Sulla pubblicità dei lavori:
Palumbo Giuseppe, Presidente ... 3
Audizione del Ministro della salute, professor Renato Balduzzi, in merito alla prossima emanazione del regolamento che, in attuazione dell'articolo 15, comma 13, lettera c)del decreto-legge n. 95 de 2012, deve definire gli standard relativi all'assistenza ospedaliera, al fine di procedere alla riduzione dei posti letto (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Palumbo Giuseppe, Presidente ... 3 7 16 18
Balduzzi Renato, Ministro della salute ... 3 16
Binetti Paola (UdCpTP) ... 10
Burtone Giovanni Mario Salvino (PD) ... 13
D'Incecco Vittoria (PD) ... 16
Di Virgilio Domenico (PdL) ... 7
Lenzi Donata (PD) ... 12
Miotto Anna Margherita (PD) ... 14
Palagiano Antonio (IdV) ... 8
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Intesa Popolare): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Autonomia Sud - Lega Sud Ausonia - Popoli Sovrani d'Europa: Misto-ASud; Misto-Fareitalia per la
Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL; Misto-Diritti e Libertà: Misto-DL.
Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 13,45.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro della salute, professor Renato Balduzzi, in merito alla prossima emanazione del regolamento che, in attuazione dell'articolo 15, comma 13, lettera c) del decreto-legge n. 95 del 2012, deve definire gli standard relativi all'assistenza ospedaliera, al fine di procedere alla riduzione dei posti letto.
Do quindi la parola al Ministro della salute, Renato Balduzzi.
RENATO BALDUZZI, Ministro della salute. Grazie, presidente, ringrazio l'intera Commissione per questa opportunità. Non è stato semplice inserirla nelle reciproche agende, ma l'argomento richiede davvero un'attenzione, in quanto è forse uno degli atti più importanti che riguardano la sanità, nonostante la sua forma giuridica di regolamento, forma giuridica che sarebbe opportuno riuscire a semplificare.
Si tratta infatti di un procedimento molto complesso, che non credo sia interamente coerente con l'oggetto: infatti, è più complesso di quello che riguarda la declaratoria dei livelli essenziali di assistenza, mentre si penserebbe che gli standard ospedalieri debbano seguire la stessa procedura dei LEA.
Lo dico perché so che in questo momento c'è un emendamento presentato al Senato (forse più d'uno) in sede di disegno di legge di stabilità, che prevede proprio una riconduzione del procedimento di adozione di questo regolamento sugli standard ospedalieri a quello previsto per i LEA (ovvero DPCM); quindi, non dico «medesimezza», onorevole Barani, perché poi lei mi corregge, ma identità del procedimento sì.
Confido che tale emendamento possa essere favorevolmente accolto, perché porterebbe non solo a uno snellimento del procedimento relativo a questo regolamento, ma anche a un allineamento con il procedimento relativo ai LEA.
Loro tutti conoscono il senso di questa iniziativa, che è quello di riuscire a dare degli standard soprattutto per quanto riguarda i bacini delle specialità mediche e l'ancoraggio ai volumi. Abbiamo ormai la possibilità di disporre di dati relativi, abbiamo la codificazione delle specialità, i volumi e gli esiti, ma mancano standard condivisi, che possano orientare la riorganizzazione della rete ospedaliera, che, come più volte condiviso in questa Commissione, è un elemento indispensabile per
realizzare quella manutenzione straordinaria, quella razionalizzazione, quella riforma (chiamiamola come vogliamo) necessaria a rendere sostenibile un sistema articolato come il nostro.
Sotto questo profilo, in sede di Conferenza Stato-Regioni il Governo ha presentato una proposta, realizzata attraverso l'importante apporto di alcuni organismi tecnico-scientifici del Servizio sanitario nazionale, di standard molto impegnativa, che è stata sottoposta alla discussione in sede di confronto tra Governo e regioni, perché fissare standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi sull'assistenza ospedaliera significa realizzare l'architrave del sistema.
Visto che i livelli di assistenza sono essenziali perché necessari e appropriati e l'appropriatezza non è solo quella clinica, ma anche quella organizzativa, o riesco a disegnare una rete che per quanto riguarda il profilo ospedaliero abbia quei requisiti di appropriatezza oppure evidentemente mi manca una parte.
Vorrei quindi articolare l'intervento in sette punti. Il testo di cui si sta parlando è stato trasmesso alla Conferenza Stato-Regioni, ma poi c'è stata un'interlocuzione, quindi dirò su quali punti quel testo sia già stato elaborato e migliorato.
Il primo punto è la classificazione delle strutture ospedaliere, punto che dal punto di vista culturale ha creato qualche incomprensione, perché le strutture ospedaliere che erogano prestazioni in regime di ricovero a ciclo continuativo o diurno per acuti sono classificate secondo livelli gerarchici di complessità, su tre livelli di complessità crescente.
Si afferma che avremmo riprodotto un'idea antica che preesiste addirittura alla legge n.833 del 1978, perché vigeva la legge Mariotti (chi ha almeno la mia età ricorda, ma qui per fortuna ci sono molti più giovani). Sotto il profilo della classificazione considero difficile non aderire a un'idea secondo cui vi sono dei presìdi di base con un bacino di utenza tra gli 80.000 e i 150.000 abitanti, dei presìdi ospedalieri che la nostra proposta di regolamento definisce «di primo livello» tra 150.000 e i 300.000, dei presìdi di secondo livello, i veri e propri ospedali di riferimento, con un bacino tra 600.000 e 1.200.000 abitanti.
Altra cosa è come organizzare dentro questi ospedali l'intensità di cura. Nella discussione in queste settimane si sono intrecciati questi due profili, ma una cosa è la classificazione delle strutture secondo livelli di complessità crescente (bacino di utenza), altra cosa è organizzarle all'interno. Siamo stati molto soft sull'organizzazione, perché riteniamo che appartenga a una responsabilità non solo regionale, ma addirittura aziendale del Servizio sanitario nazionale.
C'è poi il problema delle strutture ospedaliere private. Anche qui abbiamo immaginato tre livelli, per cui possono fungere da presidio ospedaliero di base oppure di primo o di secondo livello, e avere anche compiti complementari e di integrazione all'interno della rete ospedaliera, perché una regione possiede strutture molto diversificate. Bisogna quindi evitare rigidità, perché alcune strutture con una specifica vocazione in ordine a una patologia o a un complesso di patologie, quindi non generaliste, potrebbero essere utilmente inserite nella rete.
All'inizio avevamo proposto una soglia impegnativa, che ci era stata rappresentata come internazionalmente sostenibile, non inferiore a 80 posti letto per acuti. Il parametro era dettato da più necessità: bisognava garantire economie di scala, che sono dipendenti dalla dimensione e dal volume delle attività. L'importante approfondimento fatto con le regioni ha però consentito di verificare che si può arrivare agli stessi obiettivi attraverso uno strumento meno rigido, meno assoluto.
Non siamo ancora alla fine di questa discussione e anzi nella relazione triadica tra Governo, Parlamento, regioni l'input che può venire dalla discussione di oggi è molto importante. Stiamo andando a rappresentare un duplice punto di caduta. Abbiamo calcolato che il sistema può reggere facilmente, senza venire meno alle esigenze di razionalizzazione, anche una
diminuzione di questa soglia, purché non sia raggiunta attraverso modalità troppo artificiose.
Una proposta era 60 a prescindere dal numero di strutture che si accorpano in capo a un unico titolare con responsabilità, e questo può non essere pienamente in linea, in quanto si possono immaginare due strutture che si accorpano, ma, se ne metto tre, quattro o cinque, dire che ho fatto una razionalizzazione perché le ho riferite a un unico centro di imputazione è un po' debole, oppure si può scegliere un livello ancora inferiore ma con un solo centro di imputazione.
Stiamo andando in questa direzione e sarebbe molto importante avere un'interlocuzione su questo punto con la Commissione, tenendo presente (anche questo non è stato compreso sufficientemente) che l'orientamento è quello di riferire questo processo graduale dal 1 gennaio 2015, con tutto il tempo per le Regioni e le strutture interessate di immaginare eventuali processi di concentrazione, di aggregazione e di rivisitazione della propria offerta assistenziale.
Il secondo punto è rappresentato dagli standard minimi e massimi di strutture per singola disciplina. Abbiamo individuato i tassi di ospedalizzazione attesi per disciplina e i relativi bacini di utenza. Il nucleo di questa proposta, la novità è questa. Possiamo farlo perché adesso ci sono i dati (non è solo una questione di volontà politica) mentre prima non c'erano. Questo è ancora più importante per quanto riguarda i volumi e gli esiti, ma anche per gli standard.
Abbiamo articolato il dimensionamento delle diverse discipline dentro la rete ospedaliera in relazione al bacino di utenza. Dico discipline e non specialità perché non c'è identità tra queste due cose, e in qualche caso a una disciplina può non corrispondere una specialità (l'endoscopia ad esempio si colloca a cavallo tra più specialità).
Abbiamo articolato il dimensionamento delle discipline in relazione al bacino di utenza, che è stato calcolato sulla base della frequenza delle patologie nella popolazione di riferimento e della numerosità minima dei casi. In questo modo siamo arrivati a definire la situazione che motiva l'esistenza di una struttura complessa, di un primariato. Ovviamente per quanto riguarda l'alta specialità i parametri indicati tengono conto della necessità di garantire la buona qualità delle prestazioni, quindi una concentrazione in un numero limitato di presìdi, a fronte di un ampio bacino di utenza. Questo vale soprattutto per alcune specialità chirurgiche, ma non solo.
Laddove abbiamo regioni che hanno un bacino di utenza per specifica disciplina inferiore ai valori soglia, abbiamo ipotizzato che l'attivazione o conferma di primariati in questa disciplina, di strutture complesse da affidare in capo a un direttore di struttura complessa sia subordinata alla stipula di accordi di programmazione interregionali con le regioni confinanti, così da garantire il rispetto del valore soglia. C'è una flessibilità ma i parametri devono esser obiettivi, cioè epidemiologici e di accessibilità.
Terzo punto: volumi ad esiti (vado molto veloce). Lo si può fare oggi perché abbiamo avuto il programma nazionale esiti, ormai da molti anni collaudato, e questo effettivamente ha consentito, sia per i volumi sia per gli esiti, di individuare soglie minime scientificamente sostenibili, non legate a questa o quella preferenza, così da definire criteri non discrezionali per riconvertire una rete ospedaliera ed esprimere valutazioni per l'accreditamento.
Entro sei mesi dalla data di emanazione del regolamento saranno definiti i valori soglia per volumi di attività, correlati agli esiti migliori e le soglie per i rischi di esito. Questo è un processo molto importante, che è stato preparato nel corso degli anni e sta arrivando a un punto di caduta positivo. Per fare tutto questo c'è naturalmente una Commissione ad hoc composta da Ministero, Age.Na.S., Regioni, Province autonome, e la Commissione provvederà ad aggiornare periodicamente le soglie di volume di esito.
Nel frattempo abbiamo individuato soglie minime di volumi di attività e soglie di rischio di esito per alcune procedure. Sono stati già individuati il carcinoma alla mammella, la colecistectomia laparoscopica, l'infarto miocardico acuto, il bypass aortocoronarico, l'angioplastica coronarica percutanea in maternità. Qui abbiamo già soglie minime di volume di attività e soglie di rischio di esito, perché in queste discipline la produzione di dati è molto importante.
Standard generali di qualità. Questa riflessione si potrebbe dire tutta in inglese, perché sono tutte definizioni internazionali e non abbiamo fatto altro che recepire la communis opinio della koinè sanitaria internazionale sui requisiti necessari perché un servizio sia di qualità, sostenibile, responsabile, incentrato sui bisogni. Abbiamo quindi fissato degli standard organizzativi; il modello è quello della clinical governance e gli standard sono graduati secondo i livelli degli ospedali, quindi di base, primo livello, secondo livello. Da questo punto di vista i criteri sono comuni.
È stato posto un problema: come questi standard vadano a impattare sui requisiti minimi, quelli del vecchio articolo 8, comma 4 della legge n. 502 del 1992. Sono aggiuntivi cioè ampliano, non sostituiscono gli standard organizzativi che già la disciplina vigente precisa, e ci sono anche standard specifici per l'alta specialità.
Reti ospedaliere. Il documento indica alle regioni di adottare specifiche disposizioni per quelle reti per patologia che integrano l'attività ospedaliera per acuti e post-acuti con quella territoriale. Voi già conoscete l'elenco che è stato mandato alla Conferenza Stato-Regioni, per cui vi dico soltanto che alle reti infarto, ictus, traumatologica, neonatologica, punti nascita, medicine specialistiche, oncologica, pediatrica, abbiamo aggiunto altre tre reti: trapiantologia, dolore e malattie rare.
C'è stata un'interlocuzione in cui il Ministero aveva già pensato di integrarle, e il confronto con i vari settori e l'articolazione regionale hanno confermato che queste reti sono già mature per entrare in una tipologia e quindi su queste si dice alle Regioni di adottare nel triennio specifiche direttive (e in molte regioni è già così).
Ancora due punti: la rete dell'emergenza urgenza e la continuità ospedale-territorio. Per quanto riguarda la prima, si prevede un servizio di emergenza territoriale tecnologicamente avanzato che sia sviluppato e che garantisca la continuità assistenziale. Per fare questo bisogna indicare degli standard che riguardano anche la definizione del fabbisogno di ambulanze, di mezzi di soccorso medicalizzati sul territorio regionale, delle postazioni territoriali e i servizi di elisoccorso.
Sono previsti punti di primo intervento, che sono indispensabili per razionalizzare la rete, per cui chiudere un Pronto soccorso non significa che non ci sia più niente, aspetto importante che spesso nella comunicazione sui territori non è sufficientemente sottolineato.
Noi riconvertiamo strutture che non abbiano standard di sicurezza adeguati, perché con volumi e bacino troppo limitati, ma il punto di primo intervento può tranquillamente costituire un riferimento H24 per la generalità della popolazione. A seconda del bisogno sarà poi importante capire dove ciascuno di noi debba essere indirizzato.
Per quanto riguarda i Pronto soccorso, il modello è quello ormai consolidato Hub & spoke e ci sono quattro livelli di operatività: l'ospedale sede di Pronto soccorso, i presìdi ospedalieri in zone particolarmente disagiate, l'ospedale sede di DEA di I livello e l'ospedale sede di DEA di II livello. Da questo punto di vista è una razionalizzazione, che in alcune realtà regionali già esiste, e anche qui si è fatto riferimento alle migliori pratiche.
L'ultimo punto è la continuità ospedale-territorio. È chiaro che questa riorganizzazione potrà realizzarsi se nel contempo saranno potenziate le strutture territoriali, e d'altra parte abbiamo dedicato molta attenzione nel decreto-legge n.158 del 2012 all'articolo 1, perché era chiaro a tutti il rapporto tra le due cose.
Le strutture territoriali sono un filtro per contenere ricoveri inappropriati, ma hanno anche importanza per quanto riguarda l'uscita, l'output dopo la fase acuta. Credo che queste iniziative di continuità ospedale-territorio siano indispensabili, e il provvedimento prevede clausole che consentano alle regioni di procedere contestualmente al riassetto dell'assistenza primaria domiciliare e residenziale, mentre riorganizzano la rete ospedaliera.
C'è infatti un problema di mettere in parallelo queste due riforme, che sono in parallelo dal punto di vista normativo perché sono state disegnate nel 2012 all'interno di un unico disegno, ma hanno una tempistica che può essere diversa.
Il regolamento fornisce indicazioni anche sulle strutture intermedie, interfaccia tra la territoriale e la ospedaliera, in particolare per quanto riguarda i cosiddetti «ospedali di comunità».
Nella comunicazione, specialmente da parte di alcuni portatori di interesse, c'è stato un allarmismo ingiustificato, in quanto il processo che si mette in atto richiederà attenzione da parte del Parlamento, del Governo, dei decisori regionali e aziendali, ma deve realizzarsi gradualmente, in quanto entro il 2013 va previsto il processo, nel 2014-2015 bisogna controllare che venga applicato, per arrivare a regime a una situazione ottimale.
Credo da questo punto di vista che sia importante (lo dico da ultimo perché è una preoccupazione che in questa Commissione è stata sollevata più volte) il ruolo nazionale del secondo tavolo romano, in quanto c'è quello degli adempimenti tecnici e c'è quello dei livelli essenziali.
La struttura del regolamento dà a ciascuno il suo: al tavolo del Patto per la salute precedente assegna una responsabilità particolarmente importante, che è compito - ciascuno per le proprie competenze e responsabilità - di Governo e Parlamento monitorare.
PRESIDENTE. Grazie, Ministro, per la sua relazione che in alcuni punti abbiamo visto molto sofferta (nel senso buono della parola). La questione implica molte messe a punto e razionalizzazioni della gestione della rete ospedaliera della sanità nel nostro Paese.
Come lei giustamente ha evidenziato, l'allarmismo è stato tanto forse perché molti hanno pensato che dall'oggi al domani tutto questo potesse essere applicato, mentre lei ci ha detto che l'applicazione sarà graduale visto che il regolamento prevede che si arrivi a regime nel 2015; per cui qualche modifica potrà nel tempo essere apportata, sebbene alcune regioni abbiano già applicate alcune di tali disposizioni.
Do ora la parola ai colleghi che desiderino intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.
DOMENICO DI VIRGILIO. La ringrazio, signor Ministro, per il suo intervento che non è semplice interpretare. Ha chiarito che ci sono stati degli allarmismi inutili, e questo conferma che bisogna saper leggere tra le righe.
Come lei sa sicuramente più di me, la medicina poco si accorda con rigide formule matematiche, perché è in grado di modificare alcuni standard che, se presi come norme rigide, possono far saltare tutti i conti.
Il premier Monti ha giustamente richiamato l'attenzione sui conti della sanità, e voglio ricordare come un articolo della nostra Costituzione stabilisca che «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti». Questo dice la nostra Costituzione e va tenuto presente specialmente per quanto riguarda uno dei parametri che non viene preso in considerazione: l'invecchiamento dalla popolazione!
La Ragioneria generale dello Stato ci dice che nel 2010 la spesa sanitaria copriva il 7,3 per cento del PIL, nel 2060, ultimo anno preso in considerazione dalla Ragioneria generale dello Stato, salirà all'8,2 per cento.
Nel 2010 in Italia gli uomini vivevano 79,1 anni e nel 2060 in media 86,2 anni, e le donne, che nel 2010 vivevano 84,3
anni, nel 2060 supereranno anche quota 90. Gli anziani notoriamente fanno uso di medicine, di ricoveri, di visite, quindi costano di più. Se dunque questo parametro non viene preso in considerazione, saltano tutti i conti e i parametri da lei enunciati.
Bisogna quindi tenere presente questo aspetto perché il PIL aumenta e oggi il cittadino deve oggi far fronte a circa 40 miliardi (dati del Censis) di euro da pagare di tasca propria, oltre alle tasse che paghiamo, per cui questo non verrà mai colmato se non si tiene presente il parametro dell'invecchiamento della popolazione che è un dato di fatto.
Per quanto riguarda la sanità privata, lei ha parlato degli 80 posti letto evidenziando però che la situazione è ancora in discussione e che nel 2015 si dovrebbe giungere a una definizione. Le regioni hanno già autorizzato a compiere azioni di riconversione per strutture specialistiche e hanno assicurato di rilasciare accreditamenti istituzionali anche nel caso in cui il numero dei posti letto fosse inferiore a 30. Vorrei chiederle quindi se queste strutture abbiano speso inutilmente dei soldi.
Lei ha giustamente evidenziato l'esigenza di potenziare la presenza al territorio, e questo è collegato all'invecchiamento dalla popolazione. Qui rivendico ancora una volta il ruolo dello Stato rispetto alle Regioni che comunque possono insieme lavorare su questo punto.
Se l'assistenza domiciliare non funziona bene, se le RSA non sono organizzate bene, mancano queste strutture e l'invecchiamento della popolazione è un dato di fatto inarrestabile, mi chiedo come faremo.
Quelli da lei citati sono parametri e linee guida adeguati, però la medicina è un evento imprevedibile, non può essere soggetta solo a formule matematiche, perché altrimenti rimarremo delusi per quanto riguarda il programma futuro.
ANTONIO PALAGIANO. Ho preso appunti delle dichiarazioni del Ministro in Commissione e alcune mi lasciano perplesso.
Vorrei innanzitutto agganciarmi a quello che ha sostenuto l'onorevole Di Virgilio, perché, in base a un dato dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, a un aumento dell'età media del 3 per cento corrisponde un incremento del Welfare del 50 per cento. Questo è un dato mondiale, non un dato dell'Italia in crisi, quindi credo che sia un problema non solo del Ministro Balduzzi, che induce a chiedersi come sostenere il debito nei Paesi del terzo mondo e come rispondere a una crescente richiesta di sanità in Paesi che tagliano risorse alla sanità.
Noi siamo particolarmente svantaggiati perché secondo il Censis siamo in una recessione del meno 2,4 per cento. Dire che la sanità ha un debito come valore assoluto non mi convince, anche perché spendiamo poco rispetto al PIL - il Ministro eventualmente mi corregga - ovvero il 7,1 per cento nel 2011, mentre la crescita dovrebbe aumentare del 2,2 nel 2012 e poi dovrebbe continuare a scendere, quindi molto meno rispetto agli Stati Uniti.
Credo che per quello che si spende in Italia tutto sommato sia soddisfacente. Il problema è che la capacità di assicurare che venga stanziato in un Paese in recessione porta all'implosione. Il debito di 30.000 euro di una famiglia non è il valore assoluto perché, se quella famiglia produce beni per 100.000 euro l'anno, il debito si può ovviamente smaltire nel tempo.
Un Paese che è in recessione anche con il 7,1 per cento rischia l'implosione del sistema sanitario nazionale, quindi occorrono i correttivi. In questa maniera ho interpretato la frase del Presidente Monti, per cui ovviamente la qualità della sanità in Italia dipenderà dalla ripresa del Paese, altrimenti tutto sarà vanificato dai numeri che abbiamo.
Entriamo quindi nel merito, Ministro. Sanità privata/sanità pubblica: mi auguro che saranno evitati i doppioni e, come più volte ho ribadito in certe agenzie, la sanità privata convenzionata non potrà soltanto scegliere ciò che conviene all'impresa sanità, ma dovrà avere anche degli obblighi che sarà il suo Ministero a indicare.
Quando il sistema sanitario nazionale sarà carente in una zona, non potremo avere un ospedale che fa ostetricia quando un bambino che si infili qualcosa nell'occhio dovrà spostarsi di cento chilometri per essere curato, quindi anche il sistema sanitario privato convenzionato dovrebbe avere degli obblighi e non fermarsi soltanto al numero degli acuti.
Anche nell'ambito della Commissione di inchiesta sugli errori in campo sanitario abbiamo notato una certa ritrosia da parte dei politici locali a chiudere i piccoli ospedali. Non voglio citare sempre l'esempio della Calabria che sulla Piana di Gioia Tauro ha sette ospedali su 180.000 abitanti, quindi uno ogni 25.000 circa, ma anche in Campania e in Puglia c'è questa ritrosia e questa volontà di mantenere il piccolo ospedale di comodo, problema che andrebbe affrontato insieme agli accrediti che sono molto di più in alcune regioni come ad esempio in Calabria.
Lei ha parlato degli standard minimi e massimi per ciascuna disciplina, che rappresentano la vera novità. Rilevo però il problema dei DRG, perché cercare di risolvere le criticità occorrono idee innovative. Il DRG ha eliminato le degenze lunghissime ed è quindi un indice appropriato nel misurare la quantità della sanità erogata (si paga per il numero di interventi ma è inutile ricoverare il paziente per dieci giorni), ma non è un buon misuratore della qualità della sanità erogata.
Lei, Ministro, ha parlato di volumi e di esiti. I volumi riguardano il campo amministrativo, gli esiti riguardano invece il campo assistenziale, e credo che anche la riforma del governo delle attività cliniche, che rimodula e cerca di migliorare nella formazione delle Commissioni il reclutamento del personale apicale, possa ricevere un aiuto da un suo intervento nella misurazione della qualità.
Vorrei sapere se abbia mai pensato di remunerare le Aziende sanitarie locali in base non soltanto alla quantità, che significa 100 colecistectomie per 100.000 euro, a prescindere se quell'intervento sia stato fatto bene o male, se abbia avuto delle recidive o delle infezioni, se sia costato molto di più (perché una colecistectomia per via laparoscopica si chiude in tre giorni, ma, se c'è una complicanza e bisogna rioperare, ce ne vogliono quindici). La degenza media varia da 800 a 1.000 euro al giorno, quindi vediamo quanto costa di più un intervento fatto non secondo adeguati criteri.
Mi chiedo quale sarà il suo automatismo per gli standard. In Italia si fanno le leggi, ma poi spesso mancano o sono omessi o addolciti i controlli. Ci saranno effettivamente dei criteri qualitativi, che saranno per esempio quelli degli standard internazionali? Non mi riferisco al gruppo di saggi, perché spesso il problema italiano è che si fanno le Commissioni e poi ci si mettono i rappresentanti delle varie parti politiche.
I numeri e gli statistici dicono oggettivamente, al di là del colore politico, se quell'unità operativa complessa funziona o se funziona meno bene, quanti interventi si fanno, e quindi condividiamo il suo discorso su volumi ed esiti, ma vorrei essere rassicurato sul fatto che gli esiti siano misurati in modo inconfutabile.
Lei ha parlato di rete ospedaliera e, come lei mi insegna, l'età media degli ospedali italiani è 62 anni. In questo momento di spending review in cui si valuta cosa bisogna fare, la degenza in ospedale di un acuto (parliamo solo di acuti perché i cronici sarebbero un altro capitolo) per quattro o cinque giorni è diversa, se prevediamo un controllo più stretto nelle prime 24 o 48o ore del post operatorio per poi trasferirlo nel vicino centro residenziale, il cui costo è pari a un quarto.
Questa è un'altra possibilità per quanto riguarda gli interventi per incrementare la qualità della sanità erogata e ridurre i costi, così come quello dei trapianti. Ricordo che nel Lazio abbiamo cinque centri che effettuano trapianti di fegato, la cui somma di trapiantati non arriva al numero di trapianti eseguiti dal Centro Trapianti di Torino.
Nel Lazio specialmente (ma è un problema italiano) c'è un'esuberanza di unità
operative complesse o centri che sulla carta sono di eccellenza ma che costano un occhio. A volte mi chiedo (il Presidente Palumbo conosce il mio pensiero perché credo lo condivida) per quale motivo, in un momento in cui si crea una competizione fra il pubblico e il privato convenzionato, una donna che voglia fare un intervento di mastoplastica additiva debba ricorrere per forza al privato.
Le ricordo che l'Italia è il terzo Paese al mondo per la chirurgia estetica, in quanto vengono fatti 823.000 interventi e siamo terzi dopo la Corea del Sud e dopo la Grecia e davanti al Giappone e agli Stati Uniti. Mi chiedo quindi per quale motivo una donna che voglia andare al Policlinico universitario o in ospedale - soltanto perché i LEA non prevedono (come ovviamente non devono prevedere) la mastoplastica additiva, in cui nell'intervento del privato guadagnano il senologo, l'équipe, l'anestesista, la clinica - non possa avere la possibilità di essere operata in un ambiente più protetto magari di pomeriggio, quando le sale operatorie non vengono utilizzate.
Alcune idee possono quindi essere integrate nel suo discorso sull'opportunità di erogare una sanità migliore, al fine di portare benefici economici agli ospedali e creare una piccola rivoluzione che potrebbe essere gradita al Governo e ai cittadini.
PAOLA BINETTI. Ringrazio il Ministro più che altro per la griglia dei criteri che ha tracciato. Aver messo insieme il bacino, cioè il numero degli abitanti in una zona, il criterio epidemiologico, quali sono le patologie che in quella zona si presentano e non a priori (suppongo che quando parlava di numeri lo abbia fatto sugli ultimi cinque anni o quello che sia), gli accessi che ci sono nelle strutture singole, perché si raggiunga un numero minimo di accessi che sia in grado di garantire un risultato, e in base a queste tre coordinate di natura quantitativa riuscire a decidere quanti primariati o quante unità operative complesse avere.
Si tratta certo di quanti e quali, ma non siamo ancora al qualitativo: siamo alla specificità della patologia in questione non al livello di prestazione erogata. Conoscendo tante situazioni romano-laziali e sapendo quanti non rispondono a questi standard, immagino che già questo costituirà per sua natura un taglio affidato al criterio scelto. Questo è un tema senz'altro interessante, tanto più quando riguarda sotto certi aspetti anche il mondo dell'accademia, dell'università.
Mi è sembrato che un altro elemento interessante che il Ministro ha messo in discussione riguardi la qualità degli interventi, quello che ha chiamato volumi ed esiti, come a dire che quello era in termini di preventivo, questo di consuntivo: quanti realmente ne siano stati fatti e con quali risultati.
Gli esiti significano anche la possibilità di calcolare il rischio fisiologico, in quanto la medicina, come è stato detto dai miei colleghi, non è una scienza certa e il malato è malato nella sua singolarità, nella sua complessità e le cose possono anche avere un margine di rischio insito nella tipologia.
Questo dovrebbe corrispondere a mio avviso, se ben identificato e razionalizzato, a una sorta di riduzione di quella che è la medicina difensiva, in quanto sto definendo un margine di rischio reale, quindi il contenzioso va ricollocato non in un determinismo biologico o tecnologico che non esiste, ma all'interno di un margine di probabilità.
Tutto questo mi sembra molto interessante anche per la sua asciutta oggettività, in quanto si sta disegnando una mappa. Lei giustamente esprime alcune particolari osservazioni che sono al di fuori dell'indice epidemiologico, al di fuori anche della numerosità, che sono le eccellenze da garantire anche in quella logica interregionale.
Tutto questo, Ministro, mi sembra stupendo, e spero che lei riesca davvero a farlo e che questa sia una risposta efficace per tutti, perché a mio avviso solleva pure tanti decisori dal dover rendere conto a
quello che viene a chiedere un primariato, a quello che rivendica un ordinariato.
Il mio problema riguarda il tema della riduzione dei posti letto all'interno di questi criteri, della riduzione delle tipologie per patologia (ad esempio meno letti di gastroenterologia), però il tema è il rapporto tra letti e tetti. Giustamente riduciamo il numero di letti, giustamente cerchiamo di riservare letti a criteri di appropriatezza, ma i malati ci sono ugualmente anche se non li devo ricoverare. Questo definisce il numero dei tetti delle prestazioni che i policlinici e le cliniche devono garantire.
Non si può quindi non ipotizzare già in questa fase, in base agli stessi livelli che lei poneva, che erano il criterio del bacino d'utenza e il criterio della pregnanza epidemiologica di una determinata patologia, l'introduzione del criterio dei tetti. Questo pone però il problema dei tetti legati agli ospedali, ai policlinici, compresa la remunerazione, perché c'è una sproporzione enorme nei DRG legati ai tetti rispetto ai DRG dei letti, e il tema famoso e auspicabile dei medici di medicina generale H24.
Il loro contesto, che dovrà rispondere a criteri di possibile diagnosi anche strumentale e di prestazioni anche di piccola chirurgia, dovrà includere non solo la competenza del medico di medicina generale così come esce dalla scuola di medicina generale, ma anche la competenza del medico di medicina generale che possiede una specializzazione, perché ormai molti medici specialisti svolgono un ruolo di medicina generale.
Questo modello di organizzazione permetterà al paziente di accedere al servizio H24 in modo da decongestionare i Pronto soccorso, ma vorremmo sapere quali competenze reali ci troverà e con che tetti, perché per ora abbiamo parlato soltanto di una fascia oraria, abbiamo detto soltanto ventiquattro ore su ventiquattro, ma non quali e quante cose si potranno fare.
Il modello organizzativo dello studio di medici di medicina generale H24, analogamente al modello delle prestazioni degli ambulatori specialistici degli ospedali, andrà disegnato in termini di costi e anche in termini di ricavi. Suppongo che questa possa essere una cosa interessante.
La nostra legge sulle cure palliative resta interessante soprattutto per il modello che abbiamo immaginato di un paziente che si muova all'interno di un circuito costruito intorno a lui. Poniamo sempre il nostro malato preferito, che è il malato oncologico, che va in ospedale quando c'è un'urgenza, entra in un periodo di difficoltà, passa in un hospice, la famiglia è in grado di accoglierlo a casa sua per tempi concreti e precisi, per cui torna a casa secondo una circolarità che ha smontato il tema dell'hospice dei 90 giorni, quasi fosse una previsione a posteriori di quando devi morire.
Fortunatamente abbiamo allungato quei tempi, perché la bellezza della medicina è la vita e la qualità di vita che regala ai malati, sono le nostre speranze, lavoriamo, studiamo e ci prodighiamo per questo e quindi è chiaro che questo ci regala continuamente nuovi spazi.
Il malato gira con naturalezza! Prima della sua audizione parlavamo del fascicolo elettronico, per cui il malato senza dover muovere dei dati si porta all'interno di un circuito amicale, perché costruito intorno a lui, i propri bisogni. Questo permette un formidabile risparmio di tempi, di conoscenze, di dati, di duplicazione di analisi.
So di dire parole che ci stufiamo persino di ascoltare, però la verità è che il modello centrato sul paziente, nel senso che permette la circolazione dei dati e non del paziente nelle strutture, è sicuramente un fattore di risparmio.
Mi sembra però che in questo senso rispetto alla griglia rigorosamente quantitativa, con i suoi criteri di declinazione e di classificazione, quindi categoriale che voi avete tracciato, comprese le eccezioni per l'eccellenza e la flessibilità del tempo (2015), ci sarebbe bisogno di esplicitare meglio i modelli organizzativi e di funzionamento con cui le strutture interagiscono tra di loro.
Mi piacerebbe infine che quando si parla di privato convenzionato e in particolare
di alcuni policlinici, compresi alcuni universitari (presto particolare attenzione alla qualità di modelli), la loro funzione di servizio pubblico venisse sempre sottolineata e messa sullo stesso piano di quella del Sistema sanitario nazionale, quindi della dimensione pubblica della sanità.
DONATA LENZI. Poiché avevo letto il regolamento nella versione originaria, mi riferisco a quella, ma mi auguro che nella discussione con le regioni qualcosa sia cambiato.
Bene che ci sia uno sforzo nazionale nel ridefinire i criteri perché abbiamo bisogno di una regia nazionale. Ritengo che i criteri in sanità dovrebbero basarsi su un range e non su una cifra secca, per cui ad esempio, come discusso in questa Commissione, non chiuderei l'ostetricia ai punti nascita che facciano 498 anziché 500 parti, ma proporrei di fissare dei margini. Poi in realtà purtroppo non chiudiamo neppure quelle da 150, ma questo è un altro problema.
Tentai di chiudere l'ostetricia di Porretta Terme che oggi fa 120 parti ma quando tentai di chiuderla ne faceva 200 e dopo dieci anni all'ennesimo tizio che protestava per la nostra intenzione di chiudere l'ostetricia chiedendo come avrebbero fatto con il bambino ho risposto che il bambino era sempre lo stesso e ormai, essendo cresciuto, aveva dieci anni!
Avevamo studiato una soluzione che non era male, per cui i medici e le ostetriche avrebbero potuto fare a rotazione un mese nell'ospedale grande in città per poi tornare, in modo da assistere almeno per un mese a un certo numero di parti al giorno e non a uno ogni quattro giorni.
Capisco bene le difficoltà di chiudere, ma rischiamo di fare la fine delle province. Se infatti ragioniamo in termini tecnici, citiamo numeri ottimali rispetto al volume di attività che deve essere svolta e diciamo che per i trapianti o per altri tipi di intervento che richiedono una notevole competenza e hanno numeri ristretti il bacino di utenza dovrebbe essere ad esempio un milione di abitanti. Qui per alcune cose c'è e lo cito non a caso.
Il milione di abitanti significa che l'Abruzzo e il Molise fanno perno sul Lazio, e inoltre ragioniamo in termini avulsi dal contesto orografico e dei trasporti, per cui non teniamo conto né delle difficoltà, perché la cattiva viabilità non è solo delle zone montane, e rischiamo di provocare reazioni motivate da parte della popolazione.
Queste non sono solo quelle sempre legate alla considerazione che la chiusura di un presidio o la sua riconversione comporta una perdita secca di posti di lavoro e un indotto che viene penalizzato, compreso quello del bar di fronte che perde i clienti, ma anche quelle legate alla paura e alle difficoltà di non avere una risposta sanitaria.
Se noi continuiamo a scrivere i bacini di utenza per numeri x, ignorando il territorio, facciamo la figura che abbiamo fatto sulle province (il ragionamento è generale, non riferito al Ministro Balduzzi), per cui abbiamo introdotto le eccezioni, perché ci rendiamo conto che non si tiene sul sociale.
Capisco la riflessione del confronto tra più regioni ma, se è già difficile per una Regione sola decidere che i trapianti si fanno solo a Bologna e non a Bologna e Modena come adesso, immagino cosa accadrebbe se dovessimo decidere che anche le Marche e l'Umbria vengono da noi! Se ci diamo obiettivi o step più realistici, abbiamo la possibilità di arrivare al termine del percorso.
Secondo punto: l'intensità di cura. La stiamo sperimentando e pratichiamo l'intensità di cura in quattro o cinque ospedali, ma nel piano regionale dovrebbe arrivare a tutti. Questo significa che il primario non è più il padrone dei posti letto, cosa che dal punto di vista culturale costituisce una rivoluzione che richiede anche notevoli sforzi, perché la terapia intensiva è una sola, il paziente che ha avuto l'ictus è di fianco a quello che avuto un infarto grave e tu sei responsabile del paziente ma non hai la gestione del posto
letto. C'è tutta una valorizzazione delle altre professioni sanitarie da mettere in campo.
Non solo questa cosa non c'è, anche se lei ha spiegato che non è ostacolata, ma sarebbe bene che ci fosse almeno come riconoscimento un obiettivo da raggiungere di sperimentazione, di valutazione delle conseguenze, perché le cose che si fanno non sono sempre perfette e a volte bisogna correggerle. Si potrebbe attuare una sperimentazione in alcune regioni (a me risulta che anche la Lombardia stia andando su questa strada) e valutarne le conseguenze per portarla eventualmente dentro il sistema.
Vorremmo quindi una scrittura del testo meno meccanica, una maggiore elasticità e un invito alla prudenza per quanto riguarda l'impatto e le conseguenze sul territorio. Quando si decide di chiudere si può anche garantire una buona sanità a qualche chilometro di distanza, ma è molto difficile sostenere che tutto resterà come prima, perché questo non è vero.
GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Forse c'è stato un eccesso di allarmismo nel mondo della comunicazione, allarmismo che si è amplificato soprattutto in alcune realtà. Ognuno di noi conosce le realtà della propria e sa che in alcune i punti di partenza sono a volte preoccupanti.
Il Ministro ha parlato della continuità ospedale-territorio, ma nella mia regione, la Sicilia, questo rapporto è assai limitato, per cui quando si chiude un ospedale e si sostituisce con presìdi territoriali si sa cosa si perde ma si ignora cosa si troverà, perché purtroppo questa carenza negli anni è stata evidente e pertanto nella comunità simili notizie non possono che destare preoccupazione.
La relazione del Ministro ha in parte dato significative rassicurazioni innanzitutto per i punti di riferimento che ha indicato, rappresentando una certa flessibilità - non solo affidata alle Regioni - che si sta realizzando man mano che il decreto trova una sede di discussione, perché non si possono avere dati che non possano essere modellati.
L'altro punto è che il riferimento sono i dati epidemiologici e non quelli ragioneristici. Il punto di riferimento sono le problematiche sanitarie presenti in alcuni territori, che indirizzano anche i servizi che si debbono determinare. Il terzo punto, che la collega Lenzi sottolineava e che mi sta particolarmente a cuore vista la condizione della mia regione, è la questione orografica e delle infrastrutture viarie, perché non c'è dubbio che in alcune realtà questo pesa fortemente e la distanza da un presidio ospedaliero deve essere calcolata tenendo conto delle carenze infrastrutturali.
Sarebbe sbagliato concentrare l'offerta sanitaria nelle metropoli, perché questo crea problemi organizzativi negli stessi presidi ospedalieri delle aree metropolitane e si aggiungono anche problematiche relative al traffico e alla viabilità.
Nelle parole del Ministro ho quindi trovato elementi di rassicurazione e, in base all'esperienza maturata in questa Commissione e nella Commissione di inchiesta sugli errori in campo sanitario, mi permetto di segnalare alcune emergenze rispetto alle questioni poste nel decreto, emergenze che affiorano dalla condizione sanitaria delle nostre comunità e sono legate alla carenza di alcuni servizi.
Mi riferisco ai reparti di rianimazione, di UTIN, in quanto chiudere una rianimazione in un territorio è un fatto assai grave, perché già oggi c'è una penuria di posti così come per le UTIN anche nell'area metropolitana. Come il Presidente che opera in questo delicato settore professionale può confermare, oggi emerge un dato assai carente, limitato e quindi credo che tale emergenza riguardante gli interventi d'urgenza richieda grande attenzione.
Il secondo punto riguarda il privato. Oggi le microstrutture non danno sicurezza sul piano delle interventi, però sappiamo che ci sono alcune strutture medie, collegate a una tradizione di buona medicina, cliniche che operano da anni e hanno legato la propria presenza a una
specializzazione. Credo che lì sia necessario dare un elemento di garanzia anche lavorativa, perché oggi per le difficoltà di natura occupazionale sarebbe grave chiudere simili presidi.
Lei sa, signor Ministro, che anche le grandi catene che operano nel privato a volte non danno affidabilità, per cui considero opportuno porre grande attenzione anche agli investimenti che in questo momento si vogliono porre in essere, alcuni dei quali in regioni che appaiono assai problematiche.
Con il presidente abbiamo più volte seguito anche la tematica che afferisce all'oncologia, che vedrebbe un intervento massiccio nella provincia di Catania, ma credo che su questo tema si debba porre grande attenzione.
ANNA MARGHERITA MIOTTO. Ringrazio molto il Ministro per questa introduzione e mi rammarico che la legislatura stia chiudendo, per cui non avremo ulteriori possibilità di interlocuzione prima dell'approvazione di questo decreto, perché cambia il sistema ospedaliero in Italia.
In seguito all'approvazione di questo decreto e al suo recepimento in ogni regione, cambierà il modello di assistenza ospedaliera, e si potrebbe dire ben venga il cambiamento! Concordo sulla necessità di cambiare per ridurre tutte le aree di inappropriatezza che ci sono, ma non per ridurre i livelli di sicurezza e di garanzie per i cittadini.
Bene quindi la riduzione dei posti letto, bene la chiusura di piccoli ospedali se sono inefficienti, bene soprattutto la riconversione delle strutture ospedaliere quando non riescono a garantire livelli di sicurezza, che sono in linea con le indagini condotte dalla struttura tecnica del Ministero che ha consentito l'adozione di questo provvedimento. Male invece quando si peggiora il livello di qualità!
Cito alcuni esempi. Avevamo già fatto un question time su questo punto e sono molto preoccupata di come verrà recepito questo provvedimento. Mi auguro quindi che nelle interlocuzioni con le Regioni possano essere introdotti aggiustamenti e modifiche.
I parametri di accesso ai Pronto soccorso sono stati fissati nell'ordine dei 350 per 1000. Questo vuol dire che per un ospedale di base (80-150.000 abitanti) gli accessi sono 28-52.000, ma è noto che un Pronto soccorso non può sopportare più di 30.000 accessi all'anno, altrimenti bisogna moltiplicarlo per due.
Per i 25-30.000 utenti che vi accedono non c'è la terapia intensiva, perché in questo ospedale non ci sono la cardiologia e la rianimazione. Ritengo che questo sia un grave impoverimento dell'offerta ospedaliera del nostro Paese, perché, se non si trova una cardiologia (in 7 casi su 10 la morte è dovuta a malattie del sistema cardiovascolare e dei tumori e comunque la prima causa di morte è di natura cardiovascolare), occorre andare all'ospedale spoke di I livello con la cardiologia e il decreto prevede che possa essere raggiunto entro 60 minuti.
In 60 minuti, signor Ministro, anche avendo stabilizzato il paziente, l'intervento di un cardiologo avverrà dopo che il paziente è arrivato con l'ambulanza, che è il punto di primo intervento previsto dal decreto. L'ambulanza arriva al primo Pronto soccorso, non è detto se siano rispettati i 30 minuti, e questa è una grave carenza perché tutta la normativa nazionale e internazionale prevede che non si possa parlare di emergenza se non c'è un intervento entro i primi 20-30 minuti.
Se c'è un intervento dell'ambulanza nei primi 20-30 minuti, questa deve arrivare a un Pronto soccorso, ma quello dell'ospedale di base non ha la cardiologia e la terapia intensiva perché non è prevista la rianimazione, per cui deve andare entro 60 minuti in un ospedale con cardiologia. Credo che questo modello sia pericoloso.
Seconda questione: sempre nel famoso ospedale da 80-150.000 abitanti, dove c'è una natalità del 9,4 per mille, nascono quindi 750-1400 nati. Anche elevando il parametro precedente da 500 a 1000,
saremmo quindi all'interno del parametro, però in questo ospedale non ci sono ginecologia, ostetricia e pediatria.
Questo significa che in un bacino di 100.000 abitanti ove nascono certamente 1.000 bambini (ho esperienze dirette nel mio territorio di ambiti territoriali di 100.000 abitanti dove c'è un ospedale e ostetricia e ginecologia con pediatria funzionano a pieno regime) nell'ospedale di base così come previsto non c'è e bisogna andare nello spoke, cioè in un ambito territoriale di 300.000 abitanti, per cui induciamo una migrazione anche per ginecologia e ostetricia.
Il punto nascita quindi è lontano, lontanissimo, in condizioni di insufficiente sicurezza che invece potrebbero essere garantite, ma capisco che tutto questo è legato al fatto che l'ospedale di base fino a 150.000 abitanti ha anche la chirurgia ma non si capisce che chirurgia sia, in quanto al massimo è un day surgery (è evidente che, se c'è l'anestesista ma non c'è la terapia intensiva, non c'è nemmeno una chirurgia con ricovero).
Su questo ambito dei 150.000 abitanti non ci può essere neanche la dialisi, perché si corre un rischio se non c'è neanche un posto di terapia subintensiva. Tutto il provvedimento infatti ignora l'1 per mille dei malati con patologie di natura nefrologica; nefrologia e dialisi compaiono solo nell'ospedale spoke mentre su 150.000 abitanti abbiamo minimo 100 persone emodializzate, che costringiamo a fare l'emodialisi a non so quanti chilometri, dal momento che adesso non troveranno più la dialisi a una distanza accettabile.
Si tratta quindi di un modello che accentra su ospedali spoke di secondo livello, che sorprendentemente nascondono non so quale obiettivo. Il presidio ospedaliero di secondo livello è istituzionalmente riferito alle aziende ospedaliere, alle aziende ospedaliere universitarie, a taluni IRCCS e a presidi di grandi dimensioni delle AASSLL, quasi una funzione di tipo residuale.
Mi permetta, signor Ministro, di dissentire da questo modello, perché il modello che economicamente funziona meglio in Italia non è l'azienda ospedaliera, dove c'è la separazione del committente dal finanziatore, ma è l'ospedale all'interno dell'azienda sanitaria. Questo è noto e chiarissimo, perché l'azienda ospedaliera che è sganciata da questo modello funziona al pari dei privati accreditati, ossia si finanzia con le prestazioni che fa e quindi ha interesse a moltiplicare le prestazioni, esattamente il contrario dell'obiettivo che abbiamo noi.
Sono anche molto preoccupata per la questione dell'urgenza emergenza, perché sappiamo che è la prima richiesta del cittadino al sistema sanitario, e mi preoccupa che nel decreto sia previsto che i punti di primo intervento operino in collegamento con le unità operative del DEA, ma i DEA di primo e di secondo livello sono nello spoke.
È scritto infatti che i punti di primo intervento «sono affidati al sistema del 118 con numero di accesso superiore e afferiscono al DEA di riferimento», per cui il riferimento del punto di primo intervento non è il punto di Pronto soccorso che sicuramente è il più vicino perché si trova in un ospedale di 100.000 abitanti, ma il DEA; quindi vuol dire che va in un ospedale più grosso di 300.000 abitanti. Non ho capito perché si salti il Pronto soccorso, ma la centrale operativa in relazione al codice dovrà dire dove portare il malato saltando il Pronto soccorso.
L'elemento più importante è la rete cardiologica, alla quale faccio un rapido riferimento, perché è previsto che sia semplicemente coordinata dall'hub & spoke su 300-600.000 abitanti. Questo significa che non avremo più l'emodinamica su 400.000 abitanti. Avrei capito la riduzione delle cardiochirurgie che in Lombardia sono in numero spropositato, eccessivo, per cui dobbiamo sicuramente individuare parametri più congrui, ma oggettivamente togliere l'emodinamica vuol dire avere delle cardiologie che non sono in grado di intervenire su questioni acute di particolare rilevanza che hanno a che fare con la vita e la morte delle persone.
Sulla base degli andamenti epidemiologici, i parametri individuati sono sicuramente giusti, ma secondo me sono poco congrui se confrontati con i luoghi in cui vivono le persone. Le grandi città sono un problema, ma la maggior parte della popolazione che non vive nelle grandi città ha un servizio sanitario meno qualificato.
PRESIDENTE. Grazie. L'Aula riprenderà alle 15,25 con immediate votazioni, per cui pregherei l'onorevole D'Incecco di essere breve, in modo di lasciare dieci minuti per una breve replica del Ministro.
VITTORIA D'INCECCO. Cercherò di essere breve, signor presidente, dato che sono in perfetto accordo con la mia capogruppo e con gli altri componenti del mio gruppo che mi hanno preceduta.
Anch'io la voglio ringraziare, signor Ministro, per questo regolamento che ci ha esposto, che definisce gli standard relativi all'assistenza ospedaliera per procedere alla riduzione dei posti letto. La volontà di ridurre i posti letto però mi preoccupa, perché ho frequentato per dieci lunghi anni un reparto di medicina nell'ospedale civile della mia città, Pescara, ed è stato un periodo ricco di soddisfazioni nella mia esperienza lavorativa, però la cosa che ricordo con maggior tristezza sono le barelle che si trovavano lungo i corridoi perché i posti letto non bastavano.
Per fare tutto questo è necessario organizzarsi bene, perché tutto si può fare, è bene cambiare come diceva l'onorevole Lenzi, però l'importante è saperlo fare bene. A volte c'è una grossa divaricazione tra la politica sanitaria e la medicina clinica, la percezione di medici, paramedici, infermieri, spesso le norme organizzative e gestionali sono in conflitto con le esigenze clinico-assistenziali professionalmente fondate e le leggi finanziarie e di revisione della spesa possono a volte recare danno invece di migliorare, causando disservizi.
In Abruzzo ad esempio hanno chiuso ospedali di comuni vicini, ma non si sono preoccupati di creare un'emergenza urgenza, che possa dare una risposta come quella che diceva giustamente l'onorevole Miotto. A volte bastano pochi minuti per perdere il paziente in presenza di determinate patologie.
Cito soltanto un esempio, in quanto a volte le Regioni si comportano in modo diverso l'una dall'altra e per esempio, riguardo al decreto del Ministero dell'economia e finanze del 21 febbraio 2011 che lei citava e sicuramente ricorda bene, la regione Abruzzo ha creato disservizio perché, non disponendo di un sistema di accoglienza regionale delle prescrizioni, nel maggio 2012 ha informato le organizzazioni sindacali di categoria che avrebbero dovuto utilizzare il sistema di accoglienza centrale per la trasmissione delle prescrizioni mediche.
Alcuni rappresentanti della stessa regione in una riunione che si era tenuta a livello organizzativo presso il Ministero nel gennaio 2011 avevano invece dichiarato di essere già pronti, per cui raccomando la supervisione, signor Ministro.
Il mio voleva essere soltanto un monito, un invito ad ascoltare i professionisti della sanità che operano tutti i giorni, riescono a percepire le esigenze e vogliono dare risposte efficienti ed efficaci come quelle che dicevamo prima.
PRESIDENTE. Do ora la parola al Ministro della salute, Renato Balduzzi, per la replica.
RENATO BALDUZZI, Ministro della salute. Grazie, presidente, partirei proprio dalla battuta iniziale che lei ha fatto. Graduale sì, ma partendo subito, nel senso che non è un sorta di lettera di intenti: sono degli standard, ma devono fare i conti con il buonsenso e la necessità di disporre del tempo per fare bene le procedure.
Credo anch'io che non si tratti, onorevole Di Virgilio, di una formula matematica, e molti di noi (parlo almeno per me) sarebbero in difficoltà se si trattasse di formule matematiche. Si tratta proprio di dare degli standard dove c'è un ruolo dello Stato e dove però c'è una condivisione di questi criteri.
Lo standard è tale quando è al tempo stesso in grado di interpretare le situazioni e farle evolvere in positivo, senza essere assoggettato a una troppo numerosa serie di deroghe, altrimenti viene meno. Credo che il senso di questo provvedimento stia nell'equilibrio, se si arriverà a ottenerlo, tra queste due esigenze.
Finora il nostro sistema è riuscito a governare un invecchiamento della popolazione che non nasce oggi, ed è riuscito a governarlo meglio di altri sistemi. Vengo dal Ministero della salute, dove c'è stata la presentazione della Relazione sullo stato sanitario del Paese, con un intervento in cui il Presidente della Repubblica ha detto delle cose importanti che vanno proprio in questa direzione.
È evidente che la responsabilità di aiutare questi processi a consolidarsi è locale, ma il ruolo degli standard nazionali non può che essere importante. Non credo che si possa al tempo stesso auspicare un di più di ruolo dello Stato e poi andare a fare la conta di tutte le situazioni sotto i 30 posti letto, perché bisognerà trovare un contemperamento. Il meccanismo già lo presenta perché si cerca di andare non a soffocare, ma a favorire virtuosità. Ove queste virtuosità fossero in difficoltà nel porsi in essere, credo che il ruolo dello standard riprenda il suo significato.
Qui rispondo anche ad altri interventi, in particolare a quello dell'onorevole Palagiano. Non è che non disponiamo di strumenti per «sanzionare» comportamenti distanti dagli standard, perché il regolamento li prevede e si interviene sulla quota premiale. L'importante però è che questo venga fatto attraverso la massima collaborazione piuttosto che l'imposizione, perché la natura del sistema sanitario è tale che, se non si insiste sul tasto della collaborazione e si vuole soltanto immaginare il tasto della cogenza, si corre il rischio di vedere rispettata formalmente l'imperatività della norma mentre nella sostanza non succede quasi nulla.
All'onorevole Palagiano che ha evocato i dati OCSE che anche stamattina nella presentazione della relazione sono stati utilmente evocati volevo dire che credo che a valle del regolamento vi sia la possibilità di un sistema di incentivi e di sanzioni, quindi in questa direzione si avranno incentivi da quota premiale.
All'interno del regolamento (in questo senso chi ha sottolineato il carattere di svolta ha colto nel segno) ci sono alcuni passaggi in cui la valutazione della struttura viene fatta in base all'esito e non ai volumi, quindi volumi ed esiti finalmente si intrecciano, e attraverso misurazioni imparziali.
Sotto questo profilo c'è andata bene, perché abbiamo prima strutturato il sistema di misurazione imparziale senza mettere i nomi, per cui quando in seguito lo applicheremo nessuno potrà dire che l'individuazione di criteri e indicatori sia dovuta a questa o quella situazione. Da anni ormai si consolida il programma nazionale esiti, che è rimasto muto e non riferito a questa o quella regione, a questa o quella struttura proprio perché doveva essere innanzitutto uno strumento per i decisori soprattutto locali.
Con questo Regolamento lo strumento cambia natura: è strumento per i decisori locali ma anche per il ruolo di coordinamento nazionale nel raccordo Governo/Parlamento. Questo è il senso del riferimento a volumi ed esiti.
Credo che l'onorevole Binetti abbia colto bene sia il legame interno tra la riforma della medicina generale e questa riforma, sia un'altra interrelazione che mi ha fatto pensare: quella tra il regolamento e i problemi della medicina difensiva. Su questo probabilmente dovremo ancora lavorare, così come non considero inutile richiamare l'orientamento centrato sul paziente calato in numeri e in procedimenti misurabili, perché altrimenti c'è il rischio che si legittimi una strutturazione inefficiente del servizio in nome di un valore. Il valore si cala invece nella strutturazione efficiente del servizio.
Credo anch'io che si tratti di fare attenzione con una certa duttilità ai borderline, come ricordava l'onorevole Lenzi, anche se per quanto riguarda l'emergenza urgenza c'è tutto un capitolo dedicato ai presìdi ospedalieri in zone particolarmente
disagiate, dove il modello già si fa carico della diversità. In qualche altro caso è più un rimando alle competenze regionali.
Credo che il problema di fondo sia quello di comunicare bene ragioni, tempi e obiettivi. Girando per le varie regioni e ricevendo segnalazioni di vario genere, sto avvertendo che laddove c'è la capacità di spiegare e confrontare il senso del cambiamento è tutto più semplice, mentre laddove questo non accade è evidente che ogni situazione fa la sua parte.
Questo discorso vale anche in risposta alle considerazioni dell'onorevole Burtone, che sono lieto di avere - anche se solo in parte - rassicurato. Credo che la vera rassicurazione stia proprio nel seguire nei diversi ruoli e responsabilità questo percorso.
Per rispondere all'onorevole Miotto sulla questione delle distanze per l'emergenza urgenza, i minuti sono riferiti non all'ambulanza ma a un mezzo di trasporto ordinario, il che vuol dire che, avendo l'ambulanza una serie di facilitazioni, i tempi sono da intendersi più contenuti. Questo è un dettaglio non irrilevante: lo standard è stato fatto in modo tale che il limite stia dentro una possibilità di ulteriore valorizzazione.
Ci sono poi i compiti complementari e di integrazione delle piccole strutture, ove però sia davvero motivato e motivabile e non sia semplicemente un escamotage per lasciare tutto come sta, perché altrimenti non siamo sulla stessa lunghezza d'onda tra queste strutture e il senso del provvedimento.
Credo che sull'esempio proposto dall'onorevole Miotto vadano fatti un approfondimento e una verifica con una simulazione. Se le cose stanno come lei dice nel rapporto tra emergenza, classificazione degli ospedali e riferimento di alcune discipline che hanno a che fare con l'emergenza, dalla cardiologia alla rianimazione, forse qualche parametro potrà essere rivisto.
Si tratta di una verifica da fare al volo, che non possiamo rinviare a dopo Natale, quando sarà un'altra partita. Mi impegno quindi a farlo al volo, anche se forse per la dialisi una risposta è già presente nello schema di provvedimento.
Condivido la preoccupazione dell'onorevole D'Incecco e credo che sarebbe importante chiarire culturalmente e comunicativamente prima ancora che con norme attuative all'opinione pubblica che la riduzione del posto letto non è automaticamente riduzione del servizio, ma viene realizzata proprio per assicurare un servizio migliore, che il posto letto, se inappropriato (e spesso è così), non garantisce.
Se non si fa questo, ciascuno leggerà nella notizia della riduzione di posti letto una sua possibile sofferenza. Credo che da parte di chi ha la responsabilità di orientare e governare sia indispensabile riuscire a dare le informazioni più trasparenti all'opinione pubblica, e poi (questo vale per la medicina generale e per la riforma degli ospedali) si tratterà di seguire attentamente, rispetto ai ruoli che ciascuno potrà avere, la riforma. Infatti, la legge non è sempre sufficiente, come lo stesso regolamento, in quanto c'è tutto un aspetto di controllo su cui qualche volta può esserci un intoppo.
PRESIDENTE. Nel ringraziare il Ministro della salute, Renato Balduzzi, dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15,25.