Sulla pubblicità dei lavori:
Aprea Valentina, Presidente ... 3
Audizione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, professore Francesco Profumo, sulle linee programmatiche del suo Dicastero (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Aprea Valentina, Presidente ... 3 4 13 14 16 20 21 30
Bachelet Giovanni Battista (PD) ... 20
Profumo Francesco, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ... 3 4 10
Capitanio Santolini Luisa (UdC) ... 23
De Torre Maria Letizia (PD) ... 29
Frassinetti Paola (PdL) ... 28
Ghizzoni Manuela (PD) ... 13 14 21
Gianni Giuseppe (PT) ... 10 28
Zazzera Pierfelice (IdV) ... 26
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente
Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI.
Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 15,10.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, professore Francesco Profumo, sulle linee programmatiche del suo Dicastero.
Siamo particolarmente lieti di cominciare l'anno parlamentare con l'audizione del Ministro Profumo. Questa è la prima seduta, dunque colgo l'occasione per formulare a tutti i colleghi i migliori auguri per un buon anno di lavoro proficuo, che ci dia soddisfazioni, perché ultimamente ne abbiamo avute molto poche.
Prima di dare la parola al Ministro Profumo, desidero ringraziarlo perché, come sapete, ha già rilasciato molte interviste e avuto modo di divulgare il suo pensiero, ma ha rispettato la prassi parlamentare, che prevede che i ministri prima di tutto presentino la propria azione di governo al Parlamento, per poi svilupparla anche favorendo la comunicazione nei vari settori.
Do quindi la parola al Ministro Profumo.
FRANCESCO PROFUMO, Ministro dell'istruzione, dell'università e ricerca. Grazie, signor presidente. Buongiorno a tutti e buon anno, anche se è passato qualche giorno dall'inizio.
Vorrei oggi condividere con voi qualche riflessione relativa alla politica del Ministero durante l'azione di governo. In particolare, se siete d'accordo, potremmo procedere in questo modo: nella seduta odierna, dapprima potrei esporre le linee strategiche di alto livello e, in seguito, potrei ascoltare i vostri primi interventi. Se poi ci saranno le condizioni, potremmo dedicare una seconda audizione ai vostri feedback, per poi concludere la discussione. Credo che questa modalità di lavoro ci potrebbe consentire di ottenere il miglior risultato.
Oggi, in particolare, vorrei parlare, in ordine, di ricerca, di università e di istruzione. A tal proposito, desidero far rilevare un primo elemento, sul quale, nella mia qualità di rettore, ho svolto una profonda riflessione, in questi mesi e nei mesi precedenti. Come noto, a fronte di un investimento-Paese di circa 50 miliardi di euro sul VII Programma quadro - il che significa che il Paese ha contribuito, sulla somma di 50 miliardi complessivi, per una percentuale pari al 14,8 per cento, che corrisponde a quasi 7,5 miliardi di euro -, alla fine del 2013 ci auguriamo che il ritorno in termini di progetti approvati si assesti intorno all'8,5 per cento. Questo significa che, sulla somma di 50 miliardi -
e quindi sulla quota parte corrispondente del nostro Paese -, noi perderemo quasi mezzo miliardo all'anno.
Dobbiamo svolgere una riflessione su questo aspetto, anche perché il numero di proposte presentate dal nostro Paese è in genere alto o molto alto; la difficoltà è nella fase del confronto e quindi si riferisce alla premialità delle proposte presentate.
Al riguardo, credo sia necessario che il Paese attui al suo interno una politica «di palestra», in tempi sufficientemente anticipati rispetto all'avvio dell'VIII Programma quadro che, come credo ricordiate, si chiama Horizon. In questo caso avremo non più 50 ma 80 miliardi di euro, a fronte dei quali l'investimento del nostro Paese sarà pari a circa 12 miliardi. Per darvi un'idea, ciò significa che il Paese, in sette anni, investirà quasi 1,7 miliardi di euro, che naturalmente corrispondono ad una cifra molto alta, anche rispetto alle disponibilità del Paese stesso.
L'obiettivo, attraverso questa palestra, è mettere i nostri ricercatori - che indubbiamente possiedono competenze di alto livello qualitativo, come essi stessi dimostrano in tutte le occasioni in cui si presentano come singoli - nelle condizioni di imparare e di «allenarsi», prima sul panorama nazionale e poi, eventualmente, anche in stretta connessione con le grandi istituzioni europee, proprio al fine di essere più preparati nel momento del confronto.
Queste sono le mie prime considerazioni che vorrei condividere con voi.
A che punto siamo? Dal punto di vista della ricerca, vi sono alcune azioni già in essere e alcune azioni che devono essere avviate o sono state avviate nella seconda metà dell'anno scorso.
In particolare, in merito alle azioni in essere, vorrei ricordarvi che, in relazione alla ricerca FAR, i cui destinatari sono imprese, università ed enti di ricerca collocati nelle regioni del Centro-Nord e del Sud, escluse le regioni della Convergenza, le risorse disponibili ammontano a circa 700 milioni di euro. Sul PON azioni integrate, che ha come destinatari sempre imprese, università, pubblica amministrazione ed enti di ricerca e, come area geografica di riferimento, quella delle regioni della Convergenza, abbiamo investito circa 400 milioni di euro.
PRESIDENTE. Chiedo scusa, Ministro, possiamo distribuire i dati?
FRANCESCO PROFUMO, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Certamente, lo faremo dopo, in modo tale da poter scendere nel dettaglio nella prossima seduta. Nell'azione Distretti tecnologici 1, che ha come destinatari imprese, università ed enti ricerca, nell'area delle regioni della Convergenza, è investito un importo di 514 milioni di euro; nell'azione Distretti tecnologici 2, sempre rivolta a imprese, università ed enti di ricerca del Centro-Nord e del Sud, escluse le regioni della Convergenza, è investito un importo di 375 milioni di euro. Nel Fondo infrastrutture, destinato ad università e centri di ricerca nelle aree della Convergenza, ci sono 650 milioni di euro. Inoltre, c'è un fondo di venture capital, di capitale di rischio, che ha come destinatarie le imprese, sempre nell'area della Convergenza, che ammonta ad 80
milioni di euro. In totale si tratta di 2 miliardi 720 milioni di euro. Quelle che ho elencato, quindi, sono le azioni in essere.
Quanto alle azioni da avviare, invece, vi sono gli incentivi al venture capital per gli spin off, i cui destinatari sono imprese, università ed enti di ricerca della zona del Centro-Nord, per un importo pari a 100 milioni di euro; per le zone franche di innovazione, che hanno come destinatari imprese, università, pubblica amministrazione ed enti, nell'area delle regioni della Convergenza, vi è un importo pari a 20 milioni di euro; per il procurement pre-commerciale, destinato a pubblica amministrazione e imprese, vi è un importo di circa 2 milioni di euro; il FIRB Giovani, il cui bando è stato pubblicato alla fine di dicembre solo per i ricercatori, università ed enti di ricerca, ammonta a 58 milioni di euro; per i progetti di interesse nazionale, sempre destinati a ricercatori dell'università
e degli enti di ricerca, per tutte le aree geografiche, vi è uno stanziamento pari a 173 milioni di euro; per i poli di eccellenza, destinati all'università nelle aree della Convergenza, vi sono 150 milioni di euro. La cifra complessiva ammonta a 3 miliardi 222 milioni di euro.
In totale, dunque, con riferimento alla ricerca, vi sono circa 6 miliardi di euro, per le azioni che sono state messe in atto alla fine dello scorso anno e per quelle che saranno messe in atto nei primi mesi di questo anno.
Come dicevo, occorre trovare una convergenza nel Paese, in modo tale da individuare alcune priorità. Credo voi sappiate che, con riferimento a Horizon 2020, uno dei temi di maggiore interesse è quello relativo alle «città intelligenti». Il tema riscuote attenzione perché, nella realtà, la città diventa l'agglomerato attraverso il quale si estrinseca la domanda dei cittadini. Si registra un incremento delle grandi città e, nello stesso tempo, anche un incremento del numero delle città di livello medio e, dunque, si ritiene che dal 2020 in poi la città diventerà il vero centro di domanda e il centro di innovazione per il mondo intero.
Nell'VIII Programma quadro sono previste azioni per un totale di circa 11 miliardi di euro, in parte finanziati, in parte cofinanziati, tramite una partecipazione degli Stati nazionali, direttamente o indirettamente attraverso le aziende degli Stati.
In questa direzione, ho pensato fosse opportuno lanciare un «progetto-Paese» che consentisse di avviare una serie di azioni volte a trasformare molte delle esperienze estremamente positive che sono state realizzate nel Paese in questi ultimi anni, ma che rimangono esperienze di singoli, di comunità, di città, e non hanno avuto la capacità di diventare «progetto-Paese».
Procederei secondo due linee: la prima linea relativa alle aree della Convergenza, estesa, in realtà, ad altre quattro regioni, ossia la Sardegna, la Basilicata, il Molise e l'Abruzzo; la seconda linea relativa alle regioni del Centro-Nord. Rispetto al primo caso, siamo nelle condizioni di emettere il bando nei prossimi giorni: dopo averli incontrati già a dicembre, giovedì 12 gennaio incontrerò nuovamente i rappresentanti delle regioni per presentare i dettagli del bando. L'idea è quella di individuare sette filiere: la scuola (prioritariamente), la mobilità, la salute, il governo, l'energia, l'ambiente e la cultura/il turismo. Alla base di questo progetto vi è l'idea che ci sia una parte di realizzazioni hardware, che rimane «baricentrato» sui territori cui fa riferimento l'investimento. Dall'altra parte, vi è tutto quanto è soft, che, quindi, può diventare un
«progetto-Paese».
L'obiettivo è quello di sottrarre ai server delle nostre pubbliche amministrazioni i singoli progetti e riportarli a un livello più alto. Quindi, nel progetto si pensa anche a una struttura di storage, di cloud, che consenta di condividere le esperienze realizzate attraverso le sette filiere, prima con le regioni della Convergenza estesa e, in seguito, con il Paese intero.
Si tratta di avviare sette progetti pilota, in ciascuna delle regioni della Convergenza, con un valore tra i 25 e i 30 milioni di euro, che parta dalla domanda pubblica, alla quale rispondono associazioni temporanee di imprese. Fondamentalmente, all'interno ci saranno aziende di hardware, con competenza di settore, probabilmente le telco, in modo tale che nel complesso ci sia la possibilità di sviluppare un progetto immediatamente realizzabile.
Inoltre, a fronte di una risposta alla domanda pubblica di questo genere, immagino che sui territori si verranno a creare situazioni di spin off di nuove imprese, che, insieme alle grandi aziende dell'ATI, potranno permettere di realizzare il progetto e, quindi, di crescere insieme.
In base all'esperienza che ho avuto in questi anni, molte delle aziende che nascono in questi termini hanno una buona od un'ottima capacità dal punto di vista tecnologico, ma hanno difficoltà dal punto di vista della gestione del management complessivo. L'idea, dunque, è quella di avviare un processo di aiuto nei confronti di queste aziende, attraverso il ricorso, in
parte, a capitale di rischio; nel momento in cui la situazione si sarà consolidata, potremo pensare di avere un distretto, naturalmente di filiera, che consenta di dare un'aggregazione all'insieme delle aziende grandi dell'ATI, delle aziende nate, che permetta alle aziende stesse di collocarsi non solo sul mercato della regione ma anche in quello nazionale e, ci auguriamo, per alcune di queste, anche nella competizione internazionale.
In questa prima fase ci sarà un investimento di 200 milioni di euro, con una partecipazione al 50 per cento del Ministero dell'università e della ricerca e al 50 per cento del Ministero dell'ambiente. A seguire, saranno stanziati altri 200 milioni di euro dal Ministero dello sviluppo economico. Questo riguarda la prima fase, che stiamo per avviare. In primavera o all'inizio della seconda parte dell'anno, avvieremo un progetto analogo per un ammontare di circa 700 milioni di euro per il Centro-Nord. Nel primo caso si tratta di risorse a fondo perduto, mentre nel secondo caso si tratta di risorse parzialmente a fondo perduto e parzialmente a fondo rotativo. Se andiamo nella stessa direzione anche per il Centro-Nord, possiamo pensare di creare un «progetto-Paese» che ha lo scopo di avviare un'innovazione del Paese nei sette settori che abbiamo individuato.
Successivamente, potremo pensare di allargare la piattaforma ad altri settori, che potranno godere direttamente anche dell'esperienza precedente.
Dal punto vista della ricerca, dunque, abbiamo un forte allineamento a Horizon 2020, le attività in corso, il «progetto-Paese» e l'allenamento dei nostri ricercatori per Horizon 2020.
Nel mese di dicembre, come dicevo, abbiamo attivato un bando per circa 170 milioni di euro per progetti di interesse nazionale e, in questo caso, abbiamo indicato come priorità, naturalmente per i settori che hanno queste specificità, le azioni di Horizon 2020. Abbiamo anche individuato una modalità per evitare di avere un eccesso del numero di domande presentate, perché Horizon 2020 partirà nella primavera del 2014 e abbiamo in mente di avviare questa palestra, che ci consenta di fare un doppio giro, uno nel 2012 e uno nel 2013.
C'è un'altra priorità all'interno della call: tutte le attività in collaborazione con altri Paesi dell'Europa saranno valutate come prioritarie al fine della distribuzione dei fondi. Noi ci aspettiamo di ricevere circa 600 domande, circa un terzo delle quali riteniamo possano essere valutato positivamente. I progetti, dunque, sono sostanziosi: riteniamo che questa potrebbe essere la strada giusta per avviare un processo virtuoso che ci consenta di raggiungere l'obiettivo fondamentale, quello, cioè, di accrescere la nostra capacità di competere in Europa e di recuperare il pesante deficit che ormai è diventato insostenibile per il Paese.
In modo analogo, abbiamo avviato una call anche sul progetto FIRB Futuro in Ricerca, che è giunto alla terza edizione. È una call di grande successo perché rivolta a giovani ricercatori, con tre diverse specificazioni, che adesso non è il caso di specificare nel dettaglio. Questa è un'ottima palestra per l'European Research Council (ERC). Si tratta di grant della stessa tipologia, naturalmente molto più competitivi a livello europeo; in questo caso il grant è direttamente della persona, che lo può trasferire da un'università a un centro o a un altro centro ancora, in funzione delle migliori condizioni che vengono offerte.
Questo rappresenta un elemento di grande importanza, soprattutto per i più giovani, che hanno la possibilità di imparare a gestire un grant importante, che valga tra 500 mila euro e un milione di euro; tutto ciò è finalizzato a far sì che la persona sia poi in grado anche di strutturare un suo centro di ricerca e di affrontare nel migliore dei modi la competizione al di fuori del Paese.
Affronto ora il secondo punto, quello relativo all'università. Il percorso riformatore in atto prevede un ringiovanimento dell'università e una revisione del sistema di reclutamento, la riforma dei dottorati di ricerca, la valutazione e l'accreditamento
degli Atenei e dei corsi; il diritto allo studio e il sistema integrato di politiche a sostegno degli studenti, nonché una revisione del sistema di finanziamento dell'università.
Sapete anche che è in atto la fase conclusiva - con riferimento ai decreti attuativi - dell'iter avviato con la legge n. 240 del 2010, al fine di poter avviare al più presto il sistema complessivo. Da questo punto di vista, vi ricordo che sono in fase di valutazione gli ultimi 26 statuti. La prossima settimana si terrà la prima riunione relativa ai 26 statuti e l'obiettivo è quello di concludere tutto il percorso tra la metà e la fine di febbraio.
Naturalmente eviteremo di rilasciare tutti gli statuti contestualmente, ma provvederemo a trasferirli alle università nel momento in cui saranno stati valutati, al fine di agevolare il percorso.
Dal punto di vista del finanziamento, vorrei condividere con voi alcune considerazioni. Il ruolo dell'università nei territori, oggi, è cambiato radicalmente rispetto a qualche anno fa. Nella realtà c'è una stretta sinergia tra territori che hanno una buona od ottima capacità di crescita e il ruolo delle università nel territorio. Pertanto, per le università, il riferimento non è più solo il Ministero, in quanto i riferimenti sono diventati molteplici e, soprattutto, le università che hanno avuto una capacità di crescere in termini di autonomia responsabile hanno sfruttato al meglio queste condizioni.
Quali sono gli attori con i quali le università oggi si confrontano? Certamente gli enti locali: le regioni, le province, i comuni. Inoltre, le università hanno un interlocutore in molti casi di grandissimo interesse come le fondazioni bancarie e, in genere, il sistema della finanza (non sempre, ma in alcuni casi tale interesse è stato molto evidente, per esempio nella regione da cui provengo, mentre in altri casi lo è stato un po' meno). Certamente l'Europa è un interlocutore di grande interesse e il Ministero, da questo punto di vista, è un interlocutore consolidato.
Se si ragiona in questo modo, capite che il Fondo di funzionamento ordinario, che è stato da sempre il solo focus delle università - io sono cresciuto con questo mito, essendomi sempre chiesto a quanto sarebbe ammontato il Fondo di funzionamento ordinario dell'anno seguente e come lo avremmo gestito -, diventa un «di cui» di un sistema più complesso, che proverò a rappresentare attraverso tre grandi contenitori relativi alle risorse: un primo contenitore è rappresentato dalle risorse a copertura delle spese correnti; un secondo grande contenitore è rappresentato dalle risorse per le infrastrutture e un terzo grande contenitore è costituito dalle risorse per la ricerca.
Per ciascuna università, immaginate di avere una grande matrice, con una riga costituita da tante colonne, che rappresentano le risorse per l'università. Alla fine di questa riga c'è una somma. Vediamo che cosa significa questa somma e se il fondo di funzionamento ordinario è ancora prevalente oppure è una parte del totale. Avete capito dove voglio arrivare.
Prendiamo in esame il primo contenitore, quello rappresentato dalle risorse per le spese correnti: una quota importante di tale finanziamento è rappresentata dal Fondo di funzionamento ordinario, che mi auguro abbia un valore sempre più importante. Il secondo elemento è la programmazione triennale che, ad oggi, è un elemento non molto importante dal punto di vista quantitativo: tuttavia, mi auguro che nel prossimo futuro lo diventi, ma soprattutto che consenta di indirizzare le policy delle università in modo più aggregato rispetto a quanto oggi avviene. Il terzo elemento è costituito - si tratta di risorse non dirette ma indirette - dalle economie da turnover. Vorrei spendere qualche parola con riferimento a questo termine. Voi sapete che ad oggi (probabilmente in futuro ciò cambierà) il 50 per cento delle risorse da turnover può essere utilizzato per il personale, mentre
il restante 50 per cento rimane all'università: si registra, quindi, uno spostamento dalla spesa corrente alla possibilità di un utilizzo libero delle risorse, destinate alla progettualità dell'università ed agli investimenti.
Occorre riflettere su questo elemento, perché le risorse determinate dalla liberazione del 50 per cento del turnover stanno diventando sempre più importanti, sebbene non in modo omogeneo per tutte le università, in quanto naturalmente le università giovani hanno un turnover più limitato, mentre le università storiche ne hanno uno mediamente molto più elevato. Per darvi un'idea, nel 2012 il recupero da turnover ammonterà a circa 400 milioni di euro. In virtù della mia esperienza di rettore, so che è estremamente importante avere risorse, ma soprattutto avere risorse non vincolate. Si registra, quindi, uno spostamento da risorse vincolate, che sono quelle relative al personale, a risorse non vincolate, che possono essere finalizzate alla progettualità.
Ebbene, sommando questi tre termini - fondo di funzionamento ordinario, programmazione triennale ed economie da turnover -, per l'anno 2012 si arriva a circa 7,5 miliardi di euro. Naturalmente sul turnover è stata inserita anche una quota di 400 milioni di euro del «Fondo-Letta», dei quali intenderei investire 300 milioni sul Fondo di funzionamento ordinario e 100 milioni nella modalità che adesso vi riferirò.
Il secondo grande contenitore, come ho detto, è quello costituito dai fondi infrastrutturali. Il primo obiettivo che mi sono posto è quello di ricreare il fondo per l'edilizia. Chi di voi ha avuto rapporti con l'università ricorda che purtroppo, in questi ultimi anni, il fondo per l'edilizia è sempre stato pari a zero. Ciò ha messo in grandi difficoltà le università, che non sono state in grado di avviare progetti, pur limitati dal punto di vista edilizio, che devono avere un obiettivo primario, ossia la qualità del servizio per gli studenti. Dei 100 milioni di euro che residuano dai 400 milioni di euro del «Fondo Letta», vorrei dedicarne 25 proprio al fondo per l'edilizia. Dobbiamo considerare che i fondi per l'edilizia hanno alle loro spalle accordi di programma che possono essere quinquennali, settennali o decennali. Credo che li potremmo «baricentrare» sui sette anni, mediamente, il che
significa che, a fronte di 25 milioni di euro, nella realtà se ne impegnano 175 milioni (derivante dalla moltiplicazione di 25 per 7).
Questo vuol dire che alle università si può dare una competenza settennale di valore più importante, il che naturalmente può essere di grande interesse, anche perché, come vedremo in seguito, in alcune aree del Paese si è registrato, in questi anni, un intervento abbastanza importante in ordine all'edilizia e, quindi, questo fondo potrebbe essere destinato a un'altra quota parte di Paese.
L'obiettivo, pertanto, è quello di creare un fondo per l'edilizia, che inizieremmo ad alimentare con 25 milioni di euro, che, in termini di competenza, diverrebbero 175 milioni per le università.
A proposito del secondo fondo, ricordate che la legge n. 338 del 2000 riguarda il finanziamento delle residenze universitarie. Il Governo precedente, con un bando, aveva recuperato 100 milioni di euro dai residui delle residenze precedenti. Sono stati ricevuti progetti per circa 300 milioni di euro, dei quali circa 200 hanno le condizioni di eligibilità per essere finanziati. Ho pensato che, trattandosi, anche a tal proposito, di un elemento di grande attenzione per il Paese, sia opportuno un investimento in questa direzione.
Oltre ai 100 milioni di euro, per l'anno 2012 erano previsti 18 milioni di euro, per un totale di 118. Dei 100 milioni di euro che rimangono dal «Fondo Letta», ho pensato di investirne altri 23: in totale, quindi, si arriva a 140 milioni di euro, con i quali, considerando la situazione attuale, probabilmente riusciamo a finanziare tutto. In questo modo porteremmo a compimento un aspetto importante e di grande attenzione per i nostri studenti.
Come noto, per quanto riguarda i collegi e le residenze, negli ultimi anni si è registrata una certa difficoltà di finanziamento. Anche in questo caso interverremo con lo stanziamento di una quota pari a circa 20 milioni di euro. In un momento di difficoltà delle amministrazioni regionali, è necessario fornire un aiuto diretto ai collegi e alle residenze.
Ricordo, poi, il Piano per il Sud, molto importante, risalente al luglio del 2010, che era stato fortemente voluto dal Ministro Fitto e dal Ministro Gelmini. Esso ammonta a circa 1 miliardo 200 milioni di euro. Da tale Piano sono direttamente coinvolte le quattro regioni dell'Obiettivo Convergenza e, in aggiunta, la Sardegna, la Basilicata, l'Abruzzo e il Molise.
Era stata svolta una pre-analisi dell'utilizzo di questi fondi, con una compartecipazione delle regioni. La prossima settimana si terrà un pre-CIPE, probabilmente dopo la visita del Commissario per la coesione Han. L'obiettivo è quello di arrivare all'approvazione complessiva del Piano. In questi giorni ho interagito molto sia con alcuni presidenti delle regioni sia con alcuni rettori, proprio per definire gli elementi che ci consentano di predisporre un piano organico, che, allo stesso tempo, segua un'idea di progettualità complessiva.
Tra le priorità che ho posto, innanzitutto vi è il completamento di infrastrutture o di sistemi di infrastrutture in atto, per il quale, nel tempo, non erano state ottenute le risorse necessarie. In secondo luogo, ho posto l'individuazione di una policy che, dal punto di vista energetico, consenta di spostare una quota parte di spesa corrente in spese di investimento. Soprattutto con riferimento a quelle opere edilizie che sono state costruite dagli anni Sessanta agli anni Ottanta - un'edilizia povera in cui, in genere, si utilizzava molta più sabbia che cemento, il che rende oggi la situazione piuttosto complessa dal punto di vista energetico -, l'operazione è diretta anche alla rigenerazione di alcune di queste strutture, ai fini di una ottimizzazione energetica.
Naturalmente, ci sono anche alcuni interventi ad hoc collegati alla progettualità delle singole università.
Come dicevo, trattandosi di una cifra importante, ossia di 1 miliardo 200 milioni di euro, dovremo porre grandissima attenzione sulla qualità della spesa. Da questo punto di vista, a seguito dell'incontro con i presidenti delle regioni, ho potuto constatare che è ampiamente condivisa l'idea che si tratti di un impegno importante del «sistema-Italia» nel suo complesso, indipendentemente dalla parte del Paese che ne è coinvolta: è necessario, pertanto, prestare al tema una grandissima attenzione, in termini di qualità, ma anche in termini di tempi.
Sulla stessa linea - nel senso che coinvolge le regioni dell'Obiettivo Convergenza - si colloca il cosiddetto PON 3, volto al rafforzamento strutturale, per un ammontare di circa 650 milioni di euro complessivi. Per le università c'è un intervento il cui ammontare è pari al 30 per cento, ossia circa 200 milioni di euro, distribuiti nelle quattro regioni dell'Obiettivo Convergenza.
Vi è un ultimo aspetto da sottolineare con riferimento ai fondi infrastrutturali, che ritengo sia un esempio da poter utilizzare nel futuro. Credo che sappiate che una quota del debito sulle infrastrutture delle nostre università è in essere con la Cassa depositi e prestiti. Il debito attuale vale circa 350 milioni di euro: non sono pochi, ma neanche tantissimi. Ho incontrato sia il presidente Bassanini che l'amministratore Gorno, con i quali abbiamo concordato che vi sono molti contratti con interessi più elevati rispetto a quelli attuali: nello stesso tempo, si potrebbe pensare a una rinegoziazione della durata del contratto. Quindi, da una parte, in alcuni casi si potrà pensare ad una riduzione degli interessi, quando è possibile, e comunque si può pensare anche a una rinegoziazione del periodo. Tale operazione comporterebbe una generazione di risorse per le università, le quali dovranno però investirle
nella riduzione del debito. Ciò avrebbe un doppio effetto positivo: in primo luogo, genererebbe cassa - che, però, dovrà essere investita per ridurre il debito -; in secondo luogo, potrebbe comportare una gestione ottimale. Questo contenitore vale complessivamente circa 1 miliardo 700 milioni di euro.
Quanto ai fondi per la ricerca, come ricordate, le risorse del PON, finalizzate alla ricerca industriale, sono destinate alle aree della Convergenza. Anche in questo caso, circa il 30 per cento delle risorse è destinato alle università. Naturalmente,
trattandosi di ricerca industriale, sono coinvolti anche gli enti di ricerca e le aziende private. In totale, la somma per le università è pari a circa 300 milioni di euro.
Con riferimento al PON 2, destinato ai laboratori e distretti esistenti e nuovi, la parte relativa a laboratori e distretti esistenti è già stata valutata e chiusa, mentre la parte relativa a laboratori e distretti nuovi è in fase di negoziazione, nel senso che è in atto una trattativa complessiva. La somma totale ammonta a poco meno di 1 miliardo di euro, del quale una quota del 20-25 per cento, anche se non è stata esattamente stabilita, è destinata all'università. Queste risorse sono quelle destinate solo alle aree della Convergenza.
Analogamente, abbiamo circa 360 milioni di euro per i distretti per il Centro-Nord. Il bando non è ancora stato emanato, ma provvederemo a farlo nella prossima primavera.
Per i dottorati di ricerca abbiamo circa 170 milioni di euro. Per i PRIN (Progetti di ricerca di interesse nazionale) - ne abbiamo già parlato - vi sono circa 170 milioni di euro e per i FIRB Giovani un po' più di 50 milioni di euro. In totale, la somma ammonta a poco più di 3 miliardi di euro.
Sommando 7,5 miliardi, 1,7 miliardi e gli oltre 3,5 miliardi di euro dei fondi di ricerca, si superano i 12 miliardi di euro. È chiaro che a questo punto la gestione dell'università ha un grande impegno: le università si trovano a dover o poter gestire in modo interessante delle partite che sono non sempre della tradizionale università. I rettori certamente saranno in grado di gestirle nel modo migliore e credo saranno in grado anche di attuare una politica volta a far sì che una quota di queste risorse possa rientrare attraverso un fondo di ateneo, al fine di poter fare ulteriori investimenti.
GIUSEPPE GIANNI. Sono per caso fondi FAS?
FRANCESCO PROFUMO, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Ne parlerò nel seguito del mio intervento. Finora, quindi, ho parlato di università.
Relativamente al tema dell'istruzione, credo che abbiate letto, in questi ultimi mesi, che uno dei problemi del Paese è costituito dal fatto che si stanno allargando le aree della povertà, alle quali corrispondono aree, della stessa dimensione, di abbandono scolastico, fenomeno che, peraltro, si sta incrementando.
Nel passato tale fenomeno era presente in alcune aree del Paese, mentre oggi si sta estendendo anche ad aree che tradizionalmente non sono caratterizzate da questo fenomeno. Quest'ultimo, in particolare, interessa alcune aree nelle grandi città, soprattutto nei sobborghi, e sta diventando un elemento che desta grandissima preoccupazione.
Ovviamente, ciò comporta un'analisi attenta della situazione generale e, a fronte di interventi che potrebbero essere standard per il Paese, è necessario avviare progetti ad hoc, al fine di prestare un'attenzione particolare a queste aree del Paese che sono in grande difficoltà.
Su questo tema mi piacerebbe svolgere con voi una riflessione profonda, perché credo che solo con l'esperienza di tutti potremo trovare soluzioni che, però, dovranno essere strettamente collegate alle singole situazioni. Non credo che sia possibile generalizzare.
La seconda considerazione è di tipo strutturale. Vi fornisco qualche elemento: oggi, in Italia, vi sono circa 64 milioni di metri quadri di scuole, il 75 per cento delle quali è stato costruito prima degli anni Ottanta. Le manutenzioni, dagli anni Novanta ad oggi, sono state estremamente limitate; sono stati effettuati interventi per poco più di 1.500 scuole, su un totale di circa 10.000 scuole e di circa 40.000 plessi scolastici. Il personale della scuola - insegnanti e personale amministrativo - ammonta a 800.000 unità e gli studenti, complessivamente, sono circa 8 milioni.
Essendoci 8 milioni di studenti, a fronte dei 64 milioni di metri quadri di superficie di scuole, vi sono circa 8 metri
quadri per studente: si tratta di una superficie che è superiore alla media europea del 30 per cento circa. Questo dato, però, non ci deve ingannare, in quanto, essendoci molte scuole che non sono nate come tali, nella realtà il numero di metri quadri per studente è di molto inferiore. Dobbiamo fare attenzione, però, poiché moltissime di queste scuole, proprio perché sono vetuste e sono state costruite o gestite in questo modo, possiedono la classe energetica G, che è una classe estremamente povera dal punto di vista energetico: ciò significa che, in termini di spesa per l'energia, occorrono circa 200 euro all'anno per metro quadro.
Moltiplicando 64 milioni di metri quadri per 200 euro per metro quadro, si ottiene una cifra che spaventa, ossia 12,5 miliardi di euro, che costituisce il costo energetico di queste scuole, che viene ripartito tra i comuni e le province. Pertanto, dobbiamo svolgere una riflessione su tale argomento, in questo momento di grande difficoltà per gli enti pubblici.
Supponiamo di sognare. Il sogno ci porta a individuare una classe intermedia, la classe B, che consentirebbe di rigenerare le scuole esistenti o di costruirne di nuove. In questo caso, il costo per metro quadro sotto il profilo energetico scenderebbe a un terzo di quella cifra, cioè a 60 euro per metro quadro all'anno. Se invece si optasse per la classe energetica A - che è quanto ci viene richiesto a partire dal 2020 -, il costo energetico scenderebbe a 35 euro per metro quadro all'anno. Questo significa che, se si andasse in classe B, si scenderebbe da 12,5 miliardi di euro a 4 miliardi 100 milioni di euro, mentre, se si andasse in classe A, si scenderebbe a poco più di 3 miliardi di euro. Pertanto, con una reingegnerizzazione delle risorse - naturalmente questo fa ancora parte del sogno, ma bisogna trovare una modalità per realizzarlo -, metteremmo in gioco una quantità di risorse per un «progetto Paese» di un certo
ammontare.
Si tratta di una partita molto complessa, nella quale è importante anche l'elemento della gestione del transitorio. La situazione odierna è questa, ma il sogno ci porta in una condizione molto migliore: si tratta, quindi, di capire come fare a gestirlo.
Innanzitutto, occorre considerare che circa il 10 per cento delle scuole è in affitto e il 30 per cento delle scuole è costruito in aree ad elevato valore immobiliare, ma molte di esse non sono realmente efficienti.
In queste settimane ho interagito con la Cassa depositi e prestiti e, attraverso il Viceministro Grilli, con l'INAIL e l'INPS. Stiamo studiando il modo per avviare un «progetto-Paese», naturalmente con una forte interazione con le regioni, le province e i comuni: abbiamo avviato un tavolo tecnico per valutare la fattibilità di un progetto complessivo sul tema della costruzione di nuove scuole.
Nel piano del 6 dicembre è stata prevista una posta sul capitolo scuole un po' inferiore al miliardo di euro. In questo caso ci sono tre tipi di interventi da effettuare: il primo sulla sicurezza, che rappresenta una delle priorità (oltre alla questione relativa alla sicurezza generale, un altro elemento di grande interesse è costituito dalle misure in materia antisismica), il secondo sull'apprendimento e sulla formazione dei docenti, il terzo sulle prospettive future della scuola.
Sto lavorando con il Ministro Barca per reperire risorse aggiuntive: ci auguriamo di trovarle, in quanto vorremmo avviare un progetto su nuove scuole. In Italia sono state avviate alcune sperimentazioni di grande interesse, anche all'interno della stessa città. Nelle prossime settimane inaugureremo una di queste scuole. Ve ne sono anche in Toscana e in altre regioni. Mi piacerebbe che partissimo dalle sperimentazioni estremamente positive che sono già state avviate e che provassimo a identificare un «progetto-Paese», che individui una policy di tipo generale.
Questi sono i due importanti temi sui quali si concentra una grande attenzione. Tuttavia, vorrei anche elencare le azioni prioritarie di intervento. In primo luogo, vi è il rilancio e lo sviluppo dell'autonomia delle scuole. È chiaro che l'autonomia della scuola, ad oggi, costituisce una realtà
più sulla carta che in concreto, a causa della mancanza di risorse. Mi piacerebbe avviare, insieme a voi, un processo di interazioni, per capire come possiamo reingegnerizzare alcune risorse.
Sono consapevole che in questa fase sarà difficilissimo trovare nuove risorse: non ce ne sono, è inutile che ci illudiamo. Dobbiamo cercare di spendere meglio le risorse che ci sono, eventualmente ottimizzando alcuni flussi che fino ad oggi non sono stati ancora ottimizzati.
Mi piacerebbe individuare con voi un percorso che chiamerei di «autonomia responsabile» ed accertare quali sono gli elementi che ci consentano di avviare un processo di questo tipo. In base alla mia esperienza relativa alle università - che credo alcuni dei presenti condividano -, l'autonomia responsabile dà una maggiore consapevolezza. Noi tutti siamo cresciuti moltissimo: all'interno delle nostre università c'è un senso civico e un senso di responsabilità, che 15 o 20 anni fa non c'erano.
Certamente possiamo dire che, in quel contesto, non tutto è bello o giusto, però le università sono cresciute molto, proprio grazie all'autonomia. Le persone si sono sentite partecipi e responsabili di questo processo e gli stessi studenti, oggi, hanno un senso di responsabilità nei confronti della loro scuola che in passato, probabilmente, non avevano.
In secondo luogo, ritengo che, andando nella direzione di un'autonomia responsabile delle scuole, sia necessario pensare anche a un nuovo modello di governo del sistema scolastico. È chiaro che i due elementi sono connessi. Se le scuole gestiscono più risorse senza vincoli, occorre un modello di governo che lo renda possibile.
In terzo luogo, proseguendo nell'elenco, vi sono le indicazioni nazionali e curricula; in quarto luogo, lo sviluppo di professionalità dei docenti. Anche in questo senso credo che dovremo fare un investimento. Probabilmente, anche per l'allungamento dell'età pensionabile, dovremo pensare - se ce la facciamo - a una diversa funzione dei docenti nel corso della loro vita professionale. Forse, in alcune fasi, ci sarà una maggiore presenza in aula e in altre potrebbe esserci una presenza in forma diversa all'interno della scuola. Credo che su tutti questi temi possiamo sviluppare insieme un ragionamento.
Un altro elemento da considerare è lo sviluppo del sistema nazionale di valutazione, che deve essere pensato nell'ottica giusta: la valutazione deve darci in primis la fotografia dell'essere e deve aiutarci a migliorare e, quindi, va intesa in senso non punitivo ma propositivo. Per poter compiere azioni è necessario conoscere; per poter conoscere è necessario fotografare.
Inoltre, cito il recupero delle aree scolastiche più complesse (ne abbiamo parlato: credo che su questo argomento dovremo predisporre insieme un progetto ad hoc) e l'integrazione tra i sistemi di istruzione, formazione e lavoro per il rilancio della cultura tecnica e scientifica e per il sostegno all'occupazione.
Credo che condividiate che adesso, rispetto al passato, l'interazione tra scuola e lavoro è molto più forte. Ho avuto modo di parlarne anche con il Ministro Fornero e credo che ci siano tutte le condizioni per poter ragionare insieme sul ciclo della vita di ciascuno di noi. Se nel ciclo della vita, in passato, c'era una parte dedicata alla formazione e all'istruzione, una parte al lavoro, una parte alla quiescenza, probabilmente in futuro ci sarà un'alternanza e una maggiore flessibilità di attività. La conoscenza invecchia molto più che nel passato e probabilmente dovremmo tornare a scuola più volte nel corso della nostra vita. È opportuno e anzi necessario un disegno più articolato orientato in un'ottica di visione: mi sembra che su questo tema possano svilupparsi ampie dinamiche di discussione.
Occorre, inoltre, promuovere il merito e la buona qualità. Io non amo tanto la parola «eccellenza», perché preferisco parlare di «buona qualità». Parlare di merito - credo che sul tema sia in atto un confronto - significa soprattutto confrontarsi con gli altri, e confrontarsi diventa sempre più importante nel momento in
cui il Paese diventa una parte attiva dell'Europa o comunque una parte più attiva di quanto non avvenga adesso.
Abbiamo già parlato dell'edilizia scolastica e della messa in sicurezza degli edifici scolastici, ma vorrei in seguito riferirvi qualche dato sulle azioni in atto relativamente alla sicurezza. Questo è uno dei temi che più mi preoccupa.
Proseguendo nell'elenco, al penultimo punto vi è la scuola paritaria nel sistema pubblico di istruzione e, infine, l'innovazione digitale nella scuola.
Su questo tema dobbiamo certamente avviare una riflessione complessiva. L'ho sostenuto anche oggi, in occasione dell'incontro con i sindacati. Nella realtà, il sistema della scuola è uno dei più complicati, perché si verifica un ritardo naturale tra il momento in cui si progetta un percorso e il momento in cui si può svolgere una verifica e una valutazione in termini di occupazione e di risultati del mondo del lavoro.
Se questo orologio non funziona, probabilmente la sua mortalità si verifica nel primo mese. Un effetto negativo dal punto di vista della formazione si può registrare almeno dopo cinque anni dall'ingresso della persona nel mondo del lavoro.
È complicatissimo già per l'università (l'ho sperimentato direttamente sulla mia pelle), ma lo è molto di più per la scuola. È certamente molto complesso predisporre modelli di programmazione dello sviluppo del Paese in termini di occupazione e in termini di necessità di profili professionali.
Probabilmente, per la soluzione di questi problemi complessi occorrono strumenti complessi che non sono quelli tradizionali. Su questo tema dobbiamo sicuramente svolgere insieme una riflessione.
Infine, in questa panoramica sulla scuola che ho cercato di delineare, sottolineo l'importanza del tema relativo agli insegnanti, quelli di oggi e soprattutto quelli di domani: si tratta di un tema «di visione», sul quale so che avete lavorato molto nel corso di questa legislatura, ma anche in precedenza. Credo che questo sia un altro dei temi sui quali dovremo ragionare insieme, anche recuperando - mi auguro - alcune delle esperienze precedenti. Da parte mia c'è la massima disponibilità in questa direzione.
Vi ringrazio e vi auguro buon lavoro.
PRESIDENTE. Grazie, Ministro Profumo. Saluto anche il capo di gabinetto, dottor Fiorentino, che lo accompagna.
Sono iscritti a parlare tutti i presidenti di gruppo e numerosi altri colleghi. Nel dare loro la parola, avverto che, non essendoci seduta in Aula, oggi potremo proseguire con gli interventi fino alle 17-17,30.
MANUELA GHIZZONI. Ringrazio il Ministro anche per il metodo di lavoro che ha voluto proporci. Quella odierna non è una consueta audizione sulle linee programmatiche, poiché lei signor Ministro, ha già annunciato di averci fornito alcune linee strategiche, sulle quali dovremo riflettere al fine di poterci poi successivamente aggiornare nel dettaglio. Ne approfitto anch'io per rivolgere gli auguri di buon lavoro e di buon anno a tutti noi, augurandoci che sia davvero un anno di lavoro proficuo per tutti. Lo affermo da persona digiuna di tre anni di lavoro proficuo per tutti: mi piacerebbe, pertanto, che riuscissimo a lavorare tutti insieme su questi argomenti.
Lei ci ha esposto le linee programmatiche con riferimento ai tre settori sui quali ha competenza, ossia ricerca, università e scuola: a tal proposito, faccio brevemente riferimento ad alcuni primi stimoli che lei ci ha offerto.
Desidero ringraziarla anche per la celerità con cui il Governo - soprattutto lei ed altri suoi colleghi, come ad esempio il Ministro Barca - ha finalmente dato la possibilità di utilizzare le risorse per la ricerca che rischiavamo di perdere. Questa è un'ottima notizia. Vorrei, però, anticipare alcune criticità - mi permetta la franchezza, ma siamo qui per confrontarci su questi argomenti - che rilevo su alcune questioni all'ordine del giorno riguardanti la ricerca, in particolare PRIN e FIRB: lei avrà già capito a cosa mi riferisco.
Credo che la Commissione si dovrebbe interrogare sul problema da lei posto in
ordine al fatto che, rispetto ai progetti europei, non recuperiamo quanto diamo - mi consenta questa espressione - e, quindi, lei propone l'uso, a questi fini, di palestre, compresi PRIN e FIRB, ma non solo. A questo riguardo, però, rilevo un problema: l'VIII Programma quadro è un programma finalizzato, mentre PRIN e FIRB dovrebbero essere e sono le uniche risorse che dedichiamo alla ricerca libera.
Questo è un problema serio, su cui ritengo che dovremmo discutere. Lei, giustamente, si è affrettato - credo che il mondo universitario dovrebbe ringraziarla per non aver perso tempo - a mettere in campo i bandi PRIN e FIRB. C'è, però, anche il problema della finalizzazione alle indicazioni proposte anche dall'VIII Programma quadro.
Ministro, mi creda, è un po' complicato inserire progetti credibili sui piani FIRB e sui piani PRIN relativi ai beni culturali. Mi rendo conto che sulla città intelligente si può anche intervenire con un progetto di ricerca storica sulle origini di una comunità.
Se fate ridere anche me...
PRESIDENTE. Onorevole Ghizzoni, sto «combattendo» con il Ministro, che vorrebbe risponderle subito: purtroppo, però, a termini di Regolamento, non può farlo. Sto cercando di frenarlo: è per questo che rido.
MANUELA GHIZZONI. Vorrà dire che gli ho dato uno stimolo. Io faccio mie le preoccupazioni, soprattutto in merito alla finalizzazione, che quindi va a discapito della ricerca libera. So che il Ministro non condivide il mio ragionamento, ma poi avrà modo di dirmi quali sono gli errori di questa mia riflessione.
L'altro aspetto è costituito dal vincolo numerologico: lo ammetto, sono stata segnata dalla numerologia della legge n. 240 e mi è dispiaciuto ritrovarla nei bandi PRIN. È così, però, perché il dato relativo alla percentuale dello 0,7 rispetto al personale di ruolo nell'università costituisce una numerologia.
Nelle sue interviste, in qualche modo, lei lo ha accennato. Si tratta di un modo per far sì che le università partecipino alla preselezione? Scusi, in questo modo si corre il rischio che, con riferimento alle compensazioni che bisogna fornire per ogni progetto e relativamente ad ogni area, eccellenti progetti vengano scartati a vantaggio di progetti di media qualità. Ritengo che per i bandi PRIN - che sono, lo ripeto, le uniche risorse a disposizione per la ricerca libera - questo metodo comprometta l'efficacia del loro obiettivo. Ciò vale a maggior ragione per i FIRB Futuro in Ricerca, in cui noi abbiamo creduto tanto e che hanno dato buoni risultati, laddove abbiamo posto giovani valenti, eccellenti, anche non strutturati, alla prova dei loro talenti e delle loro qualità. Vincolarli ad una numerologia comprometterebbe, quindi, la vitalità, fermo restando che trovo anche un po' oneroso dover cercare almeno cinque
équipe disposte a lavorare su progetti eccellenti. Qui vinceranno - ripeto parole che ho già sentito in questi giorni e che mi convincono - le cordate più forti, le combine anziché la libertà della ricerca. Mi risponderà con calma quando potremo discutere di nuovo su questo argomento.
Sarò più sintetica sugli altri argomenti, avendo parlato per cinque minuti solo su questo punto. Pertanto, procedo per titoli, anche perché, signor Ministro, la discussione in merito all'università potrebbe scatenare un numero assai elevato di domande e di riflessioni. Lei, ad esempio, ha esordito dicendo che tra gli obiettivi da lei perseguiti c'è quello di ringiovanire la classe docente: mi verrebbe da dire che è difficile che ciò avvenga, in vigenza della legge n. 240 del 2010. Ne abbiamo le prove, perché a me risulta che sono stati emanati solo tre bandi per contratti a tempo determinato di ricercatori di tipo B, mentre ne sono stati emanati oltre duecento per contratti destinati a ricercatori di tipo A. Questi macchinosissimi sistemi messi in campo con la legge n. 240 faranno fatica a consentire di far ringiovanire la classe docente. Le chiedo di essere smentita sui dati: se riuscite a farlo, ne prenderò
atto.
Sono d'accordo con la sua impostazione, volta a cominciare a rimodulare anche i compartimenti stagni in cui potrebbero essere divise le risorse dell'università. Tuttavia, mi ha stupito un aspetto sul quale mi auguro di poter essere rincuorata. Lei afferma che il blocco del turnover restituisce risorse per la spesa corrente, ma io vorrei sentir dire che non c'è più il blocco del turnover, che rappresenta un problema in cui sta affondando l'università. Vi è stato un numero enorme di lavoratori in uscita, perché abbiamo la «gobba» dei pensionamenti, a svantaggio - lei lo sa - di vincitori di concorso che non possono essere assunti, sia per il blocco sia per quell'altro artificio (che diventa ancora più macchinoso rispetto a quanto affermava lei) costituito dal criterio che determina la presunta virtuosità degli atenei, ossia il superamento del 90 per cento del FFO (Fondo ordinario per le
università) in spese di personale. Come ha affermato anche lei, ormai gli atenei hanno molte altre risorse di cui si possono avvantaggiare, eppure vi sono persone di valore che non possono accedere al loro posto in virtù di questo criterio e sono in una situazione di standby. Aggiungo che, personalmente, ritengo che, almeno nel tempo che ci rimane prima che sia emanato il provvedimento contenente tutte le norme che dovrebbero arrivare alla nostra attenzione, dovremmo rimuovere l'ostacolo del 90 per cento, almeno per il piano di assunzione: un piano di assunzione straordinario, se vincolato a questi parametri, non è più straordinario.
Capisco di aver esaurito il mio tempo: rappresentando un gruppo molto numeroso, altri colleghi interverranno su molte altre questioni. Tuttavia, signor Ministro, mi faccia solo affrontare una questione di carattere politico generale che riguarda il tema dell'istruzione, senza che entri nel merito di alcuno dei temi da lei affrontati. Lo dico anche perché mi auguro che possiamo riuscire ad adottare questa modalità di lavoro anche nelle nostre future interlocuzioni. Penso che il nostro Paese stia scontando un problema, nel settore della formazione: mi riferisco ad istruzione e formazione ed alla formazione terziaria. Da quindici anni, a svantaggio del nostro sistema della conoscenza, si approvano riforme a colpi di maggioranza, non condivise. Questo è un problema che il Paese sta pagando.
Ora stiamo vivendo una realtà di carattere straordinario: il Governo è sostenuto da forze che partono da ideali e da presupposti politici molto lontani, ma in questa situazione, appellandoci non alla furbizia politica ma all'etica di ciascuno di noi e al senso di responsabilità, potremmo mettere in campo alcune idee condivise forti, a vantaggio del sistema di istruzione e, quindi, del Paese. Per me sono musica le parole che lei ha pronunciato in termini di autonomia e responsabilità. La situazione per la scuola è un po' diversa rispetto a quella dell'università: preferisco parlare di responsabilità sociale, di accountability.
Apprezzo moltissimo il suo riferimento alla valutazione in termini di strumento per conoscere, per premiare e non per punire. Dobbiamo cominciare a riflettere insieme su questi grandi obiettivi. Ora, però, mi permetta di dire, in conclusione, che mi auguro che si apra uno spazio di discussione e di condivisione, fermo restando che, su alcune questioni, possiamo anche procedere celermente, perché abbiamo discusso su numerose questioni.
Cito un argomento che qualcuno - non mi riferisco a lei - non ricorda mai, quello dell'edilizia scolastica. In questo campo non occorre reingegnerizzare nulla, ma bisogna far funzionare (e finanziare) le poche leggi che regolano la materia, senza inventare astrusi meccanismi con i quali si crea consenso politico mentre si esautorano i soggetti competenti, cioè gli enti locali, dalle loro funzioni programmatorie. Possiamo agire in tal senso con estrema efficacia e, senza rinviare alle calende greche, immediatamente.
Infine, mi auguro che in tutta questa discussione, che preconizzo positiva, non ci si dimentichi di ascoltare la scuola, di cui si parla tanto, ma che non viene mai ascoltata. Questo, presidente, non è un modo per rinviare (lo affermo perché ho
colto una sua espressione): noi non possiamo pensare che i soggetti che vivono e hanno vissuto vicende che richiamano la tela di Penelope siano esclusi da questo processo di decisione su un segmento così straordinario per la crescita del Paese. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Ghizzoni. Prendo anch'io la parola per un intervento.
Grazie, Ministro Profumo, per l'esauriente e suggestiva relazione che ha voluto presentarci. Nel mio intervento mi soffermerò brevemente su università e ricerca e mi concentrerò maggiormente sul tema dell'istruzione.
Le farà piacere, intanto, sapere che, a caldo, mi sento di condividere il 99 per cento delle sue dichiarazioni. Si accontenti, Ministro: non ho detto il 100 per cento perché non sarebbe carino. È solo la mia conoscenza approfondita dei settori che mi consente di dire che quella di oggi rappresenta una buona partenza. Sceglierò naturalmente di approfondire solo alcuni aspetti, che considero un must nella policy nazionale.
In merito all'università, apprendo con soddisfazione che il suo piano di lavoro coincide con l'applicazione della riforma Gelmini. Ministro, lei e noi parlamentari, insieme, dobbiamo approvare prima possibile tutti i regolamenti attuativi di quella riforma, che non sono stati ancora approvati. Solo centrando questo obiettivo entro la fine della legislatura saremo certi di dotare l'università italiana degli strumenti operativi che ci permettano di raggiungere obiettivi strategici di qualità.
In ordine alla ricerca, siamo pronti ad approvare i progetti nazionali, europei e internazionali che, sfruttando al massimo le opportunità economiche statali e del mondo produttivo, pongano l'Italia al centro dello sviluppo tecnologico e scientifico del terzo millennio.
Sono stati numerosi gli stimoli che oggi lei ci ha offerto in questa direzione: non poteva essere diversamente, colleghi, considerato che proprio il Ministro Gelmini aveva recentemente scelto il Ministro Profumo come presidente del CNR. Oggi il professor Profumo ci ha dato una prova lampante della conoscenza di fatti, situazioni e, soprattutto, opportunità che si possono sfruttare per far crescere la nostra ricerca. Seguiremo, dunque, con attenzione, interesse e fiducia ciò che lei vorrà promuovere, nella speranza che si possano raggiungere traguardi sempre più ambiziosi.
Altri miei colleghi del PdL entreranno nel merito delle questioni legate all'università e alla ricerca. Come ho già anticipato, io mi concentrerò sul tema dell'istruzione nel nostro Paese. Voglio farlo partendo da due storie di attualità, che introducono ed evidenziano due grandi questioni non ancora risolte della nostra scuola. Ministro, diversamente da quanto lei sostiene - ho individuato subito l'aspetto che rientra nell'1 per cento che ci divide -, io ritengo che finora abbiamo fatto troppo poco per l'eccellenza delle nostre scuole e dei nostri giovani.
La prima storia è quella di Steve Jobs. Dichiaro subito che, come ammette lo stesso Isaacson, autore della fortunata biografia recentemente pubblicata, Jobs non è stato né un capo né un uomo modello, non è stata la persona ideale da emulare; trascinato dai suoi demoni, ha fatto infuriare e disperare chi gli stava vicino. Tuttavia, la sua personalità, le sue passioni e i suoi prodotti, in fondo, erano come l'hardware e i software Apple, tutti strettamente interconnessi come facessero parte di un sistema integrato. La sua storia, quindi, ha un valore sia istruttivo sia ammonitorio; è gravida di lezioni sull'innovazione, il carattere, la leadership e i princìpi. Quindi, non mi riferisco al messaggio di Jobs interamente considerato, nel senso che non mi sentirei di indicarlo alle giovani generazioni come modello per intero - ci sono aspetti inquietanti della sua vita -, ma nell'insieme,
certamente, Jobs deve essere considerato un punto di riferimento anche nell'educazione. Vorrei rileggere insieme a voi qualche passo significativo che testimonia quanto la scuola, in questo caso americana, ma pur sempre
occidentale, sia risultata inadatta e storicamente inadeguata a produrre eccellenza (e lo ha dimostrato anche con Jobs).
Vediamo che cosa è successo nella scuola americana (e sarà successo sicuramente in molti casi, anche alla nostra): «Già da prima che Steve iniziasse le elementari, sua madre gli aveva insegnato a leggere. Questo, però, finì per causare qualche problema. "I primi anni di scuola mi annoiavo parecchio, così passavo il tempo a cacciarmi nei guai." Divenne anche chiaro che, per natura e per cultura, il ragazzo non era propenso ad accettare l'autorità. "Mi trovai di fronte a un tipo di autorità diversa da quella che avevo incontrato fino ad allora, e non mi piacque. Ne rimasi quasi annientato. Per poco quella situazione non spense in me ogni curiosità.(...)".
Non c'è da stupirsi, quindi, se Steve fu sospeso due o tre volte prima della fine della terza elementare. Suo padre, però, aveva ormai cominciato a trattarlo come un bambino speciale e, nel suo modo calmo ma fermo, disse alle autorità scolastiche che si aspettava che pure loro lo trattassero come tale. "Vedete, non è colpa sua" spiegò agli insegnanti. "Se non riuscite a stimolare il suo interesse, la colpa è vostra!" Jobs non ricorda che i genitori lo abbiano mai punito per le sue trasgressioni a scuola».
Ecco, allora, l'interesse, l'attrattività: le nostre scuole sono attraenti? Per niente. Tra l'altro, anche le statistiche internazionali ci informano che un'altissima percentuale di quindicenni italiani vorrebbe stare in un altro posto piuttosto che a scuola. È un dato.
«Verso la fine della quarta elementare, la signora Hill sottopose il ragazzo a un test. "Registrai il punteggio di uno studente di seconda liceo" ricorda Jobs. Adesso che era chiaro, non solo a lui e ai suoi genitori, ma anche agli insegnanti, che aveva un cervello molto speciale, la scuola propose in via eccezionale che gli fosse permesso di saltare due classi e passare direttamente dalla fine della quarta elementare all'inizio della seconda media. Sarebbe stato il sistema più facile, si pensava, per stimolarlo e mantenere vivo il suo interesse. I genitori, più ragionevolmente, decisero di fargli saltare solo una classe».
Cosa ci dicono queste pagine? Noi trattiamo i temi dell'education ancora con le logiche del XX secolo, ma siamo nel XXI secolo. La globalizzazione e tutte le sue conseguenze ci impongono di coniugare la tendenza all'inclusione. Lei dice bene, le aree di povertà si allargano, ma il problema è che noi abbiamo sempre pensato all'inclusione e non abbiamo mai valorizzato l'eccellenza e, quindi, ci preoccupiamo dell'uguaglianza formale delle opportunità educative, ma non valorizziamo tutto quello che abbiamo, soprattutto in termini di eccellenza. È ora di assicurare al «sistema-Paese» più competenze, più qualità diffusa, meno mediocrità. La nostra scuola, purtroppo, Ministro, vive ancora di sufficienza: ce lo dicono i dati internazionali OCSE, ma anche i dati nazionali Invalsi.
Ci sentiamo con la coscienza a posto quando i ragazzi ottengono la sufficienza, superano gli esami e vanno avanti, ma in realtà stiamo creando delle persone mediocri, mentre avremmo bisogno di puntare all'eccellenza di tutti e di ciascuno. Se nel secolo scorso abbiamo lavorato per la scolarizzazione di massa - ci siamo riusciti, forse troppo, nel senso che abbiamo esteso per una durata eccessiva e per una eccessiva quantità di discipline il desiderio di scolarizzare le giovani generazioni -, oggi abbiamo bisogno di una scuola più asciutta, meno lunga, ma di eccellenza e di qualità per tutti e per ciascuno.
Una pista da seguire può consistere certamente nell'insistere sul sapere, sul saper essere e sul saper fare, ma, signor Ministro, bisogna scoprire una frontiera per la quale non siamo ancora attrezzati e non possiamo aspettare i magnifici progetti della ricerca di cui lei ci ha parlato. Dobbiamo insegnare ai giovani a saper innovare, ma fin dalla scuola elementare: quanto affermo non è un'assurdità. Anche i nostri ragazzi delle scuole superiori devono andare a scuola di futuro: bisogna vivere per apprendere, vivere il XXI secolo
da protagonisti, individuare precocemente le eccellenze e coltivarle, perché su questo fronte non abbiamo mai fatto molto.
Quanti Jobs ci sono nella scuola italiana, signor Ministro? Lo sappiamo? Quanti sono i ragazzi eccellenti, non perché prendono a scuola voti come otto o nove, ma perché sono creativi, pensano diversamente e sono curiosi? Non lo sappiamo.
Abbreviare i percorsi superiori, proprio come la scuola americana fece con Steve Jobs, offrire borse di studio a chi è eccellente ed è capace di abbreviare i tempi del proprio percorso scolastico: questi potrebbero essere punti di forza di una strategia per l'eccellenza nel nostro Paese.
Tuttavia, signor Ministro, questa strategia va prevista: non possiamo più affidarci al caso, alla buona sorte, all'arte di arrangiarsi o soltanto a chi prende voti alti a scuola.
Vorrei citare un altro spunto - ancora più interessante - dal libro su Steve Jobs: «Finite le medie, Jobs si iscrisse al liceo Homestead High consistente in un grande campus di edifici a due piani di mattoni (...). Aveva pochissimi amici della sua età, quindi era evidente che non poteva seguire il percorso dei suoi coetanei - per contro, noi continuiamo a costituire classi omogenee per età e gli organici per classi, e questo aspetto resta un assurdità della scuola italiana -, ma finì per conoscere alcuni studenti più grandi che erano intrisi della controcultura di fine anni Sessanta. Era l'epoca in cui il mondo dei fanatici della tecnologia e il mondo degli hippy cominciavano a incrociarsi qua e là. "Avevo per amici i ragazzi più intelligenti" diceva. "A me interessavano la matematica, le scienze e l'elettronica".
Poi frequentò un club esclusivo della Hewlett-Packard Explorer's Club "costituito da una quindicina di studenti che si riunivano ogni martedì nella caffetteria aziendale". L'aspetto più interessante, però, è che questo ragazzo, preso dalla curiosità di costruire qualcosa già a 15-16 anni, avendo bisogno di alcuni elementi, pensò bene di telefonare direttamente a Bill Hewlett a Palo Alto. Parlò, quindi, con questo personaggio, il quale gli riferì quali fossero tutti i componenti per costruire un primo strumento di tipo tecnologico. Jobs lavorò lì l'estate successiva alla fine del suo primo anno di liceo.
Queste pagine si commentano da sole. Gli stimoli più importanti per il suo genio creativo, Steve Jobs li ha ricevuti non certo dal liceo, sebbene questo fosse stato importante per fornirgli le conoscenze di base, bensì dalle esperienze nei laboratori dell'HP, in quelli che oggi chiameremmo stage d'alternanza scuola-lavoro.
Oltretutto, la lettura a ritroso della vita di Jobs riserva altri colpi di scena a chi, come noi, si occupa e si preoccupa di educazione, concentrando solitamente l'attenzione sulle potenzialità dei sistemi formali di istruzione. Difatti, siamo qui per migliorare il sistema formale di istruzione nel nostro Paese. Voglio, però, evidenziare che Jobs, come Bill Gates e altri fenomeni della Silicon Valley, non hanno mai concluso gli studi al college. Ciò nonostante, abbiamo cambiato il nostro stile di vita sulla base delle loro innovazioni. Ecco, coltivare le eccellenze significa accettare quello che Jobs chiamerà il «think different». Come spiegava uno spot pubblicitario della Apple del 1997, le persone così pazze da pensare di cambiare il mondo sono quelle che lo cambiano davvero.
Per questo, quando nel 1982 andò in visita a una classe dell'Università di Stanford, ancora giovanissimo - aveva soltanto 25 anni - ma ormai uomo ricco e affermato, ignorò le domande degli studenti che gli chiedevano le previsioni circa l'aumento delle azioni Apple, parlando soltanto della sua passione per i prodotti futuri, per esempio di come costruire un giorno un computer piccolo come un libro, cosa che ha realizzato vent'anni dopo. Tuttavia, a 25 anni già aveva in testa quello che avrebbe fatto e, anche se gli davano del pazzo, continuava a sostenere che era possibile raggiungere quell'obiettivo. Nell'ormai celeberrimo intervento del 2005, quando ormai aveva scoperto di essere malato di cancro, salutando i neolaureati della stessa università di Stanford, pronuncerà le famose parole «stay hungry,
stay foolish», «siate affamati, siate folli», cosa che si era augurato per se stesso e che augurava ai giovani che si laureavano e cominciavano una nuova vita.
Nel 2005 era ormai chiaro al mondo che la prospettiva visionaria di Jobs era diventata realtà. Il computer come hub portatile per uno stile di vita digitale, comprensivo di music video player, telecamere, telefono e tablet in una tecnologia integrata, ha trasformato la Apple nella società tecnologica più preziosa del mondo. Jobs amava sempre dire che il compito dell'azienda era quello di leggere le cose prima che andassero in pagina. A questo proposito, si riporta anche la famosissima frase di Ford quando, alla domanda sul perché non avesse fatto l'indagine di mercato prima di inventare l'auto, rispose nel modo che tutti ricordiamo, ovvero che gli avrebbero chiesto un cavallo più veloce, non un'automobile, perché nessuno l'aveva in testa. Insomma, l'innovazione è quello che non c'è. Pertanto, se noi insistiamo nel chiedere ai ragazzi di misurarsi, sperimentare e mettere a fuoco la propria intelligenza solo su quello
che c'è, i ragazzi stessi non cresceranno mai, non saranno mai dei visionari.
Non meno importanti risultano per noi le ultime considerazioni sul sistema scolastico che Jobs stesso riferì al Presidente Obama. Jobs incontrò Obama un anno prima di morire, nel 2010 e, con la schiettezza che gli era propria, criticò il sistema scolastico americano - vi prego di riflettere su questo punto: figuratevi se avesse conosciuto quello italiano! -, sostenendo che era sciaguratamente antiquato e paralizzato dalle norme sindacali: quindi, finché i sindacati degli insegnanti non fossero stati messi alle corde, riformare il settore dell'istruzione sarebbe per lui stato impossibile. Gli insegnanti dovevano essere trattati come professionisti, non come operai di una catena di montaggio. I responsabili di istituto dovevano essere messi in condizione di assumerli e licenziarli sulla base dell'effettiva capacità. Le scuole dovevano restare aperte fino alle sei del pomeriggio - credo che questo sia anche il progetto del Ministro Profumo -
e attive 11 mesi all'anno. Inoltre, era assurdo - aggiunse Jobs - che in America le lezioni si svolgessero ancora con l'insegnante alla lavagna e i libri di testo alla mano; tutti gli strumenti di apprendimento e di verifica dovevano essere digitali e interattivi, tagliati su misura per ciascuno studente e capaci di dare un feedback in tempo reale.
Oggi è possibile questo tipo di individualizzazione per l'apprendimento dei nostri studenti, ma noi lo ignoriamo, applicandolo solo in alcune realtà privilegiate e ancora sperimentali, mentre il terzo millennio ha già conosciuto la fine del suo primo decennio.
Ho preferito, onorevoli colleghi, utilizzare questa modalità di intervento per lanciare diversi «metamessaggi», ma capite benissimo il risvolto di queste affermazioni per la realtà italiana. Vi prego di concentrarvi su questo punto. Jobs, signor Ministro, continuò a sottolineare ad Obama la necessità di formare un maggior numero di tecnici americani, spiegando che in Cina la Apple aveva 700.000 lavoratori, a supporto dei quali occorrevano in loco 30.000 tecnici: in America, però, non se ne trovavano abbastanza. Quindi, Jobs aveva praticato la delocalizzazione della produzione dei suoi strumenti (com'è noto l'iPod prima, poi l'iPhone e l'iPad si producono in Cina), ma, quando il prodotto rientrava in America, non trovava il supporto tecnico necessario.
I tecnici per questi impianti - diceva Jobs - non avrebbero dovuto essere superspecialisti o geni: sarebbe stato sufficiente che avessero le competenze di base per occuparsi della produzione, quindi avrebbero potuto essere preparati presso scuole tecniche, istituti parauniversitari o scuole di commercio. Insomma, concludeva Jobs, «se riusciste a formare tecnici di questo tipo, potremmo spostare i nostri impianti di produzione». Quest'ultimo argomento ebbe notevole presa sul Presidente Obama che, nel mese successivo, ribadì più volte ai suoi collaboratori la necessità di trovare il modo di preparare i 30.000 tecnici industriali di cui aveva
parlato Jobs. Pensiamo a che punto siamo, invece, in Europa e in Italia su questo piano.
Infine, mi piace rileggere un ultimo brano del libro su Jobs, in merito all'atteggiamento mentale che ha ispirato la sua genialità e che, a mio avviso, purtroppo è completamente assente nei nostri giovani. «Cos'è - dice Jobs - che mi ha dato la spinta? Penso che la maggior parte delle persone creative desiderino esprimere la propria gratitudine per aver potuto beneficiare dell'opera di chi ci ha preceduto. Non sono stato io a inventare la lingua o la matematica che uso. Produco poco di quello che mangio, nulla di quello che indosso. Ogni mia realizzazione è debitrice ad altri membri della nostra specie, sulle cui spalle poggiano i nostri piedi, e una parte cospicua del nostro animo desidera restituire qualcosa alla nostra specie e aggiungere qualcosa al percorso di progresso dell'umanità».
Questo è il testamento spirituale di Jobs: sentirsi in debito con chi ci ha preceduto per far progredire l'umanità. Signor Ministro, oggi, invece, le nuove generazioni si sentono sempre in credito, pretendono e avvertono frustrazione per quello che pensano che non avranno; non reagiscono, mettendo in campo tutte le proprie possibilità. Insomma, ho l'impressione che, per voler troppo bene ai giovani e per garantire loro troppi diritti, li abbiamo emarginati dal mondo del lavoro e, soprattutto, dalla ricerca e dall'innovazione.
Recuperare i giovani deve significare innanzitutto responsabilizzarli rispetto a quello che loro hanno, ossia la grande capacità, l'intelligenza e soprattutto la volontà di cambiare il mondo che si ha a 15-20 anni, si ha meno a 30 anni e per niente a 40 anni. Per contro, noi inseriamo negli ingranaggi più importanti del «sistema-Paese» solo i quarantenni, se va bene. Pensiamo un po' a che cosa abbiamo perso, lasciando cadere e disperdere le energie migliori. Evito di raccontare quello che ho ribadito almeno con un altro paio di Ministri, quando ho detto di aver avuto la fortuna di vincere il primo concorso pubblico nella scuola a 19 anni e di laurearmi a 21. Ebbene, oggi nessuno lo può fare. Forse laurearsi a quell'età è ancora possibile, ma certamente diventa difficile partecipare a 18 anni a un concorso pubblico.
GIOVANNI BATTISTA BACHELET. Se i ministri non bandiscono i concorsi...
PRESIDENTE. In sintesi, ciò che le chiedo, signor Ministro, è di elaborare più strategie per l'eccellenza e l'innovazione. Deve farselo piacere questo termine, perché è importante e doveroso controllare e monitorare le aree di povertà, soprattutto urbane. Peraltro, ce ne siamo accorti anche nella capitale in questi giorni, così come a Milano, dove pure facciamo i conti con queste realtà. È, quindi, ancora più importante recuperare il merito e l'eccellenza. Abbiamo sempre avuto paura di pronunciare la parola «talento» e di parlare della valorizzazione dei talenti e dell'eccellenza: ora dobbiamo fare un'inversione di marcia.
Nel nostro Paese gli eccellenti ci sono, ma devono sentirselo dire quando li guardiamo negli occhi, quando sono a scuola e non quando è troppo tardi. Ormai generiamo dei frustrati. Diamo una pacca sulla spalla ai ragazzi, definendoli «sfigati» perché appartengono a una generazione appunto sfigata, che lavorerà cinquecento anni. Se noi adulti continuiamo ad avere questo atteggiamento mentale, ci priviamo delle energie migliori. Per parte mia, faccio poco, perché non posso incontrare tutti i giovani. Tuttavia, anche quando incontro il giovane più modesto che fa il corso professionale, gli dico che sarà il migliore elettricista del mondo, a patto che vada benissimo. Ecco, questo è quello che ci manca: la voglia di incoraggiare i giovani.
Pertanto, le affido proprio questo messaggio, ribadendo che, se possiamo essere utili, noi ci siamo: d'altronde, ci sono i nostri figli di mezzo. Occorre, quindi, investire sulle competenze personali dei nostri studenti, non sui programmi, che non ci interessano più. Sono qui da cinque legislature e in ognuna abbiamo cambiato i programmi.
Signor Ministro, dobbiamo investire sulle competenze personali e dobbiamo integrare in maniera ordinaria e sistematica teoria e pratica, studio e lavoro, riflessione e azione, avendo come stella polare le priorità di Europa 2020, una crescita intelligente basata sull'economia delle conoscenze e dell'innovazione. Del resto, la nostra bilancia si è spostata sempre sulla conoscenza, nel senso che abbiamo garantito tante conoscenze, lo studio di tante discipline e tanti insegnanti, ma poca innovazione, poca creatività e poca originalità.
La seconda storia ha a che fare con la docenza italiana. Vi leggo una mail che ho ricevuto qualche giorno fa da un'insegnante precaria. Mi dilungo perché oggi sono presenti solo gli onorevoli Centemero, Frassinetti e Barbieri del PdL.
Ricevo migliaia di queste lettere, come voi. Ne prendo una delle tante, l'ultima che mi è arrivata in ordine di tempo. «Sono inserita nella graduatoria per il ruolo di discipline economico-aziendali A017. Sono in posizione numero 20. Vista la mancanza di nomine per circa 20 anni (l'ultima nomina in ruolo risale al 1991), non ho alcuna speranza di poter contare su un posto fisso per i prossimi 50 anni. Sono per questo molto demoralizzata, scoraggiata e sconfortata, anche perché ho fatto del mio meglio per aumentare le mie competenze, con corsi specifici, una seconda laurea e il corso di specializzazione. Ora ho proprio perso ogni speranza, dato che, giusto ad agosto dell'anno appena passato - sentite che cosa succede ancora nel nostro Paese -, è stata immessa in ruolo una persona che aveva superato il concorso ordinario nel 1990».
Signor Ministro, dal 1990, l'abbiamo immessa in ruolo nel 2011. È incredibile che continuino queste storie. Noi dobbiamo drammatizzare ogni singola storia. Non dobbiamo più parlare per linee generali perché il problema non è dei 300.000 insegnanti, ma di questa persona, che si chiama Antonella, che si è vista scavalcare, pur essendo molto più giovane, molto più preparata e molto più qualificata, da un'insegnante che era stata valutata idonea all'insegnamento nel 1990. Provate a immaginare l'età di questa insegnante che oggi entra in ruolo e scavalca i più giovani. Questo fenomeno non è nuovo, onorevoli colleghi.
Il fatto nuovo è che è cambiato un ministro, che non conosce queste storie. Pertanto, noi dobbiamo rappresentargli tutta la gravità della situazione, per fare in modo che le sue azioni - di questo mi preoccupo - non vadano a complicare queste situazioni o a crearne nuove.
Concludo sulla questione relativa ai docenti e sulle criticità della docenza italiana. Signor Ministro, lei ha parlato di concorsi per i giovani. Siamo, però, sicuri che la via del concorso sia quella giusta? Lei ha svolto il ragionamento giusto in merito alle statistiche, all'edilizia scolastica, giungendo a delineare una mappa della situazione. Le dico, allora, che abbiamo un docente statale ogni 70 abitanti, di età media altissima, intorno ai 52 anni nella scuola media, come ci ha ricordato il rapporto della Fondazione Agnelli del mese scorso, e di età poco inferiore nelle altre scuole. I recenti provvedimenti in materia di pensioni innalzeranno ulteriormente questi limiti. Fa bene, dunque, a pensare all'organico funzionale, perché non vogliamo più nonne e nonni nella scuola.
MANUELA GHIZZONI. Mi permetto di comunicare la mia preoccupazione in merito e di contestare le affermazioni della presidente.
PRESIDENTE. Nel 2005 vi è stata l'immissione in ruolo di 35.000 nuovi docenti, dei quali solo 47 avevano un'età inferiore a 25 anni nella scuola dell'infanzia e nella scuola primaria. Pensate, erano solo 47 con meno di 25 anni per i bambini di 3 e di 9-10 anni. Uno solo di questi docenti aveva meno di 25 anni nelle scuole medie e in quelle superiori. La quasi totalità aveva un'età compresa tra i 41 ed i 51 anni. Quest'anno sono state effettuate altre 40.000 immissioni in ruolo di docenti con un'età media ancora più alta. Ciò, del resto, è comprensibile, se si pensa che
sono entrati in ruolo i giovani vincitori dell'ultimo concorso del 1999 e i vecchi precari che hanno maturato anzianità vertiginose nelle graduatorie. È emblematico il caso della docente entrata in ruolo a 63 anni. Dovrebbe chiamarla, signor Ministro, e farle fare altro presso il Ministero, considerato che, presumibilmente, avrà insegnato per trent'anni fuori ruolo.
Insomma, aprire le porte della scuola ai giovani è un programma di sanità istituzionale pubblica, prima ancora che pedagogica. È difficile non essere d'accordo. Occorre, però, individuare come realizzare l'obiettivo. Il problema, già complesso, si è esasperato. Siamo l'unico Paese al mondo in cui, per essere abilitati all'insegnamento, occorrono 19 anni di formazione iniziale.
Per questo, onorevole Bachelet, non abbiamo insegnanti di 19 anni. Io ho potuto partecipare al concorso dopo aver frequentato la scuola secondaria superiore, che - lo ricorderà bene - era un corso di quattro anni, l'allora istituto magistrale. Essendo, inoltre, anticipataria, visto che allora si poteva andare a scuola anche a cinque anni, mi sono diplomata a 17 anni, mentre a 18 ho partecipato al primo concorso ed ho ottenuto la cattedra. Ora questo non è più possibile: sempre per voler «troppo» bene ai giovani, abbiamo eliminato tutte queste opzioni.
Gli insegnanti arrivano alla meta già in età piuttosto avanzata. Quando poi vi arrivano, è come se si dovesse ricominciare tutto daccapo, perché il posto non c'è. Siamo l'unico Paese al mondo che ha consegnato il problema del reclutamento a un perpetuo stato di eccezione, fatto di sanatorie, corsi speciali, concorsi straordinari, ricorsi ai TAR e al Consiglio di Stato, graduatorie di prima, seconda e terza faccia, di cui nessuno conosce la precisa contabilità. È questo che vuole, signor Ministro? Credo di no.
Allora, per permettere l'ingresso dei giovani in un sistema che presenta le caratteristiche appena evidenziate, sono oggi sul tavolo tre proposte. La prima ipotesi adombrata da lei, Ministro Profumo, è quella di bandire un maxiconcorso per i giovani laureati, ma anche per i vecchi. Credo, invero, che abbia già superato questa ipotesi, ma la ripropongo, nel caso in cui qualcuno volesse presentarla. Ad ogni modo, le persone interessate potrebbero essere circa 300-400.000: non tutti gli abilitati, naturalmente, potrebbero ottenere l'immissione in ruolo, che, in teoria, dovrebbe essere riservata ai migliori, attraverso preselezioni.
La seconda ipotesi potrebbe consistere nel bando di un concorso riservato soltanto a chi si è già abilitato nelle scuole di specializzazione.
La terza, infine, potrebbe consistere nel riprendere la tela di una proposta di legge - da lei, peraltro, citata - presentata da me e da altri colleghi della Commissione all'inizio della legislatura, che sembrava aver ultimato il suo iter in Parlamento, mentre ha ricevuto una battuta d'arresto al fine di consentire al Ministro Gelmini di riscrivere le norme concernenti la formazione iniziale dei docenti. Ora che la stesura del Regolamento sulla formazione è stata completata, credo che valga la pena discutere alcune proposte, tra cui anche la nostra, per dar vita ad una nuova generazione di docenti.
D'altronde, possiamo anche ricercare la modalità concorsuale più moderna di selezione dei docenti, ma il problema resta quello di riportare nelle reti di scuole la possibilità di scegliere i docenti più idonei per ciascuna scuola. Fino a quando non supereremo l'assegnazione burocratica degli insegnanti alle scuole, non ci sarà né vera autonomia né vera responsabilità nella qualità della proposta didattica. Escludo, quindi, le prime due ipotesi, che hanno evidenti contraccolpi, tra cui la laboriosità centralistica, la riproduzione del precariato, la perpetuazione delle graduatorie, considerato che i vincitori immediati saranno pochi e, per tale motivo, sarà normale che gli idonei si rivolgano agli organi politici o ai giudici amministrativi per ottenere il diritto di rientrare nelle ormai storiche liste d'attesa. L'onorevole Russo, peraltro, è un esperto di ricorsi al TAR a favore dei
precari.
Pertanto, forse, la scelta di riprendere l'esame della proposta di legge in discussione alla Camera risulta la più innovativa e rappresenta l'unica strada che non abbiamo mai percorso. Ci corre almeno l'obbligo di provare questa via, superando il tradizionale centralismo amministrativo, sparigliando quello sindacale delle graduatorie nazionali e costringendo le università a partire subito con il tirocinio formativo attivo. Questo percorso, se ben governato dal centro, consentirebbe di cambiare in pochi anni il sistema scolastico, più di qualsiasi altra riforma della scuola, grazie all'introduzione di albi regionali e concorsi con chiamata da parte delle reti di scuole. Comunque li si voglia chiamare, l'idea da cui partire consiste nell'idoneità nazionale e nella corresponsabilità delle scuole nella chiamata dei docenti, anche attraverso procedure concorsuali.
Per queste ragioni, nel prossimo ufficio di presidenza proporrò - tra l'altro, ne abbiamo già parlato oggi con i presidenti di gruppo - di riprendere, già dalle prossime settimane, la discussione in sede referente della proposta di legge sul nuovo reclutamento.
Ciò ci consentirà, inoltre, di riprendere il dibattito su una nuova governance delle scuole e sulla carriera degli insegnanti. Ovviamente, la qualità e l'eccellenza, di cui ho parlato a lungo nel mio intervento con riferimento agli studenti, non potranno essere raggiunte dal nostro sistema se non si proseguirà l'investimento sulla valutazione. Pertanto, occorre avviare e concludere tempestivamente la ristrutturazione dell'Invalsi e dell'Indire e pervenire a un sistema generalizzato di valutazione dei docenti. Attendiamo, altresì, di conoscere nel dettaglio le misure che il Governo intenderà adottare per rendere il sistema scolastico più efficiente e anche meno costoso, dal momento che oggi dobbiamo porci anche questo problema.
Questo assunto, però, ci porterebbe molto lontano. Devo fermarmi qui. Tuttavia, colgo l'occasione per augurare ancora una volta al Ministro buon lavoro, ribadendo che può contare su una presidente che ha a cuore l'istruzione, oltre che su un'ottima Commissione cultura.
LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Grazie, signor Ministro. Rivolgo i miei auguri di buon lavoro a lei e a tutti noi. Non ripeto quanto hanno affermato i colleghi, anche perché non serve a niente. Non ripeto nemmeno ciò che condivido, proprio per guadagnare tempo. Tralasciando il problema relativo all'università, vorrei affrontare quello relativo alla scuola, nel quale sono più direttamente coinvolta.
Anzitutto, apprezzo molto quanto da lei sostenuto in merito al fatto che non occorrono nuove riforme. Poiché, ogniqualvolta un nuovo ministro si insedia, il lavoro ricomincia daccapo, considero positivo il fatto che lei non intraveda la possibilità di nuove riforme. Qualcuno un po' cattivo dice che ciò è dovuto alla mancanza di tempo; io penso, invece, che lei lo abbia affermato perché è un uomo saggio che pensa che la scuola non abbia bisogno di altre riforme, che sarebbero persino esiziali.
Condivido le sue affermazioni in ordine all'autonomia responsabile delle scuole. Bisognerebbe, però, intenderci sul concetto di autonomia e sul significato di «autonomia delle scuole». Sono d'accordo anche sul fatto che il nostro sistema educativo non riesca più a essere un ascensore sociale, come è avvenuto in passato. Chi mi conosce sa che ritengo impossibile che in Italia si verifichi un fenomeno Obama.
Insomma, abbiamo un anno di tempo, ma non per risolvere i problemi della scuola. Non le chiedo, infatti, di risolvere i problemi della scuola, bensì di porre qualche paletto e di affrontare alcune questioni. Il mio gruppo ed io non chiediamo miracoli, perché sappiamo quanto la situazione sia complessa. Mi è piaciuto, peraltro, il suo richiamo al fatto che vi siano due milioni di ragazzi «né-né», ossia che né studiano, né lavorano. Ciò consente a noi adulti, a noi insegnanti, a noi classe politica, a noi genitori e a noi
che, in qualche modo, siamo necessariamente responsabili di questo scenario, di interrogarci.
Lei, nel suo intervento, ha ricostruito brevemente il panorama, non avendo il tempo per dilungarsi. Consentirà anche a me, quindi, di procedere per titoli. Lei afferma che, a parità di condizioni, ogni scuola ha esiti profondamente diversi. Questo mi porta ad affermare che i provvedimenti che vengono adottati - si tratta di buonsenso, ma nessun ministro l'ha fatto prima - non devono riguardare un quadro anonimo e neutro di scuole. Bisognerebbe, invece, anche se è difficile, avere l'accortezza di intervenire avendo riguardo alle situazioni territoriali ed ambientali delle singole scuole. Gli esiti diversi, infatti, sono frutto di questioni locali, territoriali e ambientali. Lei ha accennato a un grande progetto per l'università, che mi ha affascinato molto e mi riservo di studiare meglio, che coinvolge le competenze ambientali, l'energia, le città intelligenti: mutatis mutandis, si dovrebbe compiere la stessa operazione per le
scuole, facendo riferimento a realtà e competenze diverse al fine di capire che cosa sta succedendo.
Non è possibile andare avanti con l'accetta, trattando nello stesso modo, per esempio, le scuole della Campania e della Toscana, con tutto il rispetto per le due regioni (magari, quelle della Campania sono anche migliori di quelle della Toscana, quindi non voglio dire che le une siano superiori alle altre). Tuttavia, prendere consapevolezza che non si può generalizzare è una delle chiavi per affrontare il problema della scuola.
Ho apprezzato, inoltre, le sue affermazioni in ordine alla necessità di rafforzare le competenze di base dei giovani. Ciò nonostante, se ci sono 2 milioni di ragazzi «né-né», bisogna trasmettere loro un senso della vita, che, probabilmente, non proviene solo dalla scuola, ma non può non provenire anche dalla scuola: mi riferisco alle prospettive, agli esempi, alla voglia di fare, all'entusiasmo, alla capacità; non si tratta solamente di un problema di alchimie organizzative, quanto di dare una prospettiva e un senso a quello che i giovani stanno facendo, il che, spesso, non accade. Abbiamo insegnanti ottimi, ma anche insegnanti pessimi: affrontando il problema, questo dato deve essere riconosciuto. Del resto, se avessero tutti ottimi insegnanti, credo che la dispersione scolastica sarebbe inferiore, che questi ragazzi non sarebbero così «confusi» e che non avremmo tutti i problemi di bullismo e di
burn out degli insegnanti che le cronache raccontano ormai da troppo tempo.
Sono da sempre una fautrice dell'autonomia delle scuole. Tuttavia, parliamo di autonomia didattica, economica e di reclutamento. Finora, in 20-30 anni, l'autonomia della scuola è un fantasma perché non c'è, non è reale. Non è possibile che un preside si ritrovi a collaborare con insegnanti che non ha voluto né cercato e con cui, magari, non va d'accordo. Non è possibile, quindi, che vi sia una forma gerarchica di organizzazione che va contro l'autonomia della scuola. Pertanto, il concetto di autonomia va declinato a tutto campo: non si può riconoscere un solo tipo di autonomia, ma occorre consentirla ad ampio respiro. Per questo motivo, la discussione sulle proposte di legge contenenti la riforma degli organi collegiali e la riforma territoriale, che giacciono in Commissione da tre anni, deve assolutamente ripartire, in quanto occorre approfondire il discorso su tali materie. Poc'anzi dicevo, in maniera un po'
provocatoria, che dobbiamo farlo con o senza il Ministro - io mi auguro che possiamo farlo insieme -, perché dobbiamo avere il coraggio di affrontare in questo anno tale riforma, forse l'ultima che faremo e che serve alla scuola. Occorre, in sintesi, un nuovo modello di governance.
Procedendo sempre per titoli, lei, signor Ministro, ha accennato alla necessità di dare continuità educativa dalla scuola dell'infanzia, alla scuola secondaria (su questo aspetto sfonda una porta aperta) e alla formazione professionale. Con riferimento a ciò, tocca un aspetto drammatico della scuola italiana: la formazione professionale in Italia è la Cenerentola delle Cenerentole; è una scuola non di serie «B»,
ma di serie «Z». Nessuno frequenta la scuola professionale perché si considera l'ultimo del mondo, sapendo che non c'è il famoso ascensore sociale. Pertanto, credo che sia un'assoluta priorità dare dignità alla formazione professionale, quella che don Bosco chiamava «l'intelligenza delle mani». In questo momento, non abbiamo bisogno di tanti colletti bianchi o solo di laureati che vanno avanti perché la famiglia vuole il famoso pezzo di carta, il titolo di studio. La formazione professionale, insomma, è importante.
A questo proposito, richiamo la sua attenzione su una questione che i colleghi non hanno sollevato, quella relativa alla formazione professionale regionale. Da quando sono state istituite le scuole di formazione professionale statale, le formazioni regionali - molto più competenti e molto più vicine al territorio - stanno chiudendo. Poco tempo fa ho rivolto un'interrogazione al Ministro che l'ha preceduta, che si è guardato bene dal rispondermi. Nella formazione regionale sono previste 21 figure professionali che, invece, non sono previste in quella statale: che fine faranno queste 21 figure professionali? Il personale viene reclutato dalle scuole statali? Come viene riqualificato? Questo rappresenta un buco nero. La formazione professionale regionale, che è in mano a enti ed associazioni anche molto importanti, rischia di avere un colpo di maglio da cui non si riprenderà più. Evidenzio con forza, dunque, il ruolo della formazione
professionale regionale, perché mi auguro che lei mi fornisca una risposta migliore rispetto ai colleghi che l'hanno preceduta.
Condivido quanto lei afferma in ordine al sistema nazionale di valutazione. Vorrei sottolineare, però, che non è possibile che il sistema nazionale di valutazione - rispetto al quale lei invoca trasparenza - rimanga chiuso nei cassetti delle scuole che sono state valutate, perché le famiglie hanno il diritto di sapere che cosa è successo alle scuole che sono state valutate, come hanno il diritto di sapere dove iscrivono i propri figli e che tipo di scuola hanno davanti e di decidere se è il caso o meno di portare i propri figli in un certo istituto. Senza voler intervenire con l'accetta, questa specie di catacombale omertà tra scuole è un altro argomento che deve essere affrontato nel nome della trasparenza e nei modi dovuti.
A proposito dell'apertura delle scuole per tutta la giornata, sulla quale sono d'accordo, aggiungo un breve riferimento alla questione della valorizzazione delle associazioni di genitori, di docenti, di alunni: l'iniziativa del privato-sociale può permettere l'apertura fino a sera della scuola e consentire di realizzare proposte con finalità educative. Occorre, quindi, valorizzare le associazioni di vario genere che gravitano attorno al mondo della scuola e che finora sono state ignorate.
Concludo facendole presente che sono d'accordo con lei ed anche con la presidente Aprea sull'importanza della promozione dell'eccellenza, che rappresenta un obiettivo imprescindibile. Tuttavia, inserisco nel suo discorso il problema, al quale lei ha rapidamente accennato, relativo alla scuola paritaria ed alla libertà di scelta educativa delle famiglie. Non sottovalutiamo l'aspetto della valorizzazione dell'eccellenza e delle competenze e neppure il problema relativo alla libertà di scelta educativa delle famiglie, che nelle ultime legislature è stato totalmente ignorato.
Siccome si invoca in continuazione l'Europa, vorrei dire che l'Europa è anche questo. In Europa, infatti, queste cose non esistono. Del resto, lei mi ha aiutato molto - e per questo motivo la ringrazio pubblicamente - il 21 dicembre, quando le dissi che ci trovavamo in una situazione disperata. Non è possibile che il 21 dicembre arrivino i finanziamenti alle scuole non statali, dove si devono pagare gli stipendi il 27 dicembre e non si hanno i soldi per farlo, con ritardi di mesi e di anni per grovigli di competenze, per incompetenze o per leggerezze. Credo che dobbiamo garantire la sopravvivenza di queste scuole che fanno risparmiare allo Stato 6 miliardi di euro all'anno, ridefinendo la questione relativa alla parità, anche sotto il profilo finanziario, nella cornice delle norme generali concernenti
l'istruzione. Non si tratta di un passaggio ideologico, ma semplicemente dell'applicazione della legge 10 marzo 2000, n. 62.
Grazie a tutti i ministri, di destra e di sinistra, che si sono succeduti, siamo sempre riusciti a sanare le situazioni, ma non si può andare avanti con l'acqua alla gola per tutta la vita. Questa è davvero una di quelle riforme che un Governo come il suo è in grado di approvare. Occorre affrontare in maniera seria, non con la lancia in resta o con l'idea di fare battaglie, una serie di questioni: la disabilità nelle scuole paritarie, la formazione continua, l'abilitazione, la mobilità, gli esami di Stato, i contratti nazionali e così via: mi sembra che i tempi siano maturi per affrontare serenamente questo argomento.
PIERFELICE ZAZZERA. Ringrazio il Ministro Profumo per la sua presenza e per la sua relazione. Vi invito, però, a scendere dalle nuvole, mettendo i piedi per terra. Vorrei, infatti, mettervi a conoscenza del fatto che avete a disposizione un anno e mezzo di tempo fino alla fine della legislatura: vi sono tali e tante criticità che dobbiamo riconoscere che i sogni sono belli, ma restano tali se non si possono realizzare. Dalle dichiarazioni del Ministro, mi sembra di capire che, per realizzare i sogni, occorrono le risorse. Nel mio intervento non parlerò di tematiche generali, ma entrerò nel dettaglio di alcune questioni. Signor Ministro, le rivolgerò alcune domande, alle quali auspico che lei risponderà in termini europei, quando ritornerà in questa sede.
Credo che la scuola abbia diverse criticità, che si possono affrontare solo se risolviamo o forniamo risposte ad alcune questioni prioritarie, che restano profondamente aperte, come quella - sulla quale credo che lei sia intervenuto - riguardante i 20.000 insegnanti fuori dalle graduatorie ad esaurimento per gli anni a scolastici 2008, 2009 e 2010: si tratta di insegnanti con più di una laurea, con abilitazione o vari titoli, ai quali il sistema formativo del nostro Paese non è in grado di fornire una risposta.
Mi rivolgo a lei da modesto portavoce di quei ragazzi e di quelle persone che, pur avendo qualità, oggi chiedono al vostro Governo una risposta. Vi è, infatti, una condizione di evidente disparità tra cittadini che hanno diritti acquisiti o ai quali saranno riconosciuti diritti, attraverso la riforma stata approvata dal Parlamento, e cittadini che, invece, non hanno alcun diritto, che sono invisibili e forse non lavoreranno mai. Mi aspetto, quindi, una risposta con riferimento a questi 20.000 insegnanti, tra i quali vi sono anche quelle che lei chiama «eccellenze»; penso, ad esempio, ai quasi 1.000 insegnanti di alta formazione musicale, anch'essi vincitori di concorso.
Ho molto apprezzato la passione con cui la presidente, nel suo intervento, ha citato Steve Jobs. Tuttavia, il nostro Paese non ha avuto Steve Jobs come Ministro dell'istruzione. Pertanto, credo che dovremmo rimetterci tutti con i piedi per terra per capire come risolvere questi problemi.
Lei ha pubblicizzato anche mediaticamente la questione relativa al concorso: mi auguro che corrisponda alla realtà, perché rischia di essere un buon annuncio, ma anche di deludere le aspettative. Le chiedo, allora, se, in assenza di risorse, il suo Governo è nelle condizioni di assicurare un concorso, considerato che la riforma previdenziale riduce ulteriormente la possibilità di ingresso e quindi di ampliamento della platea e di ricambio generazionale degli insegnanti. Difatti, da un lato, si occuperebbero i posti liberati dal turnover e, dall'altro, aumenterebbe l'età pensionabile, con una conseguente riduzione dei posti e delle disponibilità per gli insegnanti. Le chiedo, quindi, come intendete affrontare queste vicende.
Procedo con un percorso inverso rispetto al suo: istruzione, università e ricerca, che corrisponde al percorso formativo che ciascuno di noi svolge da quando inizia la scuola elementare fino ad arrivare, gradualmente, ad obiettivi più importanti.
Innanzitutto, in relazione alla riforma delle classi di concorso, si registrano lamentele
e grandi preoccupazioni da parte dell'intero mondo della scuola, in quanto è stata effettuata una riorganizzazione sulla base di una rivisitazione delle risorse: un minor numero di risorse, pertanto, ha comportato minore formazione, un minore numero di insegnanti e minore qualità formativa. Le chiedo, pertanto, di intervenire su questa riforma, ormai alle porte, in modo tale che si possa operare una riorganizzazione responsabile, affinché chi ha le competenze ricopra il ruolo che gli spetta, offrendo agli studenti una qualità di formazione adeguata. Oggi, invece, abbiamo messo insieme - come molte volte è capitato - acqua e olio che, difficilmente, per leggi fisiche, si possono mescolare: ciò è avvenuto nell'idea, sbagliata, di reimpiegare gli esuberi. Oggi abbiamo bisogno di dare qualità alla scuola, non di risolvere problemi legati agli esuberi.
Non ho sentito alcuna osservazione in merito alla riforma delle scuole elementari. Mi riferisco, in particolare, alla vicenda del maestro unico e alla necessità di riportare il sistema scolastico, giudicato eccellente da altri, al sistema modulare, in cui c'era anche maggiore possibilità di essere impegnati e che conteneva modalità diversificate di formazione. Ecco, mi attendo da lei un confronto su questo punto.
Sulla questione relativa alle cattedre, vorrei avere la conferma del dato secondo il quale per il 2012 sono previsti tagli di 1.300 cattedre in tutta Italia. A questo proposito, le faccio notare che insegnamento e legalità, a mio giudizio, vanno di pari passo. Se ci sono le scuole, c'è la legalità; se non ci sono le scuole, la legalità non c'è. Cito alcuni dati che riguardano quattro regioni del sud. Su 360 sedi scolastiche, vi saranno 112 tagli alle cattedre per la Calabria; 285 su 969 per la Campania; 199 su 630 per la Puglia; 262 su 835 per la Sicilia. Andiamo, quindi, a colpire zone dove c'è bisogno di far andare la gente a scuola, togliendola dalle strade e forse anche dalle mani della criminalità organizzata. Invece, andiamo nella direzione di ridurre le cattedre. Mi aspetto da lei una smentita di questo dato o quantomeno un intervento al fine di limitare i danni della riduzione delle cattedre.
L'Italia dei Valori afferma la necessità - prima di poter parlare di tutto il resto, quindi di autonomia scolastica, di rivisitazione di modelli di formazione e quant'altro - di risolvere il problema dei precari nella scuola, che, a nostro avviso, si può superare definitivamente con un piano triennale di assunzioni e di stabilizzazioni, rimettendo così in moto tutto il resto; ciò anche per rispondere alle esigenze della Comunità europea, considerato che ogni giorno violiamo la direttiva 1999/70/CE, che ci obbliga - cosa che non facciamo - ad assumere chi lavora per più di tre anni con un contratto a tempo determinato. Viceversa, quelle persone continuano a essere precarie. Insomma, dobbiamo ridare dignità al lavoro nella scuola e speranza, altrimenti rischiamo di far sognare, senza che i sogni si realizzino e diventino realtà.
Mi interessava intervenire sul primo livello di istruzione e formazione, quello della scuola. Tuttavia, vorrei segnalare anche alcuni aspetti che riguardano il mondo universitario e il diritto allo studio. In particolare, abbiamo evidenziato il problema delle borse di studio per gli studenti universitari idonei. Ebbene, ci sono migliaia di studenti, giudicati idonei a percepire la borsa di studio, che, a seguito dei tagli, non possono riceverla, sebbene sia un diritto la Costituzione a riconoscere la possibilità che una persona - per esempio, il figlio di un operaio -, pur avendo problemi economici, possa avere, per meriti, gli stessi diritti del figlio di un medico.
Purtroppo, nel nostro Paese oggi vi sono migliaia di studenti idonei che non possono accedere alle borse di studio: credo che questo sia un problema per il quale il Governo deve trovare una risposta. Questa, peraltro, signor Ministro, è una scelta non tecnica, bensì politica. Credo, infatti, che voi abbiate il compito di traghettare a scelte politiche future questo Paese, che deve compiere una scelta politica chiara se vuole investire sul futuro, anche formativo, dei propri figli. A tal fine
bisogna investire in termini di risorse e di personale. Per contro, ad oggi - certamente non per colpa sua -, ciò non avviene perché violiamo costantemente le richieste della Comunità europea, che ci chiede di aumentare, proprio negli obiettivi 2020, la percentuale di bilancio necessaria per investire nel mondo dell'istruzione. Ugualmente, credo che non possiamo chiedere dignità all'istruzione e mantenere aperte le scuole tutta la giornata, se gli insegnanti non ricevono stipendi adeguati al livello della Comunità europea.
Infine, mi soffermo sulla questione relativa ai ricercatori per sottoporle un fatto specifico, sul quale magari potrà darmi un'adeguata risposta. Mi riferisco ai 250 profili professionali tecnico-amministrativi e tecnico-scientifici, che hanno qualità professionali, curriculum e competenze e che rappresentano risorse che non possono essere disperse. Ebbene, con la legge attuale queste figure tecnico-scientifiche rischiano di essere completamente disperse all'interno dell'università: in tal modo non avremo più la possibilità di essere capifila di progetti di ricerca pilota e di partecipare a iniziative internazionali di ricerca.
Tra l'altro, Ministro Profumo, quei ricercatori e quel personale universitario le hanno anche inviato una lettera: credo che sia legittimo che essi ricevano una risposta adeguata.
GIUSEPPE GIANNI. Signor Ministro, voglio evitare che vada in default, quindi interverrò nella prossima seduta.
PAOLA FRASSINETTI. Io, invece, corro il rischio che ciò avvenga, anche in considerazione del fatto che sono conterranea del Ministro. Innanzitutto, ringrazio il Ministro Profumo dell'esaustiva audizione e per il fatto di averci fornito elementi di discussione. Proprio riferendomi all'università, che sarà l'oggetto di questo mio brevissimo intervento, vorrei soffermarmi sulle palanche e sulla ripartizione, che ci è stata fornita e che lei ha attuato, tra fondi infrastrutturali, fondi per la ricerca e spese correnti, che considero davvero molto importante. Vi sono già alcune previsioni di spesa. Tuttavia, come diceva il collega Zazzera, bisogna adottare la scelta politica e strategica di investire sull'università.
Vorrei, inoltre, rivolgere un apprezzamento rispetto alla volontà di completare l'attuazione della riforma contenuta nella legge 30 dicembre 2010, n. 240, approvata dal Governo precedente. A questo proposito, senza voler suscitare polemica, devo comunque constatare che le feroci critiche avanzate contro questa riforma, anche con manifestazioni veementi di piazza, sono venute meno in questa fase attuativa.
Peraltro, ricordo che abbiamo recentemente approvato uno dei decreti attuativi più importanti, quello sull'accreditamento, che è il cuore della riforma, avendo stabilito un cambiamento in relazione ai finanziamenti che dovranno essere erogati in rapporto allo svolgimento della didattica, della ricerca e della qualità dei singoli atenei sulla base della valutazione dell'ANVUR (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca). Sicuramente, la riforma del Governo precedente ha creato una vera e propria rivoluzione nel mondo dell'università, introducendo punti irrinunciabili e importantissimi, che riguardano, per esempio, il mandato dei rettori o le problematiche di parentopoli. Essendo stato uno dei migliori rettori delle nostre università, lei sa benissimo, signor Ministro, che, da parte dei rettori, è stato espresso un immediato apprezzamento di questo cambiamento e della volontà di ristrutturare e
di rivitalizzare un sistema ormai asfittico. Abbiamo, pertanto, un impianto innovativo. Certo, ci sono alcuni problemi riguardanti i finanziamenti; del resto, i «tagli», di cui sentiamo parlare, ormai da anni, come di un mantra, rappresentano un ostacolo con il quale si devono scontrare tutti i Governi.
In terzo luogo, mi preme sottoporre alla sua attenzione due problemi. Il primo riguarda il tanto paventato pericolo della privatizzazione, che, invece, ritengo rappresenti un'opportunità nella riforma della governance, al fine di permettere alle università,
anche nell'autonomia degli statuti, di cui oggi si parla tanto, di intervenire sul territorio, in un rapporto virtuoso con gli enti locali, al fine di conferire all'università stessa una progettualità più moderna e la capacità di avere investimenti senza privatizzare. Questo confine può sembrare molto labile; tuttavia, è molto importante difendere l'università pubblica e dare ad essa l'opportunità di entrare in un mondo moderno, come avviene anche in altre nazioni europee. Si tratta, quindi, di un'opportunità dovuta proprio alla riforma della governance.
Concludo con un accenno al secondo problema, che mi preme maggiormente sottolineare, riguardante il diritto allo studio. Occorre, infatti, avere la capacità di mettere lo studente al centro del sistema universitario. A tale proposito, nel documento che lei ci ha consegnato si parla di sistema integrato e di politica a sostegno degli studenti: apprezzo molto questi riferimenti da lei citati. Il diritto allo studio deve dare l'opportunità agli studenti con capacità intellettive, ma che non hanno le possibilità economiche per mantenersi da soli, di emergere nel mondo universitario senza ostacoli. Questa è sicuramente una scommessa e un obiettivo irrinunciabile per una nazione che vuole andare al passo con i tempi e competere, come ha sempre fatto, in campo internazionale. Le antiche università sono nate in Italia. L'università, prima della riforma, non era tutta da buttare; bisogna, però, riconoscere, con onestà
intellettuale e oggettività, che è stato avviato un processo riformatore dal quale non si potrà più tornare indietro e che avrà contribuito alla storia della nostra nazione.
MARIA LETIZIA DE TORRE. Interverrò molto brevemente, anche perché è nel mio interesse, più che dire qualcosa adesso, poter continuare a lavorare insieme. Credo che ciò sia molto più importante, perché su alcune visioni ed idee, che sono costruite nei singoli partiti e in queste settimane sono allo studio del Governo, si riscontra un'ampia convergenza.
Ritengo, peraltro, che abbiamo la grande responsabilità di non perdere tempo. Io, da parte mia, sogno - anche lei ha parlato del sogno di portare in classe A le scuole - che si possa adottare un metodo di lavoro veloce, considerati i tempi. Del resto, non sarà facile che si ripresenti una situazione di Governo come quella attuale, ragione per la quale alcune decisioni sull'università e sulla scuola, strategiche per il Paese, devono essere assunte insieme, in quanto, appunto, costitutive. Detto questo, ho molto apprezzato la conoscenza approfondita e la visione strategica con cui lei ha presentato le linee progettuali del suo Dicastero. In particolare, mi sembra molto interessante il progetto Smart cities 2020, che può veramente riunificare lo sforzo innovativo di tanti. Le rivolgo una domanda: mi piacerebbe sapere come introdurre nei bandi dei concorsi criteri ed elementi che possano far sì che ci si approcci a tali progetti con la
mentalità non di sfruttare il finanziamento triennale, ma di permettere alle imprese che nascono di diventare solide e di rimanere tali anche in futuro. Questo, del resto, è l'aspetto delicato relativo al discorso sui fondi europei.
Per quanto riguarda la scuola, come alcuni colleghi hanno già affermato, ritengo che ci dovremmo concentrare sulla priorità che lei ha indicato, ovvero l'autonomia. Questa parola comprende tantissimi elementi, come l'organizzazione dello Stato nelle regioni, le scelte di governance del sistema scolastico, la formazione della classe docente. Tuttavia, ritengo necessario porre molta attenzione anche sulla classe dirigente, sia delle singole istituzioni scolastiche, sia del Ministero. Più che esprimere le idee maturate all'interno del Partito Democratico, grazie al confronto con i colleghi, vorrei invitarla a cercare insieme un veloce metodo di lavoro.
Concludo con una considerazione, in merito alla quale lei non ha parlato molto. Lei ha dichiarato: «per le ragioni suesposte è essenziale dedicare particolare attenzione alle problematiche che caratterizzano la struttura organizzativa del Ministero». A questo proposito, il Governo, se
riuscirà ad intervenire, con le linee qui indicate, sulla struttura del MIUR - il che potrà ripetersi per tutti gli altri Ministeri -, avrà il nostro pieno appoggio. Credo di poter parlare a nome di tanti colleghi. Insomma, ritengo che nessuna innovazione in tema di ricerca, scuola e università possa essere supportata nel tempo e avere continuità, se non si rivede la governance generale. Concludo qui il mio intervento: mi soffermerò su altre questioni quando le affronteremo.
PRESIDENTE. Signor Ministro, mi consenta di rispondere al collega Pierfelice Zazzera, che mi ha criticato ed ha affermato che non abbiamo Jobs come Ministro. Spero - anzi sono certa - che lei abbia capito quello che volevo dire.
Onorevole Zazzera, vorrei ribadire che a me sarebbe bastato che Jobs fosse cittadino italiano e aver avuto per la nostra Italia i brevetti digitali che hanno cambiato lo stile di vita di tutti nel mondo. Ancora oggi, nel mondo, si fa riferimento alla nostra civiltà ed ai nostri personaggi eccellenti. Tuttavia, c'è da chiedersi perché l'Italia non li «produca» più e perché non depositiamo più brevetti. Proprio in ragione di tutto ciò ché ci ha lasciato, ossia I-phone, I-pad e tutti i sistemi digitali, credo che Jobs meritasse questo ricordo, anche perché ciò serva da stimolo, per noi che ci occupiamo di educazione, ad avere tanti Steve Jobs nel nostro Paese. Signor Ministro, a lei lo scettro per fare anche questo miracolo, se ci riesce.
Ringrazio il Ministro Profumo per la pazienza e per il tempo che ci ha concesso.
Rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.
La seduta termina alle 17,30.