Sulla pubblicità dei lavori:
Moffa Silvano, Presidente ... 3
Audizione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, sul Libro verde: Verso sistemi pensionistici adeguati, sostenibili e sicuri in Europa (COM(2010)365 def.) (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Moffa Silvano, Presidente ... 3 7 10 12 14
Damiano Cesare (PD) ... 10
Fedriga Massimiliano (LNP) ... 11
Gnecchi Marialuisa (PD) ... 8
Madia Maria Anna (PD) ... 8
Sacconi Maurizio, Ministrodel lavoro e delle politiche sociali ... 3 12
Scandroglio Michele (PdL) ... 7
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l’Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia, I Popolari di Italia Domani: Misto-Noi Sud-PID; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Repubblicani, Azionisti. Alleanza di Centro: Misto-RAAdC.
Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 14,05.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, sul Libro verde: Verso sistemi pensionistici adeguati, sostenibili e sicuri in Europa.
Come sapete, il Libro verde è stato presentato dalla Commissione europea il 7 luglio scorso ed è in programma l'elaborazione di un documento finale da approvare entro la prima metà del mese di novembre.
Ricordo che sul medesimo argomento sono state effettuate le audizioni dei principali organismi previdenziali e di vigilanza in materia pensionistica, di associazioni e organizzazioni rappresentative del settore della previdenza complementare, di organizzazioni imprenditoriali e sindacali, oltre che di esperti a livello universitario e accademico.
Ringrazio il Ministro per la sua disponibilità. Prima di dargli la parola, avverto i colleghi, per un'economia dei nostri lavori, che intorno alle 15 dovremo concludere l'audizione, in relazione all'obbligo di presenza dello stesso Ministro in Aula per un question time.
Prego, quindi, il Ministro e i colleghi di mantenere entro limiti temporali ragionevoli i propri interventi, anche al fine di concedere allo stesso Ministro un minimo di tempo per la sua replica conclusiva.
Do la parola al Ministro Sacconi.
MAURIZIO SACCONI, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Grazie presidente e cari colleghi. Ringrazio non formalmente la Commissione per l'opportunità che mi dà di esprimere alcune considerazioni sul Libro verde in materia di pensioni che la Commissione europea, come sapete, ha lanciato il 7 luglio del 2010, aprendo un dibattito pubblico a livello europeo sui modi con cui assicurare pensioni adeguate, sostenibili e sicure e con cui l'Unione europea può meglio sostenere gli sforzi nazionali in questa direzione.
Il documento è un testo di consultazione, elaborato su iniziativa congiunta di più commissari, tra cui quello al mercato interno e ai servizi e quello agli affari economici e monetari, e non presenta specifiche proposte di policy, ma chiede pareri sulle possibili future azioni a livello europeo. Esso pone alcune domande che invitano gli interessati a contribuire con proprie opinioni e idee per affrontare le maggiori sfide nell'ambito della previdenza sociale.
Il Governo italiano ha costituito un gruppo di lavoro congiunto dei tre ministeri interessati, quello del lavoro e delle politiche sociali, quello dell'economia e
delle finanze e quello dello sviluppo economico, che si sta avvalendo dell'apporto delle diverse autorità di vigilanza e formulerà le risposte entro il 15 novembre.
La rinnovata attenzione che l'Unione europea rivolge con il Libro verde all'assetto dei sistemi pensionistici appare particolarmente tempestiva e coerente con lo sforzo verso una maggiore integrazione delle politiche economiche, come testimoniano la prossima introduzione del semestre europeo di bilancio e le nuove regole del Patto di stabilità e di crescita.
Se, infatti, le politiche previdenziali rimangono un settore che rientra nella sfera di competenza degli Stati membri, è, tuttavia, indubbio che in un approccio fondato su pressione e controllo reciproci tra gli Stati dell'Unione e ispirato alla sostenibilità di lungo periodo dei conti pubblici, quella previdenziale rappresenta una politica strategica per la solidità finanziaria e insieme per la coesione sociale dell'intera Unione.
Le pensioni si collocano, infatti, al punto d'incrocio tra le due linee di tensione che premono sul nostro sistema economico e, più in generale, sul nostro assetto sociale. La spinta di lunga durata verso un'aspettativa di vita sempre più elevata, con le connesse conseguenze sulla crescita dell'età media della popolazione, la diversa scansione della vita e della carriera delle persone che stiamo conoscendo e che sempre più ragionevolmente conosceremo, le ripercussioni sociali nei rapporti fra categorie sociali e soprattutto fra generazioni, le sfide che derivano alla continuità del reddito e alla possibilità di progettare le scelte che ciascuno compie in merito alla propria esistenza sono tutti fattori dei quali evidentemente tener conto.
A tutto ciò si somma il mutamento di paradigma determinato dalla crisi, che produce conseguenze profonde, anch'esse di lunga durata, tanto sulle grandezze macroeconomiche, quanto sulle condizioni economiche individuali e, infine, sui comportamenti stessi degli individui e sulle loro scelte.
I crolli azionari e la caduta dei rendimenti hanno, peraltro, rallentato lo sviluppo del sistema di previdenza complementare. Se le conseguenze dirette sul sistema dei fondi pensione, infatti, potranno essere facilmente compensate nel lungo periodo e i segnali di un significativo recupero non sono mancati già nei frangenti successivi alla fase più acuta della crisi, non altrettanto può dirsi circa l'atteggiamento psicologico dei lavoratori nei confronti di una realtà già precedentemente percepita come vagamente rischiosa.
Luigi Einaudi era solito ricordare come i risparmiatori abbiano memoria di elefante, cuore di coniglio e gambe di lepre. L'azione delle istituzioni dovrà, pertanto, intensificarsi per far sì che al calo dei versamenti alla previdenza integrativa di breve periodo, dovuto a ragioni strettamente economiche, non si sommi nel lungo periodo una fuga dallo strumento in quanto tale, causato dal rarefarsi della fiducia dei lavoratori.
Il Libro verde sviluppa molte questioni di dimensione europea, come le quattro libertà, in particolare quelle di circolazione dei lavoratori e dei capitali. Si tratta spesso di questioni all'apparenza tecniche, che rinviano tuttavia all'effettiva realizzazione di un mercato del lavoro europeo davvero unico.
L'Italia vede con favore interventi a livello europeo che si rivolgano a rimuovere ostacoli di natura previdenziale a questo obiettivo, che in alcuni casi si sommano ad altri ostacoli sia finanziari, sia ordinamentali, soprattutto in materia di diritto al lavoro e di prelievo fiscale.
Una prospettiva di chiarezza e di certezza a livello continentale in materie quali la portabilità transfrontaliera dei contributi o i codici di condotta da parte dei fondi pensione nelle scelte di investimento in merito a trasparenza, avvedutezza delle scelte e redditività contribuirebbe a conseguire molteplici risultati positivi: incentivi a fare esperienze lavorative all'estero, attrazione di cervelli anche nel nostro sistema produttivo, concorrenzialità nel mercato dei prodotti previdenziali,
impulso a iniziative di educazione previdenziale soprattutto nei confronti delle giovani generazioni, ordine nel potenziale caos previdenziale che potrebbe derivare da fenomeni di immigrazione intracomunitaria massiva, soprattutto in provenienza dai Paesi di nuova accessione.
Si tratta di aspetti già affrontati in questa Commissione sia dalle parti audite, sia dal relatore e circa i quali il Governo intende impegnarsi, nella consapevolezza che in molti di essi, quali la tutela dall'insolvenza dei datori di lavoro o la trasparenza delle informazioni agli iscritti alle gestioni, il nostro Paese dispone di un assetto avanzato rispetto a molti partner e ha perciò ogni interesse a un'iniziativa europea che configuri un elevamento continentale degli standard.
Cari colleghi, rimane in ogni caso il fatto che il cuore politico del Libro verde risiede nella sua prima parte, quella che si riferisce all'assetto complessivo dei conti previdenziali, alla sostenibilità del sistema, all'adeguatezza delle prestazioni, al rapporto tra fase attiva e fase quiescente della vita dei lavoratori.
La vera dimensione in cui la crisi incrocia le dinamiche demografiche di lungo periodo è, infatti, rappresentata dalla fine dell'impunità del debito sovrano. Il giudizio dei mercati globali sui prodotti finanziari si estende ormai pienamente anche ai titoli di Stato, così come la crescita dei debiti dei Paesi nostri omologhi pone un problema quantitativo di concorrenza nel collocamento di una maggiore massa di titoli che si trovano a contendersi un risparmio globale che si è, al contrario, assottigliato.
L'abitudine a considerare l'emissione di debito come una soluzione indolore, a fronte di una quantità di risparmio solo virtualmente infinita e di una capacità di sviluppo economico indipendente da qualunque considerazione di compatibilità, dopo il 2008 non ha né avrà mai più cittadinanza.
È stato, del resto, proprio questo approccio a determinare nel passato, non solo in quello remoto, scelte finanziariamente irresponsabili da parte del legislatore, anche o forse soprattutto in campo previdenziale. Il recupero della credibilità dello Stato italiano e dei titoli che emette non poteva perciò che passare dalla messa in sicurezza della tenuta del sistema pensionistico quale l'abbiamo perseguita in questi due anni.
Lo spread con i titoli di Stato tedeschi si è in questi anni allargato molto meno di quello di Paesi che registravano performance macroeconomiche e di finanza pubblica molto migliori del nostro. Basti pensare alla Spagna.
Se questo risultato è stato fin qui conseguito con politiche di bilancio rigorose quanto ai risultati annuali, è indubbio che il giudizio positivo dei mercati riguardi anche e soprattutto la sostenibilità di lungo periodo del debito, che è stata profondamente beneficiata dagli interventi condotti in campo previdenziale.
A conseguire questa ritrovata credibilità ha senz'altro contribuito il fatto che la riforma delle pensioni sia stata portata a termine in un clima di coesione sociale del tutto inedita per il nostro Paese e, a guardare le cronache recenti, non solo per il nostro.
È di ieri, infatti, il giudizio del commissario europeo circa la virtù non solo delle riforme, ma anche del comportamento delle società in Italia e in Svezia. Egli ha affermato che esso è tale da incoraggiare anche gli altri Paesi a poter realizzare cambiamenti nei sistemi previdenziali senza tensioni sociali (nel nostro Paese, invero, fortunatamente non si sono prodotte).
Ciò permette all'Italia di affrontare l'imminente semestre europeo da una posizione anch'essa inedita di forza, come ieri ha dichiarato il commissario, e di contribuire all'elaborazione di una strategia pensionistica continentale, essendo per una volta uno dei benchmark di riferimento.
Vorrei sottolineare, d'altra parte, che il coordinamento delle politiche pensionistiche rappresenta uno dei temi che il Presidente del Consiglio ha più volte evocato nel corso dei Consigli europei, al pari delle politiche dell'immigrazione. Questo documento,
che si muove nella direzione descritta, riceve, dunque, il pieno sostegno e apprezzamento del Governo italiano.
I recenti avvenimenti dell'Unione europea, tra cui, in queste ore, il caso Ungheria, rafforzano il principio implicito nel Libro verde di intensificare l'attività di monitoraggio e confronto sulle situazioni previdenziali degli Stati membri e le misure che ciascuno di essi intraprende per adeguarsi alle dinamiche demografiche e alle contingenze, anche di lungo periodo, determinate dalla crisi.
Come ho affermato prima, è certamente vero che esistono significative differenze fra Stati, sia nella configurazione degli schemi previdenziali, sia nell'impatto degli andamenti demografici e di questo anche l'attività a livello europeo deve tenere conto. In definitiva, però, i conti pubblici sono un complesso unico e al loro interno la previdenza è un elemento centrale per tutti. L'Italia è, perciò, favorevole a intensificare l'attività di monitoraggio, di supporto, di indirizzo e di coordinamento a livello europeo.
Tale intervento si potrebbe concretizzare nella redazione di rapporti strutturati da parte degli Stati, che permettano di comparare le differenti situazioni e le rispettive misure di riforma, ma anche in un monitoraggio statistico delle principali variabili finanziarie, demografiche e ordinamentali che superi alcune disomogeneità che tuttora permangono nelle statistiche comparate.
Anche in questa sede è importante evidenziare che le differenti sezioni del Libro verde relative alla sostenibilità delle finanze pubbliche e all'innalzamento dell'età effettiva di pensionamento mostrano che ciò che il Libro verde evoca come aspirazione in Italia è già divenuto legge o lo è divenuto comunque in un clima di pace sociale.
Si tratta di un clima che si è giovato di un atteggiamento straordinariamente responsabile di quasi tutte le parti sociali e di un'opinione pubblica che si è dimostrata più consapevole e matura di quanto non le venga sistematicamente accreditato da parte di molti dei suoi più retorici fustigatori e che ha permesso di evitare il consueto esodo da terrore, che sovente è il prodotto di politiche di annuncio, che sono state purtroppo spesso accompagnate dall'assenza dei fatti.
Si tratta di un clima che stride, peraltro, con quello definito nella trascorsa legislatura, solo tre anni or sono, di un inopinato abbassamento dell'età di pensionamento, il quale appare tanto più contraddittorio se visto alla luce delle preoccupazioni espresse dal Libro verde.
È di particolare soddisfazione il riferimento esplicito nel quesito n. 3 a «meccanismi di adeguamento automatico all'evoluzione demografica per equilibrare la durata della vita attiva e quella della pensione».
È esattamente ciò che abbiamo fatto la scorsa estate, a partire dal 2015, per i lavoratori sia privati, sia pubblici, con una riforma che ha il pregio di poter operare automaticamente grazie a misure che non richiederanno a ogni passaggio un nuovo intervento legislativo, con i consueti contrasti, e che garantiranno la necessaria flessibilità e tempestività.
A questo primo intervento strutturale va aggiunto l'adeguamento dei coefficienti adottato all'inizio di quest'anno dopo lunga attesa e l'adozione delle finestre a scorrimento introdotte con la manovra estiva approvata pochi mesi fa, un intervento quest'ultimo che, oltre a eliminare difformità di trattamento dovute a fattori puramente casuali, ha permesso di elevare ulteriormente l'età di pensionamento rispettivamente di 12 mesi per i lavoratori dipendenti e di 18 per gli autonomi rispetto alla tabella di marcia prevista dalla riforma del 2009.
Appare, del resto, significativa l'enfasi con cui il Libro verde si sofferma sulla nuova divisione del percorso dei lavoratori fra vita attiva e vita quiescente, che le dinamiche demografiche richiedono. Si tratta di un approccio che necessita, oltre che di interventi legislativi, di un progressivo cambiamento culturale di valori.
L'adeguamento automatico ha fornito risposta a entrambe le esigenze, tra cui la necessità di sfuggire alla consueta trappola
che ha afflitto i passati tentativi di riforma, ossia quella di individuare il discrimine tra i lavoratori risparmiati dall'intervento e gli altri, determinando così due categorie contrapposte e portatrici di interessi conflittuali sufficientemente rilevanti da motivarle in un'opposizione sociale che è stata spesso significativa. La gradualità con cui opera il meccanismo permette, al contrario, di diluire gli effetti su una platea molto vasta e di accompagnare il mutamento dei costumi sociali che i tempi esigono.
Le proiezioni demografiche europee indicano che per mantenere l'attuale equilibrio nella distribuzione del reddito tra la componente attiva della società e quella quiescente senza aumentare il peso della spesa per pensioni o ridurne gli importi l'età di separazione dovrà essere spostata di qui al 2060 di 10 anni, cioè tendenzialmente verso i 70 anni anagrafici. L'effetto delle nostre riforme ci permetterà di giungere per gli uomini a 69 anni e 4 mesi per i dipendenti e a 69 anni e 10 mesi per gli autonomi nel 2050, nell'ipotesi delle attuali previsioni demografiche.
Sia la revisione del regime delle decorrenze per il pensionamento ordinario di vecchiaia e anticipato, sia l'attuazione dell'adeguamento dei requisiti anagrafici all'aumento della speranza di vita comportano effetti strutturali.
Il combinato dei due interventi comporta complessivamente una riduzione dell'incidenza della spesa pensionistica in rapporto al PIL di circa 0,2 punti percentuali nel 2015, crescente fino a 0,5 punti percentuali nel 2030, per poi scendere attorno allo 0,4 nel 2040 e poi allo 0,1 nel 2045, agendo quindi sul tempo intermedio della cosiddetta gobba.
Quello del cambiamento di approccio al ritiro dal lavoro è, infine, l'ultimo tema che traspare nel Libro verde con riferimento all'adeguatezza delle prestazioni pensionistiche, alla Strategia Europa 2020 e all'allungamento della vita attiva. Occorre avere consapevolezza che la stabilità dei conti non comporta, di per sé, anche l'adeguatezza delle future prestazioni a garantire un tenore di vita consono, se non conforme allo stipendio che si è percepito nella fase finale della vita attiva. Certamente la scelta di agire sull'età di pensionamento si muove nella direzione di evitare deterioramenti ulteriori del livello dell'assegno mensile futuro.
Se abbiamo ereditato un sistema previdenziale tutto incentrato sulla precocità del ritiro, anziché sul tenore di vita del pensionato, ciò è stato dovuto essenzialmente alla prevalenza dell'idea del contrasto tra capitale e lavoro. La pensione è stata a lungo, nei fatti, considerata una forma di risarcimento o, meglio, di interruzione dello sfruttamento del capitale sul lavoro, in un'ottica che era probabilmente già vecchia quando fu introdotta e che ai nostri giorni appare assurda.
Se il problema è innanzitutto culturale, allora la vera riforma delle pensioni sarà la riforma del mercato del lavoro. Dalla qualità del mercato del lavoro, infatti, e dalle retribuzioni che un'impostazione più moderna saprà garantire dipenderà la qualità delle nostre pensioni. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie a lei, signor Ministro.
Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
MICHELE SCANDROGLIO. Mi rivolgo al signor Ministro, che so essere titolare del dicastero che si occupa del vero grande problema dei prossimi decenni.
In un mondo globale dove le condizioni del lavoro, della previdenza e dell'assistenza sono tanto disparate da porre in oggettiva difficoltà chi offre un'alta protezione sociale come la nostra, quella occidentale, di un Occidente civile, che ha evoluto la propria socialità rendendola un diritto inalienabile, signor Ministro, non la invidio affatto. Lei è stato molto previdente dando vita a questa come a tante altre occasioni di confronto fra percezioni e sensibilità culturali molto differenti e, talvolta, anche opposte.
La risposta che ci deve dare è, a mio avviso, legata a un senso di responsabilità etica individuale che si è molto smarrito.
Ciò vale per tutti i livelli, dal più alto al più semplice. È un senso di responsabilità individuale che potrebbe essere la condizione che, una volta ritrovata, può davvero consentire di immaginare di iniziare un percorso concorrente tra tutti a dare una risposta, che nei numeri credo non si possa fornire. La grande velocità con cui si muove il mondo economico influisce, infatti, in modo talmente violento, fra le condizioni di previdenza e assistenza, che rincorreremo avvenimenti che saranno sempre davanti a noi.
Nel merito è difficile porre domande o avere risposte, credo che sia molto complicato. Mi piace, però, poter affermare che la sottolineatura dei princìpi etico-sociali, cui lei in questa relazione, come in tutta la sua storia, ha sempre voluto fare riferimento rappresenta la base per poter cominciare a lavorare senza pregiudizi. Con piacere, dunque, mi iscrivo tra coloro che seguono il suo lavoro, lo condividono e hanno la convinzione che si debba continuare su questa strada.
Nutro, però, un timore, ossia che le nostre risposte tecniche saranno difficilmente utili a risolvere il problema. Quando sento - e lo condivido - che la soglia di età sarà di 70 anni nel 2050, mi domando quale sarà il mondo in quell'anno. Quali tecnologie, quale nuova forma di utilizzo della scienza potremo avere a disposizione? Chi avrebbe potuto immaginare Internet 50 anni fa? Non credo che oggi saremo davvero in grado di dare una risposta certa, ma sono sicuro che, se stabiliremo oggi e per sempre i princìpi sui quali lavorare, troveremo condizioni oggettive sulle quali costruire le risposte.
MARIA ANNA MADIA. Colgo lo spunto condivisibile del Ministro, che ha chiuso la relazione sostenendo che, in fondo, quello in oggetto è un problema che dipende dalla qualità del mercato del lavoro, per porre due domande.
La prima è quali riforme il Ministro e il Governo hanno in mente proprio per rimediare ad alcune anomalie preoccupanti del nostro mercato del lavoro. Penso al fatto che oggi otto lavoratori su dieci entrano con contratti flessibili, che spesso rimangono atipici e non vengono convertiti in contratti a tempo indeterminato per tutta la carriera lavorativa.
Penso anche al fatto che oggi l'unico tipo di contratto aumentato in questa crisi è lo stage non retribuito, che può essere reiterato e con cui ormai si contrattualizzano persone di 40-45 anni.
Rispetto a queste anomalie di accesso al lavoro, che poi rimangono tali durante tutto l'arco della carriera lavorativa, vorrei sapere dal Ministro quali riforme il Governo ha in mente.
Vorrei, inoltre, conoscere a quali riforme pensa il Governo per la generazione che è, invece, già oggi vittima della transizione. Il presidente dell'INPS Mastrapasqua ci ha riferito che le prime pensioni erogate dalla gestione separata sono di circa 100 euro. È chiaro che oggi sono ancora poche, ma anche che in prospettiva saranno sempre di più le persone che avranno pensioni erogate, come unica fonte di contribuzione, dalla gestione separata.
Rispetto al fatto che avremo un'intera generazione sotto il minimo di sussistenza, date le carriere lavorative già di oggi - se una persona fa uno stage a 40 anni, anche se la si fa lavorare per 45 anni ci saranno problemi - quali sono per le vittime di questa transizione le proposte del Governo?
MARIALUISA GNECCHI. Parto anch'io con alcune domande, rilevando che noi non abbiamo, però, capito quale sia il progetto complessivo rispetto alle pensioni. Cerco di essere più precisa.
Nel 1992 è stata varata la prima riforma significativa, con il passaggio dai 15 ai 20 anni di contributi come situazione obbligatoria in termini quantitativi e l'innalzamento di cinque anni per gli uomini e per le donne, rispettivamente dai 55 ai 60 e dai 60 ai 65. Nel pubblico impiego si è giustamente eliminata la pensione baby, intervento di cui siamo tutti assolutamente convinti.
Nel 1995, con la legge n. 335, quindi con la riforma Dini, si è iniziato a pensare al calcolo contributivo, motivando tale scelta con un'idea di fondo. Si pensava al calcolo contributivo perché il calcolo retributivo e il sistema a ripartizione, valutando gli ultimi cinque e poi dieci anni di retribuzione, creavano pensioni che poi, dovendo essere pagate per 20-25 anni, generavano una situazione di squilibrio.
Riuscire a imporre a tutti di controllare che i contributi vengano versati fin dall'inizio del proprio rapporto di lavoro e non solo negli ultimi dieci anni era, dunque, comprensibile, come lo era capire che si doveva considerare anche il proprio conto previdenziale come un conto nel quale si accumulano contributi che daranno poi diritto a una prestazione.
Fino al 1995 era, quindi, tutto comprensibile, anche se possiamo affermare che si sarebbe potuto iniziare vent'anni prima, in particolare per il pubblico impiego. Sicuramente siamo tutti d'accordo.
La legge n. 335 del 1995 prevedeva anche altri elementi a completamento, come, per esempio, il portare a compimento il concetto della possibilità di totalizzazione e, quindi, del mettere insieme tutti i contributi delle gestioni nelle quali un contribuente se li ritrovava versati.
La settimana scorsa abbiamo avuto con noi il presidente dell'INPS in audizione. Sottolineo che è la prima volta, rispetto a tutte le audizioni che abbiamo tenuto in questi due anni e mezzo - per me è la prima esperienza alla Camera - che, dopo una settimana, non abbiamo ancora la relazione.
La prima parte della relazione ci spiegava le normative, che ovviamente noi conosciamo bene, ma la seconda ci avrebbe dovuto fornire almeno un po' di dati e avrebbe potuto forse permetterci di capire se esista un disegno.
Anche oggi, rispetto al discorso del Ministro, noi siamo preoccupati perché vediamo che in Francia è in corso una mezza rivoluzione per alcune norme più leggere rispetto a quelle che noi abbiamo visto nella manovra. A noi arrivano da tutte le parti, e immagino che arrivino anche ai colleghi della maggioranza, i volantini e le proteste di chi si lamenta che si è arrivati «in gran segreto - lo leggo testualmente - all'approvazione della legge», con riferimento alla manovra di conversione del decreto legge n. 78 del 2010 nella legge n. 122 del 2010.
Ovviamente tutti coloro che si ritrovano nel problema delle pensioni si accorgono che il decreto del 31 maggio non conteneva alcun riferimento, per esempio, all'abrogazione della legge n. 322 del 1958, né della ricongiunzione non onerosa, secondo la legge n. 29 del 1979. È tutto subentrato per la conversione in legge e, quindi, ciò non ha neanche permesso che ci si rendesse conto di questa situazione.
Adesso, a mano a mano che i contribuenti si rendono conto di che cosa significhi mettere insieme i contributi con una totalizzazione monca, perché la norma non è stata completata, e quindi si accorgono che il calcolo contributivo, sommando insieme pezzetti, diventa solo ed esclusivamente una penalizzazione enorme, emerge che non è prevista neanche la possibilità di tornare indietro sulla domanda di totalizzazione quando ci si è accorti che il calcolo diventa peggiore di quello che sarebbe stato se lo si fosse richiesto in un solo fondo tra quelli di cui si è titolari.
Ci rendiamo anche conto che in questa finanziaria si riducono anche i soldi per i patronati, che sono in questo momento non indispensabili, ma di più, per le singole persone che non sanno dove sbattere la testa per capire la loro situazione personale.
La domanda è la seguente: alla luce di quello che si sta muovendo rispetto a tutti coloro che si rendono conto di che cosa significhi andare in pensione un anno o 18 mesi dopo la riforma, per di più se hanno perso il lavoro, il Ministero sta pensando a una correzione?
Ovviamente abbiamo visto che anche i colleghi di maggioranza cominciano a pensare che ci sia bisogno di intervenire. Che cosa si pensa di fare per coloro che stanno proseguendo volontariamente e che aspettavano in grazia la pensione come unica
fonte di reddito? Che cosa si pensa di fare per tutti coloro che non hanno più la possibilità del trasferimento dei contributi all'INPS in modo non oneroso per poter avere un'unica pensione? Quando il Governo pensa di completare le regole della totalizzazione in modo tale che non penalizzino i calcoli delle singole casse previdenziali?
Vorremmo capire, in termini generali, quale progetto ci sia. Oltre a tutti i risparmi che continuano a venirci riferiti, oltre a pensare che già le riforme del 1992 e del 1995 e quella della legge n. 247 del 2007 avessero portato in equilibrio il sistema, vogliamo capire che cosa si ritiene di fare perché con le pensioni si possa anche vivere.
PRESIDENTE. Vorrei richiamare i colleghi a focalizzare l'attenzione in particolare sul Libro verde, che pone a noi parlamentari italiani alcuni quesiti sulla possibile armonizzazione a livello europeo e sui regolamenti che andrebbero adeguati.
Capisco che la presenza del Ministro induca anche ad affrontare, giustamente, i temi che ci riguardano molto da vicino, però cerchiamo di approfittare della sua presenza, dopo la sua audizione, per indirizzare le nostre domande su questi aspetti specifici. Non mancherà l'occasione di parlare anche di altro.
CESARE DAMIANO. Non garantisco di rispettare le sue indicazioni, ma mi sforzerò di farlo.
Volendo essere schematico, vorrei rilevare che il Ministro ha più volte dichiarato nel corso dei mesi che questo Governo non avrebbe toccato il sistema pensionistico. Mi pare che il percorso non sia andato in questa direzione.
Questa mattina nella legge finanziaria abbiamo eseguito un conto e abbiamo visto che i risparmi e i tagli cosiddetti lineari, in assenza di investimenti per lo sviluppo, che speriamo arrivino - c'è un annuncio - ammontano per la parte sociale al 67 per cento di tutti i tagli. All'interno vi è il sistema pensionistico. Non credo, come ho già affermato, che ci si debba vantare troppo di avere riformato per decreto alcune norme che riguardano le pensioni. Di solito si fa una concertazione su questi punti piuttosto che procedere per decreti e norme.
Volevo capire anch'io qual è l'indirizzo che il Governo intende perseguire nel momento in cui ci mancheranno all'appello, il prossimo anno, 3 miliardi di risorse, come si è visto dai conti.
Per la seconda questione mi associo all'onorevole Gnecchi, visto che il Ministro è presente: vorremmo ricevere la relazione del presidente dell'INPS.
Per quanto riguarda le questioni europee, sicuramente uno dei punti è relativo alle cosiddette pensioni integrative. In merito penso che dovremmo promuovere una legislazione che aumenti la portabilità dei contributi e vorrei capire quale è l'opinione del Ministro al proposito.
Non emerge solo il problema di un'immigrazione massiva, che caratterizzerà, con gli spostamenti nell'ambito dei Paesi che entrano nella Comunità europea, ingenti masse di persone che si trasferiranno di luogo, ma anche quello di giovani generazioni formate e istruite nel nostro Paese che tentano la strada della migrazione.
È evidente, quindi, che abbiamo bisogno di un sistema in rete che sia capace, nel momento in cui si acquisiscono contributi provenienti da altri Paesi o se ne portano dal nostro Paese ad altri, di far sì che ciò non precluda un risultato a sommatoria. Altrimenti, come capita in alcune circostanze, si realizza una penalizzazione paradossale, visto che tutti sostengono l'esigenza di una mobilità, non solo delle merci, ma anche delle persone, e non solo nell'ambito della Comunità europea.
Passo a un'altra domanda. Sulle pensioni integrative indubbiamente il risultato previsto, basso, della pensione pubblica dovrebbe incentivare tutti a sostenere le pensioni integrative. Non mi pare, però, che questo Governo, a differenza di quello precedente, abbia predisposto campagne di sostegno.
Capisco che è in atto una situazione economicamente controproducente e che i risultati a breve non sono stati brillanti, anche se insisto nel rilevare che per i fondi negoziali il risultato è comunque a vantaggio del lavoratore, perché sono previsti il versamento dell'imprenditore e una tassazione agevolata.
Non pensa il Ministro che, per avere una seconda gamba integrativa della pensione pubblica, sarebbe necessario promuovere un'azione di Governo per l'adesione soprattutto delle giovani generazioni? In fondo, il Ministro, a ogni piè sospinto e giustamente, enfatizza il ruolo della bilateralità nel rapporto fra le parti sociali. I fondi pensione, però, non sono l'espressione più pura e genuina di un'azione bilaterale, anzi congiunta, del sindacato dei lavoratori e delle imprese? Non andrebbero sospinti, incentivati, razionalizzati, affinché ce ne siano magari anche meno nel settore dei servizi, per consentire di aggregare soprattutto i lavoratori delle piccole imprese?
Il Governo non pensa di procedere a una strada, conformemente anche ad alcuni suggerimenti dell'Unione europea, per sospingere verso l'adesione, anche favorendo, attraverso una migliore tassazione di vantaggio per i lavoratori aderenti, l'aumento delle adesioni stesse?
Un'altra questione, già sollevata dall'onorevole Madia, riguarda la qualità delle pensioni. Si pone un problema di prospettiva per le giovani generazioni. Il Ministro pensa che sia compatibile un'idea giusta di pensioni di qualità, mentre il Governo va nella direzione di un ampliamento delle forme precarie nel mercato del lavoro? Non è controproducente, non è un controsenso?
Non sarebbe opportuno, viceversa, promuovere con un'azione legislativa una diminuzione del costo del lavoro a tempo indeterminato a massima contribuzione pensionistica, se vogliamo ottenere un risultato?
Non pensa poi il Ministro che sarebbe bene riprendere la previsione contenuta nel Protocollo del 2007 circa il raggiungimento di un obiettivo di tasso di sostituzione, pensione e retribuzione, almeno del 60 per cento attraverso il massimo della totalizzazione dei contributi, migliorando l'attuale normativa, accanto alle altre, con contributi figurativi in carenza di lavoro o riscatto più favorevole della laurea?
Infine, sempre per quanto riguarda le pensioni collegate alla situazione più esposta dei lavoratori, formulo una domanda: avendo avuto una risposta sul tema lavori usuranti, contenuto nel collegato - abbiamo una delega a tre mesi e, quindi, dovremmo anche impegnarci a fondo per attuarla - le risorse messe a disposizione nel 2007, risorse decennali che giacciono presso il Ministero dell'economia e delle finanze, come comunicato in una risposta da parte vostra, ci sono ancora o sono state sequestrate? Se sono state sequestrate, come facciamo a ristanziarle per fare in modo che la normativa sui lavori usuranti trovi finalmente la sua conclusiva definizione?
MASSIMILIANO FEDRIGA. Sarò schematico in rispetto dei colleghi che vorranno intervenire e della possibilità per il Ministro di replicare.
La prima domanda che pongo al Ministro è se la posizione dell'Italia riguardo al Libro verde è in linea con quelle dei partner europei, ossia se esiste una convergenza per lo meno sui grandi temi. Sono chiaramente a conoscenza del fatto che esistono differenziazioni molto evidenti soprattutto con i nuovi Paesi entrati all'interno dell'Unione europea per quanto riguarda la previdenza.
Vengo alla seconda domanda. Quando parliamo di libertà di circolazione nel mercato del lavoro per l'Unione europea, vorrei sapere se il Governo intende comunque portare una posizione dell'Europa che sensibilizzi anche sulle problematiche che si possono venire a creare soprattutto nei Paesi di primo ingresso all'interno dell'Unione stessa.
La terza e ultima domanda - mi perdoni, Ministro - non è direttamente correlata. Colgo, però, l'occasione, visto che si è parlato di gestione separata, per conoscere la posizione del Governo per quanto
riguarda i professionisti senza cassa che rientrano nella gestione separata e pagano contributi decisamente superiori rispetto ai colleghi che hanno una cassa.
Non sono l'unico a essere sensibile all'argomento. Vorrei sapere se si può intervenire in questa direzione per lo meno per andare inizialmente a individuare i soggetti, che non sono parasubordinati, ma liberi professionisti esattamente come quelli con cassa.
PRESIDENTE. Do la parola al Ministro per la replica.
MAURIZIO SACCONI, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Ringrazio l'onorevole Scandroglio per le sue considerazioni e rispondo all'onorevole Fedriga che le sue considerazioni di ordine generale relative al rapporto tra noi e l'Unione trovano già spiegazione nella relazione che ho reso prima, anche con riferimento al problema relativo ai nuovi ingressi nell'Unione, alle popolazioni che da questi Paesi si muovono e ai problemi conseguenti dal punto di vista dei sistemi previdenziali.
Capisco il problema che lei solleva per quanto riguarda i professionisti senza cassa, che sono oggi nella gestione separata. Il problema è oggettivamente all'ordine del giorno. Emerge anche in relazione a ciò un'esigenza di oneri, che si determina inevitabilmente con la loro uscita da quella attuale gestione.
Devo far notare ai colleghi di opposizione che in ciascuno dei loro interventi si ritrova una richiesta di fortissimi incrementi di spesa pubblica, comunque li si vogliano giudicare. Oggettivamente tutte le proposte suggerite riguardano fortissimi incrementi di spesa pubblica. Comprensibilmente, si afferma che sarebbe bello poter effettuare una totalizzazione non onerosa.
La totalizzazione, tuttavia, non è mai onerosa per esigenze non direttamente inerenti all'equilibrio tra contribuzioni e prestazioni; è un'esigenza evidentemente crescente. Ha ragione la collega quando ne richiama l'importanza in andamenti della vita lavorativa sempre più caratterizzati da varietà, se non da discontinuità.
Dobbiamo, però, mantenere ferma la barra di un sistema di previdenza obbligatoria autosostenibile di tipo contributivo. L'impianto riformatore del 1992 che lei ha citato e, successivamente, quello del 1995 hanno introdotto una virtù del sistema nel lungo periodo, che è stata confermata dalle misure che abbiamo successivamente adottato, le quali hanno agito sul tempo intermedio nel quale tale sistema lasciava irrisolti alcuni profili di equilibrio, aggravati da quella che mi permetto di chiamare una controriforma, cioè dall'abbassamento dell'età di pensione con il Protocollo sul lavoro del 2007, in controtendenza a quanto in tutti i Paesi europei si andava compiendo in quel momento.
È onerosa l'idea di incentivare i fondi pensione attraverso una fiscalità più generosa, anche se trova una motivazione che condivido assolutamente.
Credo che nella riforma fiscale dovremo individuare modi con cui razionalizzare le stesse misure di incentivazione, che sono, come la ricognizione ci insegna, in numero straordinario, concentrandole maggiormente non solo sul lavoro o sulla famiglia, ma soprattutto sulle attività che la società sa autonomamente organizzare e che suppliscono alla debolezza o all'assenza delle funzioni pubbliche, come è il caso della previdenza complementare.
Sono onerose le ipotesi di ridurre il costo del lavoro, ancorché nel caso del contratto di lavoro a tempo indeterminato, che rappresenta, però, come sappiamo, l'87 per cento circa dello stock dei contratti di lavoro dipendente nel nostro Paese. Oltre a essere onerosa, tale ipotesi contraddice il sistema contributivo, che è stato costruito proprio con le riforme del 1992 e soprattutto del 1995.
Sarà oneroso il ricorso ad accordi bilaterali per flussi migratori rotatori a carattere probabilmente sempre più rotatorio, che potremmo stipulare con Paesi anche di nuovo sviluppo, i quali potrebbero in misura crescente chiederci quanto
abbiamo stipulato con Paesi di emigrazione in relazione al ricongiungimento dei periodi previdenziali.
Credo che non ci siano consentite, ragionevolmente, nel futuro spese correnti destinate ad alzare ulteriormente la straordinaria dimensione della spesa pubblica, composta di stipendi pubblici e di prestazioni previdenziali e assistenziali, la quale riduce attualmente all'11 per cento le spese varie sulle quali si può agire nell'immediato senza modificare l'attuale impianto sociale.
Dovremo certamente applicare la riforma relativa ai lavori usuranti, che il Parlamento ha varato proprio nella consapevolezza di una copertura, che altrimenti non avrebbe consentito il varo della norma stessa. È un completamento di un percorso di riforma già annunciato, che a questo punto deve essere realizzato in termini coerenti con le dotazioni di bilancio.
Infine, in merito al mercato del lavoro, vorrei ricordare che il Governo ha recentemente presentato un piano triennale proprio per le riforme del mercato del lavoro, indicando gli interventi in esso necessari e che devono essere il frutto di una leale collaborazione tra Stato e regioni.
Mi piace sottolineare che poco fa ho firmato con tutte le regioni italiane e con tutte le parti sociali un accordo relativo alla promozione del contratto di apprendistato come contratto tipico dell'ingresso nel mercato del lavoro rispetto a modi di ingresso che, purtroppo, hanno spesso cannibalizzato questo contratto ideale, come l'uso improprio dei tirocini o delle collaborazioni coordinate e continuative.
Il citato accordo per la promozione del contratto di apprendistato è molto importante e cerca di superare anche le difficoltà interpretative relative ai diversi regimi regionali. Esso ha dato luogo anche a un tavolo per pervenire a un modo il più possibile condiviso con cui applicare la delega recentemente conferita dal Parlamento al Governo per l'ulteriore riforma del contratto di apprendistato.
Per quanto riguarda le collaborazioni e la gestione separata, voi sapete che in realtà questa gestione è straordinariamente attiva, perché riunisce spezzoni lavorativi di breve periodo, che, da un lato, non raggiungono la minima dimensione richiesta da tale gestione, che è stata peraltro ridotta da cinque a tre anni, e, dall'altro, spesso non sono convenienti le ricongiunzioni.
Ciò spiega come spesso le collaborazioni coordinate e continuative siano davvero occasionali e attengano a un segmento della vita lavorativa. Nell'esigenza di comprendere tutti le parti della vita lavorativa dovremmo cercare di consentire più agevolmente opportunità di ricongiungimento e quindi di totalizzazione.
Francamente, ritengo davvero un caso limite di scuola quello di una persona che lungo tutto l'arco della vita lavori come un collaboratore a progetto a monocommittenza, cioè in una condizione subìta e con un reddito misero, come è sovente quello delle collaborazioni a progetto.
Il problema vero è che molti nostri giovani entrano tardi e male nel mercato del lavoro e che questa condizione li può indurre a percorsi non brevi, i quali, sommati alla lunga fase di inattività, riducono il periodo della vita lavorativa in cui possono essere accantonati adeguati versamenti contributivi.
Anche per questo motivo lanceremo il Giorno per il futuro, per sviluppare la cultura previdenziale e incoraggiare il recupero del periodo di laurea con l'aiuto della famiglia. Quest'ultimo è un regalo che la famiglia può fare ai figli molto più utile di altri regali venali, soprattutto se realizzato immediatamente all'atto della laurea, quando non esiste ancora un reddito del beneficiario.
In questo Giorno per il futuro cercheremo di sviluppare una cultura riferita tanto alla previdenza obbligatoria, quanto alla previdenza complementare in un Paese nel quale fortunatamente essa si è presentata con caratteri ancora un po' atrofizzati, ma certamente stabili.
Il nostro è, infatti, un sistema di previdenza complementare che sta funzionando
e che sta presentandosi nei termini più idonei per agganciare la fiducia delle lavoratrici e dei lavoratori. Dobbiamo individuare i momenti opportuni per un forte rilancio della previdenza complementare, coincidenti anche con un miglior andamento dei rendimenti nei mercati azionari.
La nostra intenzione è quella di sostenere fortemente la previdenza complementare, tanto necessaria da quando siamo entrati nel regime contributivo, con le conseguenze sul tasso di sostituzione che collega la pensione al salario.
PRESIDENTE. Nel ringraziare il Ministro, dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15.