Sulla pubblicità dei lavori:
Bruno Donato, Presidente ... 3
Audizione del Ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, sulle linee programmatiche (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati):
Bruno Donato, Presidente ... 3 7 13 18
Amici Sesa (PD) ... 15
Bianco Enzo (PD) ... 11 12 13
Calderisi Giuseppe(PDL) ... 9
Pardi Francesco (IdV) ... 16 18
Tassone Mario (UDC) ... 13
Vito Elio, Ministro per i rapporti con il Parlamento ... 3
Zaccaria Roberto (PD) ... 7 12
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.
Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 14,10.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sul sito Internet della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, sulle linee programmatiche.
Desidero in primo luogo ringraziare per la loro presenza il presidente, senatore Vizzini, e i componenti della Commissione affari costituzionali del Senato; abbiamo infatti ritenuto, previe le opportune intese, di ascoltare il Ministro per i rapporti con il Parlamento in seduta congiunta.
Avverto che il Ministro ha preparato un documento che sarà messo in distribuzione
Do la parola al Ministro Vito.
ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor presidente, leggerò ampi stralci della relazione che, come lei stesso diceva, ho messo a disposizione dei colleghi delle Commissioni.
Dopo una breve introduzione, vi sarà un'illustrazione delle principali criticità del rapporto fra il Governo e il Parlamento. Parlerò, inoltre, dei tentativi di soluzione che il Governo ha intrapreso in questi primi quattro mesi di legislatura e delle prospettive di soluzione più strutturali e ad ampio termine, che si basano sul presupposto che - contravvenendo a quanto comunemente si crede - a un rafforzamento eventuale dei poteri del Governo in Parlamento non corrisponde una diminuzione di potere del Parlamento stesso, ma un aumento dei poteri di controllo e di indirizzo del Parlamento nei confronti del Governo.
Desidero, in premessa, rivolgere un ringraziamento non rituale ai Presidenti delle Camere, alle Commissioni permanenti e ai rispettivi presidenti per l'occasione che mi viene offerta.
Ritengo, infatti, prova di rilevante sensibilità istituzionale la decisione delle Commissioni di procedere a un'audizione congiunta, che non rientra nelle abitudini parlamentari consolidate, sulle linee programmatiche del Ministro per i rapporti col Parlamento.
Tale scelta appare tanto più opportuna nel momento attuale, che si caratterizza per una significativa evoluzione politica e istituzionale nel nostro sistema, e che incide anche sui rapporti tra il Governo e il Parlamento.
Con ogni probabilità, a conclusione di un laborioso processo avviato a partire dalla metà degli anni Novanta, abbiamo definitivamente superato un modello che, partendo da una distorta interpretazione della categoria della centralità parlamentare,
aveva finito per tradursi in pratica assemblearistica, distorcendo il ruolo del potere legislativo e, nel contempo, indebolendo l'Esecutivo che ha il doveroso compito di assicurare continuità ed efficacia alla sua azione.
Occorre, peraltro, riconoscere che l'evoluzione in senso maggioritario e bipolare del nostro sistema non sempre ha prodotto i risultati attesi, in termini di rendimento istituzionale.
In questi ultimi quindici anni, troppo spesso la dialettica tra maggioranza e opposizione si è ridotta a una sterile e pregiudiziale contrapposizione che ha finito per intaccare la capacità di decisione e la funzione di garanzia delle istituzioni.
Svolta questa doverosa premessa, vorrei ora entrare nel merito delle questioni. Voglio innanzitutto analizzare brevemente le principali criticità del rapporto tra Governo e Parlamento che, nella fase attuale, determinano alcune alterazioni nella fisiologica dinamica istituzionale. Ciò determina una produzione legislativa non sempre coerente ed efficace, e un indebolimento dell'insostituibile funzione di controllo e di garanzia del Parlamento stesso. Mi soffermerò, quindi, sulle concrete iniziative già assunte dal Governo nei primi quattro mesi della legislatura su questo punto, per affrontare gli effetti di tali criticità.
Il primo aspetto problematico riguarda, naturalmente, il fenomeno della decretazione d'urgenza; un istituto che nel disegno costituzionale avrebbe dovuto assumere carattere di eccezionalità, secondo quanto dispone testualmente l'articolo 77 della Carta fondamentale, e che, invece, troppo spesso è stato utilizzato come strumento ordinario nell'implementazione delle strategie legislative del Governo.
Nella maggior parte dei casi, poi, il ruolo del Parlamento, nell'esame dei provvedimenti d'urgenza, è risultato ulteriormente compresso dalla presentazione di maxiemendamenti da parte del Governo e dalla conseguente apposizione della questione di fiducia.
In un equilibrato sistema istituzionale appare del tutto fisiologico che l'Esecutivo disponga di strumenti procedurali idonei a garantire la certezza nei tempi di conclusione del procedimento parlamentare.
Occorre, però, ammettere che la concreta configurazione che ha assunto la questione di fiducia nella nostra esperienza, e soprattutto il combinato maxiemendamento-fiducia, produce una distorsione dei meccanismi istituzionali.
Un'ulteriore tendenza emersa nelle ultime legislature riguarda l'ampiezza ed eterogeneità delle manovre di bilancio, spesso costituite da finanziarie omnibus, alle quali andavano ad aggiungersi decreti-legge e vari disegni di legge collegati.
Si tratta probabilmente della patologia più eclatante del nostro sistema, sulla quale, nel recente passato, in diverse occasioni, ha concentrato la propria attenzione il Presidente della Repubblica.
Se quelle ora ricordate sono le principali criticità e disfunzioni della recente prassi dell'attività parlamentare, nei primi mesi di attività, il Governo ha cercato di dare ad esse una prima soluzione che, nell'ambito del vigente quadro normativo e regolamentare, ne attenua quantomeno gli effetti negativi.
Nell'inviare, per questa ed altre tematiche, alla scheda analitica che lascio agli atti, mi limiterò in questa sede a fornire alcune indicazioni sulle strategie generali del Governo in materia.
Per quanto riguarda il ricorso alla decretazione d'urgenza, ricordo che l'emanazione di decreti-legge a inizio legislatura costituisce una tendenza fisiologica nelle fasi di passaggio fra maggioranze politiche diverse: l'istruttoria parlamentare sui disegni di legge ordinari è ancora in una fase incompiuta; vi è, quindi, la necessità di adottare tempestivamente interventi per avviare l'azione del Governo. Inoltre, il nuovo Governo è entrato in carica dopo un lungo periodo di transizione, conseguente alla lunga crisi della precedente maggioranza, sfociata nella mancata fiducia del gennaio 2008.
Ciò, del resto, è dimostrato dalla circostanza che il Governo ha fatto ricorso a tali provvedimenti d'urgenza solo in casi di reale emergenza: Alitalia, rifiuti in Campania,
sicurezza, termini di legge in scadenza, interventi fiscali e di finanza pubblica.
In merito, invece, alla problematica dell'utilizzo dei maxiemendamenti governativi, approvati con l'apposizione della questione di fiducia, e al conseguente affievolimento del ruolo delle Camere, mi preme sottolineare che l'Esecutivo in questi mesi ha sempre perseguito la finalità di operare nel pieno rispetto delle prerogative del Parlamento.
In particolare: ha posto la questione di fiducia in un numero limitato di casi (su 19 decreti-legge, solo cinque volte, mentre nel corrispondente periodo della precedente legislatura, su 11 decreti è stata posta sette volte); ha riprodotto nei testi degli emendamenti governativi le modifiche approvate dalle Commissioni di merito; non ha mai introdotto nei decreti, attraverso i maxiemendamenti, alcuna norma aggiuntiva rispetto ai testi approvati dalle Commissioni parlamentari e le modifiche introdotte nei maxiemendamenti sono state tutte oggetto di attento esame in Commissione. Questo è talmente vero che in alcuni casi si è potuto parlare di maxiemendamenti solo dal punto di vista tecnico, poiché essi raggruppavano le norme già votate dalla Commissione, non introducevano nuovi argomenti.
Importanti novità sono state introdotte anche con riferimento alla configurazione della decisione annuale di finanza pubblica. L'adozione del decreto-legge n. 112 dello scorso giugno ha, infatti, rappresentato un fattore di innovazione del nostro sistema istituzionale, che il Governo reputa estremamente positivo.
Per evitare il ripetersi nella nostra sessione di bilancio autunnale, infatti, dei fenomeni di assalto alla diligenza che da diversi anni caratterizzano l'esame dei disegni di legge finanziaria, l'articolo 1 del decreto prevede che la legge finanziaria per il 2009 dovrà contenere esclusivamente disposizioni strettamente attinenti al suo contenuto tipico, con esclusione di nuove spese. Posso confermare che, in attuazione di tale previsione, proprio ieri il Consiglio dei ministri ha approvato il testo della nuova legge finanziaria che reca complessivamente soltanto tre articoli.
Il tentativo di decongestionare la decisione parlamentare nella fase di bilancio ha anche ispirato la scelta del Governo di valorizzare lo strumento dei disegni di legge collegati alla manovra finanziaria che negli ultimi anni non era stato pienamente utilizzato.
L'obiettivo è quello di consentire che le disposizioni, tradizionalmente incluse nella manovra finanziaria, non immediatamente produttive di effetti sui conti pubblici, possano essere esaminate in modo più organico e meditato dal Parlamento, mediante il coinvolgimento delle Commissioni di settore, viceversa marginalizzate nel procedimento di esame del disegno di legge finanziaria.
Lasciatemi, infine, chiudere questa parte di riflessione sui primi mesi di attività parlamentare del nuovo Governo, evidenziando l'impegno profuso da tutti i componenti dell'Esecutivo per garantire la partecipazione dei rappresentanti del Governo ai lavori parlamentari.
Infatti, il Governo pur composto da soli 21 ministri e 40 sottosegretari con una riduzione di ben 40 componenti rispetto al passato - per effetto della riforma introdotta con la legge finanziaria 2008 - ha sempre assicurato la presenza in Parlamento dei suoi rappresentanti per lo svolgimento delle attività sia legislative che di indirizzo e controllo, sia nelle Aule che nelle 28 Commissioni permanenti.
Ho descritto sino ad ora le maggiori problematiche ricorrenti nella recente prassi dei rapporti fra Governo e Parlamento, e le prime risposte date dall'Esecutivo in questi mesi di avvio di legislatura.
Occorre, naturalmente, avere chiaro che la stabile soluzione delle criticità non può essere affidata solo alla spontanea attivazione di prassi virtuose, ma richiede un intervento organico di riforma diretto ad adeguare il nostro procedimento legislativo al deciso mutamento del nostro sistema politico-istituzionale. Penso che oggi ci siano le condizioni per farlo, grazie alla legittimazione reciproca degli attuali
schieramenti politici meritoriamente voluta dalle leadership delle forze politiche prevalenti nel Paese e nel Parlamento.
Sul piano delle scelte di merito, credo che sia fondamentale soffermarsi su un punto. Ripercorrendo le criticità sulle quali mi sono soffermato maggiormente, si può notare come tutte siano caratterizzate da un fattore comune; l'eccessivo ricorso alla decretazione d'urgenza, i maxiemendamenti, le questioni di fiducia, le leggi finanziarie omnibus sono, a ben vedere, tutti tentativi patologici di compensare una debolezza strutturale del nostro procedimento legislativo ordinario: la mancanza di certezza sui tempi di conclusione dell'esame parlamentare dei provvedimenti.
In effetti, il fattore tempo è diventato un elemento decisivo nella concreta configurazione di una procedura decisionale; si tratta di un elemento strutturale di ogni sistema democratico, il quale però acquista particolare importanza ancora oggi, quando i processi di globalizzazione economica e la concorrenza fra gli ordinamenti nazionali rendono indispensabile che la risposta delle istituzioni sia, non solo efficace nel merito, ma anche tempestiva nei tempi. In questa prospettiva, sarebbe auspicabile introdurre nel nostro sistema, meccanismi idonei a garantire maggiore certezza nella programmazione dei lavori parlamentari e nei tempi di conclusione dei procedimenti di esame dei disegni di legge considerati prioritari per l'attuazione del programma di Governo, introducendo al contempo meccanismi in grado di esaltare il ruolo di controllo e di indirizzo del Parlamento, oggi troppo spesso mortificato da un andamento dei lavori farraginoso e scarsamente
concludente.
Dobbiamo, infine, soffermarci anche su altre caratteristiche radicate nel nostro sistema che oggi non appaiono più giustificate. Penso ad alcune asimmetrie regolamentari tra Camera e Senato come, ad esempio, quelle relative al procedimento di esame dei disegni di conversione dei decreti-legge, con il diverso esame in materia di emendabilità dei decreti e di contingentamento dei tempi di esame. Il doveroso riconoscimento dell'autonomia regolamentare di ciascuna Camera non può giungere a legittimare soluzioni che non sembrano rispondere ad una logica di efficienza istituzionale ed anzi spesso sono foriere di disfunzioni.
Su un altro versante è certamente opportuno svolgere una riflessione sul ruolo delle assemblee elettive nel nuovo contesto internazionale. In questa prospettiva sarebbe auspicabile valorizzarne il ruolo, definendo procedimenti più snelli ed efficaci per le leggi di ratifica dei trattati internazionali e, ancor di più, valorizzando il ruolo delle Camere nell'ambito del processo decisionale comunitario, in particolare nella cosiddetta fase ascendente.
Al fine di avviare questo percorso virtuoso, occorre preliminarmente liberarsi dall'equivoco che da troppo tempo condiziona il confronto in materie come questa. Non è affatto vero che l'assetto regolamentare dei rapporti fra Governo e Parlamento sia un gioco a somma zero, ovvero che ad ogni rafforzamento del Governo corrisponda inevitabilmente un indebolimento del Parlamento. È vero, anzi, il contrario. Del resto, l'attuale assetto si caratterizza per la debolezza strutturale sia del Governo che del Parlamento e dell'opposizione in particolare.
L'obiettivo deve essere quello di definire un quadro equilibrato, dove alle prerogative del Governo per l'attuazione della sua insostituibile funzione di guida nel procedimento legislativo corrisponda un rafforzamento delle prerogative parlamentari - e ripeto dell'opposizione in particolare - nell'azione di verifica e di controllo sull'uso dei poteri del Governo.
La posta in gioco è ambiziosa, è il buon funzionamento della nostra democrazia e dei suoi strumenti. L'azione di Governo ne guadagnerebbe in efficacia e tempestività; il lavoro parlamentare ne guadagnerebbe in autorevolezza e, come auspicato dai cittadini elettori, sarebbe assicurata la necessaria stabilità delle istituzioni.
Presidente, come ricordavo all'inizio, alla relazione sono allegate delle schede tecniche.
PRESIDENTE. Avverto - sebbene questo non sia certo un limite - che il presidente Vizzini ha rappresentato l'esigenza di interrompere i nostri lavori alle 15,30, poiché i colleghi del Senato dovranno allontanarsi per concomitanti impegni istituzionali.
Abbiamo un'ora, mi auguro che in questo tempo riusciremo a concludere proficuamente l'audizione. Laddove non sarà possibile, chiederemo eventualmente al Ministro, come già ha fatto, la disponibilità a rinviarne il seguito ad altra data..
Do ora la parola ai senatori e deputati che intendono porre quesiti o formulare osservazioni.
ROBERTO ZACCARIA. Ringrazio ovviamente il Ministro, anche perché in questi primi mesi certamente ha profuso impegno per cercare in qualche modo di affrontare alcune questioni che erano molto evidenti, con riferimento allo scostamento da alcune delle regole che dovrebbero governare i lavori parlamentari.
Le prospettive mi interessano molto, ma naturalmente mi interessa anche fotografare quello che sta succedendo o è successo fino a questo momento, che naturalmente ha un certo significato.
I temi sono il decreto-legge, la questione di fiducia, la legge finanziaria, ovvero i temi classici del rapporto Governo-Parlamento.
All'inizio si è ricordato che a metà degli anni Novanta è stato superato il modello che, partendo da una distorta interpretazione della categoria della centralità parlamentare, aveva finito per tradursi in pratica assemblearistica. Il Ministro afferma giustamente che questa idea è stata superata; tuttavia, l'idea che viene fuori da tutti i regolamenti parlamentari che si sono in qualche modo succeduti è quella di un Governo forte in un Parlamento forte. Con riferimento alla prassi che stiamo verificando in questo periodo, nutro forti dubbi che ci sia un Governo forte in un Parlamento forte. Forse il Governo forte c'è, ma il Parlamento, secondo me, non ha uguale forza in base ai comportamenti che si tengono.
Naturalmente, la tastiera dei provvedimenti normativi è completa, conosco anche le statistiche che dicono che un terzo dei provvedimenti realizzati sono conversioni di decreti-legge, un terzo sono provvedimenti parlamentari e un terzo sono ratifiche. Vorrei mettere da parte le ratifiche per un certo momento e cominciare a considerare quella che è stata la prassi dei decreti-legge in questo primo periodo.
Il Ministro, anticipando la critica che può esser fatta, ha detto che all'inizio della legislatura si fanno più decreti-legge del solito. Tuttavia, nella tipologia ho contato - e sono abbastanza sicuro di avere dati precisi - sostanzialmente dodici decreti-legge e due leggi fatte prima del periodo estivo. Inizialmente il numero era maggiore, ma poi alcuni decreti sono stati abbandonati.
Praticamente, dunque, abbiamo redatto quattordici provvedimenti legislativi di cui due leggi, ma queste ultime sono leggi atipiche: infatti, una è il lodo Alfano, sul quale abbiamo avanzato molte critiche in relazione ai tempi - poiché è stato approvato in tempi rapidissimi - e l'altra è quella relativa alla Commissione antimafia, che da questo punto di vista ha minore significato. Quindi non ci sono provvedimenti significativi che vengono dal Parlamento.
I decreti-legge, però, non vanno soltanto valutati dal punto di vista statistico. Abbiamo assistito ad alcune novità significative. La prima che ritengo assolutamente negativa è rappresentata da quelli che possiamo chiamare «decreti-legge Minotauro», ovvero quelli che sono un innesto tra due decreti-legge. Ho già denunciato al Ministro in Aula e al Presidente della Camera quello che è stato fatto - è avvenuto in almeno tre casi: nel caso Alitalia, nel caso rifiuti e anche nella vicenda del «milleproroghe», sostanzialmente - vale a dire questo meccanismo di innestare un decreto nell'altro. Lo trovo perverso, perché non solo fa diventare
emendamento quello che il Capo dello Stato ha firmato come decreto-legge, ma sostanzialmente, anche se si può giustificare con alcuni precedenti, secondo me è una deformazione spaventosa della logica del rapporto Governo-Parlamento. Quindi credo che questi dovrebbero essere abbandonati; non ho sentito dire nulla in proposito e questo certamente mi preoccupa.
Allo stesso modo, mi preoccupano naturalmente altri aspetti; non soltanto il fatto delle mille proroghe. Questa è una patologia vistosa dei lavori parlamentari. Possiamo dire che tutti hanno fatto questo tipo di provvedimenti, ma certamente essi impediscono al Parlamento di giocare qualsiasi ruolo, perché sono delle enciclopedie dove c'è tutto. Su questo, però, non voglio soffermarmi.
Voglio soffermarmi invece sulla tecnica che riguarda la finanziaria. Abbiamo sempre fatto finanziarie con molti provvedimenti complessi, con maxiemendamenti e con la fiducia; la novità di quest'anno è che diventa finanziaria un provvedimento, un decreto-legge - il n. 112 - che sostanzialmente parte già come decreto-legge. In altre parole, la finanziaria parte come legge e poi, con maxiemendamenti e fiducia, viene in qualche modo irrigidita, ma parte come un provvedimento parlamentare. Mentre partire col decreto-legge significa inserire un elemento di distorsione molto pericoloso, perché naturalmente è chiaro che la somma diventa esplosiva - decreto-legge in partenza, maxiemendamento, fiducia - soprattutto per l'atto che dovrebbe avere maggiore significato dal punto di vista generale.
Il decreto-legge n. 112 conta uno, ma dal punto di vista istituzionale è l'impianto della manovra finanziaria realizzata prima della sessione di bilancio e che quindi sostanzialmente non consente al Parlamento di intervenire se non in misura fittizia. Altro che Governo forte in Parlamento forte; piuttosto, Governo forte in Parlamento che sostanzialmente non esiste!
Continuiamo questo discorso. Faccio soltanto l'esempio del meccanismo dei collegati; i colleghi del Senato lo conoscono solo per aver letto documentazione in proposito, perché attualmente l'abbiamo noi. In questo momento stiamo esaminando un collegato alla finanziaria, che è un provvedimento che ha lo stesso titolo del decreto n.112, ossia sviluppo economico, competitività eccetera. Tuttavia, per effetto di questo battesimo di collegato alla finanziaria, sostanzialmente esso acquisisce una caratteristica particolare, ossia diventa un provvedimento legislativo, un disegno di legge, ma col turbo, perché in base all'articolo 123-bis del nostro regolamento il Governo su questo provvedimento ha diritto di chiedere la deliberazione a data certa.
Tutto sommato non è una circostanza scandalosa - nel testo di riforma costituzionale Violante si era immaginato uno schema di questo tipo - ma il meccanismo può diventare perverso. Lo sa bene chi avesse assistito - il presidente Bruno ha naturalmente presieduto - ai lavori, in questo luogo, delle Commissioni riunite I e V (affari costituzioni e bilancio) su un provvedimento che quando arriverà al Senato sarà già in parte «bonificato», perché noi in qualche modo abbiamo fatto un lavoro di potatura, ci sono stati degli stralci.
Ma vorrei segnalare l'aspetto più vistoso: in occasione della riforma del processo civile, il sottosegretario ha detto enfaticamente a un parlamentare del centro destra che presentava un emendamento, che non aveva capito nulla, perchè quella che stava prendendo corpo era una riforma radicale del processo civile. Ebbene, questa riforma viene esaminata nelle Commissioni bilancio e Affari costituzionali.
Dico questo, perché il collegato in sessione di bilancio può essere un provvedimento omnibus. Può esserlo, perché i precedenti sono in questo senso. Il collegato in sessione di bilancio è stato redatto per alleggerire la finanziaria dei provvedimenti di carattere ordinamentale. Tuttavia, nel momento stesso in cui elaborate i collegati, che contengono dieci materie diverse, fuori dalla sessione di bilancio, voi sostanzialmente chiedete non la corsia
preferenziale, ma la deliberazione a data certa; il Governo la può chiedere, ma il Parlamento si deve adeguare, quindi, succede il finimondo.
Il primo atto legislativo che il Parlamento sta elaborando, dopo quel diluvio di decreti, è un provvedimento che ha queste caratteristiche. È peggio di un decreto-legge, perché per questo sono previsti sessanta giorni; noi qui ci siamo trovati in una decina di giorni - lasciamo stare il fatto che il progetto è stato incardinato a luglio, perché abbiamo iniziato a parlarne realmente alla metà di settembre - un provvedimento che non è, secondo me, nello spirito delle leggi e nello spirito della nostra Costituzione.
Non so se il mio smarrimento equivale al vostro, ma i colleghi hanno la sensazione di un rito che non li riguarda. I presidenti delle Commissioni fanno l'impossibile per cercare di dare una dignità al lavoro parlamentare, ma questo non può avvenire in queste circostanze.
Ormai la finanziaria è un provvedimento che riguarda tutto l'anno, perché con l'innovazione fatta dal decreto-legge n. 112, la finanziaria nella sessione canonica è un elemento ormai svuotato di contenuto. L'elemento fondamentale, dunque, rimane il 112, che è fuori sessione, e i collegati, che sono fuori di sessione. Questi, però, devono essere tematici, perché se lo sono, ogni Commissione discute quello che la riguarda; lo farà più rapidamente, ma è una procedura possibile.
Il fatto, invece, che tutto venga svolto nelle Commissioni I e V, come è successo da noi, e con questo meccanismo impossibile da controllare, non deve accadere. Io suggerisco di interpellare qualche cittadino fuori di qui, perché in fondo il Parlamento delibera su materie omogenee, affinché i cittadini possano con la pubblicità sapere di cosa si delibera. I cittadini non sanno; io ho visto un collega universitario fuori e gli ho detto che stiamo modificando il codice di procedura civile e il processo civile ed egli non lo sapeva; ma non lo sa nessuno. Questo è un elemento grave.
Chiudo dicendo che noi qui così rendiamo più efficiente il sistema, più decisionale, in virtù di queste clausole regolamentari, ma l'elemento democratico è certamente carente. Io dico che il Parlamento non ha gli stessi poteri del Governo, nonostante gli sforzi che fanno i presidenti delle Commissioni per cercare di bilanciare. In altre parole, noi approviamo provvedimenti che, sostanzialmente, non sono assolutamente meditati da queste aule e da queste Commissioni.
Non basta fare l'elenco dei decreti-legge o delle leggi e dire quanti sono; occorre verificare anche qual è la loro tipologia, la loro qualità e il modo in cui questi portano a coinvolgere i parlamentari nel processo legislativo.
GIUSEPPE CALDERISI. Io devo rivolgere un ringraziamento non rituale al Ministro Vito per l'intervento e la relazione che ha consegnato alle Commissioni riunite affari costituzionali di Camera e Senato. Credo che si tratti di un documento di grande valore istituzionale che affronta, forse per la prima volta in una visione organica, le problematiche del rapporto fra Governo e Parlamento, e affronta in chiave strutturale e non contingente questi problemi.
Il Ministro ha parlato di criticità dei rapporti tra Governo e Parlamento, di alterazioni nella fisiologica dinamica istituzionale, di distorsione dei meccanismi istituzionali; non è stato reticente su quelli che sono i problemi che abbiamo di fronte. Del resto, da Ministro che è stato parlamentare di grande esperienza, che come capogruppo nell'opposizione ha svolto il ruolo di incalzare e criticare il Governo per la sua attività, credo che questo renda onore anche alla sua storia di parlamentare: il fatto di avere riproposto come Ministro per i rapporti con il Parlamento questi problemi, inquadrandoli, a mio avviso, nella giusta ottica, che è quella di individuare le soluzioni strutturali che possono risolvere questi problemi.
Si tratta di soluzioni che vanno ricercate nell'ambito delle riforme istituzionali, che spetta a questo Parlamento mettere in cantiere, riforme che indubbiamente ri
guardano la materia costituzionale per molti aspetti, ma che riguardano anche l'aspetto delle riforme del regolamento della Camera e del Senato.
Certo, non è competenza specifica del Governo, di cui nelle nostre Giunte del regolamento non è prevista neppure la presenza - non so se questo sia giusto ma attualmente è così - nemmeno per fornire un parere in questo campo, per quanto riguarda le riforme del regolamento. Tuttavia, credo che questa relazione che ha presentato il Ministro per i rapporti con il Parlamento possa essere molto utile alle due Camere, anche per affrontare nella sede regolamentare, forse in quella sede ancor più propriamente di quella costituzionale, le questioni che credo potrebbero trovare delle soluzioni.
Pertanto, sono molto grato al Ministro per le riflessioni che ha condotto. Indubbiamente, siamo di fronte ad una anomalia, perché abbiamo elaborato molte riforme regolamentari negli anni passati; tuttavia, abbiamo realizzato riforme tese a intervenire, rispetto ai vecchi regolamenti del 1971, sul piano funzionale, ma non su quello strutturale di adeguamento al nuovo assetto strutturale di un Parlamento tendenzialmente bipolare e dell'alternanza. Non abbiamo assecondato fino in fondo questo tipo di modifica che si è verificata nel sistema politico elettorale, con gli adeguamenti sia a livello costituzionale, sia a livello dei regolamenti. Dobbiamo, dunque, accingerci in questo senso e in questo senso credo debbano essere trovate le soluzioni.
Condivido pienamente la valutazione secondo cui queste riforme non devono essere a somma zero. Da una parte è necessario riconoscere al Governo gli strumenti propri, previsti in tutti gli altri Parlamenti di democrazie avanzate, adeguati a realizzare il programma grazie al quale l'Esecutivo è stato legittimato dagli elettori attraverso il voto: d'altra parte, occorre rafforzare il ruolo del Parlamento, in particolare delle opposizioni, con strumenti di intervento per quanto riguarda i poteri di controllo e di indirizzo. È necessario adire contestualmente entrambe le direzioni.
Non mi soffermo su tutti gli aspetti perché sarebbe molto lungo, ma mi preme sottolineare un aspetto: il Ministro, in particolare, ha segnalato con assoluta precisione alcune distorsioni particolari nel rapporto Governo-Parlamento, individuandole nell'abuso della decretazione di urgenza, uso dei maxiemendamenti e connessa questione di fiducia. Si tratta di una catena che provoca queste distorsioni.
Sono capogruppo nella Commissione affari costituzionali della Camera membro di un gruppo che ha presentato sia alla Camera sia al Senato - mi risulta - una analoga riforma del regolamento che si muove proprio in questa direzione e che, nell'ambito di questo tipo di modifiche, intende dare al Governo un ruolo che credo debba avere nel Parlamento, ovvero quello di guida del procedimento legislativo, con strumenti adeguati a realizzare il proprio programma, che siano alternativi a questi che si prestano alle distorsioni e agli abusi citati.
Non si tratta, dunque, di normare granché, ma si tratta di attuare le corsie preferenziali di spadoliniana memoria, che in qualche misura non sono mai state realizzate; si tratta di dotare il Governo di quegli strumenti di cui gode in altri Parlamenti, che consentano di concentrare la discussione, articolo per articolo, sulle questioni vere, togliendo gli elementi che provocano lungaggini e dispersioni dell'uso del tempo, per concentrarsi effettivamente sulle questioni di merito che riguardano la discussione dei provvedimenti.
Lo ripeto, il Governo non è strettamente competente per quanto riguarda la materia regolamentare, ma in un quadro di riforma di questa natura, che andasse da una parte a fornire all'Esecutivo questi strumenti, dall'altra a rafforzare il ruolo delle opposizioni, chiedo di conoscere l'orientamento del Governo - credo che sia utile saperlo - in merito in particolare alla previsione di norme che vietino in modo espresso ed esplicito il ricorso ai maxiemendamenti. Credo che, in questo
contesto, si tratterebbe di una innovazione di particolare rilievo, significativa per chiarire la direzione di marcia verso una modernizzazione delle nostre istituzioni, verso riforme regolamentari e costituzionali delle nostre istituzioni capaci di dare modernità al nostro sistema istituzionale e di cambiare profondamente il rapporto fra Governo e Parlamento.
ENZO BIANCO. Abbiamo colto e apprezzato il garbo con cui il Ministro per i rapporti con il Parlamento si è relazionato a queste Commissioni su uno degli aspetti più delicati dell'agenda politica del Paese, quello dei rapporti tra Governo e Parlamento.
Abbiamo anche notato un certo sforzo che - mi consenta, Ministro Vito - è piuttosto inconsueto viste le sue precedenti esperienze che, essendo stato capo di un gruppo significativo ed importante tanto di maggioranza quanto di opposizione nel corso delle legislature, la facevano più uomo di parte. Ebbene, abbiamo apprezzato la presenza, anche nell'analisi che ha consegnato all'esame delle due Commissioni, di uno sforzo (parziale) di una ricostruzione non di parte anche dei guasti e dei problemi che vanno affrontati. Nonostante questo, non possiamo non dirle che la situazione che lei rappresenta ci sembra molto diversa da quella che, secondo noi, è la realtà in cui ci troviamo ad operare.
Credo si possa dire senza enfasi che abbiamo di fronte un'occasione straordinaria, in questa legislatura, nei due rami del Parlamento. Prima di tutto, rispetto alle precedenti legislature, è stato sensibilmente ridotto il numero dei gruppi parlamentari presenti alla Camera e al Senato. Non ricordo il numero esatto, ma mi sembra che nella scorsa legislatura i gruppi e i sottogruppi presenti nel Parlamento non fossero meno di undici-dodici. Ricordo che il Presidente del Senato, incaricato del tentativo di formare un Governo alla vigilia delle elezioni, ebbe modo di consultare ventisei gruppi parlamentari o comunque ventisei raggruppamenti in qualche modo rappresentati in Parlamento.
Questa riduzione è frutto non di una modifica legislativa - la legge, purtroppo, è la stessa - ma di scelte politiche, innanzitutto quella del Partito Democratico e anche quella immediatamente conseguente del PdL di presentarsi alle elezioni con un solo apparentamento ciascuno.
A seguito del risultato delle elezioni c'è una maggioranza che ha la possibilità di realizzare l'indirizzo di Governo sulla base di numeri parlamentari indiscutibili, quindi sulla base di un rapporto tra maggioranza e opposizione molto netto. Evidentemente, in questo sforzo di obiettività, signor Ministro, lei non può non ricordare che abbiamo operato, nella scorsa legislatura, in una condizione difficile - in particolare al Senato - che ha reso quasi miracoloso, al di là del giudizio positivo o negativo che si vuole dare, quello che il Governo, con una maggioranza così eterogenea ma senza i numeri parlamentari, è riuscito a realizzare, devo dire anche grazie a un impegno (in particolare al Senato, dove i numeri erano così delicati) da parte dei parlamentari che sostenevano il Governo.
La condizione attuale, invece, probabilmente può consentire oggi anche di mettere mano seriamente - e questo mi sembrava fosse l'auspicio all'inizio della legislatura, tanto che pomposamente si era parlato per l'ennesima volta di legislatura costituente - a quell'adeguamento delle regole che può consentire al sistema Paese di essere più competitivo nell'affrontare la difficile competizione che vi è in questo momento tra Paesi omogenei al territorio nazionale.
La preoccupazione prevalente che lei, signor Ministro, ha consegnato all'esame della Commissione riguarda le modifiche dei regolamenti e, comunque, delle regole tendenti certamente a rafforzare il ruolo dell'opposizione o delle opposizioni all'interno del Parlamento, ma anche a consegnare al Governo la possibilità di fissare con più certezza i tempi di formazione del procedimento legislativo.
Dobbiamo dire con franchezza che questa sua preoccupazione, come se questo fosse oggi il problema fondamentale che ci troviamo ad affrontare, non corrisponde alla nostra. Dalla lettura dei fatti di questi primi mesi, che le ha consegnato l'onorevole Zaccaria e che io condivido integralmente, mi sembra di poter dire che il Governo ha fatto ampio ricorso alla decretazione d'urgenza.
Non è una questione esclusivamente di numeri, ma di sostanza. Tutti i decreti-legge riguardano gli aspetti decisivi della vita politica e parlamentare del Paese. Non c'è un aspetto che non sia stato toccato da questi provvedimenti. In particolare, pur condividendo tutti i limiti sulla formazione della legge finanziaria, mi sento di poter dire che siamo passati da un eccesso, quello di una farraginosa e indifendibile formazione della legge finanziaria stessa, all'eccesso opposto per cui il Parlamento sostanzialmente viene espropriato del suo diritto-dovere di legiferare anche nella materia centrale per il Paese, che è quella in esame.
Non vorrei che anche all'interno del Governo venisse fuori un'altra dittatura, tra virgolette, quella del Ministro dell'economia rispetto a tutti gli altri ministri.
Capisco che il Ministro dell'economia ha un ruolo decisivo e importante, ma mi rendo conto che una certa dialettica viene garantita anche dall'esame parlamentare.
Cito un esempio, l'unico provvedimento che non sia decreto-legge: il lodo Alfano (un altro esempio è costituito dalla legge sulla Commissione antimafia, che ha conosciuto un percorso privilegiato grazie alla sensibilità che i due rami del Parlamento e le due Commissioni hanno mostrato su quella materia, ma è un caso a parte). L'esame parlamentare di questo provvedimento legislativo credo che sia uno dei più rapidi, se non forse il più rapido, della storia del Parlamento italiano).
ROBERTO ZACCARIA. No, ci sono le leggi sul finanziamento dei partiti.
ENZO BIANCO. Diciamo che siamo al livello di rapidità delle leggi sul finanziamento dei partiti. Comunque, siamo nell'ambito di un periodo, grosso modo, di una settimana. Non si può dire che il provvedimento legislativo verso il quale il Governo ha dimostrato una particolare sensibilità e attenzione, per non dire un certo interesse, non abbia avuto un canale di esame assolutamente preferenziale e ultrarapido.
Quelle che lei pone, signor Ministro, sono questioni alle quali guardiamo con la dovuta attenzione, ma non possiamo non dire che oggi abbiamo la percezione, al contrario, che una serie di circostanze rischiano di indebolire notevolmente il ruolo e le prerogative del Parlamento.
In particolare - non è solo un aspetto formale, ma anche sostanziale - come possiamo negare che una legge elettorale che espropria i cittadini del diritto di scegliere i parlamentari che saranno eletti e lo consegna esclusivamente all'ordine di lista, quindi alla volontà delle leadership dei partiti, abbia una conseguenza anche rispetto alla legittimazione stessa del Parlamento? Peraltro, il parlamentare sa che la sua rielezione, la sua permanenza in quell'incarico dipende non già dal lavoro che svolgerà nel Parlamento o dalla capacità di radicamento nel territorio, ma soprattutto dal gradimento, dalla simpatia o dalla fedeltà che ha nei confronti del leader del suo partito. A lungo andare, questo determina inevitabilmente una trasformazione, che incide sulla natura stessa del Parlamento.
Penso che corriamo il rischio di andare non già ad una dittatura della maggioranza, come qualche volta viene detto, ma sostanzialmente ad una espropriazione del Parlamento, a tutto vantaggio del Governo, che mi sembra la condizione attuale.
Le formulo, infine, una domanda che riguarda l'opinione del Ministro per i rapporti con il Parlamento e del Governo su materie in cui la capacità di iniziativa è prevalentemente parlamentare, ma che riguardano il complesso delle regole del gioco. Penso, ad esempio, alle modifiche del Titolo V. Il Ministro Vito ricorderà perfettamente che nella scorsa legislatura le Commissioni affari costituzionali di Camera
e Senato lavorarono insieme, tra l'altro in perfetta armonia, maggioranza e opposizione, arrivando a risultati ampiamente condivisi, non solo sull'attuazione del Titolo V, ma anche su alcune modifiche dello stesso. Mi riferisco, per esempio, all'esigenza di sottrarre alla prevalente competenza delle regioni le materie relative all'energia, alle grandi reti infrastrutturali, modifiche sulle quali vi è tendenzialmente un largo consenso del Parlamento e del Paese. Penso, naturalmente, alle modifiche della Costituzione che furono oggetto di esame alla Camera e approvate nella Commissione affari costituzionali, con un esame già iniziato anche in Aula di aspetti importanti che riguardano il tema del bicameralismo, il tema del ruolo e delle competenze del Governo e del numero dei parlamentari. Qual è l'orientamento del Governo rispetto a tutto questo e rispetto alla materia della legge elettorale?
So che è iniziato alla Camera l'esame della legge elettorale per le europee. Vorrei ricordare che incombe sul Parlamento il referendum. Ebbene, se le cose che furono dette nella precedente legislatura sono confermate, ossia che occorre modificare una legge che può e deve essere migliorata e che è stata criticata da molti, credo che si debba verificare seriamente la possibilità di trovare un'intesa anche sulla materia della legge elettorale per le elezioni politiche.
MARIO TASSONE. Non ho difficoltà ad esprimere un giudizio di grande attenzione alla relazione che ci ha rassegnato il Ministro per i rapporti con il Parlamento. La relazione pone questioni importanti, che non valgono soltanto per questa fase e in questa legislatura. Ci sono aspetti e dati che investono il nostro modo di essere, soprattutto il sistema democratico del nostro Paese. Sono stati qui ricordati i vari passaggi, ma forse qualche valutazione ulteriore il Ministro dovrebbe farla, almeno per quanto riguarda la sua osservazione iniziale sull'assemblearismo, su quella presunta centralità del Parlamento negli anni Novanta. È una diversa storia. Poi c'è stato un passaggio epocale, i referendum del 1991 e 1993, le elezioni del Parlamento senza il sistema delle preferenze, eliminato fino dal 1994. Non c'è dubbio che noi non votiamo con le preferenze...
ENZO BIANCO. C'era il collegio uninominale...
MARIO TASSONE. C'erano i collegi nominali che erano ovviamente indicati dalle coalizioni dei partiti. Ma gli elettori non esprimono preferenze fin dal 1994. Su questo non ci sono dissensi, ma valutazioni di carattere oggettivo (Commenti del senatore Bianco)...
PRESIDENTE. Onorevole Tassone, si rivolga al Ministro.
MARIO TASSONE. Nei collegi di oggi votiamo le persone, si sceglie fra gli schieramenti. Sempre lì siamo. Forse il mio ragionamento deve essere approfondito, forse non mi sono spiegato. Evidentemente le storie le abbiamo scritte variamente, con qualche interpretazione e qualche valutazione in più.
C'è il dato, oggi, di un'esigenza avvertita da sempre. La conflittualità tra Parlamento e Governo c'è sempre stata: tra un Parlamento che vuole contare di più e un Governo che chiede di poter governare.
Nella XIII legislatura c'è stata una rivisitazione del regolamento della Camera dei deputati. Ci fu allora, penso che l'onorevole Calderisi lo ricordi, un tentativo di imprimere un'accelerazione ai procedimenti di carattere legislativo, prevedendo tempi certi e riconoscendo un ruolo anche alle minoranze. Certamente, però, i regolamenti delle Camere non possono sostituirsi alle riforme di ordine costituzionale. Ci è stata sempre richiamata l'esigenza di avere un equilibrio nei rapporti tra Esecutivo e Legislativo; naturalmente questa prospettiva doveva essere risolta da una rivisitazione di carattere costituzionale.
Oggi ci troviamo, ad esempio, con un sistema elettorale che presuppone un certo tipo di sistema presidenziale non suffragato
dalla Carta costituzionale. Dunque abbiamo una Costituzione materiale che confligge con la Costituzione formale, ma ci ritroviamo con un sistema elettorale che confligge, come impianto, con la Costituzione stessa.
Allora, non c'è dubbio che le cose che sono avvenute e che stanno avvenendo richiedono un'attenzione da parte nostra rispetto agli appuntamenti che riguardano anche il futuro. Lo sforzo del Ministro Vito è certamente apprezzabile, ma non basta limitarsi a commentare come avviene la finanziaria, quali sono le differenze con le precedenti e quali le novità introdotte, il ruolo del DPEF che è diverso rispetto al passato e via dicendo. Per quanto riguarda la decretazione d'urgenza, noi ricordiamo che dalla Corte costituzionale ne fu impedita la reiterazione, in un'epoca in cui i decreti-legge si potevano ripetere per ben due o tre volte, con alcune modifiche. Non c'è dubbio che il dibattito che stiamo avviando in questo momento dovrebbe prefigurare un'attenzione maggiore nel Paese rispetto a una esigenza che avvertiamo sia per quanto riguarda il sistema elettorale sia per quanto riguarda la rivisitazione della Carta costituzionale.
I regolamenti delle Camere possiamo sempre modificarli e adeguarli, ma certamente non possono essere un momento decisivo ed esaustivo. Uno dei temi che noi solleviamo e che continuamente proponiamo anche nelle nostre valutazioni è quello del bipolarismo perfetto. Molte volte il bipolarismo perfetto non aiuta nemmeno il Parlamento nella sua centralità, perché a volte alcune situazioni si consumano anche attraverso qualche difficoltà nel trovare una sintonizzazione tra i due rami del Parlamento.
Per quanto riguarda le decretazioni di urgenza, i primi passi che hanno caratterizzato questo avvio di legislatura hanno visto qualche confusione di troppo. Come Commissioni congiunte affari costituzionali e bilancio della Camera stiamo esaminando il disegno di legge n. 1441-bis, un provvedimento omnicomprensivo. Qualche difficoltà nel delineare le competenze delle Commissioni c'è stata, visto e considerato che è una materia composita, nella quale trova grande spazio anche il tema giustizia.
Questo, però, è un problema di Governo o è un problema di indirizzo e di gestione delle Camere e soprattutto di rispetto del Regolamento? Noi abbiamo anche introdotto, per dare maggiore certezza nelle attività legislative, il Comitato per la legislazione, e forse una valutazione in più anche rispetto al rapporto con il Governo deve esserci, per evitare idiosincrasie che troviamo continuamente nell'attività parlamentare.
Quello che avverto ancora (a dire il vero già dalla XV legislatura) è il venir meno di uno spazio forte e significativo per quanto riguarda il controllo e gli atti di indirizzo parlamentare.
Per quanto riguarda il sindacato ispettivo, al di là del question time, che forse nella sua natura dovrebbe essere ovviamente superato, anche per dare la possibilità al Governo e al Parlamento di avere più contezza dei problemi e dei temi, per evitare liturgie di fronte alla televisione, sollevo anche il problema delle interrogazioni. Al di là delle interpellanze urgenti, certamente non c'è una prassi o un dato caratterizzante, per quanto riguarda l'attività di sindacato ispettivo reale, che pone in essere un controllo del Parlamento sull'attività dell'Esecutivo.
I colleghi hanno fatto riferimento alla decretazione d'urgenza. Si può superare questo aspetto dei voti di fiducia; credo che questo sia un male che ha caratterizzato un lungo spazio della nostra attività parlamentare. Dunque non è un dato che emerge oggi. Lo sforzo che noi possiamo fare, considerato che c'è una disponibilità da parte del Ministro per i rapporti con il Parlamento, e ritengo anche da parte del Governo nel suo complesso, è quello di trovare un giusto equilibrio tra Parlamento e Governo. C'è un dato politico: si è parlato sempre del diritto dell'opposizione, del codice dell'opposizione, dello statuto dell'opposizione, di un regolamento che avrebbe dovuto prefigurare uno spazio e soprattutto un ruolo molto più pregnante
dell'opposizione. Questo dipende dal Governo o c'è bisogno di una riqualificazione della politica? Io sono convinto, per la mia esperienza e per il mio impegno, che il Parlamento viene ad essere esautorato non perché esistano pochi partiti o blocchi di partiti. Se esiste la politica dei poli, se esistono due o tre poli, certamente si sposta il centro gravitazionale dal Parlamento ad altre realtà.
Non è un problema assembleare, signor Ministro, quello che ha creato difficoltà al Parlamento. L'assemblearismo è stato molte volte un processo degenerativo della politica, che poi certamente si è riversato sul Parlamento.
Oggi ci troviamo di fronte a un processo degenerativo all'inverso, che toglie al Parlamento quelle peculiarità e quelle differenziazioni necessarie per dare un contributo. C'è una omologazione, che rischia di essere un appiattimento, che toglie vivacità a un Parlamento che dovrebbe interloquire e rappresentare la variegata realtà del Paese.
Il problema è prettamente politico, ma certamente il Parlamento deve avere la sua centralità, in uno sforzo di ricomporre le volontà per operare riforme di carattere istituzionale. A dire il vero, si era tentato di farlo due legislature fa, ma le cose non sono andate avanti perché un referendum ha bocciato quel provvedimento di riforma; taluni aspetti che alcuni colleghi lamentavano potevano essere considerati superati dal testo di riforma del Titolo V della Carta costituzionale.
Questa, però, è un'altra fase, nella quale dovremo fare in modo di evitare disfunzioni, storture e difficoltà sempre più frequenti non solo nella nostra attività, ma anche - ritengo - nell'attività del Governo.
SESA AMICI. Ringrazio il Ministro Vito per la franchezza e per la lucidità della sua introduzione, che sarà oggetto di ulteriori riflessioni.
Oggi il Ministro viene in audizione, da un lato, a testimonianza del rispetto del Parlamento, dall'altro evidenziando nell'insieme gli elementi di criticità. Nell'ambito della relazione scritta che ci è stata consegnata, uno in particolare mi sembra essere l'elemento sul quale dovremmo iniziare a riflettere. A un certo punto il Ministro cita Luigi Einaudi quando parlò di «conoscere per deliberare». Ebbene, credo che queste due parole, «conoscere» e «deliberare», contengano i nodi politici dell'attività legislativa.
Il conoscere, infatti, presuppone i tempi della conoscenza, ma anche la certezza della decisione, collegata alla questione della deliberazione. Il problema che riguarda l'articolo 70 della Costituzione, relativo a come si forma il procedimento legislativo, credo sia un tema non solo di questa maggioranza, ma anche delle maggioranze che si sono succedute nel tempo.
In questa decisione, che io ritengo sia una decisione politica, Ministro Vito, alcune verità ce le dobbiamo dire. Non c'è dubbio che nei punti di criticità, che ella stessa ha evidenziato - e sarebbe difficile non essere d'accordo - rientri la decretazione d'urgenza, che viene spesso utilizzata fondamentalmente per aggirare le norme di tipo parlamentare. In un contesto in cui la democrazia richiede tempi certi (forse meno il tempo della conoscenza e più i tempi della decisione), la decretazione d'urgenza è diventato ormai uno strumento tipico dell'Esecutivo per dar conto dei propri programmi politici. Per dimostrare che questo è avvenuto basterebbe fare non solo la statistica dei decreti d'urgenza, ma delle iniziative parlamentari che sono diventate leggi.
È avvenuto di fatto uno spostamento di potere dal Parlamento all'Esecutivo. Soprattutto rispetto alla decretazione d'urgenza dobbiamo ragionare non solo sulla questione dei tempi, ma anche sulla estraneità delle materie di cui quei provvedimenti si occupano.
Questo pone un problema, come è stato più volte sottolineato da entrambe le parti. Ministro Vito, lei non pensa che nella realtà effettuale di questi primi mesi di legislatura stia prevalendo una volontà politica esattamente contraria ai propositi richiamati nella sua relazione? Non ci sono i tempi per conoscere e deliberare,
non ci sono le condizioni perché si avvii sul serio una discussione diversa, all'interno di un contesto anche istituzionale completamente diverso.
Lei, signor Ministro - lo dico non solo a titolo personale, perché credo che in queste discussioni debba emergere un'idea di collegialità del gruppo che rappresento - affronta il nodo della legittimazione di un ruolo del Parlamento meno marginale rispetto all'Esecutivo, ipotizzando soluzioni che oggi sono all'attenzione nell'ambito di proposte di legge presentate sia dalla maggioranza che dall'opposizione. Tali proposte di legge riguardano la riformulazione dei regolamenti; in particolare, il provvedimento presentato dal collega Calderisi ed altri riguarda la istituzionalizzazione dello statuto dell'opposizione per accelerare una serie di questioni che riguardano il procedimento legislativo.
Un punto importante riguarda cosa si intende per opposizione in un sistema parlamentare. Lo statuto fa riferimento in particolare all'opposizione maggiore, e noi siamo in un sistema politico in cui le opposizioni possono essere più di una. Se si istituzionalizza l'opposizione maggiore si riduce ancora di più il ruolo delle altre opposizioni, ma si ottiene un rafforzamento dell'Esecutivo maggiore di quello che già si realizza attraverso alcuni elementi come il decreto d'urgenza, la delegificazione e procedure molto accelerate rispetto ad alcune questioni.
Noi siamo in una fase - la questione riguarda anche l'assetto e l'identità stessa di una democrazia - in cui abbiamo bisogno di tempi certi per esercitare liberamente le nostre determinazioni, ed è necessario che in questa discussione non ci siano né velleità, né fughe in avanti. C'è un tema che riguarda la qualità del procedimento legislativo: su di esso dobbiamo concentrarci e ragionare, inserendolo in una dinamica che comporti il rispetto delle forme che ci siamo dati, anche dentro un contesto politico che ci può vedere in ruoli differenti. Questo riguarda il bivio al quale siamo arrivati: siccome all'Esecutivo non va dato un potere che espropri di fatto l'uso del «conoscere per deliberare», credo che al bivio bisogna rispondere compiendo il passo necessario di una discussione che avvenga nelle sedi opportune, in un quadro istituzionale. Dobbiamo ragionare, anche in termini di modifiche costituzionali,
su come si può arrivare a uno snellimento del procedimento legislativo, che tocca anche un punto al quale lei ha accennato nella sua relazione e che noi dobbiamo affrontare, quello del bicameralismo paritario.
FRANCESCO PARDI. Anch'io riparto dalla questione dei decreti-legge, ma do per scontato ciò che hanno detto prima i colleghi, dunque non ripeterò cose già dette.
Osservo solo di sfuggita che in questa legislatura sono stati approvati quasi esclusivamente decreti-legge e, in realtà, abbiamo approvato un'unica proposta di legge ordinaria, quella nota con il nome di «lodo Alfano».
Faccio presente che la Corte costituzionale ha statuito di recente che la mancanza dei requisiti della straordinarietà ed urgenza vizia il decreto-legge e la relativa legge di conversione. Questo riguarda in primis, per esempio, il decreto n. 112 sulla finanza che, ben lungi dal riguardare fatti limitati all'urgenza, guarda lontano - è presbite - fino a tre anni di distanza. Quindi, non si può sostenere che esso intervenga su una dimensione di necessità e urgenza, perché in realtà interviene su una dimensione di lungo periodo.
La Corte costituzionale ha anche stabilito che è viziato l'emendamento inconferente con le finalità del decreto-legge, conseguentemente privo di tale requisito. Questo riguarda, ad esempio, l'introduzione dell'emendamento «blocca-processi» nel decreto-legge sulla sicurezza, il quale non ha nulla a che vedere con le finalità del decreto stesso.
Faccio un'osservazione - mi scuso se ripeto quanto detto da altri colleghi, ma, essendo giunto con ritardo dalla Commissione di vigilanza, sicuramente ho perso qualche passaggio - relativa al fatto che i decreti-legge vengono spesso miscelati fra di loro, trapiantati uno nell'altro. Per farmi
capire, faccio riferimento al primo decreto Alitalia, che ne ha assorbiti due, oppure al decreto «milleproroghe», nel quale sono stati fusi ben tre decreti-legge, attraverso emendamenti omnibus.
Di fronte a questa pratica, forse sarebbe stato lecito aspettarsi che il Presidente del Senato e il Presidente della Camera garantissero una visione più indipendente da quella del Governo. Mi sembra, però, che la cosa non sia avvenuta.
C'è un'osservazione supplementare da fare, relativa a una sorta di mancanza di riguardo nei confronti del Presidente della Repubblica, al quale vengono sottoposti decreti-legge che in corso d'opera vengono trasformati, cambiando così aspetto rispetto alla versione originaria.
Di fatto, sembra di poter dire che, tramite questa molteplicità di giochi sui decreti-legge e l'incastro con l'abuso del voto di fiducia, si determina una situazione per cui sostanzialmente l'attività legislativa è sussunta sotto il patronato dell'Esecutivo e le assemblee legislative sembrano trasformate in organi esecutivi della volontà del Governo. O meglio, si sta andando verso questa dimensione e, se ciò accade, siamo fuori dalla Costituzione.
È stato osservato che c'è una sorta di contraddizione - e probabilmente esiste - tra la legge elettorale e la Costituzione, ma non mi sembra che se ne possa trarre la conseguenza che, in tal caso, si deve stare dalla parte della legge elettorale. Se tra la legge elettorale e la Costituzione c'è contraddizione, fino a prova contraria, dato che la Costituzione è stata approvata con un voto assoluto a larga maggioranza in un recentissimo referendum, si sta dalla parte della Costituzione e non della legge elettorale.
Trascuro osservazioni secondarie relative, ad esempio, agli effetti della fretta e a formulazioni errate che poi devono essere riprese e via dicendo.
Sottolineo un elemento piuttosto impressionante, che forse è una piccola cosa, ma è lo spettro della situazione. Il decreto-legge n. 143 del 2008, approvato dal Consiglio dei ministri l'11 settembre e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 16 settembre, è stato inserito all'ordine del giorno della I Commissione del Senato alle ore 12 del 17 settembre. Non c'è stato materialmente il tempo di vederlo, di pensarlo, di discuterlo. Del resto, questo fa il paio con la prodezza che la maggioranza ha diffuso come un proprio merito, quella di aver approvato in nove minuti e qualche secondo il decreto-legge n. 112 di prefigurazione della finanziaria. Dal che si ricava che il Consiglio dei ministri quel provvedimento non lo ha neppure letto, perché non ha avuto materialmente il tempo di considerarlo.
Se questa è la logica con cui deve marciare la governabilità, la capacità dell'Esecutivo di esercitare una funzione di traino, francamente c'è da restarne molto preoccupati.
Direi persino che quando si verifica una situazione di impossibilità di prendere cognizione dei provvedimenti che vengono posti all'esame, siamo di fronte a una dimensione che forse potremmo chiamare di carattere ostruzionistico, non solo verso l'opposizione, ma verso la maggioranza stessa, che ha una certa difficoltà ad intervenirvi.
Concludo con un'osservazione preoccupata su una bozza di modificazione del regolamento della Camera presentata il primo luglio (documento II, n. 3), a firma Calderisi, Bocchino, Cicchitto, Leone e Gava, di cui cito a memoria una frase che considero estremamente preoccupante, perché è il segno di questo rovesciamento della logica parlamentare. Nella nota esplicativa iniziale, grosso modo, si legge che i princìpi di separazione dei poteri, che sono stati ereditati dal costituzionalismo classico, da Montesquieu in poi, oggi non sono garantiti tanto dalla separazione tra legislativo, esecutivo e giudiziario, quanto dal continuum Governo-maggioranza da una parte e opposizione dall'altra.
Nella espressione «continuum Governo-maggioranza» c'è una formalizzazione di questa sorta di appropriazione di potere da parte dell'Esecutivo nei confronti della maggioranza, compensata soltanto da un'ipotesi di statuto dell'opposizione da operetta che viene concesso benevolmente
- octroyée - all'opposizione. Si immagina che il Presidente del Consiglio consulterà, quando lo riterrà opportuno, il Capo del governo ombra; si immagina che i ministri, quando vorranno, su certi provvedimenti consulteranno...
PRESIDENTE. Le chiedo scusa, ma il Ministro Vito è stato chiamato in Aula per rispondere a un'interrogazione.
FRANCESCO PARDI. Come dicevo, si immagina che i ministri, quando vorranno, su certi provvedimenti consulteranno i ministri ombra. Ho la sensazione che questi saranno pallide ombre, appunto, che riceveranno una consultazione puramente convenzionale e formale.
Temo che siamo di fronte allo svuotamento dall'interno dello spirito costituzionale. Il popolo ha bocciato la riforma costituzionale precedente. Si pensa, probabilmente, che non è possibile ripresentarne un'altra, altrettanto distorcente, e allora, invece di raggiungere il fine attraverso la modificazione costituzionale intera, si opera per uno svuotamento della natura dello spirito costituzionale dall'interno.
Questa sopraffazione dell'Esecutivo sul legislativo fa parte di questa atmosfera attuale, che noi consideriamo con la massima preoccupazione.
PRESIDENTE. Ringrazio il senatore Pardi. Mi dispiace che proprio all'ultimo minuto il Ministro si sia dovuto assentare, ma credo che il senso del suo intervento sia stato colto.
Considerati i concomitanti impegni del Ministro e dei colleghi del Senato, ci riserviamo di fissare la data in cui svolgere il seguito dell'audizione, al fine di completare il giro degli interventi ed ascoltare la replica del Ministro.
Ringrazio il presidente Vizzini e tutti coloro che hanno partecipato.
Rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.
La seduta termina alle 15,30.