Sulla pubblicità dei lavori:
Alessandri Angelo, Presidente ... 2
Audizione del Ministro per la coesione territoriale, Fabrizio Barca, sullo stato di utilizzazione dei fondi strutturali della coesione territoriale, con particolare riferimento al finanziamento degli interventi per la difesa del suolo (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Alessandri Angelo, Presidente ... 2 5 10 16
Barca Fabrizio, Ministro per la coesione territoriale ... 2 10 11 14
Braga Chiara (PD) ... 9
Fanelli Tullio, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare ... 13
Lanzarin Manuela (LNP) ... 8
Marantelli Daniele (PD) ... 10
Mariani Raffaella (PD) ... 6
Misiti Aurelio Salvatore (Misto-G.Sud-PPA) ... 6
Realacci Ermete (PD) ... 8 11
Zamparutti Elisabetta (PD) ... 5
ALLEGATO: Documentazione consegnata dal Ministro per la coesione territoriale, Fabrizio Barca ... 17
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del
Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.
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Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 14,15.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro per la coesione territoriale, Fabrizio Barca, sullo stato di utilizzazione dei fondi strutturali della coesione territoriale, con particolare riferimento al finanziamento degli interventi per la difesa del suolo.
Nel ringraziarlo della presenza, do la parola al Ministro Barca per sua la relazione.
FABRIZIO BARCA, Ministro per la coesione territoriale. Vi ringrazio dell'invito, che ho accolto con molto piacere, anche per l'occasione di condividere con voi informazioni recenti. Vi farò avere materiali sul tema particolare delle risorse che il Parlamento stesso aveva, sin dal 2009, deciso di destinare a interventi in aree a più elevato rischio idrogeologico. Mi concentrerò, quindi, su questo. Poi, se vorrete, potrò fornirvi informazioni che riguardano altri interventi infrastrutturali realizzati con il Fondo per lo sviluppo e la coesione. Lascerò, comunque, una relazione alla vostra attenzione.
Come sapete, l'articolo 2, comma 240, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, ha destinato complessivamente un miliardo di euro alla realizzazione di piani straordinari diretti a rimuovere situazioni a più elevato rischio idrogeologico, a valere sulle originarie disponibilità del Fondo per lo sviluppo e la coesione. Sulla base di tali assegnazioni, nei primi mesi del 2010, il Ministro dell'ambiente sottoscrisse con le regioni interessate accordi di programma che individuavano e finanziavano interventi considerati prioritari, che coinvolgevano le Autorità di bacino e il Dipartimento della Protezione civile. Allo stesso tempo, per ogni regione venne nominato, con DPCM, un commissario straordinario delegato all'attuazione degli accordi di programma sottoscritti.
Successivamente, questi fondi sono stati in larga misura tagliati (ironia della sorte, il taglio di stanziamenti per interventi di prevenzione fu dovuto proprio al non aver prevenuto), con un taglio di 200 milioni di euro per far fronte, prima, ai danni provocati dall'alluvione del dicembre 2009 in Liguria, Toscana ed Emilia (100 milioni) e successivamente per finanziare le spese conseguenti allo stato di emergenza in Veneto, Liguria, Campania e Sicilia (ulteriori 100 milioni).
Degli 800 milioni residui, 184 furono trasferiti a favore del Ministro dell'ambiente, lasciandone 616, sui quali sono intervenute le manovre finanziarie del luglio
e dell'agosto 2011, che hanno previsto tagli a carico del Fondo sviluppo e coesione che, per come quantificati nella legge di stabilità per il 2012, cioè a oggi, hanno azzerato le risorse disponibili a tale scopo, nonostante gli accordi di programma con le regioni fossero stati già sottoscritti.
Prendendo atto di questa situazione, che era già percepibile dal novembre dell'anno scorso, e proseguendo la linea di lavoro adottata dal mio predecessore, Raffaele Fitto, dall'agosto 2011 in altri comparti, appena assunto l'incarico di governo, mi sono fatto promotore, assieme al Ministro dell'ambiente, di una concertazione con le regioni del Sud, finalizzata a salvaguardare quanto più possibile gli interventi urgenti relativi a «frane e versanti», cioè quelli di cui alle intenzioni della norma originaria, destinati, cioè, alla riduzione del rischio idrogeologico, già ricompresi negli accordi di programma sottoscritti dal Ministro dell'ambiente e dalle stesse regioni.
In particolare, nei giorni 9, 10, 11 e 12 gennaio 2012 sono stati siglati accordi con i presidenti delle regioni interessate che hanno reintegrato la dotazione finanziaria occorrente attraverso risorse provenienti dal Fondo per lo sviluppo e la coesione, questa volta non più nazionale, ma regionale, per un importo complessivo di 653 milioni di euro. Queste risorse, lo dico per chi volesse saperlo, venivano da programmi interregionali che non avevano avuto seguito, come il PAIn (Programma attuativo interregionale), il Programma per le energie rinnovabili e il risparmio energetico, il Programma attrattori culturali, naturali e turismo e così via. Non si tratta di programmi finanziati con fondi comunitari, bensì con fondi regionali per lo sviluppo e la coesione, che erano completamente fermi. Invece, questi interventi offrivano la possibilità di un impiego di tali fondi per una lista di opere già esistente.
Su queste basi, è stata adottata il 20 gennaio 2012 - otto giorni dopo l'ultimo accordo - la delibera CIPE n. 8, con la quale veniva confermata una parte dei 517 interventi originariamente previsti negli accordi di programma di cui ho detto, destinandovi le risorse di cui ho parlato, senza alcuna risorsa a titolarità del Ministero dell'ambiente, per un importo complessivo di 653 milioni di euro. La delibera reca una cifra maggiore, ma 26 milioni erano destinati ad altre finalità. Comunque, i 517 interventi riguardano Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, cioè le regioni che avevano messo a disposizione i fondi di cui sopra. Vi ho già detto come era assicurata la copertura finanziaria.
Rimanevano ancora due piccoli dettagli.
Il primo era tramutare una delibera del CIPE in atti realizzabili, cosa che è avvenuta con un'accelerazione significativa (che, peraltro, non ha riguardato solo questa delibera, ma tutte quelle del Fondo per lo sviluppo e la coesione) dei tempi di raccoglimento della bollinatura del Ministero dell'economia e quindi dell'approvazione da parte della Corte dei Conti. Tengo a dire che, su questo, grazie anche a una norma approvata già in novembre del 2011, siamo riusciti a ottenere quasi un dimezzamento dei tempi che intercorrono tra la data di delibera del CIPE e quella di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
L'altro dettaglio riguardava la disponibilità finanziaria, che è stata ottenuta, con un atto del Ministero dell'economia di un certo significato finanziario, pari a più di 1,5 miliardi di euro, da noi disposto, che ha anticipato, a tutte le regioni e a tutte le autorità interessate, i fondi necessari ad avviare interventi nella misura dell'8 per cento, secondo la classica logica comunitaria di anticipo.
Aggiungo, e vengo qui alle informazioni più recenti, che non basta approvare gli interventi, trovare i fondi, accelerare i tempi di pubblicazione in Gazzetta delle delibere del CIPE o trasferire la cassa e l'anticipazione, perché nei territori esistono problemi relativi alla natura dei progetti e alla complessità della fase attuatrice. Pertanto, abbiamo dato seguito a un'altra disposizione che avevamo costruito nella delibera CIPE n. 8 del 2012. Infatti, avevamo previsto la costituzione di
un gruppo tecnico di sorveglianza, composto da rappresentanti del Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica del Ministero dello sviluppo economico, del Ministero dell'ambiente e delle regioni interessate, con potere di impulso e verifica sull'avanzamento degli interventi, «anche ai fini - diceva la delibera CIPE - della proposta di eventuale rimodulazione degli stessi, fermo restando il vincolo di destinazione settoriale». È previsto che questo gruppo dia conto dei risultati che accerta con cadenza almeno semestrale, avvalendosi anche del Nucleo di valutazione e verifica del Dipartimento per le politiche di sviluppo.
Per dare seguito a questo, ci si è mossi in questa direzione, avendo una preoccupazione ex ante, cioè prima di fare le verifiche sul campo, che si fosse potuta creare nei territori una sovrapposizione di responsabilità fra enti locali e commissari straordinari, con un'incapacità in termini di attuazione e di coordinamento. Su questo presupposto, si è dato avvio a quattro sopralluoghi - di cui do conto in una tabella allegata alla relazione che vi ho lasciato - che riguardano situazione di dissesto idrogeologico nei comuni di Rogliano, in Calabria; Furore, in Campania; Fasano, in Puglia; e, infine, Siracusa, in Sicilia. Da questi sopralluoghi sono emerse criticità significative, che abbiamo definito «medie», originate proprio dalla contemporanea presenza sul territorio di una molteplicità di autorità decisionali, talune di queste coincidenti con le vecchie gestioni commissariali, non adeguatamente
coordinate tra loro.
Queste situazioni di criticità conducono a previsioni assai negative sui tempi di attuazione, che abbiamo stimato essere mediamente fra i 7 e i 12 mesi per l'avvio dei cantieri - nel caso di Siracusa, che è quello più negativo, la previsione è persino di 13-24 mesi.
Vi segnalo che questo è uno stato di cose decisamente peggiore di quello constatato nei sopralluoghi che contemporaneamente abbiamo effettuato per interventi del Fondo per lo sviluppo e la coesione in altri settori, decisi sia dal Governo attuale sia da quello precedente (mi riferisco agli interventi di cui alle delibere CIPE dell'agosto e del settembre 2011 fatte dal mio predecessore e ad altre nostre). Ripeto: nel caso degli interventi di cui parliamo oggi abbiamo trovato uno stato di criticità mediamente molto superiore agli altri casi.
Per darvi un'idea, su alcuni interventi stradali importanti, abbiamo una previsione di avvio dei cantieri in un tempo compreso tra 0 e 6 mesi.
Peraltro, in alcuni di questi ultimi casi, abbiamo registrato proprio in questi giorni una «riaccelerazione» grazie ai nostri sopralluoghi, che, come sapete, hanno anche un effetto vivificante. E se questo si può comprendere rispetto ad alcune scuole, per la dimensione contenuta dei relativi degli interventi, colpisce il fatto che questo riguardi anche opere superiori ai 200 milioni di euro.
Tutto ciò considerato, ritengo di poter dire che quella che abbiamo davanti non è una questione legata alla complessità degli interventi programmati (sappiamo, infatti, che più si spende, più l'intervento è complesso), ma a un problema che riguarda questo particolare comparto.
In conclusione, con il Ministero dell'ambiente, avvertiamo l'esigenza di un governo stretto dell'attuazione degli interventi, che si muoverà per cercare di capire se e come rimuovere questi elementi di criticità riscontrati nei primi quattro sopralluoghi. Certo, 4 verifiche su 517 non è un campione che permette di tirare delle conclusioni, ma danno il segnale che c'è un problema da attenzionare. Del resto, secondo la nostra metodologia, se scopriamo quattro cose che non vanno, dobbiamo affrontarle tutte e quattro perché non possiamo lasciare il territorio in quello stato e tornarcene a Roma, sapendo di aver imparato qualcosa. C'è, quindi, un presidio dei quattro casi che sono stati individuati.
Inoltre, abbiamo previsto una nuova ondata di sopralluoghi, ma non sono ancora in grado di preannunciare il numero; forse, saranno 80, con 15-20 tipologie che
saranno esaminate, volte a meglio approfondire la situazione, sulla base di questa prima esperienza di sopralluoghi.
Avrei due ultime osservazioni sui sopralluoghi. Questo strumento utilizza una struttura non nuova, ma con una finalità parzialmente nuova. La struttura è l'unità di verifica che ha sempre effettuato verifiche e controlli. Nel passato, anche durante il precedente Governo, ha effettuato importanti controlli che hanno condotto a definanziamento. La logica, però, era individuare interventi incagliati, cioè che fossero bloccati da cinque anni e dove non ci fosse spesa, e verificare se fosse il caso definanziarli o sbloccarli. Noi, invece, abbiamo deciso di giocare d'anticipo, per cui la finalità dei sopralluoghi non è punitiva o sanzionatoria, ma volta a verificare se ci sono le condizioni, in questa situazione di recessione molto forte, per aprire i famosi cantieri di cui io stesso avevo parlato.
Chiudo questo intervento, precisando che quanto ho detto riguarda quello che è stato fatto ed è in corso e su cui sono in grado di riferirvi, lasciando, ovviamente, al ministero competente di intervenire su dettagli tecnici che non sono nelle mie capacità. Aggiungo che è intenzione del nostro Governo avviare una riflessione - cosa che valuteremo collegialmente, ma è mia responsabilità istruttoria - attorno a un'ipotesi che investirebbe la programmazione dei fondi comunitari 2014-2020, per la quale nel giro dei prossimi 40-50 giorni questo Governo metterà sul tavolo un'ipotesi di strategia.
All'interno di questa strategia, stiamo valutando la possibilità di avviare un confronto pubblico attorno a una specifica strategia per le aree interne del Paese, del Nord come del Sud, nelle quali sono in corso, sul piano sia della valorizzazione dei borghi, sia del rilancio dell'agricoltura e del territorio, sia su forme nuove di manutenzione continuativa e non straordinaria di presidio da parte degli abitanti, esperienze di straordinario interesse dal Piemonte fino alla Sicilia, sulle quali, però, avvertiamo la mancanza di un ragionamento di respiro nazionale, che pensiamo, invece, potrebbe essere di aiuto per valorizzare e non, come spesso accade, per «imbracare» - per usare un termine del sociologo Bagnasco - iniziative interessanti a livello locale.
Insomma, intendiamo rafforzare la conoscenza reciproca dei modelli che vengono utilizzati e mettere in sintonia, in modo integrato, interventi sull'agricoltura, sulla formazione, sulla scuola e sulla salute, i cui presidi civici vanno pensati e baricentrati rispetto ai luoghi, per renderli attraenti per la vita delle persone, giovani o anziani, stranieri o italiani che siano.
Da ultimo, ma non meno importante, intendiamo individuare modalità di manutenzione del territorio che dalla straordinarietà passino nell'ordinarietà. A margine, aggiungo infatti che la mia sensazione - lavorando molto, in queste settimane, con la grandissima collaborazione da parte dell'ANCE (Associazione nazionale costruttori edili) su alcuni di queste ipotesi di interventi - è che non ci sia nei territori una piena consapevolezza del fatto che l'intervento si possa fare, che non ci sia, cioè, una pressione organizzata da parte dei cittadini che pretenda che un'opera individuata, finanziata e con cassa, venga effettivamente realizzata. Questo aspetto richiede, probabilmente, una strategia nazionale. Comunque, questo sarà contenuto nel documento che mi accingo a predisporre e a inviarvi nelle prossime settimane.
PRESIDENTE. Nell'autorizzare la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal Ministro Barca (vedi allegato), do la parola ai colleghi che vogliano intervenire per porre domande o formulare osservazioni.
ELISABETTA ZAMPARUTTI. Grazie, Ministro. Se ho capito bene dai dati che ci ha fornito, la situazione è gravissima o almeno quello che è accaduto è molto grave. Dico questo anche rispetto al fatto che il Parlamento, almeno due volte, in sede plenaria, si è pronunciato su questa questione, adottando delle mozioni - la prima anche all'unanimità - che chiedevano
di reperire risorse adeguate alla necessità di piani di prevenzione del dissesto idrogeologico. Mi pare che, a fronte di pronunciamenti di questo tipo in sede parlamentare, i governi che si sono succeduti abbiano fatto tutt'altro. Lei ha detto che si è giunti a un punto di azzeramento delle risorse, che poi si è cercato di ripristinare. Insomma, i fondi si erano addirittura azzerati, anziché cercare, seppur lentamente, di aumentarli.
Comunque, vorrei sapere se, rispetto agli accordi di programma che sono stati siglati tra il 2010 e il 2011 fra il Ministero dell'ambiente e le regioni, ve ne sono alcuni che hanno visto un'attuazione, seppur parziale. In sostanza, se è stato realizzato anche solo qualcosa nell'ambito degli accordi di programma sottoscritti?
Do atto al suo Governo di aver adottato - anche se non è stata competenza del Ministro dell'ambiente né sua, bensì del Ministro dell'agricoltura - un provvedimento, quello sul consumo del suolo, che, in termini di prevenzione rispetto a ciò che si può o non si può costruire, ha dato un segnale significativo. Mi auguro, quindi, che si possa invertire questa tendenza che pone anche un problema di legalità, dal momento che non è ammissibile che un Governo disattenda in maniera così palese le richieste che provengono dal Parlamento. Grazie.
AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Ministro, vorrei porle qualche domanda perché mi sembra interessante l'approccio adottato su questo argomento e soprattutto la proposta di fare dei sopralluoghi, che giudico molto positivi, anche se adesso sono solo quattro. Poi, però, saranno 80, mi pare. Sono, tuttavia, un po' scettico sulle conseguenze che devono essere a valle di questi sopralluoghi perché il Ministero dell'ambiente può anche notare i ritardi e quant'altro, ma credo che sia quasi impossibile ridurre tali ritardi perché non tutti gli ostacoli da superare dipendono dalla possibilità di agire dei ministeri. Vi sono infatti ruoli e competenze delle regioni, delle Autorità di bacino e di tutti quegli ulteriori enti che devono attuare gli interventi.
Pertanto, distinguerei due questioni. La prima riguarda opere da costruire con i finanziamenti, che trovano ostacoli di vario tipo nel territorio; la seconda ha a che fare con gli interventi per difendere il territorio, quindi la prevenzione delle frane, la manutenzione straordinaria dei fiumi e quant'altro. Questi sono due aspetti completamente diversi. Credo che sia necessario - purtroppo, si riapre la questione del famoso Titolo V - ritornare su strutture organiche e stabili nei territori per poter affrontare questi argomenti. Se, invece, si danno le risorse alla regione, alla provincia o al comune in questione per fare, per esempio, la manutenzione straordinaria del fiume, dopo sei mesi, un anno o due la situazione torna come prima.
Occorre, quindi, una manutenzione continua senza interruzioni. Ciò significa avere la possibilità, da parte del ministero, di dialogare con le Autorità di bacino e con le regioni per prevedere insieme delle linee guida riguardo agli interventi da realizzare. Per esempio, bisognerebbe fare i presidi idraulici in tutto il territorio, il che significa avere capacità e culture professionali che permettono di tenere il territorio in stato di sicurezza, in modo tale che, se c'è una piena, questa defluisca senza trovare tutti gli ostacoli che attualmente trova.
Manca, dunque, questo nesso, quindi la possibilità di avere strutture che, con competenza e continuità, possano lavorare nei territori per attuare gli interventi che emergeranno grazie ai sopralluoghi dei ministeri. Ecco, cosa si fa in questo senso? Si potrebbe fare qualcosa?
RAFFAELLA MARIANI. Grazie, Ministro, anche per averci fornito un'informativa che in parte conferma quello che più volte abbiamo sottolineato in questa Commissione, con interrogazioni e interventi (l'ultimo è della settimana scorsa nei confronti del Ministro dell'ambiente). Infatti, oltre alla vostra ricognizione, ci arrivano
le lamentele sui ritardi da parte dei singoli territori, che, avendo visto stanziate risorse, seppur ridotte dal 2009 a oggi, non riescono a comprendere la ragione di questi rallentamenti.
Faccio l'esempio della rimodulazione dei fondi relativi alle regioni del Centro-Nord che ha visto, nella riunione del CIPE di venerdì scorso, l'assegnazione di 130 milioni di euro per i quali si era chiesto l'elenco a maggio, per cui abbiamo aspettato da maggio al 31 ottobre per avere la rimodulazione e ora dovremo aspettare il tempo di pubblicazione in Gazzetta della delibera del CIPE, seppur abbreviato. Peraltro, questo è uno dei pregi di questo Governo, che ha ridotto i tempi tra l'approvazione delle delibere del CIPE e la loro pubblicazione in Gazzetta.
Tuttavia, qualcosa non ha funzionato in questo periodo, anche in relazione - come abbiamo detto diverse volte - alla gestione commissariale. Difatti, ci troviamo nel paradosso per cui, non solo, ma soprattutto nelle questioni legate al dissesto idrogeologico, l'introduzione delle figure dei commissari straordinari non ha accelerato, bensì rallentato gli interventi, facendo sì che, in alcuni casi, la sovrapposizione di competenze originasse dei conflitti e rimandasse allo Stato centrale l'idea che, in fondo, le regioni non erano efficienti e litigavano con i commissari straordinari, comportando una riduzione delle risorse. Infatti, credo che la gestione commissariale abbia un costo di circa l'1,5 per cento sulle cifre complessive destinate alla lotta al dissesto idrogeologico, riducendone, quindi, la già ridottissima destinazione definitiva.
Ci chiediamo se la ricognizione di cui lei ha parlato, che finora ha riguardato 4 casi su 517, verrà fatta anche sugli interventi oggetto della delibera del CIPE del giugno scorso sulla rimodulazione dei fondi per le regioni del Centro-Nord, con lo stanziamento di circa 130 milioni di euro per interventi in queste regioni. Secondo noi, questo andrebbe fatto e anche velocemente perché, quando chiediamo ulteriori risorse al Governo per la lotta al dissesto idrogeologico, e sappiamo quanto siano necessarie, dobbiamo anche poter dimostrare che siamo in grado di spendere i fondi stanziati in maniera più efficiente e veloce rispetto al passato. Quindi, ci auguriamo che questo monitoraggio possa essere fatto speditamente su tutte le opere che sono state destinate a questa rimodulazione di fondi, anche per dare un'accelerazione forte alla spesa che, oltre a consentire la messa in sicurezza del territorio, dà anche un po' di ossigeno alle imprese.
Infatti, questo è un cane che si morde la coda perché molte delle imprese edili che hanno lavorato per queste opere, magari in somma urgenza, anticipando risorse proprie, per le quali sono in debito con le banche e con il sistema finanziario, vedono rallentare, oltre ai pagamenti, anche il completamento degli interventi. Questo tema ha, dunque, molto a che vedere anche con il sostegno alle imprese, la crescita e lo sviluppo.
Ricapitolando, le chiedo, quindi, di effettuare il monitoraggio anche sui 130 milioni deliberati dal CIPE a giugno di quest'anno, con la possibilità che vengano erogati prima della chiusura di questo bilancio annuale. Tuttavia, per noi, il tema principale resta quello di capire, nel momento in cui le risorse di bilancio destinate alla lotta al dissesto idrogeologico, ma più in generale alla difesa del suolo, sono ulteriormente ridotte anche quest'anno - e proprio oggi stiamo definendo i relativi emendamenti al disegno di legge di stabilità -, quali strumenti possiamo individuare per reperire risorse aggiuntive, anche attraverso l'utilizzazione dei fondi europei della prossima pluriennalità per attivare forme di forme di project financing o comunque forme contrattuali più moderne, per introdurre nuove risorse in aiuto al fabbisogno dei territori.
Non sfugge a nessuno, infatti, che in alcuni territori, soprattutto i più marginali delle nostre regioni, che sono anche i più disastrati dal punto di vista ambientale e infrastrutturale, vi è la necessità di configurare un obiettivo di efficienza maggiore nell'uso delle risorse e di messa in sicurezza del territorio. Questa sarebbe
una risposta molto forte sia all'abbandono che ai problemi legati allo sviluppo e alla crescita.
ERMETE REALACCI. Non ripeterò quanto detto dalla collega Mariani, che ovviamente condivido. Lei prima ha accennato all'ipotesi di avviare una consultazione sulle aree interne, per quanto riguarda l'utilizzo dei fondi europei 2014-2020. Ebbene, ritengo che questo sia un obiettivo assolutamente centrale. Peraltro, devo dire che siamo sempre stati perplessi sulla figura dei commissari straordinari, che vanno a sovrapporsi alle procedure e alle istituzioni elette. È senz'altro un metodo da evitare perché mi sembra che i commissari straordinari facciano solo confusione e non abbiano dimostrato la loro efficacia in nessuna parte d'Italia. Tuttavia, ciò riguarda le scelte del Ministero dell'ambiente.
A ogni modo, il terreno della consultazione da lei indicato è di grandissima importanza perché è difficile pensare a una politica di messa in sicurezza del territorio se non c'è una politica di sviluppo e di consolidamento dell'attività, dell'economia e delle società delle aree interne. D'altronde, a volte io e lei ci siamo già incontrati in qualche posto dell'Italia minore, che ha «trovato i fili a cui appendere il proprio futuro». Spesso, però, le relazioni istituzionali realizzate sono comprensibili nelle difficoltà, ma contraddittorie rispetto a quello che accade perché chiudere un presidio sanitario, una scuola o un ufficio postale in un piccolo comune può significare apparentemente un risparmio, ma poi diventa un elemento negativo se il problema è mantenere le attività economiche e la competitività, la «convenienza» a vivere in quei
luoghi.
Da questo punto di vista, nel fare questo censimento di ciò che si muove e nel capire dove andare, mi pare essenziale provare a mutare ottica rispetto a queste aree perché se continuano a essere considerate delle zona da assistere, quasi come un peso per il Paese, non ne veniamo fuori. In molte di queste aree ci sono attività economiche che possono essere valorizzate, ma c'è bisogno, appunto, di un cambio di ottica. Per esempio, la banda larga in tanti di questi territori è molto più importante di un nuovo raccordo autostradale. Questo, però, richiede che, a partire da ciò che c'è, il Governo individui una direzione di marcia. Ecco, ci farebbe piacere se questa direzione ci venisse comunicata o se fosse oggetto di comune discussione. Il rischio è che, anche per disattenzione, queste aree vengano «desertificate» dal punto di vista sociale ed economico, rendendo in tal modo più
difficili da costruire anche le politiche di difesa del territorio.
MANUELA LANZARIN. Ritorno sulla questione che ha posto la collega Mariani. In questa Commissione, abbiamo più volte sollevato il problema del dissesto idrogeologico e delle iniziative, ma soprattutto dei programmi da mettere in atto. Purtroppo, abbiamo visto sempre più, e soprattutto ultimamente, che non c'è, da parte del Governo, nessuna politica certa per quanto riguarda il dissesto idrogeologico, visto che anche gli ultimi fondi a disposizione del Ministero dell'ambiente sono stati distolti per essere stornati, una volta, sul capitolo della mobilità sostenibile e un'altra su quello della bonifica del sito dell'Ilva di Taranto. Insomma, non c'è la volontà di avviare una politica ben definita su questa materia che, invece, riteniamo primaria.
Peraltro, le regioni si sono impegnate e hanno firmato negli anni scorsi i famosi accordi di programma con il Ministero. La mia regione - il Veneto - ha firmato un accordo di programma con diversi interventi, ma, in una prima fase, gli stanziamenti iniziali sono stati decurtati e poi sono arrivate pochissime risorse. Intanto, però, i progetti sono già stati commissionati, ma stanno lì ad spettare e non si sa cosa fare. Tuttavia, se pensiamo agli ultimi eventi metodologici, ci rendiamo conto del rischio. A ogni modo, neppure le regioni riescono a fare una programmazione. Quindi, occorre chiarezza di politica e di
risorse. Questo credo che sia il punto principale su cui il Governo si deve impegnare.
Sono d'accordo quando il Ministro Barca dice che si deve capire bene chi deve fare cosa perché ci sono troppe sovrapposizioni, a diversi livelli, per cui si fa troppa confusione. Tuttavia, allo stesso tempo, quando si dice che è necessario un governo più stretto sull'attuazione degli interventi, bisognerebbe monitorare chi li realizza effettivamente. Ci sono, infatti, le solite parti del Paese che non attuano gli interventi o che sono in ritardo, che, però, vengono continuamente finanziate rispetto ad altre che, invece, hanno tutta la volontà di mettere in atto gli interventi già programmati nei propri piani. Oltretutto, se non c'è una sensibilità o una regia e una consapevolezza da parte delle istituzioni locali e - come ha detto il Ministro - della popolazione, neanche da parte di questo Governo c'è attenzione e consapevolezza della gravità e dell'importanza di determinati interventi da
realizzare.
Vedremo come sono stati ripartiti i 130 milioni stanziati dal CIPE lo scorso giugno per gli interventi nelle regioni del Centro-Nord. Tuttavia, sentir dire che ci sono altri 650 milioni destinati esclusivamente al Sud e non ci sono altrettante risorse per accordi di programma che sono già stati sottoscritti, non va assolutamente bene, ma soprattutto va sempre nella direzione di penalizzare un territorio, il Nord, che, oltre ad aver bisogno di infrastrutturazione, di sicurezza idraulica e quant'altro, negli ultimi tempi - se guardiamo agli avvenimenti meteorologici che sono accaduti in Veneto, in Emilia-Romagna, in Toscana o in altre regioni - è stato fortemente penalizzato.
CHIARA BRAGA. Ringrazio il Ministro Barca anche perché il suo intervento ci ha permesso di mettere in luce un aspetto che non ha solo a che fare con la questione delle risorse, che pure è di primaria rilevanza, come è emerso negli interventi che mi hanno preceduto. Mi riferisco alla non perfetta efficacia del sistema della governance in materia di difesa del suolo. Dai sopralluoghi finora svolti dai suoi uffici sono emersi infatti dei problemi che noi sottolineavamo e ponevamo da tempo all'attenzione del Governo, a partire dalla critica per la scelta di istituire i commissari straordinari. Comunque, credo che la situazione di problematicità sia più ampia rispetto ai temi dalla difesa del suolo perché riguarda il mancato compimento, nel nostro Paese, del processo di recepimento totale delle direttive comunitarie.
Il sottosegretario Fanelli annuisce perché ne abbiamo parlato in molte occasioni. In ogni caso, penso che discuterne anche oggi sia importante perché dal pieno recepimento della normativa europea possiamo trovare degli strumenti per realizzare ciò a cui il Ministro Barca faceva riferimento nell'ultima parte dell'intervento, cioè sfruttare la gestione integrata dell'acqua e del suolo come occasioni di sviluppo e di crescita territoriale.
Da questo punto di vista, siamo ancora in attesa del compimento del processo di costituzione e di funzionamento completo delle autorità di distretto, da cui passa un elemento fondamentale per la costruzione di politiche moderne per la difesa del suolo. Quindi, nell'ottica di una possibilità di utilizzare anche i fondi comunitari del prossimo periodo di programmazione, inviterei i rappresentanti del Governo presenti a capire come questa occasione si possa concretizzare, dando un impulso a quel processo di piena attuazione delle direttive comunitarie che sappiamo di dover portare a compimento.
Penso, per esempio, ai temi della ricostruzione ecologica dei corsi d'acqua e alla possibilità di far prevalere politiche di prevenzione e di adattamento nel quadro degli interventi strutturali e di messa in sicurezza del territorio, possibilmente utilizzando degli strumenti di programmazione negoziata territoriale, di cui abbiamo già discusso in questa Commissione, come i contratti di fiume che, proprio per la loro natura legata ai bacini idrografici, non strettamente ingabbiata nei confini amministrativi di una singolare regione o
provincia, possono mettere in evidenza delle possibilità di utilizzo virtuoso delle risorse.
Mi rendo conto che la domanda è a cavallo tra le competenze del Ministero dell'ambiente e le sue, Ministro Barca, comunque le chiedo come si intende dare un impulso a questo processo di recepimento pieno delle direttive comunitarie.
DANIELE MARANTELLI. Ringrazio anch'io il Ministro Barca. Come si dice nella sua relazione, dai sopralluoghi effettuati emerge una molteplicità e una sovrapposizione di autorità decisionali. Ricordo che avevamo già registrato questo punto critico dieci anni fa, durante una Commissione di inchiesta, di cui facevo parte, istituita per fatti certamente non edificanti in regione Lombardia. Questa Commissione, oltre dieci anni fa, aveva messo in evidenza, appunto, l'esigenza di intervenire su questa tematica.
Ora, è chiaro che il territorio del nostro Paese è fragilissimo, da Nord a Sud. Accanto alle sue indiscutibili bellezze, vi è, infatti, questo elemento di debolezza e anche di pericolo. Le informazioni puntuali che oggi ci sono state fornite confermano, tra l'altro, anche l'inadeguatezza delle risorse. Tuttavia, a costo di apparire scarsamente concreto, mi sembra necessario segnalare al Ministro due considerazioni che, anche per la sua sensibilità, oltre che per la sua preparazione, credo possa agevolmente comprendere.
In primo luogo, mi chiedo perché, dal versante svizzero delle Alpi, gli investimenti in agricoltura sono fatti in modo tale da tutelare il territorio e quindi anche i possibili guasti che la scarsa manutenzione determina, mentre, dal nostro versante tutto ciò non accade. Non credo che siamo meno preparati o meno civili degli svizzeri, tuttavia al di qua delle Alpi non solo abbiamo il fiume più inquinato d'Europa, l'Olona, ma quando accadono calamità naturali i danni per le attività produttive - e in qualche caso anche per le vite umane, anche se fortunatamente in misura minore - sono rilevantissimi. Lei, giustamente, ci diceva della necessità di coordinare, dal Piemonte in giù, un lavoro di regia che cerchi di rendere unitarie queste esperienze. Ecco, penso che valga davvero la pena di lavorare con un progetto specifico.
La seconda considerazione, che è anche una domanda, può apparire, anch'essa, poco concreta. Tuttavia, a furia di porla senza avere risposte, rischia di diventare sempre attuale. Fin dalla precedente legislatura mi sono permesso di chiedere come il Governo intendesse finanziare la prevenzione sul dissesto idrogeologico. Devo dire che la risposta dell'ex Capo della Protezione civile fu piuttosto sbrigativa, quando mi permisi di ricordare il modello americano della FEMA (Federal Emergency Management Agency), che in questi giorni, insieme alla Croce Rossa, sta lavorando senza sosta per cercare di limitare i danni dell'uragano Sandy, misi disse che l'Italia non aveva nulla da invidiare al modello americano.
Un conto, però, è l'intervento di Protezione civile al momento dell'emergenza, rispetto al quale condivido che l'esperienza italiana ha sicuramente molte carte da giocare, ma, pur non essendo un tifoso del modello americano tout court, credo che, sul versante della prevenzione quella stessa esperienza non sia adatta e questo non significa, però, che non ci debba essere nessuna strategia. Mi pare, invece, che, su questo terreno, continuiamo a rincorre le emergenze, mentre dovremmo attuare una normale politica «ordinarissima» di prevenzione, individuando le modalità con cui realizzarla (ci sono, per esempio, delle assicurazioni differenziate o modulate e quant'altro).
Mi permetto di porle questa questione perché lei non solo ha la competenza, ma credo anche la sensibilità necessaria di evitare risposte sbrigative e inquadrare il tema nella sua giusta dimensione, visto che il Paese ha questo problema dal Nord, al Centro, al Sud.
PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Barca per la replica.
FABRIZIO BARCA, Ministro per la coesione territoriale. Vi ringrazio molto per le
domande e le sollecitazioni, a cui cercherò di rispondere assieme al Sottosegretario Tullio Fanelli, al quale lascerò quelle che riguardano più specificamente alcuni punti della materia.
Riguardo alla questione dei fondi, posta dagli onorevoli Zamparutti e Lanzarin, devo dire anzitutto che alcune difficoltà derivano dal fatto oggettivo che siamo in presenza di una crisi economica e finanziaria che avviene in tutto il mondo. Inoltre, devo ricordare che è stato il Parlamento stesso che ha tagliato le risorse. È vero, infatti, che i diversi Governi che si sono succeduti in questi anni hanno avuto le loro responsabilità, ma poi è stato il Parlamento stesso che ha operato i tagli delle risorse. Quel miliardo stanziato nel 2009 per la difesa del suolo è stato costruito e poi smontato dallo stesso Parlamento.
Questo è un problema di estrema serietà perché riguarda l'incertezza delle finanze destinate ad alcuni interventi fondamentali.
Poniamo, ad esempio, che il nostro Paese - che lo faccia il Governo o il Parlamento poco importa - individui delle risorse destinate alla manutenzione del patrimonio e rapportiamo questa scelta in ambito privatistico. In un'azienda, queste risorse sarebbero intese come risorse che hanno lo scopo di compensare l'obsolescenza del capitale, con ammortamenti ordinari; dopodiché, se l'azienda si trovasse in una situazione di emergenza e dovesse coprire con queste risorse delle esigenze di debito, si avvierebbe sicuramente verso il fallimento. Insomma, è evidente - e torno alla questione dell'uso delle risorse pubbliche - che la sistematica riduzione delle risorse destinate a investimenti, soprattutto se questi non riguardano l'infrastrutturazione, ma la conservazione del territorio, è segno di un Paese «che sta mangiando se stesso». Abbiamo, dunque, un problema di natura generale che travalica i singoli Governi della Repubblica, nel senso che li
riguarda tutti, insieme al Parlamento.
Vorrei sottolineare però un dato: in Italia, vi è una sola risorsa destinata a investimenti pubblici che non è stata mai tagliata. Questo, però, la dice lunga sulla nostra capacità di autonomia. L'unica risorsa che non è stata mai tagliata da nessun Governo della Repubblica né dal Parlamento, e di questo dovremmo ringraziare l'Europa, sono i fondi comunitari e il cofinanziamento nazionale. Insomma, mentre abbiamo avuto la tentazione di toccare tutti gli altri fondi, quelli europei non li abbiamo tagliati, il che vuol dire che l'Europa, oltre a darci delle regole, che possiamo trovare più o meno valide, rappresenta anche un «alibi» importante per non tagliare risorse.
Peraltro, è giusto anche dire che, a differenza di quello che si sente dire in questi giorni, abbiamo perso pochissimi fondi europei. Forse, li abbiamo spesi male, ma non li abbiamo mai persi e sicuramente mai tagliati. Non abbiamo - ripeto - mai tagliato i fondi comunitari destinati al cofinanziamento nazionale. Questa è una riflessione politica che mi sento di lasciarvi, visto che anche se voi fate politica in modo permanente, anch'io in questo momento faccio politica.
Chiarito, dunque, che è il Parlamento ha tagliato i fondi che esso stesso aveva assegnato e che ci sono dei problemi...
ERMETE REALACCI. Occorre dire, però, che il taglio è avvenuto su proposta del Governo, Ministro, perché altrimenti sembra...
FABRIZIO BARCA, Ministro per la coesione territoriale. Certo, ho capito. Comunque sia, voglio precisare che il taglio di questo miliardo di euro di cui ci stiamo occupando oggi non riguarda questo Governo, ma il precedente. Al tempo stesso, non sarebbe corretto dire che noi siamo stati straordinari, come Governo, nel recuperare parte delle risorse perché si tratta di un processo avviato dal mio predecessore. Mentre per la parte comunitaria ho introdotto molte innovazioni, per l'altra ho continuato il lavoro avviato da Raffaele Fitto, il quale, dall'agosto del 2011, ha iniziato a salvaguardare i fondi di sviluppo e coesione che se ne stavano
andando da tutte le parti. Si trattava, peraltro, di fondi già assegnati territorialmente, che non avrebbero potuto essere assegnati al Centro-Nord, anzi, che in parte lo sono stati in difformità sia da una norma costituzionale che da una legge della Repubblica.
I 650 milioni di euro di cui parlavo prima erano dunque fondi delle regioni, non li abbiamo presi altrove. Ovviamente, abbiamo constatato che quei fondi non erano stati programmati e, sulla scia del lavoro di Raffaele Fitto, visto che c'erano progetti per una finalità importante che non erano più coperti finanziariamente, abbiamo chiesto alle regioni di lasciarceli. I quattro presidenti di regione hanno accettato di fare questa operazione. Non abbiamo potuto fare una cosa analoga per il Centro-Nord perché erano fondi di regioni del Sud. Sono il primo a riconoscere che questo è insufficiente, ma intanto si è fatto.
Per rispondere alla domanda puntuale dell'onorevole Zamparutti, dirò che il 65 per cento degli accordi di programma stipulati nel 2010-2011 è stato finanziato. Poi, la fotografia che i primi quattro sopralluoghi indica è che non solo non è stato realizzato nulla, ma - peggio, come lei ha giustamente constatato - non ci sono neanche le condizioni per cominciare prima di almeno 7-12 mesi e in un caso persino di 13-24 mesi ad avviare concretamente gli interventi programmati. Riguardo, invece, alla delibera del CIPE di cui abbiamo parlato, che è del gennaio 2012, quindi immaginare che sia stato già realizzato qualcosa di quanto in essa previsto non è presumibile e allo stato attuale non c'è neppure nessun avviamento.
Una cosa molto importante. Le informazioni che vi ho dato sui sopralluoghi, secondo una nuova modalità che ritengo fondamentale, sono disponibili sul web per qualunque cittadino della Repubblica. In pratica, 24 ore dopo i sopralluoghi, abbiamo pubblicato le informazioni sul sito e divulgato un comunicato stampa, per cui i dati sono disponibili per qualunque associazione, organizzazione o cittadino. Questo è importante perché ad esempio l'ANCE, secondo quanto dalla stessa riferito, ha potuto cominciare a lavorare immediatamente, grazie alla trasparenza delle informazioni sulle liste degli interventi oggetto dei sopralluoghi. A questo proposito, non più tardi di ieri ho ricevuto dal presidente Buzzetti il risultato di un esame di 500 interventi contenuti in liste di varia natura, sia «frane e versanti», sia interventi minori sulle strade e sulle scuole, che l'ANCE sta presidiando, essendo questo - come è stato
correttamente osservato - importante non solo per il servizio reso, ma anche per il lavoro e la crescita di queste aziende.
In sostanza, il fatto di rendere disponibili le informazioni consente ad associazioni di categoria che sono interessate ai lavori di «starci addosso» e quindi - essendo io un fautore del conflitto - di «creare conflitto», cioè di chiedersi come mai i lavori non partano. Se non abbiamo nessuno che si arrabbia e che ci sta addosso sui territori, le cose non succedono.
Vi ricordo anche che gli interventi di cui ho parlato sono disponibili anche in una lista generale che è in un sito aperto, con un formato che non ha nessuno dei 27 Paesi europei, che si chiama «Open coesione», su cui qualunque cittadino può leggere l'elenco di tutti gli interventi, localizzarli dal punto di vista geografico e esaminarne lo stato di avanzamento finanziario tre mesi per tre mesi (adesso siamo a sei mesi per sei mesi, ma prima che io lasci l'incarico sarà tre mesi per tre mesi).
Dico questo perché è importante. Non avremmo avviato molti cantieri prima di concludere il nostro lavoro, se non a L'Aquila, dove finalmente stanno cominciando a nascere e crescere, ma sicuramente lasceremo una traccia di visibilità e trasparenza, che mi auguro il Parlamento faccia in modo che non sia eliminata. Prima di lasciare al sottosegretario Fanelli la risposta di merito sui sopralluoghi, che non saprei dare, vorrei dire all'onorevole Misiti che questi hanno un valore in sé, tranne che in situazioni in cui ci siano dei fattori sistematici. Producono, cioè, un risultato per il solo fatto di avvenire perché,
in alcuni casi dove c'è una situazione di tensione, possono determinare una conciliazione.
Per esempio, anche se non è il caso di «frane e versanti», i sopralluoghi hanno consentito persino la scoperta dei finanziamenti. Infatti, grazie a essi, una scuola di Palermo ha scoperto di essere stata finanziata, ma il Comune non glielo aveva mai comunicato. Sotto questo profilo, ritengo che sia importantissimo fare sopralluoghi in un Paese dove c'è una scarsa circolazione delle informazioni, pochi corpi sociali intermedi e una non particolare robustezza dei partiti, per cui manca un presidio sui territori che assicuri si sappia almeno che un'opera è stata finanziata.
Insomma, una scuola di Palermo era in una situazione drammatica, con una palestra che poteva cascare in testa agli studenti, ma non sapeva di essere stata finanziata perché il Ministero delle infrastrutture aveva scritto al comune, il quale, però, non l'aveva comunicato alla scuola stessa. Questa è l'Italia vera. Pertanto, talvolta, i sopralluoghi hanno una funzione vivificante; in altri casi, il fatto che il sopralluogo stesse per avvenire ha fatto sì che alcune cose accadessero proprio nei due giorni precedenti, nel timore che ci fosse il definanziamento; in altri casi ancora, la presenza, con il Ministero dell'ambiente o con altri ministeri, consente di dare assistenza tecnica; in un altro caso, questo ha creato una sensibilizzazione politica nel territorio. Penso, per esempio, alla Grottaminarda-Lioni, per la quale, sette giorni dopo il sopralluogo, la regione ha deciso di procedere all'accordo di programma. Si tratta di una strada importante
per un pezzo dell'Irpinia, che ci sarà perché improvvisamente se n'è parlato.
Il mondo funziona così: se le teniamo nascoste le cose, non si realizzano.
Detto ciò, questo non può avvenire per ognuno dei numerosi sopralluoghi e va bene quando scatena dei processi che vanno al di là del sopralluogo stesso. Se, però, si impatta in fattori sistematici, è diverso.
Do ora la parola al sottosegretario Fanelli, per rispondere alle questioni della governance dei commissari straordinari e della mancata attuazione delle direttive comunitarie sulla gestione delle risorse idriche. Dopodiché, riprenderò la parola per completare le altre risposte.
TULLIO FANELLI, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare. Abbiamo discusso varie volte del tema generale della governance. Devo dire che oggi sono ancora più convinto che in passato della necessità di introdurre, come previsto dalle direttive comunitarie, distretti idrografici «forti». Ne spiego le ragioni indicando l'esempio immediato di quanto accaduto ieri sera nel corso di una riunione con l'ANCE, i cui rappresentanti sono venuti a propormi, in attuazione della nuova normativa sul project financing, delle iniziative di carattere volontario proprio per la gestione, e in parte anche per la realizzazione, di interventi per la lotta al dissesto idrogeologico.
In sostanza, ci sono degli operatori privati disponibili a investire soldi propri, naturalmente in cambio di alcune cose, come ad esempio la ghiaia che bisogna togliere dal letto dei fiumi, oppure la possibilità di utilizzare le biomasse che è necessario togliere dal bacino di alcuni fiumi oppure la possibilità di sfruttare i cosiddetti «salti idrici». Si è fatta una riflessione su come organizzare un'ipotesi progettuale di questo tipo. La risposta, però, è stata che oggi non ci sono le condizioni perché, anche ammesso che progetti di questo tipo siano condivisi e quindi dichiarati di pubblico interesse da parte delle autorità di bacino competenti, le varie attività hanno procedure autorizzative diverse, per cui l'assenso della sola Autorità di bacino non garantisce nulla rispetto al fatto che l'intero progetto abbia un percorso autorizzativo positivo. Ma non si può chiedere a un
privato di metterci i soldi «e poi si vede»: o si approva tutti insieme un progetto o non si approva.
Ciò è possibile solo con un «distretto idrografico forte», cioè in gran grado di mettere attorno a un tavolo i vari soggetti
territoriali, che non vanno espropriati delle loro competenze, ma - come si fa in alcuni casi, quando la competenza è nazionale con la conferenza di sevizi - fatti dialogare per arrivare, in tempi non biblici, a una decisione.
Sul territorio manca questa funzione perché, anche affidandola alla regione, abbiamo avuto ampia dimostrazione che non funziona. Lo stesso vale per il sistema dei commissari straordinari. Quindi, il mio obiettivo è predisporre un decreto legislativo attuativo di una delega legislativa che ancora non ho, ma spero di avere dal Parlamento, su questo tema dell'istituzione dei distretti idrografici. Infatti, se si facesse un iter legislativo istituendo distretti idrografici «forti», che abbiano il potere di ricevere soldi dallo Stato per attuare alcuni interventi, questi potrebbero, trattandosi di interventi di dimensione economica colossale, che talvolta dovranno riguardare un percorso più che pluriennale, acquisire tutte le altre strumentazioni che coinvolgano l'utilizzo di risorse private, anche perché esse sono le prime che garantiscono che non si faccia solamente l'intervento infrastrutturale, ma ci sia un presidio territoriale
permanente di gestione di questi lavori. Invece, se, come troppo spesso è successo soprattutto nel Meridione, si fa un intervento infrastrutturale anche importante, ma poi viene abbandonato, dopo qualche anno siamo esattamente al punto di partenza.
Nel frattempo, è vero che dobbiamo cercare di predisporre tutte le risorse possibili, ma occorre anche affrontare alla radice la questione della governance, che è il problema principale in questo settore. Su questo, l'impegno del Governo è massimo. Come sapete, gli emendamenti riguardanti la delega legislativa per il recepimento delle direttive comunitarie in materia già sono in Parlamento, per cui spero che si sblocchino. Se riusciremo a far questo, potremmo dire di aver lasciato un segno positivo anche per il futuro.
FABRIZIO BARCA, Ministro per la coesione territoriale. L'onorevole Mariani sollevava anche un'altra questione, su cui mi ero espresso condividendo l'idea dell'importanza di questa operazione e di tutte quelle relative allo sblocco del Fondo per lo sviluppo e la coesione anche per la crescita. L'onorevole sollevava anche un problema rispetto alla lista degli interventi per il Centro-Nord. Su questo, prendo un impegno sui tempi che abbiamo fissato, che mi auguro di mantenere. Ho, quindi, ben annotato questo punto. Per quanto riguarda l'estendibilità dei sopralluoghi a quelle aree, questo è legato alle risorse umane disponibili. Non ne approfitto per chiedere più risorse umane, ma per caldeggiare l'appoggio, anche da parte di questa Commissione, rispetto a un emendamento che il Governo intende presentare al decreto sviluppo, concernente la trasformazione del Dipartimento di cui mi avvalgo
nelle mie funzioni in Agenzia.
Questo è un passaggio fondamentale che non riguarda la mia attività - per me, è una fonte di enorme disturbo avere, nei prossimi quattro mesi, la trasformazione del Dipartimento in Agenzia - quanto quelle del prossimo Governo e del prossimo Parlamento. Si tratta, infatti, di uno strumento essenziale perché la programmazione non si fa più con i vecchi strumenti di carta, ma per piani di azione e per oggetti. L'amministrazione che conosciamo ha un livello di organizzazione per uffici che non risponde all'indirizzo alle azioni. Io ho diretto un'amministrazione e so che quando si deve piegare la struttura di un'amministrazione a una logica di realizzazione di azioni, le si fa violenza. Le agenzie, invece, sono state inventate per questo scopo.
Peraltro, esiste un ampio consenso di massima di tutte le forze che supportano il Governo e anche delle parti economiche e sociali a questo fine. Come sapete, il provvedimento è stato escluso dal disegno di legge di stabilità perché l'effetto finanziario rispetto a quello procedurale non era considerato particolarmente significativo. Comunque, vi segnalo questo tema.
L'onorevole Marantelli ha proposto due idee, sulle cui specificità non sono in grado di rispondere. Tuttavia, raccolgo le sue osservazioni in una risposta complessiva,
anche rispetto ai punti sollevati dagli onorevoli Braga, Lanzarin e Realacci, procedendo su due punti. Il primo punto riguarda le regioni del Centro-Nord, dopodiché vengo alla questione più generale dell'intervento sulle aree interne.
Innanzitutto, confermo quanto ho precisato prima, cioè che queste regioni non hanno potuto essere beneficiarie di interventi perché, per certi versi, erano state più efficienti, avendo integralmente utilizzato i fondi e avendo il Governo precedente approvato i programmi operativi del Fondo sviluppo, mentre quelle del Sud erano rimaste bloccate per diverse ragioni, quindi avevano una disponibilità finanziaria da usare.
Comunque, a parte questo, c'è un profilo generale italiano che riguarda anche le regioni del Centro-Nord. E, visto che non si fanno le cose solo dall'alto, ma anche dal basso, in questo momento stiamo facendo l'esperienza di lavorare con alcune regioni all'avanguardia, come la Toscana e il Piemonte, con particolare riferimento all'area della Val di Susa, grazie ai fondi legati alla cosiddetta «compensazione» per gli interventi infrastrutturali, che, invece, di tramutare in una compensazione di vecchio tipo, sta dando vita a un disegno diverso, in collaborazione con la regione Piemonte e con il commissario Mario Virano. Vi sono altre cinque o sei operazioni simili che stiamo conducendo in altre regioni.
Siccome non parlerei di cose che non fossero nella mia responsabilità, mi sto riferendo esclusivamente alla programmazione comunitaria per il Centro-Nord e per il Sud 2014-2020, per la quale gli stanziamenti potrebbero essere decisi entro tre settimane dal prossimo Consiglio europeo. Il Consiglio europeo potrebbe, però, anche chiudere senza un accordo, nel qual caso i tempi verrebbero spostati di altri cinque mesi, cosa che sarebbe una iattura. A ogni modo, le regioni del Centro-Nord avranno un lieve aumento pro capite rispetto a prima; il Sud ha un trattamento simile al precedente, che riteniamo inadeguato, per cui stiamo chiedendo un aumento. Complessivamente, l'Italia avrà ancora un beneficio molto significativo sia nel Centro-Nord, sia nel Centro, sia nel Sud.
Per essere precisi, se qualcuno mi chiedesse: possono questioni e interventi delicati come la manutenzione del territorio, la prevenzione e la mitigazione del rischio idrogeologico nelle aree interne e i progetti di valorizzazione di queste aree - che investono il ridisegno della dislocazione dei centri civici, per esempio, della salute e della scuola, o anche investimenti significativi di manutenzione nei borghi -, trovare piena soluzione attraverso l'utilizzo dei fondi comunitari? La risposta sarebbe no. In questo modo, commetteremmo infatti un errore che abbiamo già commesso in passato, mentre queste questioni e interventi devono investire l'azione ordinaria dello Stato. Non ricordo chi di voi ha usato l'aggettivo «ordinarissima», che condivido molto perché la prevenzione del dissesto idrogeologico è, appunto, «ordinarissima».
A tale riguardo nella nota che mi permetterò di inviare a questa Commissione, che si propone come un personale contributo per l'avvio di una discussione, troverete menzionati quattro o cinque provvedimenti di natura ordinaria. Faccio anche riferimento a una proposta della Banca d'Italia, sulla quale richiamo la vostra attenzione perché presso questa istituzione c'è una forte riflessione su queste tematiche, che riguarda l'ipotesi, per altri versi controversa, dell'introduzione di un'assicurazione obbligatoria. La proposta pone dei problemi, ma, specialmente in questa fase economica e finanziaria, potrebbe aprire una strada interessante. Ci sono altre due o tre ipotesi che provengono da Banca d'Italia che troverete nel mio documento.
Chiarito, quindi, che c'è un problema sia di interventi regolativi ordinari sia di risorse ordinarie, vorrei dire la politica comunitaria può essere interessante nel suo spirito originario di politica che va più avanti, che è più sbarazzina, meno legata e più libera perché può rompere gli schemi e i confini amministrativi (per esempio attraverso alleanze tra comuni);
perché è aggiuntiva, quindi consente di rischiare e di realizzare prototipi; perché è settennale nella programmazione; inoltre, riprendendo un piccolo dettaglio che ho citato poc'anzi, perché nessuno ha mai tolto un euro di fondi comunitari, quindi abbiamo la certezza che, se programmiamo gli interventi, non salteranno come capita per altre risorse; infine, perché il Sud e il Centro-Nord hanno interessi comuni per quanto riguarda le aree interne, che sono forse più marcati degli interessi che riguardano le città, cioè le aree pianeggianti e cittadine dove le differenze fra le diverse aree del Paese sono più marcate.
Esistono, dunque, degli interessi e dei prototipi comuni. Infatti, facendo una ricognizione di quello che succede (ma è inutile che lo evidenzi, visto che alcuni di voi lo sanno meglio di me), vi sono esperienze di turismo in agricoltura e nei borghi, che sono le due più facilmente reperibili, in cui ci sono somiglianze fra Sud e Centro-Nord molto più forti rispetto a molti altri campi dell'attività industriale o della qualità dei servizi pubblici. Questo ci dice che le popolazioni delle aree interne - questa era, del resto, per quanto riguarda il Sud, una vecchia idea di Manlio Rossi Doria - sono rimaste mediamente più estranee di altre ad alcuni meccanismi di rottura, di degenerazione e di collusione con uno Stato percepito come produttore di beni particolari e non collettivi.
Detto ciò, credo esistano le condizioni per un ragionamento che possa provare a orientare una parte dei fondi comunitari delle due aree del Paese a un progetto integrato che preveda, tra l'altro, anche una manutenzione ordinaria di questi territori. Non si può, però, pensare che gli importi finanziari necessari siano esauribili, ma occorre immaginare che siano di avvio ai meccanismi di produzione.
PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Barca e il sottosegretario Fanelli del contributo e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15,20.
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