Sulla pubblicità dei lavori:
Pescante Mario, Presidente ... 3
Audizione di membri italiani del Parlamento europeo nell'ambito dell'esame congiunto del Programma di lavoro della Commissione per il 2011 (COM(2010)623 def.), del Programma di 18 mesi delle Presidenze polacca, danese e cipriota (11447/11) e della Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, relativa all'anno 2011 (Doc. LXXXVII-bis, n. 1) (ai sensi dell'articolo 127-ter, comma 1, del Regolamento):
Pescante Mario, Presidente ... 3 6 7 9 13 16
Formichella Nicola (PdL) ... 9
Gottardo Isidoro (PdL) ... 10
Maggioni Marco (LNP) ... 10
Mauro Mario, Parlamentare europeo ... 7 13
Speroni Francesco Enrico, Parlamentare europeo ... 5 6 15 16
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN,
Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A.
Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 14,05.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 127-ter, comma 1, del Regolamento, l'audizione di membri italiani del Parlamento europeo nell'ambito dell'esame congiunto del Programma di lavoro della Commissione per il 2011 (COM(2010)623 def.), del Programma di 18 mesi delle Presidenze polacca, danese e cipriota (11447/11) e della Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, relativa all'anno 2011 (Doc. LXXXVII-bis, n. 1).
Mi fa particolarmente piacere incontrare due amici personali da lungo tempo nonché parte della bella rappresentanza che abbiamo nel mondo europeo. Sono due parlamentari stimati e apprezzati, e sono sopravvissuti ai danni di vario tipo che produciamo nel nostro Paese!
Ne è esempio il ritardo e l'incertezza nell'approvazione della legge comunitaria 2010, di cui forse avrete avuto notizia. Per due anni, in XIV Commissione, abbiamo portato avanti i lavori in maniera condivisa, ma senza compromessi. Purtroppo quest'anno c'è stata una «scivolata» dovuta al fatto che questo Parlamento, anche per colpa nostra, non riesce a esprimere una sensibilità per le tematiche europee, al punto tale che la legge comunitaria ormai viene considerata una specie di veicolo sostitutivo del decreto milleproroghe o della legge finanziaria.
Abbiamo sopportato con grande sofferenza questa situazione, che ha portato ad un disastroso esito finale, con la reiezione da parte dell'Assemblea dell'articolo 1 del disegno di legge.
Il Presidente della Camera ha quindi assunto una posizione molto severa, e si è temuto che si sarebbe passati direttamente alla comunitaria 2011. Poiché così non è stato, spero di poter rivendicare qualche merito personale e non politico per le mie caratteristiche di testardaggine, che traggono origine in parte da Gorizia, anzi Pola, e in parte dall'Abruzzo. Inoltre, ho contato moltissimo sullo spirito costruttivo dei nostri commissari.
Come ho detto, questa Commissione è composta da persone che hanno scelto di esserci, compreso il sottoscritto. Non è stato, quindi, né drammatico né molto complicato riprendere le redini della comunitaria 2010, parlarne e trovare una
soluzione che non fosse di compromesso o politica, ma nitida. Ripresenteremo la legge del 2010, che è già stata calendarizzata per le ore 17 di martedì prossimo. Questa mattina si è svolta la riunione del Comitato dei nove e all'unanimità abbiamo approvato il nuovo articolato e credo quindi, se martedì non accadrà nulla di sorprendente, che potremo concludere in quella giornata.
Mi sono permesso di anticipare l'intervento dell'onorevole Mauro in queste battute iniziali della seduta, ma credo che sia positivo anche per voi se di questa vicenda si è avuta notizia.
Abbiamo recuperato la situazione e ci sarà un voto condiviso che potrebbe essere prodromico anche per la legge comunitaria del 2011, che sarà discussa in Consiglio dei ministri domani. Il Governo ha mantenuto la promessa, laddove avessimo riavviato in modo sollecito la comunitaria 2010, di dare immediatamente inizio all'esame della legge per il 2011.
Dopo questa premessa, è inutile che vi dica che sono molto soddisfatto di ciò che è avvenuto in questo momento così particolare per la nostra vita politica, nella quale maggioranza e opposizione hanno ben poco di cui felicitarsi. È un momento molto difficile e io mi illudo che la votazione di martedì e la condivisione raggiunta possano dare dimostrazione di come si potrebbe procedere nella nostra vita politica. Mi sembra molto importante che questo avvenga nella nostra Commissione, che ha un riflesso internazionale.
Torniamo al motivo di questa audizione, della quale ho rivendicato il merito. Non sono mai stato relatore di nulla in tre anni di presidenza, ma questa volta ho voluto essere relatore io personalmente. Vi sono particolarmente grato per aver accettato l'invito che, per volontà dei membri della Commissione, è stato ristretto ai soli capi delegazione italiani nell'ambito dei gruppi politici, in modo da concentrare il nostro incontro su questioni prioritarie sia di metodo sia di merito.
Due colleghi autorevoli, esperti e stimati come gli onorevoli Mauro e Speroni potranno senz'altro fornirci importanti elementi di valutazione e conoscenza.
Se posso cortesemente fornirvi un indirizzo, noi abbiamo svolto molte audizioni e credo che della parte tecnica abbiamo compiutezza. Ci attenderemmo, pur lasciandovi piena libertà di intervenire su ciò che riterrete, di avere indicazioni di carattere politico. Alle 13 di oggi si terrà una riunione nella quale si prenderanno molte decisioni sul nostro Paese, pertanto se poteste offrirci qualche elemento ve ne saremmo grati. Naturalmente poi i commissari porranno i loro quesiti.
Non vorrei aggiungere altro anche per non togliere spazio ai miei colleghi. Avrei voluto dire che lamentiamo - e ci piacerebbe conoscere la vostra valutazione - la carenza dell'Unione a fronte di grandi sfide globali, quali l'immigrazione, la crisi economica, il fatto di non parlare con una sola voce. Ho fatto un minimo di autocritica con l'amico Mauro parlando del Presidente Van Rompuy, che ho incontrato in Sud Africa, dove mi trovavo per motivi legati alla mia posizione nel CIO. Ne ho ricavato un'impressione positiva. Meno positiva rimane l'impressione per l'Alto rappresentante per la politica estera, anche alla luce di ciò che sento dire dagli inglesi al suo riguardo.
Per entrare nel merito, la nostra sensazione è che l'assenza di una forte presenza europea di vertice ha fatto sì che alcuni grandi Paesi, ma specificatamente uno, stiano dettando l'agenda europea nonché la linea alle presidenze di turno e alla stessa Commissione. Mi piacerebbe sapere che cosa pensa il Parlamento europeo di questa mia allusione.
Una seconda questione concerne la nostra posizione sui grandi dossier: nuova governance economica, riforma del bilancio, politica di coesione e singole proposte legislative. Il quesito che vi pongo è se ritenete adeguata l'azione del nostro Paese a tutela degli interessi nazionali o se esistono meccanismi di coordinamento consolidati tra rappresentanza permanente e europarlamentari italiani.
L'ultima domanda - in cauda venenum - riguarda la discrasia esistente, che credo
tocchi anche voi, tra l'atteggiamento del Governo, la nostra Commissione e i parlamentari europei in ordine alla questione della tutela della lingua italiana. Ho già menzionato in altre sedi la vicenda del brevetto unico; riteniamo che ci sia un tentativo di imporre il trilinguismo che danneggia sicuramente le nostre imprese. Credo che anche a livello di Parlamento europeo sia stata adoperata qualche forzatura in questo senso, soprattutto a livello amministrativo. Vorremmo capire se siamo noi a camminare sulla strada deviata o se avete posizioni personali diverse. Ci interessa saperlo perché siamo al corrente che la posizione di europarlamentari, Governo e Commissione stessa è diversificata.
Se i commissari sono d'accordo, darei la parola ai nostri ospiti. Vorrei segnalare che l'onorevole Speroni, nonostante la giovane età, è il nostro parlamentare decano al Parlamento europeo. Per questo motivo, col consenso dell'onorevole Mauro, gli cederei la parola.
FRANCESCO ENRICO SPERONI, Parlamentare europeo. Decano anche per età, visto che quest'anno compirò 65 anni.
Cercherò di affrontare i temi che sono stati suggeriti, cominciando dal bilancio.
Possiamo dire che l'accordo di maggioranza che c'è in Italia fra la Lega Nord, che io rappresento, e il PdL al Parlamento europeo è affievolito, vale a dire che a volte non condividiamo la stessa linea politica, e questo per il fatto che nell'Unione europea non esiste un governo e quindi una maggioranza di riferimento. Abbiamo le mani più libere; su certe questioni, troviamo un'intesa preventiva, su altre ognuno mantiene la sua posizione, anche perché non si intaccano gli interessi italiani in senso lato.
Inoltre, facciamo parte di due gruppi diversi, uno più grande e uno più piccolo. Per darvi le dimensioni, noi apparteniamo a un gruppo formato da 27 membri, mentre il PdL, rappresentato dal collega Mauro, fa parte di un gruppo di oltre 280 componenti, quindi dieci volte più grande del nostro. Nel loro gruppo non dico che ci sia più eterogeneità, perché questo riguarda anche noi, ma per quanto concerne la componente italiana, ad esempio, ci sono anche parlamentari dell'UDC, che in Italia stanno all'opposizione. La realtà sotto certi aspetti è diversa da quella che si vive qui.
Sul bilancio, come gruppo e quindi non solo come delegazione della Lega, non siamo favorevoli a un aumento che superi quello del tasso di inflazione, mentre la Commissione vorrebbe aumentare anche oltre quel limite. Il nodo cruciale è che non siamo d'accordo con l'autofinanziamento, cioè con la cosiddetta tassa europea. Preferiamo ancora un sistema di finanza europea derivata in base a ciò che viene deciso dai singoli Stati; in altre parole, preferiamo che siano i singoli Stati a dover contribuire.
La collaborazione con la rappresentanza permanente è abbastanza migliorata. A questo proposito devo tessere le lodi del dottor Quaroni perché, mentre prima non c'erano tanti contatti, è molto più presente. Su alcuni temi cruciali ovviamente anche la rappresentanza ha i suoi limiti, e mi riferisco in particolare a una questione che a noi sta molto a cuore, la tutela del made in.
In Europa non c'è assolutamente una volontà unanime su questo argomento e non esistono norme a tutela, come abbiamo rilevato ultimamente con l'etichettatura dei prodotti alimentari. Ciò che chiedevamo non è stato recepito totalmente perché ancora oggi il consumatore non può risalire all'origine di alcuni prodotti. Ricordo che negli Stati Uniti, ad esempio, la legge sul made in esiste dal 1930, così come esiste in tanti altri Paesi del mondo. Oggi come oggi nell'Unione europea chiunque può mettere sul mercato un capo di abbigliamento non scrivendo nulla circa l'origine oppure indicando un'origine che non corrisponde assolutamente alla realtà.
La cosiddetta legge Reguzzoni - Versace, la legge n. 55 del 2010, trova qualche difficoltà di applicazione a livello europeo. Qualcuno sostiene che sia addirittura in contrasto con la normativa europea, ma
non è stata avviata nessuna procedura di infrazione, anche perché il Governo Berlusconi ne ha sospeso l'entrata in vigore. Ho fortissime riserve sul fatto che con una direttiva governativa si possa bloccare un provvedimento legislativo promulgato e pubblicato in Gazzetta Ufficiale, ma finora c'è stata una certa acquiescenza. Agenzia delle entrate e guardia di finanza non agiscono e la situazione rimane allo status quo ante all'approvazione della legge n. 55.
Stiamo cercando di attivarci attraverso un provvedimento che va sotto il nome di made in o Relazione Muscardini (al Parlamento europeo si tende un po' a personalizzare i provvedimenti), all'interno del quale è stato votato a maggioranza, pur non amplissima, un emendamento che ho presentato io e che per il tessile, le calzature e l'abbigliamento in genere recepisce le norme della legge n. 55. Come detto, l'emendamento è stato approvato dal Parlamento, ma incontra difficoltà in Consiglio.
Come sappiamo, quello dell'Unione europea è un sistema bicamerale imperfetto; prima votiamo noi parlamentari e poi si pronuncia il Consiglio, dove valgono normalmente logiche nazionali, se non addirittura nazionalistiche. Ci sono forti resistenze da parte di quei Paesi che più che produttori sono importatori di beni che provengono principalmente dal Far East, Cina, Cambogia e così via, i quali per vari motivi, soprattutto di ordine commerciale, non hanno piacere che si indichi esattamente la provenienza di un capo che si fregia di un marchio europeo prestigioso - italiano come Versace o francese come Lacoste, tanto per fare degli esempi - anche se in realtà è confezionato principalmente al di fuori del Paese di origine del marchio.
Non so come andrà a finire. La rappresentanza italiana ha manifestato le difficoltà che incontra dal momento che in Consiglio dei ministri europeo si vota a maggioranza, a volte addirittura qualificata, oppure può bastare una minoranza di blocco.
PRESIDENTE. Che cosa vuol dire?
FRANCESCO ENRICO SPERONI, Parlamentare europeo. Vuol dire che, se ad esempio è richiesta la maggioranza dei tre quinti, i due quinti possono bloccare gli altri tre, perché per certi provvedimenti è richiesta una maggioranza qualificata e si forma una minoranza di blocco.
L'unico invito è a cercare di sostenere la linea del Governo per tutelare questo interesse a beneficio sia della nostra impresa sia dei nostri lavoratori. Mi sembra che la legge n. 55 sia stata votata all'unanimità o quasi, ed è quindi condivisa da tutte le forze politiche del Parlamento italiano.
Per quanto riguarda la lingua, ci si muove su diversi piani. C'è il piano ufficiale in cui si devono usare tutte le 23 lingue; non sono ventisette perché ci sono Paesi come il Belgio che hanno lingue in comune con altri. A questo livello tutti i documenti sono scritti in 23 lingue, e sia in plenaria sia in Commissione si può intervenire nella propria lingua o in una delle altre 23.
Le lingue di servizio invece sono l'inglese e il francese. Normalmente si usano nelle riunioni informali e anche certe comunicazioni vengono prodotte solo in queste due lingue, a cui si aggiunge qualche volta il tedesco.
Poi c'è la questione del brevetto europeo. Per superare questi problemi linguistici, 25 Paesi su 27 hanno deciso di utilizzare la procedura di cooperazione rafforzata. La procedura esiste, è prevista dal Trattato e se viene applicata correttamente non ci si può opporre. Io sono membro della Commissione giuridica, che funziona come una specie di filtro alla stregua della I Commissione nel Parlamento italiano. Unitamente agli spagnoli, abbiamo votato contro, ma siamo stati messi in minoranza. Mi pare che sia stato presentato un ricorso alla Corte di giustizia in cui si sostiene che la procedura di cooperazione rafforzata in quel caso non poteva applicarsi, ma diventa più una questione giuridica che politica.
Abbiamo assunto questa posizione non per difendere l'italiano a tutti i costi, bensì per evitare che ci fosse un privilegio a vantaggio del trilinguismo. Vista l'internazionalizzazione della materia, avremmo accettato l'uso della sola lingua inglese, anche perché oggettivamente far tradurre in molte lingue i testi che accompagnano un brevetto è particolarmente costoso, soprattutto per le nostre piccole e medie imprese. Già è difficile fare innovazione, se poi dall'innovazione nasce un brevetto che deve essere tradotto in 22 lingue diventa particolarmente oneroso.
Noi sosteniamo l'uso dell'inglese, ma siamo contrari al fatto che all'inglese si siano aggiunti francese e tedesco perché questo mette in difficoltà le nostre imprese rispetto a quelle tedesche e francesi. L'inglese è ormai una lingua franca del mondo degli affari, del mondo della scienza eccetera e non ce la siamo sentita di impuntarci.
Questa è la situazione. Noi tentiamo in ogni modo di difendere tutte le lingue, non l'italiano in quanto tale. Poiché i trattati prevedono 23 lingue, finché questi non cambiano devono essere difese tutte e 23. È il principio europeo dell'unità nella diversità; l'italiano è tra quelle lingue che a volte vengono messe da parte e riceve, al pari delle altre, la tutela del mio gruppo.
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Speroni. Una sola precisazione per quanto riguarda la direttiva del Consiglio dei Ministri del 30 settembre 2010, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 2 dicembre. Si precisa che le disposizioni della precitata legge 8 aprile 2010, n. 55 possono considerarsi applicabili solo successivamente all'esperimento della procedura di informazione comunitaria, ai sensi di una direttiva dell'Unione europea del 1998, in relazione a quanto recato dal decreto ministeriale.
In pratica, è l'ottemperanza alla cosiddetta procedura di informazione per norme tecniche prevista dalle direttive europee. Esse impongono agli Stati membri di notificare alla Commissione e agli altri Stati la normativa nazionale che abbia impatto sul mercato interno. Una volta esperita questa procedura e acquisito l'accordo espresso o tacito della Commissione, si potrà applicare la normativa nazionale.
La parola all'onorevole Mauro, che ringrazio ancora per la sua presenza.
MARIO MAURO, Parlamentare europeo. Grazie per l'invito, presidente. Io mi limiterò ad alcune considerazioni di carattere politico in ordine alla formula che ci ha proposto per questa audizione, vale a dire notazioni di metodo e di merito. Lo faccio soprattutto con l'intento di favorire il dialogo con i colleghi. Credo che lo scopo collaterale di questa audizione sia anche contribuire alla fase ascendente descritta dal nuovo Trattato di Lisbona.
Riprenderò in origine, dal punto di vista del metodo, una considerazione legata all'osservazione che faceva all'inizio il collega Speroni. Io rappresento la delegazione italiana del Partito popolare europeo (PPE), una delegazione che oggi vede presenti al proprio interno partiti che a casa propria non appartengono tutti allo stesso schieramento. Questo è interessante per leggere la vicenda delle istituzioni europee.
Effettivamente il gruppo del Partito popolare europeo, essendo gruppo di maggioranza relativa, ha numeri in Parlamento tali per cui, nel 90 per cento dei casi in cui si arriva al voto finale, questo voto finale dipende dagli equilibri che si sono trovati all'interno del PPE stesso. È particolarmente interessante per capire come evolve lo scenario dell'attività legislativa del Parlamento e anche il grado di interlocuzione con le altre istituzioni, non fosse altro perché questo gruppo di maggioranza relativa conta su una ventina di Paesi in cui, per l'attività di governo di ciascuno, è centrale un partito o più partiti che appartengono alla famiglia politica del Partito popolare europeo.
In concreto ciò significa che l'onere di molte decisioni che si assumono o l'onere del fatto di non aver assunto decisioni in tante circostanze alla fine ricade su questa compagine politica, sia per quello che esprime in proprio sia per il grado
di collaborazione e d'intesa che raggiunge con le altre forze politiche in sede europea.
Questo è particolarmente significativo se si fa perno su quanto sta accadendo in questi giorni e in queste ore a Bruxelles in modo compartecipe e corrispondente alla nostra audizione. Si sta svolgendo un raduno sulla governance economica europea che ha i caratteri dell'emergenza e della straordinarietà. Per quanto concentrato formalmente - questo è il tema dell'incontro di oggi - solo sulla questione dell'aiuto alla Grecia, porta inevitabilmente con sé una serie di possibili decisioni che riguardano, invece, uno spettro ben più largo dei Paesi, e in sostanza l'intera area euro.
Sulla scena del Parlamento europeo, dall'inizio della legislatura, formalizzata in un'iniziativa presa dai tre presidenti dei gruppi principali - ovviamente in ordine di numeri e non della specifica dignità di ognuno - del Parlamento europeo, e cioè il gruppo popolare, il gruppo socialista e il gruppo liberale, è emersa e si è concretizzata una posizione che potremmo rappresentare con uno slogan: l'Unione Europea non basta per risolvere parte soverchia dei problemi che affliggono l'Unione europea, bisogna assumere in tempi brevi una serie di decisioni che sono instradate verso gli Stati Uniti d'Europa.
Ho utilizzato la formula di uno slogan perché onestamente, anche nel dibattito che ha salutato l'inizio della Presidenza polacca, alcuni nodi chiave sono effettivamente venuti al pettine. Cercherò di farmi capire con qualche esempio.
Durante il dibattito per l'apertura della Presidenza polacca, è emerso per esempio con chiarezza il fatto che, mentre nel 2004 l'Unione europea si era fatta carico di risolvere il tema politico nato nel 1989 con l'implosione del sistema dell'Est, attraverso una decisione che in una notte ha trasformato in cittadini europei 150 milioni di persone che rappresentavano appena il 5 per cento del prodotto interno lordo, non c'è una capacità di coesione analoga dal punto di vista politico, ma soprattutto a oggi non sembra esistere la strumentazione necessaria per capire che analoga determinazione, e quindi strumenti conseguenti, occorrono per valutare ciò che accade nell'area sud del Mediterraneo.
La solitudine sperimentata dall'Italia sul tema «Lampedusa» o dei flussi migratori dal sud del mondo è uno scenario che offre tutto intero il limite percepito nella capacità dell'Unione europea di affrontare gli snodi di questo momento storico. Parimenti, si pone la questione del blocco sulla governance economica. Abbiamo rinviato il pacchetto di voto sulla governance economica proprio perché, alle nostre spalle, l'altra camera teorica dell'Unione europea, cioè il Consiglio, è paralizzata in termini di leadership politica rispetto alla possibilità di prendere decisioni che orientino il percorso dell'Unione Europea e garantiscano maggiore stabilità alla percezione dei mercati su ciò accade nei nostri Paesi.
Da ultimo, in ordine al tema del metodo, faccio comunque presente che con il dibattito su Lisbona si è aperto in modo flagrante il tema del rapporto tra il Parlamento europeo, le istituzioni europee e i Parlamenti nazionali. È una questione che ci coinvolge. I primi approcci non sono stati del tutto straordinari. Soprattutto sono emerse questioni sulle quali, per quanto attiene al coinvolgimento dei Parlamenti nazionali, alcune Commissioni del Parlamento europeo in particolare hanno tenuto un atteggiamento che non esito a definire sconfortante per comprendere fino in fondo la dinamica della sussidiarietà verticale.
Ciò ha posto una seria ipoteca sul processo col quale si sta definendo, per esempio, la strutturazione del Servizio di azione esterna dell'Unione europea (SEAE). La competenza di politica estera a oggi rimane troppo velleitaria e, a mio modo di vedere, prigioniera di una logica che mette in sofferenza la volontà di offrire realmente all'Europa la possibilità di parlare con una voce sola. Un esempio di questo sono le nomine fatte dall'Alto commissario per la politica estera, nomine che sembrano rispondere non tanto a una
logica comunitaria, quanto alla logica di accontentare, Paese per Paese, le esigenze di politica regionale.
Non a caso, l'ambasciatore in Argentina è spagnolo, in Sudafrica incredibilmente viene nominato un ambasciatore «boero», cioè di lingua olandese, fino alla constatazione che come area di influenza a noi viene affidata l'Albania. Si riconosce un criterio che bisognerebbe definire post-coloniale e che non traduce fino in fondo né la preoccupazione per cui questo Servizio d'azione esterna è nato né la volontà di affermare una logica di carattere comunitario.
Questo è un problema per una ragione semplicissima. Se teniamo conto della volontà di cui parlavo all'origine, questo tipo di approccio rimane fondamentalmente inadeguato anche per coloro che si dichiarano profondamente europeisti all'interno dell'architettura comunitaria e delle istituzioni comunitarie.
Se da un lato il mio gruppo politico per primo ha la tendenza a rifiutare, per ragioni di principio, le critiche «euroscettiche», d'altro canto il problema serio è che nessuna di queste critiche può essere seriamente ovviata se non dandosi da fare affinché il progetto europeo si realizzi fino in fondo. Paradossalmente, non compiere fino in fondo il progetto presta il fianco a tali critiche.
Questo è ancor più sperimentabile se si tiene conto della discussione - penso di offrirvi l'occasione e il pretesto per un approfondimento - in ordine al cosiddetto interesse nazionale. Spesso negli ultimi anni abbiamo rivendicato l'importanza per l'Italia di battere i pugni sul tavolo dello scenario europeo per farci maggiormente rispettare e portare a casa un maggior ruolo e maggiori spazi. Siamo però anche il Paese che quest'anno restituisce, a mo' di cambiale che non si è riusciti a esigere, un pacchetto di quasi 4,5 miliardi di euro di fondi non spesi e che, per paradosso, incontra molte difficoltà nella messa a punto delle tematiche di bilancio.
È molto più facile garantire l'interesse nazionale se a quel tavolo ci si siede con una logica europea, cioè con una visione condivisa dagli altri Paesi che siedono a quel tavolo. Diventa più facile per tutti, anche su temi particolarmente sensibili, come l'aspetto della lingua. Se il problema è la difesa della lingua italiana tout court, i conti sono presto fatti: noi siamo un Paese, gli altri sono 27 e quasi normalmente si accordano su altre lingue veicolari. Se invece il problema è la difesa, come diceva Francesco Speroni, delle 23 lingue e cioè del principio dell'unità nella diversità garantito nei nostri testi, la strategia si può giocare con una logica differente.
Non ho fatto questa ricostruzione dell'attualità del dibattito per sottrarmi alle tematiche di merito che, soprattutto per quanto riguarda la dinamica molto complessa della discussione sulle prospettive finanziarie, mi trova a vostra disposizione per ulteriori chiarimenti. Ma, com'è nello spirito della nostra istituzione, non voglio rubare troppo tempo allo scambio di opinioni con i colleghi.
PRESIDENTE Grazie, onorevole Mauro.
Do ora la parola ai colleghi che vogliano porre quesiti o svolgere osservazioni.
NICOLA FORMICHELLA. Ringrazio particolarmente il presidente perché l'incontro di oggi è sicuramente importante non solo per il tema che siamo trattando, ma perché forse è uno dei primi incontri veri della nostra Commissione con parlamentari europei. È un incontro vero nel senso che discutiamo di argomenti relativi all'interesse nazionale cercando di fare squadra.
Ho ascoltato con interesse i due interventi e siamo d'accordo con tante delle cose dette dal collega Speroni. L'accordo con l'onorevole Mauro ci era già noto perché, per iniziativa sua e di altri colleghi del Parlamento europeo, come gruppo politico teniamo riunioni periodiche a Bruxelles sui vari temi e siamo abbastanza rodati da questo punto di vista.
Il discorso del brevetto è un discorso che noi riteniamo molto importante e, per
informazione, proprio ieri abbiamo audito la Confindustria, la quale ha espresso una posizione non molto chiara sull' argomento, avendo pensato più agli interessi di qualche azienda già attrezzata per la traduzione nelle varie lingue che agli interessi del sistema Paese. Quando l'abbiamo fatto notare, ci hanno risposto che fanno il loro lavoro e che sarebbero andati avanti così.
Credo che quando l'onorevole Mauro parla di difesa dell'interesse nazionale si riferisca anche al fatto che esso non deve essere difeso soltanto dalle istituzioni, ma altresì dal mondo delle imprese e dal sistema Paese in generale. In questa Commissione ci proviamo, attuando iniziative, anche in accordo con l'opposizione, proprio in quest'ottica.
Passo a una considerazione specifica. La prossima settimana saremo chiamati, insieme alla Commissione bilancio, a iniziare l'esame delle proposte della Commissione sul nuovo quadro finanziario e io sarò il relatore di maggioranza. La considerazione che voglio sottoporvi è relativa alle proposte, per noi preoccupanti, inerenti alla politica di coesione. Mi riferisco alla riduzione di circa 27 miliardi delle risorse destinate all'obiettivo Convergenza, che dovrebbero poi confluire nel nuovo obiettivo Regioni in transizione. Secondo noi questo determinerebbe una fortissima penalizzazione per l'Italia, perché perderemmo circa 21,2 miliardi di risorse a scapito delle Regioni meridionali: Puglia, Campania, Sicilia e Calabria.
L'obiettivo Regioni in transizione andrebbe invece a beneficio di regioni molto popolose di altri Paesi, come Spagna, Germania, Francia eccetera, ai quali, secondo i calcoli, sarebbe destinata buona parte degli stanziamenti. Come sapete, il Ministro Fitto si è opposto all'introduzione di tale obiettivo. Vorrei capire quali possono essere le azioni da intraprendere insieme, come Parlamento europeo e come Parlamento italiano, ma soprattutto a livello di governo nazionale, su questo tema.
MARCO MAGGIONI. Anche io ritengo che l'incontro di oggi sia estremamente utile perché ci consente, da un lato, di fare il punto della situazione e, dall'altro, di avanzare proposte e analizzare l'azione dell'Italia all'interno dell'Unione europea.
Come rappresentanti eletti dal popolo, penso che dobbiamo partire dal presupposto che, ahimè, c'è scarsa conoscenza tra i cittadini delle potenzialità, delle strutture e dei compiti dell'Unione europea. Questa mancanza dovrebbe essere colmata, e lo sarà, se l'Unione europea riuscirà a dimostrare vicinanza ai cittadini e alle esigenze delle imprese.
In questo senso ritengo che l'azione che si sta portando avanti a tutela degli interessi del nostro sistema imprenditoriale, che si basa sulle piccole e medie imprese e sulla capacità di produrre eccellenze manifatturiere caratterizzate dal made in, sia giusta e che occorra proseguire su questa strada.
Come ricordava l'onorevole Speroni, nell'ambito del made in per tutelare le nostre produzioni dobbiamo avere la possibilità di applicare la legge Reguzzoni - Versace. Io provengo da un territorio che ha mal percepito il fatto che non siano stati ripristinati i dazi sul calzaturiero, perché produrre calzature vuol dire anche originare un indotto nel settore meccano-calzaturiero, all'interno del quale nei nostri territori si è registrato un forte aumento della disoccupazione.
Come dicevo, è necessario che l'Unione europea dimostri attenzione a queste esigenze, tutelare le quali significa dare risposte attuali alle necessità che i cittadini ci sollecitano pressoché ogni giorno.
ISIDORO GOTTARDO. Ringrazio i colleghi parlamentari europei.
Parto dalla consapevolezza comune che sia difficile, per chiunque opera e si accosta all'Europa, rappresentare il sistema Italia e le sue particolarità.
Come sottolineava Mario Mauro, è chiaro che chi si siede al tavolo deve farlo con una cultura europea e non nazionale, altrimenti, pur credendo di aver fatto il proprio dovere e di aver rappresentato il Paese e difeso gli interessi italiani, il risultato che si ottiene è quello che molto spesso raccogliamo.
La seconda considerazione riguarda la crisi economica. Mi è del tutto evidente che la crisi che stiamo vivendo è prima di tutto una crisi di governance e che vi sono problemi effettivi. L'Europa, da un lato, ha introdotto l'euro e svariati meccanismi che ci vincolano a una serie di politiche comuni di stabilità e di crescita, ma dall'altro incontra difficoltà nel governare questi processi, che dipendono da scadenza elettorali e da altri fattori. Tali processi, se non colti e spiegati in modo virtuoso, generano frustrazione perché danno l'impressione che i singoli Paesi siano commissariati dall'Europa e che sia impossibile concorre alla determinazione delle scelte da compiere.
Abbiamo svolto un'audizione molto utile a cui ha partecipato il nostro ambasciatore a Bruxelles, grazie al quale abbiamo potuto capire com'è posizionata l'Italia rispetto alle varie questioni aperte. L'ambasciatore, ovviamente, a quel tavolo rappresenta il Governo, ma dalle sue parole, benché in maniera non del tutto esplicita, sono trapelati evidenti alcuni problemi di ritardo.
A seguito del Trattato di Lisbona, è in corso la revisione della legge n. 11 del 2005. Abbiamo svolto un faticosissima lavoro, ma alla fine siamo riusciti, a mio giudizio, a fare il massimo affinché la nuova legge permetta al sistema Italia di adattarsi ed essere più efficace possibile rispetto al Trattato di Lisbona. Possiamo essere soddisfatti al 70 per cento. In quel 30 per cento di cui non possiamo essere soddisfatti dobbiamo mettere, prima di tutto, il fatto inspiegabile e in alcun modo comprensibile che l'Italia non sia in grado di adeguare i propri sistemi democratici, a partire dal Parlamento, ai tempi e ai modi con cui funziona l'Europa.
È difficile raccordarsi alla fase ascendente del Trattato di Lisbona avendo un Parlamento, anzi una Camera dei deputati, con un regolamento e un modo di operare dell'Ottocento. Consiglierei ai colleghi di fare sempre il percorso inverso, cioè partire dall'esperienza parlamentare italiana per poi approdare al Parlamento europeo. Passando dall'esperienza europea a quella italiana, si matura una terribile frustrazione dovuta al fatto che si comincia a comprendere perché il Paese è in ritardo rispetto ai processi decisionali e alle modalità con cui far valere le proprie ragioni nelle sedi preposte e in base ai meccanismi concordati.
Con la modifica della legge n. 11 del 2005 abbiamo affrontato la necessità di essere adeguati al processo di controllo di sussidiarietà e soprattutto all'esigenza di articolare il sistema Paese, composto, alla luce del Titolo V della Costituzione, da regioni ed enti locali, in base alla fase ascendente, che finora è stata di fatto molto spesso ignorata, salvo poi subire la fase discendente esprimendo tutte le possibili contrarietà nei confronti dell'Unione europea.
In particolare, da questa esperienza di revisione della legge n. 11 sono emerse difficoltà a rimuovere forme di protezionismo esistenti all'interno delle singole amministrazioni italiane, a partire dal Ministero degli esteri - e mi assumo la responsabilità di quel che dico - il quale vive in un proprio mondo organizzato che prescinde dai tempi, dalle dinamiche e quant'altro. Non siamo riusciti, ad esempio, a conferire al Ministero per le politiche europee un ruolo pieno rispetto all'azione di coordinamento e gestione della fase discendente perché, come sapete, la rappresentanza italiana a Bruxelles deve dipendere dal Ministero degli esteri.
Tuttavia, con la legge n. 11 alcuni passi in avanti sono stati compiuti, soprattutto rispetto a un elemento che funge da cartina di tornasole di tutto ciò che è stato ricordato oggi, e cioè il cancro delle procedure di infrazione contro l'Italia. La vicenda delle procedure di infrazione, nel merito della quale abbiamo cercato di entrare per capire perché il nostro Paese soffra di questo problema, mette in evidenza dati emblematici. Molto spesso le infrazioni sono riferite all'articolazione dei poteri tra Regioni e Stato per quanto riguarda l'attuazione delle direttive, il recepimento pieno dei regolamenti e così via. Ma addirittura capita che si recepisca
una direttiva, facendola apparire recepita in tutti i suoi effetti, e che poi la Commissione accerti che non si è creato alcun controllo sull'effettiva attuazione. Da qui piovono sanzioni, e per questo le nostre leggi comunitarie sono complicatissime.
Potrei citare una direttiva sulla pesca (Commissione accertamento), recepita e demandata alle capitanerie di porto. Le barche però continuavano a viaggiare esattamente con gli stessi strumenti di una volta, senza che nessuno controllasse, e la risposta fu che le capitanerie non avevano gli strumenti per poter eseguire controlli. Pertanto, la direttiva risultava del tutto non recepita. Questa è la situazione del Paese.
La vicenda di Lampedusa e del Mediterraneo e sì figlia della politica euromediterranea e del fallimento di tutte le iniziative, tra cui l'ultimo tentativo, di fatto abortito, della Presidenza francese rispetto alla vicenda israelo-palestinese, ma è anche la cartina di tornasole dell'Europa. Quando si sono verificati gli avvenimenti delle Canarie, attraverso Frontex vi è stata la solidarietà di undici Paesi che hanno partecipato ai controlli e agli aiuti, cosa che non è accaduta a Lampedusa. Dovremmo interrogarci seriamente sul perché.
Ciò che mi preoccupa di più è il meccanismo della cooperazione rafforzata introdotto col Trattato di Lisbona. Ho posto la questione al nostro ambasciatore a Bruxelles che mi ha risposto in maniera molto diplomatica; tra le righe ho colto che la rappresentanza a Bruxelles fa quel che può e che il resto spetterebbe a noi. Secondo me, per esempio, lo strumento della cooperazione rafforzata è stato fortemente sottovalutato nelle sue dinamiche di funzionamento. Se a Lampedusa, per citare un esempio, un sistema di cooperazione rafforzata avesse attivato una serie di meccanismi a più largo raggio rispetto agli interessi europei, probabilmente avremmo ricevuto maggiore attenzione o avremmo potuto attivare strumenti che invece non siamo stati in grado di sfruttare. Questo è il problema.
Devo anche aggiungere apertamente che un Paese non può restare privo di un effettivo Ministro per le politiche europee troppo a lungo. Responsabile primo della politica della cooperazione rafforzata, in veste di motore, attivatore e coordinatore, deve essere per forza il Ministro per le politiche europee.
In questa Commissione ognuno ha le proprie posizioni, c'è chi è più convinto e chi meno, e dentro ogni parere e ogni provvedimento ciascuno mette il sale della propria parte politica, ma per quanto riguarda il lavoro che stiamo compiendo a 360 gradi credo che sarebbe molto utile se, come parlamentari europei, ci veniste in soccorso e ci aiutaste a recuperare i ritardi che il nostro Paese dimostra nel modo di approcciare il tavolo europeo, ritardi che voi comprendete benissimo. Anche noi in Commissione li comprendiamo, anche in virtù delle esperienze che molti di noi hanno maturato, ma ci fermiamo lì.
Credo che sarebbe molto utile, al di là di queste consultazioni, poter sviluppare con il rappresentante italiano presso l'Unione europea e con voi parlamentari una solidarietà di fatto, che porti l'Italia ad avanzare rispetto a questi processi. Altrimenti, dalla questione delle lingue alla questione dei brevetti e quant'altro, ho l'impressione che ci si parli addosso. Discutiamo tra di noi per fornire ai nostri cittadini italiani una qualche giustificazione, ma non so questo dove ci porti. Se si continua ad accreditare il fatto che l'Europa è un problema, con l'euro in corso e con le politiche finanziarie e di stabilità, i cittadini italiani sempre più matureranno l'idea che come Paese siamo stati commissariati dall'Europa, e di conseguenza che non siamo più sovrani e non esiste più una democrazia che ci permetta di fare delle scelte.
In parte è vero, perché sulla manovra fiscale il Parlamento è stato commissariato. Non siamo potuti entrare nel merito delle questioni e in nome degli accordi stretti con l'Europa, dal Presidente della Repubblica al Ministro dell'economia, ci hanno spiegato che le cose stavano così. Ma non mi risulta che in sede europea
siano stati siglati accordi in base ai quali togliere alle famiglie la detrazione fiscale sui figli. Però l'Italia potrebbe pensare che ce lo imponga l'Europa.
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Gottardo. I colleghi europei avranno capito che questa è un'audizione reciproca, nel senso che li abbiamo auditi e li abbiamo anche obbligati a prendere atto di alcune opinioni.
Mi permetterei di fare solo due considerazioni su un tema piuttosto usuale negli interventi dell'onorevole Gottardo e che tutti condividiamo, le infrazioni. Oltre che sottoscrivere le preoccupazioni del collega, aggiungerei alcuni dati a quanto è stato detto. Le procedure di infrazione dipendono quasi esclusivamente dall'inerzia dei Ministeri e non del Parlamento. In più, abbiamo rilevato recentemente che circa quaranta procedure concernono direttive destinate a due Ministeri, quello della Salute e quello dell'Ambiente, che avrebbero potuto recepirle in via amministrativa con decreto ministeriale.
Un'ultima considerazione che avrei voluto fare in sede di introduzione riguarda la nostra posizione sulla cooperazione tra Parlamenti nazionali e Parlamento europeo. La nostra opinione è molto chiara e l'abbiamo espressa anche in sede di Conferenza degli Organi specializzati in Affari Comunitari (COSAC). Come avrete capito, pensiamo che ci sia un tentativo di emarginare il Parlamento dalle sedi di cooperazione in materia sia di politica estera sia di sicurezza comune. Noi siamo invece dell'opinione che non esista un antagonismo tra Parlamenti nazionali e Parlamento europeo e che anzi lo stesso Parlamento nazionale non debba ridurre la propria attività a quella di mero «guardalinee» delle competenze nazionali, agendo quasi come antagonista delle istituzioni europee.
Vogliamo influire, ma nello stesso tempo, anche in sede COSAC, ci siamo opposti alla creazione di meccanismi e organismi che mirino ad un esercizio congiunto, per esempio, del controllo di sussidiarietà da parte dei Parlamenti nazionali.
Io vi ringrazio e, se non ci sono altri interventi, do la parola ai nostri colleghi europei per concludere la nostra seduta.
MARIO MAURO, Parlamentare europeo. Il collega Speroni e io siamo d'accordo nello scambiarci i ruoli nell'ordine degli interventi.
Cercherò di essere telegrafico per rispondere ai quesiti posti e per dare conforto, se non speranza, alla crisi di sconforto manifestata dal collega Gottardo, che peraltro ha elementi fondati di riflessione.
Come considerazione generale, credo che nessuno di noi, all'interno della deputazione italiana in Parlamento europeo, pensi che possa esistere un'alternativa a un percorso che metta a fuoco l'Europa quale strumento unico e indispensabile per uscire dai nostri problemi. L'entità dei problemi è tale che pensare di farcela da soli in tutta una serie di questioni appare quanto meno velleitario, soprattutto perché, dopo anni e anni di integrazione, anche il nostro Paese, per quanto riottoso, ha preso una forma che corrisponde per molti versi a un iter di soluzione dettabile solo dal percorso europeo.
In ogni caso, entrando nello specifico, sulla questione delle prospettive finanziarie e in genere su tutto ciò che attiene all'attivazione delle risorse, e quindi anche ai meccanismi di risorsa propria, io penso che la logica europea sia abbastanza spietata, ma non per questo meno evangelica: «a chi ha sarà dato, a chi non ha verrà tolto anche quello che ha». Lo dico in modo molto chiaro.
In questo senso, pezzi di sistema Paese, sia dal punto di vista del profilo istituzionale, sia dal punto di vista della partecipazione della nostra società civile, del privato, delle imprese al grande tavolo del processo di integrazione europea, vengono penalizzati ogni volta che il sistema non è capace addirittura di anticipare o comunque di corrispondere a ciò che è sul tavolo.
Il meccanismo per cui le nostre regioni faticano a spendere è troppo noto perché io lo commenti ulteriormente. Ma il problema di una fatica di tutto il sistema a mettersi in corrispondenza, a valle e a
monte, del momento decisionale europeo è oggettivo. Se voi stessi percepite che i Regolamenti di Camera e Senato sono inadeguati per la fase ascendente e se percepite che nella fase discendente la considerazione dell'attività del Ministro e del Ministero per le politiche europee dovrebbe probabilmente avere maggiore autonomia e capacità di referenzialità rispetto alle disposizioni del Ministro degli affari esteri, a maggior ragione a queste conclusioni siamo arrivati noi, che sul campo ci troviamo a vivere la discordanza e l'incoerenza di questa prospettiva.
Mi preme dire che su una serie di questioni chiave, tra cui senz'altro quella delle infrazioni e a maggior ragione quella di tutti i processi legislativi che attengono alla Commissione ambiente, alla Commissione industria e probabilmente anche alla Commissione mercato interno e commercio internazionale del Parlamento europeo, possiamo fare molto, sia come europarlamentari italiani che come Parlamento italiano, per scoprire atteggiamenti fortemente ambigui di pezzi del nostro sistema Paese in ordine alla definizione degli interessi nazionali.
Voglio essere chiaro ed esemplare. Perché a fronte di un parere degli agricoltori francesi ce ne sono cinque degli agricoltori italiani? Perché l'industria tedesca esprime un parere, mentre dai nostri sistemi e meccanismi di impresa ne scaturisce un'infinità? La difficoltà di cui parlava l'onorevole Gottardo a rappresentare il sistema Italia tante volte passa anche attraverso un condizionamento che appare quanto meno disperso.
Probabilmente l'attività di istruttoria, che io prefiguro potersi svolgere nel dialogo con le istituzioni, e cioè, in chiave sussidiaria, con il sistema delle regioni, e soprattutto nel momento dell'istanza nazionale, non viene evasa fino in fondo, tant'è che c'è una sorta di assalto alla diligenza nel dialogo con i parlamentari europei a Bruxelles, volendo qualificare come interesse nazionale l'opinione dell'uno piuttosto che dell'altro. Questo può essere un momento molto importante in chiave dialogica tra di noi, perché alla fine saremmo capaci di imprimere tutta la forza che ci compete sulla stessa mattonella e nell'interesse comune.
La mia seconda osservazione riguarda ciò che possiamo ulteriormente favorire per aumentare il nostro peso specifico dal punto di vista delle procedure. Su questo farò un esempio, ma piuttosto che in negativo preferisco parlare in positivo. Eravamo un sistema ben più in crisi fino al 2004 quando non esisteva quella semplice «leggina», favorita da questo Parlamento e approvata dal Governo Berlusconi bis - non ricordo bene -, sull'incompatibilità delle cariche. Come deputazione italiana al Parlamento europeo avevamo un tasso di presenza e di incidenza che non superava il 26 per cento; oggi, pur non essendo la prima deputazione, siamo però all'86 per cento delle presenze. È vero che ci troviamo in un contesto in cui molte altre superano il 90 per cento, ma un conto è guardarle dal 26 per cento e un conto è guardarle dall'86 per cento.
Questo ci fa ragionevolmente capire che a volte bastano davvero pochi accorgimenti. In quel caso, rendendo impossibile il cumulo della carica di parlamentare italiano con quella di parlamentare europeo, abbiamo aperto la strada, quanto meno, a una presa di coscienza da parte di chi assumeva quel ruolo del perché era lì e su come poteva contribuire al bene comune.
In questo senso, dal mio punto di vista si può fare ancora moltissimo. Il margine interpretativo delle disposizioni di Lisbona ci lascia uno spazio molto consistente, che si allarga ancora di più se parliamo di ciò che si può migliorare nel modo di partecipare a questo processo non solo sul piano parlamentare, ma anche su quello dei ministeri. Non a caso, voi stessi avete ricordato che l'80 per cento delle infrazioni riguarda due soli ministeri. Qualche ragione ci sarà, e credo che siate più autorevoli e indicati voi per indagarle e per trovare i correttivi utili. Nel 90 per cento dei casi si tratta di correttivi che non richiedono leggi e che possono essere perseguiti attraverso attenzioni di carattere amministrativo, quando non più semplicemente
attraverso riunioni con i dirigenti preposti a risolvere quei problemi.
Da ultimo, vorrei ringraziarvi molto per l'audizione. La sequenza delle tre Presidenze che ci attendono, da quella polacca fino a quella cipriota, sarà molto importante dal punto di vista della comunicazione del progetto europeo. Evidentemente, in un Paese che ha votato al 40 per cento alle ultime elezioni europee, se in questi diciotto mesi non si troverà un'ipotesi credibile sulla governance economica, se non si troverà una risposta credibile al fatto che l'immigrazione debba o meno essere considerata materia di piena condivisione europea, quindi con soluzioni che provengano in sede politica dall'Unione europea, se continueremo a parlarci addosso sulla politica estera, determinando l'incredibile situazione per cui noi firmiamo quest'anno il primo accordo tra l'Unione europea e l'Iraq del dopo Saddam Hussein, insediandovi una rappresentanza di due persone, quando a Bahamas vene sono sette, questo cumulo di contraddizioni finirà con
l'allontanare ben di più nella percezione della gente l'accessibilità dell'Unione europea.
Al fondo rimane un problema democratico. Se a decisioni così importanti, che tanto incidono anche sulla vostra attività, non corrisponderà una capacità di partecipazione al processo decisionale, è certamente vero che l'Europa porrà problemi dal punto di vista della democrazia.
Io sono altamente convinto che l'unica soluzione sia ricercabile sul piano europeo, ma proprio per questo vale la pena che sia la più condivisa possibile.
FRANCESCO ENRICO SPERONI, Parlamentare europeo. Condivido quanto detto dall'onorevole Mauro.
Vorrei dire innanzitutto che questa maggior partecipazione dei colleghi all'attività parlamentare nasce indubbiamente dall'eliminazione del doppio incarico, di cui in tempi passati ho usufruito anch'io. La norma però non è italiana: si tratta dell'adeguamento all'Atto europeo del 1976. I tempi li conosco perché all'epoca ero capo di gabinetto del Ministro per le riforme Umberto Bossi, e la legge elettorale europea non è competenza del Ministero dell'interno, ma di quello delle Riforme. Abbiamo semplicemente dovuto adeguarci a questo mutamento dalla normativa europea. Me lo ricordo perché materialmente il testo l'ho scritto io. Ovviamente le percentuali di presenza sono schizzate verso l'alto.
Per quanto riguarda la cooperazione rafforzata, forse bisognerebbe prestare più attenzione quando si firmano i trattati o le modifiche ai trattati. Non ci si può lamentare se qualcuno usa la cooperazione rafforzata, quando in sede di contrattazione - perché il Trattato di Lisbona è stato contrattato - la si è accettata senza chiedere limiti o cautele. Lo stesso vale per la questione della politica estera.
Politica estera è un espressione vuota per l'Unione europea, come si evince dalla vicenda libica. Alla missione in Libia partecipa qualche Paese dell'Unione, uno tra i più importanti, la Germania, si è chiamato tranquillamente fuori, e vi partecipano Paesi, come la Norvegia, che non sono inseriti nell'Unione. Di europeo non ha niente, pur essendo un tema sensibile della politica estera. Al di là degli ambasciatori o del personale in Iraq o alle Bahamas, c'è il fatto che la politica estera non esiste perché volutamente nei trattati non si prevede che esista. Esiste un Servizio esterno europeo, ma non una vera politica, perché ognuno è libero di fare ciò che vuole.
Ricordo la spaccatura che si produsse sull'Iraq. L'intervento in Iraq ha visto dodici Paesi su venticinque partecipare e dodici no. La Spagna vi ha preso parte all'inizio e poi si è ritirata. Una spaccatura più chiara, anche a livello numerico, non ci poteva essere. E questo perché il trattato non prevede un voto a maggioranza per decidere o meno di bombardare Tripoli, partecipare o non partecipare a una missione, adottare o meno una certa politica. Questo risiede nei trattati, che ovviamente possono essere modificati.
Si discute, ad esempio, di rivedere il Trattato di Schengen, il quale presenta dei limiti che derivano da trattati davvero
datati. La questione Lampedusa nasce in gran parte dalla Convenzione di Dublino del 1951, che per evitare lo shopping della richiesta di asilo obbliga a presentare domanda nel primo Paese in cui materialmente si arriva. Il caso vuole che il posto più vicino al porto tunisino di Sfax sia Lampedusa, tant'è vero che qualcuno tenta di raggiungere Ragusa ma non ci riesce. È difficile raggiungere Malta, figurarsi la Spagna o altri Paesi rivieraschi mediterranei.
Il Trattato e la Convenzione del 1951, quindi, andrebbero rivisti. All'epoca, la maggior parte dei profughi proveniva dalla «cortina di ferro», che comunque rappresentava un confine tra più Stati. Oggi, invece, arrivano tutti addirittura a Lampedusa, nemmeno in Italia, perché questo trattato segue logiche diverse. Anche la Convenzione di Montego Bay sul soccorso in mare è abbastanza datata, e comunque è al di fuori dalla logica europea.
Benché adesso col Trattato di Lisbona anche noi siamo competenti a ratificare accordi a livello europeo, i trattati restano materia dei governi. Un Parlamento nazionale è forse ancora più influente di quello europeo, ma comunque deve avere voce in capitolo per indirizzare i governi a scrivere certe clausole e non avere poi di che pentirsi una volta che il provvedimento viene siglato, ratificato ed entra in vigore con tutte le difficoltà del caso.
Mi unisco ovviamente al ringraziamento e spero che potranno esserci altre audizioni. Un piccolo particolare: le giornate di lavoro al Parlamento europeo sono più o meno le stesse del Parlamento italiano, anche se la nostra settimana è leggermente più lunga perché va dal lunedì al giovedì, sia per la plenaria che per le Commissioni. Seppur soltanto in due, siamo riusciti a venire perché abbiamo cominciato le ferie. Non so se ci siano difficoltà, ma il venerdì sarebbe il giorno ideale. Sono stato anch'io al Parlamento italiano, tuttavia questo ci faciliterebbe a intervenire senza saltare riunioni a Bruxelles o a Strasburgo.
PRESIDENTE. Grazie. Solo due annotazioni prima di lasciarci.
Per quanto riguarda l'ultimo argomento, siamo attrezzati anche per le videoconferenze, quindi potremmo utilizzare questo strumento.
Un'ulteriore informazione che vi do è che da poco tempo trasmettiamo agli europarlamentari tutti gli atti approvati in fase ascendente.
FRANCESCO ENRICO SPERONI. Ci arrivano.
PRESIDENTE. Bene, è importante.
Grazie ancora per la vostra disponibilità e per le informazioni che ci avete dato.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15,25.