Sulla pubblicità dei lavori:
Russo Paolo, Presidente ... 2
Audizione del Presidente e dei membri della Commissione per l'agricoltura e lo sviluppo rurale del Parlamento europeo eletti in Italia, sulla riforma della politica agricola comune (ai sensi dell'articolo 127, comma 1, del Regolamento):
Russo Paolo, Presidente ... 2 8 9 15 16 20
Cenni Susanna (PD) ... 13
De Castro Paolo, Presidente della Commissione per l'agricoltura e lo sviluppo rurale del Parlamento europeo ... 3 15 16
Delfino Teresio (UdCpTP) ... 11
Di Giuseppe Anita (IdV) ... 10
Fiorio Massimo (PD) ... 9
Fogliato Sebastiano (LNP) ... 11
Gottardo Isidoro (PdL) ... 8
La Via Giovanni, Membro della Commissione per l'agricoltura e lo sviluppo rurale del Parlamento europeo ... 5 18
Oliverio Nicodemo Nazzareno (PD) ... 14
Zucchi Angelo (PD) ... 13
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia (Grande Sud): Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente
Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI.
Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 13,55.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 127, comma 1, del Regolamento, l'audizione del Presidente e dei membri della Commissione per l'agricoltura e lo sviluppo rurale del Parlamento europeo eletti in Italia, sulla riforma della politica agricola comune.
Desidero ringraziare il presidente De Castro e l'onorevole La Via per aver prontamente accolto il nostro invito. Al riguardo, vorrei sottolineare che è per noi di estrema importanza, soprattutto dopo il Trattato di Lisbona, intensificare i rapporti tra le istituzioni europee e quelle nazionali al fine di creare quel dialogo e quel coordinamento indispensabili nella definizione delle politiche dell'Unione europea.
In questo quadro, ricordo che la scorsa settimana, proprio sul tema dalla riforma della PAC (politica agricola comune), si è svolta l'audizione del commissario europeo per l'agricoltura e lo sviluppo rurale, Dacian Ciolos, dinanzi alle Commissioni agricoltura e politica dell'Unione europea della Camera e del Senato. L'incontro di oggi costituisce un'utile occasione per fare il punto sul processo di riforma della politica agricola comune, che ci vede tutti fortemente impegnati in ragione della sua fondamentale importanza per il futuro del sistema agroalimentare in Italia e in Europa, anche nella prospettiva del nuovo quadro finanziario dell'Unione europea.
Si tratta, quindi, di un momento di raccordo tra i parlamentari europei e quelli nazionali, nell'auspicio che anche attraverso tali incontri si giunga a una più efficace definizione delle posizioni e degli indirizzi da sostenere, nelle sedi e con le modalità proprie di ciascuna istituzione, nell'interesse dell'agricoltura italiana.
La XIII Commissione (Agricoltura) della Camera dei deputati, per parte sua, intende procedere, anche sulla base degli elementi che emergeranno dalle altre audizioni che si propone di attivare, all'esame delle proposte di riforma attraverso la specifica procedura prevista dal Regolamento per la cosiddetta fase ascendente del processo normativo europeo; tale procedura si concluderà con l'approvazione di un documento che sarà trasmesso al Governo e alle istituzioni europee. Nel ringraziare nuovamente i colleghi europarlamentari, ricordo che i loro interventi saranno seguiti da quelli dei membri della Commissione, cui seguirà la replica da parte dei nostri cortesi auditi.
Do ora la parola al presidente Paolo De Castro.
PAOLO DE CASTRO, Presidente della Commissione per l'agricoltura e lo sviluppo rurale del Parlamento europeo. Innanzitutto, vorrei ringraziare la Commissione agricoltura, il presidente Paolo Russo e tutti i colleghi, ai quali rivolgo il mio saluto. Essendo la materia complessa - 625 pagine di testi legislativi, articolati in cinque dossier, che si prestano a una approfondita analisi di merito - comincerei, se siete d'accordo, con un'introduzione nella quale vorrei sottolineare due questioni di metodo.
Successivamente, piuttosto che entrare nel merito del dibattito, che rimanderei dopo le istanze che i colleghi potranno rivolgere al collega La Via e a me, farei un ragionamento su ciò che sta emergendo nella Commissione agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo, a Bruxelles, in ordine ai principali filoni di critiche contro la proposta della Commissione. Difatti, le critiche sono state molteplici, come, peraltro, è accaduto anche nell'ultima riunione congiunta del 7 novembre tra Ministri e Parlamento, a Bruxelles, laddove sono state formulate sottolineature e prese di distanza rispetto alla proposta della Commissione. Pertanto, dato che ormai siamo entrati nella fase costruttiva della proposta, suggerirei di cogliere questa straordinaria occasione di dialogo interistituzionale per concentrarci sulle poche tematiche che ci auguriamo coinvolgano le richieste di cambiamento che l'Italia ha avanzato.
La questione di metodo, sulla quale sarà molto più preciso - e credo anche più pessimista - l'onorevole La Via, riguarda il dibattito in atto sia nel Parlamento che nel Consiglio sulle prospettive finanziarie. Infatti, nella storia del Trattato questa è la prima riforma della politica agricola comune che, dal punto di vista delle risorse finanziarie, viene fatta al buio. Vi è la proposta del commissario al bilancio Lewandowski, ciò nonostante - come dirà l'onorevole La Via - sarà una trattativa lunga e non è certo che si giunga a una conclusione entro la primavera del 2013. Del resto, se non avremo l'entità finanziaria da dedicare a questo scopo, non potremmo approvare la riforma della politica agricola comune. Siamo, quindi, di fronte a due binari paralleli che si condizionano l'un l'altro.
Un altro aspetto riguarda la complessità della questione. Nel caso del «pacchetto latte», il cui iter approvativo troverà probabilmente conclusione il 6 dicembre, dal momento in cui il Commissario ha presentato una proposta legislativa fino a quando la Commissione agricoltura e il Consiglio hanno negoziato l'accordo finale, sono trascorsi 7-8 mesi. Ecco, credo che, anche in questo caso, occorra un periodo simile. Difatti, dato che gli onorevoli Luis Capoulas Santos, Giovanni La Via e Michel Dantin, relatori dei tre dossier principali - ve ne sono altri, ma questi sono i tre fondamentali: primo pilastro, secondo pilastro e organizzazione comune del mercato unica (OCM unica) e finanziamento della PAC - dovranno finire le loro relazioni, cosa che avverrà, come abbiamo detto ieri nella riunione dei coordinatori, non più tardi del giugno 2012. A partire da quella data inizieremo il processo emendativo ai testi dei relatori.
Ora, se al rapporto Dess arrivarono 1.200 emendamenti, ai rapporti Capoulas Santos, La Via e Dantin ce ne aspettiamo qualcuno in più. È, quindi, evidente che sarà difficile riuscire a completare la discussione degli emendamenti, ad approntare gli emendamenti di compromesso e a votare un testo entro l'anno 2012 o i primi mesi del 2013. Oltre al binario parallelo del bilancio, la tempistica è, già di per sé, molto complicata affinché si possa immaginare che vi sia un accordo definitivo tra il Consiglio e il Parlamento e un voto d'Assemblea entro la primavera del 2013, data che coincide con la deadline poiché, se non abbiamo ulteriori 7-8 mesi di tempo per poter implementare, una volta approvata, la riforma, il 1o gennaio 2014 non si potrà dare inizio alla nuova PAC. Questo è un problema di metodo, su cui, però, vi dobbiamo informare perché apre delle prospettive
particolari, non fosse altro per un'ipotesi di proroga dell'attuale politica agricola comune di un altro anno almeno.
Sul merito, sintetizziamo le numerose critiche provenienti da tutti i Gruppi, anche se con articolazioni e sottolineature diverse. Grosso modo, vi sono tre blocchi di critiche che riguardano, in primo luogo, il tema della semplificazione e della sburocratizzazione. Sotto un primo aspetto, il Parlamento teme che questa proposta della Commissione non semplifichi e non vada nella direzione di ridurre il carico amministrativo né per gli agricoltori, né per le amministrazioni pubbliche, chiamate a controllare l'effettiva attuazione della proposta. Ovviamente, ciò equivale a porre la questione del greening, sulla quale il Parlamento europeo ha votato a larghissima maggioranza, manifestando una posizione favorevole, ma non a tutti i costi. Nel rapporto Dess fu proprio questa l'espressione che unì le sensibilità dei vari Gruppi. Ciò vuol dire che il greening e la sostenibilità sono certamente obiettivi a cui non
possiamo rinunciare, ma dobbiamo poterli realizzare con la certezza che la stragrande maggioranza degli agricoltori li mettano in pratica, senza il rischio che l'eccesso di burocrazia e di difficoltà limiti l'accesso al greening da parte degli agricoltori o addirittura generi un flusso di risorse che da un Paese tornano a Bruxelles proprio per la mancata applicazione di queste norme.
Un secondo grande gruppo di proposte riguarda la flessibilità applicativa, che interessa sia i Paesi del nord sia quelli del sud dell'Europa, in particolare il nostro, la Spagna e la Francia, gli unici dei 27 a non aver ancora effettuato la regionalizzazione, ovvero la distribuzione degli aiuti. Quando parliamo di flessibilità in senso nordico, dobbiamo chiarire che i Paesi settentrionali hanno già realizzato la regionalizzazione, subendo le difficoltà e gli adattamenti per riuscire a ridistribuire tutti gli aiuti del primo pilastro tra gli agricoltori, per cui, oggi, essi vedono malissimo l'idea che la Commissione rimetta tutto in discussione, riattribuendo nuovi titoli e azzerando tutto il faticoso lavoro per aree omogenee, amministrative e quant'altro. Per esempio, l'Inghilterra ha operato per regioni; la Germania per collina, montagna e pianura. Insomma, ognuno ha scelto un proprio criterio di regionalizzazione.
Ebbene, oggi la Commissione propone di azzerare tutto, prospettando nuovi titoli. Di conseguenza, i Paesi che lo hanno già fatto non vogliono ripartire da zero e noi, che non l'abbiamo ancora fatto, abbiamo bisogno di più tempo per poter adeguare una distribuzione degli aiuti che, inevitabilmente, penalizzerà gli agricoltori e i territori con un'entità dell'aiuto per ettaro molto elevata. Per esempio, con l'onorevole La Via discutevamo degli agrumicoltori siciliani o calabresi - anche perché entrambi, in vesti diverse, abbiamo gestito l'OCM ortofrutta e abbiamo affrontato in particolare i problemi dell'agrumicoltura - che, oggi, dopo tanta fatica, percepiscono una media di 1.200-1.400 euro a ettaro.
Ed allora, come faremo a dire loro che, nella migliore delle ipotesi, la distribuzione comporterà un'entità di premio di 250-300 euro? Per noi che non abbiamo fatto la regionalizzazione questo avrà un impatto devastante. Non si tratta, quindi, di semplici difficoltà, ma si toccano rischi di tenuta sociale in alcuni territori dove sono molto concentrati gli aiuti, specie in settori come l'agrumicoltura, l'olivicoltura, la risicoltura e la zootecnia da carne. In questo caso, le possibilità ci sono; occorre, però, che questa proposta offra la flessibilità necessaria - questo è il secondo grande tema - per essere applicata in maniera graduale.
Anticipo in questa sede una delle idee che circola tra di noi, che suggerisce una regionalizzazione prima settoriale e poi per aree amministrative o omogenee. La distribuzione settoriale garantirebbe, infatti, di eliminare i picchi. Del resto, sapete bene che vi è anche un problema di equità nell'attuale PAC perché c'è chi prende molte migliaia di euro a ettaro e chi non prende nulla. Addirittura, vi sono incongruenze tra agricoltori con oliveti di uguale dimensione, di cinque o dieci ettari, nello stesso territorio poiché uno prende migliaia di euro e l'altro nulla. La distribuzione settoriale potrebbe, quindi, rappresentare
un primo step in questa direzione. Comunque, al di là dei contenuti di merito, il tema della flessibilità costituisce sicuramente il secondo grande gruppo di questioni in ordine alle quali il Parlamento ha più volte evidenziato le lacune di questa proposta.
Il terzo e ultimo grande capitolo riguarda le misure per la gestione del mercato. Questo è forse l'elemento di maggiore critica che abbiamo rivolto al Commissario perché tutti i dibattiti che abbiamo tenuto in Commissione agricoltura, fin dall'insediamento di questa legislatura, sono stati rivolti alla gestione delle crisi, a partire da quella del latte, fino alla questione dell'ortofrutta e alla modalità per gestire le crisi di mercato con strumenti di aggregazione. Peraltro, il «pacchetto latte» è nato proprio in relazione alla gestione della crisi. Per questo, nel rapporto Dess abbiamo ipotizzato assicurazioni, fondi mutualistici, sistemi di stoccaggio sia pubblici che privati e metodi organizzativi di gestione collettiva, modello OCM ortofrutta. Ebbene, di queste ipotesi e proposte, che il Parlamento aveva formulato e votato nel rapporto Dess, non abbiamo trovato nulla nell'attuale proposta della Commissione, salvo un riferimento al
secondo pilastro che, però, per quanto riguarda l'Italia, equivale a un nulla di fatto perché tutti questi strumenti non possono essere regionalizzati. Bisogna, quindi, adottare necessariamente un approccio nazionale.
In estrema sintesi, questi sono i temi principali. Naturalmente, ve ne sono molti altri, su cui non mi soffermo. I tre grandi blocchi - ripeto - sono questi. Vi sono, poi, molte discussioni relativamente alla definizione di agricoltore attivo seppure vi siano, da una parte, la soddisfazione che se ne parli e, dall'altra, l'insoddisfazione perché non si danno le risposte che tutti vogliamo; tutti desideriamo, infatti, che le risorse vadano agli agricoltori professionali, ovvero a quelli che effettivamente sono agricoltori. A questo fine, certamente non basta il limite del 5 per cento degli aiuti della PAC sul reddito, senza contare - onorevoli colleghi - la complessità di questa misura. Vi ricordo che, nel nostro Paese, per poter fare un calcolo degli aiuti della PAC sul reddito bisogna che l'Agenzia delle entrate fornisca i dati fiscali di tutte le aziende agricole e li incroci con i dati dell'Agenzie per le erogazioni in agricoltura (AGEA). Insomma, è una
questione enorme sul piano della complessità burocratica. Pertanto, il modello italiano, cioè il metodo dell'imprenditore agricolo a titolo principale (IATP), non basta, come hanno sottoscritto tutte le organizzazioni agricole attraverso un documento presentato a Cremona due settimane fa. Tutti noi vogliamo cambiare la proposta del commissario Ciolos. Tuttavia, una cosa è avere un criterio che vale per tutti in Europa; un'altra è chiedere che nella proposta di riforma vi sia l'obbligo degli Stati membri di identificare criteri più limitativi nei confronti dell'agricoltore professionale.
I temi - ripeto - sono tantissimi; questi tre grandi blocchi rappresentano, però, in maniera estremamente sintetica, le principali critiche alla proposta Ciolos. Finisco, accennando a un aspetto, sul quale ci siamo più volte intrattenuti, sebbene non trovi spazio in un comma o un articolo. Mi riferisco allo scenario più ampio, ovvero al fatto che siamo in un'epoca nuova, completamente diversa dal passato. Difatti, siamo passati dal periodo dell'abbondanza a quello della scarsità alimentare, con la difficoltà di gestire la volatilità dei prezzi e l'instabilità dei mercati. Ecco, in realtà, questa proposta di riforma sembra guardare più al passato che al futuro e alle grandi sfide che l'agricoltura deve mettere in atto. Proprio su questo si articolano diverse analisi, tra le quali i tre gruppi di critiche che ho citato. Grazie.
GIOVANNI LA VIA, Membro della Commissione per l'agricoltura e lo sviluppo rurale del Parlamento europeo. Inizierei da un approccio leggermente diverso perché, da relatore permanente del bilancio agricolo, vedo altri rischi. Infatti, dal momento in cui è partita la formulazione della proposta con il relativo percorso (dal preliminare tema di discussione aperto alla Commissione, al rapporto Dess, sino alla
proposta finale) è ovvio che lo scenario economico e complessivo si è profondamente modificato.
Tra venerdì e sabato scorso, in Comitato di conciliazione - ovvero tra Consiglio, Commissione e Parlamento - abbiamo approvato il bilancio per il 2012, notando le difficoltà che incontrano tutti gli Stati membri nel mettere a disposizione risorse per l'Europa, la quale, sostanzialmente, si finanzia attraverso una percentuale del loro prodotto interno lordo. Tuttavia, questa percentuale non è fissa, ma si concorda anno per anno nell'ambito del quadro delle prospettive finanziarie. Attualmente, l'Europa sta definendo le prospettive finanziarie dal 2014 al 2020 e ciò rappresenterà un quadro di riferimento nel quale si dovranno inserire tutte le politiche europee (di coesione, agricola, di vicinato e via discorrendo).
Ora, negli ultimi sei mesi - ripeto - il quadro finanziario europeo si è profondamente modificato, per cui parlare di nuove prospettive finanziarie appare estremamente complesso. Del resto, anche Paesi come la Germania e la Francia, che affrontano proprio in questi giorni, per la prima volta, il problema del finanziamento del proprio debito pubblico, senza contare altri Paesi che hanno problemi assai più rilevanti, guardano alla prospettiva del finanziamento dell'Europa al 2014 al 2020 con una grandissima preoccupazione. In questo scenario, chi riuscirà a congelare qualcosa di più dell'1 per cento del prodotto interno lordo nazionale per il finanziamento delle politiche europee? Tutti saranno estremamente restii a mettere la parola fine al dialogo sulle prospettive finanziarie europee, con l'aggravante che esse vanno approvate all'unanimità dagli Stati membri, cosa che risulta ancora più difficile nel momento in cui ci sono alcuni
Paesi, come la Gran Bretagna e l'Olanda, che sono estremamente scettici sull'utilità del trasferimento delle risorse sul piano europeo.
La definizione delle prospettive finanziarie è, dunque, un percorso a ostacoli, senza una data certa. A ciò aggiungo che le presidenze che si alterneranno dopo quella polacca sono quella danese, cipriota e irlandese. Questo alternarsi delle presidenze si accavalla, inoltre, con stagioni elettive in grandi Paesi come la Francia e la Germania. Nella storia europea, questi non sono mai stati periodi per prendere grandi decisioni, e soprattutto coraggiose. In un simile contesto, possiamo pensare a una tempistica rapida di approvazione del quadro finanziario pluriennale, in uno scenario certo, che consenta di finanziare una politica agricola forte, di cui l'Europa ha sicuramente necessità? Invero, ciò rappresenta un pericolo perché, se si dovesse approvare a breve il quadro finanziario, esso sarà foriero di «lacrime e sangue» e non potrà che vedere ancora ulteriormente ridotta, rispetto alla stessa proposizione della
Commissione, l'entità delle risorse complessivamente destinate alla politica agricola comune. Potrebbe, perciò, aprirsi anche un altro scenario.
A tale proposito, il presidente De Castro mi accusa di pessimismo. Tuttavia, ognuno considera le cose dal suo punto di vista. Io, quando vado a fare il negoziato di bilancio per il Parlamento con il Consiglio e la Commissione, mi rendo conto che non sono momenti facili. Comunque, l'altro scenario a cui mi riferisco prevede un rinvio temporale del quadro finanziario, che potrebbe permettere una prosecuzione dell'attuale struttura della politica agricola, visto che il regolamento sui pagamenti diretti non prevede una deadline, prorogando il vecchio quadro finanziario pluriennale, con l'aggiunta dell'inflazione. D'altronde, ciò è stabilito dall'accordo raggiunto sul precedente quadro finanziario pluriennale 2007-2013. Quindi, qualora non venisse raggiunto un accordo sul nuovo, proseguirebbe il vecchio quadro pluriennale con le risorse incardinate nelle singole rubriche di bilancio aumentate del 2 per cento. Dal punto di vista agricolo, questo non sarebbe un
grande danno. Anzi, rispetto a una prospettiva di tagli, sembra essere perfino interessante.
A questo punto, cambio il cappello, passando dal ruolo del relatore di bilancio a quello di relatore della politica agricola.
Chi deve redigere un rapporto legislativo da portare in Parlamento, poi all'attenzione dei colleghi e infine al voto, vorrebbe farlo con un quadro di risorse certo, come abbiamo concordato con gli altri relatori. Una cosa è parlare del greening a risorse invariate, un'altra è parlarne con un taglio del 30 o 40 per cento delle risorse rispetto a quelle oggi destinate alla politica agricola comune. È un discorso totalmente diverso.
È chiaro, quindi, che, prima di mettere un progetto sul tappeto, dobbiamo avere delle certezze. La Commissione ci inviterà a presentare una proposta entro giugno; noi, però, siamo più restii e cercheremo di prendere più tempo perché vorremmo sapere con quali risorse potremmo finanziare le politiche o gli interventi che proporremo al Parlamento. Ciò potrebbe determinare, quindi, uno slittamento. D'altronde, sentendo i colleghi in Parlamento e parlando con gli altri relatori, mi sembra lampante che nessuno vuole un voto del Parlamento prima della definizione definitiva delle prospettive finanziarie. Inevitabilmente, questo significa che potremmo andare incontro a un voto del Parlamento ben più in là rispetto ai tempi limite che propone il Commissario affinché si possa attivare la riforma al 1o gennaio 2014. Questa situazione aprirebbe - ripeto - scenari totalmente diversi.
Rispetto ai contenuti, potremmo entrare nei dettagli perché, dopo le prime settimane in cui parlavamo degli aspetti più epidermici della riforma, oggi, da relatore, posso dire che siamo dentro alle questioni, quindi, rispetto a quanto ha espresso il presidente De Castro, si potrebbe aggiungere molto di più. Vogliamo un greening formato o adatto alle coltivazioni erbacee, che vincoli le produzioni dei nostri agricoltori? Vogliamo un set-aside obbligatorio - come quello che sta introducendo il Commissario - del 7 per cento, in un momento nel quale, sul piano internazionale, abbiamo una prospettiva di necessità di prodotti alimentari sempre maggiore? Vogliamo parlare di un sistema dei controlli e di uno sanzionatorio, tremendi solo a sentirsi? La nostra Agenzia per le erogazioni in agricoltura, quando ha letto il testo, ha mostrato non poche perplessità perché non avremmo più controlli mirati; dal campione si
passerà all'estensione a tutto l'universo per tutte le sanzioni applicate a livello comunitario. Potremmo entrare ulteriormente nei dettagli con il riferimento alle organizzazioni comuni di mercato proposte. È quello di cui abbiamo bisogno?
Sul piano europeo, rispetto alla politica nazionale, non abbiamo grandi differenziazioni di parte politica. Difatti, credo che sui temi agricoli non abbiamo mai votato in modo diverso - mi riferisco al PPE e all'SD, visto che ci siamo noi due - non perché non ci siano differenze di visione, ma perché, in quel contesto, difendiamo gli interessi nazionali, senza coloriture di natura politica. Nelle nostre ricorrenti discussioni, da un lato all'altro dell'Aula, ci rendiamo conto che questa riforma, così com'è impostata, può essere estremamente penalizzante, soprattutto per un Paese che - come diceva il presidente De Castro - non ha adottato la regionalizzazione. Oggi, molti attribuiscono a questa riforma degli effetti che sono, però, legati alle riforme precedenti. Per esempio, il fatto che l'Italia non abbia adottato la regionalizzazione non ha determinato alcuni effetti, che dovremmo applicare nel tempo. Vi sono, poi, altri temi,
come la differenza tra i Paesi occidentali e orientali. È giusto che i Paesi orientali recuperino, nel periodo transitorio, esclusivamente il 30 per cento del differenziale del livello medio dei premi rispetto ai Paesi occidentali, oppure è poco? Naturalmente, i Paesi dell'Est non sono soddisfatti di questa proposta e vorrebbero qualcosa di diverso. Si apre, quindi, un tema a 27, che è ampio e differenziato.
Concludo - poi, ovviamente, risponderemo a tutte le vostre domande sui diversi aspetti - con un'ultima considerazione. Per la prima volta faremo questa riforma con il Trattato di Lisbona. Pertanto, il ruolo del Parlamento diventa straordinario, mentre nella sede del Consiglio il nostro è solo uno dei 27 ministri. È chiaro che in Parlamento l'Italia, per varie ragioni,
è forte. Utilizziamo, allora, il Parlamento per realizzare gli interventi necessari al nostro sistema agroalimentare. Per esempio, il presidente De Castro parlava della flessibilità; ebbene, se riuscissimo a ottenere la flessibilità necessaria, saremmo sicuramente in grado di ridurre gli impatti negativi della riforma sul nostro territorio e ciò non sarebbe di poco conto. Grazie.
PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
ISIDORO GOTTARDO. Innanzitutto, vi ringrazio perché, dopo l'audizione del Commissario Ciolos, questa di oggi ci aiuta ad avere una visione complessiva. Peraltro, questa relazione tra le istituzioni dovrebbe diventare organica perché - come sapete - questo Paese ha il profondo difetto di dimenticare, a volte, di aver mandato nostri connazionali presso il Parlamento europeo a rappresentare il sistema Italia.
A questo proposito, ogni tanto, mi viene in mente la storia del film Balla coi lupi in cui c'era un personaggio mandato in avanguardia a presidiare un territorio, di cui si erano poi dimenticati. Se poi, nello svolgere il suo ruolo, quel soggetto cercava di fare alleanze con chi viveva in quel territorio, avrebbero potuto anche accusarlo di tradimento, nonostante facesse gli interessi del Paese. A ogni modo, mi pare che il quadro sia abbastanza chiaro, come anche l'ordine delle priorità presentato dal presidente De Castro. Noi condividiamo totalmente il suo intervento. Occorre partire prima di tutto dalla semplificazione e dalla sburocratizzazione. Infatti, quotidianamente, il problema dei nostri agricoltori è recuperare le risorse, sebbene scarse.
Non possiamo pensare che le aziende agricole debbano organizzarsi a prescindere dai tempi e dai modi con cui riceveranno gli aiuti. Sappiamo che, in Italia, questo è il primo vero problema, soprattutto a fronte di un sistema bancario, chiamato ad anticipare, che, il più delle volte, mette in mora gli agricoltori in ritardo non per causa loro, ma perché non ricevono le risorse. Recentemente, abbiamo avuto un esempio di questo con i contributi sulle avversità atmosferiche; vi era un impegno preciso dell'AGEA a liquidare entro una determinata data, ma i soldi sono arrivati molto dopo, per cui le banche hanno contestato agli agricoltori di non aver rispettato i patti di rientro del prestito.
La seconda questione è che mi sembra incredibile dover ribadire la necessità di una flessibilità applicativa. Se l'Europa non capisce che deve, da un lato, valorizzare alcuni elementi e, dall'altro, consentire a ogni territorio di organizzarsi secondo le proprie peculiarità e specificità, ne prendiamo atto. Lo stesso vale per la gestione. Credo, però, che su questo, più che l'Europa, siamo noi a dover imparare la lezione sulle misure di gestione, avendo provocato diversi disastri con venti piani di sviluppo rurale, di cui abbiamo visto le conseguenze. In generale, credo sia poco sostenibile l'idea che la regionalizzazione dell'agricoltura debba comportare che ogni regione si organizzi di fronte alla gestione di crisi poiché - come ha detto il presidente De Castro - solo misure nazionali possono riuscire a superare questi problemi.
Tuttavia, ciò che mi preoccupa maggiormente - perché trovo richiami un quadro molto realistico - è l'osservazione che ho rivolto al Commissario Ciolos. Credo, infatti, che, oggi, di fronte a questa crisi economica, dobbiamo rimotivare il contribuente europeo rispetto al fatto che l'agricoltura assorba una quantità così rilevante di risorse europee. Il tema non è convincere i Governi, bensì l'opinione pubblica, e proprio affinché l'opinione pubblica si convinca che si tratta di soldi ben spesi, bisogna che la riforma della PAC diventi l'occasione per rilegittimare il ruolo fondamentale che l'agricoltura deve svolgere innanzitutto nel presidio del territorio.
Apro una parentesi per dire che è drammatico che, in merito alle alluvioni accadute in Italia - pensiamo alle Cinque Terre - tutti abbiano parlato di fiumi non
messi in sicurezza e di comuni che non hanno investito, ma nessuno abbia detto una cosa molto elementare, ovvero che un territorio organizzato a terrazzamenti per la coltivazione, non facendo più agricoltura, è in disgregazione. È un'osservazione che non ha fatto nessuno. In questo Paese - questo è un difetto di cui la politica deve farsi carico perché subisce le pressioni degli agricoltori - tendiamo sempre a forzare la mano sugli aiuti di Stato, con misure dirette all'agricoltura, quando sarebbe possibile introdurre misure di sostegno ambientale che risolverebbero i problemi di presupposto dell'agricoltura per rimanere sul territorio. Queste sarebbero, peraltro, compatibili con il sistema degli aiuti di Stato.
Faccio questa osservazione perché ritengo che ciò che diceva l'onorevole La Via sia molto realistico. Infatti, prima delle questioni di merito, sono preoccupato che si riduca la dimensione di finanziamento della PAC. Temo che la crisi e la decrescita del PIL faccia pagare all'agricoltura molto di più delle riduzioni programmate nei prossimi anni. Dobbiamo, allora, raccogliere l'invito che ci è stato rivolto rispetto Trattato di Lisbona.
Abbiamo una grande opportunità, che non è del Governo, ma del Parlamento, attraverso il quale, nella fase ascendente, possiamo far sentire forte e in modo innovativo il peso di un Paese che presta molta attenzione ai contenuti della PAC, non quale fattore di remunerazione dei propri agricoltori, ma in termini di qualità di vita in un territorio difficile come quello italiano, fatto di montagna, di collina, di coste, di nord, sud e quant'altro. È, quindi, una questione di qualità. Credo - presidente - sia assolutamente necessaria, nella fase ascendente, una risoluzione forte da parte del Parlamento, non appiattita sulle posizioni del Governo, che sappia sintetizzare questi punti per riproporre anche all'opinione pubblica italiana la questione dell'importanza di investire nella politica agricola comune.
Prima di chiudere, vorrei porre alcune domande. È fondata la notizia, segnalata continuamente, che l'Italia sia penalizzata nel calcolo della convergenza a causa di un errore nella comunicazione dei dati sull'entità della superficie coltivata nel nostro Paese? Insomma, è vero che i dati forniti dall'Italia non corrispondono al 100 per cento della nostra superficie coltivata, ma al 70 per cento e che, quindi, solo in questa misura, si percepisce PAC fino al 2013? Eventualmente, come può l'Italia correggere questo dato?
PRESIDENTE. All'onorevole Gottardo abbiamo consentito più tempo, ma è la cortesia che si deve a un collega che ha ben rappresentato questa Commissione.
MASSIMO FIORIO. Ringrazio, innanzitutto, i due parlamentari europei che hanno avuto la cortesia di essere tra noi oggi. Abbiamo iniziato da tempo un percorso di conoscenza di questo documento e di quello che ne sarà l'esito. Insomma, stiamo cercando di comprendere il più possibile per contribuire nel modo migliore a questo progetto. Peraltro, anche alla luce del nuovo assetto istituzionale della Comunità europea e del ruolo del Parlamento, credo che il passaggio di oggi sia fondamentale, nella misura in cui le forze politiche, che devono collaborare per un buon esito di queste scelte, almeno per l'Italia, siano supportate dalla capacità degli Stati membri e del nostro Paese di fare squadra. Ritengo, quindi, che questo momento abbia, da questo punto di vista, una sua rilevanza, nella misura in cui le forze politiche rappresentate possano prendere atto dello stato dell'arte della
discussione.
Partirei dalla chiusura dell'intervento dell'onorevole De Castro, che concludeva con una considerazione non certo positiva, nel senso che riconosceva che questo documento si apre con le migliori prospettive verso il futuro, ma rischia di guardare al passato. Ecco, credo che questo sia un fronte su cui lavorare e sul quale la politica possa fare la sua parte, cercando di immettere innovazione. Del resto, da questo punto di vista, il nostro Paese rischia poiché, rispetto alle prime analisi, su alcuni settori vediamo, in prospettiva,
ridotte fortemente le risorse, in misura tale da compromettere economie di filiere e locali. Sebbene questo percorso appaia mitigato da meccanismi di atterraggi morbidi e di compensazioni, rischiamo di arrivare nel 2020 con un equilibrio totalmente diverso rispetto a quello attuale. Alcuni settori sono, quindi, a rischio di compromissione; penso, per esempio, alla zootecnia. Questo è, quindi, uno dei temi su cui dobbiamo riflettere.
Un'altra questione riguarda la facilitazione della sburocratizzazione. Anche in questo caso, rispetto agli schemi facilitati che le piccole aziende potranno fare propri attraverso una doppia condizionalità alternativa o sotto il 15 per cento o sulla media nazionale, ma soltanto per 3 ettari, emerge che allo schema facilitato possono partecipare soltanto aziende piccole o molto piccole. Dunque, le intenzioni iniziali vengono, in qualche modo, tradite perché riduciamo il problema della sburocratizzazione, della facilitazione dell'accesso alle risorse e dei pagamenti soltanto alle piccole aziende, quindi, non dico a un'agricoltura residuale, ma comunque non in modo da coinvolgere il grosso delle imprese agricole nazionali. Ecco, se si procede in questa maniera, questo sarebbe un elemento di sconfitta.
Sul tema del greening, quel tipo di innovazione rischia - come è stato accennato - di penalizzare fortemente le agricolture specializzate, andando nella direzione di favorire agricolture generiche, senza valutare attentamente quelle che hanno richiesto investimenti a terra di lungo termine per cui la rotazione risulta complicata e via dicendo. Anche su questo, credo che il nostro Paese e l'Unione europea debbano assumere un approccio più modulare nei confronti di questi strumenti, che riconosciamo, ovviamente, come positivi, perché fanno proprie istanze fondamentali della società e non solo del settore. A ogni modo, ritengo che le scelte sul versante dell'ecocompatibilità possano essere differenti rispetto a quelle impostate finora. È vero che vi è la «riserva» per le zone svantaggiate, che può essere un elemento compensativo rispetto a questo tipo di politiche; credo, però, che non possa
essere sufficiente. Vorrei, quindi, capire se rispetto al percorso tracciato sul tema del greening, vi siano elementi evolutivi in senso positivo.
ANITA DI GIUSEPPE. Grazie, presidente. Ringrazio anche gli europarlamentari presenti perché è importante per noi, membri della Commissione agricoltura del Parlamento italiano, sapere come ci rappresentano i nostri colleghi europei.
A prescindere dagli obiettivi generali della PAC, come lo sviluppo di un'agricoltura competitiva favorendo anche un'agricoltura sociale e ambientale, sottolineati dall'onorevole De Castro, so che conoscete perfettamente i problemi che ci sono stati esposti dalle imprese agricole, visto che avete ben presente la situazione dell'agricoltura italiana per rappresentarla all'interno del Parlamento europeo. Per esempio, rispetto ai primi tre regolamenti sui sette, relativi ai pagamenti diretti, allo sviluppo rurale e all'OCM unica, l'Italia esce penalizzata da questa PAC poiché il criterio della convergenza è basato soprattutto sulla superficie agricola utilizzata e non sulla produzione lorda vendibile, importante per il nostro Paese proprio per le produzioni di qualità che offre al mercato. Inoltre, per quanto riguarda il greening, non si può dare a priori la patente di greening ai pascoli permanenti senza considerare i nostri vigneti,
oliveti e agrumeti, ma anche i terrazzamenti - come ha fatto notare l'onorevole Gottardo - che hanno una duplice utilità, salvaguardando anche il territorio. D'altra parte, come rappresentato dall'onorevole De Castro, in merito allo sviluppo rurale è importante il coordinamento fra le regioni per gestire al meglio le misure da applicare, evitando di attuarle in ordine sparso.
A ogni modo, mi preoccupa quanto detto dall'onorevole La Via sulle risorse. Infatti, in questo caso, l'Europa appare come la natura nei riguardi degli agricoltori; è madre e matrigna nello stesso tempo poiché senza le risorse non si può parlare né di greening, né di sviluppo rurale. Come giustamente sosteneva l'onorevole,
siamo di fronte a uno scenario che cambia continuamente e radicalmente, quindi le risorse rappresentano un'incognita. Mi chiedo, allora, che cosa garantisce questa politica agricola alle nostre imprese senza le risorse, che sono veramente decisive.
Vorrei, infine, porre un'altra domanda. Venerdì vi è stata l'audizione del Commissario europeo per l'agricoltura e lo sviluppo, Dacian Ciolos, il quale, nel consegnarci la sua relazione, ha rappresentato la posizione di netta contrarietà dell'Italia alla proposta, puntualizzando gli aspetti sui quali il nostro Paese non è d'accordo, aspetti che coincidono con i punti che ho appena citato. Ecco, cosa faremo in Europa? A questo riguardo, qualche settimana fa ho detto al Ministro Romano che l'Italia manca di autorevolezza. Può darsi, invero, che sia l'autorevolezza del nostro Ministro a essere scarsa. Tuttavia, l'onorevole La Via afferma che l'Italia ha molta voce in capitolo. Mi chiedo, allora, se sia vero.
TERESIO DELFINO. Mi associo ai ringraziamenti ai due nostri parlamentari europei, che saluto con molta cordialità. Riassumendo brevemente quello che ho compreso dalle loro relazioni, siamo in una situazione complicata e difficilissima, con un quadro economico totalmente incerto e tempi molti fluidi proprio a causa di queste difficoltà finanziarie, che possono portare anche a uno slittamento dell'attuale sistema della PAC. Sulla base di quanto affermato dall'onorevole De Castro, a cui anche lei ha accennato, accusiamo il nostro ritardo nella regionalizzazione di alcune misure già implicite nel processo delle precedenti riforme della PAC.
Ecco, vorrei sapere se rispetto alle questioni che rappresento potete darci qualche assicurazione. Questo quadro difficilissimo impone, infatti, una grande coesione del sistema Paese. In Europa, tra le organizzazioni professionali di ogni tipo, il Governo e il Parlamento italiani, i nostri rappresentanti al Parlamento europeo, il nostro Commissario europeo e così via, vi è questa sinergia alta a sostegno di un cambiamento? Come diceva la collega Di Giuseppe, abbiamo sempre avuto il sentore, nei primi anni di questa legislatura, che la mancanza di autorevolezza del Governo italiano ci abbia fatto subire una proposta di riforma che, però, stando alle vostre voci, è ancora largamente recuperabile. Poniamo, pertanto, al primo posto la coesione e vorremmo sapere se ci confortate in questo senso.
Vengo a un'altra questione. Al di là della contrarietà generale alla riforma che, più volte, lo stesso Governo ha espresso in questa sede, vi sono dei punti specifici. Per esempio, essendo noi un Paese contributore netto, non vorremmo veder peggiorare questo aspetto a seguito della riforma. Ecco, rispetto a questi elementi - non li ripeto perché vi sono già noti; peraltro, sono stati ribaditi anche da alcuni colleghi - vorremmo sapere qual è lo spazio di cambiamento per rendere almeno accettabile, se non proprio condivisibile, questa riforma, a partire proprio dal budget, che, a nostro avviso, seppure soltanto sul parametro del territorio, non può essere un elemento soddisfacente.
Abbiamo, tra l'altro, una battaglia specifica, portata avanti in modo altamente unitario, sulla tracciabilità nella filiera agricola e agroalimentare e sull'etichettatura, che impatta molto con l'agroindustria perché vorremmo una tutela forte e profonda della specificità e della qualità. Su questo, c'è un margine per ottenere un cambiamento che, investendo altre competenze, va anche al di là della stessa PAC?
Infine, vorrei sapere qual è, dal vostro punto di osservazione, lo stato dei rapporti e delle sinergie che il nostro Paese ha già avviato e può sviluppare per costituire un nocciolo duro - non dico un sindacato di controllo - che ci consenta, anche rispetto a quanto diceva l'onorevole La Via, di avviare o consolidare un sistema di alleanze che ci rassicuri parzialmente sulla possibilità di modificare alcune questioni.
SEBASTIANO FOGLIATO. Ringrazio, a nome del Gruppo della Lega Nord, l'onorevole
La Via e il presidente De Castro della loro presenza in Commissione, utile per creare una opportuna sinergia con le istanze che recepiamo nella nostra Commissione - che, peraltro, non rappresentano delle novità per loro - e per favorire l'unione di intenti necessaria a difendere l'interesse del nostro Paese nell'ambito della nuova PAC post 2013. Abbiamo, infatti, tutti la consapevolezza che da questo negoziato scaturisca il futuro dell'agricoltura dal 2014 al 2020, quindi il grado di sostenibilità della nostra agricoltura e la possibilità per le nostre imprese agricole di andare avanti.
Noi, come gruppo, abbiamo attivato tutte le attenzioni su questo tema che riteniamo essere il più importante. Il collega Delfino ha fatto riferimento a un discorso di autorevolezza del Governo. Il problema è, invece, chiedere qualcosa che consenta al nostro invidiato modello di agricoltura di sopravvivere. Forse i tedeschi andranno meglio nell'economia, ma il nostro sistema e le nostre produzioni agroalimentari sono invidiate in tutto il mondo; pensiamo, per esempio, ai nostri formaggi o alle produzioni DOP e di qualità che abbiamo in ogni regione, che i tedeschi non hanno. Dobbiamo, quindi, stabilire un criterio di premialità per le nostre produzioni perché abbiamo un'agricoltura che produce qualità, una qualità che ci è invidiata in tutto il mondo.
Vorrei fare una premessa riguardo alle correnti di pensiero che, anche in Europa, considerano l'agricoltura come un settore assistito, che vive di prebende e contributi. Ebbene, non c'è nulla di più falso. Intorno a questa nuova PAC bisognerebbe stabilire un piano di comunicazione per sfatare queste illazioni, avanzate da più parti, secondo le quali all'agricoltura è riservata una parte considerevole del bilancio dell'Unione europea. Occorre, infatti, considerare che l'agricoltura ha delle caratteristiche particolari. Basti pensare al nostro territorio, dove, se non ci fosse l'agricoltura, anche in rapporto ai recenti eventi legati al dissesto idrogeologico, non basterebbe l'intero PIL per coprire i danni provocati da queste calamità.
L'agricoltura va, quindi, valutata anche per quelle che i sociologi chiamano le «esternalità positive» che crea sul territorio. Per esempio, se non ci fosse agricoltura, in alcune zone non sarebbe neanche possibile il turismo. Insomma, bisogna stabilire un piano di comunicazione che dica che l'agricoltore non è un semplice beneficiario, ma rende un servizio che va al di là del puro esercizio della propria funzione. Del resto, anche tra i nostri colleghi c'è questa corrente di pensiero; difatti, spesso mi fermo a dibattere di questi argomenti e della barzelletta dell'agricoltura assistita, che vorrei sfatare.
Concentrandoci sulle cose da fare, in questa proposta di riforma l'Italia è penalizzata con un 7-8 per cento di risorse in meno per i prossimi anni. Anche io sono preoccupato per questo, considerato che i costi di produzione per gli agrofarmaci, le sementi e i concimi per mantenere l'agricoltura su certi territori galoppano; di conseguenza, una riduzione delle risorse sarebbe fortemente impattante. A confronto, la Francia vedrebbe ridotte solo dell'1,5 per cento le sue risorse per la PAC. Penso, pertanto, che occorra dare un colpo di reni finale affinché si faccia presente nei negoziati che noi abbiamo qualcosa che negli altri Paesi non c'è, ovvero la nostra qualità, e si stabilisca un criterio di premialità per le nostre produzioni, che sono, appunto, di qualità e che non hanno rivali negli altri Paesi, anche se a volte cercano di imitarci. Ecco, dobbiamo essere consapevoli di questo e avviare un negoziato che conduca a un criterio
di premialità per la qualità. Credo che solo in questo modo possiamo riuscire a recuperare le risorse che avevamo prima.
In riferimento al greening, direi che debba essere esteso a tutte le colture. Non possiamo limitarlo, altrimenti creeremo dei settori che poi vanno a scapito di altri. Estenderei, quindi, la pratica dell'agricoltura verde a tutti i tipi di coltura, con benefici uguali per tutti, in tutti i settori. Penso di interpretare il sentimento di tutti dicendo che, da parte nostra, come Commissione, vi è l'impegno a formulare e a supportare delle proposte. Tuttavia, visto
che questa proposta verrà votata dal Parlamento europeo, spetta a voi, che siete presenti in Europa con costanza, reclamare risorse aggiuntive, motivate dal fatto che il nostro sistema agroalimentare costituisce un modello che il mondo ci invidia e che, quindi, ha qualcosa in più rispetto a quelli degli altri Paesi. Di questo dobbiamo andare certamente fieri, ma anche tenere conto per chiedere risorse almeno pari a quelle che avevamo prima.
SUSANNA CENNI. Sarò brevissima perché credo che anche altri colleghi vogliano intervenire. In primo luogo, mi associo ai ringraziamenti nei confronti di Paolo De Castro e Giovanni La Via per i loro sintetici, ma concreti contributi. Esprimo, inoltre, apprezzamento per la profonda conoscenza che entrambi hanno dell'agricoltura italiana.
Ecco, io vorrei capire alcuni aspetti che riguardano i passaggi futuri perché credo che, almeno in questa sede, siamo tutti profondamente insoddisfatti del testo in circolazione al momento riguardo allo stato dell'arte della nuova PAC. In particolare, condivido quanto ricordato a proposito del fatto che, probabilmente, stiamo pagando anche lo scotto di una grande assenza del Governo italiano in una primissima fase (quindi negli spazi di discussione, nel primo indirizzo e quant'altro), legata al problema di carattere più generale della scarsa autorevolezza che abbiamo rivestito in contesto europeo. Oggi abbiamo un nuovo Ministro che, per fortuna, è conosciuto in quell'ambito; mi chiedo, però, quale reale spazio abbiano ancora i Governi nazionali per intervenire sui contenuti dei nuovi regolamenti e di quant'altro ci attende.
L'onorevole La Via, soffermandosi sul tema della flessibilità, affermava - come ha fatto anche il presidente De Castro - che in sede di Parlamento europeo svolgiamo un ruolo importante per cui possiamo ancora cercare di lavorare su questo punto proprio perché vi è uno spazio consistente sia per la rappresentanza che l'Italia ha, sia, presumibilmente, per le alleanze che mi auguro possiamo costruire in quella sede. Tuttavia, la flessibilità può essere sufficiente per parare i colpi delle misure che si profilano nel testo che attualmente conosciamo?
Aggiungo un altro tema - quello della sburocratizzazione - toccato dal presidente Paolo De Castro, che sento sia presso gli agricoltori sia nel sistema istituzionale che ha compiti in questa materia; penso, in particolare, al ruolo delle regioni. Difatti, questa ulteriore cappa di burocrazia che rischia di crearsi attraverso i maggiori controlli, ma anche attraverso le norme che si prefigurano nei nuovi regolamenti, credo possa aggravare pesantemente l'accesso alle possibilità della nuova programmazione. Dico questo perché vedo un atteggiamento - che, peraltro, rischia di crescere - in alcuni agricoltori che, a un certo punto, si arrendono perché è troppo complesso accedere ad alcune misure. Ciò potrebbe essere ancora più pesante nella fase di crisi che stiamo vivendo.
Esprimo, inoltre, un'ulteriore preoccupazione. Ho ascoltato con attenzione la chiave di lettura che l'onorevole La Via ha riportato, rappresentando la sua esperienza, rispetto alle grandi incognite che riguardano non solo la dotazione finanziaria, ma gli scenari finanziari complessivi dell'Europa in questo momento. A questo proposito, vorrei porre un altro interrogativo, che forse è precoce, ma vale la pena di mettere sul tavolo, in merito alla reale possibilità di cofinanziamento che gli Stati membri potranno, a loro volta, mettere in campo e, per quanto riguarda lo sviluppo rurale, le stesse regioni.
Ecco, se sommiamo l'insieme di questi aspetti, vedo un quadro molto preoccupante, che non è nemmeno compensato da qualche segnale serio in termini di equità, quindi di rottura di alcune rendite di posizione nell'accesso alla PAC che vi sono in questo Paese.
ANGELO ZUCCHI. Sarò europeo, quindi mi atterrò ai cinque minuti. Leggendo e valutando la proposta Ciolos, essa sembrerebbe non affrontare adeguatamente
almeno due questioni con le quali, invece, l'agricoltura dovrà confrontarsi nei prossimi anni. La prima è come adeguare la propria produzione a un accrescimento evidente e preventivato di consumi. La seconda è come intervenire a difesa e a tutela del reddito degli agricoltori rispetto alle crisi di mercato e alla questione della volatilità dei prezzi che non hanno trovato ancora un'adeguata risposta.
Sulla base di questo giudizio complessivo, ovvero dell'impressione che su questi temi non siano state indicate soluzioni sufficientemente efficaci, vorrei rivolgere alcune domande ai colleghi parlamentari europei. Secondo questa proposta, quali sono i margini di intervento e di modifica, anche in relazione alle tre questioni citate dall'onorevole De Castro all'inizio della sua relazione? Insomma, è ancora possibile, e in che misura, intervenire su quella parte di greening che penalizza fortemente la produzione italiana? È ancora possibile intervenire - ed eventualmente come - sulla parte delle gestioni di crisi di mercato, magari indicando come una delle possibili soluzioni la costituzione di fondi di mutualità che garantiscono, in qualche modo, il reddito degli agricoltori?
Infine, siccome per l'Italia la questione dell'agricoltore attivo è uno dei punti più difficili da affrontare (sappiamo, infatti, che la specificità italiana rileva una complessità del mondo produttivo agricolo; siamo il Paese che ha 1.600.000 imprenditori agricoli, 900.000 partita IVA, 200.000 iscritti nel registro delle imprese; insomma, ci si dovrebbe mettere un bel po' la mano), mi chiedo se non riteniate che un obiettivo su cui spendersi come Paese possa essere chiedere fortemente che ogni Stato membro individui al proprio interno i criteri e i parametri per la definizione dell'agricoltore attivo.
NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Ringrazio i due relatori che abbiamo audito, soprattutto per il lavoro che svolgono nel Parlamento europeo. Nell'arco di questa legislatura europea abbiamo potuto constatare che la vostra coppia funziona molto bene, quindi vi ringrazio anche a nome degli agricoltori italiani per quello che farete, visto che avete iniziato prima di noi.
La questione, così come svolta in questa audizione, suscita pessimismo. Insomma, se dovessi dirlo con un verso, direi «Chi vuol esser lieto sia, di doman non c'è certezza». Mi sembra che questa sia la situazione del budget della PAC. Tuttavia, vorrei essere più ottimista per capire cosa possiamo fare per migliorare la proposta, anche perché dobbiamo recuperare gli ultimi tre anni e mezzo che non ci hanno consentito di fare molto per l'agricoltura italiana.
L'altro giorno abbiamo audito il Commissario Ciolos e, da quello che ha spiegato, ho avuto l'impressione che questa sia una riforma conservatrice e - come ho detto allora - deludente. L'onorevole La Via la definisce penalizzante, anche se con alcune innovazioni positive. Insomma, essa si caratterizza per i seguenti elementi: poca flessibilità (come dice il presidente De Castro), appesantimento del carico burocratico, assenza di misure efficaci per gestire l'incertezza dei mercati e la volatilità dei prezzi, insufficienti politiche di sostegno al reddito degli agricoltori e, infine, assenza di misure per promuovere la produzione agricola. Ora, alla luce di questo, le chiediamo - signor presidente De Castro - qual è la visione generale del Parlamento europeo sui contenuti della proposta. Nello specifico, cosa pensa sulle questioni aperte e cosa crede si possa cambiare in esse?
Il primo punto che riguarda l'agricoltura italiana è la qualità. Per contro, la PAC non parla mai della valorizzazione dei prodotti di qualità. Questo problema non è solo italiano, ma ben nove grandi aree europee l'hanno posto. Vi sono mille prodotti DOP e IGP che sono il fiore all'occhiello dell'agroalimentare italiano ed europeo che, però, non hanno nessuna valorizzazione in questa PAC. Non sarebbe il caso di rivolgere un'attenzione a questi nostri prodotti?
Invero, la convergenza penalizza l'Italia più di ogni altro Stato. Il nostro Paese perde, infatti, il 6 per cento sia per effetto
del criterio adottato della sola superficie, e non del reddito o del valore, sia per un'errata considerazione delle nostre superfici agricole. Ebbene, ci sono margini di revisione per agevolare la possibilità di criteri meno penalizzante per l'Italia? In particolare, reputate possibile affiancare al criterio della superficie anche quello del valore aggiunto e dell'occupazione? Dico questo anche perché, come abbiamo constatato, nei singoli Stati c'è un diverso costo del lavoro.
Un altro aspetto - peraltro già posto - riguarda il greening, che va comunque legato ai problemi del dissesto; vanno, però, anche valorizzate le zone svantaggiate che in questa fase non lo sono. Insomma, se favoriamo il greening per le zone di pianura e non di montagna o per le aree svantaggiate è chiaro che non rispondiamo all'obiettivo di dare anche sicurezza idrogeologica al nostro territorio.
Dell'agricoltore attivo abbiamo parlato in tanti. Su questo aspetto occorre la flessibilità per dare la possibilità ai Paesi membri di decidere chi è agricoltore attivo. Inoltre, parliamo sempre di ricambio generazionale e dell'assenza dei giovani nell'agricoltura, ma il 2 per cento mi sembra una dotazione veramente troppo limitata per agevolare i giovani agricoltori. Chiedo, quindi, come si può incidere sull'implementazione di questa dotazione. Del resto, credo che sia necessario un accordo di tutti su questo.
In definitiva, abbiamo già chiarito le priorità; bisogna, però, capire come il Parlamento italiano possa dare una mano nella direzione da tutti auspicata. Dopo questa audizione - signor presidente - credo sia opportuno che il Parlamento presenti una mozione a sostegno del lavoro che i nostri parlamentari svolgono in Europa per dare loro più forza. D'altra parte, abbiamo operato in questo modo in molte circostanze, anche per l'etichettatura, purtroppo con risultati non particolarmente brillanti. Insomma, dobbiamo recuperare il divario che c'è stato in questo periodo di legislatura e dobbiamo capire come muoverci. Pertanto, se le altre forze politiche sono d'accordo, credo occorra valutare positivamente la possibilità di presentare un atto del Parlamento italiano che rafforzi la posizione dell'Italia in Europa.
PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la loro replica.
PAOLO DE CASTRO, Presidente della Commissione per l'agricoltura e lo sviluppo rurale del Parlamento europeo. Ci siamo accordati per procedere rapidamente, cercando, però, di dare soddisfazione a tutti i colleghi che hanno preso la parola. Su alcuni quesiti l'onorevole La Via potrà essere più preciso di me perché - come avete potuto notare - mi sono dovuto assentare per incontrare il Commissario europeo alla salute John Dalli in visita oggi a Roma. Voleva un incontro con noi e io ho fatto il possibile. I temi sono tanti - galline ovaiole, etichettatura elettronica dei bovini e altre questioni - e non so se avremo tempo per parlare anche di questo.
Comincio dal tema - credo - più importante: i margini di intervento ci sono. Vorrei chiarire una volta per tutte che il nuovo assetto che Lisbona conferisce al Parlamento (la co-decisione e, in generale, la partecipazione del Parlamento al processo decisionale) attribuisce, di fatto, ai relatori la possibilità - come nel caso dell'onorevole La Via - di riscrivere il dossier. Nel caso di specie, l'onorevole La Via può copiare integralmente ciò che dice Ciolos, ma può anche riscriverlo interamente. Ovviamente, dobbiamo considerare i voti, per cui è chiaro che l'onorevole La Via deve operare con i relatori ombra e quant'altro.
Tuttavia, rispetto al tradizionale modo di lavorare del Consiglio - posso testimoniarlo per esperienza diretta - questo attribuisce una forza molto maggiore al Parlamento. Difatti, in Consiglio accade che i Ministri dicano che qualcosa non va bene; ciò nonostante, è sempre la Commissione ad avere il filo della questione perché si presenta un primo, poi un secondo documento di compromesso e così
via, cercando di raccogliere il massimo del consenso possibile da parte dei Ministri.
Per contro, in Parlamento sono i relatori che gestiscono la situazione. Noi non emenderemo la proposta di Ciolos, bensì il rapporto dei relatori, quindi degli onorevoli Luis Capoulas Santos, Michel Dantin e Giovanni La Via. Questo è il percorso, che forse non è chiaro a tutti. Per questa ragione - onorevole Senni - siamo ottimisti, non nel senso di apportare cambiamenti in direzione di tutto quello che vuole l'Italia, ma sulla possibilità stessa di fare dei cambiamenti. Insomma, i cambiamenti ci saranno sicuramente. Il dubbio non è se ci saranno, ma quanto si terrà conto delle nostre esigenze. Questo è, però, un discorso che riguarda il sistema Italia.
A questo proposito, è inutile tentare di farci litigare: non lo faremo mai e non diremo mai nulla dei Governi precedenti. Semmai, ci esprimeremo in questo senso in altre sedi, quando ci mettiamo un altro cappello. Viceversa, siamo qui in veste istituzionale e lavoriamo in perfetta sintonia. Peraltro, sono stato eletto presidente anche con i voti dei popolari, non solo con quelli dei socialisti e democratici. Operiamo, quindi, con questo approccio.
PRESIDENTE. Io non ho avuto questa fortuna.
PAOLO DE CASTRO, Presidente della Commissione per l'agricoltura e lo sviluppo rurale del Parlamento europeo. In Europa, invece, c'è questo metodo comunitario. A ogni modo, la domanda dell'onorevole Oliverio è molto chiara, ovvero come potete aiutarci? Ecco, un'altra novità importante è che, con il Trattato di Lisbona e con l'attuale ruolo del Parlamento, si apre non solo una stagione nuova per noi, che abbiamo più responsabilità, ma per tutti i sistemi della rappresentanza istituzionale e degli interessi.
Diciamo questo tante volte, ma non sempre - se mi posso permettere - questo dato viene colto. Per esempio, ipotizzando che gli agricoltori francesi, con la Fédération nationale des syndicats de l'assainissement (FNSA), facciano un accordo con gli agricoltori spagnoli e italiani, si avrebbe un documento che prende corpo da tre, quattro o cinque grandi organizzazioni - in Italia sono più di una - e non c'è dubbio che in Parlamento potrebbe avere un immediato riscontro. D'altronde, abbiamo una prova concreta di questo, se consideriamo il ruolo delle organizzazioni dei sistemi di qualità - l'Associazione nazionale garanzia della qualità (ANGQ) italiana e le omologhe organizzazioni francese e spagnola - in relazione al «pacchetto latte», attualmente in via di approvazione.
Queste organizzazioni hanno, infatti, riunito - guarda caso - i parlamentari italiani, francesi, spagnoli e portoghesi, che hanno a cuore i prodotti DOP e IGP. Si è creato, insomma, un gruppo di parlamentari forte, che ha potuto incidere nella scelta della programmazione produttiva. Se oggi il Parlamento europeo porta a casa quell'importante risultato è proprio perché dietro c'è stato un lavoro in quella direzione. Quindi, la responsabilità è certamente del Parlamento e del Consiglio, ma c'è un grandissimo ruolo che può essere giocato anche dai sistemi istituzionali, come le regioni. Su questo aspetto, qualche giorno fa all'Accademia dei Georgofili, a Firenze, ho detto all'assessore Salvadori - ma lo dico sempre anche al coordinatore Stefàno - che non è un problema di rivendicazione di ruolo, ma di giocare nell'ambito delle possibilità già offerte attraverso il Comitato delle
regioni.
Esistono, infatti, organizzazioni e associazioni delle regioni europee per la qualità o anche delle regioni ortofrutticole europee e via discorrendo, che producono dei documenti, cercando di tutelare gli interessi dei vari Paesi che ruotano attorno a uno specifico settore. Queste associazioni hanno - ripeto - un ruolo importantissimo perché il Parlamento, per sua natura, è aperto e sensibile ai momenti organizzativi intergruppo e quant'altro.
Entrando nel merito, la previsione del 2 per cento per i giovani è scarsa, come abbiamo già avuto modo di significare al presidente del Consiglio europeo dei giovani agricoltori (CEJA). Del resto, io sono
uno di quelli favorevoli all'aumento al 5 per cento, come richiesto dal CEJA. In ogni caso, non si tratta di soldi in più; sia chiaro, infatti, che vi sarebbe una redistribuzione interna delle risorse perché il 2 per cento si riferisce al plafond del primo pilastro.
In merito agli agricoltori attivi, la risposta al vicepresidente Zucchi è pacifica. Anzi, lo ringrazio della domanda perché non dobbiamo pensare che l'Europa possa risolvere i problemi di casa nostra. In questo caso, l'Europa ha creato uno spartiacque largo in cui entrano più o meno tutti, con qualche grande eccezione, visto che la grande azienda, banca e quant'altro è esclusa da quel 5 per cento. Il resto, però, lo dobbiamo fare noi. Dobbiamo prevedere una norma che stabilisca che gli Stati membri devono identificare le modalità con cui si individua l'agricoltore professionale (lo IATP, per dirla con le parole delle organizzazioni agricole che hanno firmato il documento). Questa è, però, una questione italiana.
Ciò vale anche - e qui rispondo indirettamente anche all'onorevole Oliverio - per il tema della qualità, sulla quale vi è un pacchetto specifico su cui stiamo lavorando. Quindi, non dobbiamo chiedere alla PAC di incorporare ogni singolo aspetto. Certamente, vi è un tema generale, ma su questo argomento in particolare vi è un pacchetto legislativo di prossima approvazione, immediatamente dopo il «pacchetto latte», che già comprende misure importanti. Del resto, per quest'ultimo, i triloghi sono quasi finiti, per cui probabilmente il 6 dicembre avrete l'annuncio dell'accordo con il Consiglio e, se tutto va bene, dovrebbe arrivare in seduta plenaria a dicembre o gennaio. Subito dopo toccherà al pacchetto sulla qualità. Insomma, si tratta di due pacchetti legislativi che stiamo discutendo e che comprendono molte misure, come il rafforzamento del ruolo dei consorzi.
Infine, vengo al tema della superficie. Il discorso sarebbe molto lungo e non ho molto tempo. Tuttavia, vorrei soltanto farvi notare che su questo punto si compie un errore di fondo. Se dobbiamo polemizzare per ragioni tattiche, sono il primo a dire che non abbiamo tenuto conto del lavoro e quant'altro. Tuttavia, se avete visto la tabella che il commissario Ciolos ha presentato nella proposta che ripartisce le risorse del primo pilastro - 43 miliardi di euro - per tutti i Paesi, vi sarete accorti che se il Commissario avesse utilizzato il solo criterio della superficie, noi avremmo perso 1,5 miliardi. Ciò vuol dire che non si è adottato il solo criterio della superficie, ma un mix - una specie di polpettone dell'80 e del 20 per cento - scelto per trovare un equilibrio, cioè per non togliere molto ai vecchi e dare un poco ai nuovi.
Del resto, se l'Italia ha 10 milioni di ettari di terra eleggibile e la Francia ne ha 26, adottando il solo criterio della superficie, la Francia dovrebbe prendere quasi il triplo rispetto all'Italia. Invece, non è così. È, quindi, evidente - ripeto - che non è stato utilizzato il solo criterio della superficie. Poi, è chiaro che, una volta ripartite le somme del primo pilastro, dobbiamo aspettare il riparto delle risorse del secondo pilastro, fare la somma e vedere quanti soldi vanno all'Italia, confrontandoli con quelli che otteneva prima. Mi auguro sinceramente - e credo l'onorevole La Via più di me, visto che ha maggiore responsabilità - che nel bilancio non ci siano sorprese nell'accordo con il Consiglio, che mirerà a ridurre, e non ad aumentare la proposta. Difatti, noi attacchiamo la proposta di Lewandowski, sostenendo che non vogliamo il taglio di 280 milioni su 4 miliardi; ciò nonostante, il
Consiglio non dirà che va bene la proposta di Lewandowski sulla PAC e che il taglio è legato al calcolo del valore reale e via dicendo, ma vorrà - ripeto - probabilmente tagliare altri soldi alla PAC per darli ad altri settori. Pertanto, la partita è molto complicata. Nondimeno, ci sono margini di cambiamento e il ruolo dei Parlamenti nazionali è fortissimo sia in termini di risoluzioni che attraverso possibili incontri - come quello che abbiamo organizzato, a cui ha partecipato anche il presidente Russo - con le Commissioni agricoltura dei vari Parlamenti nazionali,
che possono prendere iniziative e indurre a scelte a vantaggio di gruppi di Paesi.
In ogni caso, non c'è una regia o uno schema predeterminato di alleanze poiché, se dobbiamo costruire un'alleanza sulla maggiore flessibilità, la dobbiamo fare con la Spagna e con la Francia che non hanno fatto la regionalizzazione; se, invece, dobbiamo fare un discorso sui giovani, forse conviene allearsi di più con i Paesi nordici. Insomma, questa geometria variabile ci impone una strategia diversificata.
Qualcuno ha anche toccato il tema dell'etichettatura. Ebbene, intanto abbiamo un nuovo regolamento europeo, pubblicato in Gazzetta Ufficiale. È, peraltro, un risultato straordinario che l'Italia sia riuscita con la sua pressione - oltre che con quelle dovute al vostro impegno bipartisan per la legge sull'etichettatura obbligatoria - a ottenere un obiettivo per niente scontato, cioè l'allargamento dell'obbligo di etichettatura d'origine a tutte le carni. Non era - ripeto - per niente scontato, quindi abbiamo portato a casa un successo notevole. Certo, il Parlamento aveva chiesto di più; noi personalmente abbiamo proposto degli emendamenti per allargare la platea, ma è evidente che 27 Paesi manifestano altrettante sensibilità. Dobbiamo, quindi, continuare su questa strada, restando nel solco delle leggi europee. Grazie.
GIOVANNI LA VIA, Membro della Commissione per l'agricoltura e lo sviluppo rurale del Parlamento europeo. Con riferimento alla possibilità di incidere sulla riforma, vorrei chiarire un punto rispetto a quanto detto dal presidente De Castro. I relatori possono riscrivere il dossier, poi il Parlamento lo dovrà approvare; dopo l'approvazione del Parlamento partono i cosiddetti «triloghi», in cui le tre istituzioni - Parlamento, Consiglio e Commissione - si siedono a un tavolo. Tuttavia, il ruolo della Commissione, in quel caso, è solamente di intermediario tra i due colegislatori - Parlamento e Consiglio - con proposte di mediazione, appunto, tra le due posizioni.
Ciò vuol dire che potremmo anche stravolgere la proposta iniziale della Commissione, che rappresenta solo una base di discussione. Non sono, dunque, preoccupato per questo. Certo, è difficile trovare la quadra con 27 sensibilità diverse. Il relatore ascolta 27 Paesi e altrettanti Ministri, associazioni degli agricoltori e via discorrendo, ma poi cercherà di fare una sintesi. D'altronde, come relatore e come italiano, ho delle idee, ma devo essere consapevole del fatto che per farle passare occorre la maggioranza in Parlamento. Di conseguenza, se metto su carta la mia idea «italiana», essa dura giusto il tempo di cominciare la votazione perché poi finisce nel cestino. In sintesi, la possibilità di incidere e di cambiare c'è, ma dovremmo lavorare tutti insieme per farlo.
Un aspetto diverso è quello delle risorse perché oggi abbiamo un'Europa sempre più intergovernativa. Il bilancio europeo, in termini di prospettive finanziarie, viene approntato dai Ministri delle finanze e dal Consiglio generale dei Ministri, quindi non passa per il Parlamento. L'Europa è fatta da tutti i Paesi europei che decidono di quali risorse potranno disporre la Commissione, il Parlamento e il Consiglio. Si tratta, dunque, di una decisione che passerà sopra la nostra testa. Come Parlamento saremo coinvolti nel processo, ma non abbiamo capacità decisionale, per cui la mia preoccupazione è legata al fatto che, in un momento di grande crisi, ogni Paese guarderà al proprio interno e cercherà di risparmiare, anziché mettere a disposizione risorse per l'Europa. Poc'anzi facevo riferimento al negoziato sul bilancio perché sono stato relatore del bilancio generale dell'Europa (una collega lo
ha fatto adesso, io lo facevo per il PPE ma sarò relatore del bilancio generale per il 2013 in occasione della chiusura delle prospettive finanziarie per tutti). Ebbene, ci rendiamo conto che il Consiglio si presenta al tavolo con dei limiti evidenti sui pagamenti poiché vi sono impegni già presi nei bilanci degli anni precedenti che oggi non riesce a onorare perché i 27 Paesi non arrivano a mettere sul piatto le risorse
necessarie per pagare. In questo contesto, la trattativa sulle prospettive finanziarie sarà difficilissima.
Sono d'accordo che non vogliamo perdere soldi destinati all'agricoltura, ma dobbiamo considerare che, con il Trattato di Lisbona, gli Stati membri conferiscono all'Europa nuove competenze senza, però, darle le risorse necessarie, per cui si attinge dalle due grandi politiche, quella di coesione e quella agricola. Se, poi, restringono ancora di più le risorse di cui, nel complesso, dispone l'Europa e non autorizzano ad ampliare con le cosiddette «risorse proprie» (tassa sulle transazioni finanziarie, bond di progetto per le infrastrutture o eurobond per un indebitamento controllato), non ci saranno i fondi per fare tutto quello che dobbiamo.
Vengo, ora, ad alcune questioni che avete posto. Il tema della semplificazione e della sburocratizzazione è stato ripreso, più o meno, in tutti gli interventi. Alcune misure presenti nella proposta non vanno, evidentemente, in quella direzione. Per esempio, in merito alla semplificazione per le piccole imprese, sappiamo che il 3 per cento delle risorse comunitarie deriva dal 40 per cento delle istanze di pagamento diretto, per cui l'Europa sta rinunziando a un sistema di controllo analitico sul 3 per cento del pagato, pur di semplificare la vita al 30-40 per cento degli agricoltori. Dall'altro lato, però, l'Europa sta complicando le cose con la proposta della Commissione che prevede un greening che sembra fatto apposta per le imprese del nord Europa, che hanno il bosco e solo colture erbacee. Non possiamo pensare, infatti, che lo stesso sistema si applichi a tutti. Il primo giorno che ha presentato la sua proposta, abbiamo fatto osservare al
Commissario Ciolos che, nel caso di un oliveto, per poter accedere al greening occorreva cominciare a tagliare tutte le piante d'olivo. Qual è, allora, la finalità? Ciolos disse che non era in grado di rispondere subito; poi, dopo una settimana, osservò che questa misura non va applicata alle colture arboree. È, quindi, evidente che le colture permanenti non potranno avvalersi dello stesso sistema perché non possiamo pensare di tagliare colture che assorbono carbonio e che sono sempreverdi, come può essere l'olivo, per fare il greening e avere un'agricoltura più verde. È un controsenso.
Riguardo al greening per le colture specializzate, la riserva per le zone svantaggiate, così come quella per i giovani, è scarsa. Se prendete i dati relativi all'Italia, gli over 65 che gestiscono aziende agricole sono il 44 per cento degli attivi in agricoltura. Sta peggio di noi solo il Portogallo che è al 47,8 per cento. Gli under 35 sono il 3 per cento. Pertanto, è in corso un processo di senilizzazione evidente; dobbiamo, però, fare anche delle stime di impatto - e le stiamo facendo - per verificare che, qualora innalzassimo al 5 per cento, non si abbia una concentrazione eccessiva di aiuti su un numero limitato di soggetti. Bisogna, dunque, bilanciare l'aliquota per avere dei valori accettabili nel complesso e non eccessivi e distorti per altri versi.
Per quanto riguarda le sinergie e le alleanze con gli altri Paesi europei, siamo nella fase iniziale. Come diceva il presidente De Castro, dobbiamo presentare, come relatori, la nostra proposta sul tappeto entro giugno 2012. Da un mese a questa parte, abbiamo prima letto il «mattone» (chiamiamo così quel grande volume con il quale camminiamo, tenendolo sotto il braccio) e ora stiamo chiedendo alla Commissione degli incontri specializzati perché ognuno di noi vorrebbe avere dei chiarimenti.
Personalmente, ho fatto numerose domande di approfondimento alla Commissione sul mio report, solo per capire meglio perché ci sono passaggi poco chiari; elementi che, così come scritti, sembrano inapplicabili; altri che non sono convincenti rispetto al panorama della diversità europea. Insomma, cerchiamo di approfondire. Poi, ci sarà la fase dell'ascolto e, infine, quella della stesura del report. È ovvio, però, che vogliamo stendere il rapporto sapendo a che cosa ci riferiamo. Per questo, vi sono diversi tavoli; quello della Commissione è diverso dal tavolo dei tre relatori, che lavorano insieme perché rappresentano
le due grandi forze politiche in Parlamento. Insieme sommiamo il 70 per cento, quindi, se ci mettiamo d'accordo, facciamo la maggioranza. In definitiva, siamo un gruppetto che lavora insieme e passiamo tre giorni alla settimana seduti a un tavolino per cercare di capire. Scherzando, diciamo che sarà più facile dividere i Paesi e spaccare l'Europa, piuttosto che separare o far litigare i relatori o i componenti dei gruppi. Debbo dire che sono collega del presidente De Castro da venticinque anni all'università e quindi prima che riusciranno a farci litigare ne passerà di acqua sotto i ponti.
Qualcuno ha parlato di riforma conservatrice. È vero. Questa è una riforma che guarda al passato, modificando qualche aspetto e dandogli una pennellatina di verde, ma quanto di nuovo avevamo chiesto in Parlamento, attraverso il rapporto Dess, non lo abbiamo trovato nella proposta di riforma. Vuol dire, quindi, che lo aggiungeremo scrivendolo.
PRESIDENTE. Ringrazio il presidente De Castro e l'onorevole La Via della disponibilità dimostrata. Da Lisbona in poi, con il nuovo ruolo del Parlamento europeo, e quindi del Parlamento nazionale, anche la parte italiana vorrà contare di più. Credo che questa azione sinergica e di stretto collegamento sia utile anche per l'efficacia della nostra attività e di questo ringrazio i nostri auditi. Rivolgo, infine, un ringraziamento ai colleghi presenti.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15,30.