Sulla pubblicità dei lavori:
Conte Gianfranco, Presidente ... 3
Audizione del direttore dell'Agenzia delle dogane, Giuseppe Peleggi, sulle tematiche relative all'operatività dell'Agenzia (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Conte Gianfranco, Presidente ... 3 13 18 19 20 23
Ventucci Cosimo, Presidente ... 13 15 21 26 27 28 29 32
Alvaro Teresa, Direttore area centrale tecnologie per l'innovazione ... 23 32
Aronica Alessandro, Direttore area centrale personale e organizzazione ... 27 28 29
Bricca Cinzia, Direttore area centrale verifiche e controlli tributi doganali e accise laboratori chimici ... 24 26 27
Causi Marco (PD) ... 17 21 28
De Santis Walter, Direttore area centrale gestione tributi e rapporto con gli utenti ... 30
Peleggi Giuseppe, Direttore dell'Agenzia delle dogane ... 3 15 18 19 20 21 22
23 27 30
ALLEGATO: Documentazione consegnata dal direttore dell'Agenzia delle dogane ... 33
Rapporto sulle assenze per malattia ... 71
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.
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Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 14,35.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del direttore dell'Agenzia delle dogane, Giuseppe Peleggi, sulle tematiche relative all'operatività dell'Agenzia.
Saluto il dottor Giuseppe Peleggi, direttore dell'Agenzia delle dogane, la dottoressa Cinzia Bricca, direttore area centrale verifiche e controlli tributi doganali e accise laboratori chimici, l'ingegner Walter De Santis, direttore area centrale gestione tributi e rapporto con gli utenti, la dottoressa Teresa Alvaro, direttore area centrale tecnologie per l'innovazione e il dottor Alessandro Aronica, direttore area centrale personale e organizzazione.
Come concordato, il direttore Peleggi ci ha fornito ampia documentazione, che è stata acquisita agli atti e posta in distribuzione.
Do ora la parola al direttore dell'Agenzia delle dogane.
GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Signor Presidente della Commissione, onorevoli deputati, vi ringrazio innanzitutto per questo invito e per l'occasione che viene concessa all'Agenzia delle dogane. Nel corso di questo breve intervento sarebbe stata mia intenzione illustrare nel modo più completo possibile tutte le attività che caratterizzano l'operare dell'Agenzia, i risultati conseguiti e quelli che vorremmo perseguire mediante i progetti che ci proponiamo di realizzare. Per fortuna, la vita ci sottopone a continui bagni di umiltà, per cui, a fronte dell'aspirazione alla sintesi perfetta, si finisce, come nel mio caso, per presentare una sequenza di informazioni estremamente frammentate, con uno stile quasi tipico della scrittura minimalista. Mi scuso di tutto ciò anticipatamente, pregandovi di aiutarmi a leggere il filo logico della relazione sul
versante delle problematiche che lascia sottese e che, forse, solo in minima parte lascia trasparire. L'Agenzia, istituita nel 2001 nella sua veste di autorità doganale, esercita le attività di controllo, accertamento e verifica relative alla circolazione delle merci e alla fiscalità interna connessa agli scambi internazionali. Verifica e controlla, inoltre, scambi, produzione e consumo dei prodotti e delle risorse naturali soggetti ad accisa, contrastando peraltro illeciti di natura tributaria ed extratributaria.
Il mondo doganale si confronta quotidianamente con una sfida ardua, che vede contrapporsi all'esigenza di assicurare controlli in tempo reale quella di non incidere negativamente sulla celerità dei traffici.
Peraltro, nel corso degli anni, la tipologia dei controlli ha subito un'evoluzione che ha reso necessario un aggiornamento
degli strumenti, delle procedure operative e delle professionalità dei funzionari che ne curano l'esecuzione.
La missione dell'Agenzia, che opera essenzialmente sulla base di normative di rango comunitario, oltre alla tutela delle risorse proprie della comunità, riscosse attraverso i dazi doganali, è sempre più orientata a garantire la regolarità del commercio internazionale contrastando i traffici illeciti di droga, armi, animali, beni del patrimonio culturale, prodotti contraffatti o non rispondenti alle normative in materia sanitaria o di sicurezza.
Nel 2008 le amministrazioni doganali degli Stati membri hanno ricevuto più di 176 milioni di dichiarazioni (pari a circa 5,5 dichiarazioni al secondo), di cui 63 milioni in procedura ordinaria, 104 milioni in semplificata e 9 milioni di transito, ed effettuano oltre 6 milioni di controlli fisici. Il numero dei «singoli», ovvero delle operazioni di import/export, presentato nelle dichiarazioni è ammontato, invece, a 294 milioni.
Dal canto loro, le dogane italiane trattano circa 1 dichiarazione ogni 2 secondi. Nel 2008, a fronte di circa 10 milioni e 500 mila dichiarazioni (e circa 18 milioni di singoli), sono stati effettuati 330 mila controlli fisici, in linea con la media europea. L'Agenzia, peraltro, tratta circa 21 milioni di dichiarazioni di scambi intracomunitari e 500 mila dichiarazioni accise.
In merito ai controlli può essere utile anticipare alcuni dati, estratti dalla bozza del Rapporto per il 2008 curato dalla TAXUD per la Commissione europea (il cosiddetto MOR - Measurement of results), relativi alla comparazione dei livelli di controllo realizzati dalle diverse dogane comunitarie. A fronte di un livello medio di controlli documentali alle importazioni pari al 17,6 per cento, l'Italia presenta una quota del 5,4 per cento; per i controlli fisici, invece, la media comunitaria si colloca sull'8,5 per cento e l'Italia al 9,6 per cento per quanto riguarda le importazioni, mentre si pone al di sotto della media nelle esportazioni (un livello del 2,6 per cento rispetto al tasso comunitario del 3,7 per cento). Di fatto, nella nostra composizione si riflette un modello export led.
Con riferimento alla platea degli operatori commerciali a vocazione internazionale attivi in Italia, si rileva che le imprese nazionali che effettuano scambi extra UE (importazioni/esportazioni/transiti) sono oltre 300 mila. A queste vanno poi aggiunte le oltre 270 mila imprese che effettuano scambi intracomunitari e le oltre 80 mila imprese che operano nel settore accise.
Sono numeri che riflettono l'intensità dei traffici e che fanno delle dogane un attore di primo piano sulla scena del commercio internazionale.
Solo servizi doganali estremamente efficienti possono gestire un simile carico di lavoro senza provocare gravi ritardi o consentire il passaggio di merci fraudolente, indesiderabili o illegali
L'Agenzia si è dotata di strumenti gestionali avanzati per favorire la fluidità dei traffici e la competitività delle imprese nazionali e di sistemi di gestione del rischio in grado di effettuare controlli sui traffici commerciali in tempo reale.
AIDA, il sistema informatico doganale, consente la telematizzazione degli scambi di documenti, offre servizi standardizzati e integrati che agevolano il commercio e riducono i costi di transazione, incrementa le potenzialità delle attività di analisi e gestione dei rischi, strumentali all'effettuazione di controlli mirati.
La complessità operativa particolare che caratterizza la missione doganale è stata trasformata in opportunità: la scelta strategica di fornire un servizio di sdoganamento in cui è integrata l'attività di controllo si è rivelata cruciale per velocizzare le operazioni di import/export ed ottenere una crescente efficacia dei controlli.
L'aver offerto alla comunità degli operatori servizi ad elevato valore aggiunto ha favorito l'adesione spontanea al servizio telematico di sdoganamento: solo il 4 per cento di 11 milioni di dichiarazioni doganali annue di importazione, esportazione e transito è presentato su carta.
Ogni dichiarazione doganale presentata è trattata dal sistema ed esaminata dal circuito doganale di controllo, che provvede ad indirizzarla a 4 canali di controllo (verde, giallo, arancione e rosso) in relazione all'associabilità a profili di rischio basati su una combinazione degli elementi della dichiarazione (origine, provenienza, destinazione, merci, imballaggi, eccetera): il canale rosso prevede il controllo documentale e fisico delle merci (VM); quello arancione il controllo documentale e mediante scanner a raggi X dei mezzi di trasporto e dei container (CS); quello giallo il controllo documentale della dichiarazione e della documentazione allegata (CD); quello verde il controllo automatizzato (CA).
La definizione dei profili di rischio si basa su una costante attività di intelligence, che raccoglie, collega e valuta informazioni provenienti dall'analisi dei flussi e da numerose banche dati nazionali e comunitarie. Un processo ciclico di valutazione e correzione dei profili di rischio in relazione ai risultati dei controlli (l'esito di ogni controllo è registrato a sistema) consente al sistema di gestione automatizzata del rischio di «autoapprendere» dai risultati ottenuti per accrescere l'efficacia e la selettività dei controlli, riducendone progressivamente la quantità.
I profili soggettivi riducono o aumentano il rischio a seconda che i soggetti i quali intervengono nell'operazione figurino nella white ovvero nella black list. Attraverso un processo volontario di audit le imprese possono ottenere la certificazione del grado di affidabilità, secondo il modello comunitario AEO (Authorized economic operator), alla quale è collegato un livello di controllo personalizzato.
La scelta del porto presso il quale effettuare le attività di imbarco e sbarco, oltre che da valutazioni logistiche, può essere influenzata da tempi e costi di sbarco e di introduzione nel mercato. Costi e tempi sono il risultato dell'interazione di tutti gli attori coinvolti a vario titolo nel «momento doganale», ovvero l'insieme dei processi di pertinenza doganale integrato con le attività degli altri soggetti (autorità portuale, terminalisti, Guardia di finanza, capitaneria di porto, servizio di sanità marittima, servizio veterinario, servizio fitopatologico, Corpo forestale, agenzie marittime, case di spedizione, spedizionieri doganali, eccetera). La frammentazione del processo di sdoganamento può comportare il controllo di oltre settanta documenti diversi (fatture, licenze per import ed export, autorizzazioni, certificati fitosanitari e veterinari, e via dicendo) e, in corrispondenza, l'attesa
dell'esito dei controlli esercitati da più di venti enti e soggetti diversi. In assenza di un efficace coordinamento tra gli enti coinvolti, i costi della frammentazione ricadono sulle imprese.
Per queste ragioni, nell'ordinamento comunitario si è ritenuto di introdurre, con il Regolamento del Parlamento e del Consiglio n. 648 del 2005, il principio della unicità dell'operazione doganale, ovvero della contemporaneità dei controlli operati da diverse autorità e, quindi, dell'unicità dell'operazione doganale in tutte le sue componenti, e di affidarne alle dogane il coordinamento, da attuarsi di norma in via telematica. Ad oggi, lo sportello unico doganale, benché strumento indispensabile in termini di semplificazione e di trasparenza, non trova pratica attuazione nei piani di sviluppo comunitari.
Anticipando quanto sancito - in linea di principio - nel codice doganale comunitario, lo sportello unico doganale è stato inserito nella legge n. 350 del 2003 (legge finanziaria per l'anno 2004), appunto, per semplificare e razionalizzare le operazioni di importazione ed esportazione, mediante la riduzione dei termini delle attività istruttorie e dei controlli da effettuare, anche di competenza di amministrazioni diverse.
La norma citata affida allo sportello unico la funzione di coordinare, «anche per via telematica», i procedimenti di competenza delle altre amministrazioni relativi alle operazioni doganali, perseguendo lo sviluppo dell'interoperabilità dei sistemi informativi di tutte le diverse amministrazioni interessate.
Nel sistema disegnato dall'articolo 4, commi 57 e 58, della legge n. 350 del 2003 l'amministrazione doganale funge, dunque, da punto di coordinamento e di controllo del complesso delle informazioni e dei dati necessari allo sdoganamento, avvalendosi delle strutture informatiche utili a consentire il dialogo telematico con gli operatori economici e con i sistemi informativi delle altre amministrazioni coinvolte nel processo.
Il delineato quadro normativo di riferimento è, quindi, completato dal successivo comma 59, che demanda ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con i Ministri interessati e con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, la definizione dei termini di conclusione dei procedimenti amministrativi relativi all'assolvimento delle operazioni doganali di importazione ed esportazione, validi fino a quando le amministrazioni interessate non provvederanno a stabilirli, in una durata comunque non superiore, con propri regolamenti ai sensi dell'articolo 2 della legge n. 241 del 1990.
Nell'attesa che il travagliato iter di condivisione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri abbia termine, l'Agenzia prosegue gli sviluppi connessi. Declinando le linee guida del codice dell'Amministrazione digitale, è stato realizzato un modello operativo di sportello unico telematico, già utilizzabile per il trattamento dei titoli AGRIM-AGREX. Il modello sarà estendibile a tutte le amministrazioni una volta che il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri avrà visto la luce. Le diverse amministrazioni integrano i processi di competenza (di cui rimangono titolari) offrendo a cittadini ed imprese una «interfaccia» unitaria. In altri termini, partendo dai dati raccolti con la dichiarazione doganale si innesca un processo telematico per la verifica della documentazione a sostegno della dichiarazione e per l'esecuzione dei controlli.
La Dogana come fattore di crescita economica.
Per agevolare lo scenario portuale italiano, l'Agenzia delle dogane ha avviato il progetto CARGO, che mette a disposizione degli attori del ciclo portuale funzionalità telematiche per la presentazione dei «manifesti merci in arrivo» e dei «manifesti merci in partenza» e per la gestione dei terminal-container.
Benché CARGO sia operativo da diversi anni, si rileva un'insufficiente adesione degli attori del ciclo portuale ai servizi telematici offerti dall'Agenzia: il 70 per cento dei cargo manifest è ancora presentato su carta (solo il 30 per cento dei cargo manifest è automatizzato e riguarda circa 2 milioni e 500 mila container).
Le tabelle riportate a pagina 6 della relazione illustrano l'utilizzo del servizio telematico per i manifesti merci in arrivo per regione, nonché con riferimento ai principali porti.
Decisamente residuale è l'utilizzo del manifesto telematico in partenza (ad oggi utilizzato parzialmente soltanto nel porto di Gioia Tauro), così come il dialogo telematico con i gestori di terminal container.
L'utilizzo dei servizi telematici di CARGO è condizione necessaria per dar corso in termini strutturali ad ulteriori innovazioni procedurali, cruciali per la rapidità e l'efficienza dei servizi portuali.
Una delle innovazioni introdotte con CARGO riguarda lo «sdoganamento in mare», attualmente in sperimentazione in alcuni porti liguri.
Con lo sdoganamento in mare (preclearing) le dichiarazioni doganali telematiche sono trasmesse prima che la nave entri in porto: Il sistema AIDA segnala i container da controllare affinché siano direttamente posizionati nelle aree di verifica e dà via libera ai container non a rischio, che possono essere immediatamente sdoganati, liberando lo spazio portuale.
Uno studio condotto dall'Agenzia in collaborazione con il CNIPA e il Politecnico di Milano per valutare la fattibilità dell'introduzione della tecnologia RFID («dispositivi a radiofrequenza») in ambito doganale ha evidenziato che l'apposizione dei RFID come «sigilli elettronici» sui
container produce benefici notevoli, consentendo di controllare con sistemi automatizzati la movimentazione dei container all'interno delle aree portuali e nei tragitti tra porto e retroporto.
A seguito dei risultati dello studio è stato siglato, ad agosto 2008, un accordo di collaborazione tra l'Agenzia delle dogane ed il Centro comune di ricerca della Commissione europea. Il CCR è il laboratorio di riferimento in materia di scienza e tecnologia per l'Unione europea ed ha il compito di fornire il sostegno scientifico e tecnico per la concezione, l'elaborazione, l'attuazione ed il controllo delle politiche dell'Unione.
La collaborazione fra l'Agenzia e la Commissione europea è indirizzata ad individuare soluzioni innovative basate su tecnologie RFID (Radio-Frequency Identification) per suggellare i container e controllarne a distanza la movimentazione, stabilendo un modello organizzativo di riferimento.
Per conseguire i predetti obiettivi è prevista la realizzazione di una infrastruttura comune per l'attivazione di un progetto pilota, l'elaborazione congiunta di programmi di formazione e di progetti di ricerca nonché la diffusione e la promozione dei risultati ottenuti agli utenti finali a livello internazionale.
L'accordo di collaborazione persegue i medesimi obiettivi del protocollo di intesa siglato a luglio 2008 tra l'Agenzia delle dogane, l'Autorità portuale di Livorno e l'interporto di Prato nel quadro delle iniziative volte a rilanciare la competitività del sistema portuale nazionale e conferma l'impegno dell'Agenzia nell'utilizzo strategico delle nuove tecnologie al fine di rendere più efficiente l'espletamento dei compiti istituzionali, di semplificare e migliorare la qualità dei servizi offerti all'utenza esterna.
Gli sviluppi connessi a RFID sono collocati nel nuovo progetto «Il TROVATORE» (anche noi, con queste denominazioni, diffondiamo la cultura del made in Italy...), che costituisce un'evoluzione delle strategie attuate con il progetto «CARGO».
In corrispondenza ad ogni container elencato sul manifesto telematico in arrivo è indicato il terminal-container di destinazione, che può essere ubicato anche al di fuori degli spazi portuali (dry-port/retroporto). Se il gestore del terminal di destinazione ha attivato il dialogo telematico con la dogana può ricevere i container di competenza senza dar corso ad ulteriori formalità.
Sdoganamento in mare e procedure per l'utilizzo del dry-port/retroporto contribuiscono allo sviluppo dei porti nazionali, razionalizzando la gestione degli spazi portuali ed estendendone «virtualmente» la ricettività.
Fare gioco di squadra (senza reinventare la ruota).
Il trasporto marittimo, più economico, affidabile, poco inquinante, interessa il 70 per cento del totale degli scambi sul territorio comunitario ed il transito di circa 2 miliardi di tonnellate di merci diverse. Il potenziamento delle autostrade del mare è uno degli interventi ritenuti prioritari dalla Commissione europea al fine di potenziare l'intero sistema trasporti, con particolare interesse agli assi del Mar Baltico, dell'Arco Atlantico, dell'Europa Sud-orientale e del Mediterraneo occidentale. L'Italia ha una posizione geografica strategica che ha da sempre favorito relazioni commerciali verso l'area occidentale ed orientale, ma solo una maggiore attenzione alla portualità e all'intermodalità di un sistema dei trasporti integrato (ferro, gomma, acqua, aria), con una diversificazione per direttrici di traffico e di specializzazione merceologica, consentirà all'Italia di reinserirsi a pieno titolo ed in modo concorrenziale nella rete
di trasporto transeuropea. L'adeguamento degli assetti infrastrutturali dei porti (fondali, banchine, spazi a terra, connessioni stradali e ferroviarie), l'ampliamento dell'offerta intermodale su ferro e gomma e lo sviluppo delle aree industriali limitrofe al porto per l'attivazione di seconde e terze lavorazioni rappresentano solo alcuni degli aspetti da mettere in pratica.
Oltre al perfezionamento tecnologico e strutturale delle diverse realtà portuali
italiane, la razionalizzazione ed il potenziamento dell'offerta portuale passa inevitabilmente dalla capacità del sistema porto di «essere in rete». I modesti spazi a disposizione per lo stoccaggio e la necessità di tempi di sdoganamento più veloci rappresentano le maggiori difficoltà; è quindi necessario considerare soluzioni che consentano alla realtà portuale di integrarsi con una rete logistica più ampia ed efficiente. Il trasporto intermodale deve diventare parte integrante delle soluzioni proposte, poiché se la merce viene sistemata presso la fabbrica o presso il magazzino di uno spedizioniere in uno specifico contenitore (container), da dove non viene mossa fino al raggiungimento della destinazione finale, si evitano manipolazioni intermedie, con evidenti riduzioni del rischio di danneggiamento del contenuto, del costo di trasbordo tra mezzi di tipo diverso e si consegue una maggiore
velocità del trasporto stesso.
Non è immaginabile, oggi, realizzare infrastrutture senza considerare la necessità di poter dialogare su un rete globale e virtuale in continua evoluzione. La piattaforma euromediterranea, quindi, va progettata tenendo presenti le indicazioni comunitarie per la dogana elettronica, al fine di disporre di una piattaforma logistica virtualmente di dimensioni più ampie, capace di superare vincoli di altra natura. Il codice doganale comunitario, che riunisce in un solo atto l'attuale normativa doganale, è stato recentemente rivisitato (codice modernizzato) per fornire una base giuridica a procedure doganali completamente elettroniche adeguate all'evoluzione del commercio internazionale. Con l'introduzione dei cosiddetti emendamenti sulla sicurezza al codice doganale (Regolamenti n. 648 del 2005 e n. 1875 del 2006) si rafforza il ruolo della dogana, che, oltre ad assicurare la fluidità dei traffici, deve essere garante della «safety and
security» della merce che attraversa i confini della comunità europea. Entro il 2013 si prevede di definire le disposizioni di applicazione del codice modernizzato e di completare l'integrazione dei sistemi informatici dei 27 Stati membri, giungendo alla completa realizzazione di una dogana paneuropea completamente elettronica (e-customs). L'Agenzia delle dogane ha da sempre sostenuto che l'innovazione rappresenta un aspetto strategico e da non sottovalutare, con particolare attenzione alle novità emergenti. A sostegno delle numerose iniziative già promosse in tal senso dall'Agenzia, si cita il «Rapporto Eddington», redatto nel Regno Unito nel 2006, nel quale sono state anticipate le prospettive di un cambiamento orientato più alla qualità che alla quantità, più alle infrastrutture immateriali che a quelle materiali, quali l'uso degli strumenti informatici per lo
«scheduling» per il trasporto merci.
Le innovazioni tecnologiche rappresentano il fattore strategico per implementare una rete integrata che consenta di condividere le informazioni in tempo reale e di garantire, allo stesso tempo, elevati standard di sicurezza. In questa direzione si muove l'accordo di collaborazione con UIRNet Spa, siglato il 10 marzo 2009 e finalizzato alla realizzazione di un sistema che consentirà la gestione integrata del «monitoraggio documentale e fisico delle merci in movimento» sul territorio nazionale.
UIRNet Spa, sulla base della convenzione stipulata con il Ministero dei trasporti nel 2006, sta realizzando un sistema che permette la tracciatura di tutti i movimenti delle merci sul territorio nazionale e l'interconnessione dei nodi di interscambio modale (interporti) con lo scopo di migliorare anche l'efficienza e la sicurezza nei trasporti. Per tale realizzazione UIRNet Spa si avvale del supporto dell'A.T.I. (Associazione Temporanea d'Imprese costituita da Elsag Datamat SpA, Telespazio SpA e Autostrade per l'Italia SpA).
L'Agenzia delle dogane, con il proprio sistema informatico, già gestisce in via telematica le operazioni di import/export e mette a disposizione degli attori coinvolti nel ciclo portuale e aeroportuale ulteriori strumenti telematici che consentono di tracciare elettronicamente lo sbarco/imbarco
delle merci, l'entrata/uscita dai terminal/magazzini situati nei porti e negli interporti.
La collaborazione tra UIRNet ed Agenzia delle dogane persegue l'obiettivo strategico di disporre di un monitoraggio in tempo reale della rete logistica che consenta di ottimizzare i flussi di merci e l'uso degli spazi disponibili, con una complessiva maggiore efficienza operativa ed un conseguente contenimento dei costi legati alla logistica.
Commercio marittimo, competitività portuale e controlli doganali.
Sul piano internazionale, uno dei fenomeni che ci riguarda più da vicino è il progressivo accentuarsi del confronto concorrenziale tra gli scali commerciali del Mediterraneo e quelli, più temibili, del Nord Europa.
Vi è chi ritiene che l'attenuazione dei controlli sia la carta più facile da giocare in questa partita competitiva. Gli esempi, anche molto di recente, non sono mancati.
Alle dogane, che pure hanno i loro problemi di scarsità di forze, vengono spesso imputati i ritardi che sorgono in altra fase della complessa catena logistica di trasmissione delle merci. Le polemiche sono strumentali, ma il messaggio è chiaro: allentare i controlli.
In realtà, alla base dell'intensificazione della concorrenza tra i porti del Mediterraneo ci sono trasformazioni profonde nelle direzioni dei traffici, che, a loro volta, traggono alimento dall'evoluzione di altre variabili: il futuro allargamento del canale di Suez e le potenzialità di crescita del traffico (una volta usciti dalla recessione e sconfitta la pirateria, che infesta le coste somale e che sta deviando alcune tratte fuori dal Mediterraneo), la connessa maggiore economicità di navi di dimensioni maggiori (il cosiddetto gigantismo navale) e i processi di concentrazione e fusione in atto nel settore dei trasporti marittimi e della logistica.
Gli investimenti di cui necessitano i nostri scali commerciali per integrare condizioni minime di attrazione, in una situazione in cui la dimensione media delle navi tende a raddoppiarsi, sono stimati essere notevoli, e notevolmente incrementato si profila l'impegno che le nostre autorità portuali dovranno produrre.
Per quanto riguarda l'attività doganale, ritengo che, anche se fosse in astratto nella disponibilità dell'Agenzia - e non lo è, visti il continuo sviluppo di allarme e la richiesta di tutela extratributaria - un abbassamento dei livelli di vigilanza non potrebbe certo compensare un deficit di iniziativa sul versante delle infrastrutture e della gestione della logistica.
La riproposizione in termini parzialmente nuovi del tradizionale dilemma della politica doganale - stretta tra le ragioni della sicurezza e dell'affidabilità, da un lato, e le ragioni della speditezza e della fluidità dei commerci, dall'altro - ci deve far riflettere.
La riflessione ci conduce, tuttavia, in direzione di una conferma della strategia che punta a incrementare l'efficienza dell'amministrazione pubblica - per esempio, con strumenti come lo sportello unico doganale - non verso il surrettizio e improponibile ridimensionamento di una missione istituzionale, essa sì davvero vitale per lo sviluppo economico del Paese. Non credo sia necessario dilungarsi sul fatto che contrastare, ad esempio, la contraffazione significa tutelare le imprese, i loro investimenti e la loro attività di ricerca incorporata nei prodotti originali e, prima ancora, significa difendere l'occupazione.
Esporrò ora una sorta di consuntivo delle nostre attività di verifica e antifrode. Come dicevo, la relazione è un insieme di informazioni. Abbiamo preferito strutturarla trattando all'inizio due situazioni che consideriamo prioritarie per lo sviluppo delle Dogane e, in qualche modo, anche per far sì che possiamo aiutare nella crescita l'autorità portuale e il commercio in generale.
Sono situazioni che ci fanno pensare al cavallo che non beve. Da una parte, abbiamo una legge, la finanziaria del 2004, che istitutiva lo sportello unico. Siamo, tuttavia, ancora fermi, nonostante siano già passati cinque anni. Dall'altra parte, abbiamo un sistema offerto gratuitamente
ai porti e ai terminalisti, cioè il sistema CARGO, con lo sviluppo denominato «Il TROVATORE» e via elencando. A fronte di una forte attività di promozione e della volontà della Comunità europea, la quale, ancora una volta, ha deciso che l'Agenzia delle dogane italiana dovesse fungere da «capo maglia» nella sperimentazione, troviamo, però, una non rispondenza nella domanda di un servizio che potremmo rendere in modo gratuito.
Abbiamo qui due difetti, probabilmente non riferibili all'assenza di un mercato, bensì, presumibilmente, all'esistenza di qualcosa che non ci aiuta. Quindi, ho preferito mettere all'inizio della relazione i due punti che rappresentano le strozzature allo sviluppo che abbiamo incontrato.
Quello che segue è, invece, un resoconto sui vari tipi di attività oggi svolte dalle Dogane, che immagino già conosciate. Andrò un po' di corsa, soffermandomi solo sulle attività che riteniamo più consistenti e più attuali.
Abbiamo già detto quali attività svolge il circuito doganale di controllo: si tratta di un sistema che legge tutte le varie dichiarazioni doganali. Esso ha, innanzitutto, la capacità di respingere la dichiarazione stessa in base all'ammissibilità di quest'ultima, per cui svolge di per sé già una funzione precisa. Se la dichiarazione è mancante di alcune informazioni, oppure fornisce un'informazione impossibile, cioè scorretta, immediatamente il sistema richiede il rinnovo della trasmissione della dichiarazione e non consente la chiusura dell'operazione. Inoltre, all'interno del circuito doganale circolano i profili di rischio, che possono essere oggettivi o soggettivi. Quelli oggettivi riguardano il tipo di merce; quelli soggettivi riguardano, in particolare, i soggetti che effettuano l'operazione. Un particolare importatore, già segnalato per attività fraudolente, può «godere» -
in senso negativo - di un profilo soggettivo che appesantisce il suo livello di controllo, o meglio, la sua probabilità di controllo. Gli esiti contribuiscono alla qualifica del profilo, nel senso che le frequenze positive diventano poi probabilità e, quindi, innalzano il livello probabile di selezione avversa per colui che fa commercio.
Il sistema poggia su una piattaforma random, poiché non possiamo mai abbandonare completamente alcuni settori, lasciandoli senza controlli. Così facendo, verrebbe meno l'attività di deterrenza, che dobbiamo comunque svolgere.
Come ben sapete, il modello di controllo è quello che potremmo chiamare, rispetto alla teoria dei giochi, un modello preda-predatore, dove chi froda è la preda, mentre chi esegue il controllo dovrebbe essere il predatore. Come avviene normalmente in natura, chi esegue la frode tende ad acquisire le tecniche del predatore e, in primo luogo, tende a mimetizzarsi. Ad esempio, può usare tariffe di comodo e di copertura o tendere a cambiare percorso quando, per così dire, va ad abbeverarsi, in quanto sa che lungo il percorso usuale lo aspetta quel tipo di controllo. Insomma, mette in atto vari stratagemmi, oppure semplicemente cambia attività, percorso o abitudini.
In definitiva, in questo caso, chi fa la frode può cambiare tipo di frode.
In questo senso, pertanto, il modello deve essere anche flessibile. Siamo continuamente costretti a introdurre parametri che ci permettano di eseguire «carotaggi» in settori che apparentemente sembrano tranquilli, ma che a volte nascondono semplicemente un buona capacità di mimetismo da parte di chi froda.
Tutto ciò si svolge in maniera molto rapida. Il sistema è flessibile, e ci sembra che esso abbia significativamente agevolato sia il traffico sia i risultati dei controlli. In alcuni settori cruciali, infatti, sulla base dei confronti internazionali, pur restando sostanzialmente nella media comunitaria - ho fornito i dati in apertura -, abbiamo risultati molto migliori nella lotta alla contraffazione e nella tutela dei marchi, cioè in settori importantissimi, in special modo per la nostra economia.
Si tratta di problematiche per le quali non esiste una coincidenza di interessi tra i vari Paesi membri, fermo restando che uno degli obiettivi fondamentali che cerchiamo
di perseguire è la completa armonizzazione dei sistemi e dei parametri per l'analisi del rischio.
Problematiche come quelle della contraffazione e della tutela dei marchi sono molto più sentite in alcuni Paesi. Esiste, in qualche modo, un'area mediterranea che è più sensibile. Normalmente, si tratta del nostro Paese, della Francia e della Spagna. I Paesi del Nord Europa hanno, invece, una vocazione molto più commerciale, un minor numero di prodotti originali da difendere, forse meno marchi, e sono molto più indirizzati verso il made by che non verso il made in (made by Siemens, made by Philips). Per i loro marchi non esiste un problema simile a quello che si pone per i nostri prodotti di qualità.
Su tematiche come quelle della contraffazione e della tutela dei marchi è alquanto difficile, quindi, il dialogo finalizzato a conseguire, a livello di dogana comunitaria, un'armonizzazione totale e complessiva dei parametri di rischio.
Anche per questo motivo, un paio d'anni or sono, abbiamo intrapreso il percorso della lotta alla sottofatturazione.
Su alcuni prodotti avevamo riscontrato un valore per chilo di prodotto notevolmente più basso di quello rilevato a livello comunitario. Sull'abbigliamento di origine cinese la differenza arrivava fino a 7 euro per chilogrammo. Era imbarazzante andare alla riunioni a Bruxelles e sentirsi dire che eravamo la porta d'accesso dei pessimi prodotti cinesi, sia contraffatti sia di contrabbando. Di fatto, un container che vale 150.000 euro, e che, invece, viene presentato a 30.000, costituisce un contrabbando con sottofatturazione.
Da allora, abbiamo cominciato una forte attività di contrasto alla sottofatturazione. Oggi, il valore di quei prodotti è nella media comunitaria. Anzi, abbiamo rilevato distorsioni di traffico - vale il discorso già fatto sul rapporto tra preda e predatore -, con sicuri spostamenti verso la Spagna e la Germania.
In questi casi, abbiamo tracciato i flussi, abbiamo avvisato le dogane competenti e, soprattutto, abbiamo posto un problema all'OLAF, in quanto si tratta di frode consumata a danno di risorse proprie comunitarie. Di fronte ad un simile attacco, credo che la questione dell'armonizzazione dei parametri di rischio doganali debba necessariamente fare dei passi in avanti, risultato che non riuscivamo ad ottenere attraverso la lotta alla contraffazione.
Questo spostamento di strategia, oltre a farci uscire da una situazione imbarazzante, che riguardava alcuni nostri porti e pochi altri in Europa, ha anche risvegliato una problematica che per altri versi veniva comunque sottaciuta. Ciò non significava prima - e non significa ora - che i porti del Nord Europa facciano più controlli di quanti ne facciamo noi. Anzi, presumibilmente ne fanno un po' meno, anche se bisogna considerare il dato qualitativo. Quello che, però, possiamo dire è che oggi abbiamo maggiore forza nel chiedere l'armonizzazione sia dei parametri di rischio sia degli altri fattori che comportano differenze, quali, ad esempio, le sanzioni vigenti per i medesimi reati doganali, diverse da Paese a Paese.
Nel grafico riportato a pagina 14 della relazione noterete come il valore medio per chilogrammo passi da 5,29 a 15 euro: pur con tutte le distinzioni possibili, è evidente che il tessile d'origine cinese aveva un diverso valore a seconda del porto di arrivo. Con «carotaggi» effettuati a breve distanza di tempo, due o tre anni fa constatavamo che uno stesso carico (cioè la stessa qualità di merce che tre mesi prima era arrivata in un certo porto), in un porto un po' più a nord, valeva tre o quattro euro in più al chilogrammo (e ciò era verificabile grazie al sequestro effettuato sul primo prodotto, che avevamo sottomano).
I traffici si muovono in modo rapido; questo è il motivo per cui cerchiamo sempre la sfida tecnologica. Dal momento che i traffici sono rapidi, la dogana o si muove bene a livello tecnologico o, altrimenti, è fuori dal circuito. Se avessimo un predatore appesantito (come il sottoscritto...) e una preda molto rapida, sarebbe un problema grave.
Gli altri settori riguardano più le questioni di carattere extratributario, fronte sul quale lo sforzo, anche di integrazione con gli altri enti, è abbastanza intenso. In particolare, l'Agenzia collabora con altre autorità in relazione agli allerta sanitari, che di volta in volta o possono dare luogo a situazioni drammatiche o si sgonfiano subito ovvero persistono per un certo tempo. Comunque sia, quando l'allerta viene diramata, il sistema necessita dell'utilizzo del circuito doganale di controllo, che reagisce immediatamente. A volte - ce ne siamo resi conto - anche troppo. Chi ha dato l'allarme, infatti, non si rende conto di cosa significhi avere, il giorno successivo, 300 o 400 container fermi in due porti, pronti per il prelievo e per l'analisi contestuale. Per quegli enti sorge un problema. Ci si stupisce di come questa situazione possa prospettarsi già il giorno successivo all'allarme, ma il blocco, per noi, è immediato e diventa
operante in un minuto. Se tutta quella merce deve essere chiusa, va chiusa.
Nella relazione è riportato un elenco dei vari interventi effettuati. L'ultimo riguarda la melanina. In realtà, è in atto un allarme abbastanza grave riguardante il silicagel. Non so se ne abbiate sentito parlare: si tratta di quelle bustine di sali che sono poste negli imballaggi di moltissimi prodotti (articoli elettronici e fotografici, calzature, e via dicendo) per evitare che si formi umidità. Al momento, l'allarme è ancora in atto e c'è un blocco abbastanza complicato da gestire.
Vi sono, poi, i piani di controllo straordinario per la tutela di alcuni prodotti alimentari, campo nel quale svolgiamo un'importante attività in collaborazione con i reparti operativi del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali e del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, nonché con il comando del reparto NAS dell'Arma dei carabinieri.
Tra le attività storiche è contemplato il controllo dei passeggeri.
In altri casi, invece, ci siamo attivati, con gli altri enti preposti, al fine di districare vari intrecci, ad esempio in materia di sicurezza dei prodotti, riguardo alla quale sviluppiamo una buona attività, ogni anno, assieme al Ministero dello sviluppo economico.
Vanno ricordate, poi, le campagne stagionali. Si pensi ai prodotti natalizi. In tale settore i nostri laboratori debbono lavorare in anticipo, in linea con quelli del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, nonché dell'Istituto per il marchio di qualità (IMQ), che effettua controlli, ad esempio, sulle luminarie per gli alberi di natale. Sussiste un rischio di incendio, per cui occorre essere molto accorti. Si tratta, com'è evidente, di campagne importanti, che mirano a garantire la sicurezza della popolazione.
Con riferimento alla questione del made in Italy, nella relazione sono contenute alcune considerazioni sulle quali, qualora lo riteniate, potremo tornare in un secondo momento. Siamo pure pronti a discutere sull'interpretazione data dalla Corte di cassazione - in relazione a sequestri effettuati dalla dogana per fallace indicazione di origine - all'articolo 517 c.p. (che punisce il reato di vendita di prodotti industriali con segni mendaci), richiamato dall'articolo 4, comma 49, della citata legge n. 350 del 2003. Individuando nel produttore e non nel luogo di produzione il presupposto per decidere circa la liceità della condotta, la Corte ha finito per privilegiare, di riflesso, la produzione delocalizzata.
Il grafico a pagina 22 evidenzia uno degli effetti verificatisi nel settore del tessile: lo spostamento di traffico verso altri Paesi (avvenuto, naturalmente, non solo a causa della dogana).
Ho già detto dell'efficienza dei porti e del fatto che, in questi ultimi tre anni, quelli del Nord Europa sono diventati molto più efficienti.
I grafici a pagina 23 della relazione documentano, invece, le importazioni definitive di origine cinese: la principale voce di registrazione è l'abbigliamento. Si può osservare che il 2008 sconta, nell'ultimo trimestre, gli effetti della crisi economica.
Veniamo alle questioni relative alla contraffazione e al traffico degli stupefacenti.
Anche nel corso del 2008 è stato effettuato il sequestro di elevati quantitativi. In particolare, sono stati superati i mille chilogrammi di cocaina. Normalmente, le dogane recuperano il 20-25 per cento della cocaina sequestrata in Italia, nell'intero anno, dall'insieme delle forze dell'ordine. È evidente che non c'è molta autoproduzione, per fortuna. Comunque, riusciamo a intercettare anche quella.
Vi sono poi i controlli valutari - in relazione ai quali l'Agenzia è stata investita di rilevanti compiti a decorrere dal 1o gennaio 2009 - e le attività nel campo della tutela ambientale. Siamo particolarmente attivi nell'intercettare i traffici di rifiuti, molto intensi in uscita, aventi per destinazione taluni Paesi africani oppure Hong Kong (dove i rifiuti vengono trattati in modo non adeguato e spesso riciclati per la produzione di merci che, successivamente, importiamo).
Svolgiamo, altresì, una notevole attività antifrode riguardante i beni culturali, in coordinamento con il Nucleo di tutela del patrimonio artistico dei Carabinieri, nonché controlli volti ad accertare il rispetto della Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione (CITES) e dei relativi regolamenti comunitari di attuazione.
Un brevissimo cenno meritano anche le competenze in materia di armamenti e sicurezza, i controlli sull'export di materiali dual use e l'analisi dei rischi di sicurezza. Quest'ultima apre alle novità che saranno introdotte dal 1o luglio 2009 e che rappresenta la seconda fase del sistema ECS (Export Control System), che renderà possibile l'analisi di rischio sulla sicurezza delle merci in uscita dalla Comunità europea.
Ricordo, infine, sempre nell'ambito della sicurezza, il nuovo sistema EORI (Economic Operator Registration Identification), per l'identificazione univoca dei soggetti in tutta la Comunità europea, nonché la disciplina dell'AEO (Authorized Economic Operator).
Forse ho esposto troppo velocemente l'ultima parte, ma l'ho fatto per non angustiare oltre misura i presenti.
PRESIDENTE. Do ora la parola agli onorevoli che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.
COSIMO VENTUCCI. Innanzitutto, ringrazio il direttore Peleggi e tutto lo «stato maggiore» che lo circonda, la cui valentia mi è ben nota: credo proprio - e lo dico non tanto da parlamentare, quanto da persona che vanta una certa competenza nella materia - che siamo in buone mani.
Adesso dovrò rispettare la mia funzione e parlare da parlamentare, ma il riconoscimento rimane valido.
Quello delle dogane è un comparto estremamente delicato, rimasto esente, nel corso degli anni, da quel «cabotaggio» che, purtroppo, la Direzione generale delle entrate ha dovuto subire.
Dovete sapere che le Entrate emanano molte circolari, molti atti normativi secondari, mentre ciò non è avvenuto in passato nel caso della Direzione generale delle dogane, né avviene oggi per quanto riguarda l'Agenzia delle dogane. Non avviene per un motivo che mi risulta estremamente sgradevole ricordare (capirete subito perché). Ero giovane ed ero iscritto al primo anno di università quando ho cominciato a frequentare le dogane da un punto di vista lavorativo, all'interno del comparto, ma come figura esterna allo stesso. Notavo già allora che, mentre presso la Direzione generale delle entrate aveva luogo quello che ho definito «cabotaggio» da parte di coloro che hanno avuto una posizione di preminenza nella dottrina del diritto tributario e della scienza delle finanze - quindi, dei grandi commercialisti (che poi erano eminenti professori universitari), i quali, ovviamente, venivano consultati in ordine alle
problematiche delle Entrate - un fenomeno simile non si verificava presso le Dogane.
Alla Guardia di finanza sono state messe le stellette, ma il discorso è completamente diverso: per chi porta le stellette
vi è - è noto - una qualche forma di attenuazione dei cosiddetti diritti civili. Il comportamento del personale delle Dogane, invece, rimanda per certi versi allo Statuto albertino: i funzionari di tale struttura, infatti, sono sempre stati servitori dello Stato, non dei Governi, tanto meno degli alti funzionari che si succedono ai vertici degli apparati amministrativi. Debbo dire che nei primi anni del secondo dopoguerra ciò è avvenuto; a maggior ragione perché, fino alla riforma degli anni 1971-72, il personale delle Dogane ancora andava in giro per i vari uffici. Vigevano prassi assurde: ricordo la famigerata circolare n. 175, che regolava i rapporti valutari (c'era ancora l'ufficio dogane dei cambi, che era soggetto, ovviamente, a quello delle transazioni e dei controlli valutari). Si applicava, inoltre, un codice doganale che era stato approvato nel 1942, nonché un regolamento doganale che addirittura risaliva al 1896.
La preparazione dei primi regolamenti del costruendo Mercato comune europeo - che ormai rappresenta un'entità oscura per taluni nostri parlamentari e, forse, anche per molti giovani che si affacciano agli studi superiori universitari - non prevedeva, purtroppo, l'intervento di soggetti che, come il nostro Paese, avrebbero potuto dare un contributo alla discussione, nella quale finirono per esercitare un ruolo preponderante i Paesi che avevano un passato coloniale (con riferimento ai Paesi fondatori, si trattava di Germania, Francia, Olanda e Belgio). Si pensi che Paesi con 16 milioni di abitanti, come l'Olanda, o con 12, come il Belgio, controllavano i traffici commerciali relativi a 180 milioni di abitanti dell'Indonesia e delle colonie sparse nel Medio Oriente. Il Belgio, in particolare, aveva gestito i prodotti primari del Congo, ricco di stagno, rame e argento. È chiaro che il colonialismo era finito, ma non era assolutamente cessato il dominio mercantile
relativamente a quei prodotti.
La Gran Bretagna, poi, è un Paese completamente estraneo alla cultura italiana riflessa nel Codice del 1942, che promanava da un regime in cui, per motivi internazionali, vigeva l'autarchia. Quindi, si può immaginare quale divario culturale vi fosse tra i nostri funzionari che gestivano il tale comparto e quelli che operavano, ad esempio, presso il porto di Southampton (dove, all'arrivo delle navi, non c'era neanche il tempo di svolgere accertamenti, ma tutto era fatto tramite quelle operazioni di cui oggi leggo nei documenti che l'Agenzia ha depositato).
Nella relazione del direttore Peleggi è condensato uno sforzo notevole, ma sottolineerei anche l'aspetto della logistica, che riguarda il futuro.
Nutro la speranza che mediante una risoluzione unitaria - se il Parlamento, il presidente Conte e, magari, gli amici dell'opposizione lo consentiranno - si possa sollecitare l'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri volto a dare attuazione alla legge n. 350 del 2003. Con riferimento allo sportello unico doganale, a chi opera con le dogane ciò che accade appare riconducibile a una colpa delle stesse. Non è così: le dogane c'entrano fino ad un certo punto. Credo di interpretare e comprendere bene quello che si verifica. Ad esempio, il veterinario è presente solo il lunedì, il martedì e il giovedì; oppure, bisogna compiere un accertamento sulle padelle che arrivano dalla Cina, soggette ad un controllo presso un ufficio (di cui non ricordo la denominazione) le cui sedi, però, sono sparse per l'Italia e sono presenti soltanto in certi porti. Infatti, poiché la padella in questione serve
per cucinare, una legge prevede che essa debba essere sottoposta a verifica da parte di un apposito ente, statale o privato, al fine di accertare che i materiali con cui è stata fabbricata siano conformi alla normativa vigente. È giusto che sia così - non affermo certo il contrario - ma in tal modo si accumulano costi, atteso che il container si ferma in dogana senza poterne uscire. Ebbene, in simili casi, la colpa viene ascritta alle dogane, anche se l'inconveniente non dipende da queste ultime. Insomma, lo sportello unico è tale solo sulla carta. Esiste un problema di accorpamento - come giustamente
il direttore ha fatto presente - che, però, si può risolvere con appositi atti normativi.
Il problema grosso, a mio parere, riguarda la logistica, cioè le infrastrutture. Abbiamo un porto come Gioia Tauro, ma una parte delle grandi navi scarica al largo, da dove i container proseguono, con il sistema del feederaggio, fino ai porti di Napoli, La Spezia o altri (un'altra parte, invece, fa addirittura la circumnavigazione per arrivare direttamente nei porti a nord). Si pensi a Taranto, che madre natura ha dotato di un porto eccezionale, con 600 ettari nel retroterra idonei ad accogliere strutture che potrebbero ospitare migliaia di container. Esistono, però, due linee ferroviarie, una delle quali, realizzata dai privati nel 1930, non permette di percorrere la curva ai treni che trasportino più di sei container, mentre l'altra attraversa gallerie che non consentono il transito di container da quaranta piedi di altezza. Mi domando come un imprenditore - dobbiamo scindere i vari aspetti - possa decidere di scaricare nel porto di Taranto, che pure
è ottimo (visto che anche le attività militari si sono ridotte), se poi le infrastrutture sono inesistenti.
Esiste, pertanto, un problema di infrastrutture, che il direttore Peleggi ha messo in rilievo e riguardo al quale sono perfettamente d'accordo con il nostro ospite. Concordo pienamente anche sulla parte della relazione nella quale il direttore, ponendo un problema che definirei sociologico, afferma che dobbiamo tutelare l'industria e le imprese italiane, perché esse danno lavoro ai nostri operai. Se la borsetta di Valentino la fanno anche in Cina e non ce ne accorgiamo, è evidente che, forse, allo stesso Valentino conviene importarla dalla Cina e venderla qui in Italia. Mi pare abbastanza logico.
Si tratta di problemi che, ovviamente, hanno natura e valenza politica e che, pertanto, richiedono più un input da parte di noi politici che soluzioni da parte delle Dogane.
Prima di continuare, desidero porre una specifica domanda (non intendo comunque dilungarmi, anche per dare spazio agli altri colleghi presenti). Il direttore Peleggi ha fornito unicamente il dato relativo agli introiti da accise. Si tratta di una cifra enorme, che è sensibilmente aumentata rispetto a dieci anni fa: infatti, 30 miliardi di euro corrispondono, grosso modo, a circa 58.000 miliardi di vecchie lire. Ebbene, chiedo al direttore di specificare a quanto ammontino gli introiti relativi all'IVA sulle importazioni, ma se non lo ricorda non ha importanza, poiché il dato è agevolmente reperibile; comunque, dovrebbe trattarsi di una somma inferiore a quella delle accise (dieci anni fa ammontava a 20.000 miliardi di vecchie lire).
GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Siamo intorno ai 15 miliardi di euro.
COSIMO VENTUCCI. Quindi, in questo momento, le Dogane stanno compiendo uno sforzo maggiore proprio con riferimento alla parte minore di introito. Ciò sta a significare - mi rivolgo all'amico Causi - che le dogane hanno avuto un'evoluzione incredibile: non sono più quelle che vanno a mettere le mani nel pacchetto per vedere se contenga forcine o lamette da barba! La qualità del loro intervento è cresciuta in maniera esponenziale, sotto il duplice profilo delle attività svolte e del lavoro del singolo funzionario, che oggi deve essere molto più acculturato rispetto al suo omologo di dieci o quindici anni fa. Certo, capita talvolta di imbattersi in funzionari rimasti devoti al codice del 1942 (che, magari, nemmeno hanno letto...); si tratta, tuttavia, di trascurabili storture e devianze che si rinvengono ovunque. Del resto, anche fra i 630 parlamentari ve ne sono alcuni
che non hanno ancora ben chiaro cosa sia il Parlamento (vale a destra, a sinistra, al centro e ovunque vi pare)! Quindi, certe critiche suscitano la mia ilarità, poiché il problema vero è talmente grande e diverso che le suddette storture e devianze, del tutto occasionali, non hanno affatto la rilevanza che si vorrebbe loro attribuire.
Mi preoccupa, invece, un problema di cui questa Commissione si è occupata: il
nuovo assetto delle dogane nella dimensione europea. Abbiamo visto che l'Unione europea ha, per così dire, avocato a sé la gestione delle dogane, che, in precedenza, era demandata agli Stati membri. Sembra, infatti - e le indiscrezioni della stampa trovano corrispondenza nell'opinione di alcuni miei interlocutori telefonici - che Bruxelles non intenda più dare applicazione (ed effettivamente non lo sta facendo) all'istituto della «revisione di accertamento». Mi domando per quale motivo ciò accada.
Il problema è connesso alla questione delle sanzioni, sulla quale, purtroppo, non sono stati fatti progressi. A tale riguardo ho personalmente condotto una battaglia in Parlamento - Cavazzuti era presidente della Commissione bilancio del Senato e credo che fosse in carica il Governo Dini - volta a mitigare un sistema sanzionatorio che, almeno per quanto concerne la materia doganale, mi sembra improntato ad eccessivo rigore; non voglio adoperare, per definirlo, la parola «usurario», perché nei confronti dello Stato sarebbe fuori luogo, però siamo molto vicini a una soglia che esige attenzione. Credo si tratti di una questione estremamente importante - che segnalo all'attenzione del presidente Conte e di tutti i presenti - rispetto alla quale varrebbe veramente poco invocare l'esigenza di salvaguardare le entrate dello Stato; se, infatti, queste dovessero basarsi su dinamiche in senso lato usurarie, allora bisognerebbe stare molto attenti a non
attivare altri meccanismi del tipo «preda-predatore».
Mi piace ricordare ai nostri gentili ospiti un episodio - di cui sono perfettamente a conoscenza - relativo ai prelievi sui prodotti alimentari. Noi italiani avevamo già la nomea di frodatori (anche perché, in definitiva, siamo sempre stati i primi a buttarci la croce addosso). Ebbene, alla fine degli anni Sessanta fu scoperto, sul Danubio, un traffico illegale di prodotti alimentari provenienti da un Paese amico. Insospettirono i sacchi contenenti farina, lisi a causa delle operazioni di carico, trasporto e scarico ripetute infinite volte, mediante le quali, ovviamente, si incameravano quattrini in maniera illecita. Eppure, si trattava, nel caso di specie, di un Paese che era ritenuto al di sopra di ogni sospetto.
Ricordo, altresì, quando in Italia si importavano i diodi made in Japan, con il sistema della licenza (c'era il Ministero del commercio con l'estero e le licenze erano - forse li ricorderete - quei «lenzuoletti» di colore rosa e verde). Ebbene, so che nel porto di Rotterdam i led, da made in Japan diventavano stranamente - quasi per miracolo - made in Holland, con marchio Philips, e da lì giungevano in Italia.
Il direttore Peleggi ha accennato a un problema estremamente importante. Concordo con lui sul fatto che la collaborazione debba essere attuata in un ambito più vasto di quello dei singoli Paesi dell'Europa, anche perché, non essendo sciocchi, abbiamo ampie possibilità di controllare e di agire in modo confacente.
Molte case di spedizioni sono tentate di aprire uffici all'estero o si sono già organizzate per farlo. Orbene, i controlli vanno effettuati. Guai se le Dogane recedessero o accettassero in qualche modo la maldicenza che vede nella loro azione soltanto un impedimento! Se si è onesti, la dogana non è mai un impedimento. Lo sportello unico può rappresentare, a mio avviso, la soluzione ottimale. Tuttavia, niente cambierà se non si andrà a dire ai Paesi amici che si sta agendo.
Accennando al cosiddetto contrabbando da sottofatturazione, il direttore Peleggi ha evidenziato come il valore medio per chilogrammo di prodotti di abbigliamento importati dalla Cina sia passato da circa 5,5 euro a circa 15 euro. A tale proposito, rammento che per i tappeti persiani, presso la dogana di Roma San Lorenzo, era ritenuto equo, tempo fa (da persone ormai defunte), il prezzo di 3.600 lire al metro quadrato. Tuttavia, poiché la lana succida (così si chiama la lana grezza appena tosata) veniva venduta a 20.000 lire al chilo, tenendo conto del fatto che nelle tende dell'Iran e dei pascoli orientali si impiegavano tre chilogrammi di lana
per realizzare a mano un metro quadrato di tappeto, come si poteva sostenere che fosse equo il valore di 3.600 lire?
Prede e predatori ci sono sempre stati e sempre ci saranno. L'Agenzia, ovviamente, è chiamata a svolgere un'efficace azione di contrasto alle attività illecite, senza tuttavia ostacolare l'attività di chi, non essendo né preda né predatore, vuole soltanto lavorare nel rispetto delle leggi.
Quello che mi preoccupa è l'efficienza della nostra rappresentanza a Bruxelles, dai punti di vista sia politico sia tecnico: si tratta di due aspetti strettamente connessi. Le nazioni che ho citato e che, senza alcun intento offensivo, non temo di menzionare nuovamente - vale a dire Francia, Olanda, Belgio, Germania (per la sua parte) e soprattutto Inghilterra - potrebbero, a un certo punto, vedere di buon occhio il nostro Paese, che è fortemente interessato, come porta dell'Unione europea.
I traffici commerciali non hanno come meta Rotterdam o i porti dei Balcani perché esiste un filo diretto, bensì perché quei porti sono fiscalmente convenienti. Con tutte le coste che abbiamo, non vedo perché non dovrebbero avere come punto di arrivo il nostro Paese. Tuttavia, le nostre coste sono a rischio, a causa della breve distanza che le separa da quelle albanesi e africane. Sarebbe opportuno, allora, che l'Italia alzasse un po' la voce. Ho voluto segnalare questa esigenza in maniera un pochino provocatoria anche per porre un'altra questione.
Ricordo che abbiamo 30 miliardi di euro di accise e 15 di dazio e di IVA. Bisogna che l'Unione europea ci dia una mano per effettuare il controllo delle nostre coste. Servono risorse ulteriori: non possiamo certo rinunciare ai 30 miliardi di euro per concentrare quelle che abbiamo sul versante che ne frutta 15.
Quanto ai problemi aperti con la comunità cinese, essi non sono da considerare di natura solamente fiscale, ma anche politica. Su questo piano dobbiamo stare attenti, poiché il discorso diventa più ampio e, senza dubbio, più spinoso. Se vogliamo avere controlli validi, dobbiamo andare in Cina a dire che quei determinati prodotti non devono essere spediti. Per farlo, sono necessari soldi, accordi e anche qualcosa di diverso (so che le Dogane italiane hanno già avuto approcci con le autorità doganali cinesi). Tuttavia, sono necessari tempi lunghi, durante i quali bisogna in ogni caso operare con la volontà di rendere le dogane più snelle sul piano funzionale. Per snellezza non intendo assenza di controlli, bensì certezza che i controlli vengano effettuati. Voglio essere sicuro dell'autenticità della borsetta di Valentino e, soprattutto, che non arrivino nel nostro Paese prodotti dannosi per la salute
(quali la melanina o quei prodotti ben peggiori che sono venduti in certi negozi).
Concludendo, non ho rilievi da muovere. Esprimo, invece, l'auspicio che la relazione del direttore Peleggi incoraggi il Parlamento a tutelare maggiormente il comparto doganale, a mio parere rimasto troppo abbandonato a se stesso in questi sessant'anni di Repubblica.
MARCO CAUSI. Poiché non ho la conoscenza della materia dimostrata dall'onorevole Ventucci, mi limito soltanto ad alcune richieste di chiarimenti.
In primo luogo, vorrei capire meglio quali ostacoli impediscano di attuare lo sportello unico doganale. A nome del gruppo del Partito Democratico, mi associo alla proposta dell'onorevole Ventucci di fare quel che si può, nell'ambito degli strumenti di indirizzo e controllo di cui disponiamo, per velocizzare la realizzazione concreta del progetto. Appunto per questo, però, chiedo ai nostri ospiti di farci capire meglio se i problemi attengano ai rapporti tra amministrazioni (regioni, province, comuni, Stato) oppure siano di tipo operativo e logistico, come il collega Ventucci ipotizzava. Al di là di un'eventuale risoluzione parlamentare, mi piacerebbe sapere su quali contenuti si debba impegnare il Governo al fine di aiutare l'Agenzia a percorrere l'«ultimo miglio» della strada che conduce allo sportello unico doganale.
La mia seconda domanda origina dalla seguente constatazione: tutti i direttori e direttrici delle agenzie del Ministero dell'economia e delle finanze che l'hanno preceduta, direttore Peleggi, hanno sempre concluso la loro audizione con alcune considerazioni circa le questioni organizzative interne. Lei, invece, non lo ha fatto. Vorrei capire se si sia trattato di un esercizio di stoicismo - nel senso che non voleva recitare, in questa sede, la parte di chi piange e si lamenta - oppure se la tecnostruttura da lei diretta davvero non sia afflitta da alcun problema organizzativo. Dal momento che di questi argomenti si può parlare anche senza piangere, le chiedo di chiarire, direttore, quali siano i temi organizzativi strutturali, di personale, di finanziamento, di aggiustamento, anche rispetto alle norme che complessivamente interessano la pubblica amministrazione, nonché quali temi relativi alla sostenibilità organizzativa lei e i suoi dirigenti stiate
affrontando (come sempre avviene in questi casi). Le chiedo, altresì, come possa la Commissione finanze, eventualmente, venire incontro all'Agenzia per sostenere i suddetti processi di aggiustamento.
La terza domanda riguarda i dati di confronto tra l'Italia e l'Unione europea. Nella relazione sono esposti dati sulla composizione percentuale delle diverse modalità di accertamento. La mia ignoranza mi induce a chiederle, direttore, se esistano dati di raffronto relativi ai tempi di accertamento in Italia e negli altri Paesi dell'Unione europea. Se non sbaglio, lei conferma che non esistono.
Il collega Ventucci ha già posto il quesito relativo alla possibilità che, sia pure all'interno di una cornice europea, taluni sistemi doganali nazionali, in quanto meno efficienti di altri, siano in grado di determinare elementi di attrattività e di competitività territoriale a vantaggio dei Paesi che accettano tale inefficienza. Le domando quindi, direttore, se sia possibile suffragare questa ipotesi con dati concreti, che potrebbero giustificare, ad esempio, un'iniziativa del nostro Parlamento nei confronti del Parlamento europeo e degli altri Governi. Le chiedo inoltre se l'Agenzia disponga di dati relativi all'inefficienza, secondo gli standard adottati in Europa, dei sistemi doganali diversi da quello italiano Se tali dati esistessero (l'Agenzia potrebbe eventualmente fornirceli in un secondo momento), e se sulla loro base si potesse dimostrare che in quei Paesi, negli ultimi anni, è avvenuta una concentrazione di rotte di traffico,
risulterebbero comprovate le affermazioni del collega Ventucci e si potrebbe intraprendere un'iniziativa parlamentare e governativa.
Nell'associarmi all'apprezzamento già manifestato per la completezza della documentazione depositata, rinnovo l'invito a renderci edotti delle tematiche di tipo strutturale e organizzativo inerenti al funzionamento - anche ordinario e quotidiano - dell'Agenzia delle dogane.
PRESIDENTE. Le domande poste dal collega Causi sono state tanto puntuali da indurmi a cancellare alcune di quelle che intendevo porre.
In effetti, anch'io sono stato colpito dal riferimento ad una carenza di forze. Ciò lascia pensare che, evidentemente, il tema sia in qualche modo sentito, benché mi domandi se tale carenza non sia riconducibile anche a un problema determinato dall'allocazione delle risorse rispetto alle necessità più importanti. Infatti, mentre i traffici illeciti si concentrano verso alcuni siti e, in particolare, verso 30 o 40 punti di accesso delle merci, sul territorio sono dislocati tanti altri uffici (mi pare di aver letto che le dipendenze sono 386). Vorrei chiedere allora, innanzitutto, quanti dipendenti ha l'Agenzia.
GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Abbiamo 10 mila dipendenti.
PRESIDENTE. Indipendentemente dal totale dei dipendenti, sarebbe utile avere un'idea su come essi siano distribuiti e, magari, anche su come l'Agenzia si stia strutturando, rispetto alla tendenza, in atto nelle altre amministrazioni, a concentrare l'innovazione tecnologica nelle sedi
di maggiori dimensioni, in modo da realizzare economie di scala (derivanti dal minore peso del back office) e da ricavare ulteriore personale da destinare ai controlli. Queste informazioni ci consentirebbero di valutare con maggiore cognizione di causa il segnalato aspetto della carenza di personale. Peraltro, mi pare che il provvedimento legislativo che fu approvato per «asciugare» le graduatorie degli idonei nei concorsi banditi dalle Entrate non fosse stato accolto con grande entusiasmo dalle Dogane. Ciò significa, evidentemente, che un'eccedenza di personale, o almeno qualche imperfezione nella distribuzione del personale in alcuni punti del territorio, deve in qualche modo sussistere. Ad ogni modo, mi piacerebbe comprendere meglio e quindi approfondire questo argomento, al di là della dimenticanza che, su tale punto, si riscontra nella relazione.
Guardando attentamente i dati riportati nel predetto documento, mi domando cosa abbia provocato l'incredibile calo dei sequestri fra il 2004 e il 2005. Siamo passati, infatti, da 22 milioni di euro a 11,6 milioni di euro, a fronte di un calo che è evidente anche nell'Unione europea, ma meno forte rispetto ai sequestri effettuati. Si tratta di una curiosità statistica scaturita dall'osservazione di un grafico, che naturalmente non c'entra niente con lo sportello unico, mai entrato in funzione. Sarei curioso di sapere cosa sia successo di particolare in quell'anno.
GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Quello che è successo nel 2004 ce lo ricordiamo.
PRESIDENTE. Nella sua relazione, direttore Peleggi, è indicato un recupero di 56 milioni di euro nel 2008. Mi domando se si tratti di un recupero effettivo ovvero soltanto contabilizzato, accertato ovvero riscosso.
GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Si tratta di maggiori diritti accertati.
PRESIDENTE. Riguardo ai controlli nel settore delle accise, mi risulta che una circolare concernente i petroli, redatta o interpretata male, sia in corso di rielaborazione. Vorrei avere qualche spiegazione al riguardo.
Relativamente all'interoperatività fra Monopoli e Dogane e al fenomeno dell'importazione di sigarette, che, in molti casi, transitano in Italia, ma sono dirette verso altri Paesi, mi risulta che nel porto di Napoli - dove abbiamo avuto qualche problema in passato; e mi piacerebbe sapere se e come quei problemi siano stati in qualche modo superati - gli importatori si basino su un semplice calcolo statistico: poiché su venti container (che arrivano ormai da più Paesi) l'Agenzia riesce a controllarne uno, e questo fornisce un utile intorno ai 2 milioni di euro, l'eventuale perdita di un container è compatibile con il costo industriale, con il rischio d'impresa.
Mi piacerebbe capire meglio - a proposito di interoperatività fra Monopoli e Dogane - cosa si stia facendo da questo punto di vista. Il decreto-legge che il Consiglio dei Ministri ha approvato stamani potrebbe contenere - per quanto se ne sa - anche disposizioni relative al settore dei tabacchi. Essendo ben noto che ogni aumento del costo delle sigarette - spero che tale misura sia stata cancellata nell'ultima formulazione del testo - ne aumenta percentualmente il contrabbando, ritengo che ad ogni inasprimento del prelievo per accise sui prodotti da tabacco si debba accompagnare un'intensificazione dei controlli su ciò che passa attraverso i porti.
Rimanendo in tema, sono fortemente preoccupato dall'apertura del presidente Barack Obama nei confronti di Cuba perché, a mio avviso, fra poco i sigari non si troveranno più e saremo costretti - almeno da qui a quando smetteremo di fumare (speriamo tra tanti anni) - ad accaparrarcene quantità consistenti.
Ai fini di una «fotografia» del comparto, sarebbe interessante sapere quanto costano le Dogane. Premetto che la sua, direttore Peleggi, è una relazione per competenti, mentre i parlamentari che fanno parte di questa Commissione sono quasi
tutti nuovi (non c'è una grande affezione per la Commissione finanze; all'inizio di ogni legislatura i deputati bisogna «ingaggiarli», perché nessuno chiede di venire a farne parte). Trattandosi di parlamentari in molti casi nuovi, un ritratto dell'Agenzia, che specifichi il numero dei dipendenti, i costi, il budget, il risultato rispetto al costo effettivo dell'Agenzia stessa, darebbe modo a tutti di ragionare in maniera più congrua.
Passando ad altro argomento, sarebbe interessante avere ulteriori elementi di valutazione per quanto riguarda le importazioni dalla Cina; osservando i grafici contenuti nella relazione depositata, si nota infatti un disallineamento tra il dato riferito all'Italia, che è in calo, e quelli relativi alla Germania e al Regno Unito, che invece sono in crescita, soprattutto negli ultimi due anni.
GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Si tratta di capitoli diversi.
PRESIDENTE. Rispetto all'ultimo periodo, quello della crisi, che ha segnato a un certo punto - come lei ha avuto giustamente modo di dire al Ministro - uno stop nella caduta, il traffico si è in qualche modo invertito o si è ampliato il gap di crescita fra noi e gli altri due Paesi. Ulteriori dati ci consentirebbero di capire se sia in atto uno spostamento di merci verso altri porti. Il grafico in questione è riferito ai prodotti tessili e al periodo fino a novembre del 2008, ma sarebbe interessante compiere un'analisi sul periodo compreso fra il terzo quadrimestre del 2008 e il primo quadrimestre del 2009.
Vengo alla black list. Vorrei si spiegasse meglio sulla base di quali criteri l'Agenzia decida di operare taluni controlli e di tralasciarne altri e come venga aggiornata la lista dei «cattivi». È chiaro che i soggetti i quali tentano di frodare lo Stato portano indifferentemente le loro società da un Paese a un altro, in maniera da uscire dalla lista di coloro che con maggiore probabilità saranno sottoposti ad accertamenti, privilegiando ovviamente quei Paesi nei quali i controlli sono minori o meno efficaci. Mi piacerebbe sapere quali criteri presiedano al funzionamento di tale meccanismo, con quale periodicità esso sia aggiornato e quali istruzioni l'Agenzia abbia impartito ai propri uffici.
L'ultima serie di considerazioni riguarda gli scanner e il programma che state svolgendo per la loro implementazione. Se tale programma fosse integrato con il RFID, si potrebbero effettuare i controlli addirittura prima dell'ingresso (pregrading). Vorrei sapere se sia possibile cominciare ad applicare il sistema assieme ad alcuni Paesi, in maniera che il «sigillo elettronico» sia applicato ai container prima della loro partenza. In questo modo, può darsi che si riesca a risolvere anche il problema della padella di cui parlava il collega Ventucci. Se si applicasse ai container, prima della loro partenza dal porto di esportazione, un dispositivo in grado di controllarne la movimentazione, in maniera che gli stessi non possano subire fraudolente alterazioni, i controlli sulla merce sarebbero enormemente semplificati: venendo meno la necessità di effettuare un prelievo all'arrivo - soprattutto su merci particolari che richiedono una verifica sotto
il profilo sanitario - si conseguirebbe un'accelerazione delle procedure di sdoganamento. Le chiedo, quindi, direttore, se siano state stipulate convenzioni e se l'Agenzia abbia cominciato a parlare di tali problematiche con le autorità doganali di altri Paesi.
Quanto agli scanner, mi piacerebbe sapere quale sia l'attuale livello di controlli e, inoltre, se un'eventuale implementazione del sistema possa portare ad un aumento del numero dei container. Poiché nei porti di ingresso gli spazi sono limitati, credo che la difficoltà sia soprattutto quella di movimentare, attraverso il sistema degli scanner, un certo numero di container. Se non si dispone di spazi sufficienti, si possono comprare tutti i container che si vuole, ma poi si finisce per portarli in luoghi in cui non servono. Invece, in un centro ben attrezzato sotto il profilo logistico nel quale fossero disponibili
spazi adeguati per le movimentazioni, potrebbe essere di qualche interesse ampliare il numero dei container.
Nel ringraziare il direttore Peleggi per la sua disponibilità, e anche per avere offerto alla Commissione l'opportunità di approfondire la conoscenza della complessa attività svolta dall'Agenzia delle dogane, do la parola a lui e agli altri direttori presenti per la replica.
GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Comincerei dalla questione delle sanzioni.
Quando ne ho parlato, non mi riferivo alla necessità di inasprire il nostro sistema sanzionatorio, ma a quella, affatto diversa, di armonizzare le sanzioni. Infatti, come l'analisi dei rischi può produrre distorsioni di traffico a vantaggio di quei Paesi che hanno una dogana più disattenta, allo stesso modo, la sanzione più pesante può rendere vantaggioso trasferire i traffici verso quei Paesi nei cui ordinamenti sono previste sanzioni più lievi.
Con riferimento alla possibilità di sviluppare i confronti internazionali - questo vale in generale - devo dire che presso TAXUD vige un sistema un po' strano: fino a qualche anno fa, essa forniva dati in quantità maggiore e più dettagliati.
Mi sono trovato in una situazione particolare. La Francia sembrava avere svolto una buona attività anticontraffazione. In realtà, nonostante avesse totalizzato il triplo di denunce rispetto alle nostre (in Francia vige un sistema particolare, giacché la contraffazione è equiparata alla ricettazione), le quantità sequestrate erano pari a un decimo delle nostre. Andando a guardare bene i dati - che allora erano disponibili e che adesso, invece, non si trovano - abbiamo scoperto che la loro attività era effettuata sostanzialmente in aeroporto. Allora, ho contestato che in quel modo tutto era più facile: un conto è operare un sequestro su una valigia, altra cosa è farlo su un container; una cosa è intralciare il viaggiatore di ritorno con il bagaglio a mano; altra cosa è bloccare un'attività portuale. Devo dire che l'effetto finale è stato il seguente: quel tipo di statistica non
si vede più nei report.
MARCO CAUSI. A proposito di preda e predatore!
GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. A proposito di preda e di predatore! Ogni volta che ne abbiamo l'occasione chiediamo un approfondimento dei dati, ad esempio di quello relativo ai tempi di controllo, che stiamo per regolare in modo standardizzato attraverso la carta dei servizi, in corso di pubblicazione, e che, d'altra parte, è difficilissimo determinare. Rispetto all'indirizzo proveniente da Bruxelles, volto a ridurre l'accertamento a posteriori, ciò in realtà è letto in un altro modo nelle statistiche. L'accertamento a posteriori è tipico della dogana non telematica: si ha necessità di accertare a posteriori quando non si è telematizzati. Tuttavia, non si può bloccare un traffico che è andato crescendo in questi anni. Se si ha riguardo alla serie storica degli ultimi quattro o cinque anni, si nota che il livello dei controlli di accertamento a posteriori è passato - se non erro - dal 42-43 al 24 per cento. Insomma, sta scendendo in picchiata: nei quattro anni, si è dimezzato.
COSIMO VENTUCCI. Il problema - mi scusi se la interrompo, direttore; lo faccio affinché il discorso sia più chiaro ai presenti - riguarda esclusivamente i manifesti merci in arrivo, nei quali soprattutto i pesi dichiarati non sono commisurati a quelli reali.
Occorre stare attenti a questo problema, che è specifico. Se la società dichiara sulla base del manifesto, è chiaro che, se non viene svolta la revisione di accertamento, si può giungere addirittura a forme di contrabbando. Lei sa, direttore, che sopra i 4 mila euro scatta il reato di contrabbando. Pertanto, bisogna stare attenti a questo aspetto, che è proprio quello che volevo segnalare.
Inoltre, non capisco perché Bruxelles agisca nel modo di cui si è detto. L'iniziativa
proviene da Bruxelles, non dalle Dogane italiane: questo dato è importante, e sarà opportuno che se ne tenga conto nelle discussioni.
GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Pensavo che lei si riferisse all'andamento del quadro più generale. In Europa, il livello di automazione raggiunto da alcune dogane (stiamo parlando di quelle dell'Est, dei nuovi Paesi membri, e quant'altro) viene commisurato alla riduzione dell'accertamento a posteriori; tuttavia, si tratta di un indicatore non così immediato.
Quanto alla questione sollevata da ultimo, invece, staremo attenti.
Riguardo, invece, ai dati sulle Dogane, non ho portato il consuntivo 2008, perché lo stiamo chiudendo. Lo consegnerò al Ministero entro la prossima settimana. Sostanzialmente, è come se da noi fosse validato, ma non lo è ancora dal Ministro. Tuttavia, mi impegno a inviarlo tra una quindicina di giorni, anche perché contiene alcuni elementi che possono essere utili per capire come ci muoviamo.
Il resto è tutto in convenzione. Anche quella parte è ancora da chiudere; siamo in esercizio provvisorio. Tuttavia, appena chiuso, invierò il volume con i risultati del 2008.
Naturalmente, ricordo quanto costa l'Agenzia: indicativamente, il costo è pari a 600 milioni di euro, di cui 60 per investimenti (informatici, per lo più), mentre ciò che resta è spesa per il personale.
Se il presidente è d'accordo, passerei la parola ai miei colleghi, anche al fine di vivacizzare la discussione. Proporrei che la dottoressa Alvaro rispondesse su Bruxelles, indicando gli ultimi indirizzi, la dottoressa Bricca sulla parte riguardante le verifiche e l'utilizzo degli scanner, il dottor Aronica sull'organizzazione e il dottor De Santis sulle questioni relative ai petroli.
Prima, però, vorrei concludere sulla questione dell'andamento dei traffici commerciali negli ultimi mesi.
Noi usiamo un indicatore - che abbiamo elaborato autonomamente - diverso dal Baltic. Quest'ultimo è un indicatore globale per la circolazione di materie prime di tipo dry, in quanto riguarda materie prime secche. Esso permette di cogliere, quindi, il volume di scambi di carbone, acciaio, cemento e quant'altro: è un indicatore sull'attività industriale, giacché riguarda materie prime di base.
Noi abbiamo seguito un percorso contrario: partiamo dai dati delle importazioni e li ripuliamo, ad esempio dagli oli minerali e dalle materie prime di base, come il carbone, il ferro e via dicendo. Togliamo, poi, taluni capitoli nei quali la quantità è pesante, ma la consegna è unica, come ad esempio le imbarcazioni, gli elicotteri, nel caso in cui nel mese in esame sia avvenuta una consegna. Quello che emerge è un indicatore che raccoglie materie prime diverse da quelle dell'industria di base, semilavorati o prodotti finiti pronti per il commercio e che, di conseguenza, ha natura meno industriale e più commerciale. Tale indicatore ci diceva che nei primi tre mesi del 2009, rispetto ai corrispondenti mesi dell'anno precedente, si era verificata una caduta sia dell'import che dell'export (là dentro c'erano entrambi i dati), a gennaio del 30-35 per cento, a febbraio intorno al 24-25 per cento e a marzo tra il 5 e il
10 per cento.
Quindi, quello che possiamo dire è che si rileva - tendenzialmente - una possibilità di tornare sui livelli di commercio realizzati nell'anno precedente. Quando toccheremo l'asticella dello zero, saremo tornati al volume di scambi del 2008.
Tutto ciò significa poco e niente. Ancora nulla si può dire rispetto alla crisi in atto. Tuttavia, anche quello di cui vi ho detto è uno dei piccoli indicatori che possono contribuire a farci capire se sia in atto, in qualche modo, una sorta di ripresa. Bisogna poi capire se a muoversi siano i prodotti destinati al commercio finale (e ciò segnalerebbe un principio di risveglio della domanda), oppure i semilavorati o, ancora, se stia tornando il magazzino, che, peraltro, al momento, potrebbe anche essere in fase di svuotamento.
Comunque sia, rileviamo una iniziale tendenza a recuperare i valori dello scorso anno. A partire da gennaio, abbiamo constatato questo ritorno.
Se facciamo il confronto dal trimestre precedente a quello successivo, il dato che si ottiene per noi dice poco, in quanto fortemente influenzato dalla stagionalità. Ho visto, ad esempio, che la Comunità adesso sta raffrontando il quarto trimestre dell'anno precedente rispetto al terzo, che, però, includeva agosto: quindi, il calo rilevato è poco significativo.
Noi, invece, preferiamo confrontare gli stessi periodi di anni diversi, perché riteniamo che questo metodo ci dica dove stiamo andando. Ripeto che il raffronto tra due trimestri contigui dice poco, in quanto è influenzato dalla stagionalità.
PRESIDENTE. Specificamente, mi riferivo alle linee dei grafici riportati nella documentazione, da cui si rileva una progressiva discesa che riguarda il 2006 e il 2007, mentre un'altra linea sale. Ebbene, chiedevo se negli ultimi due quadrimestri si sia mantenuto lo stesso andamento incrociato.
GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Su questo punto possiamo certamente fornire il dato italiano aggiornato a marzo 2009. Non riusciamo a reperire, al momento, i dati degli altri Paesi, che non riceviamo con la stessa tempestività dei nostri, naturalmente. In alcuni casi, inoltre, si tratta di dati estremamente difficili da leggere, proprio per la ragione di cui parlavo in precedenza. Non circolano troppe informazioni tra le autorità doganali, specialmente con riferimento al commercio. Tuttavia, voglio precisare che Eurostat sicuramente redige rapporti su tale tema (si tratta dell'ente che, come l'ISTAT a livello nazionale, è titolato a elaborare e divulgare dati di tipo statistico).
TERESA ALVARO, Direttore area centrale tecnologie per l'innovazione. Partirei da quest'ultima osservazione, relativa alla necessità di avere dati attendibili, su indicatori di tale rilievo, da tutte le altre dogane comunitarie.
Come amministrazione doganale, abbiamo sempre puntato molto sull'utilizzo di dati attendibili, tratti direttamente dai sistemi informatici. Quindi, abbiamo spinto molto affinché la realizzazione della dogana elettronica fosse il più possibile rapida e, inoltre, i dati potessero essere estratti direttamente dalle operazioni fatte «a sistema» dai vari Stati membri.
Un simile risultato l'abbiamo già ottenuto per quanto riguarda i regimi che sono stati informatizzati, in particolare quello del transito e parte di quello dell'esportazione, in modo tale che i rapporti annualmente formati in sede europea non siano più basati sui dati dichiarati dalle singole amministrazioni, ma su dati inconfutabili, in quanto direttamente derivati, come ho accennato, dalle operazioni «a sistema».
In prospettiva, avendo riguardo alla scadenza del giugno 2013, data entro la quale saranno diramate le disposizioni di applicazione del codice doganale modernizzato, desidero rappresentare quanto è stato fatto dall'amministrazione italiana affinché le scelte a livello europeo non generassero ricadute negative a livello nazionale. Siamo partiti qualche anno fa proprio per influenzare in modo efficace il processo di formazione, in quanto il modo di operare per definire la normativa di livello comunitario (che poi è direttamente applicabile; il discorso ha qualche attinenza anche con le considerazioni che sono state svolte in ordine alla protezione della prassi, a livello nazionale, nel settore delle dogane e nel settore delle entrate) è fortemente sbilanciato a sfavore delle dogane. Infatti le disposizioni di livello comunitario, nella fase legata anche allo sviluppo dei sistemi informatici, sono di dettaglio, in quanto vanno a regolare sistemi che,
fondamentalmente, non richiedono che piccoli aggiustamenti a livello nazionale. Quindi è particolarmente importante vigilare e cercare di influenzare il
processo di formazione della normativa comunitaria.
Soprattutto nell'ultima parte del processo di formazione del codice doganale comunitario, in ambito Commissione europea, si è molto utilizzato il sistema della consultazione delle associazioni europee degli operatori. Abbiamo molto lavorato affinché, a livello nazionale, fossero raccolte direttamente, e quindi rappresentate, le esigenze non solo delle amministrazioni, ma anche delle associazioni di settore e degli operatori.
Recentemente, questa azione ha prodotto un risultato abbastanza concreto. Nel seminario svoltosi a Praga alla fine di marzo, che ha visto la partecipazione di tutti i vertici delle amministrazioni doganali dei 27 Stati aderenti all'Unione e dei Paesi neoaderenti, è stata riconosciuta un'esigenza che la Dogana italiana sottolineava da molto tempo, ossia che si definisse in dettaglio il quadro operativo (in pratica, si tratta delle istruzioni relative proprio alla prassi indirizzata agli uffici e agli operatori), in maniera tale da conseguire effettivamente un'uniforme applicazione della legislazione doganale. In altre parole, è stato ottenuto che l'elaborazione della normativa generale di settore fosse preceduta dalla definizione dei processi operativi, per ottenere fondamentalmente due risultati: capire quale potesse essere, in dettaglio, la ricaduta delle procedure definite a livello comunitario su quelle nazionali; evitare distorsioni a favore di Stati che hanno
un maggior peso. Ci siamo basati su un utilizzo spinto sia dei processi informatici sia dell'anzidetta definizione di dettaglio delle ricadute operative, in modo da apprezzarne costi e benefici e, soprattutto, da determinare il gap, la distanza da come siamo a come dovremmo diventare, anche se, per quanto riguarda il livello di informatizzazione, cerchiamo di giocare d'anticipo, come comprovato dal fatto che le linee guida di e-customs le abbiamo già declinate nel nostro sistema da vari anni. Ci differenzia fondamentalmente dagli altri Paesi il fatto che l'informatizzazione ha riguardato in modo generalizzato tutti i regimi e non particolari regimi o particolari porti, come avviene negli altri Stati. Su questo, ovviamente, tentiamo di spingere affinché i dati che ci consentono di confrontarci con gli altri Stati siano attendibili e assolutamente inconfutabili.
In chiusura del mio intervento, desidero svolgere un breve approfondimento concernente il problema dell'uniforme applicazione della legislazione comunitaria in tutti i 27 Stati, sotto tutti i profili particolari, compreso quello sanzionatorio. Su ciò la Commissione europea avvia regolarmente inchieste, seguite da missioni in tutti gli Stati membri.
Nell'attesa di avere un quadro normativo definito in maniera puntuale, l'Italia ha chiesto che si effettuino rilevazioni dettagliate aventi ad oggetto l'uniforme applicazione della normativa comunitaria e, soprattutto, l'armonizzazione delle sanzioni.
CINZIA BRICCA, Direttore area centrale verifiche e controlli tributi doganali e accise laboratori chimici. Sono state poste alcune domande relative ad aspetti particolari del settore dei controlli: scanner, black list, funzionalità e significato dei controlli a posteriori.
Tutti questi segmenti vanno ricondotti nell'ambito di una visione unitaria del controllo doganale, posto che si tratta di momenti e tipologie di controlli o di selezioni su determinati parametri che attengono al controllo in generale. Quindi, ricordando che il nostro sistema dei controlli è totalmente automatizzato e che comunque, anche le operazioni residue - rivolgendomi all'onorevole Ventucci, posso parlare di operazioni in procedura domiciliata non ancora telematizzate, perché sappiamo di cosa si sta parlando - vengono riportate, all'atto della presentazione della dichiarazione complementare, all'analisi dei rischi centralizzata e quindi analizzate, ai fini dell'espressione del preavviso, dagli uffici locali, con gli stessi criteri che governano l'analisi dei rischi svolta a livello centrale. Possiamo dire che la selezione del controllo viene operata sulla base di criteri che stabiliamo uniformemente a livello centrale, con il concorso dell'esperienza degli
uffici locali.
Pertanto, il controllo mediante scanner può rappresentare un esito della selezione del circuito e si pone in una situazione intermedia tra il semplice controllo documentale e il controllo fisico approfondito, per l'esecuzione del quale ci si può anche avvalere della scannerizzazione, onde velocizzare e orientare meglio la verifica (parliamo del classico container che viene importato e che arriva nel porto).
Il livello dei controlli mediante scanner è mediamente del 3 per cento; operiamo mediamente con tale modalità circa 50.000 controlli: possiamo andare dai 45 mila ai 50 mila l'anno. Ovviamente, il dato è in funzione del flusso dei traffici e non può essere stabilito a priori; esso è anche influenzato da eventuali emergenze o criticità che dovessero verificarsi in relazione agli allerta internazionali.
L'utilizzo dello scanner è stato molto incentivato a partire dal 2001. Ricordo che l'Agenzia ha acquisito con propri mezzi finanziari gli scanner ancor prima del triste settembre 2001, ma gli scanner sono serviti molto, a partire dal 2001, proprio per l'effettuazione dei controlli di sicurezza, quindi anche con finalità di deterrenza.
In cinque porti italiani è operativa la CSI (Containers security initiative), con la collaborazione dei colleghi delle dogane statunitensi, per effettuare controlli più accurati sui container diretti verso gli Stati Uniti.
A tale proposito, ricordo che negli Stati Uniti è stata approvata, qualche anno fa, una normativa che prevede la scannerizzazione obbligatoria, a cura dei porti di esportazione di tutto il resto del mondo, dei container diretti negli Stati Uniti. Probabilmente, essa non sarà più applicata nei termini drastici in cui era stata definita. Tuttavia, se la predetta regolamentazione, la cui attuazione era inizialmente prevista a partire dal 2012, dovesse effettivamente essere applicata in maniera così rigorosa, avremmo la necessità di acquistare scanner in numero ben superiore a quello preventivato.
Attualmente ne abbiamo 28, tutti collegati in rete telematica. Attraverso una sala di monitoraggio istituita presso la sede centrale dell'Agenzia è possibile controllare in tempo reale tutti i controlli mediante scanner che vengono effettuati nei 28 porti dotati di tali apparecchiature. Ciò ci consente di intervenire in base ad elementi informativi di cui dovessimo eventualmente disporre in via prioritaria al centro e di comunicare immediatamente all'ufficio periferico la necessità di effettuare un controllo mediante scanner. Comunque, i nostri uffici possono comparare in tempo reale, durante il controllo, l'immagine del container proveniente dallo scanner in quel momento con l'immagine tipo di quella stessa merce dichiarata presente nella banca dati immagini scanner, dove sono custodite più di 180.000 immagini. Si tratta di un forte ausilio al controllo, anche in termini di accelerazione.
Il controllo mediante scanner viene visto fondamentalmente come un ausilio alla verifica, anche in termini di eliminazione del controllo fisico, laddove vi sia, in base alla selezione CSI, la perfetta coerenza tra l'immagine del prodotto che sta passando e la dichiarazione di parte. Non si va oltre, non si esegue alcun controllo fisico.
Dedico un cenno alla black list, anche se non parlerei dell'esistenza, in termini organizzati, di una black list all'interno del nostro circuito.
Alla locuzione possiamo ricondurre l'insieme dei profili soggettivi che riguardano l'operatore economico, sia in relazione alla sua posizione nell'ambito della trade supply chain, cioè della catena logistica e commerciale, sia in relazione ai suoi precedenti.
Faccio rilevare che l'impianto del nuovo codice doganale comunitario sta spostando l'ottica del controllo dalla singola operazione al complesso delle operazioni eseguite dal soggetto economico, allo scopo di ottenere una visione più ampia. Non è mai la merce che delinque: sono i soggetti che entrano in contatto con la merce che possono compiere operazioni illecite. Quindi, i profili che oggettivamente potrebbero condurre a un controllo della
merce se l'operatore fosse noto - in senso negativo - alla dogana, per i precedenti, o per una nostra analisi soggettiva condotta sulla base delle banche dati disponibili a sistema (sostanzialmente, le banche dati dell'amministrazione finanziaria), debbono essere tarati sui soggetti. Per contro, la percentuale di controllo attribuita oggettivamente alla merce sarebbe abbattuta in funzione dell'affidabilità soggettiva qualora il soggetto fosse contraddistinto da profili positivi, quindi da white list.
Il nuovo codice doganale comunitario ha istituito, dal 1o Gennaio 2008, una nuova figura comunitaria, quella dell'operatore economico autorizzato (AEO). Questo soggetto, che gode di un'affidabilità riconosciuta da parte dei 27 Stati membri, è certificato dall'amministrazione doganale. Tale certificazione, lo status di AEO, va a influire in senso positivo anche sull'effettuazione dei controlli, abbattendone il numero in percentuali che variano dal 10 al 90 per cento. Se, in ipotesi, per quella merce con quella determinata origine, il mio profilo di rischio neutro, oggettivo, indica una necessità di un controllo al 15 per cento, l'operatore verificato in senso positivo e in possesso del certificato AEO, se è altamente affidabile, potrà avere una riduzione fino al 90 per cento di quel 15 per cento.
Il programma è in vigore dall'1 gennaio 2008 e, ad oggi, abbiamo ricevuto circa 200 istanze per il rilascio della certificazione AEO. Ci collochiamo, grosso modo, tra il quarto e il quinto posto a livello comunitario, ma confidiamo che l'istituto, sempre più familiare e conosciuto agli operatori e fortemente appetibile in ragione della sua estensione comunitaria, riscuota un successo maggiore di quello arriso all'audit doganale nazionale delle imprese, che, onestamente, in quattro anni non ci ha soddisfatti quanto a numero di richieste da parte degli operatori.
Per quanto riguarda i controlli a posteriori, a prescindere dalle politiche condotte da Bruxelles sul loro significato, noi li abbiamo sempre visti come complementari all'analisi effettuata attraverso il circuito doganale di controllo. In altre parole, essi offrono un riscontro della bontà dei profili di rischio inseriti a sistema e ci permettono di effettuare non tanto il controllo sulla singola dichiarazione doganale sottoposta a revisione di accertamento, quanto, e sempre più, sul triennio anteriore di attività dell'operatore economico, proprio al fine di ridisegnarne in modo più puntuale il profilo soggettivo.
I controlli a posteriori, condotti mediante accesso presso l'azienda o l'ufficio, riguardano il complesso delle operazioni.
PRESIDENTE. Le chiedo scusa, dottoressa Bricca, ma ha toccato un punto importante. A mio avviso, sarebbe una follia se nel soggetto che intendesse correggere qualcosa facessimo venire meno la fiducia nei confronti dell'amministrazione finanziaria.
CINZIA BRICCA, Direttore area centrale verifiche e controlli tributi doganali e accise laboratori chimici. Assolutamente.
PRESIDENTE. Vi dovete opporre nettamente a una tale eventualità.
CINZIA BRICCA, Direttore area centrale verifiche e controlli tributi doganali e accise laboratori chimici. Certo.
PRESIDENTE. Faccio un esempio: quando ho aderito al condono, molti anni fa, ho deciso di presentare una dichiarazione integrativa per definizione automatica (cosiddetto condono «tombale»). Sarebbe assurdo, ora, consentire al funzionario, il quale si accorgesse che esco con una Ferrari, di andare a riprendere il documento e di rimettere in discussione quanto avevo già definito con l'amministrazione finanziaria. In effetti, la ratio delle disposizioni che il Parlamento ha approvato in materia di condono tombale è la seguente: non importa chi ci rimette, purché si ponga termine al contenzioso.
CINZIA BRICCA, Direttore area centrale verifiche e controlli tributi doganali e accise
laboratori chimici. Lei si riferisce, signor presidente, alla revisione di accertamento su istanza di parte.
PRESIDENTE. Mi sono calato nei panni dell'importatore, per sollevare un problema che attiene al rapporto di fiducia che dovrebbe intercorrere con l'amministrazione.
CINZIA BRICCA, Direttore area centrale verifiche e controlli tributi doganali e accise laboratori chimici. Le percentuali alle quali ho fatto riferimento, relative alla diminuzione dei controlli a posteriori, si riferivano unicamente alle revisioni dell'accertamento su iniziativa dell'ufficio.
PRESIDENTE. Mi riferivo soprattutto all'altra ipotesi.
CINZIA BRICCA, Direttore area centrale verifiche e controlli tributi doganali e accise laboratori chimici. L'ipotesi da lei ricordata, presidente, è assimilabile all'istituto del ravvedimento, che esiste come istituto generale dell'ordinamento tributario.
PRESIDENTE. È importante che chiariate questo punto, riguardo al quale le aziende e gli operatori esprimono un certo sconcerto.
CINZIA BRICCA, Direttore area centrale verifiche e controlli tributi doganali e accise laboratori chimici. Ovviamente, tutti gli istituti vanno letti e interpretati nel loro senso «buono» e con finalità conformi a quelle che la legge si propone. È evidente che la reiterazione di istanze di revisione sulla medesima tipologia di merito da parte dello stesso soggetto diventa un costo per la dogana.
Ferma restando la legittimità assoluta dell'istituto sotto il profilo giuridico, si pone un punto di dubbio sull'affidabilità del soggetto ove questi non sia un rappresentante dell'azienda, bensì un soggetto qualificato per l'esercizio della professione a supporto dell'operatore economico.
GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Insomma, si pente, ma è un peccatore abituale.
CINZIA BRICCA, Direttore area centrale verifiche e controlli tributi doganali e accise laboratori chimici. Ci pone qualche problema.
ALESSANDRO ARONICA, Direttore area centrale personale e organizzazione. Cerco di rispondere, anche se il tema dell'organizzazione è molto ampio.
PRESIDENTE. Vogliate scusarmi, ma mi pare che quanto è stato detto finora sia talmente esaustivo da suggerire che, ove vi siano ulteriori dati da aggiungere, ce li facciate pervenire eventualmente in forma scritta.
Il dottor Aronica può comunque svolgere il suo intervento.
ALESSANDRO ARONICA, Direttore area centrale personale e organizzazione. Il tema è molto ampio. Cercherò comunque di rispondere con riferimento a un paio di aspetti che l'onorevole Causi ha messo a fuoco.
Abbiamo affrontato la fine del 2007 con una dotazione organica rinnovata che contava circa 12.500 unità di personale. Nello stesso anno, abbiamo avuto la possibilità, con la legge finanziaria, di assumere finalmente nuove forze dopo tanto tempo. Successivamente, nel corso del 2008, mentre ci accingevamo a fare queste assunzioni e a svolgere, attraverso le stesse, un'operazione di riequilibrio della distribuzione territoriale del nostro personale, sono intervenuti dapprima il decreto n. 112 e poi la relativa legge di conversione n. 133, che hanno ridotto la nostra dotazione organica.
Il combinato disposto di queste due forze fa sì che oggi gli effettivi dell'Agenzia, a seguito dell'assunzione degli idonei e di altre azioni di reclutamento, sono forse più vicini di quanto non siano mai stati alla dotazione organica. Ciò si è verificato, fortunatamente, sia perché nel corso degli anni la dotazione organica si è ridotta (di
3 mila o 4 mila unità, se andiamo indietro negli anni) sia in quanto, per la prima volta quest'anno, abbiamo avuto, rispetto alle cessazioni (che da noi sono 350, a volte anche 400 all'anno), un bilancio positivo delle acquisizioni, grazie all'ingresso degli idonei cui ho già accennato.
Il problema di sofferenza - lo dico in breve - cui faceva riferimento il direttore si acutizza molto quando c'è un blocco delle assunzioni, perché, più che le quantità assolute, è proprio l'impossibilità di attingere a forze fresche che diventa un grande problema. Le quantità assolute sono un po' cresciute. Cerchiamo di completare il più possibile la nuova dotazione organica ridotta, ma certamente abbiamo avuto una spinta molto positiva; consideriamo molto positivamente anche il fatto che il Parlamento ci abbia dato la possibilità di assumere, a partire dallo scorso anno. Attraverso quelle assunzioni abbiamo portato nuova linfa in tutte le direzioni regionali e anche negli uffici centrali, nei quali, peraltro, verso la fine del 2007, quindi prima che fosse emanato il decreto-legge n. 112 del 2008, pronosticavamo un ridimensionamento.
Stiamo cercando...
PRESIDENTE. Non abbiamo parlato, con l'onorevole Causi, di questo. Tuttavia, il problema del personale è dovuto al fatto che le navi partono alle 20, alle 21, a mezzanotte, alle 4 di notte. Hanno un orario che cozza con la dotazione che il Ministero assegna, cioè con i famosi 600 milioni che le Dogane spendono.
Si pone un grosso problema, perché gli operatori, ovviamente, vogliono passare la dogana quando il ciclo di lavorazione finisce, magari alle 4 o alle 5, mentre i funzionari al massimo lavorano fino alle 6. Occorre poi considerare i fuori orario: un discorso che diventa complicato, perché non possono farli in tutti i centri operativi. Anche questo è un problema.
Ecco perché ho sollevavo le questioni della telematica e della fiducia verso l'operatore: proprio per sollecitarvi ad andare in tali direzioni. Il personale in più serve, infatti, per un discorso ultroneo, non per la normalità del ciclo operativo.
MARCO CAUSI. Il punto sul turnover fatto dal dottor Aronica ha valenza generale per tutte le nostre amministrazioni pubbliche, che storicamente evidenziano problemi. Ad esempio: più personale al Sud, rispetto al Nord.
I problemi si risolvono più facilmente con le energie fresche, perché il giovane appena entrato, il neoassunto, è più disponibile a operazioni di mobilità territoriale.
Quindi, credo che questo discorso sia assolutamente generale e vada al di là della specificità del lavoro svolto.
ALESSANDRO ARONICA, Direttore area centrale personale e organizzazione. Attraverso il piano di destinazione dei neoassunti abbiamo riequilibrato l'allocazione delle nostre forze sul piano territoriale; inoltre, abbiamo potuto apprezzare il fatto che, naturalmente, forze nuove significano un apporto nuovo e tutto ciò che ne consegue.
Potremmo anche fornire dati più dettagliati, ma il senso complessivo dell'operazione è stato proprio quello di un riequilibrio a favore della parte settentrionale del Paese. Abbiamo soprattutto fatto affluire forze nuove alla direzione regionale lombarda, che era quella dove si registravano le maggiori carenze in rapporto ai flussi.
Naturalmente, nel caso dell'Agenzia delle dogane, il rapporto tra volume dei traffici e personale, attesa la mobilità dei traffici, deve essere valutato sui lunghi periodi. Tuttavia, nella sostanza, quella descritta è l'operazione che abbiamo completato alla fine dell'anno, tenendo altresì conto - lo preciso perché le notizie che si leggono al riguardo potrebbero lasciare perplessi - di alcune situazioni straordinarie al Sud, dove erano state rilevate emergenze e criticità particolari da affrontare. Pertanto, abbiamo destinato alcune forze anche a Napoli, Bari e Gioia Tauro, ma a completamento di un'operazione che ha visto gran parte delle risorse nuove destinate al Nord.
L'altra azione importante che abbiamo svolto, nel momento in cui ci siamo trovati ad affrontare la nuova fase, caratterizzata dalla riduzione delle dotazioni organiche, è consistita nell'applicazione dell'altra indicazione che proveniva dalla legge n. 133, vale a dire il taglio del 20 per cento delle direzioni di prima fascia e del 15 per cento di quelle di seconda fascia.
Potevamo interpretare la norma rispettandone solo formalmente lo spirito e, di conseguenza, operando tagli omogenei su tutto il territorio, secondo criteri più o meno casuali volti a conseguire il risultato atteso.
Abbiamo preferito, invece - proprio in virtù del fatto che, parallelamente, si riducevano la dotazione organica teorica e, quindi, anche gli spazi di crescita futura -, mettere in cantiere un'operazione di ulteriore approfondimento di quel cammino, già intrapreso, verso una maggiore efficienza della nostra struttura. Quindi, anziché operare tagli, abbiamo varato una piccola riforma - se volete, una riorganizzazione - che sostanzialmente prosegue ciò che già era stato fatto negli anni scorsi, il cui connotato fondamentale è il seguente: essa ridisegna il ruolo delle direzioni regionali, le quali, mentre continuano ad essere un presidio essenziale nel dialogo con la rete locale istituzionale, diventano molto più snelle dal punto di vista delle funzioni di indirizzo e controllo. Infatti, non fanno più da amplificatori o ripetitori dell'indirizzo centrale, bensì assumono una funzione di audit di
processo, quindi in parte diversa, a supporto degli uffici territoriali (quelli a cui stiamo dando maggiore forza).
Dalla riorganizzazione - da completare entro il 2010 - risulteranno, probabilmente, strutture intermedie di supporto leggermente più snelle, che ci consentiranno di rafforzare gli uffici territoriali. Questa azione, in qualche modo, compensa gli effetti della revisione al ribasso delle dotazioni organiche.
Nel contempo, abbiamo varato il nuovo regolamento di attuazione della legge n. 241 del 1990. Quello che avevamo era molto risalente, per cui lo abbiamo rivisitato, dando completa attuazione al regolamento di organizzazione e assegnando agli uffici territoriali tutte le funzioni di amministrazione attiva che era possibile attribuire a tali articolazioni.
PRESIDENTE. Rientrate, in termini finali, nella riduzione del 20 per cento?
ALESSANDRO ARONICA, Direttore area centrale personale e organizzazione. Assolutamente sì.
PRESIDENTE. Ciò ha prodotto qualche danno?
ALESSANDRO ARONICA, Direttore area centrale personale e organizzazione. Il «danno», per quanto riguarda i dirigenti di seconda fascia, è stato subito maggiormente dagli uffici centrali, presso i quali è stata effettuata una riduzione del 25 per cento di tali posizioni.
Invece, per quanto riguarda le nuove dotazioni organiche, ancora dobbiamo procedere alla ripartizione territoriale ma, come dicevo, era già in progetto una riduzione del peso delle strutture centrali.
Sostanzialmente, le due azioni che stiamo conducendo interagiscono, in quanto c'è un rafforzamento degli uffici territoriali, anche per quanto riguarda responsabilità e competenze. La riforma dovrebbe accompagnare questo rafforzamento con un aumento di effettivi.
D'altra parte, abbiamo anche un modello di gestione che consideriamo più efficiente ed incisivo. La funzione di indirizzo del centro, a questo punto, dovrebbe essere molto più immediata.
La riorganizzazione ha anche consentito di procedere ad accorpamenti delle direzioni, che da quattordici passeremo a dieci. Le nostre erano già direzioni regionali e, in taluni casi, interregionali. Adesso sono più decisamente interregionali, fatta eccezione per tre regioni. Anche questo è un segnale di ciò che ci proponiamo di realizzare: fermo restando il significato che riveste la presenza istituzionale delle dogane, manteniamo due sedi laddove esisteva la vecchia sede regionale, in modo
tale che ci sia sempre un presidio regionale in grado di dialogare con le altre istituzioni.
Dal punto di vista della funzionalità della «macchina», crediamo che il disegno che ho illustrato ci consentirà di guadagnare in efficienza.
GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Certo, è abbastanza severa la strettoia imposta dal decreto-legge n. 112 del 2008, soprattutto per quanto riguarda la dirigenza di seconda fascia, dove perdiamo 37 posizioni, in un contesto in cui abbiamo in totale, tra prima e seconda fascia, circa 250 posizioni dirigenziali su 10 mila dipendenti. Credo che un rapporto di 1 a 40 non soltanto sia alto nella pubblica amministrazione ma sia «concorrenziale», se si pensa ai quadri dirigenti dell'industria, anche rispetto al mondo del lavoro privato.
In questo senso, rispetto alle altre agenzie e agli altri Ministeri, il nostro sforzo è notevole.
I 386 uffici, in molti casi, sono costituiti da piccole postazioni, situate magari in un contesto nel quale esiste un piccolo distretto industriale che funziona e che effettua operazioni di scambio con procedura di domiciliazione (per cui serve un piccolo presidio che si muove). Non credo, pertanto, di andare verso una riduzione delle 386 postazioni.
Anzi, se il futuro va verso la domiciliazione delle operazioni, è meglio avere il piccolo presidio agile sul posto piuttosto che imporre attese per eventuali controlli, da effettuare magari con il fuori orario e con una maggiore spesa per tutti.
D'altro canto, le difficoltà sono notevoli, poiché abbiamo pochi dirigenti rispetto al numero dei dipendenti distribuiti nei vari livelli sottordinati. Credo che le altre agenzie, in alcuni casi, abbiano un rapporto più favorevole, che oscilla fra 1 su 25 e 1 su 20. Eravamo partiti con un assetto che era, sotto questo aspetto, più efficiente. Tuttavia, si corre il rischio che la situazione diventi ancora più difficile, anche perché sono anni, ormai, che l'Agenzia non bandisce un concorso.
WALTER DE SANTIS, Direttore area centrale gestione tributi e rapporto con gli utenti. Raccolgo l'invito ad indicare cosa il Parlamento potrebbe fare - nel modo e nella misura che riterrà più congrua e opportuna - per l'immediato avvio dello sportello unico doganale.
Al momento, si trova per l'ennesima volta all'esame della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri cui l'articolo 4, comma 59, della legge n. 350 del 2003 demanda la provvisoria definizione (fino all'emanazione di appositi provvedimenti da parte delle amministrazioni interessate) dei termini di conclusione dei procedimenti amministrativi che concorrono per l'assolvimento delle operazioni doganali di importazione ed esportazione.
L'iter del provvedimento è stato travagliato, non solo e non tanto perché sono intervenuti due cambi di legislatura, nel 2006 e nel 2008 - a fronte dei quali, evidentemente, la menzionata Conferenza, una volta ricostituitasi, ha dovuto riavviare da capo il procedimento per la formalizzazione dell'intesa prescritta dalla legge - ma anche perché, nelle diverse materie in cui la competenza è ripartita fra Stato e regioni (parlo della sanità, piuttosto che di altre discipline), c'è stato un rimpallo fra le amministrazioni centrali, le quali, in un primo tempo, parevano avere già offerto il loro contributo.
Gli elementi che non hanno trovato accoglimento, riguardanti soprattutto i tempi utili per realizzare gli interventi finalizzati all'istituzione dello sportello unico doganale, sono stati ritenuti compresi nei profili di competenza regionale e, pertanto, sono stati riproposti in sede di Conferenza Stato-regioni. Quindi, si è tornati di nuovo al centro, sulla base del ben noto principio secondo cui ripetere le cose dà modo di compiere un esame più approfondito.
Adesso sembra che siamo riusciti ad arrivare alla quadratura del cerchio, sia pure accettando, con grande umiltà, i tempi massimi, a volte anche abbastanza
lunghi, che alcune amministrazioni hanno imposto per dare il loro avviso favorevole al conseguimento dell'intesa.
Ci aspettiamo, quindi, che la Conferenza Stato-regioni sancisca al più presto l'intesa, acquisita la quale potrà essere emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.
L'altro aspetto che, se vogliamo, fa pendant, è riferito al nostro impegno a livello comunitario. La direzione dell'area centrale gestione tributi e rapporti con gli utenti partecipa al 60 o 70 per cento delle commissioni e dei comitati istituiti a Bruxelles. Ci sforziamo di essere presenti in tutte le situazioni e in tutte le sedi, né silenti, né disinteressati. Il problema (come giustamente è stato rilevato) è che gli altri Stati hanno negli organismi comunitari una presenza e una forza di pressione maggiori rispetto alla nostra. Basti pensare che altri Stati membri sono più rappresentati a livello di dirigenza generale e centrale, mentre la nostra presenza è costituita, per lo più, da funzionari d'ordine e da qualche dirigente a livello di chef d'unité. Questo ci penalizza molto.
Tuttavia, lì dove possiamo, ci avvaliamo molto della nostra capacità di andare verso un'informatizzazione spinta: possiamo farlo in quanto - penso di poterlo dire, perché il settore è diretto da una collega in questo momento - l'Italia è sicuramente all'avanguardia, tanto che abbiamo più volte sottolineato, a livello comunitario, la necessità che gli altri Stati membri si adeguino a noi. Tutto ciò comincia a dare i primi risultati. Vediamo già qualcosa: cominciano ad arrivare segnali di fumo. Speriamo di cogliere quanto prima i frutti dei nostri sforzi. Comunque, l'informatizzazione è un elemento che favorisce l'omogeneizzazione delle prassi e accresce la trasparenza. Infatti, una volta realizzata l'informatizzazione, il processo non va avanti se non è conforme alle modalità stabilite. Di recente, sono stati posti in essere, da parte di alcuni servizi dell'Unione europea, alcuni
tentativi, peraltro neanche tanto velati, volti ad agevolare quei Paesi membri che non erano così avanti come noi sotto il profilo dell'informatizzazione; ma poiché sono venuti allo scoperto, siamo riusciti a incidere.
Ho colto, infine, una richiesta di chiarimento riguardante una circolare sui petroli.
Riguardo alla direttiva sui prodotti energetici, recepita ormai da quasi due anni, vi sono stati interventi, a livello di prassi amministrativa, che dovrebbero aver risolto gran parte dei problemi presentatisi. Adesso, addirittura, c'è una nuova direttiva in arrivo. Probabilmente, potrebbe essere in fase di elaborazione, proprio in questo periodo, qualche misura concernente la telematizzazione delle accise, nell'ambito dei petroli come in quello degli alcoli. Nel settore, in seguito all'obbligo di telematizzazione, sentono la pressione, la spinta a doversi adeguare soprattutto gli operatori meno grandi, le piccole e medie imprese, i marginali. Qualcuno ha reagito in modo assai trasparente - facendo presente di avere bisogno di maggior tempo - ed ha ottenuto più d'una proroga. Nel caso in cui sia segnalata la temporanea inidoneità della strumentazione informatica, si concederà eventualmente un tempo di due o tre mesi per l'adeguamento, fermo
restando che i dati dovranno essere conferiti al sistema a partire dal momento in cui scatterà l'obbligo.
Un'ulteriore questione è stata recentemente posta da coloro che utilizzavano prodotti petroliferi per la produzione di energia elettrica. Si tratta di soggetti che già conferiscono dati all'amministrazione doganale, proprio per la loro qualità di utilizzatori di prodotti petroliferi e di produttori di energia elettrica. Siccome adesso sono tenuti a fornire, in qualità di percettori di prodotti petroliferi da destinare ad usi agevolati (secondo un loro profilo) ulteriori dati relativi a questa prima parte del loro business, essi hanno individuato punti di tangenza, o di sovrapposizione, tra le due tipologie di attività svolta ed hanno conseguentemente immaginato che i dati dovessero essere conferiti a un certo titolo piuttosto che a un altro. Effettuato un approfondimento, abbiamo constatato che non sussistono problemi
significativi. Insomma, la questione è stata posta, più che altro, in maniera strumentale. Ciononostante, diremo loro, come sempre, di mettere in ordine i propri software e, appena possibile, di conferire i dati. Ad ogni modo, è stato fatto molto rumore per nulla.
TERESA ALVARO, Direttore area centrale tecnologie per l'innovazione. Le scadenze comunitarie non saranno sicuramente differibili. Con la direttiva 2008/118/CE del Consiglio, del 16 dicembre 2008, e con il successivo regolamento, la telematizzazione dei documenti di accompagnamento diventerà ormai una realtà nel periodo compreso fra il 1o aprile 2010 e il mese di gennaio del 2011. Quindi, l'aver preparato le nostre aziende in modo soft a tale scadenza è stato il frutto di una strategia precisa.
PRESIDENTE. Anche a nome del presidente Conte, ringrazio tutti i presenti per aver dato vita, più che a un'audizione, ad un convegno. Credo di interpretare anche il pensiero dei colleghi nel ringraziare i nostri ospiti, i quali sono stati davvero esaustivi.
Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata (vedi allegato).
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 17.
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