Sulla pubblicità dei lavori:
Gibelli Andrea, Presidente ... 3
Audizione del presidente dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, in relazione al sistema delle incentivazioni delle fonti rinnovabili ed assimilate (c.d. «CIP6»), operante in Italia (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Gibelli Andrea, Presidente ... 3 10 15 22
Benamati Gianluca (PD) ... 14
Fanelli Tullio, Commissario dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas ... 16
Formisano Anna Teresa (UdC) ... 13 14
Ortis Alessandro, Presidente dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas ... 3 14 19
Quartiani Erminio Angelo (PD) ... 10
Torazzi Alberto (LNP) ... 12
Vignali Raffaello (PdL) ... 12
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.
Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 14,15.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del presidente dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, in relazione al sistema delle incentivazioni delle fonti rinnovabili ed assimilate (c.d. «CIP6»), operante in Italia.
Do la parola al presidente Alessandro Ortis, ringraziandolo, insieme all'ampia delegazione che lo accompagna, per aver accolto il nostro invito su questo delicatissimo tema.
ALESSANDRO ORTIS, Presidente dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas. Signor presidente, ringrazio lei e tutti gli onorevoli componenti della Commissione per averci voluto ascoltare su un tema particolarmente importante, delicato e di attualità nonché per l'opportunità di sviluppare eventualmente alcune tematiche a seguire. Mi accompagnano l'ingegner Fanelli, commissario del collegio, l'avvocato Crea, segretario generale, il dottor Borriello, responsabile dei rapporti istituzionali e il dottor Malaman, direttore generale.
Cercherò di affrontare rapidamente, nella presente introduzione, sette diversi argomenti distinti in altrettanti paragrafi. A questo proposito, credo sia stato già distribuito il documento che abbiamo preparato come memoria per questa audizione e, in più, mi pare che sia in distribuzione una copia dello stesso documento in cui sono evidenziati in giallo gli argomenti che esporrò, così da facilitarne l'individuazione nel testo.
Abbiamo, in tal modo, soltanto inteso evidenziare alcune parti, anche ai fini di un maggiore contenimento dei tempi della relazione, ma credo che anche il resto del documento possa offrire i necessari approfondimenti e chiarimenti, utili per la trattazione del tema in oggetto.
I sette paragrafi - a parte l'introduzione - riguardano: il CIP6 (che mi pare un argomento particolarmente importante); gli altri regimi di sostegno alle energie rinnovabili; gli obiettivi europei; come si finanziano le fonti rinnovabili e inoltre, prima delle conclusioni, darò uno sguardo ai provvedimenti che l'autorità ha elaborato ultimamente, a sostegno dello sviluppo delle fonti di energia rinnovabili.
Possiamo innanzitutto ricordare che in Italia e in Europa, a seguito dei processi di liberalizzazione del mercato dell'energia elettrica, sono stati introdotti nuovi meccanismi di incentivazione delle fonti rinnovabili, alcuni dei quali si sono anche sovrapposti ai meccanismi preesistenti.
Tali regimi si possono raggruppare in due categorie principali: regimi di mercato e regimi amministrati.
In Italia convivono, di fatto, quasi tutti i meccanismi di incentivazione di entrambe le categorie. In particolare abbiamo: le tariffe incentivate CIP6; il sistema dei certificati bianchi; il sistema feed-in tariffs per impianti di potenza inferiore a un megawatt; i sistemi «conto energia» per piccoli impianti (in particolare, fotovoltaici) e poi i contributi a fondo perduto - soprattutto a livello locale - per alcune fonti rinnovabili.
Ciascuno dei numerosi strumenti per la promozione delle fonti rinnovabili posti in atto a livello internazionale ha evidenziato, accanto a innegabili risultati positivi, anche alcuni aspetti critici, dal punto di vista dell'efficienza e della funzionalità.
La tipologia di intervento più diffusa, fino al momento della liberalizzazione del mercato, è stata quella dei cosiddetti «contributi a fondo perduto», che è stata applicata in quasi tutti i Paesi europei e ma anche in Paesi extraeuropei.
Le principali motivazioni di parziale insuccesso sono state le seguenti: il carattere di transitorietà della disponibilità dei fondi, sempre legati alle disponibilità del bilancio pubblico; la complessità della gestione amministrativa per questi contributi e infine l'incertezza sulla funzionalità degli impianti finanziati che, in molti casi, sono stati anche abbandonati.
La seconda principale tipologia di intervento prima della liberalizzazione (tuttora presente in vari Paesi) è stata quella della fissazione, tramite strumenti normativi, dei prezzi di cessione dell'energia alla rete elettrica.
Uno dei casi di maggior rilievo è stato proprio quello italiano, con il cosiddetto provvedimento CIP 6/92 di determinazione dei prezzi di cessione all'ENEL dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili e assimilate.
Il CIP 6/92 è un provvedimento attuativo della legge 9 gennaio 1991 n. 9, che obbligava l'ENEL a ritirare l'energia elettrica prodotta dai privati con fonti rinnovabili o assimilate a un prezzo costituito dalla somma di quattro componenti: il costo evitato dell'impianto, il costo evitato di esercizio, un ulteriore componente incentivante e infine il costo evitato del combustibile, che in gergo chiamiamo «CEC».
Il provvedimento CIP 6/92 ha indotto un consistente volume di investimenti, peraltro urgenti in quel particolare periodo a causa della carenza di potenza disponibile.
Tuttavia, anche tale strumento normativo è stato tutt'altro che scevro da critiche e difficoltà operative, derivanti essenzialmente: dall'estensione delle incentivazioni ai cosiddetti impianti assimilati; dalla difficoltà di definire a priori un prezzo di cessione giustamente remunerativo, tale da stimolare gli operatori senza consentire eccessive rendite; dalla difficoltà di individuare la quota del prezzo di cessione da porre a carico dell'ENEL, in quanto costo evitato, rispetto alla quota da porre direttamente a carico degli utenti (cioè il sovrapprezzo delle fonti rinnovabili); la sovrapposizione con altre incentivazioni e infine la mancanza di un tetto quantitativo programmatico.
Questi problemi sono stati resi ancora più critici della «legificazione» dei meccanismi, delle tariffe e delle convenzioni di cessione, operata con la legge 14 novembre 1995 n. 481, che ha implicitamente costituito un diritto di indennizzo in caso di modifiche sostanziali al regime di incentivazione degli impianti in esercizio.
Tutto ciò ha determinato, dopo quattro anni di funzionamento del meccanismo, la necessità, attraverso il decreto del 24 gennaio 1997 del Ministro dell'industria, di non estendere l'applicazione del provvedimento ad ulteriori impianti.
Tuttavia, gli effetti economici del provvedimento sussistono tuttora.
Oggi, l'obbligo di ritiro è posto in capo al GSE (Gestore del sistema elettrico), che rivende poi al mercato l'energia elettrica ritirata, in base a un prezzo fissato di anno in anno con decreto ministeriale.
Tale meccanismo, nel 2007, ha generato un onere di ritiro pari a 5,22 miliardi di euro, a fronte di un ricavo pari a 2,82
miliardi di euro. Conseguentemente, il costo netto del sistema per i consumatori ammonta a 2,4 miliardi di euro. Il 18 per cento dell'energia ritirata è stata prodotta da fonti rinnovabili e il restante 82 per cento da fonti assimilate. In termini di incentivi riconosciuti, tuttavia, poiché alle vere fonti rinnovabili è riconosciuta una remunerazione maggiore, queste ultime incidono per il 41 per cento, contro il 59 per cento riferibile alle cosiddette assimilate.
Può essere interessante sapere che, per il 2008, tale costo netto per i consumatori è stimabile allo stesso livello del 2007, quindi intorno a 2,4 miliardi di euro.
Va rilevato che i costi a carico dei clienti del sistema elettrico sono stati sensibilmente ridotti, per effetto della revisione, operata dall'Autorità, dei criteri di aggiornamento della componente CEC (costo evitato di combustibile) del prezzo di ritiro dell'energia.
Ci siamo inseriti tempestivamente nell'unica voce non «bloccata» dalla legge. Infatti, fino al dicembre 2006 era previsto che l'aggiornamento del CEC si effettuasse facendo riferimento all'aggiornamento del prezzo di cessione del gas naturale previsto nel contratto SNAM-Confindustria. Avendo tale contratto validità fino al 31 dicembre 2006 - ecco dove ci siamo inseriti - siamo intervenuti al fine di fornire un nuovo riferimento per l'aggiornamento del CEC, introducendo una nuova modalità di calcolo più aderente ai costi reali e in grado, quindi, di garantire una maggiore equità del sistema nonché di evitare il cristallizzarsi di rendite di posizione indebite e del tutto ingiustificate, che sarebbero andate ovviamente a carico e danno degli utenti.
L'intervento dell'Autorità, nonostante il duro contenzioso attivato dagli operatori, ha ridotto considerevolmente gli oneri che ricadono ogni anno sui consumatori. Per il solo 2007, gli effetti sono stati pari a 635 milioni di euro e il nostro provvedimento porterà ulteriori risparmi per tutta la durata dell'incentivazione. L'onere complessivo, per l'intero sistema CIP6 e fino al 2020, si è così ridotto di circa 5 miliardi di euro.
Abbiamo inoltre effettuato verifiche e sopralluoghi, sugli impianti CIP6 e su quelli di cogenerazione, che hanno portato a recuperi di incentivi indebitamente percepiti per circa 150 milioni di euro.
Gli oneri diretti CIP6, citati in precedenza, vengono incrementati anche dagli ulteriori oneri derivanti dagli effetti del Titolo II del provvedimento CIP 6/92, secondo cui i prezzi di cessione dell'energia elettrica vengono aggiornati a seguito di modifiche normative che comportino maggiori costi o, più esattamente, costi aggiuntivi.
Possiamo citare l'obbligo di acquisto dei certificati verdi, con oneri stimabili in circa 20-30 milioni di euro l'anno nonché i costi aggiuntivi derivanti dall'approvvigionamento di quote di emissione di gas a effetto serra, con oneri pari a circa 100 milioni di euro l'anno, per l'intero periodo 2005-2007 e stimabili intorno a 300-400 milioni di euro l'anno, per il periodo 2008-2012.
Nel complesso, gli oneri legati al provvedimento CIP6 per gli anni a venire, intesi come costi netti a carico dei clienti del settore elettrico e considerando solo gli impianti attualmente oggetto dell'incentivazione (destinata ad esaurirsi progressivamente nei prossimi dodici anni), sono stimabili intorno ai 16 miliardi di euro.
Tuttavia, gli oneri potrebbero essere più elevati, per effetto della possibile entrata in esercizio degli impianti alimentati da rifiuti ammessi a godere dell'incentivazione del CIP6. A titolo di riferimento, 100 megawatt di potenza da rifiuti, incentivati tramite il CIP6, comportano un onere netto aggiuntivo sui consumatori pari ad oltre cento milioni di euro all'anno. Tale onere è sostanzialmente dimezzato, nel caso venga ammessa all'incentivazione solo la parte biodegradabile dei rifiuti.
In questo contesto, appare degno di attenzione l'articolo 16-quater, comma 9, del disegno di legge S. n. 1195, attualmente all'esame del Senato, che trasferisce, dall'Autorità per l'energia elettrica e il
gas al Ministero dello sviluppo economico, il potere di intervenire sul valore del costo evitato di combustibile (il cosiddetto CEC, di cui avevo già parlato), senza tuttavia innovare - questo è il punto - rispetto a quanto previsto dall'originale legge n. 481 del 1995 che, come accennato, prevede la sostanziale intangibilità del provvedimento CIP6.
In merito, è certamente condivisibile la finalità di «determinare» - cito il testo del documento all'esame del Senato - «una riduzione dell'ammontare della relativa voce tariffaria a carico degli utenti», ma non è chiaro quali nuovi criteri il Ministero potrà applicare nella propria determinazione, tenendo conto dell'esplicito riferimento contenuto nel medesimo disegno di legge alla «salvaguardia» - cito nuovamente - «della redditività degli investimenti effettuati dalle imprese».
Il rischio è che la norma non consenta ulteriori benefici per i consumatori e possa, invece, indurre gli operatori a riaprire il lungo contenzioso che ha portato a un giudicato favorevole all'Autorità: proprio quello citato, riguardante la riduzione del CEC.
Oltre al CIP6, nel contesto ora liberalizzato, esistono regimi di sostegno ulteriori.
Innanzitutto i certificati verdi, ricordando che la liberalizzazione del mercato elettrico in ambito europeo nonché lo sviluppo di una politica comune europea a livello energetico hanno portato all'introduzione di nuovi meccanismi, che tentano di sfruttare le regole di mercato così da rendere più efficiente l'allocazione delle incentivazioni per le fonti rinnovabili.
Tali nuovi meccanismi, in Italia, sono stati introdotti dal decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 di attuazione della direttiva comunitaria 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica.
La logica del sistema è quella di creare un vero e proprio mercato parallelo a quello della produzione da fonti convenzionali, cioè un mercato delle fonti rinnovabili in grado di assicurare, grazie proprio alle regole di mercato, la minimizzazione dell'extra costo che viene fatto gravare sugli utenti per il raggiungimento del vincolo-obiettivo.
Tra le principali critiche che sono state mosse al sistema definito dal decreto legislativo n.79 del 1999, emergono quelle secondo le quali si instaura una competizione all'interno delle stesse fonti rinnovabili che, se esasperata, poteva veder soccombere alcune di esse.
In realtà, lo stesso decreto legislativo affermava la possibilità, per le regioni, di sostenere alcune tipologie di fonti rinnovabili con ulteriori modalità di incentivazione e sviluppo, aggiuntive al «sostegno di base».
Tale previsione normativa è stata tuttavia sostanzialmente disapplicata e ciò ha portato alla rivisitazione dei meccanismi di incentivazione operata con il decreto legislativo n. 387 del 2003 e con la finanziaria 2008.
Il decreto legislativo citato ha definito criteri specifici per l'incentivazione della fonte solare e ha previsto, per alcune tipologie di impianti, un regime di ritiro amministrato, il cosiddetto «ritiro dedicato», a prezzi definiti dall'Autorità.
La legge finanziaria per il 2008 ha differenziato, attraverso appositi coefficienti, il numero di certificati corrisposti in funzione della fonte primaria utilizzata.
Inoltre, il nuovo sistema prevede che il certificato verde sia attribuito per quindici anni, anziché otto, con un prezzo di riferimento specificatamente determinato.
La stima del costo dei certificati verdi sui clienti finali può risultare pari a circa 306 milioni di euro per il 2007 e circa 400 milioni di euro per il 2008.
Per quanto riguarda gli oneri certificati verdi negli anni a venire, occorre tener conto che la finanziaria 2008 ha fissato a 0,75 punti percentuali l'aumento annuo per il periodo 2007-2012 della domanda obbligatoria dei certificati verdi per i produttori e importatori di energia elettrica da fonti non rinnovabili.
Il conseguente costo stimato a carico dei clienti finali è atteso in aumento fino a superare, nel 2012, un miliardo di euro annuo.
A ciò, occorre aggiungere l'effetto dell'obbligo di acquisto previsto dalla finanziaria 2008, in capo al Gestore del sistema elettrico, dei certificati verdi emessi da tre anni e ancora invenduti. Il decreto ministeriale per l'attuazione della finanziaria 2008, infatti, ha aggiunto una disposizione transitoria, secondo cui il GSE nel periodo 2009-2011 deve ritirare i certificati verdi invenduti riferiti agli anni fino al 2010.
Per l'anno 2009 tale disposizione comporta un maggior costo sostenuto dal GSE, quindi posto a carico dei clienti finali, pari a circa 650 milioni di euro.
Passo ora ad illustrare il regime della tariffa fissa omnicomprensiva introdotto dalla finanziaria del 2008 per gli impianti di potenza nominale minore di un megawatt e, quindi, la possibilità di optare per un meccanismo di incentivazione a tariffa fissa. Tale tariffa ha la durata di quindici anni dall'entrata in esercizio dell'impianto ed è differenziata per fonte. L'onere dell'incentivazione è posto interamente a carico della componente A3 della bolletta elettrica ed è atteso pari a 20-30 milioni di euro per l'anno 2008. Tale onere è previsto in forte crescita negli anni successivi.
Abbiamo poi il regime per il fotovoltaico, l'incentivazione del quale, in Italia, è oggi una delle più profittevoli in generale. Essa è regolata dal decreto ministeriale del 19 febbraio 2007 che ha modificato la disciplina di incentivazione precedente. L'onere per i consumatori è stato pari, nel 2008, a circa 110 milioni di euro ed è stimato, a regime, in circa un miliardo di euro all'anno, per un totale, quindi, di 20 miliardi di euro in vent'anni. Ciò, a fronte di una produzione attesa minore dello 0,5 per cento della domanda nazionale.
Quanto al solare termodinamico, le prime valutazioni del rendimento atteso da questi impianti, portano a valutare l'onere per i clienti finali, nell'ipotesi di pieno sfruttamento del programma di incentivazione, pari a 110 milioni di euro all'anno, per un totale di 2,8 miliardi di euro in 25 anni.
Passo ora a trattare brevemente gli obiettivi europei.
Gli strumenti di incentivazione attualmente esistenti per le rinnovabili devono essere inquadrati anche nell'ottica dell'eventuale raggiungimento degli obiettivi europei attribuiti ai vari Stati membri, da qui al 2020. Una stima dei costi che i clienti finali del sistema elettrico dovranno sostenere, per raggiungere l'obiettivo in materia di fonti rinnovabili, richiede la formulazione di numerose ipotesi. Ebbene, nell'ipotesi che l'Italia raggiunga nel 2020 l'obiettivo del 17 per cento; che per il raggiungimento degli obiettivi sia necessario sfruttare tutto il potenziale massimo teorico riportato dal Governo italiano nel position paper del settembre 2007; che l'incremento della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili negli anni avvenga linearmente e che vengano estesi gli attuali strumenti di incentivazione mantenendo le medesime caratteristiche, ma con livelli di incentivo decrescenti linearmente, quindi sino a ridursi al 50 per cento per gli impianti che
entrano in esercizio nel 2020, si stima che il costo totale per l'incentivazione delle fonti rinnovabili (che nel 2008 si è attestato intorno a 1,6 miliardi di euro), escludendo l'incentivo alle fonti assimilate di cui abbiamo già parlato, aumenterà a circa 3 miliardi di euro all'anno nel 2010, a più di 5 miliardi di euro all'anno anno nel 2015 e a circa 7 miliardi di euro all'anno nel 2020. Di questi, oltre 3,5 miliardi di euro serviranno per l'incentivazione di 10 terawattora (TWh) di energia elettrica da impianti fotovoltaici.
Diamo ora uno sguardo al finanziamento delle rinnovabili.
Il finanziamento delle politiche nazionali di sostegno alle fonti rinnovabili, che abbiamo ricordato, non ricade sulla generalità dei contribuenti attraverso imposte dedicate, ma, come si sa, sullo specifico settore dei consumatori elettrici. Nel 2008 la componente tariffaria A3 della bolletta elettrica (quella, appunto, destinata a remunerare lo sviluppo delle fonti rinnovabili) ha gravato sui consumatori per circa il 6 per cento della loro spesa complessiva, al netto di tasse. Questo meccanismo di tipo parafiscale, peraltro ulteriormente
gravato dall'Iva in bolletta, soprattutto ove i costi diventino ancora più rilevanti, presenta problemi di equità redistributiva.
Infatti, i consumi di energia elettrica non sono proporzionali ai redditi, sia con riferimento alle persone fisiche che alle imprese. Ne deriva che una famiglia a basso reddito e alti consumi, ad esempio una famiglia numerosa, è chiamata a contribuire alla copertura degli oneri dell'incentivazione delle fonti rinnovabili, in misura superiore ad un single benestante.
Allo stesso modo, un'impresa ad alti consumi elettrici e modesti utili contribuisce più di un'impresa con utili elevati e bassi consumi.
Appare quindi opportuna una riflessione in merito alla possibilità di trasferire, in tutto o in parte, tali oneri a carico della fiscalità generale e ciò, a maggior ragione, ove il peso delle incentivazioni dovesse crescere, come stimato nelle considerazioni precedenti, fino a quote rilevanti, oltre il 20 per cento della bolletta elettrica.
In questo contesto, vediamo quali sono stati i provvedimenti dell'Autorità, a seguito anche dei cambiamenti introdotti degli ultimi anni dalle normative europee nazionali.
Abbiamo avviato un processo di riforma e di aggiornamento del quadro regolatorio riguardante le fonti rinnovabili, nell'ovvio limite delle nostre competenze, attraverso un confronto sempre ricco e continuo anche con gli operatori del settore, tramite l'emanazione di provvedimenti riferibili a sette principali aspetti di sostegno delle fonti rinnovabili.
Il primo riguarda la connessione alla rete degli impianti: abbiamo emanato un testo integrato per dare certezze sui tempi di connessione e semplificare il calcolo dei corrispettivi di connessione.
Abbiamo pure introdotto la previsione di nuovi indennizzi automatici verso il produttore, in caso di ritardi da parte dei distributori nonché la possibilità di intervento diretto dell'Autorità nel processo di definizione della connessione, in caso di inerzia dei gestori.
Riassumendo: tempi certi, calcoli certi ed eventuali indennizzi automatici per le inadempienze.
Circa i regimi di ritiro dell'energia elettrica, l'Autorità ha da sempre provveduto ad assicurare la priorità di dispacciamento.
A ciò va aggiunto il cosiddetto «ritiro dedicato»; in particolare, a partire da gennaio 2008, il ritiro non è più gestito a livello locale in modo differenziato dai diversi distributori, bensì da un gestore di servizi elettrici che riveste il ruolo di intermediatore commerciale tra produttori e sistema elettrico, con regole trasparenti e - punto importante - uniformi su tutto il territorio nazionale. In tal modo, l'iter per la cessione dell'energia elettrica viene notevolmente semplificato.
Le nuove regole non solo semplificano le procedure, ma consentono anche una migliore programmazione della produzione nonché più efficaci meccanismi di controllo.
Abbiamo poi introdotto il cosiddetto «scambio sul posto», attraverso un meccanismo che consente di operare una compensazione economica - non più fisica, come in precedenza - tra il valore dell'energia elettrica immessa e il valore dell'energia elettrica prelevata.
In pratica, è come se la rete venisse utilizzata per immagazzinare l'energia immessa quando non ci sono necessità di consumo, prelevandola, invece, quando serve, tenendo conto dell'effettivo valore dell'energia elettrica nel tempo.
Una riflessione a margine: qui si capisce bene l'importanza delle reti elettriche e, coerentemente a ciò, come Autorità, abbiamo attivato un meccanismo tariffario che incentiva e premia i nuovi investimenti per lo sviluppo delle reti. In fondo, dobbiamo semplicemente constatare che lo sviluppo delle sorgenti rinnovabili non può prescindere dal vettore elettrico, quindi non può prescindere dalle reti.
Tra gli ostacoli che si frappongono, penso in particolare a quelli legati alle linee di terra, o anche a sistemi di linea a livello di distribuzione che si oppongono allo sviluppo - oggi peraltro possibile -
nel rispetto e nella tutela dell'ambiente. Penso allo sviluppo di reti che recano molti danni, rendono più difficile il sostegno alle rinnovabili e mortificano il risparmio. Si sa bene che i sistemi non ottimizzati di rete producono più perdite, quindi vanno in un senso contrario al risparmio energetico.
Ci siamo poi occupati di facilitare lo sviluppo della generazione distribuita e della piccola generazione, definendo anche una nuova regolamentazione tariffaria volta a promuovere gli investimenti in sistemi di automazione, promozione e controllo delle reti attive, così da consentire un più ampio sviluppo proprio della generazione distribuita e della piccola generazione.
In altri termini, stiamo sostenendo (quando dico «stiamo» penso anche a tutti i nostri concittadini, dal momento che si tratta di meccanismi qualità-tariffe sempre presenti in bolletta) un notevole sforzo per muovere verso le cosiddette smart grid, in modo da dare spazio a quella che definiamo smart generation. Con ciò voglio anche ricordare l'impegno per la diffusione dei contatori elettronici, che fanno parte anch'essi di questo sforzo, ricordando che, in fondo, su questo aspetto il nostro Paese è decisamente all'avanguardia a livello mondiale.
L'Autorità ha provveduto anche ad istituire un'anagrafica degli impianti di produzione di energia elettrica e a razionalizzare i flussi informativi tra i vari soggetti operanti nel settore della produzione energetica. Anche la base informatica, quindi, ha il suo ruolo.
Va infine ricordata una serie di attività nel settore della ricerca e sviluppo.
Temi significativi riguardano lo sviluppo delle rinnovabili e delle reti di cui dicevo, finalizzate all'innovazione tecnologica di interesse generale del sistema elettrico, finanziate attraverso un fondo istituito a valere sulla Cassa conguaglio per settore elettrico e alimentato dal gettito relativo alla componente A5 della bolletta elettrica che, attualmente, si aggira attorno ai 60 milioni di euro all'anno.
Le tematiche di ricerca finanziate in questo quadro sono definite da un piano triennale, aggiornato a cura del Comitato di esperti di ricerca di sistema elettrico - questa funzione è attualmente e transitoriamente svolta dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas - e approvato dal Ministero per lo sviluppo economico. Parte delle attività di ricerca finanziate in questo quadro riguardano proprio le fonti rinnovabili, per circa 20 milioni di euro nel piano triennale 2006-2008 e per ulteriori 26 milioni di euro nel piano per il triennio successivo, che è in fase di approvazione presso il Ministero. A ciò si aggiungano 10 milioni di euro per le attività sull'accumulo elettrico o immagazzinamento dell'energia elettrica (lo stoccaggio, in parole più povere): funzione cruciale per ovviare all'intrinseca discontinuità di molte fonti rinnovabili.
Passo direttamente alle conclusioni, rilevando che, in Europa, sono due le motivazioni essenziali che hanno determinato la propensione allo sviluppo delle energie rinnovabili da parte della Commissione e dei Governi.
La prima riguarda i cambiamenti climatici e le connesse politiche europee di contenimento delle emissioni di gas serra.
La seconda, molto attuale e, forse, anche più rilevante, riguarda la sicurezza degli approvvigionamenti energetici e l'esigenza strategica di evitare che la dipendenza dalle importazioni di idrocarburi diventi un vincolo politico permanente.
In questa ottica, le recenti decisioni europee in merito all'obiettivo di copertura del fabbisogno interno di energia attraverso fonti rinnovabili (il noto 20 per cento entro il 2020) vanno considerate come un'accelerazione molto pronunciata di un percorso preesistente.
In tale contesto, l'Italia, oltre a tener conto degli impegni in ambito dell'Unione europea, ha certamente motivazioni aggiuntive per confermare l'orientamento favorevole alle rinnovabili: ricordo la dipendenza dall'importazione degli idrocarburi. Fra queste, certamente due.
In primo luogo la maggiore opportunità di investimento, in termini di potenziale,
su alcune risorse primarie rinnovabili rispetto al resto d'Europa. È certamente il caso del solare, grazie all'insolazione media particolarmente elevata nel sud Italia, ma anche della geotermia. Per l'eolico, le biomasse e l'idroelettrico esistono ancora molti siti che presentano condizioni favorevoli al loro sfruttamento.
In secondo luogo, la possibilità di sviluppare filiere industriali per le fonti rinnovabili. Per alcune di esse, inclusi l'eolico e il fotovoltaico, il contributo dell'industria italiana alla realizzazione è ancora parziale e spesso ridotto alle sole fasi di montaggio e installazione. La presenza sul territorio di una filiera industriale garantirebbe, invece, evidenti vantaggi in termini di occupazione e di valore aggiunto, nonché di formazione permanente relativa alle professionalità necessarie, installatori e manutentori compresi.
Tuttavia, tra gli aspetti da curare con la necessaria attenzione, ricordiamo l'instabilità della normativa. Le fonti rinnovabili in Italia sono state oggetto di interventi normativi molto frequenti e spesso si è trattato di perfezionamenti o miglioramenti della normativa esistente, ma non sono mancati errori. Inoltre, il frammentato sistema autorizzativo locale è spesso burocratizzato. Infatti, a causa dell'inserimento dell'energia tra le materie costituzionalmente concorrenti tra Stato ed enti locali, i procedimenti autorizzativi delle fonti rinnovabili sono gestiti a livello locale, con significative differenze da regione a regione e spesso con ostacoli e/o eccessi burocratici.
Sussiste poi l'eventualità che emergano, nel medio termine, problemi di sostenibilità economica dei livelli di incentivazione. Ricordiamo che, già attualmente, l'incentivazione delle rinnovabili pesa per oltre 3 miliardi di euro all'anno sulle bollette degli italiani, pari circa al 6 per cento della spesa totale di una famiglia tipo, al netto delle imposte. Nel perseguire gli obiettivi fissati dall'Europa, tali oneri potrebbero facilmente raddoppiare o triplicare, il che potrebbe generare una qualche instabilità dei modelli e dei livelli di incentivazione nel medio termine.
Infine abbiamo gli aspetti, di cui ho già accennato, di non equità redistributiva connessi all'attuale meccanismo di tipo parafiscale, che fa gravare gli oneri delle incentivazioni per le rinnovabili, peraltro maggiorati in bolletta dall'IVA, sui consumi di energia elettrica.
Come ho già ricordato, una famiglia numerosa, con ovvi maggiori consumi, è chiamata così a contribuire al sostegno delle rinnovabili più di un single benestante che, mediamente, meno consuma. Grazie dell'attenzione.
PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente per l'ampia e dettagliata relazione.
Do ora la parola ai colleghi che intendano svolgere osservazioni o formulare quesiti.
ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Mi pare giusto partire dall'ultima affermazione del presidente Ortis, che ringrazio per la relazione, molto precisa e dettagliata, che fornisce numerosi spunti a chi voglia trarne elementi di miglioramento legislativo e attuativo di norme già esistenti.
Il riferimento di cui parlo è quello relativo all'ingiustizia che, da qui al 2020, si potrebbe venire a determinare in relazione al raggiungimento di un obiettivo di interesse generale per il Paese e per l'Europa, cioè l'utilizzo di fonti rinnovabili (che, ovviamente, debbono essere incentivate in quanto non hanno sufficiente capacità di penetrazione nel mercato) senza gravarne il costo sulla fiscalità generale. Peraltro, tramite una serie di risparmi o una riduzione degli sprechi, può anche essere che, a invarianza di pressione fiscale, si possa ottenere un beneficio incentivante delle rinnovabili con un'iniziativa che faccia ricadere proprio sulla fiscalità generale, anziché sulle famiglie e sulle imprese, il costo dell'incentivazione.
Il presidente ha evidenziato due esempi calzanti: la famiglia a basso reddito e con consumo elevato, magari in relazione ai numerosi figli e familiari a carico, paga di più di un single benestante; il maggiore costo viene a ricadere su un'industria
energivora e a basso utile, rispetto a un' attività economica e produttiva che ottiene profitti e utili rilevanti e che verrebbe a pagare meno.
Svolgo un'ulteriore considerazione, riferita ad alcune aree territoriali del Paese: le zone montane che sono quindi le alpi al nord, gli Appennini al centro-sud e le montagne insulari della Sicilia o del Gennargentu sardo (non faccio, quindi, un ragionamento di segmentazione dell'Italia fra nord, centro e sud). In virtù delle condizioni climatiche particolari, si fa gravare sulle famiglie o sulle attività produttive che operano in quelle realtà territoriali il costo del raggiungimento di obiettivi di interesse generale del Paese, tra l'altro costringendole a una condizione di competitività di mercato molto più difficile rispetto alle imprese che allocano le proprie attività in altre aree del Paese.
Credo che la riflessione sollevata dall'Autorità meriterebbe un'iniziativa di carattere legislativo bipartisan parlamentare, prima ancora che di un'iniziativa del Governo che, spesso, nel dover gestire una situazione molto difficile come quella delle incentivazioni delle rinnovabili, si trova tirato in direzioni contrapposte da interessi di carattere particolare, che sono stati già incardinati in una condizione pregressa, relativa agli anni e ai decenni passati.
Credo che, pertanto, il Parlamento e la Commissione attività produttive potrebbero lavorare in questo senso, cominciando ad attenuare alcuni effetti dei costi rilevanti che gravano sugli utenti. Traggo spunto da una riflessione proveniente dal presidente Ortis; a me sembra che un'iniziativa opportuna sarebbe quella di svincolare dai costi Iva almeno le componenti A3 e A5, quelle che, per così dire, anche quando il regime liberalizzato funzionerà senza le tariffe obbligate, andranno comunque a determinare i costi e i prezzi dell'energia elettrica. Credo che sull'elettricità l'Iva sia al 10 per cento, mentre sul gas è ancora per alcune componenti al 20 per cento. Ma il 10 per cento non è una percentuale trascurabile. Stiamo parlando di un 6 per cento di costi a carico delle famiglie e, quindi, di uno 0,6 per cento di diminuzione dell'aggravio di costo sulle famiglie e sulle imprese.
Pongo una ulteriore domanda. Vorrei chiedere se l'obiettivo del 20 per cento di rinnovabili nel 2020 ricomprenda, nel nostro Paese, anche il «grande idroelettrico» e se si ritenga possibile avviare una seria discussione in proposito, dal momento che nel 2020 gran parte nelle dighe e delle centrali italiane verrà a maturazione e concluderà il proprio ciclo di vita. Chiedo se sia possibile pensare a un repowering da connettere a una ricerca seria che in Italia, oltre a dover essere rilanciata sulle rinnovabili e sul nucleare, secondo me dovrebbe essere da incentivare anche sull'idroelettrico (non solo il «mini idro», ma il «grande idro») su cui noi vantiamo anche un know-how importante a livello europeo e mondiale, certamente da mantenere.
Visto che il «grande idro» con i pompaggi fissa i prezzi dell'energia elettrica e visto che si tratta di una componente non secondaria della produzione italiana che ci consentirebbe, se sviluppato, anche di esportare energia elettrica in altri Paesi europei, penso che la questione dovrebbe essere affrontata con maggiore attenzione da parte nostra. Non ho tutti gli elementi per capire quanto questo elemento possa essere incentivato, non rientrando né negli incentivi CIP6, né, se capisco bene, nell'utilizzo dei certificati verdi (il «grande idro» non fa certificati verdi, il «piccolo idro» forse sì).
Concludo sulla questione delle reti. È del tutto evidente che ancora esistono gestori delle reti e produttori che ancora, nella filiera, sopportano la responsabilità di guidare il mercato nell'utilizzo delle reti, soprattutto quelle di distribuzione e quelle che arrivano all'«ultimo miglio». Mi domando come sia possibile che non si disponga ancora, con precisione, di un piano a livello nazionale che consenta di capire se siamo in grado di rispondere alla rivoluzione elettrica che, nel mondo, prevede una partecipazione attiva dei consumatori, in modo tale che la rete non sia unidirezionale, bensì capace di riconvertire
la sua direzione in funzione della raccolta di produzione e generazione di elettricità la quale, diversamente, va dispersa. Altrimenti dovremmo riconoscere quanta elettricità si produce, effettuare lo scambio in termini economici e non ricorrere mai allo scambio fisico, perché le reti non sono in grado di rispondere alle esigenze di modernizzazione.
Questo è un grande tema. Non so, dal punto di vista quantitativo, quanto risparmio possa determinare, ma sicuramente immetterebbe nelle disponibilità del mercato una enorme potenza disponibile, che oggi non siamo in grado di utilizzare effettivamente.
Infine, chiedo quale possa essere l'effetto dell'intervento operato dalle ultime norme, che ha portato a un superamento della filiera corta in agricoltura. Chiedo se si tratti di un elemento che debba essere valutato positivamente, o negativamente. Non ho personalmente le risultanze e i dati sufficienti per capire se la norma fosse incentivante, se aiutasse gli agricoltori e complessivamente il sistema, se il suo superamento abbia creato o meno difficoltà e intralci nel sistema che rendono più difficile lavorare negli ambiti rurali e agricoli dove la filiera corta aveva cominciato ad operare.
RAFFAELLO VIGNALI. Ringrazio anch'io il presidente Ortis per la relazione dettagliata e ricca di numerosi spunti a noi destinati, non solo di riflessione, ma anche di lavoro. Vorrei svolgere due osservazioni e porre una domanda sulle conclusioni. Non posso, evidentemente, che associarmi a quanto affermato dal collega Quartiani sulla questione delle famiglie. Sono anche contento che il Partito Democratico intraprenda una battaglia per la difesa delle famiglie anche dal punto di vista della pressione fiscale che su di esse grava. Sarebbe davvero il caso di iniziare a considerare che una famiglia con molti consumi non è, per definizione, ricca: magari ha tanti figli e, normalmente, usa molta energia. Lo stesso vale anche per le tasse sui rifiuti.
Ho apprezzato, quindi, l'aver voluto affrontare un problema che oggettivamente esiste: fra l'altro, rischiamo veramente di penalizzare - come lei ha giustamente affermato - chi «produce» quell'elemento fondamentale della ricchezza di questo Paese rappresentato dalle nuove generazioni. Ho apprezzato molto anche la sua osservazione sulla complicazione burocratica e sulla frammentazione del sistema autorizzativo, che determina tempi lunghi e anche costi maggiori per le imprese. Non credo si tratti soltanto di una questione di Titolo V, quindi del fatto che si parli di una materia concorrente tra Stato e regioni; credo che sussista anche un eccesso di normativa e di discrezionalità da parte della pubblica amministrazione, che sicuramente non fa bene.
Questo è uno dei fronti su cui dovremmo operare di più, in questo periodo, anche in considerazione della situazione di difficoltà economica per tutto il Paese. Stamattina, fra l'altro, sono usciti i dati sul calo dei consumi elettrici. Non si tratta di risparmio energetico, bensì, sostanzialmente, tale flessione è dovuta al fatto che in gennaio abbiamo avuto impianti industriali più fermi rispetto al passato. Ciò non è sicuramente di buon auspicio. Ma credo anche che, in un quadro di carenza di risorse, lo Stato, nei suoi vari apparati, potrebbe almeno, eliminare i lacciuoli che frenano chi ha energie e risorse da mettere in campo.
Su questo punto vorrei chiederle, presidente Ortis, quali siano, dal vostro osservatorio, i fronti sui quali appare possibile intervenire con una semplificazione autorizzativa, per renderla meno frammentata e anche più certa nel suo percorso.
ALBERTO TORAZZI. Signor presidente, anch'io devo dire - anche se sono arrivato in leggero ritardo - che ho avuto modo di apprezzare la relazione, anche per la sua facile comprensione. Volevo toccare alcuni punti, premettendo una considerazione tecnica. Sappiamo che il «problema» è l'opportunità rappresentata dell'energia rinnovabile come uno dei business
del futuro. Non ho visto - può darsi mi siano sfuggiti - riferimenti a collaborazioni con università. Ebbene, è chiaro che, per sviluppare in termini efficaci una politica di ricerca, è necessario avere il supporto dell'università, non solo come centri di eccellenza, ma anche prevedendo e sostenendo eventualmente la creazione di corsi di laurea, ad esempio nelle facoltà di ingegneria, finalizzati alla materia delle energie rinnovabili. A questo primo punto si collega la mia domanda, che rappresenta anche un suggerimento nel caso in cui la risposta non fosse positiva.
Il secondo punto riguarda il risparmio energetico. Sempre dal punto di vista della ricerca, è noto che in questi ultimi anni si è verificato un enorme sviluppo dell'utilizzo dell'energia elettrica, che aumenterà sempre di più. La nuova generazione di motori elettrici, in termini di efficienza, mostra alcune applicazioni con magneti permanenti, molto innovative, che riducono moltissimo il consumo di energia. Non so se all'interno dei programmi di finanziamento è previsto un indirizzo in questa direzione, che ritengo molto importante perché sappiamo che il futuro prevederà sempre più macchine con motori ibridi e, addirittura, con motori elettrici.
Sempre riguardo all'aspetto tecnico del trasferimento dell'energia, ho visto che si parla di sviluppare un sistema che permetta di sfruttare al meglio la generazione. Anche qui, sempre in relazione alle possibilità di risparmio, vorrei avere qualche informazione su quali siano, se esistono, i programmi per migliorare il risparmio nel trasferimento dell'energia e, in generale, la ricerca sui conduttori, sui quali sappiamo, ad esempio, che sono stati compiuti passi importanti collegati all'industria dei computer.
Vorrei sapere se nel nostro Paese esiste, come in altri Paesi, un programma di studio per individuare sinergie volte all'utilizzo di questi sistemi sviluppati per i computer, che abbattono «l'effetto joule», cioè il riscaldamento dovuto alla resistenza elettrica.
Mi interessa infine capire un ultimo punto: stiamo investendo molto sull'utilizzo delle energie alternative. Domando se esista, da parte della Autorità, uno studio sull'andamento degli effetti di scala, in rapporto all'aumento del fatturato delle aziende. Non vorrei che una parte consistente di questo finanziamento se ne andasse sotto forma di speculazioni, con effetto esattamente contrario a quello desiderato. In presenza di un effetto di scala, possono scendere i costi, si potrebbe ulteriormente ampliare il mercato e creare un circuito positivo. Se, invece, le aziende non sono sorvegliate e sono lasciate a se stesse, si corre il rischio che intaschino semplicemente tale effetto. Vorrei, pertanto, sapere se sarà condotto uno studio su questo tema.
ANNA TERESA FORMISANO. Signor presidente, mi associo ai ringraziamenti sulla presenza in particolare del presidente Ortis. Mi scuso anche per essere arrivata con qualche minuto di ritardo.
La relazione, a mio avviso, al di là delle parole e delle considerazioni che abbiamo ascoltato, dovrà essere approfondita. Non parliamo di un argomento semplice, bensì di un tema complesso che interessa il «sistema Paese» sotto vari aspetti.
Vorrei porre alcune domande al presidente, soffermandomi su due questioni e partendo dalle considerazioni che mi pare di aver colto negli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto.
Auspico la possibilità di approfittare di questa occasione per far partire, da questa Commissione, una iniziativa per una legge bipartisan che vada nelle direzioni che abbiamo ascoltato.
Siamo tutti d'accordo sull'eliminare l'incongruenza che oggi esiste, per cui un single paga una bolletta, in materia di contributo economico, minore rispetto a una famiglia numerosa.
Siccome credo che su questo punto non sussistano colori o casacche che possano impedire un ragionamento collegiale, partiamo da tale considerazione per lavorare attorno ad un sistema, a mio avviso, leggermente più complesso.
Ho ascoltato il presidente, che parlava di ricerca finanziata. Le cifre non sono piccole, anzi sono consistenti e mi piacerebbe conoscere - credo di non essere la sola - quale sia l'interlocutore dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas rispetto a questo sistema di ricerca (Commenti del deputato Torazzi)... Ti invito, collega, a chiedere al professor Ortis se conosce l'Università di Cassino in materia di energia elettrica! Essendo di Cassino, ogni volta che parlo di ricerca, il collega mi indirizza una battuta scherzosa...
ALESSANDRO ORTIS. Presidente dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas. A onor del vero, se posso interloquire, all'Università di Cassino esiste un'ottima tradizione di ricerca sugli impianti elettrici.
ANNA TERESA FORMISANO. Grazie professore, partecipavo semplicemente allo scherzo, poiché ho un buon udito. Mi piacerebbe, dicevo, conoscere gli interlocutori, al di là, immagino, delle università.
Un altro aspetto che mi ha colpito è che il presidente Ortis sottolineava gli eccessi di burocratizzazione e il tema riguardante le materie concorrenti tra Stato e regione. Ogni regione detiene chiaramente la potestà di legiferare e ciò non sempre coincide con gli interessi del Paese, o con quelli dell'Autorità per l'energia elettrica e per il gas. In definitiva, ciò non sempre coincide con gli interessi del cittadino. Anche in questo caso, credo che dalla Commissione potrebbe partire un segnale chiaro di attenzione a tali problematiche, magari mettendo un po' d'ordine, al di là del Titolo V, e chiarendo quale siano le priorità, oggi, per il Paese: una materia concorrente, oppure il privilegiare un tipo di legislazione che possa aiutare tutti coloro che operano in questo campo.
Concludo con una considerazione, che non ritengo ultima per ordine di importanza: mi ha colpito l'argomento dello sviluppo delle filiere industriali per fonti rinnovabili. Ciò significa che le nostre industrie potrebbero avere fatturati molto, ma molto più alti, se non facessero solo l'assemblaggio, o attività simile. Ebbene, poiché ritengo che, in questo periodo, ipotizzare uno sviluppo di un settore industriale e, quindi, maggiore occupazione, per noi tutti sia un fatto importante, mi sono posta la domanda che ora vi rivolgo e cioè fino a che punto l'industria italiana (in senso lato, ovviamente) sappia di avere queste opportunità. Vi domando in quale misura l'industria italiana potrebbe dare una mano a migliorare il rapporto con chi opera nelle fonti rinnovabili e trasformare tutto ciò in maggiore occupazione, maggiori investimenti e, quindi, maggiore rendimento per il nostro Paese.
GIANLUCA BENAMATI. Anch'io desidero ringraziare il presidente per una relazione che è stata sicuramente molto esaustiva e su cui ci sarebbe materia di riflessione ampia, dati i tanti spunti di analisi. Vorrei porre l'attenzione su tre questioni, alcune delle quali non sono però direttamente collegate alla relazione: colgo comunque l'occasione della presenza del presidente per avere una sua opinione.
La prima questione è relativa alle forme di incentivazione. Vorrei capire meglio il discorso «fra le righe» sotteso alla relazione, giacché, di fronte finalmente ai numeri relativi all'incidenza sul costo al consumatore delle diverse forme di incentivazione, mi pare di avere rilevato, in sintesi, che la formula dei CIP6 (che è prevalente, rispetto alle fonti assimilate) dovrebbe portare, a fine vita, a un ulteriore esborso di 16 miliardi di euro. Ciò senza tener conto dei provvedimenti che il Governo e le Camere hanno recentemente assunto.
Per quanto riguarda il certificato di rete sulle fonti rinnovabili, l'obiettivo 20/20/20 di produzione di energia da rinnovabili per il 2020, ci porterebbe a un esborso di circa 7 miliardi di euro all'anno, se ho ben capito, per coprire il 20 per cento di produzione elettrica da fonti rinnovabili, di cui la metà sostanzialmente attribuibili a 10 terawatt di fotovoltaico.
A me non paiono i numeri di incentivazione delle rinnovabili con un obiettivo tanto ambizioso, pur avendo una sensibile
incentivazione del fotovoltaico, così insostenibili. Mi preoccupa invece il discorso che stiamo facendo sul CIP6, poiché 16 miliardi di euro, da qui al 2020, in una situazione in cui si è riaperta l'utilizzazione del CIP6 per una serie di produzioni quali gli impianti da combustione di rifiuti (ammessi, in tutto o in parte, come citava lei, al beneficio del CIP6), potrebbero portare a un incremento molto sensibile dei costi di questa incentivazione.
Cento milioni di euro, per 100 megawatt, rappresentano una cifra abbastanza elevata. Un impianto di dimensioni medio piccole di trattamento rifiuti da centomila tonnellate l'anno, ha una potenza installata di 10-15 megawatt. Si fa presto a pensare che un insieme di impianti, quali quelli che sono in costruzione nelle regioni in situazioni di emergenza ammesse al beneficio totale, o in quelle che godranno del beneficio al 51 per cento, possa far salire questi numeri in maniera molto consistente.
Vorrei capire se questo tipo di osservazione sia abbastanza condiviso - come mi era sembrato di cogliere - e se il presidente abbia osservazioni di merito più specifiche.
Il secondo tema è relativo alla formazione del prezzo, poiché l'incentivo è una parte importante del prezzo della corrente elettrica che normalmente in Italia, soprattutto per le utenze di carattere industriale, è più elevato della media europea, con grave danno di alcuni comparti industriali particolarmente energivori.
Al di là della questione che il 50 per cento circa della nostra energia elettrica viene prodotta oggi dalla combustione di gas, la questione dei prezzi in questo momento viene affrontata anche con interventi di gestione del mercato, mediante interventi legislativi tesi a variare la formazione del prezzo dai metodi o meccanismi del prezzo marginale (quindi riferiti agli impianti più costosi) a quelli del mercato, cioè della formazione del prezzo secondo la domanda.
È chiaro che già questo implica una disponibilità e una capacità della rete di un certo tipo.
Personalmente, ritengo che la parte dei costi di produzione del combustibile sia largamente maggioritaria.
Vorrei conoscere l'opinione dell'Autorità sull'effettivo risultato e l'effettiva efficacia di un passaggio di questo tipo, nella riduzione dei prezzi per il consumatore. Ci sono stati casi in Europa di passaggi di questo tipo, i cui vantaggi sono abbastanza discussi.
Abbiamo infine il tema delle agevolazioni. I colleghi Quartiani e Vignali hanno preso spunto dalla necessità di interventi a carattere lenitivo, a favore delle famiglie, che dovrebbero prendere le mosse dal carico fiscale che grava sulla fornitura. Questo mi sembra un argomento che può trovare in questa Commissione, ma anche tra le parti politiche, un certo consenso.
Trovo anche assai ragionevole l'analisi della situazione - la ringrazio ancora per averla riformulata - per cui i costi di innovazione, a volte, sono sostenuti dagli utenti più deboli, in quanto le famiglie più numerose, che consumano di più, sono quelle che pagano il sostegno all'innovazione del sistema di produzione. Non è un fenomeno tipico solo del mercato dell'energia elettrica, ma anche di altre realtà: basti pensare alla già ricordata raccolta dei rifiuti, col passaggio da tassa a tariffa in cui alcune utenze domestiche sono penalizzate rispetto ad altre.
Nello specifico, tuttavia, mentre concordiamo tutti in linea di principio su un intervento di questo tipo, penso che oggi anche alcuni settori della nostra industria avrebbero pari esigenze. Esistono aziende molto «energivore», che sostengono alti costi energetici. Faccio l'esempio dei produttori di carta, che hanno tale problema.
Vi chiedo, al di là della formazione dei prezzi, quali, secondo voi, potrebbero essere i meccanismi di intervento, in una fase di crisi come l'attuale, sulla formazione dei prezzi di rete, in grado di dare sollievo ai settori industriali che presentano alti consumi, specificatamente, di energia elettrica.
PRESIDENTE. Do la parola i nostri ospiti per la replica.
TULLIO FANELLI, Commissario dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas. Rispondo inizialmente alle questioni sollevate dall'onorevole Quartiani. Sul «grande idroelettrico», in effetti, oggi esiste una situazione da gestire, in termini di concessioni che tra non molto verranno a scadenza. C'è anche da gestire in termini di mercato, naturalmente, quello che attualmente è l'utilizzo come stoccaggio di molti di questi grandi impianti. C'è, forse, da tenere in conto, in termini di mercato elettrico, anche della grande questione del «minimo deflusso vitale» e di ciò che può derivare da un nuovo intervento su questi grandi impianti.
Il dato da cui bisogna partire è che il «grande idroelettrico», negli ultimi anni, ha ridotto la propria produzione non soltanto perché piove meno, ma anche perché la gestione, a causa delle numerose norme, è diventata più complessa e consente una produzione inferiore. I numeri di queste variazioni sono estremamente importanti, al punto da compensare la maggiore produzione da parte delle altre fonti rinnovabili. La nostra produzione da rinnovabili, in definitiva, è rimasta sostanzialmente costante, a causa della riduzione dell'apporto del «grande idroelettrico». Non c'è dubbio, pertanto, che questo sia un argomento che andrà rimesso in discussione.
Non c'è dubbio neppure sul fatto che le reti possano dare un grosso vantaggio, in termini di acquisizione di apporti da fonti rinnovabili. Abbiamo cercato, anche nella relazione, di spiegare cosa stiamo facendo. Ma il fatto che le reti siano bidirezionali non costituisce di per sé un vero e proprio potenziale di accumulo: anche con la migliore delle smart grid possibili, l'elasticità è relativa. Credo che il tema dell'accumulo elettrico non possa sfuggire alla questione della rinnovabilità, poiché in assenza, di fatto, di una capacità di accumulo ulteriore, tutto ciò che si può realizzare solo facendo ricorso alla flessibilità ha un limite. Ciò vale per tutti i sistemi elettrici.
Il discorso della filiera corta si pone a cavallo tra l'energia rinnovabile, le emissions trading del protocollo di Kyoto e quant'altro. Il principale vantaggio di avere una filiera corta, ad esempio ricorrendo a una biomassa prodotta nelle vicinanze invece che in Brasile (non è un esempio astratto, perché molti importano dal Brasile o dall'Asia), è che la fase di importazione comporta emissioni significative connesse al trasporto di queste biomasse, ad esempio dalle Filippine, per essere poi bruciate in Italia.
Trovo tutto ciò abbastanza illogico, se l'obiettivo è l'obiettivo ambientale. Se invece l'obiettivo è importare qualcosa di diverso dal petrolio, ebbene possiamo anche importare dal Brasile, o dalle Filippine.
Sono due punti di vista di cui la legislazione dovrebbe tener conto.
Laddove la decisione politica tendesse a ottimizzare anche le emissioni, non vi è dubbio che la filiera corta è la soluzione migliore. Se invece, l'urgenza fosse limitata alla semplice diversificazione, qualsiasi essa sia, allora trattare le biomasse importate come fonti rinnovabili è in parte scorretto, poiché ad esse è legato un consumo di combustibili fossili, necessario per trasportare quel tipo di biomassa in Italia.
L'onorevole Vignali parlava di semplificazioni autorizzative a livello delle regioni.
In realtà, è un problema che ha la sua radice proprio nel fatto che la materia è di competenza concorrente fra Stato e regioni. Più di una volta le leggi nazionali hanno provato non dico ad uniformare, ma almeno a ricondurre all'accordo le regioni stesse.
Il limite costituzionale è piuttosto netto, quindi non è facile ricondurre al centro, senza una modifica costituzionale, questi percorsi autorizzativi.
In astratto ciò potrebbe non essere neanche necessario: basterebbe, in fondo, adottare alcuni criteri comuni per la selezione dei siti e per i requisiti da rispettare nelle installazioni di tipo rinnovabile.
Purtroppo, sapete bene che invece ciascuna regione prevede, sia per l'eolico che per il fotovoltaico, criteri assai diversi. Questo è un ostacolo non solo economico
per le imprese, che devono tener conto di venti legislazioni diverse. Al di là dei costi, tutto ciò induce anche una certa diffidenza, laddove l'instabilità o l'incertezza dei criteri organizzativi è piuttosto evidente. Alcune di queste normative sono state poi modificate o impugnate dal Governo e non è più chiaro in questi casi quale sia la norma vigente.
Ciò rappresenta un ostacolo non solo economico, ma anche imprenditoriale, giacché l'imprenditore preferisce operare laddove una regola, per quanto complessa, comunque esiste.
Credo che non si possa fare molto di più che immaginare un percorso volto a mettere le regioni intorno ad un tavolo, nelle sedi opportune che esistono, per ricondurle tutte ad un'omogeneità di criteri autorizzativi. Bisogna però agire con convinzione; diversamente, se lasciamo le cose come stanno, sicuramente ne pagheremo il prezzo.
L'onorevole Torazzi ha richiamato le collaborazioni universitarie e questo, naturalmente, riguarda il percorso sulla ricerca che stiamo provando a realizzare in termini esecutivi nonché a consigliare in termini propositivi.
In realtà, il meccanismo relativo alla ricerca che ci è stato affidato è assai trasparente. Questa è la parola forse più adatta, poiché il percorso si basa sostanzialmente su bandi aventi tematiche molto chiare come oggetto, nonché sistemi e procedure per l'assegnazione dei fondi altrettanto chiari.
Il primo bando è in corso di emanazione, quindi non possiamo indicare con chi ci stiamo «interfacciando», poiché il bando non è arrivato a conclusione. Certamente ci aspettiamo che molte università finalizzino, in maniera possibilmente coordinata, le rispettive attività.
Oggi in Italia, l'abbiamo scritto anche nella relazione, non è che si spenda pochissimo in ricerca sulle rinnovabili, anzi, siamo secondi solo alla Germania. Il guaio è che, anche a causa di uno scarso coordinamento delle diverse realtà, il numero di imprese che nascono da questi studi e ricerche è molto basso. L'effetto finale, come abbiamo anche scritto, è che in Italia c'è pochissima industria che davvero fa valore aggiunto sulle rinnovabili. Fare i montaggi, infatti, porta molto poco valore aggiunto. Ebbene, probabilmente occorre compiere uno sforzo affinché questo tipo di ricerche abbia come effetto la nascita di imprese.
Non c'è, in alcuni casi, molto know-how e qui rispondo anche ad altre questioni sollevate. Si pensi al solare termico: si tratta di un'attività assai semplice e, per la verità, né particolarmente costosa, né con alti contenuti di know-how. Ricordo che alcuni anni fa, quando di mestiere facevo il direttore generale del Ministero, convocai la riunione dei principali industriali in Italia sul solare termico e mi ritrovai - con tutto il rispetto - con una decina di idraulici. Ciò accade perché effettivamente - almeno allora; oggi, per fortuna, qualche spunto è cominciato a nascere a livello industriale - si trattava davvero di micro-imprese, che vedevano il settore solo a livello di quartiere, neppure di città.
Da allora, qualcosa è andato un po' meglio, ma certamente importiamo ancora sistemi di solare termico (che, lo ripeto, consiste in quattro tubi e poco più) e certe volte li importiamo dalla Grecia o dall'Austria. Sono cose che, francamente, per un Paese come l'Italia fanno impressione.
Non c'è solo la ricerca: in questo caso credo che ci debba essere l'organizzazione; la promozione di alcune attività che possono essere svolte, possibilmente da imprese che siano strutturate e ramificate sul territorio, in modo anche da poter ottimizzare costi di produzione e di installazione; l'affidabilità per i soggetti che richiedono questi impianti (giustamente, io dico, l'italiano non si fida se non ha anche un nome di riferimento). L'impresa sconosciuta difficilmente riuscirà a installare un impianto solare perché il cittadino si chiederà chi, fra dieci anni, gli farà la manutenzione. Se, invece, il cittadino dispone di un nome o, comunque, di un'organizzazione che in qualche misura gli dà affidamento anche nel tempo, più facilmente
si sviluppa la domanda di impianti come quello del solare termico, che godono già di economic favorevoli.
Sul risparmio energetico e, in particolare, sui nuovi conduttori, oggi esistono strumenti diversi. Non abbiamo parlato, in questa relazione, di efficienza energetica. Sappiamo che esiste una serie di iniziative al riguardo. Nel disegno di legge in discussione al Senato S. 1195 è contenuta una proposta specifica, che condividiamo, sui motori elettrici ad alta efficienza. In quel caso, gli strumenti devono essere diversi. Abbiamo detto che uno dei grandi errori compiuti sul CIP6 è stato proprio cercare di mettere insieme due oggetti diversi: le fonti rinnovabili e le cosiddette assimilate. Se andiamo a guardare meglio, teoricamente si tratta di cogenerazione, che in sé è un fatto nobile, in quanto sviluppa l'efficienza energetica.
Purtroppo, quando si predispone uno strumento omnibus, normalmente è più facile sbagliare, poiché occorre equiparare effetti magari entrambi positivi, ma diversi. Risparmiare energia e produrre energia sono, sia pure in termini generali, azioni entrambe positive, ma danno origine a effetti diversi. Cercare un unico strumento per governarle è abbastanza complesso, difficile e comporta errori.
Sull'efficienza energetica esistono i certificati bianchi, alla cui gestione concorriamo anche noi. Sono strumenti piuttosto efficienti proprio perché ogni volta che si usa il mercato per cercare di minimizzare gli oneri nei sistemi di incentivazione, normalmente si ha un'efficienza maggiore a parità di risultato.
È un tema su cui naturalmente occorre fare molto di più perché, anche sull'efficienza energetica c'è il 20 per cento, non solo sulle rinnovabili. Si tratta di un tema, però, che va trattato con strumenti diversi.
Venendo all'effetto di scala sui finanziamenti, la nostra ipotesi forte (e qui vengo anche alle cifre che abbiamo inserito nel documento, circa il costo del 20/20/20 tenendo conto che, per l'Italia, il 20 con rinnovabili diventa 17) è che il costo delle incentivazioni al 2020 sarà ridotto della metà.
Se al fotovoltaico diamo oggi, come contributo medio, 47 centesimi a chilowattora (o 470 euro a megawattora), di solo contributo diretto, sommando i contributi indiretti legati alla rete, alla priorità di spacciamento e quant'altro, arrotondando non è difficile arrivare a 50 centesimi, cioè alle vecchie 1.000 lire a chilowattora. Nei nostri conti abbiamo previsto che al 2020 queste mille lire diventeranno 500, cioè 250 euro per megawattora o 25 centesimi per chilowattora.
Ciò è ragionevole, perché se rimanesse un costo tale da dover impegnare ancora 1.000 lire a chilowattora, non sarebbe ragionevole fare 10 terawattora, cioè 10 miliardi di chilowattora. Se al 2020 il costo fosse ancora così alto, si totalizzerebbe un onere irragionevole.
Abbiamo cercato di fare una previsione di ragionevolezza, poiché, a nostro giudizio, non è ragionevole proiettare l'incentivo di oggi al 2020 per tutti gli impianti, compresi quelli che verranno realizzati proprio nel 2020.
Tantomeno è ragionevole, come altri fanno, ipotizzare che l'anno prossimo il fotovoltaico non costerà nulla. Analogo ragionamento vale per tutte le rinnovabili, alcune delle quali possono non seguire il percorso di efficientamento che può anche derivare, ma non sempre, dall'effetto di scala. Nel fotovoltaico non ci sarà alcun effetto di scala: da ingegnere, mi sento di escluderlo. Nel fotovoltaico potranno essere introdotte solo nuove tecnologie, visto che ce ne sono moltissime. Sarebbe un discorso bello, ma lungo, soffermarsi sulle nuove tecnologie.
L'effetto di scala è importante, invece, in altri impianti. Nell'eolico, dove non è avvenuta una grande rivoluzione dal punto di vista tecnologico, l'effetto di scala ha prodotto risultati fantastici. Se si pensa che, solo quindici anni fa, parlare di 100 o 300 chilowattora di eolico sembrava quasi fantascienza, mentre oggi produciamo due megawatt su un unico palo. Ciò è dovuto anche a un effetto di scala: l'industria è riuscita effettivamente a realizzare questo tipo di produzioni.
Sul prezzo dell'energia elettrica e sulla questione dei mercati che è stata sollevata dall'onorevole Benamati, volevo, proprio a livello di battuta, rispondere che ogni meccanismo di mercato, pay as bid o marginal price, qualunque esso sia, incide e può incidere solamente sul margine, cioè sull'utile dell'impresa.
Per l'Italia, invece, è fondamentale andare ad incidere sui costi. I costi, naturalmente, per essere modificati in maniera sostanziale, necessitano non soltanto di modifiche, ma anche di investimenti. Il mercato e le sue regole possono indirizzare gli investimenti e, quindi, credo che la logica debba essere sempre la seguente: guardare le regole del mercato non solo e non tanto per cercare di minimizzare l'utile immediato delle imprese produttrici, quanto per indirizzare gli investimenti verso quelli più produttivi e per avere, nel medio termine, costi più bassi.
ALESSANDRO ORTIS. Presidente dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas. Cercherò di integrare rapidamente, con alcune considerazioni, quello che è stato già esposto dal collega Fanelli. Il primo tema riguarda gli approfondimenti. Non c'è dubbio che abbiamo affrontato, oggi pomeriggio, un tema vastissimo che ha riflessi normativi, tecnologici e gestionali di ogni tipo. La necessità di approfondimenti permane e, pertanto, vogliamo confermare la nostra assoluta e piena disponibilità a qualsiasi ulteriore incontro, a qualsiasi interlocuzione con questa Commissione. Oltretutto, nel nostro mandato istituzionale è compreso proprio il compito di essere a disposizione per qualsiasi advising ritenuto necessario dalle istituzioni. Volevo sottolineare il nostro vivo interesse, reale e concreto, all'interlocuzione più ricca possibile,
compatibilmente coi tempi, su queste materie che oggi riguardano le fonti rinnovabili, ma all'interno di uno spettro di tematiche energetiche amplissimo.
La seconda considerazione, riguardante ancora l'idroelettrico, più che altro è una battuta: stiamo lavorando per incoraggiare, sostenere, consigliare e anche, eventualmente, sintonizzare alcune regole e favorire lo sfruttamento idroelettrico nell'intorno dei nostri confini, segnatamente, per esempio, in Albania e in Montenegro. Insomma, copriamo anche lo scacchiere dei Balcani, con grande sacrificio di tempo.
Mi consenta a tale riguardo, signor presidente, di sottolineare che, come Autorità (un giorno verremo anche a parlarle specificatamente di questo), non abbiamo problemi di bilancio. Il nostro bilancio, come voi sapete, è redatto in piena autonomia. Noi viviamo dei contributi regolati per legge e avremmo diritto all'1 per mille sul fatturato. In realtà, stiamo gestendo la nostra vicenda con lo 0,3 per mille, quindi con meno di un terzo. Tuttavia non abbiamo problemi economici, bensì, paradossalmente, un plafond dell'organico fissato al momento della nascita dell'Autorità (quindi più di dieci anni fa) e pari a 180 persone.
Onestamente, dai compiti che erano stati attribuiti all'epoca ad oggi, si sono inserite molte altre attività, non ultima la vigilanza relativa alla Robin tax, cioè un tema assai complesso e difficile. Da qui la necessità di potere assumere personale che, per le nostre funzioni, certamente deve essere di alta qualità.
Sotto questo aspetto, ci sacrifichiamo anche per sviluppare rapporti con i nostri colleghi vicini, specialmente nei Balcani, e per favorire questo tipo di attività.
Sulla questione che riguarda i piani di sviluppo delle reti, vorrei precisare che abbiamo messo a punto un meccanismo che riguarda le reti di trasporto di distribuzione elettriche (stiamo parlando di rinnovabili ma potrei aggiungere gassificatori, rigassificatori e stoccaggi), con premi significativi sul ritorno dei capitali netti investiti, sicché abbiamo le tariffe che i nostri concittadini pagano, premianti per i nuovi investimenti.
L'accordo delle associazioni dei consumatori su questo è chiaro: vedono con favore questi soldi investiti per lo sviluppo.
Ci attendiamo davvero che, in presenza di regole e di reali incentivi finanziari, ci sia una risposta molto significativa.
Devo dire che, in molte circostanze, la risposta dell'impresa esiste (parlo, ad esempio, di Terna), con i suoi piani ambiziosi e importanti, necessari anche per eliminare differenziali territoriali. Purtroppo, qualche volta, le imprese si trovano di fronte a lentezze nell'approvazione delle previste autorizzazioni, fattori che, secondo me, incidono negativamente sulla situazione del nostro Paese che altro richiederebbe in questo momento.
Si tratterebbe di cantieri immediatamente attivabili, con opere, peraltro non bisognose di denaro pubblico, poiché le tariffe pagano da sole questi impianti.
Il consumatore elettrico si paga già tutto: sono soldi pronti che il consumatore ha messo sul tavolo con la sua bolletta, si tratta quindi di cantieri che potrebbero essere attivati velocemente.
In questo quadro, stiamo cercando di armonizzare le regole con i nostri colleghi vicini, in modo tale che anche le linee transfrontaliere, che rafforzano il sistema, siano attivate al più presto possibile.
L'onorevole Vignali ha ragione ad enfatizzare il tono sui processi autorizzativi.
La risposta l'ha data l'ingegner Fanelli. Personalmente aggiungo solo una sottolineatura: sarebbe un grande passo avanti armonizzare i criteri e i percorsi autorizzativi, fatta salva la decisione finale di scelta «si o no» sulla collocazione, per poter consentire agli operatori di avere un quadro di riferimento delle regole del gioco abbastanza omogeneo su tutto il territorio nazionale. Sarebbe opportuno che ciò avvenisse anche a livello di Unione europea, ma intanto cominciamo a casa nostra. In tal modo la decisione potrebbe essere locale: se certe piccole installazioni devono ricevere un «sì» ovvero un «no» locale, almeno che subiscano procedure e criteri ben noti, trasparenti e armonizzati per tutti.
Questo sarebbe un grosso passo avanti e per questo siamo a disposizione per qualsiasi contributo, ancorché la materia sia di ancora maggiore competenza del Ministero. I rapporti sono tali per cui siamo assolutamente a disposizione per andare più specificamente a fondo su questa questione.
L'onorevole Torazzi ci interroga sui rapporti con l'università. Aggiungo a quello che ha già detto l'ingegner Fanelli che noi crediamo molto in questi rapporti, al punto che l'Autorità ha protocolli di collaborazione stipulati formalmente con otto università.
Questi rapporti ci interessano molto e li sviluppiamo con interesse, anche con professionisti che lavorano dall'altra parte, cioè docenti, accademici e quant'altro, in quanto conduciamo nostre ricerche assieme alle università. Non si tratta di ricerche sui conduttori, perché riguardano un altro mondo, ma certamente ci sono fior di ricerche necessarie per l'ottimizzazione del funzionamento del sistema e anche degli stessi meccanismi tariffari.
Inoltre, è nostro interesse partecipare attivamente, con i nostri direttori e professionisti nel ruolo di docenti, ai master.
Abbiamo poi tanti stagisti presso di noi, anche per surrogare questo limite di 180 addetti. Si tratta di un trasferimento di know-how ed alcuni di questi stagisti vengono da noi assunti, determinando così un vero livello di interconnessione col laboratorio. Ci siamo inventati noi stessi un'università - forse non tutto lo sanno, ma esiste veramente - e l'abbiamo promossa con sede a Firenze, quindi in Italia: si tratta della Florence School of Regulation, cioè l'università per i regolatori.
L'abbiamo promossa noi ed è partecipata, a questo punto, da tutti i colleghi regolatori membri dell'Autorità di regolazione d'Europa. Svolgiamo dei corsi, naturalmente, anche per le imprese, poiché la comprensione delle regole è un tema sempre più importante anche per le imprese. La Florence School of Regulation, connessa alla Università Internazionale di Firenze, è finanziata anche dalla Commissione europea.
Crediamo molto, quindi, nella ricerca, anche perché, come puntualizzava l'ingegner Fanelli, per quanto riguarda la gestione del nostro pacchetto ricerca (che è solo una parte di tutta la ricerca che si
potrebbe fare) abbiamo docenti universitari tra i valutatori dei programmi, e, quindi, anche della finanziabilità e dell'ammissibilità alle erogazioni. Seguendo criteri che escludano eventuali conflitti di interessi, le università possono partecipare a queste gare, dove addirittura si incentivano le aggregazioni, il fatto di mettersi insieme anche tra aziende e istituti di ricerca che sulla ricerca fanno profitto e gli istituti universitari.
La questione dell'uso razionale e del risparmio dell'energia, che è stato sollevato e che il commissario Fanelli ha toccato, è veramente molto importante. Cito, a questo proposito, il successo (possiamo definirlo veramente tale) del meccanismo dei «certificati bianchi». Si tratta di un meccanismo di mercato che abbiamo attivato due anni e mezzo fa, all'inizio del 2006, e che ha portato a casa un risparmio di più di 2 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, ci ha assicurato risparmi equivalenti ai consumi medi di 2 milioni e mezzo di cittadini. È un percorso interessante e su questa linea credo che si possa insistere perché, peraltro, veramente ammette, a 360 gradi, qualsiasi tipo di tecnologia che si dimostri vincente e portatrice di benefici superiori a costi.
I consumatori pagano anche questo piccolo incentivo allo sviluppo, che però sta funzionando bene. Anche il settore dell'uso razionale dell'energia può avere una ricaduta industriale significativa.
Il sesto e penultimo punto riguarda la questione dell'equità di questi oneri parafiscali. Si tratta di un tema che è stato affrontato da tutti coloro che sono intervenuti ed è veramente per noi molto interessante sentire quanta convergenza ci sia su questo argomento, per il quale in particolare, siamo disponibili a proporre qualche meccanismo concretamente operativo. Oltretutto dobbiamo anche considerare che, ormai, abbiamo attivato anche il bonus elettrico e, quindi, sarebbe davvero un paradosso da un lato garantire il bonus come stiamo facendo e, dall'altro, invece, continuare ad appesantire le stesse famiglie bisognose e numerose. Ricordo che, al bonus, con l'ultimo decreto-legge convertito sulla crisi, è stato ammesso anche l'universo delle famiglie numerose, con più di quattro figli. Per queste famiglie si è immaginata, addirittura, l'ammissibilità se in possesso di un ISEE, cioè un
indice economico equivalente, fino a 20 mila euro, il che mi pare abbastanza interessante ed importante.
Faccio un breve flash sulle aziende energivore, sulle quali auspichiamo il sorgere di una visione europea, poiché in molte circostanze sarebbe opportuno armonizzare le provvidenze a favore di un settore (ad esempio dell'alluminio, piuttosto che dell'acciaio) all'interno di una visione europea. Avremmo così due vantaggi: evitare in primo luogo il ripetuto ricorso ad impeachment da parte della Commissione sugli aiuti di Stato; in secondo luogo, ridurre il problema di scarsa competitività di cui le nostre aziende soffrono nei confronti del collega francese piuttosto che spagnolo, dal momento che magari colà esistono norme di incentivo per questo settore diverse dalle nostre. Una visione europea su questa partita è assolutamente urgente.
L'ultima annotazione è molto legata alla conversazione odierna. Abbiamo parlato di sviluppo delle reti, quindi di tariffe; abbiamo parlato della A3, sostegno alle rinnovabili; abbiamo parlato della A5. Sono tutte componenti tariffarie che i nostri concittadini pagano. Il consumatore elettrico «si paga» tutto da solo.
Come autorità, abbiamo anche la missione di tutelare i consumatori, ma sono sicuro che tutti quanti consideriamo molto preziose queste risorse. Sono soldi dei nostri concittadini.
Ecco perché abbiamo voluto mettere l'accento, anche per le rinnovabili, su un concetto molto semplice: sostenere le fonti rinnovabili è sacrosanto. Le ragioni le abbiamo elencate e le comprendiamo tutti.
Occorre affrontare il tema della sostenibilità di questo percorso di sviluppo, con riguardo alla combinazione migliore rispetto ai costi e ai benefici, in modo che si sviluppi anche una differenziazione di
atteggiamento rispetto alle singole sorgenti, rispetto alla loro capacità lontana o vicina di autosostenersi nonché con riguardo anche ai costi che queste iniziative, senz'altro positive e generose, hanno sulle bollette dei nostri concittadini. Si trovi un giusto compromesso.
PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente della lunga e dettagliata relazione, che ha occupato una parte importante della nostra giornata. In altre occasioni, ci saranno momenti di approfondimento. Penso di esprimere un sentimento largamente condiviso, ringraziando per il lavoro che oggi è stato svolto.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 16.