Sulla pubblicità dei lavori:
Russo Paolo, Presidente ... 2
Audizione dei membri italiani della Commissione per la pesca del Parlamento europeo sulla riforma della politica comune della pesca (ai sensi dell'articolo 127-ter, comma 1, del Regolamento):
Russo Paolo, Presidente ... 2 3 13 14 15
Agostini Luciano (PD) ... 14
Antinoro Antonello, Membro italiano della Commissione per la pesca del Parlamento europeo ... 9
Callegari Corrado (LNP) ... 13
Milana Guido, Vicepresidente della Commissione per la pesca del Parlamento europeo ... 3 14
Pirillo Mario, Membro italiano della Commissione per la pesca del Parlamento europeo ... 11
Rivellini Crescenzio, Membro italiano della Commissione per la pesca del Parlamento europeo ... 12
ALLEGATO: Documentazione consegnata da Crescenzio Rivellini, membro italiano della Commissione per la pesca del Parlamento europeo ... 17
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti:
Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.
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Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 15,10.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 127-ter, comma 1, del Regolamento, l'audizione dei membri italiani della Commissione per la pesca del Parlamento europeo sulla riforma della politica comune della pesca.
Sono presenti l'onorevole Guido Milana, vicepresidente, l'onorevole Antonello Antinoro, l'onorevole Mario Pirillo e l'onorevole Enzo Rivellini, che desidero vivamente ringraziare per aver accolto il nostro invito.
Come sapete, la Commissione agricoltura ha avviato l'esame delle proposte di Regolamento relative alla riforma della politica comune della pesca nell'ambito della cosiddetta fase ascendente del processo normativo dell'Unione europea, svolgendo l'audizione delle rappresentanze di categoria e del Commissario europeo per la pesca e gli affari marittimi, signora Maria Damanaki. Questa Commissione ha inoltre programmato l'audizione della Conferenza delle regioni e delle province autonome.
L'incontro odierno, che si collega strettamente a quello con il Commissario Damanaki, rappresenta un'importante occasione per fare il punto sul processo di riforma in corso in sede europea, che la nostra Commissione considera di fondamentale rilievo per il futuro della pesca e dell'acquacoltura in Italia e in Europa.
Nel merito della nuova politica comune della pesca, i nostri colleghi europei conoscono perfettamente le questioni che per il nostro Paese rivestono carattere di maggiore criticità, e ne abbiamo parlato nell'incontro interparlamentare organizzato dalla Commissione pesca del Parlamento europeo con le Commissioni dei Parlamenti nazionali, al quale ho partecipato lo scorso 28 febbraio a Bruxelles.
Al riguardo, pur condividendo gli obiettivi di carattere generale che la Commissione europea intende perseguire, desidero sottolineare che, come ho detto anche al Commissario Damanaki, le proposte di riforma in molti aspetti appaiono più idonee a soddisfare le esigenze e le peculiarità dell'area nord europea e solo parzialmente adattabili alla dimensione mediterranea e in particolare dell'Italia, caratterizzata da realtà locali interessate da problematiche e specificità proprie, quali la pesca artigianale.
Mi riferisco in particolare al delicato tema delle concessioni di pesca trasferibili e al rischio che esse si concentrino in poche aziende o diventino strumenti di speculazione finanziaria, a fronte dell'assenza di una valutazione sugli effetti reali, in termini di riduzione, dello sforzo di
pesca. Mi riferisco all'applicazione del divieto dei rigetti, che produrrà inevitabili ricadute onerose per le piccole e medie imprese, per le organizzazioni di produttori e per la loro gestione, senza che vi sia chiarezza sul piano scientifico degli effetti che il divieto potrebbe produrre sugli stock.
Mi riferisco alla regionalizzazione e alla necessità di tener conto delle specificità locali nel governo degli stock ittici, come pure di definire procedure chiare e idonee a individuare gli ambiti di responsabilità dei diversi livelli istituzionali, al problema del disarmo e dell'arresto temporaneo delle attività di pesca e della cessazione degli aiuti pubblici ad esse destinati, alla necessità di definire politiche integrate per lo sviluppo, che tengano conto della sostenibilità sociale ed economica del settore delle comunità costiere interessate, oltre che della sostenibilità ambientale.
Vorrei infine richiamare l'attenzione sull'esigenza che l'Italia avverte di efficaci strumenti, che possano salvaguardare e incentivare la loro capacità di stare sul mercato e di competere in condizioni adeguate, anche alla luce della liberalizzazione degli scambi commerciali di prodotti della pesca con Paesi terzi, tutelando i consumatori, i pescatori e naturalmente il mare e la produttività futura delle risorse ittiche.
Darei pertanto subito la parola ai nostri graditi ospiti per illustrare lo stato dalla riforma presso il Parlamento europeo e per fornirci ogni indicazione che possa aiutare la Commissione a definire gli indirizzi, che saranno successivamente trasmessi al Governo e alle istituzioni europee.
GUIDO MILANA, Vicepresidente della Commissione per la pesca del Parlamento europeo. Credo sia utile conoscere l'agenda del Parlamento europeo, perché ci si rende conto di come si possa ancora intervenire. Prevediamo che questa riforma finirà in seconda lettura, il che significa per le procedure parlamentari non prima di un anno e mezzo a partire da oggi.
PRESIDENTE. Vorrei chiederle di spiegarci cosa significhi «seconda lettura».
GUIDO MILANA, Vicepresidente della Commissione per la pesca del Parlamento europeo. Da noi funziona in questo modo: pur non essendoci Camera e Senato, esiste però l'occasione del trilogo, per cui la Commissione fa una proposta, il Parlamento dopo il Trattato di Lisbona interviene nel merito di questa proposta con una sua articolazione legislativa, che può essere anche totalmente differente dalla proposta della Commissione, il Consiglio fa la stessa cosa.
Alla fine di questo primo processo, si fa un trilogo, una vera stanza di compensazione, nella quale i tre soggetti (il proponente, cioè la Commissione, il relatore del Parlamento e il Consiglio) cercano di condividere le due posizioni, avendo avuto le due Camere (Consiglio e Parlamento) due percorsi diversi di elaborazione.
Questo trilogo dovrebbe servire a costruire un regolamento che diventa legge. In genere, si arriva con posizioni abbastanza rigide e quando si tratta di argomenti complessi come questo c'è necessità di una seconda lettura, perché, se il mandato al relatore modifica la sua impostazione, deve tornare in Parlamento a ridiscuterne. Quando si tratta di regolamenti relativamente semplici si termina in prima lettura, perché si media molto prima, ma in questo caso si arriverà alla seconda lettura.
Questo significa che lo scadenzario che abbiamo di fronte è il seguente: entro la fine del mese, per gran parte dei rapporti avremo la presentazione del documento di lavoro all'interno della Commissione, entro l'estate si andrà in Parlamento con una prima votazione ed entro l'autunno il Parlamento potrebbe votare i quattro documenti più importanti (il regolamento di base, il futuro fondo europeo marittimo della pesca, l'organizzazioni comune di mercato, l'organizzazione del mercato esterno, e gli accordi internazionali di pesca).
Per questi quattro regolamenti, che orienteranno la politica comunitaria nel
settore nei prossimi dieci anni, vi sarà necessità di un ulteriore supplemento, perché a ottobre inizierà il trilogo, che durerà almeno due o tre mesi perché saranno sale separate a seconda dei regolamenti, e torneremo a discutere in Parlamento probabilmente a febbraio-marzo del prossimo anno, per evadere il tutto a ottobre-novembre. Abbiamo quindi di fronte circa un anno e mezzo per emendare questo progetto di riforma.
La riforma entrerà in vigore il 1o gennaio 2014, quindi saremo a ridosso della sua efficacia su tutto il territorio europeo. Per quanto riguarda i vari passaggi, entro la fine del mese avremo i documenti presentati e formalizzati, cioè avremo la proposta della Commissione e le proposte dei relatori che in questo periodo hanno lavorato con un sistema di rapporti, di audizioni, di confronto, ascoltando opinion leader e opinion maker, portatori di interesse e Paesi.
Siamo ancora di fronte al documento della Commissione, e probabilmente già questa presentazione nell'ambito delle Commissioni parlamentari da parte dei relatori del Parlamento apporterà le prime correzioni a questa impostazione. Le criticità che lei ha indicato, legate alle questioni di cui si parla, dalle quote trasferibili agli scarti, alla questione Mediterraneo, alla questione del fondo, alla sostenibilità della riforma, troveranno una prima risposta già nella fase istruttoria che il Parlamento europeo sta vivendo in queste settimane.
Per quanto concerne lo stato dell'arte in Italia - cercherò di fare un focus, se i colleghi lo ritengono utile, rispetto alle questioni che riguardano il nostro Paese, altrimenti non ci sarebbe il tempo né il modo per farlo questa sera -, abbiamo un giudizio generale, secondo cui la riforma è figlia di una scarsa sensibilità verso le questioni del Mediterraneo, che per alcuni versi è politica, per altri anche economica.
Il peso della pesca del Mediterraneo rispetto al peso della pesca complessivo sull'Europa è marginale. Tenete conto che parliamo di una situazione in cui se si consuma una quantità di pesce pari a 100, 72 viene acquistato fuori dall'Europa (tra pesce pescato e pesce allevato), e 28 è la quota che arriva dai nostri mari, di cui il 20 per cento è tratto dall'Atlantico, e l'8 per cento dal Mediterraneo.
La scarsa attenzione alle questioni del Mediterraneo almeno dal punto di vista macroeconomico dei tecnici della Commissione che hanno elaborato il documento di base ha per alcuni versi una ragione politica, per altri una valutazione squisitamente economica, perché il Mediterraneo pesa oggettivamente di meno.
L'impatto dal punto di vista socioeconomico è nettamente superiore, perché, mentre quel 20 per cento viene fatto da grandi imprese, tranne una parte della Francia (essenzialmente Bretagna e Normandia) che ha una pesca di stampo mediterraneo, per il resto invece la pesca mediterranea, pur avendo l'8 per cento del peso, coinvolge una quantità di soggetti, per cui la sostenibilità non tanto ambientale quanto economica e sociale di una riforma sbagliata nel Mediterraneo ha conseguenze pesanti sul tessuto socioeconomico, al di là del valore.
Di qui la necessità di fare in modo che questa volta, avendo il Parlamento europeo una funzione a differenza delle altre volte, laddove la precedente riforma è stata costruita in assenza di un dibattito parlamentare, in quanto non c'era stato il Trattato di Lisbona e quindi era una concertazione tra gli Stati e la Commissione. Oggi, invece, il Parlamento può svolgere una funzione importante, quindi candidarsi a rappresentare la spinta socioeconomica di questa situazione, e l'occasione è una di quelle da non perdere, per dirla con una battuta televisiva.
Questa occasione deve garantire un concerto tra il nostro comportamento all'interno della Commissione parlamentare e quelli del Ministero e del Ministro, del rappresentante in Consiglio e del Parlamento italiano, perché, se riusciamo ad avere la medesima visione e a sostenere nelle diverse sedi le medesime tesi, probabilmente riusciremo a incidere in maniera sostanziale sulla riforma e a non
subirla, come spesso è successo in passato e spesso accade con i provvedimenti comunitari.
Siamo in tempo per farlo - questo è il tema vero - e siamo in condizione di condurre in porto un buon lavoro. I miei colleghi possono confermare come oggi una piccola pattuglia di parlamentari dentro la Commissione sia attenta a questi fenomeni. Per radicamento territoriale e per competenza nel settore siamo in condizione di condurre una battaglia, che non è sempre semplice, con le dinamiche della formazione delle decisioni a livello europeo.
Entro nel merito e procedo per capitoli, in quanto immagino che il tempo non sia sufficiente per tutti. Metto insieme le questioni delle Transferable Fishing Concessions (TFC), che sono le quote trasferibili, e gli scarti. Questi sono stati concepiti con l'idea del nord Europa e sono ingestibili in Italia innanzitutto perché non esistono quote in Italia tranne che per il tonno rosso, quindi non si capisce come vendere un diritto che non c'è. Da noi esiste la licenza di pesca, la nostra pesca è multispecifica, per cui difficilmente si riesce a condizionare un pezzetto di pesca per poterla vendere.
Del resto, anche il valore che si dovesse attribuire a questa licenza sarebbe molto più aleatorio di quanto può essere invece un diritto a pescare una certa quantità di pesce nel caso delle quote. Tutto il nord Europa ha le quote, per cui si è proprietari di una certa quota di merluzzo da pescare e questo diritto può essere valutato sul mercato e avere un prezzo.
Nel Mediterraneo e soprattutto in Italia questo diventa di difficile applicazione. Lo stesso vale per quanto riguarda gli scarti, che sono il pescato che non ha ragione di essere venduto sul mercato perché non ha le qualità.
Nella sua proposta l'Europa sostiene che gli scarti debbano essere tutti sbarcati. La differenza tra tutto il Mediterraneo e il resto d'Europa è che nel resto d'Europa esistono le fabbriche di farina di pesce, le catene del freddo, che consentono l'utilizzo di questi scarti in maniera efficace e soprattutto sono scarti facilmente individuabili, atteso che la pesca è molto specifica, cioè si va a pescare merluzzo e al massimo ci sono due sardine.
Nel caso nostro, invece, la pesca è multispecifica, la selezione del pesce arriva non nel mare con gli strumenti di pesca, ma sulla barca. Questo diventa difficile da realizzare soprattutto quando si arriva nei nostri numerosi punti di sbarco, dove non esistono attrezzature, strumenti, infrastrutture a terra che consentano a questi scarti di prendere una strada, che può essere quella delle farine di pesce ad uso alimentare per gli impianti di acquacoltura o quello del congelamento immediato magari disponibile per alcune forme di alimentazione, anche umana, diversa.
Prevedere una politica di scarti oggi per il Mediterraneo significherebbe prendere atto dell'esigenza di una quantità di investimenti dal punto di vista infrastrutturale assolutamente inutili e improduttivi, anche perché le nostre quantità nei punti di sbarco sono terribilmente marginali rispetto a quanto accade nel resto d'Europa.
La posizione che sta maturando nel Parlamento su questi due argomenti è molto semplice: si possono anche fissare linee di principio, ma bisogna comunque che le TFC e gli scarti abbiano una loro applicazione a livello regionale (per quanto riguarda la politica europea l'Italia è una regione), con normative che possano differirne l'applicazione nel tempo e non renderla immediatamente operativa oppure modularla in maniera diversa.
Il Ministro ci ha fatto sapere attraverso la rappresentanza che sulle TFC c'è una possibilità di apertura, cercando di trovare una personalizzazione della vendita della quota legata alla vendita della licenza come tale, quindi cercando di personalizzare una sorta di diritto trasferibile mediterraneo, o addirittura italiano, con modalità leggermente più complesse. I meccanismi per fare questo non sono ancora chiari, ma è urgente definirli, perché la normativa deve recepire questi princìpi, altrimenti scatteranno procedure d'infrazione a medio e lungo termine.
Per quanto riguarda i rapporti con il Mediterraneo l'Italia è in sofferenza rispetto ai paesi dell'Adriatico e del nord Africa: in Italia si applicano normative molto rigide, mentre in quei Paesi spesso non vi è alcuna normativa. Subiamo quindi due conseguenze e tutta la nostra azione rischia di essere inficiata nella sua efficacia rispetto al mantenimento della biodiversità e della capacità del mare di riprodursi; spesso ci troviamo in situazioni di concorrenza diretta soprattutto in Adriatico. Rischiamo di non poter andare a pescare mentre fino a qualche settimana fa i croati pescavano e vendevano nei nostri mari.
Questo tema deve essere affrontato, ma la riforma non lo affronta. Ritengo che il nostro Paese dovrebbe, oltre che contare sulla nostra attenzione, compiere qualche atto formale. La vicenda delle relazioni internazionali nel Mediterraneo oggi è relegata alla mera applicazione o al mero lavoro diplomatico nell'ambito delle convenzioni internazionali. Ha raggiunto un punto d'equilibrio positivo rispetto a ciò che è accaduto all'interno della Commissione internazionale per la conservazione dei tonni dell'Atlantico (ICAT) per quanto riguarda il tonno rosso, ma solo quello ha trovato un punto di sintesi, per il resto la concorrenza agisce nel libero mercato.
Il progetto di riforma non contiene elementi in questo senso e personalmente ho un'idea, che fornisco come un'intuizione personale sulla quale sto lavorando in termini di emendamenti: quella di estendere - introduco qui l'altro elemento - il concetto di accordi di pesca.
Gli accordi di pesca sono un altro dossier importante, che vi invito a valutare, e sono figli di una storia antica, cioè la necessità dell'Europa di andare a pescare in luoghi diversi dai propri mari, coniugata con la pretesa, l'esigenza o comunque la determinazione che la pesca nelle acque internazionali, attraverso accordi di pesca, corrisponda a una sorta di mutua relazione tra l'Europa e i Paesi cosiddetti «in via di sviluppo», a metà tra l'attività economica pura e l'aiuto allo sviluppo.
Abbiamo accordi di pesca con il Marocco, con la Mauritania, con le Seychelles, con la Guinea, che quando sono stati concepiti una trentina d'anni fa avevano un mercato «europeo» molto vasto, c'erano imbarcazioni italiane, francesi, greche che andavano a pescare anche in questi luoghi, ma si sono sostanzialmente ridotte a un interesse definito e delineato esclusivamente per la Spagna, il Portogallo e l'Olanda.
Oggi, una sola imbarcazione italiana fa accordi di pesca e va a pescare in Mauritania, per il resto il beneficio degli accordi di pesca sta tutto nelle mani di questi altri Paesi, tra l'altro con una iniquità nella ripartizione del fondo - introduco un altro elemento non marginale - che prima finanzia gli accordi di pesca, mentre poi sul residuo c'è la ripartizione fra gli Stati.
Se questo era possibile venti anni fa, non va più bene oggi, perché non esistono più interessi diretti soprattutto dei Paesi del Mediterraneo che hanno delle imprese da sostenere. L'accordo di pesca è infatti la concessione di pescare nel mio mare per 1 euro al chilo. Questa è la sostanza di quello che avviene, poi, se questo euro è anche aiuto allo sviluppo, ben venga, se questo euro è anche la possibilità di risolvere un problema alimentare europeo, è ancora meglio.
L'Italia è fuori da questo gioco, per cui bisogna sostenere due tesi: la prima riguarda il fatto che la ripartizione di questo fondo deve avvenire di concerto con il resto del fondo che serve ad altre attività, l'altra induce a studiare forme attraverso cui stipulare accordi di pesca.
La mia idea non convenuta con i miei colleghi, sulla quale sto lavorando, è molto semplice: utilizzare la formula dell'accordo di pesca, che implementi le relazioni diplomatiche esistenti con i Paesi del Mediterraneo, quelli nordafricani e quelli adriatici per quanto ci riguarda, ma la stessa cosa può riguardare Cipro e la Turchia, Bulgaria e Romania nei confronti dei partner del Mar Nero, con accordi di pesca che abbiano al centro non il pescare, ma le comuni regole.
La vicenda del Golfo della Sirte o la vicenda dei pescherecci siciliani nei confronti della Tunisia si risolve facendo pesca insieme, cioè utilizzando risorse che finanziano accordi di pesca legati non al prelievo di pesce nel mare, ma a un sistema di controllo e di verifica o di legislazione nazionale identico a quello europeo. Credo che su questa strada si possa lavorare e, se il nostro Paese la sostiene, credo che nell'ambito del Parlamento troverà certamente un sostegno e poi un'ipotesi di lavoro concreta.
Questo è un primo terreno sul quale la Commissione parlamentare può lavorare in sintonia con il Ministero e con il Governo italiano, per capire se questa proposta abbia ragione di essere, altrimenti non ci sono altri strumenti per sedare la conflittualità con i Paesi contermini, tranne quella di prendere atto e di affidarsi alla diplomazia, che trova su altri terreni la capacità di applicazione, e il potere di convincimento diventa più del Ministero degli Esteri che della politica comune della pesca, e non è certo attribuibile al settore o ai pescatori.
La terza e ultima questione riguarda il fondo, che si è trasformato. Si tratta dell'unico fondo europeo cosiddetto «strutturale» che ha un sostanziale incremento di risorse. Il bilancio europeo soffre dei comportamenti di alcuni Paesi che ogni anno chiedono uno sconto, la particolare contingenza internazionale e la crisi economica portano questo tipo di impostazione ad essere ancora più determinata nella direzione opposta a quella dell'integrazione delle politiche comunitarie, cioè si cerca di tirare i cordoni della borsa.
Nonostante questo, il fondo europeo per la pesca aumenta di quasi 1 miliardo, che non è poca cosa rispetto allo stato di salute del bilancio europeo. Questo aumento ha però fatto aggiungere al FEP una M, laddove il Fondo europeo per la pesca si trasforma in Fondo europeo marittimo e della pesca (FEMP), sostenendo una ragione in più dal punto di vista economico: concepire le modalità con le quali si finanziano anche queste altre azioni, che sono quelle della politica marittima integrata.
L'idea di fondo è molto semplice ed è quella che la politica marittima integrata deve diventare uno strumento fondamentale per la gestione anche della pesca. È positivo che si pensi che il cuore di questa politica debba essere all'interno della Direzione generale del mare, da cui dipende la pesca, e non nei mille altri rivoli in cui potrebbe essere dispersa (il sistema di trasporto nel mare o il sistema cantieristico). Se fosse lì, probabilmente queste risorse che sono importanti per la pesca sarebbero assolutamente marginali rispetto alle altre attività, perché, se dovessimo parlare di cantieristica o di autostrade del mare, queste risorse sarebbero sciocchezze.
Il fatto che siano incardinate all'interno della Direzione generale del mare agevola il processo. Il fondo però, oltre ad avere il limite prima evidenziato di non «nettizzare» gli accordi di pesca, può avere due letture. La discussione sul fondo è leggermente posticipata rispetto alla discussione sul regolamento di base, anzi - sono relatore sul fondo - la volontà di procedere nella direzione della discussione sul fondo sarà successiva a quella del regolamento di base. Se il regolamento di base scioglierà una serie di nodi, il fondo si dovrà adeguare, non il contrario.
Oggi, il fondo è stato disegnato esattamente sulla proposta della Commissione ma, se la proposta della Commissione si modificherà, il fondo necessariamente dovrà modificarsi nella direzione di una sua adeguatezza e appropriatezza rispetto alle opzioni politiche. Diventa quindi essenziale far si che quel ragionamento sugli accordi di pesca diventi una scelta politica, perché questa condizionerà il fondo non in maniera marginale. Tenete conto che sugli accordi di pesca si spendono circa 220 milioni di euro l'anno, il che significa nel settennato 1,5 miliardi, quindi una quota sostanziale del fondo che complessivamente ammonta a circa 7 miliardi di euro.
La discussione sul fondo, se questa Commissione lo riterrà utile, fra qualche mese richiederà una riflessione di merito, con indicazioni più precise, perché la conseguenza delle opzioni politiche sarà fondamentale. In linea di massima, però, è disegnato un fondo che dovrebbe sostenere da una parte l'acquacoltura, dall'altra la struttura della pesca come tale.
Sull'acquacoltura la Commissione ha fatto una proposta di investimento, laddove più del 40 per cento dell'intero fondo dovrebbe essere destinato all'acquacoltura, per rispondere a un'esigenza del Parlamento. Un anno e mezzo fa, da un rapporto del Parlamento sull'acquacoltura sostenibile sono emersi con chiarezza numeri preoccupanti: l'Europa consuma 5,5 milioni di tonnellate di pesce da acquacoltura l'anno, ma ne produce 1,2 milioni.
Fare un piano per incrementare la produzione fino a 2,5-3 milioni presuppone una serie di questioni da risolvere e di investimenti da compiere, considerando che l'acquacoltura dovrebbe diventare acquacoltura sostenibile e che questa probabilmente dovrà essere oggetto di una valutazione molto più puntuale. I limiti per i quali fino ad oggi non si è sviluppata sono riconducibili a un impatto ambientale molto forte e, soprattutto nel caso italiano, a un'assenza di programmazione; le procedure rappresentano il nodo vero del nostro Paese, laddove per aprire un impianto di acquacoltura sono necessarie 120-130 autorizzazioni ai diversi livelli.
Questo ha impedito fino ad oggi uno sviluppo coerente di questa attività e dovrebbe essere rimosso dalla normativa europea e da una rigorosa legislazione a livello nazionale. A differenza degli altri, nel nostro Paese concepiamo la pianificazione urbanistica come una pianificazione che finisce sul bagnasciuga. Per noi esiste il Piano regolatore generale e quello finisce sul bagnasciuga.
In altri Paesi - e penso che questo sia necessario anche in Italia - la pianificazione arriva dieci miglia al largo. È necessario pensare a una sorta di urbanistica del mare, fare in modo che la pianificazione individui a priori i luoghi dove pescare, dove fare turismo, dove fare acquacoltura, dove fare attività economiche di diversa natura, ma questo presuppone scelte squisitamente nazionali.
Volevo suggerire alla Commissione parlamentare italiana che il fondo avrà una buona dose di risorse legate al sostegno dell'acquacoltura. Questo presuppone che il Parlamento italiano dovrà necessariamente legiferare in materia. L'acquacoltura è un po' come l'agricoltura, non come la pesca: l'acquacoltura è un'attività economica che presuppone uno spazio definito, che inizia dalla «semina», dalla produzione di avannotti, per passare poi alla crescita e al mercato.
Su questo buona parte di legislazione nazionale deve essere rimodulata e rivista, e, tenendo conto che dal 2014 ci saranno molte risorse comunitarie per sostenerla, il Parlamento dovrebbe legiferare il prima possibile per renderle fruibili, altrimenti ci troveremo nel prossimo settennato a fare una riforma della pesca europea, a finanziare l'acquacoltura e ad avere un Paese che non riesce a cogliere quelle opportunità, perché nel frattempo non si è preparato a questa evenienza. Il messaggio che oggi volevo darvi era essenzialmente di guardare con attenzione a questa materia dell'acquacoltura, perché la prospettiva è di grande risorse.
Chiudo con una piccola considerazione di carattere generale, che riguarda a mio parere il cuore della riforma. Ho definito questa «una riforma senz'anima», perché tutte le cose che ho detto, benché mi auguro siano state chiare, non sono così lineari. Si tratta di una riforma senz'anima perché non introduce elementi nuovi nella politica europea, ma riparla di mezzi, di strutture, di piccola pesca, di grande pesca, di strumenti, di imbarcazioni, di finanziare o non finanziare i nuovi motori, di rinnovamento della flotta, ma non affronta un tema cruciale: una nuova politica deve pensare al mare.
Oggi, infatti, al di là di ogni drammatizzazione sulla quale potremmo aprire una discussione a parte, nel mare c'è sempre meno pesce, ed è sempre più difficile che il mare torni ad essere quel
luogo di produzione che la natura ci ha dato. Quello che manca nella riforma è una politica sul contenitore, sul mare. Una delle ipotesi - e qui avanzo la seconda questione, sulla quale personalmente sto lavorando, non ancora condivisa con i miei colleghi perché c'è un dibattito aperto, anche se ieri c'è stata un'iniziativa in cui è stato manifestato grande consenso in merito - è quella di avviare con la riforma una vera rete di nursery sul territorio europeo, ovvero costruire condizioni perché, al di là delle modalità di pesca, si possano individuare aree dove sarà impossibile pescare per un determinato numero di anni, delle no fishing areas, che consentano al mare di rigenerarsi.
Secondo gli scienziati dovrebbe interessare almeno il 20 per cento delle coste, è una scelta molto coraggiosa, ma chi la farà probabilmente costruirà il futuro, decidendo che il 20 per cento delle coste diventano no fishing areas in maniera molto secca, puntuale per un certo numero di anni, tali da consentire il riequilibrio biosostenibile, facendo in modo che il mare torni ad essere quella fabbrica di pesci necessaria a garantire il futuro dei pescatori e individuando in questo una funzione strategica, tutto ciò con una costruzione di relazione tra pescatori, comunità scientifica e enti locali che concorrano a individuare e a gestire queste aree.
Le esperienze attuali (in Sicilia e in Puglia ne abbiamo viste alcune) sono straordinarie e hanno conferito dopo due o tre anni una tonificazione. Questo sarebbe da realizzare in maniera graduale, in un certo numero di anni, per giungere, congiuntamente alla strategia 2020 che riguarda le questioni di carattere ambientale, ad individuare il 20 per cento delle coste come no fishing areas.
Probabilmente questa può essere, insieme alla concertazione con le parti, la chiave di volta per dare un'anima a una riforma che altrimenti non fa altro che riposizionare ciò che c'è ed assistere in maniera sempre più drammatica al depauperamento del mare, alla maggiore povertà dei pescatori e all'assoluta incongruenza del rapporto tra lavoro prestato da chi pesca e reddito.
ANTONELLO ANTINORO, Membro italiano della Commissione per la pesca del Parlamento europeo. Desidero innanzitutto ringraziare per l'iniziativa oggi realizzata. Mi spiace solo che tanti colleghi probabilmente manchino, ma credo che la giornata odierna possa essere un primo momento per tentare di fare qualcosa a Bruxelles, altrimenti tutto ci passerà sul capo e nulla risolveremo.
Oggi vorrei quindi sottolineare che plaudo all'idea del presidente della Commissione, che ringrazio, sperando che la giornata di oggi non sia soltanto un esercizio dialettico che facciamo tra di noi, ma possa diventare un momento operativo.
Non entro nel merito dei fatti tecnici perché Guido Milana è stato puntuale, esaustivo e completo anche nella sua sinteticità. Vorrei soltanto sottolineare quello che diceva sull'acquacoltura che è il futuro comunque, perché il mare è quello che è, la sostenibilità è quella che è e, se non puntiamo sull'acquacoltura, avremo sempre problemi.
Occorrerebbero due politiche comuni della pesca (PCP), una per il resto d'Europa e una per il Mediterraneo, ma questa rimane una battuta perché non riusciremo mai a fare due PCP, mentre potremmo riuscire, all'interno della PCP che si va a strutturare, a dedicare un capitolo al Mediterraneo, facendo in modo che alcune vicende vadano avanti.
Vorrei inoltre sottolineare che anche se oggi siamo quattro parlamentari di due aree diverse, del PPE e dei socialisti europei, lavoriamo però tutti nella medesima direzione. È inutile parlare tra noi di sociologia della politica, ma, parlando invece di quello che c'è a Bruxelles in questo momento, ci dispiace rilevare l'assenza del Governo rispetto a questi rapporti. Un esempio per tutti: quando un mese e mezzo fa, in Commissione, ci siamo trovati nel giro di venti giorni dinanzi alla vicenda delle arance del Marocco, vicenda devastante per l'economia del nostro Paese e in
particolare per il sud o comunque per tutto ciò che rappresenta l'agricoltura mediterranea, ci siamo sentiti dire dalla Commissione europea che il nostro Governo, sia il Governo Berlusconi sia questo attuale (si era ripetuta la votazione in un secondo passaggio), in Consiglio dei ministri dell'Unione, aveva votato favorevolmente, ci siamo trovati con le unghie limate per tempo. In tal modo però diventa difficile sostenere una difesa non corporativa, ma legittima degli interessi del nostro Paese.
Non entro nel merito tecnico e vorrei dare soltanto questo contributo di natura politica ma anche di buonsenso. Auspico che quello di oggi sia il primo di una serie di incontri anche, se lo riterrete e se è possibile sul piano procedurale, anche con il Governo, perché, quando a Bruxelles si assumono le decisioni, il Governo si muove attraverso la rappresentanza permanente, che va in Commissione dove la burocrazia è fortissima, come ben sappiamo tutti (lo è anche in Italia, ma a Bruxelles ancora di più).
A quel punto, la decisione viene assunta, il ministro arriva in Consiglio, trova la decisione già confezionata per grandi linee, il Consiglio la approva o comunque esprime un parere positivo, tutto questo va poi in Parlamento. In questo processo noi siamo assolutamente scollegati rispetto al nostro Governo. Ognuno lavora cercando di portare qualche risultato a casa, ma senza riuscirci perché siamo sempre divisi.
Proporrei quindi di realizzare una sorta di piccola commissione permanente, informale, da organizzare al nostro interno (Bruxelles e Italia), una commissione parlamentare Camera e Senato con uno di noi in grado di seguirla, per fare in modo di intervenire nel corso della procedura opportunamente descritta da Guido Milana - procedura complessa ma che arriva a compimento e quei tempi verranno rispettati nella maniera in cui li ha prospettati -, in Commissione, in Consiglio e in Commissione al Parlamento europeo, evitando di essere tagliati fuori.
Se si riuscirà a intervenire con capacità tecnica e diplomazia politica e a fare muro insieme, quando ci sarà questa esigenza, sono certo che potremmo ottenere risultati. Vi sarà però una doppia difficoltà, perché la legislatura di questo Parlamento europeo terminerà a luglio 2014 e la legislatura italiana, se le cose rimangono invariate, terminerà ad aprile 2013. È quindi necessario tenere presente che abbiamo sostanzialmente il periodo precedente la pausa estiva e forse alcune settimane dopo la stagione estiva di quest'anno per poter lavorare a tutto questo. Di qui a novembre o dicembre i passaggi saranno conclusi.
Abbiamo tempo, e siamo forse ancora nelle condizioni di fare qualcosa, per cui credo che sarebbe opportuno organizzare un piccolo nucleo permanente che si occupi dei singoli dossier aggiungendone anche altri. Guido Milana ha opportunamente ricordato la vicenda dei Paesi frontalieri, e per fornirvi dei numeri ricordiamo che, nel Mediterraneo, sette Paesi dell'Unione lavorarono osservando le regole, mentre 14 Paesi fuori dall'Unione lavorano senza regole. Questi numeri sono sufficienti a far sì che i nostri pescatori considerino sostanzialmente nemiche le regole dell'Unione e del Parlamento italiano e ci vedano come nemici, come se godessimo a schiaffeggiarli quotidianamente.
La Commissione europea si è dotata con il Trattato di Lisbona di un Ministro degli esteri, lady Ashton, e ricorderete tutte le polemiche scaturite dalla sua nomina, che ad oggi si occupa di profughi e di qualche altra tematica, ma non dei temi veri dell'Europa.
Abbiamo già portato questa battaglia in Parlamento, abbiamo già ribadito queste cose, ma, se la Commissione di cui oggi siamo onorati ospiti potesse stigmatizzare tale comportamento presso il Ministro degli esteri e il Ministro delle politiche agricole del nostro Paese e fare un lavoro congiunto su quelle regole - Guido Milana ha lanciato una brillante idea, secondo cui gli accordi di pesca devono essere non soltanto sulla quantità di pescato, ma anche sulle regole, idea che porteremo avanti tutti insieme se ci darà l'opportunità
di condividerne il disegno - probabilmente riusciremo a e a portare a casa un risultato.
A mio sommesso avviso - chiedendo scusa se magari pecco di eccesso di volontà ottimistica nel fare le cose, perché capisco che forse ho scritto il libro dei sogni dicendo le cose che ho detto - se portassimo avanti convintamente tutto ciò, probabilmente alla fine con questa politica comune della pesca il Mediterraneo potrebbe uscirne con il minor danno possibile, perché, se le cose dovessero rimanere così come sono scritte, come ha dichiarato il presidente nella relazione iniziale e come ha concluso anche Guido Milana, questa riforma sarà la riforma della pesca nei mari del nord, dove gli interessi sono vasti, dove la pesca artigianale non esiste, dove i grandi gruppi industriali che vanno a caccia di tutto il pescato possibile per venderlo bene e che magari hanno accordi anche con il Giappone per esempio sulla questione delle quote tonno, dietro cui si celano interessi notevolissimi rispetto ai quali nessuno è in condizione
di fare nulla.
Se non dovessimo attuare quello che spero, probabilmente finiremo per subire questa riforma. Tornando a ciò che è accaduto per il Marocco, noi tutti abbiamo votato contro quell'accordo, nei nostri Gruppi abbiamo tentato di fare una battaglia, siamo intervenuti in Assemblea e abbiamo spiegato le cose per evitare che quell'accordo passasse, opponendoci a tutti gli altri che invece hanno seguito fin dall'inizio quell'accordo e sono stati molto acuti nel perseguirlo.
Ricordo che quando intervenimmo per spiegare che quell'accordo avrebbe danneggiato l'economia agricola del sud Italia Joseph Daul, il presidente del mio gruppo parlamentare, ci guardava dicendoci quasi sorridendo che, siccome c'era la primavera marocchina, non potevamo che votare sì a quell'accordo, perché viceversa l'avremmo danneggiata. Siamo stati quindi anche accusati di non voler agevolare i percorsi di democratizzazione che in quei Paesi, per fortuna, si stanno portando avanti, ma che vengono usati come pretesto dai grandi gruppi industriali che hanno comprato terreni in Marocco, per cui alla fine neanche gli agricoltori marocchini verranno aiutati.
Siccome sulla PCP si comincia a delineare questo metodo, credo che abbiamo la sufficiente intelligenza e gli strumenti per evitare che tutto questo si ripeta una seconda volta su una vicenda molto più ampia e delicata, che determinerà per i successivi sette anni il percorso da fare.
Auspico quindi che l'incontro di oggi sia il primo seme di un metodo di organizzazione che dobbiamo darci, rispetto al quale siamo sicuramente tutti disponibili a fare in modo che si creino sinergie, per evitare di prendere schiaffi, come solitamente è capitato negli ultimi anni.
MARIO PIRILLO, Membro italiano della Commissione per la pesca del Parlamento europeo. Ringrazio il presidente per questo incontro e penso di non dover aggiungere altro alle parole dei colleghi.
Desidero però evidenziare velocemente due o tre cose. Finalmente, nella riforma della PCP vi è una maggiore attenzione alla protezione dell'ambiente, quindi ad una riduzione dell'impatto ambientale delle attività di pesca e delle catture accidentali sino alla loro eliminazione. Questo è uno degli aspetti positivi della riforma.
Una serie di questioni è stata rilevata sia dal presidente sia dai colleghi, a cominciare dal nodo Nord Europa/Mediterraneo. La scarsa attenzione verso la piccola pesca artigianale costiera - provengo dalla Calabria dove questa è diffusissima ed è il pane quotidiano dell'economia della Calabria - sta penalizzando tanti pescatori. Dobbiamo batterci su questi aspetti, e c'è una iniziativa sulla piccola pesca costiera artigianale che può aiutare a superare le difficoltà.
Come calabrese, sono un fautore dell'allargamento della UE al Mediterraneo, che è una cosa più grande di quando si possa immaginare perché c'era l'Unione per il Mediterraneo che nel giugno di due anni fa non è riuscita a riunirsi a Barcellona per una serie di problemi che voi
conoscete meglio di me, però bisogna lavorarci. Il Parlamento italiano, la Commissione agricoltura e le altre Commissioni interessate devono essere molto sensibili e spingere affinché alcune questioni vengano superate.
L'onorevole Antinori ha evidenziato la questione dei 14 Paesi fuori dall'Unione senza regole e dei sette al suo interno, questione importante che non può essere assolutamente sottovalutata dai deputati italiani.
Vorrei chiudere con una raccomandazione. Sono stato assessore regionale per parecchio tempo e ho verificato come la sovrapposizione dei fondi crei notevoli problemi. Vorrei che la Commissione che vigila sulla gestione dei fondi comunitari facesse in modo che il fondo europeo per gli affari marittimi della pesca cominciasse laddove finisce il FEP.
Sulle percentuali sono molto scettico, perché seguo con grande attenzione ma non vedo avanzamenti notevoli. È vero che ancora ci vogliono due anni, però spesso in due anni non si realizza quanto si dovrebbe. L'obiettivo che dobbiamo porci noi italiani è che il nuovo fondo cominci dove finisce il vecchio fondo, altrimenti la sovrapposizione creerà solo problemi.
Siamo in Commissione agricoltura e quindi quando parliamo di organizzazione comune di mercato parliamo di cose nostre, quindi dell'organizzazione dei produttori. Ho fatto un'esperienza assai positiva in agricoltura con l'organizzazione dei produttori, che hanno rimosso una seria difficoltà al rilancio e allo sviluppo dell'agricoltura, perché le organizzazioni di produttori, se fatte bene, riescono a dare quella spinta che spesso non è possibile dare in altro modo.
Tutto questo dovrà servire a dare una risposta alle tante domande poste dall'onorevole Milana, perché una serie di questioni deve essere rimossa con la piena consapevolezza di chi opera in questo settore. Le organizzazioni dei produttori adeguatamente sensibilizzate possono dare una risposta a tutte queste domande.
CRESCENZIO RIVELLINI, Membro italiano della Commissione per la pesca del Parlamento europeo. Ringrazio il presidente perché da tre anni sono parlamentare europeo ed è la prima volta che faccio il parlamentare italiano in Europa, che è una cosa completamente differente, come lo fanno i tedeschi e gli altri nostri colleghi che svolgono un'attività in difesa della propria nazione, della propria patria, cosa che noi abbiamo difficoltà a fare.
La scorsa riforma della politica comune della pesca è stata un insuccesso, ed è stata negativa per l'Italia per i suoi risvolti. Da quella riforma qualcosa è cambiato: è cambiata la posizione del Parlamento e adesso siamo colegislatori e dopo il Trattato di Lisbona abbiamo un peso enorme ed essenziale, è cambiata anche la posizione con la crisi che c'è in Europa e fattori così importanti come un investimento di oltre 1 miliardo di euro all'anno dal 2014 al 2020 (ricordo che l'Italia negli anni scorsi ha sfruttato solo per 60-70 milioni questo fondo).
Tutto questo ci impone una posizione di grande attenzione, e questa iniziativa deve essere assolutamente concreta. Cominciamo a capire quali siano gli interessi dell'Italia in questa riforma e cerchiamo di spingere gli interessi dell'Italia, non quelli di carattere generale. Conosciamo i quattro obiettivi della riforma della pesca, il rispetto delle risorse dell'ambiente, la sufficiente qualità e l'approvvigionamento, la prosperità delle regioni costiere, ma quali sono gli interessi degli italiani all'interno di questa riforma?
Da questo è necessario far partire finalmente una battaglia in Europa anche con il Governo, perché noi abbiamo un peso. L'onorevole Milana ricordava che abbiamo tempo perché manca un anno e mezzo, ma quando andremo a fare il trilogo, cioè quando ci riuniremo a quel tavolo a cui partecipano Parlamento, Consiglio e Commissione i giochi saranno quasi tutti i fatti. A quell'epoca dovremo avere le idee chiare, la forza alle nostre spalle per far pesare le nostre idee e i nostri diritti, e quindi il tempo è breve
perché a quel trilogo dovremo arrivare con un team coeso e con le idee ben chiare.
I tanti aspetti di carattere generale devono essere innestati sugli interessi degli italiani, ad esempio sui rigetti, il pescato sotto taglia, valutando se sia un interesse italiano, oppure del fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca valutando se sia opportuno combattere affinché continui l'aiuto per il fermo temporaneo o considerando la possibilità di continuare gli aiuti per le demolizioni.
Queste sono le cose concrete che i nostri concittadini ci chiedono e il presidente Russo può essere il tramite fra Europa e Parlamento italiano. In base a quelle indicazioni, che naturalmente devono essere legate alle problematiche europee, possiamo incidere insieme e sederci a quel tavolo del trilogo con le idee ben chiare.
Per iniziare una collaborazione, sono rapporteur dei progetti pilota pesca e mi sono permesso di consegnare una copia di questi progetti pilota che hanno un iter molto più breve, perché entro fine maggio dovremo avere le idee chiare e andarle a discutere a giugno. I colleghi parlamentari italiani hanno avuto una copia dei progetti pilota pesca.
Cerchiamo di sfruttarli al massimo e come rapporteur dovrò raccogliere le proposte di tutta Europa. Se riuscirò a portare avanti proposte italiane in numero maggiore, sarò felice e finalmente avrò fatto il parlamentare italiano a Bruxelles e non solo il parlamentare europeo.
PRESIDENTE. Grazie anche per la documentazione consegnata di qui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
Do ora la parola ai colleghi che desiderino intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.
CORRADO CALLEGARI. Ringrazio i nostri europarlamentari di essere presenti oggi e raccolgo l'invito, che trovo molto valido, di costituire un gruppo di parlamentari ed europarlamentari per affrontare gli argomenti che riguardano non solo la pesca, ma anche i temi allargati dell'agricoltura.
Rimango perplesso per quanto è accaduto rispetto al Marocco, perché questa Commissione aveva presentato una risoluzione su iniziativa del Gruppo che rappresento, che era stata votata da tutta la Commissione e accolta anche dal Governo. Sarei curioso di sapere dove sia finito l'impegno del nostro Governo, a cui avevamo segnalato tutte le situazioni negative che si sarebbero create con la sottoscrizione di questo accordo.
Per quanto riguarda le problematiche della nuova politica comune della pesca (PCP), sono relatore in Commissione di questo provvedimento, su cui dovremo formulare un parere. Avete evidenziato come questa PCP sia figlia dello scarso peso politico che abbiamo non solo sulla pesca, ma anche in molti altri settori. Ricordo che in un incontro informale con un tecnico italiano che si trova all'interno della Commissione che ha preparato la PCP, questo si è espresso dichiarando che eravamo a ruota della Francia per quanto riguardava la stesura della nuova PCP. Lo dico anche a voi, perché questo discorso è emerso in un incontro informale, a cui erano presenti anche altri parlamentari di questa Commissione.
Le idee su questa PCP sono abbastanza semplici: la realtà mediterranea è completamente diversa dall'impostazione atlantica della PCP, quindi sulle Transferable Fishing Concessions (TFC) e rigetti dobbiamo dire che l'area mediterranea deve essere esente: punto e basta. Sia che rappresentiamo l'8 o il 12 per cento, la nostra è una realtà diversa e dobbiamo avere la capacità di imporre l'area mediterranea come peculiarmente diversa dall'area atlantica e di chiedere di essere esenti da questa applicazione.
Del resto, mi pare che all'interno della normativa europea altri Paesi facciano di tutto per essere esentati da altri provvedimenti.
L'altra preoccupazione espressa dall'onorevole Milana riguarda la Croazia, che entra nel 2014, ma intanto nel 2012 e 2013 cosa farà? Parlo della Croazia perché vengo dal Veneto, area alto Adriatico, dove l'anno scorso abbiamo sofferto molto della concorrenza sleale fatta dalla Croazia perché i nostri pescatori facevano il fermo pesca e loro venivano a pescare più di quanto previsto e sui banchetti dei nostri mercati ittici trovavamo il pesce croato. Questa è una cosa assurda e inaccettabile.
Quando l'Unione europea impone questo genere di provvedimenti, dobbiamo avere la capacità, tramite il Ministero degli esteri, di creare accordi con gli altri Paesi per il rispetto delle regole, perché ad esempio il bacino dell'alto Adriatico è stretto e, se da una parte viene rispettato il fermo biologico e dall'altra parte no, non serve assolutamente a niente, tanto che leggevo oggi sui giornali che i pescatori dell'area di Chioggia in questi giorni non hanno pescato niente, quindi esiste un grosso problema di ripopolamento.
Il mio Gruppo ha le idee chiare sul discorso della pesca, e spero che a breve avremo occasione di rivederci per valutare lo stato di avanzamento dei lavori.
LUCIANO AGOSTINI. Anch'io a nome del gruppo del Partito Democratico nella Commissione agricoltura, che ha competenza sulla pesca, ringrazio i quattro parlamentari europei per questa possibilità di confronto e di ascolto. Lo facciamo tra l'altro dopo avere ascoltato in audizione la Commissaria Damanaki, alla quale abbiamo espresso alcune delle perplessità e delle preoccupazioni che voi oggi avete ulteriormente rafforzato.
La problematica maggiore è quella della differenziazione di come si affronta la pesca nell'Atlantico rispetto al Mediterraneo. Siamo molto concentrati sulle quote trasferibili e gli scarti, ma, anche ammesso che riuscissimo a risolvere questo, riusciremmo a mantenere lo status quo di un settore che è già profondamente in crisi.
Ritengo quindi che alcune delle questioni di carattere strutturale a cui faceva riferimento l'onorevole Milana vadano necessariamente portate avanti con grande determinazione, altrimenti ci concentriamo sulle quote trasferibili e sugli scarti senza affrontare le questioni strutturali per risollevare il settore.
Mi sembra poi importante, in questa direzione, la questione dell'acquacoltura, che è l'altro elemento determinante. Non entro nel merito, ma condivido la proposta formulata dall'onorevole Antinoro di costituire, nei modi che lei, presidente, riterrà utili, una sorta di interlocuzione di carattere informale, per accompagnare e supportare anche con gli strumenti della legislazione nazionale l'azione dei nostri parlamentari e sollecitare il Governo.
Sono cambiati i ministri, sono cambiate parzialmente le maggioranze, ma l'attenzione sul settore della pesca rimane alquanto labile.
PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di intervenire, do la parola agli auditi per la replica.
GUIDO MILANA, Vicepresidente della Commissione per la pesca del Parlamento europeo. Ho dimenticato una cosa molto semplice, ma strategica: oggi la nostra pesca è regolata dal Regolamento mediterraneo. La cosa che pesa di più sulla pesca artigianale non è genericamente la politica europea della pesca, ma è il Regolamento mediterraneo che è entrato in vigore a giugno 2010.
Stiamo cercando di aprire un varco perché la verifica triennale del regolamento che scade a giugno 2013 possa essere per alcuni versi anticipata, perché - sono stato a Chioggia, a San Benedetto del Tronto, in Puglia, sul Tirreno, in Friuli, conosco benissimo le vicende del rapporto con la Croazia e ne possiamo parlare anche a margine della riunione - oggi la sofferenza vera è l'applicazione di quel regolamento, che non è compreso, né a mio parere efficace, perché non c'è futuro
per i pescatori se non c'è futuro per il pesce: è di un'ovvietà disarmante, ma è così.
Il punto politico che il nostro Paese può sollevare, per aiutare questo percorso, è la verifica anticipata degli effetti del Regolamento mediterraneo. Questa verifica è prevista per il 2013, l'emergenza nazionale ci induce a chiedere che venga anticipata al 2012, cosa già posta alla Commissaria, che ha chiesto cosa ne pensasse il Governo, come ho riferito al ministro e ora anche alla Commissione parlamentare.
La seconda questione è la richiesta formale - abbiamo già avanzato la richiesta di un parere di iniziativa del Parlamento in questo senso - per la disciplina a parte dell'Adriatico, che ha caratteristiche ancora diverse dal resto del Mediterraneo, quindi è necessario un Regolamento mediterraneo che abbia una specifica strategia per l'Adriatico. In questo sto cercando di costruire un'alleanza con i bulgari e i rumeni, che vogliono una strategia per il Mar Nero.
Questo strumento nel resto dell'Atlantico è stato utilizzato, perché la PCP ha una strategia per il Mar Baltico, una strategia per il Mare del nord e addirittura una strategia per le isole, Gran Bretagna e Irlanda, con specifiche particolari. Credo quindi che sia possibile farlo. L'anticipazione della verifica degli effetti del Regolamento mediterraneo può consentire di aprire questo varco e fare un regolamento per l'Adriatico e - perché no? - uno per il canale di Sicilia.
Questo significherebbe probabilmente lenire la maggior parte delle ferite di cui in questo momento il settore soffre. I pescatori scendono in piazza non per la riforma della PCP, ma perché non vivono più, perché hanno una situazione contingente, particolare, alla quale non sarà la riforma a dare risposte perché questa le darà di medio e lungo termine: la risposta si può dare attraverso una diversa organizzazione delle nostre questioni.
L'idea delle grandi nursery, della diversificazione di cui ancora non si parla, della possibilità che i pescatori facciano pescaturismo è contenuta nella regolamentazione che sarà post-riforma. Se anticipiamo, forse aggiungiamo qualche elemento in più.
Da questo punto di vista, la Commissaria è sensibile, e le ho detto che, se non farà questa operazione, finita la legislatura, passerà come colei che ha ucciso la pesca tradizionale, mentre, se invece anticipa questa valutazione di un anno e costruisce relazioni per rinnovare in questo senso, aprendo una discussione ampia anche con la nostra pesca nazionale, probabilmente riuscirà a regalare un nuovo regolamento, che non abbia il cursus di quello precedente, che ha avuto una gestazione di dieci anni e ci siamo accorti della sua presenza il giorno dopo della sua entrata in vigore.
PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi parlamentari europei per la loro presenza ma anche per le importanti cose che hanno voluto offrire alla nostra valutazione. I colleghi sanno quanto sacrificio vi abbia richiesto organizzare la settimana in modo diverso per essere qui oggi.
Avete già rappresentato una considerazione che ritengo centrale. Abbiamo già avuto modo di occuparci della PAC con i colleghi parlamentari europei, in particolare con gli onorevoli De Castro e La Via, e crediamo di interpretare questo ruolo come Commissione: una funzione proattiva nel tentare di mettere insieme tutti i riferimenti istituzionali, riunirli attorno allo stesso tavolo quando possibile ed essere punto di forza insieme a voi nel sostenere le ragioni del nostro Paese, nel costituire un comitato di supporto istituzionale, un coordinamento attivo.
Credo di interpretare il pensiero dei colleghi della Commissione nel dichiarare che ci adopereremo per svolgere insieme questo ruolo. Le criticità ci sono tutte e oggi sono state focalizzate e ancor meglio precisate negli aspetti di prospettiva e di carattere strategico, ma sento di dover evidenziare che nel Parlamento europeo abbiamo una pattuglia che si occupa di
pesca con competenza, con passione, compatta e capace di utilizzare con intelligenza la posizione, la perseveranza, la voglia di rappresentare il nostro Paese in Europa.
Credo che in un quadro di criticità questo rappresenti un aspetto straordinariamente positivo, che abbiamo piacere di valorizzare, utile per avviare le prossime battaglie politiche e geopolitiche alle quali non vogliamo sottrarci. Per questa ragione, interpretando il pensiero dei colleghi della Commissione, mi permetto non solo di ringraziarvi, ma anche di cogliere questa occasione come una prima opportunità, cui seguiranno altre.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 16,25.
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