra i cittadini il dibattito sull'Europa.
Mi rendo conto che mi sto rivolgendo al Presidente della Commissione e forse dovrei avere altri interlocutori per questa domanda. Il fatto che mi rivolgo a lei è segno della fiducia che noi abbiamo nei confronti del ruolo che potrebbe avere un possibile futuro Governo dell'Europa con un normale Governo europeo e un normale Parlamento europeo. Quindi, consideri la mia domanda non come una mancanza di conoscenza delle competenze, ma come un auspicio per competenze diverse e più adeguate.
Come è possibile, in altre parole, rendere il processo di integrazione europea familiare, popolare e conveniente? Se non si conduce questa operazione a livello europeo noi rischiamo di confinare il dibattito sull'Europa alle grandezze o alle miserie dei dibattiti parlamentari dei singoli Stati. Credo che da questo punto di vista la Commissione europea potrebbe svolgere un ruolo importante per evitare che il processo di integrazione europea oscilli tra referendum-risiko e frettolose ratifiche in un distratto Parlamento nazionale.
Credo che né l'una né l'altra siano condizioni sufficienti per poter promuovere una vera integrazione europea. Se non dovesse esserci questa ripresa di dibattito di convenienza per il cittadino - probabilmente la convenienza per il cittadino non coincide con la convenienza degli apparati di governo nazionale, ma questo è un problema che si può sciogliere solo attraverso la prevalenza del cittadino sui rappresentanti - non credo che vi sarebbe altra soluzione che quella ipotizzata dal Presidente Casini, cioè quella delle cooperazioni rafforzate. Dobbiamo sapere con chiarezza che, in assenza di una guida europea forte, in assenza cioè di un Governo e di un Parlamento europei forti, avremmo un'altra Europa.
Insomma, il rimedio rischia di coincidere con il male. Il male è la mancanza di un Governo e di un Parlamento forti dell'Europa e la cooperazione rafforzata, che sostanzialmente rischia di essere il rimedio, in realtà ipotizza un'altra Europa.
Torno ora al problema principale, ossia come rafforzare il rapporto diretto tra la Commissione e i cittadini, che attualmente manca. Se chiediamo l'autorizzazione agli Stati nazionali avranno qualche riserva nel concedercela, ma probabilmente un'operazione di comunicazione diretta tra la Commissione e i cittadini potrebbe essere utile per rafforzare il processo europeo.
Per quanto riguarda, invece, la richiesta di attenzione specifica, vorrei appunto richiamare l'attenzione del Presidente sulla situazione della Georgia. In Commissione esteri probabilmente acquisirò la fama di chi ha un'idea in testa e soltanto una. Spero di averne anche altre, ma questa sicuramente è un'idea alla quale tengo moltissimo.
La Georgia rischia di rappresentare una condizione emblematica per l'affidabilità dell'Unione europea. Siamo in presenza di un Paese che si ostina a definirsi europeo e a voler partecipare ai processi internazionali che vedono coinvolti i Paesi europei (la NATO). È un paese che accennò qualche anno fa la tesi secondo la quale il Mar Nero fa parte del Mediterraneo, candidandosi a partecipare al processo euromediterraneo di Barcellona. È un Paese che si trova tra la Russia e la Turchia, sostanzialmente tra l'Asia centrale e la Grecia. Penso a tutto ciò che questo significa in termini di alternative energetiche, di sicurezza, di flussi energetici.
Questo Paese vive in questo momento una fortissima condizione di pericolo dovuta al comportamento della Federazione russa, alleato e partner fondamentale dell'Europa. Vorrei che fosse chiaro che non è un problema di competizione, ma siamo in presenza di un vulnus alla legalità internazionale, con riferimento alla situazione dell'Abkhazia e dell'Ossezia.
Io credo che un'iniziativa della Commissione europea e dell'Unione europea rispetto al ripristino delle condizioni della legalità internazionale ai confini dell'Europa, in un Paese che si considera europeo, servirebbe a far crescere la credibilità dell'Europa.
NUNZIANTE CONSIGLIO. Ringrazio il Presidente Barroso per la sua presenza nel nostro Parlamento.
Con riferimento all'attuale situazione dell'Unione europea, alla luce del processo di ratifica del Trattato di Lisbona e delle recenti difficoltà derivanti dall'esito negativo del referendum irlandese e, non ultimo, della presa di posizione del Presidente della Repubblica polacca, contrario alla ratifica del Trattato, non ritiene, Presidente Barroso, che anche questa volta si sia caduti nell'errore di non aver adeguatamente spiegato ai cittadini, e purtroppo a volte anche ai loro rappresentanti, i contenuti e gli obiettivi del trattato di Lisbona? In altre parole, anche questa volta si è scelta una strada che, escludendo un vero dibattito pubblico, un vero confronto con i cittadini europei, ha portato coloro che hanno potuto esprimersi tramite referendum a rifiutare questo modello di Europa.
Lei ha parlato del ruolo fondamentale dei Parlamenti nazionali nell'Unione europea. Non crede, però, che la loro funzione di meri ratificatori, molto limitata e da esercitarsi solo a partita chiusa, quando il testo è già stato definito dal Consiglio europeo, possa essere ritenuta da noi parlamentari, componenti di queste assemblee legislative, limitativa e poco rispettosa del ruolo dei parlamentari nazionali?
In altre parole, la logica del prendere o lasciare non è sicuramente il miglior modo, per l'Unione europea, di porsi nei confronti dei cittadini e dei Parlamenti nazionali.
Infine le rivolgo due richieste di ulteriori chiarimenti rispetto alle questioni attinenti a sicurezza, politica energetica e mobilità.
PRESIDENTE. Comunico che è in corso al Senato la Conferenza dei presidenti di gruppo. Attendiamo di conoscerne l'esito per sapere quando avranno inizio i lavori dell'Assemblea in quel ramo del Parlamento.
LAPO PISTELLI. Ringrazio il Presidente Barroso. Parto da questo punto: è evidente che negli ultimi anni sta crollando in Europa il consenso al processo di globalizzazione. Questa, a mio avviso, è una delle radici profonde della malattia europea; infatti, davanti alla domanda se la globalizzazione sia governabile, sempre di più i Paesi dicono che l'Europa non è un pezzo della soluzione, ma un pezzo del problema. L'Europa è stata la porta attraverso la quale sono entrate, come già richiamava l'onorevole Gozi, una serie di «malattie» sociali ed economiche.
Io credo, però, che questo chiami in causa gran parte della responsabilità sia dell'élite europea che delle élite nazionali. Come lei ha tante volte evidenziato nel Parlamento europeo, se le élite nazionali fanno il blame game con l'Europa sei
giorni su sette, il settimo giorno al referendum i cittadini votano «no»e non «sì». Questo è evidente.
Parafrasando un vecchio slogan, noi siamo abituati a nazionalizzare i profitti e ad europeizzare le perdite. C'è sempre un'Europa intesa come «poliziotto cattivo» che fa le riforme sbagliate. Dall'altra parte, c'è il problema, da parte dell'Europa, di dimostrare ancora oggi, nella sua narrazione esterna, di essere un attore globale capace di parlare delle cose che stanno a cuore dei cittadini. Va bene sull'energia, sui conflitti, sull'instabilità finanziaria, ma io mi permetto di dire - può sembrare un po' romantico, ma ci credo - che l'Europa deve dimostrare di essere ancora la sede dove si riaffermano i grandi princìpi di libertà e di democrazia, che soprattutto le giovani generazioni tendono a dare per scontati. Lo dico all'indomani della scomparsa di un grande europeo ed europeista come Bronislaw Geremek, e lo dico in un'Europa che vede riemergere insorgenti fenomeni di razzismo e di tensione sociale. C'è
quindi bisogno di vigilare molto sui princìpi fondamentali.
Sono contento che l'Italia resti uno dei Paesi guida del processo, ma mi permetto di dire al Presidente Barroso che anche da noi comincia a soffiare un po' di vento euroscettico e, anche se l'Europa resta un sentimento condiviso da un vasto arco di forze, non è più un'idea unanime.
Detto questo, voglio porre tre domande telegrafiche.
Al di là della moral suasion, che cosa immagina di fare la Commissione, dal punto di vista giuridico, se dovesse permanere un atteggiamento negativo del Governo irlandese?
In secondo luogo, chiedo se ci siano novità, anche all'indomani dei recenti vertici europei, riguardo alle posizioni espresse dalla Polonia e dalla Repubblica Ceca. Un conto è l'Irlanda, che impensierisce meno della Francia, stante i suoi pochi abitanti, ma se si aggiungesse la più «cospicua» Polonia credo che il problema diventerebbe molto più consistente.
Infine, quando ci fu la Convenzione europea, creata dal Consiglio europeo di Laeken, fu rigettata l'idea di un referendum europeo che ratificasse nello stesso giorno la Costituzione europea con il principio della doppia maggioranza di popoli e di Stati. Lei cosa pensa, Presidente Barroso, dell'ipotesi, che alcuni ambienti culturali e politici presentano in vista delle elezioni europee dell'anno prossimo, secondo cui in coincidenza di queste ultime, lo stesso giorno in tutti i Paesi, si potrebbe anche votare un quesito di indirizzo politico, a livello europeo che contenga l'invito a continuare e a rafforzare il processo di integrazione? Non sarebbe certo una risposta affermativa ad un determinato testo, ma sarebbe un atto d'indirizzo che potrebbe aiutare le élite europee e quelle nazionali ad andare avanti in questo processo.
LUCIO STANCA. Presidente Barroso, vorrei tornare sul tema più concreto dell'economia. In Europa, oggi, il problema di gran lunga più avvertito dai cittadini e dalle imprese europee riguarda la difficile situazione economico-finanziaria. Molti colleghi hanno toccato il tema di come avvicinare i cittadini all'Unione europea. Ebbene, io credo che se l'Unione europea fosse in grado (come, a mio parere, dovrebbe essere) di dare delle risposte più forti, insieme ai Governi nazionali, per fronteggiare questa situazione, facendo leva sulla sua dimensione, sulla sua capacità di negoziazione - penso all'energia, alle infrastrutture materiali e immateriali, all'innovazione tecnologica - questo avvicinamento sarebbe più possibile.
La mia domanda è molto semplice: oggi, mentre risolviamo problemi di governance molto più complessi, che cosa dovrebbe fare l'Unione europea, attraverso la Commissione, per dare più forza a questi interventi che possono dare ai cittadini e alle imprese le risposte che aspettano in termini di maggiore occupazione, di crescita e di competitività?
PRESIDENTE. Colleghi Bellotti e Gottardo, posso concedervi solo un minuto a testa per una battuta.
LUCA BELLOTTI. Grazie, presidente. La questione delle sfide dell'umanità credo che sia collegabile al settore dell'alimentare, dell'energia e dell'acqua. La stessa comunità europea per molti anni ha avuto la regia nel settore alimentare, ma denotando moltissime debolezze.
Poco tempo fa si parlava di eccedenze e di quote, mentre oggi vediamo che il mondo viaggia nelle carestie; anche nella stessa comunità europea ci sono sintomi evidenti di queste politiche, che non vorrei definire sbagliate, ma sicuramente non caratterizzate da una grande profondità.
Il nostro Paese ha dovuto subire molte riforme; penso, ad esempio, alla riforma dell'OCM zucchero. Chiudere uno zuccherificio significa chiudere una storia nel Paese. Ma se, a distanza di due anni, ci rendiamo conto che nel mondo la necessità di zucchero è in aumento e noi abbiamo chiuso gli zuccherifici, il popolo s'interroga se la visione strategica dell'Europa in un settore assolutamente importante quale quello dell'agroalimentare non sia da rivedere.
Infine, credo che l'Europa debba andare avanti nell'assoluta libertà anche nella ricerca scientifica. Oggi sulla questione degli organismi geneticamente modificati non possiamo fare un centimetro in avanti e due passi indietro; non possiamo nascondere il fatto che il 50 per cento della popolazione europea oggi mangia prodotti che arrivano da organismi geneticamente modificati.
ISIDORO GOTTARDO. Rimango convinto che il Trattato di Nizza sia stata la grande occasione perduta dell'Europa. Noi stiamo pagando semplicemente le conseguenze di aver ignorato quel fallimento.
Lei, Presidente Barroso, ha ben richiamato il problema della leadership politica a livello nazionale, che deve farsi carico del livello europeo. In questa chiave sono convinto - le domando se lo ritiene anche lei - che la sussidiarietà più che una grande opportunità per gli Stati membri e per i Parlamenti nazionali, alla luce di questa sua considerazione, debba diventare un'opportunità per l'Europa perché tende a rafforzare il principio.
Mi permetta, infine, una curiosità. L'Europa, nell'acquis comunitario, si è mai posta il problema della necessità di un sistema di ratifica comune a tutti gli Stati membri come processo forte europeo? Per essere più chiari, la Commissione europea non potrebbe lanciare l'idea di un referendum unico europeo?
Infine, per noi il tema importante è l'euromediterraneo, punto centrale del semestre francese. Avrà successo nel convincere l'altra parte dell'Europa che l'investimento sul Mediterraneo è fondamentale per l'intera Europa?
PRESIDENTE. Do la parola al Presidente Barroso per la replica.
JOSÉ MANUEL BARROSO, Presidente della Commissione europea. Grazie delle domande che hanno mostrato la qualità del dibattito e della cultura politica italiani. Ovviamente, non potrò rispondere a tutto per mancanza di tempo, ma raggrupperò le domande.
Per quanto riguarda le ratifiche del Trattato di Lisbona, ad oggi abbiamo solo il «no» dell'Irlanda e non ne attendo altri. Appena ieri ho parlato a Parigi con il Presidente polacco Kaczynski, che mi ha assicurato che la Polonia non sarà mai un ostacolo alla ratifica del Trattato di Lisbona. Come sapete, il Parlamento ha approvato a schiacciante maggioranza il trattato, e sono certo che il Presidente polacco firmerà.
La questione della Repubblica Ceca è davanti alla Corte costituzionale, ma il Primo ministro ha detto, in sede di Consiglio europeo, che farà quanto in suo potere per ottenere la ratifica. Quindi, spero davvero che tutti i Paesi, tranne l'Irlanda, voteranno adesso a favore del Trattato di Lisbona. Dopodiché, ci sarà da discutere la questione con nostri amici e partner irlandesi, per trovare una via per andare avanti.
Capisco la vostra curiosità, ma non credo che in questo momento sia utile -
non sono qui a parlare da commentatore, ma da Presidente della Commissione - speculare su ciò che potrebbe succedere «se». Mi dispiace, ma non posso farlo. Cerchiamo piuttosto di fare mente locale, poi cerchiamo di fare in modo che tutti i Paesi siano d'accordo. Successivamente discuteremo con gli amici irlandesi e cercheremo di giungere ad una decisione di tutti gli Stati membri. La proposta è questa, e credo che sarebbe inopportuno addentrarci adesso in scenari ipotetici negativi. Ciò potrebbe anche influenzare negativamente l'opinione pubblica in Irlanda e in altri Paesi.
Quanto alla questione più ampia della sussidiarietà e delle cooperazioni rafforzate, posso dirvi qualcosa.
Sono del parere - questo è un punto generale che non attiene solo al Trattato di Lisbona - che di norma, in Europa, dovremmo applicare un vecchio proverbio che ho sentito recitare in Africa: «Se vuoi far presto, vai da solo, ma se vuoi andare lontano trovati dei compagni di strada».
Certo, è più pratico, si fa prima se si va in piccoli gruppi, ma se si vuole essere più forti, bisogna andare assieme agli altri.
Vi dirò con chiarezza che l'Europa è molto più forte adesso con 27 Stati membri che non quando eravamo solo in 12. Su questo non c'è dubbio. Nell'era della globalizzazione, il motivo più importante per cui oggi l'Europa conta è dato dal fatto che si è allargata.
Gli americani, i nostri alleati tradizionali, ma anche i russi, i cinesi, i giapponesi, gli indiani, i brasiliani ci rispettano molto di più oggi che siamo 27 Stati membri, con quasi 500 milioni di abitanti, che non quando eravamo un'Europa relativamente piccola. Questo, a volte, non è avvertito in certi Stati membri, forse neanche in Italia, anzi - e voglio essere molto franco con voi - talvolta vi è persino una sorta di nostalgia per un'Europa più piccola, per quell'Europa con meno influenza nel mondo. Ebbene, nell'era della globalizzazione, questa dimensione conta. Siamo davvero troppo grossi, se paragoniamo i nostri 500 milioni di abitanti con l'enorme taglia demografica della Cina o dell'India? Siamo troppo grossi, se paragoniamo la nostra dimensione territoriale attuale con quella della Russia? Sul piano geopolitico o geoterritoriale, il più grande Paese del mondo è la Russia. Siamo troppo grossi, se paragoniamo le nostre
risorse con le enormi risorse tecnologiche e finanziarie e la potenza difensiva del nostro partner americano?
Non siamo affatto troppo grossi. Quello che ci manca è la coerenza nel processo decisionale. Ecco perché ci vuole il Trattato di Lisbona o tutto quanto può rafforzare la nostra capacità di agire globalmente. Ecco qual è la questione.
Le cooperazioni rafforzate sono previste nel Trattato di Lisbona e il Consiglio le può approvare. Personalmente, sono favorevole a cooperazioni rafforzate su temi specifici.
La flessibilità va bene, ma sulla differenziazione o sulla stratificazione non sono d'accordo. Una certa flessibilità ci occorre e la abbiamo già, con l'area dell'euro, l'area di Schengen e altri meccanismi. La flessibilità, però, non deve minare la coerenza del progetto complessivo, non deve proporre come soluzione una sorta di Europa à la carte dove si sceglie una portata del menù, perché ciò comporterebbe un rischio reale di frammentazione dell'Europa.
Come Presidente della Commissione, ho lavorato ogni giorno per quattro anni con il consenso di tutti i 27 Stati membri. Quindi, ho il dovere di dirvi che dovremmo avere delle cooperazioni rafforzate, laddove servono, ma che queste non devono diventare la norma. Altrimenti, si corre veramente il rischio di divisione e frammentazione del nostro progetto.
Una domanda interessante che è stata posta riguardava il rapporto tra Parlamenti nazionali, sussidiarietà e Parlamento europeo. Questo è uno dei temi più complessi sul piano politico-istituzionale, perché in Europa abbiamo un sistema politico molto complesso, anche più di quello italiano. Il sistema è complicato, perché abbiamo a che fare con democrazie nazionali, ma anche con un sistema democratico europeo che non è completo.
Il sistema europeo è un sistema democratico. Il Parlamento è eletto direttamente dai cittadini, la Commissione rende conto al Parlamento. Io sono stato scelto dai miei colleghi del Consiglio europeo, ma sono stato confermato dal Parlamento europeo, così come accade per il collegio
In sostanza, è ciò che avviene nelle democrazie nazionali. In certe democrazie nazionali, come sapete, è possibile avere un Primo ministro che non è neanche stato eletto. In seguito, però, deve essere designato dal Presidente della Repubblica.
Quindi, sotto il profilo formale, sotto il profilo della teoria della democrazia, c'è un'attribuzione di responsabilità perfetta: c'è un Parlamento e c'è un Esecutivo, che è la Commissione, che condivide competenze con il Consiglio europeo. In pratica, tuttavia, sappiamo che questa non è una democrazia come le nostre democrazie nazionali, e riconosciamo che esiste questo problema di distanza, che alcuni di voi hanno giustamente evidenziato, proprio perché la comunità politica fondamentale rimane, e rimarrà in un futuro prevedibile, quella dello Stato nazionale. Qualcuno lo gradisce e qualcuno no, ma quella resterà, ne sono certo, la fonte fondamentale di legittimità politica.
Per questo, dunque, è così difficile il nostro ruolo, ossia quello di consolidare un sistema democratico europeo, pur rispettando le competenze a livello nazionale e, principalmente, quelle dei Parlamenti nazionali. Riusciamo a fare questo stabilendo una chiara distinzione tra le competenze a livello europeo e quelle a livello nazionale. Ecco, questo è il principio di sussidiarietà, così come è stato inteso dal pensiero classico di certi autori europei e italiani, e anche dalla dottrina sociale della Chiesa cattolica. È lì che il concetto di sussidiarietà è sorto per la prima volta, almeno secondo alcune teorie.
Come facciamo a rispettare questo principio? Per rispondere alle domande di alcuni di voi, non avrei da eccepire - sono davvero proeuropeo - se avessimo un Parlamento e un Governo a pieno titolo, dotati di tutte le competenze, a livello europeo, ma, in un avvenire prevedibile, non sarà possibile averlo, e io devo essere realista.
Dobbiamo quindi spiegare ai nostri concittadini che le decisioni finali non sono prese dalla Commissione. Mi dispiace tanto. La Commissione si assume la responsabilità di ciò che può fare, ma non mi prendo la responsabilità di ciò che non posso fare. La Commissione presenta le proposte, ma la decisione finale è dei Governi all'unanimità, o a maggioranza qualificata, in sede di Consiglio, e del Parlamento europeo.
Pertanto, quando qualcuno di voi mi chiede se accettiamo delle responsabilità, rispondo positivamente. Accetto la responsabilità di ciò che posso fare, o che non ho fatto, ma non di ciò che devono fare gli Stati membri. Quella responsabilità non me la prendo. Il mio dovere è proprio quello di richiamare l'attenzione dei leader nazionali su ciò che dovrebbero e potrebbero fare in più.
Onorevoli parlamentari, alcuni di voi hanno detto che ogni qual volta parliamo di Europa perdiamo un referendum. Anzitutto, voglio sottolineare che questo non è vero. Recentemente, infatti, con un trattato più ambizioso del Trattato di Lisbona, abbiamo avuto un referendum in Spagna e in Lussemburgo, dove il «sì» ha vinto.
La principale differenza tra Spagna e Lussemburgo da una parte e Paesi Bassi e Francia dall'altra è stata determinata dalla popolarità del Governo. È stata veramente una questione di contesto, non di testo.
Ha fatto bene l'onorevole La Malfa a chiedere se questa volta, forse, si è posto anche un problema di testo. Fino ad un certo punto penso che sia stato così, perché l'argomento portante del «no» irlandese è stato la mancata comprensione del testo. Nei sondaggi che abbiamo condotto dopo il voto, il principale motivo del voto negativo era l'eccessiva complessità del testo, che non risultava comprensibile.
La campagna per il «no» è stata condotta molto abilmente. In primo luogo, infatti, hanno usato questo argomento: se non sapete, votate no. Quindi, hanno sfruttato
la paura dei cambiamenti. Come sapete, la paura vende molto di più della speranza.
Un altro argomento del «no», particolarmente interessante, è stato questo: «L'Europa ha fatto molto per l'Irlanda? Allora continuiamo così, non cambiamo nulla».
Sempre in base ai sondaggi effettuati dopo il referendum, è risultato che l'80 per cento di coloro che hanno votato «no» dicevano di sostenere l'integrazione europea e che volevano l'Irlanda in Europa.
Nei sondaggi di opinione, in tutti gli Stati, l'Irlanda appare in effetti come uno dei Paesi più favorevoli all'Unione, sotto tutti i profili, eppure hanno votato contro il Trattato di Lisbona. Questa è la questione preoccupante.
Inoltre, come sapete, in Irlanda vi era anche una crisi politica in atto. Vi è stato un avvicendamento al governo. Il primo Ministro si è dimesso. Ero presente in quella fase e ho visto che gli irlandesi erano molto più preoccupati per la situazione interna che non per il Trattato di Lisbona, almeno in quel momento.
Ad ogni modo, le ragioni sono molto complicate. Questo serve a mostrarvi l'enorme complessità dell'Europa di oggi.
Per questo motivo, rivolgo un forte appello al senso di responsabilità dei leader italiani, perché non si troverà una soluzione facile.
Alcuni di voi hanno detto che se fosse indetto un referendum sull'Europa, in parecchi Paesi perderemmo. Sono d'accordo su questo, ma se fosse indetto un referendum in molti Paesi su delle politiche nazionali, pensate che vincerebbe il «sì»? Anche in quel caso, siate certi che verrebbe espresso un bel «no». Quindi non date la colpa all'Europa.
Siamo onesti. Il punto è che attualmente si pongono problemi molto difficili, rispetto ai quali noi, come politici a livello nazionale ed europeo, dobbiamo prendere decisioni impopolari.
Tra i nostri Paesi, ve ne è uno - ad eccezione forse della Svizzera, con la sua secolare esperienza referendaria, e che tra l'altro non fa parte dell'Unione europea - che potrebbe essere governato con referendum costanti? Se ci fosse stato un referendum dieci anni fa sull'Unione monetaria europea, sull'euro, pensate che il risultato sarebbe stato un «sì»? Siamo onesti. La Germania avrebbe votato «sì»?
Se vogliamo discutere il problema, dobbiamo andare più a fondo. La verità è che se i nostri Stati membri non sono in grado di prendere decisioni sulle loro questioni politiche più importanti attraverso continui referendum, perché dovrebbe essere capace di farlo l'Europa?
Dopo la grande qualità della discussione che si è svolta in questa sede, dobbiamo sollevare anche tali questioni.
Vi sto chiedendo, in effetti, di impegnarvi di più a livello europeo. Un parlamentare ha chiesto se il Parlamento nazionale debba diventare un potere ratificante, che si limita ad esprimere un sì o un no. Certamente no. I Parlamenti nazionali devono fare ben di più.
Ecco perché, anche prima del Trattato di Lisbona, ho varato la prassi del parere dei Parlamenti nazionali. Francamente, abbiamo già ricevuto più di 230 pareri da diversi Parlamenti nazionali. Sono soltanto due i pareri pervenuti dal Parlamento italiano. Quindi, per favore, inviateci i vostri pareri quanto prima nel corso dell'iter. Assumete l'iniziativa in questo senso. Siamo pronti ad ascoltare le vostre critiche e ad accettare i vostri input, ma non c'è nulla che impedisca ai Parlamenti nazionali di essere più attivi negli affari europei.
Ora, a seguito dell'esperienza di un'Europa a 27, posso dirvi che alcuni Parlamenti in Europa sono attivissimi e che certi Governi si lamentano molto spesso con chi vi sta parlando, dicendo che alcune cose non le possono fare in quanto il loro Parlamento nazionale non glielo permette. Questa è la realtà della complessa vita politica europea.
Quindi, mettete in atto tutto ciò che potete fare per accrescere l'influsso dell'Italia, perché so che, malgrado qualche scetticismo, l'Italia rimane autorevole. Lo scetticismo va bene, se esso è di natura intellettuale e si interroga su ciò che è
sbagliato. Sono lieto se mira a questo scopo. Del resto, è questa l'origine del termine «scettico» in greco antico. Tuttavia, se essere scettici vuol dire essere negativi nei confronti dei nostri valori europei - ma non penso sia questo il caso - ciò non mi farebbe piacere.
Voglio vedere un'Italia che, con un più forte impegno, partecipa a questo dibattito e chiarisce ciò che è di responsabilità europea e ciò che spetta alla sua responsabilità.
Parlando dell'economia, mi avete chiesto che cosa può fare l'Europa. Quest'ultima, per inciso, ha realizzato ciò che era possibile fare al suo livello, ossia dare un mercato interno alle nostre imprese e ai nostri consumatori.
Un'impresa italiana ora sa che non lavora solo per l'Italia, ma per l'intero mercato, composto di mezzo miliardo di persone; il che rappresenta un grande vantaggio; da qui l'importanza dell'attuazione delle norme della concorrenza, per impedire le distorsioni della stessa, che porterebbero a rinazionalizzare e reintrodurre inefficienza nel nostro sistema.
Sulla Banca centrale europea, vi sono varie opinioni. Il mio parere personale è che le decisioni sulla politica monetaria, alla lunga, sono prese meglio da organi indipendenti che non da politici che pensano con una prospettiva di breve termine. Questa è stata del resto l'esperienza in Europa, anche prima che avessimo la BCE.
Per alcuni motivi, in Europa, abbiamo attribuito alle banche centrali una certa autonomia anche a livello interno, le abbiamo messe fuori dalle decisioni partitiche, perché i politici di partito - e io sono in origine un politico di partito, essendo stato eletto al mio Parlamento nazionale dall'età di 29 anni in avanti - sono più soggetti alle pressioni a breve termine esercitate dal nostro elettorato.
Ritengo, dunque, che la Banca centrale europea debba avere una qualche indipendenza. Poi, possiamo anche migliorare il modo in cui comunica. Al riguardo, nell'area dell'euro ci sono meccanismi di discussione e dibattito tra i ministri delle finanze e il Commissario per gli affari economici e monetari.
Anche io partecipo talvolta a quegli incontri, e noto che il Presidente della Banca centrale discute con i ministri delle finanze molto a fondo sulle questioni di politica economica e non solo di politica monetaria.
Abbiamo creato l'euro, ma anche su questo argomento ci sono varie opinioni. Ritengo che l'euro sia stato un bel cuscino contro le pressioni inflative, derivanti soprattutto dai prezzi del petrolio. Possiamo anche investire di più nell'innovazione rispetto a quanto si fa ora e chiedere agli Stati membri di mobilitare risorse europee, costruire più infrastrutture, promuovere i fondi regionali.
L'Italia è stata, per inciso, un forte recettore di fondi regionali nel corso degli anni, cosa che ha rappresentato un grosso contributo alla crescita e allo sviluppo del Paese.
Tuttavia, ciò che non possiamo fare è sostituire le competenze nazionali nella politica sociale. Abbiamo presentato di recente un'agenda sociale rinnovata per le opportunità e la solidarietà, ma i sistemi sanitari e della pubblica istruzione rimangono nazionali.
Le istituzioni europee, quindi, non possono fare quel tipo di politica sociale che gli Stati membri possono e dovrebbero rivolgere ai loro cittadini. È questo che dobbiamo spiegare ai nostri cittadini, e non, come è stato detto, europeizzare le perdite e nazionalizzare i profitti. È una questione di onestà intellettuale e politica.
Come ho detto, temo di non poter rispondere a tutte le vostre domande, ma spero almeno di essere riuscito a trasmettervi quelli che ritengo siano gli aspetti importanti della complessità e del carattere decisivo delle sfide che abbiamo tutti davanti: istituzioni europee e istituzioni nazionali, Governi e Parlamenti. Dobbiamo lavorare in uno spirito di partenariato critico.
Mi piace la discussione, ma dobbiamo cercare di rafforzare il nostro progetto comune e capire che nell'era della globalizzazione,
come avete detto, ci serve più Europa e non meno Europa, non un'Europa burocratica.
Per questo motivo, parte della nostra azione consiste proprio nel ridurre la regolamentazione non necessaria a livello europeo, nel prendere decisioni più semplici specie per le piccole imprese e nel rendere la vita più facile ai cittadini. Non vogliamo un'Europa burocratica.
Spero di essere riuscito a trasmettervi l'idea che non sono un burocrate o un tecnocrate, ma un democratico. Tuttavia, la Commissione europea da sola non potrà mai sostituire le competenze degli Stati membri e dei Parlamenti nazionali nel portare avanti il progetto europeo.
Ancora una volta, a nome mio e dell'istituzione che oggi rappresento, voglio dirvi che siamo pronti, con il trattato di Lisbona - faremo di tutto per averlo -, ma anche prima, a lavorare con questo Parlamento, attraverso il meccanismo di consultazione, per ottenere l'input e il contributo del Parlamento italiano, nonché di tutti gli altri Parlamenti dell'Unione.
Grazie per l'attenzione.
PRESIDENTE. Nel ringraziare il Presidente Barroso e i colleghi presidenti per la collaborazione, dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 11,10.