Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3
Audizione della dottoressa Maria Cannata Bonfrate, Dirigente generale Capo della Direzione II - Debito pubblico del Ministero dell'economia e delle finanze sulle problematiche relative all'emissione e al collocamento dei titoli di Stato (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento)
Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3 10 14 18 20 22
Boccia Francesco (PD) ... 19
Brunetta Renato (PdL) ... 11 15
Cambursano Renato (Misto) ... 18
Cannata Bonfrate Maria, Dirigente generale Capo della Direzione II - Debito pubblico del Ministero dell'economia e delle finanze ... 3 11 14 15 16 20
Ciccanti Amedeo (UdCpTP) ... 20
De Micheli Paola (PD) ... 20
Duilio Lino (PD) ... 12
Marsilio Marco (PdL) ... 18
Nannicini Rolando (PD) ... 19
Vannucci Massimo (PD) ... 10 11 16
ALLEGATI:
Allegato 1: Nota consegnata dalla dottoressa Maria Cannata Bonfrate sulle problematiche relative all'emissione e al collocamento dei titoli di Stato ... 23
Allegato 2: Tabelle consegnate dalla dottoressa Maria Cannata Bonfrate sulle emissioni del Tesoro nel 2011 ... 33
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega
Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI.
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Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 12,05.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione della dottoressa Maria Cannata Bonfrate, Dirigente generale Capo della Direzione II - Debito pubblico del Ministero dell'economia e delle finanze, sulle problematiche relative all'emissione e al collocamento dei titoli di Stato.
Avverto i colleghi che possiamo svolgere questa audizione poiché il Presidente della Camera ha concesso la deroga che abbiamo richiesto in relazione ai concomitanti lavori dell'Assemblea.
Ringraziamo la dottoressa Cannata Bonfrate per avere risposto al nostro invito a svolgere questa audizione su un tema di assoluta rilevanza e attualità, quello dell'emissione e del collocamento dei titoli di Stato. Avverto i colleghi che è disponibile della documentazione che la dottoressa ha consegnato al fine di rendere più agevole la sua esposizione.
Do la parola alla dottoressa Maria Cannata Bonfrate, ringraziandola nuovamente della presenza.
MARIA CANNATA BONFRATE, Dirigente generale Capo della Direzione II - Debito pubblico del Ministero dell'economia e delle finanze. Grazie a voi. Effettivamente quello della gestione delle emissioni è diventato un tema caldo, caldissimo, e anche rovente, perché purtroppo la crisi che ha investito il debito sovrano in Europa ha determinato mutamenti repentini e drastici, in termini sia temporali sia di dimensioni, sul mercato del reddito fisso in generale.
Tale mercato è stato fortemente colpito da questa crisi, non soltanto nel nostro Paese, ma ovviamente l'Italia, con il carico del suo grande debito pubblico - ricordo che, in termini assoluti, esso è il quarto del mondo, dopo quello statunitense, quello giapponese e quello tedesco, ma con un rapporto rispetto al prodotto interno lordo fra i più elevati, benché non il più elevato - ha la necessità di mantenere la sua presenza sul mercato per consentire il finanziamento dello Stato alle migliori condizioni possibili in termini di costo e tali da assicurare la sostenibilità del debito nel lungo periodo.
I titoli di Stato, che rappresentano la parte di debito pubblico che è sotto la gestione del dipartimento del Tesoro, e della mia Direzione in particolare, coprono la gran parte del debito pubblico italiano - circa l'83 per cento - per cui una gestione fluida ed efficace delle emissioni
è un fattore di assoluta importanza, cruciale per la solidità e la tenuta del sistema Paese.
In questo campo, almeno a partire dagli anni '90 - forse prima un po' meno, ma dagli anni '90 sicuramente è così - è universalmente riconosciuta all'Italia una storia di progressi continui, dunque non bisogna discostarsi dalla continuità con il passato, pur ovviamente introducendo tutti i necessari adattamenti per fronteggiare al meglio una situazione complessa e irta di difficoltà che non esito a definire «senza precedenti». Noi stiamo vivendo una crisi lunga e mutante, che presenta ogni volta problemi nuovi.
Ho organizzato il mio intervento nel modo seguente: prima ripercorrerò brevemente le tappe essenziali dell'evoluzione della gestione del debito - per comprendere il presente è indispensabile fare un minimo di excursus storico - e poi citerò quali sono le criticità del prossimo futuro e quali le soluzioni che stiamo individuando.
Noi abbiamo vissuto un'altra crisi abbastanza importante, nell'ormai lontano 1992 - sono trascorsi quasi vent'anni - e devo dire che la strategia di emissione del Tesoro, a partire da quel momento, subito dopo quella crisi, si è sviluppata con grande continuità e nel perseguimento di due essenziali obiettivi che nel breve periodo appaiono in contrasto l'uno con l'altro ma, se ben gestiti, in un'ottica di lungo termine risultano invece compatibili e producono risultati lusinghieri. I due obiettivi sono il contenimento del costo del debito e la riduzione dei rischi di mercato, gestiti però in un'ottica di medio-lungo periodo. In particolare, i rischi di mercato più importanti sono il rischio di rifinanziamento e il rischio di tasso.
Ridurre il rischio di rifinanziamento implica la necessità di diluire nel tempo il rimborso dei titoli, allungando la durata della loro vita, per non esercitare quella continua pressione sul mercato che mette a repentaglio la capacità di assorbimento delle emissioni. Si tratta, quindi, di favorire delle condizioni per cui, nel tempo, offerta e domanda possano incontrarsi in maniera equilibrata, con soddisfazione per entrambe le parti.
L'emissione quindi lungo tutta la curva dei rendimenti, ivi comprese le scadenze molto lunghe, consente di distribuire nel tempo l'onere dei rimborsi e indirettamente, ma in maniera molto precisa, attraverso la minore pressione sul mercato, consente anche di limitare i costi. Questa minore pressione deriva ovviamente dal fatto che, essendoci meno rimborsi e minore frequenza di accesso al mercato, il mercato non si sente - come dire - inondato di carta dello stesso emittente, ma fa un assorbimento più graduale.
È vero che, di norma, i tassi a breve sono più bassi di quelli a lungo termine, salvo momenti eccezionali, che non sono mancati recentemente. È però anche vero che, se si fa un ricorso eccessivo solo ed esclusivamente al breve termine, questo beneficio rischia di svanire. Questo è più o meno quanto accadde all'inizio degli anni '80 quando, un po' forzati dalle circostanze, con un'inflazione che viaggiava intorno al 20 per cento, l'emissione di titoli di Stato divenne quasi esclusivamente di BOT. Questo non portò, in realtà, a concreti benefici in termini di tassi, che viaggiavano comunque intorno al 20 per cento, seppure anche l'inflazione fosse - più o meno - allo stesso livello. Non solo dunque non si ottenne un beneficio ma, al tempo stesso, l'incremento di costo e la continua pressione sul mercato contribuirono, insieme a molti altri fattori, all'esplosione del debito di quegli anni.
Già dagli anni '80 ci fu un tentativo di cominciare ad allungare la vita del debito, ma questo fu fatto principalmente ricorrendo a titoli a tasso variabile, che avevano il beneficio - essendo all'epoca a 5 o anche a 10 anni di scadenza - di diminuire il rischio di rifinanziamento. Con la crisi del 1992, però, emerse in maniera particolarmente evidente che l'esposizione al rischio di tasso era rimasta eccessiva; infatti, il disavanzo del 1992 e del 1993 risentì pesantemente di questa struttura del debito.
Allora, gradualmente, ma con grande determinazione, venne perseguita la modifica della struttura del debito, spostandosi progressivamente verso il tasso fisso e, al tempo stesso, cercando di correggere alcune situazioni che si erano rivelate fragili. In particolare, fu profondamente riformato il mercato secondario telematico dei titoli di Stato (MTS). Ricordo che l'Italia è stato il primo Paese al mondo ad avere un mercato totalmente elettronico.
Durante la crisi del 1992 si osservarono però alcuni elementi di fragilità, che furono corretti e portarono anche, all'inizio del 1994, alla creazione di una nuova figura: lo specialista in titoli di Stato. Fino a quel momento gli operatori principali, i primary dealer dell'MTS, avevano degli obblighi limitati alle quotazioni sul mercato secondario. Invece, a partire dal febbraio del 1994, venne istituito un gruppo di banche che erano, sì, operatori principali del mercato secondario - quindi con obblighi di quotazione, di continuità e quant'altro - ma assumevano anche impegni dal punto di vista della sottoscrizione di titoli di Stato in asta. Si instaurò quindi una relazione privilegiata che ha consentito di superare bene ripetute crisi.
Non dimentichiamo che la prima crisi fronteggiata dopo l'introduzione di questo nuovo sistema fu quella dei primi mesi del 1995 - la crisi «messicana», chiamiamola così - nella quale per la prima volta venivano a scadenza grossi quantitativi di titoli di Stato a medio-lungo termine. Ricordo bene che all'epoca alcune riviste anglosassoni scrivevano che l'Italia sarebbe andata in default, perché non sarebbe riuscita a sostenere il carico di quei grossi rimborsi. In realtà, alla fine di marzo di quell'anno si vide che questo non era accaduto e uno dei fattori sicuramente determinanti fu la presenza di questo nuovo sistema, con questi gruppi di specialisti.
Naturalmente, tutto questo processo è poi stato portato avanti nel corso degli anni e devo dire che, anche in questi giorni difficili e in questi mesi sempre più complicati, l'Italia non ha mai avuto delle aste scoperte, anzi il rapporto tra domandato e offerto è sempre stato superiore all'unità, con una situazione di tranquillità, da questo punto di vista, anche nei momenti più difficili.
Il processo di allungamento della vita media del debito è continuato, anche in anni recenti, anche dall'inizio della crisi, tant'è vero che alla fine del 2010 si raggiunse il massimo storico, 7,2 anni. Non solo fu allungata la vita media, ma anche la durata finanziaria, la duration, che tiene conto non solo dell'onere del rimborso, ma anche dei flussi di pagamento periodici, in maniera da asseverare una struttura più solida.
La crisi, non dimentichiamolo, parte dall'estate del 2007. Tutto questo sistema ha tenuto molto bene. C'è da dire che, in questi periodi così difficili, pur mantenendo una presenza anche nel lungo termine, il Tesoro ha pagato il costo minimo storico all'emissione, credo da sempre, perché i tassi del 2,19 per cento, come quello medio all'emissione del 2009, e del 2,10 per cento nel 2010 sono stati veramente un ottimo successo.
A questa tenuta e a questo allungamento del debito ha contribuito non solo l'approccio di regolarità e continuità con il passato, ma anche alcune innovazioni che sono state introdotte per aggiungere elementi di flessibilità a tale continuità. Le innovazioni sono state molte e, quando mi capita di ripercorrerle tutte, mi accorgo che gli interventi sono stati veramente tanti; alcuni però sono stati davvero fondamentali, dunque mi limiterò a menzionare questi ultimi.
Il più importante è stato sicuramente il cambiamento del metodo d'asta introdotto a partire dall'ottobre del 2008, quindi subito dopo il fallimento della Lehman Brothers. Prima di quel momento, il Tesoro offriva un ammontare fisso che veniva «processato» in maniera completamente automatica dal sistema; si indicava un ammontare e quell'ammontare veniva sottoscritto, ma spesso, a causa di fluttuazioni nella domanda, diventate sempre più frequenti e ravvicinate, parte della domanda non veniva sfruttata, perché il sistema era troppo rigido.
Allora si introdusse il nuovo metodo, che è stato esteso a tutti i titoli a medio-lungo termine, a partire dai BTP a tre anni, e che quest'anno abbiamo esteso anche ai CTZ, quindi a tutti i titoli collocati con asta a prezzo marginale unico: annunciamo una forchetta di ammontari, all'interno della quale decidiamo poi discrezionalmente - una volta uscito il tabulato anonimo prodotto dal sistema di Banca d'Italia - dove tagliare il prezzo, tenendo conto della domanda complessiva, di come i prezzi dei titoli si sono eventualmente mossi sul mercato prima dell'asta e, ovviamente, anche delle esigenze di finanziamento che via via gestiamo.
In questo modo è stato possibile incontrare meglio la domanda, essere più flessibili a eventuali sue fluttuazioni e stare sempre sul mercato; inoltre, è stato possibile incoraggiare la presenza di investitori istituzionali che emettevano ordini in asta, in un momento in cui invece il mercato secondario, a causa di tutta questa volatilità, diventava molto meno efficiente, i volumi si contraevano e non sempre era facile trovare sul mercato secondario delle buone opportunità a condizioni di spread denaro-lettera. In parte, quindi, il mercato primario ovviava anche alle inefficienze che questa estrema volatilità aveva prodotto sul mercato secondario.
Proprio per cercare di sfruttare al meglio la domanda, noi tipicamente abbiamo un collocamento supplementare - non competitivo - riservato agli specialisti in titoli di Stato. A tal proposito, apro una parentesi. L'Italia ha un sistema in cui moltissime banche possono partecipare all'asta, purché aderiscano alla rete nazionale interbancaria. Mentre quando questo sistema venne introdotto, a metà degli anni '90, la proporzione tra specialisti e non specialisti era di circa due terzi e un terzo, adesso gli specialisti coprono oltre il 99 per cento delle aste. C'è stata una naturale enorme concentrazione, perché questo impegno e i costi di partecipazione all'asta sono tali che le piccole banche non gradiscono di sopportarli.
A partire dall'anno scorso abbiamo esteso questa tranche supplementare anche ai BOT annuali - precedentemente era per tutti i titoli a medio-lungo termine e per i BOT semestrali che, essendo il parametro di indicizzazione per i CCT, dovevano essere particolarmente curati - in maniera da sfruttare al meglio una eventuale domanda addizionale.
Per quel che riguarda i BOT, tra il 2010 e il 2011 - non lo ricordo esattamente, poiché con questa crisi la percezione del tempo si è molto deformata, cose lontane sembrano vicinissime e viceversa - si è passati dall'asta sul prezzo all'asta sul tasso. In questo modo ci siamo allineati allo standard internazionale, per attrarre nuova domanda istituzionale.
Cito un altro importantissimo elemento di flessibilità: proprio perché il mercato secondario presenta spesso delle inefficienze, ci siamo resi disponibili ad aprire, in funzione della domanda che emergeva, non solo i titoli in normale corso di emissione, che dovevano ancora completare il loro ciclo, i cosiddetti on the run, ma anche titoli vecchi, i cosiddetti off the run, che talora sostituivano gli on the run, quando c'era qualche problema, o, molto più spesso, li affiancavano in maniera da poter offrire al mercato quello che il mercato era disposto a sottoscrivere in quel momento.
In particolare, questo è stato molto importante nella seconda metà del 2011, perché ha consentito di superare la mancanza di domanda - o una domanda che, quando si presentava, risultava eccessivamente costosa - nel periodo ultra-lungo, proprio con il finanziamento attraverso queste riaperture degli off the run.
Il 2011 è stato un anno cruciale, la cui storia si può dividere in due parti, esattamente a metà. Nel primo semestre - quasi normale, pur nella crisi - anche se le difficoltà aumentavano, i tassi rimanevano comunque bassi e la crescita nei suoi livelli assoluti era parallela tra i nostri titoli e quelli del resto dell'Europa. Per esempio, il differenziale con la Germania rimaneva intorno ai 180-190 punti, anche se c'erano delle oscillazioni. Non è più un
mondo uguale a quello di prima della crisi, quando un movimento di cinque basis point veniva considerato un evento straordinario e ci si domandava che cosa lo avesse provocato. Oramai si viaggia, purtroppo, a decine di basis point.
La situazione comincia a deteriorarsi a partire da maggio-giugno del 2011, quando si vedono le prime avvisaglie, anche se gli effetti si concretizzano solo a partire dagli ultimissimi giorni di giugno e all'inizio di luglio. In una certa misura questi effetti sono stati stimolati anche - bisogna vedere quanto, è sempre difficile fare delle valutazioni precise - dal cambiamento di atteggiamento delle agenzie di rating. Se ricordo bene, intorno al 20 maggio scorso Standard & Poor's mette l'outlook negativo sul rating dell'Italia, giustificando questa decisione sostanzialmente con gli stessi argomenti che aveva utilizzato per supportare l'outlook stabile; la stessa cosa, circa un mese dopo, viene fatta da parte di Moody's. Le agenzie cominciano a mettere il focus su due fattori: le dimensioni assolute del debito e la crescita debole.
Questi due fattori, che fino a un istante prima venivano considerati gestibili - appunto perché il Tesoro aveva sempre mantenuto una politica prudente di gestione del debito e non aveva avuto difficoltà a finanziarsi - cominciano a essere sottolineati e a preoccupare. Insieme ad altri fattori di altra natura, ciò porta a un grave deterioramento nel corso del mese di luglio, particolarmente evidenziato - più che dallo spread verso la Germania, che comincia a crescere - dalla distanza fra Italia e Spagna. Fino a pochi giorni prima della fine di giugno l'Italia era valutata meglio della Spagna, tra i 60 e gli 80 punti base; nel corso del mese di luglio, gradualmente questo differenziale per noi vantaggioso si riduce; il 5 agosto si azzera e, a partire dall'8 agosto, la Banca centrale europea interviene a comprare titoli italiani e spagnoli.
Durante lo scorso mese di agosto gli interventi della BCE, pur senza annunci che spiegassero quello che esattamente stavano facendo, vengono chiaramente interpretati come segno dell'obiettivo di non superare il rendimento del 5 per cento per i titoli a dieci anni. In questo sono facilitati dal fatto che ad agosto, come forse ricorderete, essendo andata bene l'autotassazione ed essendoci una larga disponibilità di liquidità, l'asta a medio-lungo termine di metà mese viene cancellata, come peraltro avevamo sempre fatto prima della crisi. Tra la fine di agosto e l'inizio di settembre siamo dovuti però tornare sul mercato.
A quel punto, visti i criteri che segue la BCE, il suo intervento diventa meno efficace. Fra questi criteri c'è quello di tenersi lontani dai titoli in asta, per qualche giorno prima e per qualche giorno dopo, non solo per i titoli in asta ma anche per i titoli vicini. Questo riduce molto il segmento di intervento della BCE. Inoltre, la BCE compra - questo è diventato particolarmente evidente a settembre - solo un limitato numero di titoli, agendo esclusivamente sul segmento nominale, tra due e dieci anni. Rimangono così completamente fuori i titoli di lungo periodo, quelli oltre i dieci anni, i titoli indicizzati all'inflazione e i CCT.
Questo determina delle distorsioni sul mercato, che indirettamente danneggiano anche la tenuta della citata soglia psicologica tenuta al 5 per cento sulle aste e ci spingono a diventare più interventisti da parte nostra sul fronte dei concambi e delle operazioni di buy-back - avevamo anche qualche soldo disponibile sul fondo per l'ammortamento - cercando di correggere queste distorsioni nella curva.
Occorre anche dire che, in tutto questo crescente focus sulla pressione del mercato nei confronti dell'Italia, si enfatizzano i grossi volumi italiani in emissione e le scadenze, di cui ci si comincia ad accorgere. Nel 2012 ce n'è una particolare concentrazione tra il mese di febbraio e il mese di aprile.
Noi avevamo ben presente questo problema e ci eravamo attrezzati per tempo, tant'è vero che già nel corso del 2010, e successivamente nel 2011, abbiamo fatto ripetute operazioni di concambio o buy-back, nelle quali abbiamo ritirato un numero non trascurabile di titoli con scadenza
naturale nel 2012. È vero che le emissioni del 2012 saranno un po' superiori a quelle del 2011, ma è opportuno ricordare che quelle del 2011 - come si vede nella tavola a pagina 6 della nota depositata - sono state comunque inferiori di oltre 40 miliardi di euro rispetto alle emissioni lorde del 2010, che a loro volta erano inferiori di 70 miliardi circa rispetto a quelle del 2009, e che i circa 450 miliardi di euro che prevediamo di emettere per il 2012 sono inferiori di 25-26 miliardi di euro rispetto al 2008. Per trovare un anno in cui le emissioni lorde erano inferiori al 2011 bisogna andare al 2007.
Considerato che il 2009 è stato un anno di grande successo della politica di emissione, dove c'è stato il massimo della pressione sul mercato, senza che questa venisse percepita come una criticità, ciò fa capire quanto la percezione degli investitori sia mutata, con tutta questa enfasi sulle scadenze e sulle emissioni lorde.
Un'altra cosa che ho notato proprio in questi giorni, analizzando i dati, è che nell'anno passato la Francia ha emesso molti più titoli dell'Italia - non ho i numeri precisi, ma sono quantità considerevoli - ma nessuno ha detto che quella pressione fosse eccessiva o che quei volumi fossero tali da rappresentare un problema.
Dico questo per farvi capire come si giochi veramente moltissimo sul feedback del mercato, sulla sua percezione di certi fattori. Per carità, ci sono fattori oggettivi - ad esempio, le scadenze dei prossimi mesi sono sicuramente fra le più alte - però in un altro momento di mercato nessuno vi avrebbe dedicato tutta questa attenzione e li avrebbe valutati con una tale criticità.
A partire dalla metà del 2010 si sono verificati anche fenomeni strani. Per esempio, a partire dal maggio del 2010 è ripetutamente successo che l'acutizzarsi, di volta in volta, della crisi greca, con diversi momenti in cui si sperava in una soluzione più rapida e meno dolorosa, e le delusioni successive, hanno mostrato che non sempre l'appetito, anche dei Paesi contagiati, viene ad essere colpito sulle scadenze lunghe. Più volte è successo, per esempio, che fossero ritenute più critiche delle aste di BOT annuali o di CTZ piuttosto che il titolo decennale, che in genere è sempre stato considerato il benchmark.
Questo non è molto logico, perché se si pensa che un Paese possa avere un problema fra uno o due anni, non si capisce come si possa invece ritenere più affidabile un titolo decennale. Siamo purtroppo in un mondo non perfettamente razionale, dove i modelli di calcolo delle probabilità vengono talora utilizzati in maniera un po' acritica, delineando la probabilità condizionata per cui una volta superati uno o due anni, tutto andrà bene. È un mercato strano.
Per ripercorrere rapidamente il 2011, la situazione ha continuato a deteriorarsi pesantissimamente - con stop and go, con momenti di pausa minima e di ripresa - con un picco nel mese di novembre. Questo ha generato non solo l'allargamento dello spread e l'innalzamento dei tassi assoluti, ma anche una conformazione della curva che, verso la fine di novembre, era davvero preoccupante. Non dimentichiamo, infatti, che, all'epoca, i tassi a dieci anni erano inferiori a quelli che si riuscivano a spuntare nelle aste del titolo a tre anni o del CTZ. C'è stata una situazione del tutto anomala.
Nella documentazione depositata relativa alle emissioni del Tesoro nel 2011 potrete analizzare, asta per asta, anche nelle tavole riepilogative, come questo si sia ripercosso sul prezzo delle emissioni. A pagina 3 del documento potete vedere come tra la fine di novembre e l'inizio di dicembre del 2011 - rispetto alle aste che si svolgono a fine novembre si regola a inizio dicembre - il BTP a tre anni è stato collocato al 7,89 per cento, mentre, corrispondentemente, nella stessa tornata d'asta, il BTP decennale è stato collocato al 7,56 per cento: una situazione veramente anomala. Fortunatamente, dopo l'iniezione di liquidità data dalla BCE il 21 dicembre scorso, la situazione sta gradualmente tornando a una maggiore normalità.
Avere un tasso a dieci anni al 7 per cento, ma un tasso - ad esempio - a un anno poco sopra il 2 per cento è sicuramente più normale, ma chiaramente bisogna mirare a ridurre anche quel 7 per cento. Paradossalmente sta succedendo in questi giorni, dopo il downgrade di Standard & Poor's - oggi siamo intorno al 6,5 per cento -, però è meglio avere un tasso del 2, del 4, del 5 e del 7 per cento alla fine, sul lungo periodo, piuttosto che avere un tasso piatto al 7 per cento.
A questo proposito vorrei dire che, una volta ripristinata la curva, anche in queste condizioni, come è stato dimostrato da numerosi esercizi, anche in una prospettiva di crescita zero, contrariamente a quanto stanno dicendo i gufi del mercato, che sono numerosi, la situazione del debito pubblico italiano non è esplosiva, anzi rimane sotto controllo e sostenibile. Certamente non migliora, questo è chiaro; affinché migliori e si raggiungano gli obiettivi abbiamo bisogno che i tassi si abbassino globalmente e parallelamente. Non per questo è però corretto dire che con il tasso decennale al 7 per cento la situazione è a rischio, perché non è così.
Venendo al 2012, vediamo che cosa stiamo facendo per cercare di fronteggiare questa situazione. Già avevamo previsto in precedenza, vista la concentrazione di scadenze tra febbraio e aprile, di sfruttare il breve termine, anche perché fra le misure che avevamo preso negli anni passati per cercare di compensare il maggior onere di scadenze sui titoli a medio-lungo termine, avevamo operato una consistente riduzione delle emissioni e quindi anche dello stock dei BOT in circolazione, nel corso degli ultimi due o tre anni, per far sì che le minori emissioni a breve compensassero parzialmente le maggiori emissioni a lungo termine.
Devo dire che questo obiettivo è stato perseguito con grande determinazione, anche quando altri Stati avevano ecceduto nelle emissioni di titoli a breve termine. Noi abbiamo chiuso il 2010 con uno stock di poco più di 130 miliardi di euro, corrispondente all'8,52 per cento dello stock complessivo di titoli. Nel 2011, viste le difficoltà del secondo semestre, non siamo riusciti a limare ulteriormente tale dato in valori assoluti, per cui abbiamo chiuso a 131,6 miliardi, però in termini relativi il peso dei BOT sullo stock complessivo di titoli è ulteriormente sceso e siamo all'8,3 per cento.
In particolare, ci siamo guardati bene dall'emettere BOT a tre mesi nell'ultimo trimestre del 2011, in modo che in questa prima parte dell'anno in corso possiamo sfruttare al meglio le emissioni a breve. Aumenteremo quindi sicuramente tutte le emissioni dei titoli fino a tre anni - anche per sfruttare le migliori opportunità che le banche hanno, avendo beneficiato della deposit facility della BCE, che appunto si estende fino a tre anni - senza abbandonare gli altri segmenti, tranne l'ultra-lungo. Non mi sembra infatti il caso di andare oltre i dieci anni, finché la situazione non migliora, perché i costi sono eccessivi e si determinerebbe anche un altro problema: tutti questi titoli sono molto sotto la pari, quindi la loro emissione ha una scarsa efficacia dal punto di vista sia dell'aumento del debito sia dell'incasso effettivo. Non mi sembra che ci siano le condizioni per fare titoli nuovi, perché servirebbe una domanda
più cospicua al riguardo, per cui per l'immissione di titoli fino ai dieci anni saremo regolari, ma sicuramente con un peso molto più marcato nell'area fino ai tre anni.
Quanto ho detto concerne il primo semestre, sperando che la decisione di Standard & Poor's non abbia effetti troppo negativi. Apparentemente sugli spread non l'ha avuta, perché in fondo il mercato aveva già metabolizzato questi livelli. Bisogna però vedere cosa succederà dopo, nelle gestioni dei portafogli, se il fatto di essere stati declassati al livello della tripla B ci precluda alcuni investitori con limiti di rating; bisognerà vedere i margini delle case di settlement, di compensazione, e così via e verificare se da parte delle banche e degli investitori ci sarà un maggiore utilizzo di modelli interni, perché questa decisione non è stata particolarmente apprezzata dal mercato.
Il fatto che nonostante l'apprezzamento per le nuove misure introdotte si sia retrocessa l'Italia di due notch, portandola sotto il rango delle A, da molti osservatori è stato giudicato sicuramente eccessivo e anche un po' inconsistente: prima si è espresso apprezzamento per quello che ha fatto la nostra nazione e poi la si è declassata nella misura massima rispetto a quanto si era preannunciato. Le agenzie di rating, a inizio del dicembre scorso, avevano infatti detto che se non fossero state soddisfatte del vertice europeo del 9 dicembre, avrebbero declassato l'Italia fino a due notch. Se si dice «fino a» si presuppone una graduazione. Se, dopo aver apprezzato quanto è stato fatto, proprio nel momento in cui le aste tornano a presentare tassi decrescenti e la curva si è normalizzata, si declassa il Paese al massimo di quanto preconizzato, allora, in un certo senso, si è incoerenti. Questa
è una valutazione molto condivisa da parte degli analisti di mercato, per quello che ho potuto vedere finora. Quindi, si spera che si sviluppi una capacità autonoma - un po' indipendente dai rating - da parte di tutti gli investitori, visto il sempre minor apprezzamento per come questi soggetti tendono talora a muoversi.
Per concludere, ho detto che questa politica di accorciamento della vita del debito ha necessariamente uno spazio limitato, perché non bisogna correre il rischio di cui avevo parlato all'inizio e anche perché proprio le agenzie di rating hanno sempre dimostrato grande apprezzamento per una vita lunga, che consente di attutire, nel corso del tempo, gli shock dei tassi. Già siamo passati, a causa delle difficoltà del secondo semestre 2011, da 7,2 anni a meno di 7 anni (6,99 per l'esattezza) di vita media del debito.
Si può fare qualcosa, i margini di flessibilità li abbiamo e i BOT, le emissioni a breve termine, servono proprio a questo, ossia a dare flessibilità nei momenti di necessità, però non può essere qualche cosa che dura nel lungo termine.
Peraltro, sono anche convinta che, una volta che avremo passato tranquillamente questi tre mesi - come sono abbastanza fiduciosa possa avvenire, anche se non mi nego che si tratti di uno scenario abbastanza impegnativo, perché il mercato ha una grande voglia di buone notizie - l'appetito per la carta italiana tornerà. Dobbiamo tenere duro in questi tre mesi, far vedere che i timori sono eccessivi e che siamo in grado di gestire anche queste difficoltà estreme. È un po' una lotta contro tutti, ma credo, e spero, che ce la faremo.
PRESIDENTE. Ringrazio la dottoressa Maria Cannata Bonfrate per il suo intervento.
Do ora la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
MASSIMO VANNUCCI. Dottoressa Cannata, lei ha un compito titanico, perché molte cose avvengono al di fuori dei circuiti tradizionali e non sono correggibili solo con le azioni e gli accorgimenti di cui lei ci ha parlato.
Secondo me, la madre di tutte le questioni sulle tensioni sui titoli europei rimane quella della richiesta del coinvolgimento dei privati nella crisi greca, ossia il private sector involvement, che è stato deciso da 27 Paesi, sebbene sulla spinta di Germania e Francia. Sembra che si sia compreso che questa clausola di coinvolgimento del settore privato ha determinato tutto questo sconquasso e quindi sia stata ritirata, o si sia in procinto di farlo. Tuttavia, la si ritira nel momento in cui si creano fondi veri di salvataggio e si decide di non coinvolgere più i privati. Quella è la madre di tutte le questioni. Questa è una piccola premessa, e se lei vuol dare un giudizio al riguardo, ciò sarebbe gradito. La ringrazio, naturalmente, dei giudizi ottimistici che ha espresso.
Vengo alla domanda. Noi abbiamo ricevuto, in Parlamento, il 23 settembre 2011 la nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, nella quale si stimava, per il 2011, una spesa per interessi passivi di 76 miliardi, 593 milioni di euro e, nel 2012, di 85 miliardi, 806 milioni di euro.
Il Governo Monti il 4 dicembre scorso, nella relazione trasmessa al Parlamento ai sensi dell'articolo 10-bis, comma 6, della legge n. 196 del 2009, corregge questi numeri e ci riferisce, per il 2011, un dato di circa 77 miliardi di euro (con appena un miliardo in più, che ci può stare) e per il 2012 di circa 94 miliardi, quindi con un incremento della pressione di 9 miliardi per l'anno 2012 intervenuta dal 23 settembre al 4 dicembre 2011. Cosa può essere successo? Questi dati glieli ha forniti lei?
MARIA CANNATA BONFRATE, Dirigente generale Capo della Direzione II - Debito pubblico del Ministero dell'economia e delle finanze. Certamente.
MASSIMO VANNUCCI. È eccessivamente prudenziale questa previsione, dottoressa Cannata?
Inoltre, vorrei conoscere - forse lei le ha riferite ma mi sono sfuggite - le percentuali fra investitori nazionali e investitori stranieri sul nostro debito. Lei pensa che questa iniziativa, anche auspicabile, per cui il Tesoro prepara l'acquisto diretto on line dei nuovi titoli triennali possa essere da sola sufficiente a favorire un maggior collocamento nazionale dei titoli stessi? Oggi la situazione del Giappone viene considerata ideale, proprio perché il debito è detenuto dagli investitori locali. Lei sarebbe d'accordo o ritiene che si debbano fare pressioni in questo senso, con iniziative come le «pubblicità progresso» e via dicendo? Insomma, ritiene che si debba fare qualcosa per favorire questo processo?
Lei è riconosciuta universalmente come un ottimo gestore del debito pubblico e vanno a lei i meriti di questa spalmatura nei sette anni. Lei ci ha ricordato la bontà di questo metodo, ma nello stesso tempo ci ha indicato le sue strategie, in questa fase, per sfruttare il breve termine. Al di là di tutto, bisogna sapersi adeguare ai tempi, visto che i mercati non hanno più una logica.
Ora, quando i titoli vanno in scadenza e dobbiamo rimpiazzarli con nuovi titoli, è obbligatorio fare le aste, a prescindere dal mercato e dalla volatilità del momento. In questo senso, per la flessibilità necessaria - le agenzie di rating lasciamole da parte per un momento, bisogna solo darsi l'obiettivo di tornare in A e smascherare quel che è successo - non sarebbe meglio se ci fosse un fondo a latere piuttosto consistente, che ci desse la possibilità di non fare aste o di cancellarle, di prorogarle o farle solo in momenti migliori? Penso a un fondo alimentato da dismissioni di patrimonio pubblico mobiliare e immobiliare, ma piuttosto consistente, di cui si dia la gestione - per la flessibilità di intervenire o meno, a seconda dei momenti, sulle aste o meno - sempre alla sua Direzione, che gestisce il debito pubblico.
Credo che questo sia l'auspicio che dovremmo formulare in questa fase.
RENATO BRUNETTA. Credo che dovremmo ringraziare la dottoressa Cannata e tutti i suoi colleghi, perché è noto come la gestione del nostro debito sia tra le migliori al mondo. Di questo dobbiamo ringraziare, appunto, il Tesoro, la dottoressa Cannata e tutti i suoi colleghi.
Proprio per la ragione che nessuno nutre dubbi su come sia stato gestito il debito in tutti questi anni, noi dovremmo concentrarci, a mio modo di vedere - questa è anche la domanda che pongo - su cosa sia successo veramente nel giugno scorso. Insomma, non può ritenersi che da giugno in poi il Tesoro abbia sbagliato comportamenti, abbia omesso tecniche, abbia avuto problemi di efficienza, perché questo non corrisponde ai fatti; invece, bisogna interrogarsi su quanto sia successo oggettivamente.
Ricordo a me stesso, ai colleghi e - ma lo sa meglio di me - alla dottoressa Cannata, che la dinamica di incremento degli spread per l'Italia è stata inferiore alla dinamica degli spread per gli altri Paesi dell'area dell'euro fino a maggio 2011. Quindi, fino a maggio noi eravamo il Paese più virtuoso, ancorché con un incremento leggero degli spread rispetto alla Germania.
Cosa succede a giugno? Siccome a giugno - questa è un'altra carenza di analisi da parte di tutti - la dinamica degli spread non aumenta solo per il nostro Paese, ma aumenta per tutti i Paesi dell'area euro, ne deriva il formarsi di un processo speculativo sui debiti sovrani che riguarda un po' tutto il mondo, riguarda l'area euro e riguarda ovviamente, in particolar modo, il nostro Paese.
Invito, quindi, la dottoressa Cannata a raccontarci cosa è successo anche agli altri Paesi da giugno in poi, per capire le ragioni di questa valutazione dei mercati rispetto al nostro debito.
Va bene che si sia riformata la curva dei rendimenti tra i vari titoli a breve, medio o lungo termine, perché il paradosso di avere rendimenti più alti dei titoli a breve termine rispetto a quelli a lungo termine era veramente una follia; tuttavia, ricordo che negli ultimi sessanta giorni del Governo Monti la media degli spread rispetto agli ultimi sessanta giorni del Governo precedente registra un differenziale di cento punti in più.
Se infatti calcoliamo le dinamiche degli spread tra gli ultimi sessanta giorni del Governo Berlusconi e gli ultimi sessanta giorni del Governo Monti, abbiamo un valore medio degli spread di 100 nel secondo periodo.
Non traggo altre conclusioni rispetto a questo, proprio perché ne abbiamo sentite già troppe su soglie magiche, su soglie di insopportabilità e su effetti di questo o di quel leader di governo rispetto agli spread. Evidentemente il fenomeno, che pure approfitta di debolezze endogene, è in gran parte esogeno, quindi non è colpa dell'uno e non è colpa dell'altro, anche perché i dati fattuali dimostrano che dopo il Governo Berlusconi il livello degli spread si è incrementato di cento punti medi rispetto agli ultimi sessanta giorni del Governo precedente.
LINO DUILIO. Anch'io ringrazio la dottoressa Cannata per questa occasione e mi compiaccio per quanto ci ha detto e per quanto è stato fatto per gestire una situazione che, viste le dimensioni del nostro debito, è indubbiamente assai problematica, come sappiamo.
Vorrei porre alcune domande. La prima è insieme un'osservazione e una domanda. Dottoressa, dalla sua esposizione ho ricavato l'impressione - mi corregga se sbaglio - che l'approccio rispetto alla problematica del debito sia sostanzialmente di breve periodo. Intendo dire che, a mio avviso, la grande questione che abbiamo si riferisce al precostituire condizioni per cui nel medio e lungo periodo, oltre che rientrare, il nostro debito assuma alcune caratteristiche strutturali.
Al riguardo, vorrei chiederle se mi può confermare quanto taluno sostiene, ossia che noi siamo un Paese eccessivamente patrimonializzato. Si dice che saremmo intorno al 120-125 per cento in termini di rapporto tra patrimonio e prodotto interno lordo. Dunque si propone un trade-off sostanzialmente tra patrimonio e reddito perché, al di là delle operazioni di natura finanziaria, noi dovremmo in qualche modo andare oltre la dimensione finanziaria. Anche la sua analisi - e forse non può che essere così - è sostanzialmente di natura finanziaria, il che conferma un andamento che, secondo me, da troppo tempo oramai vede riflettere tale fenomeno, prescindendo da quelli che sono gli andamenti dell'economia reale. Vorrei, dunque, che lei ci dicesse qualcosa anche circa le cause o gli elementi che possano avere concorso, nel tempo, a far sì che il nostro Paese si trovi con un debito di queste dimensioni.
Abbiamo appreso, come lei ha detto, che nel periodo dell'iperinflazione, la concentrazione del debito su titoli a brevissimo termine come i BOT ha concorso a costruire la montagna dell'Himalaya del 120 per cento. Tuttavia, l'aspetto che a me interessa e che vorrei cogliere - è possibile, se esistono riflessioni altrettanto brillanti come quelle relative al versante finanziario - è quale tipo di relazione voi avete individuato, con uno sguardo storico, in questo arco di tempo, tra gli andamenti dell'economia reale e l'andamento del debito. Questo potrebbe anche portare a qualche giustificazione - lo dico per esplicitare
il mio modo di pensare - di nuove politiche keynesiane (uso la parola molto brutalmente) che oggi sono bandite da tutti perché si sostiene che ci siamo talmente complicati la vita sul piano del debito e della finanza e abbiamo accumulato tante spese spurie correnti anche tra quelle in conto capitale, per cui quella che una volta era una giusta e opportuna distinzione tra spese di investimento e spese correnti oggi non possiamo più farla, dicendo quindi no a tutto, sia alle spese buone che alle spese cattive.
Mi interesserebbe quindi che lei ci dicesse qualcosa in più rispetto a questi fenomeni che sono sottesi, a mio parere, all'andamento del debito, che non può essere spiegato esclusivamente con ragioni di carattere finanziario, né risolto esclusivamente con virtuosismi di carattere finanziario.
La seconda osservazione, più breve, è relativa al fatto che a me risulta - lo diceva prima il collega Vannucci - che stiamo andando verso quasi il 60 per cento (prima si era intorno al 50 per cento) di sottoscrittori italiani rispetto al totale del debito. Questo non può portare, a mio parere, alla conclusione che è meglio che niente, per cui la nostra aspirazione deve essere quella di emulare il Giappone. Quel Paese sta vivendo in una situazione che potrei definire agonica o pre-agonica da venti o trent'anni proprio perché ha un debito che è quello che è. Dunque, non possiamo consolarci dicendo che dobbiamo agire in modo tale che i nostri titoli siano appetibili al punto tale da far salire questa percentuale, che è pari a circa il 60 per cento. Vorrei una conferma di questo dato, come peraltro chiedeva già il collega Vannucci, e una conferma, per la sua esperienza, del fatto che la nostra aspirazione non
può essere certo quella di diventare proprietari del nostro debito.
L'ultima questione riguarda le agenzie di rating. Ricordo che, in questa sede, un anno o un anno e mezzo fa abbiamo chiesto anche ad autorevoli esponenti della Banca d'Italia se non era il caso di riflettere sulla creazione di un'agenzia di rating a livello europeo, perché forse il miglior sistema di valutazione affidato a questi organismi è di avere soggetti pluralistici, non nel senso politico deteriore del termine, altrimenti è inutile prendersela con le agenzie di rating.
Ho visto che il nostro già collega ed attuale esimio presidente della Consob Vegas afferma che farà un'indagine per capire le ragioni del declassamento e cose del genere. Secondo me, però, non serve assolutamente a nulla fare un discorso di questo tipo, perché, a dirla fino in fondo e tornando alla mia prima osservazione, io credo che le perplessità sul nostro futuro attengano a questioni di struttura del nostro sistema che non possono essere tutte ancora una volta relative solo ad un'analisi di natura prettamente finanziaria.
Basta vedere quali sono i fondamentali dell'economia italiana, delle grandi aziende italiane e così via, per domandarsi che tipo di prospettive oggi abbiamo. Io non condivido affatto - né credo fosse questa l'intenzione del collega Brunetta - queste distinzioni tra come andava prima e come va adesso lo spread. Credo che noi abbiamo problemi strutturali gravissimi che risalgono non certo alla sola responsabilità del precedente Governo e rispetto ai quali si misura anche il destino di un Paese relativamente a parametri come quello del debito, che sarebbe il caso di analizzare non solo sotto il profilo finanziario.
Sotto questo aspetto, per abbattere questo benedetto debito, nell'ottica di medio-lungo periodo che lei richiamava all'inizio, non pensa che bisognerebbe fare qualcosa di più per scambiare debito con patrimonio? Ci sono attivi di grandi soggetti economici - posso parlare, ad esempio, delle assicurazioni - che secondo me potrebbero essere intrigati dal sottoscrivere dei BTP di medio e lungo periodo, quando ci fosse una politica che puntasse a scambi di questo tipo, ossia scambi di debito con patrimonio.
Diversamente, detto brutalmente, non so come faremo a scendere strutturalmente da questo 120 per cento, a maggior ragione in un'epoca in cui, come lei sa, da vent'anni
cresciamo a tassi rachitici, anche se spero che il denominatore del rapporto debito pubblico-PIL cresca. Non so, tuttavia, quanto questo potrà crescere, se devo basarmi sulla serie storica degli ultimi 15-20 anni.
Ora, se il denominatore non si muove o addirittura tende a scendere, anche se abbiamo previsto il pareggio di bilancio, significa che il rapporto, come lei sa meglio di me, non si ridurrà. La domanda è la seguente: lei condivide questa esigenza almeno di riflettere su uno scambio debito-patrimonio e condivide l'istanza, un po' neo-keynesiana, di recuperare - diciamo così banalmente - un po' di soldi freschi da dare al Ministro Passera senza che vadano a finire nella voce «debito»?
PRESIDENTE. Do la parola alla dottoressa Cannata Bonfrate per la replica alla prima serie di domande.
MARIA CANNATA BONFRATE, Dirigente generale Capo della Direzione II - Debito pubblico del Ministero dell'economia e delle finanze. È vero che la mia presentazione è basata su aspetti finanziari, ma questo è il mio compito. Certo, posso avere delle opinioni personali, ma non ho la stessa sicurezza che posso avere nel considerare gli aspetti finanziari che conosco meglio e sono in grado di comprendere fino in fondo. Non pretendo di avere ricette che non sembrano poi così semplici da trovare per nessuno, anche per chi è molto più ferrato ed esperto di me su questo.
La prima domanda riguardava la spesa per interessi e la differenza tra le due stime. Tale differenza si basa essenzialmente sul fatto che la prima stima è stata fatta alle condizioni di mercato di inizio settembre scorso, quindi in una situazione in cui il tasso a dieci anni era intorno al 5 per cento e la curva dei rendimenti era abbastanza piatta, ma comunque articolata, mentre la seconda stima, quella presentata dal Presidente Monti a inizio dicembre, risentiva della curva dei giorni immediatamente precedenti che, come ho ripetuto, era la peggiore che si potesse immaginare: era la curva leggermente invertita e con tassi del 7 per cento e oltre.
Dove saremmo adesso se facessimo una simulazione? Io direi che saremmo a metà, forse un po' più vicini alla stima di settembre piuttosto che a quella di dicembre. Diciamo che saremmo a metà strada, ma non chiedetemi una stima precisa, perché queste cose vanno fatte bene. Io ritengo giusto, quando si presentano queste stime in un contesto di mercato così fragile e soggetto a umori che variano di giorno in giorno, assumere un certo atteggiamento: oramai, se vedo un tasso o lo spread che scende troppo rapidamente in una giornata, come è successo a metà della settimana scorsa, chiaramente gioisco, ma fino a un certo punto, perché l'abbassamento è troppo repentino e, in questi casi, mi aspetto dei rimbalzi successivi. Non mi spiego - e vi assicuro non ne ho la più pallida idea - perché all'inizio dell'anno gli spread fossero lievitati fino ai 520 punti e oltre. È una cosa
incomprensibile, perché sul mercato praticamente non c'erano flussi; ho indagato presso gli specialisti chiedendo se vedessero flussi di vendita o altro, ma mi hanno risposto in maniera negativa. Eppure gli spread salivano.
Ugualmente sono rimasta molto sorpresa, francamente, quando li ho visti ridiscendere: non c'era onestamente un motivo comprensibile. Pertanto, anche quando il movimento è positivo, io non sono contenta se non riesco a capire perché si sta verificando.
Si tratta di un mercato nel quale, effettivamente, capire fino in fondo cosa sta succedendo è davvero difficile. Ritengo quindi prudente, ovviamente avendo le informazioni disponibili al momento, fissare la situazione in quel momento ed eventualmente, dovendo aspettarsi qualcosa, mantenermi su un lato un po' più pessimistico e prudente.
Quanto alla ripartizione investitori esteri-investitori domestici, è vero, io non l'ho citata, perché purtroppo non ho dati aggiornati. I dati che vengono elaborati dalla Banca d'Italia su questa ripartizione presentano parecchio ritardo. Comunque, gli ultimi dati - se non ricordo male, sono usciti
a dicembre e sono aggiornati a luglio - non evidenziano un sostanziale mutamento fino a luglio, ma noi abbiamo visto che il grosso del deterioramento c'è stato tra agosto e novembre, quindi di sicuro ho la percezione che la componente domestica sia aumentata.
C'è anche da dire che ci sono stati alcuni fattori che hanno determinato grosse criticità. La decisione dell'EBA (European Banking Authority) di valorizzare a mark to market tutti i portafogli, anche quelli di investimento a scadenza, ha avuto davvero un effetto molto pesante sul nostro mercato. Infatti, da un lato gli italiani hanno incrementato con riluttanza i loro portafogli, per non avere richieste di aumenti di capitale basati su fattori contingenti...
RENATO BRUNETTA. Anche se, da un punto di vista giuridico, domestico o estero non sono indifferenti.
MARIA CANNATA BONFRATE, Dirigente generale Capo della Direzione II - Debito pubblico del Ministero dell'economia e delle finanze. Sì. Parlo degli italiani. L'Italia ha fatto sistema in questo momento. Gli investitori esteri ovviamente hanno venduto. Chi deteneva molti titoli italiani in portafoglio - come sappiamo bene, in particolare le banche francesi, ma sono sicura che è successo più o meno ovunque - ha venduto. So che lo hanno fatto anche banche specialiste, che hanno detto di essere state forzate a vendere, altrimenti i loro regulator, le loro autorità di vigilanza non avrebbero consentito loro di continuare, avendo una situazione insostenibile. Questo è avvenuto in alcuni casi per le banche europee. Alcune banche non europee, invece, ci hanno detto di essere state forzate a liquidare, altrimenti le agenzie di rating avevano
minacciato il loro downgrade.
È una situazione veramente molto difficile e delicata. Qualitativamente, dunque, ho la sensazione che la componente domestica sia aumentata. Per quel che riguarda i titoli di Stato, comunque sia, a luglio scorso essi erano ancora detenuti al 51 per cento da soggetti esteri e al 49 per cento da soggetti italiani. Non dimentichiamoci, però, che i titoli di Stato rappresentano l'83 per cento del debito. Se guardiamo il debito complessivo, quindi anche con la componente non negoziabile, che è quasi tutta domestica, la proporzione diventa del 43 per cento per gli investitori esteri e del 57 per cento per gli investitori domestici.
È vero che in questo momento avere una maggiore presenza domestica sarebbe utile, ma che si possa replicare una situazione giapponese non è verosimile, per una serie di ragioni. In primo luogo, ahimè, a mio parere abbiamo un debito troppo grande per la capacità di assorbimento dell'Italia. Questo non vuol dire che non si possa stimolare meglio la domanda interna, tant'è vero che, come lei ha citato, noi stiamo lanciando un nuovo strumento - entro marzo prossimo sarà sicuramente avviato, ma se ce la facciamo anche entro febbraio - venduto direttamente on line alla clientela. Peraltro, specifico che non si tratta di uno strumento triennale, non lo abbiamo ancora definito: il Corriere della Sera ha fatto un esercizio di fantasia. Comunque sia, stiamo ancora definendo le caratteristiche tecniche e stiamo anche organizzando, insieme con il competente Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei ministri, una
opportuna campagna di informazione. Sarà un canale che intendiamo perseguire, ma non aspettiamoci assolutamente di entrare in una situazione giapponese.
Noi abbiamo un target che riguarda le nostre esigenze di funding. Bisogna vedere quando escono le obbligazioni delle banche. Se escono a primavera, come mi viene riferito, noi agiremo prima, questo posso dirlo.
Quanto al discorso concernente il fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato, devo dire che ogni tanto leggendo la stampa rimanevo sorpresa nel sentirlo nominare come una novità. Il fondo esiste ed è stato alimentato corposamente negli anni Novanta e all'inizio degli anni Duemila con le privatizzazioni. Come vi ho accennato, avevamo 1.400 e oltre milioni di
euro e ne abbiamo usati circa 1.400 per un'operazione di buy back in settembre.
MASSIMO VANNUCCI. Quanto ha adesso il fondo?
MARIA CANNATA BONFRATE, Dirigente generale Capo della Direzione II - Debito pubblico del Ministero dell'economia e delle finanze. Adesso ha 100 milioni di euro. Comunque, non c'è bisogno di creare un fondo nuovo perché già esiste e qualunque iniziativa che lo alimenti sicuramente è utile. Ricordo che le risorse del fondo per l'ammortamento possono essere utilizzate sia in riacquisto sia a rimborso di titoli in scadenza, quindi mirando ad alleggerire quello che si offre in asta.
Riguardo alla regolarità delle aste, ritengo che sicuramente se ci fossero 100 miliardi di euro a disposizione con grande piacere farei a man bassa rimborsi a scadenza, senza però cancellare aste a dismisura. È bene mantenere una regolarità nella presenza sul mercato, anche perché l'investitore ha bisogno di regolarità e vuole avere certezza riguardo alla presenza, tant'è vero che ogni volta che facciamo un annuncio con il quale alteriamo quelle che potrebbero essere le aspettative del mercato, sulla base del calendario e quant'altro, spieghiamo sempre molto bene di cosa si tratta.
Per esempio, ad agosto sono rimasta veramente stupita nel sentire che veniva percepita come debolezza la cancellazione dell'asta di metà agosto dei BTP a cinque anni, quasi il Tesoro non se la sentisse di andare sul mercato e via dicendo. Abbiamo spiegato ripetutamente, con un comunicato - ma non basta, bisogna parlare - che si trattava di un ritorno alla normalità, perché noi fino al 2007 regolarmente cancellavamo l'asta di medio-lungo periodo di metà agosto, e quindi, poiché l'autotassazione era andata molto bene, non vedevamo perché, in un momento tipicamente poco liquido, avremmo dovuto forzare il mercato. Insomma, bisogna sempre stare molto attenti nel gestire i cambiamenti, che non devono mai essere drastici.
Sicuramente, se avessi a disposizione 100 miliardi di euro...
Però mi si deve dire dove andiamo a prenderli, perché questo è il problema. Mi accontenterei di molto meno: anche 5 miliardi di euro aiuterebbero a gestire la situazione.
Mi si chiede che cosa è successo a giugno. A parte altre considerazioni ed analisi che si possono fare sulla situazione politica nei singoli Stati e che non mi competono, sicuramente è successo che l'elastico che è stato tirato a livello europeo - per così tanto tempo - ha iniziato a rompersi. Le lentezze, le esitazioni a livello europeo nel decidere come affrontare la crisi greca, che grado di impegno a livello europeo si voleva dare - o attraverso il fondo «salva-Stati» o con un eventuale maggiore margine di manovra di intervento della BCE -, tutto questo è stato ritenuto sempre più un elemento di debolezza. Si è creata un'enorme aspettativa intorno al vertice del 21 luglio 2011, che peraltro era stato preparato con meeting intermedi e in occasione di ciascuno di questi meeting c'era un'enfatizzazione di aspettative che, non succedendo niente, produceva ulteriore deterioramento sul mercato
finanziario. Questo è successo. È successo che la pazienza del mercato si è esaurita e purtroppo, nonostante annunci che sembrano ogni volta presentare una novità, vere novità non ci sono state.
Adesso abbiamo l'accelerazione del fondo permanente di stabilità, che parte, ma bisogna vedere con quante risorse parte. Bisogna, insomma, che i partner europei siano più decisi nel dire che, essendo la nostra un'Unione, si deve agire in un'ottica unitaria.
Il Giappone ha comunque la sua banca centrale e, a livello nazionale, può decidere di fare quello che vuole. A livello europeo noi abbiamo una banca centrale che deve rispettare delle regole che ne limitano l'operatività e, al tempo stesso, vi è uno scarso accordo su come procedere con strumenti alternativi. Per esempio, quando mi chiedono quanto possiamo stare fuori dal mercato, io chiedo a mia volta quanto possono restarci gli Stati
Uniti, e mi rispondono che, senza monetizzare, possono restare pochissimo, monetizzando invece possono rimanerci quanto vogliono.
Abbiamo vissuto anni in cui la monetizzazione del debito veniva vista come il diavolo, il male allo stato puro. E in un certo senso è anche giusto, perché francamente non capisco le preoccupazioni di un'agenzia di rating o di un analista che apprezzano il fatto che gli Stati Uniti monetizzano. Io, invece, mi chiedo se l'investitore è contento di avere indietro della carta svalutata del 50 per cento per effetto dell'inflazione. Quanto è migliore, questo, del rischio di un haircut a un certo momento? Non è poi molto diverso, se andiamo a vedere la sostanza.
Quindi, dopo decenni di demonizzazione dell'inflazione, adesso viviamo anni di enfatizzazione, in cui il fatto di non poter monetizzare è diventato il problema. Un po' di equilibrio non guasterebbe.
Con riferimento ad una osservazione alla mia introduzione che è stata svolta precedentemente, non mi pare di aver presentato un approccio a breve nel mio discorso; anzi, ho detto chiaramente quanto importante sia la continuità. Ringrazio dei complimenti, però ricordo che tutto questo processo è partito nel 1992-1993. È vero, noi abbiamo agito in linea con i nostri predecessori, perseguendo questa strada, qualche volta, anche quando sembrava più facile fare il contrario, avendo quindi un'ottica di lungo periodo, con l'allungamento della vita dei titoli, continuando a essere presenti su tutte le scadenze, eccetera. Però è una linea che nasce in quegli anni e ad essa noi ci siamo attenuti come filosofia di fondo. Non mi sembra che sia un approccio a breve. È naturale che gli strumenti a breve sono quelli che servono quando c'è esigenza di flessibilità, quando tali esigenze prevalgono sugli
obiettivi a lungo periodo, ma ho ripetuto che si tratta della prima metà di quest'anno, forse anche meno; dopo dobbiamo ritornare a una situazione diversa, sempre sperando che la domanda ci assista, ossia che questi downgrade non ci pregiudichino una base di investitori.
Riguardo alle agenzie di rating, da tre anni dico di fare attenzione. Da tre anni mi preoccupo del peso che sempre più è stato assegnato alle valutazioni delle agenzie da parte della regolamentazione. Insomma, si dà troppo peso alle valutazioni di questi soggetti, al punto che una delle tre agenzie - non Standard & Poor's - è venuta a chiederci di eliminare questi automatismi che legano il rating da loro attribuito a scelte di portafoglio, di investimento e via dicendo, sottolineando che loro vogliono essere attori del mercato, ma vogliono anche essere sereni nel dare la propria opinione senza che questo provochi sconquassi a livello geopolitico. Alla fine questo sta succedendo.
Le regole di Basilea prevedono una serie di maggiori pesi per il rischio e, quindi, automaticamente influiscono sulla gestione dei diversi portafogli anche nell'attività cosiddetta di trading, di negoziazione delle banche. Ci sono i portafogli di trading che hanno determinati limiti di esposizione e vengono ridotti. La stessa BCE si affida al rating per definire le categorie degli emittenti. In particolare sui debiti sovrani - su questo sono pienamente d'accordo - non ha senso compiuto che dei soggetti privati determinino questo tipo di effetto, in primo luogo perché le agenzie di rating nascono per fornire informazioni approfondite su emittenti che non sono così conosciuti e i cui dati di riferimento non sono disponibili.
Ora, sui debiti sovrani in genere non c'è difficoltà a reperire informazioni, quindi è giusto dire, a mio avviso, che dei soggetti privati non possono mettersi a valutare dei debiti sovrani influendo così pesantemente sulla vita e sulle scelte degli Stati. Standard & Poor's dichiara che noi potremmo avere difficoltà di accesso al funding a lungo termine, perché si riduce la base di investitori, ma sono loro i primi a ridurla, declassandoci di categoria, dalla A alla B. Sono loro che stanno provocando il problema che paventano.
Peraltro, ho anche la sensazione che, essendo le agenzie state accusate di arrivare sempre troppo tardi, sempre dopo il mercato, sui debiti sovrani cerchino adesso
di rimediare e di ripristinare la loro reputazione correndo a chi arriva prima. Proprio quando Fitch, che aveva preannunciato che entro fine gennaio avrebbe preso una decisione, stava ripetendo in diversi convegni questa opinione, guarda caso viene anticipata questa decisione da Standard & Poor's, che non aveva dato un termine preciso. Insomma, ho il sospetto che ci sia una sorta di competizione perversa a chi «downgrada», per così dire, per prima.
Passando alle altre domande, sicuramente quelli sollevati dall'onorevole Duilio sono aspetti molto importanti. Ho detto che i tassi a breve e l'eccessivo ricorso al breve periodo dei primi anni Ottanta hanno contribuito alla crescita del debito, ma sicuramente all'epoca - e non serve una particolare scienza per dedurlo - si è lasciato correre il fabbisogno in maniera un po' indiscriminata. Non ci si curava di questa lievitazione del debito che stava venendo fuori e non si è approfittato, sicuramente, in alcuni anni di buona congiuntura economica, per correggere i conti. Per tutti gli anni Ottanta i conti pubblici sono stati lasciati andare.
Questo è sicuramente l'elemento centrale dell'esplosione del debito. Dopodiché, correggere è sempre difficile; sicuramente ci sono inefficienze da recuperare e va stimolata l'economia reale, ma non è compito mio individuare le soluzioni a questo riguardo.
Quanto all'idea di un'agenzia di rating europea, più che europea, se proprio ce n'è bisogno, io propenderei per un'agenzia pubblica internazionale. Secondo me gli Stati non dovrebbero essere giudicati da soggetti privati. So che non è semplice, perché, comunque sia, bisognerebbe individuare un soggetto abbastanza indipendente e abbastanza internazionale, ma un'agenzia europea non la vedo tanto bene perché, come sta succedendo con quella cinese, viene vista comunque come locale e partigiana. In fondo, nessuno guarda più di tanto, almeno nel mondo occidentale, le valutazioni dell'agenzia cinese di rating Dagong, sostenendo che quell'agenzia ha attribuito alla Cina un rating molto alto e a tutta l'Europa, Germania compresa, rating molto più limitati.
Comunque, si richiede tempo per creare una concorrenza: non credo che la concorrenza in questo settore per i debiti sovrani risolva il problema. Per i debiti sovrani occorrerebbe un'agenzia pubblica veramente internazionale. Poi si dovrà stabilire se si tratta delle Nazioni Unite, dell'OCSE, del Fondo monetario internazionale o di altri soggetti, ma è anche chiaro che, pur ammettendo che è difficile organizzarla, se non ci si mette a farlo, non si parte.
PRESIDENTE. Do la parola ad altri colleghi che hanno chiesto di intervenire, chiedendo loro di porre domande sintetiche a cui penso seguiranno risposte altrettanto sintetiche, considerato il limitato tempo che ci è rimasto a disposizione.
RENATO CAMBURSANO. Ringrazio la dottoressa Cannata e anche i colleghi che mi hanno preceduto per aver anticipato alcune questioni che intendevo porre.
In primo luogo, la Banca centrale europea nel mese dello scorso agosto è intervenuta: il Tesoro ha notizia di quando, quanto e come sia intervenuta successivamente, fino alla data odierna?
In secondo luogo, dopo il finanziamento della BCE al sistema bancario, quanto il sistema bancario è già intervenuto - temo per nulla - nei confronti della sottoscrizione di debito sovrano?
MARCO MARSILIO. Evito tutte le altre considerazioni e mi limito a porre una sola domanda. Con riferimento alla scelta di andare sul mercato cosiddetto retail, spero che nella sua elaborazione si preveda la possibilità per i cittadini, le famiglie e così via, di superare l'ostacolo che oggi incontrano nell'arrivare a comprare i titoli di Stato. Si tratta di pagare alla banca un diritto per poter acquistare, poi pagare per il mantenimento del conto titoli, poi pagare le tasse. Insomma, non so come state immaginando questa operazione, ma spero e penso che sarebbe utile
prevedere un accesso diretto che consenta anche alle singole persone fisiche, alle famiglie, al semplicissimo cittadino di accedere direttamente e senza intermediazioni, quindi senza costi aggiuntivi, all'acquisto di titoli di Stato.
FRANCESCO BOCCIA. Dottoressa Cannata, oggi ci ha detto una cosa molto grave, ossia che i cosiddetti «specialisti», temendo l'abbassamento del loro rating, sono stati costretti a vendere i titoli di Stato italiani. Ora, molti di questi specialisti sono stati anche scelti dal Tesoro, negli anni che abbiamo alle spalle. Tra questi, alcuni si sono ritrovati ad avere titoli di Stato italiani in misura abbondantemente superiore anche al capitale di vigilanza. La prima banca italiana ha oltre il 120 per cento del capitale di vigilanza in titoli di Stato italiani. Ebbene, temo che sia il cane che si morde la coda. Probabilmente la sua dichiarazione ci deve portare ancora di più - lo dico ai colleghi presenti in Commissione bilancio - a fare un ragionamento molto drastico sul ruolo delle agenzie di rating, le quali hanno al loro interno, come lei sa, soci privati che hanno interessi
diretti su quello che accade sui mercati finanziari.
Dentro questo quadro, che è oggettivamente sconcertante - converrà con noi - noi dobbiamo preoccuparci di avere informazioni che non abbiamo. È evidente anche dalla sua audizione odierna che la Repubblica, o almeno il Parlamento della Repubblica, non ha alcune informazioni rilevanti non solo sulla composizione effettiva del debito, ma anche sui fondamentali, cioè con riferimento al suo collocamento presso le banche, le imprese, gli individui e gli Stati esteri. È opportuno sapere chi compra il debito, ma anche dove questo va a finire. Le chiedo, allora, in maniera molto secca: in base al monitoraggio del Tesoro sui derivati relativi al debito pubblico, quanta parte del debito pubblico italiano è «trattato» con derivati?
L'ammontare complessivo dei cosiddetti CDS (Credit Default Swap) che sono legati al nostro debito pubblico è monitorata dal Tesoro? Se non lo è, perché noi spesso siamo costretti a fare valutazioni sulla base delle cose che leggiamo sui principali giornali e organi di informazione anche internazionali, la quota di CDS sul debito pubblico italiano è valutata e monitorata dal Tesoro oppure no? Come presumo che lei sappia, è una quota che è direttamente correlata a una serie di dinamiche che lei molto opportunamente oggi ci ha raccontato.
ROLANDO NANNICINI. Dottoressa Cannata, mi associo ai ringraziamenti e vado subito alla sostanza. Quanto alle emissioni lorde al netto dei concambi, c'è un dato nella documentazione consegnata che già conoscevamo: nel 2009, 534 miliardi di euro, nel 2011, 423 miliardi di euro. Ecco, questa potrebbe essere una valutazione corretta - nel senso che ne abbiamo avuto bisogno - ma la sento da lei e non da altri.
Anche per le agenzie di rating, un Paese che fa riduzione di emissioni è un Paese che merita attenzione. Questo è un Paese reale che da 534 miliardi nel 2009 ha ridotto le emissioni nette al lordo dei concambi a 423 miliardi nel 2011.
Questo è indicato nell'ultima legge di stabilità. Conosco il dato del 2012, ma dalle sue riflessioni è emerso che sulla crisi, al di là del ritardo delle scelte europee, hanno inciso le agenzie di rating a maggio-giugno dello scorso anno che ci hanno spinto verso il declassamento.
Vedo troppo ottimismo su questa tripla B, glielo dico con molta franchezza. Dovremo veramente, come livello tecnico, non solo come livello politico, fare emergere dati positivi sull'andamento delle emissioni italiane, come quello delle emissioni lorde al netto dei concambi; ugualmente, aspetti come la durata media e tutti gli elementi che lei ci ha ricordato dovrebbero essere sottolineati molto di più, perché si incide molto più sul piano tecnico anziché sperare che questi non incidano. Il mercato già lo sapeva. Io sono molto preoccupato da questo fatto e dalla tripla B attribuita all'Italia.
AMEDEO CICCANTI. Dottoressa Cannata, con la rinegoziazione dei titoli per il 2012, visto il differenziale esistente tra i BOT e i BTP, non conviene accorciare le scadenze, anziché allungarle? Avete valutato questa strada da percorrere in termini anche di quantificazione?
Infine, l'idea di un'authority internazionale per il rating, come ad esempio il Fondo monetario internazionale, che già fa analisi in tale settore e quindi sarebbe il più titolato a fare rating, è stata valutata in qualche sede? C'è una qualche riflessione su un'agenzia a livello internazionale, come auspicava lei?
PAOLA DE MICHELI. Immagino, non essendo stata presente all'inizio dell'audizione, che nessuno le abbia posto il tema che intendo sollevare. Circolano ipotesi giornalistiche, ma non solo, rispetto alla soluzione del problema dei pagamenti della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese, attraverso l'utilizzo di titoli di debito pubblico. Immagino che, se queste ipotesi sono molto di più che una tesi giornalistica, ma incominciano a concretizzarsi, lei dovrebbe essere stata coinvolta. Le chiedo se ci sono possibilità concrete, se è un'ipotesi ragionevole e realizzabile.
PRESIDENTE. A proposito di monetizzazione del debito!
Do la parola alla dottoressa Cannata Bonfrate per la replica finale.
MARIA CANNATA BONFRATE, Dirigente generale Capo della Direzione II - Debito pubblico del Ministero dell'economia e delle finanze. Mi è stato chiesto innanzitutto se sappiamo quanto e cosa la BCE ha fatto. Dunque, la BCE dà un'informazione molto scarsa su quello che fa. Solo ex post, all'inizio della settimana successiva, dice quanto ha comprato, ma senza specificare su quali titoli o segmenti. Pertanto, noi andiamo per deduzione, cercando di capire cosa ci dicono gli specialisti.
Sicuramente la BCE è intervenuta consistentemente ad agosto, consistentemente a settembre, poi ha ridotto moltissimo l'intervento. Avendo questi dati così generici, il quantitativo impegnato è abbastanza cospicuo, sicuramente sopra i 100 e forse vicino anche ai 200 miliardi di euro (non ho verificato il dato, ma sicuramente sopra i 100 miliardi). La BCE ha ovviamente rallentato, anzi è quasi sparita dalla scena, dopo l'iniezione di liquidità. Questo è sicuramente vero. Non so, però, cosa stia facendo in questi giorni, perché di nuovo sembra che stia intervenendo, ma lo sappiamo sempre ex post e poi dobbiamo dedurre per quanto riguarda la Spagna, per quanto riguarda l'Italia e via dicendo. Non c'è molta trasparenza al riguardo.
Il finanziamento delle banche non ha sicuramente determinato nell'immediato effetti enormi, però, a mio parere, un pochino cominciano a vedersi. Io ritengo che il miglioramento dei risultati d'asta registrato nei tempi recenti sia un segnale che comunque qualcosa si sta muovendo in questo senso. Naturalmente, bisogna che si dissipino alcuni timori riguardo gli effetti di una detenzione di titoli che diventi troppo elevata.
Per quanto riguarda il retail, il problema della riduzione dei costi è vero, ma secondo me vi è più che altro un problema di barriera. Il dossier titoli è indispensabile, perché il debito pubblico italiano è dematerializzato. Tengo a sottolineare che questa dematerializzazione è un elemento di sicurezza e di protezione del risparmiatore. Voi non avete idea di quante situazioni abbastanza penose, di persone magari anziane che si ritrovano titoli di debito pubblico prescritti, abbiamo eliminato con la dematerializzazione. Il giorno stesso del rimborso del capitale e del pagamento della cedola c'è l'accreditamento sul conto del sottoscrittore.
Tra l'altro, quando nei primi tempi ci siamo resi conto che qualche banca se ne approfittava e non accreditava il giorno stesso, ma qualche giorno dopo, siamo intervenuti con il decreto per la trasparenza delle operazioni di collocamento dei titoli di Stato, imponendo che il giorno stesso vengano accreditati interessi e rimborso del capitale.
Stiamo pensando a qualche forma di riduzione di costi da parte dei sottoscrittori di questo titolo cosiddetto retail, ma devo dire che nella sottoscrizione diretta di titoli italiani la vera barriera non è costituita tanto dai costi. I costi sono talora molto pesanti - parlo in generale, non voglio essere aggredita dai gestori di fondi - nel risparmio gestito: la mia esperienza episodica mi segnala che in quell'ambito ci sono spesso dei costi veramente eccessivi.
I costi per la sottoscrizione di titoli di Stato sono limitati dal ricordato decreto per la trasparenza per quel che riguarda i BOT e, per il resto, sono fissati dalle norme se la sottoscrizione avviene in asta. Per quel che riguarda l'acquisto sul mercato secondario, ci sono delle commissioni, ma onestamente non sono proibitive e tali da scoraggiare l'investimento.
Quello che scoraggia l'investimento è che mediamente una persona va in banca dicendo di voler comprare un BTP, un CTZ, un BOT, e il dipendente della banca fa di tutto per vendere assolutamente qualsiasi altra cosa. Il problema è questo. Per tale ragione noi stiamo cercando questo canale alternativo per cui il cittadino potrà direttamente emettere l'ordine on line andando sulla piattaforma del MOT (Mercato telematico delle obbligazioni e dei Titoli di Stato), quindi non avrà questo problema.
Non potete immaginare quante persone, non solo la classica vecchietta - povere vecchiette, non vi dico che cosa alcuni fanno sottoscrivere a volte - ma anche persone che hanno le idee chiare, alla fine si fanno intimidire dal dipendente bancario che consiglia determinati prodotti.
La possibilità di «bypassare» il contatto con la persona in banca che induce a fare qualcosa di diverso rispetto a quello che si voleva fare, mi sembra un punto molto importante.
Cercheremo di prevedere qualche incentivo per chi magari detiene il titolo fino a scadenza, con qualche riduzione di costi, ma il dossier titoli è indispensabile.
Le informazioni che vi ho dato sono tutte presenti sul sito Internet del Ministero dell'economia e delle finanze nella sezione di pertinenza della direzione generale che si occupa del debito pubblico. Noi facciamo comunicazione il più possibile: io stessa faccio frequenti viaggi, incontri con investitori e queste cose le dico. Ci sono, però, momenti in cui, in base alle mode, si ritiene utile interiorizzare alcune informazioni e altre no. Posso dire che il nostro sforzo per fornire informazioni c'è su tutte le questioni.
Riguardo al discorso dell'accorciamento delle scadenze, come ho detto prima, accorciare va bene, ma solo tatticamente per un periodo limitato. Sicuramente bisogna essere presenti il più possibile - dipende anche dalla domanda - su tutta la curva, ma accorciare troppo è pericoloso.
D'altra parte, il risultato che vi ho evidenziato del costo del debito al 2,10 per cento nel 2010, in un anno in cui abbiamo allungato la durata del debito, dimostra che magari si lascia qualcosa, ma è tutto sollievo e maggiore tranquillità per il futuro. Quindi, questo accorciamento c'è e ci sarà in questi mesi per una ragione tattica, ma strategicamente non è opportuno.
Riguardo alle agenzie di rating, la riflessione non è avanzata. Qualche proposta episodica è stata lanciata ma non è stata raccolta finora. Credo che sia molto controverso decidere qual è l'istituzione internazionale che intende prendersi questa incombenza, poi c'è sempre il sospetto che da qualche Stato o gruppo di Stati possa essere vista come una istituzione partigiana.
È vero, però, che una riflessione seria non è partita, nonostante qualche proposta in questo senso, e secondo me - prima o poi - sarebbe opportuno che partisse. Questa è una mia valutazione personale.
Onorevole Boccia, io ho detto che qualche banca - pochissime, una o due - ha avuto pressioni da parte delle agenzie di rating per vendere i titoli di Stato. Tuttavia, le pressioni non sono arrivate solo dalle agenzie di rating, ma anche dalle istituzioni di vigilanza. Se devo dire - tra le
due - quale pressione è stata maggiore, direi che lo è stata quella delle istituzioni di vigilanza, nella direzione di far vendere alle banche, ritenendo che fossero troppo esposte in questo Stato o in quell'altro Stato. Che ciò riguardi una banca italiana, francamente, io non lo vedo come un grandissimo problema, perché se il sistema Italia - Dio non voglia - andasse a gambe all'aria, non credo che le banche italiane resterebbero comunque indenni.
Talora mi viene chiesto se non possiamo fare come gli spagnoli, che stanno ricomprando tutto il loro debito: invero la situazione degli spagnoli è un po' artificiale. Prima di tutto, non dimentichiamo che la Spagna ha un terzo del debito pubblico italiano e le grandi banche spagnole sono più grandi delle più grandi banche italiane, quindi, volendo, hanno questa capacità di assorbimento, però, evidentemente, non si fanno tanti problemi di rapporto tra Bonos, titoli spagnoli detenuti in portafogli, e capitale di vigilanza. Non so esattamente per quale motivo questo per loro non rappresenti un problema. Quindi, bisogna decidere che cosa si vuole fare.
Riguardo ai citati CDS, il relativo mercato è stato molto danneggiato, direi abbastanza congelato, dalla questione greca. Il fatto che il private sector involvement sia basato su un apporto nominalmente volontario da parte degli investitori privati, che affermano volontariamente di volere aderire, ha fatto sì che nelle regole che disciplinano i CDS non scattassero le clausole di fallimento. Quindi, adesso il mercato dei CDS viene usato molto meno di prima - in generale - perché si tratta di un'assicurazione che non si ritiene più valida. In realtà, non ripaga in caso di problemi seri, quindi viene utilizzata di più da parte delle banche per la gestione del rischio di controparte, nel senso che piuttosto che mettere più capitale e più liquidità, il CDS costa meno e alla fine viene utilizzato. Comunque sia, è vero che i volumi di CDS sull'Italia sono maggiori dei volumi riferiti ad altri Stati,
però questo dato è strettamente correlato al maggior volume del debito pubblico rispetto alla media degli altri Stati. La percentuale in volumi dei contratti di CDS sull'Italia non è stratosferica: ovviamente, se guardiamo il debito italiano rispetto ad altri, la percentuale sembra maggiore perché è più grande il debito, ma non ci sono situazioni particolarmente critiche.
Mentre fino a qualche mese fa i movimenti dei CDS andavano oltre a quello che si verificava sugli spread, recentemente - forse anche per questa perdita di valore attribuita a tale strumento - in realtà gli spread sono più aggressivi dei CDS.
Onorevole De Micheli, è vero che ci sono queste ipotesi di utilizzo di titoli del debito pubblico come mezzo di pagamento della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese, però la scelta è comunque sempre questa: quanto maggior debito si ritiene sia politicamente sopportabile per tale fine? Le scelte che verranno prese vanno al di là del mio compito.
PRESIDENTE. Ringrazio la dottoressa Cannata Bonfrate per questa interessantissima audizione.
Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata, consistente in una nota sulle problematiche relative all'emissione e al collocamento dei titoli di Stato (vedi allegato 1) e in tabelle concernenti le emissioni del Tesoro nel 2011 (vedi allegato 2).
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 13,50.
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