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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione VII
16.
Mercoledì 11 marzo 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Aprea Valentina, Presidente ... 2

Audizione del Ministro per i beni e le attività culturali, Sandro Bondi, sulle problematiche connesse al settore dello spettacolo, con particolare riferimento al cinema (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Aprea Valentina, Presidente ... 2 5 7 12
Bondi Sandro, Ministro per i beni e le attività culturali ... 2 3
De Biasi Emilia Grazia (PD) ... 5
Ginefra Dario (PD) ... 11
Giulietti Giuseppe (IdV) ... 10
Granata Benedetto Fabio (PdL) ... 3 8
Levi Ricardo Franco (PD) ... 7
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.

COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 11 marzo 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VALENTINA APREA

La seduta comincia alle 15,15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro per i beni e le attività culturali, Sandro Bondi, sulle problematiche connesse al settore dello spettacolo, con particolare riferimento al cinema.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, del Ministro per i beni e le attività culturali, Sandro Bondi, sulle problematiche connesse al settore dello spettacolo, con particolare riferimento al cinema.
Do la parola al Ministro Bondi per un intervento introduttivo.

SANDRO BONDI, Ministro per i beni e le attività culturali. Grazie, presidente.
Non è la prima volta che ho l'onore e il piacere, di parlare di fronte a questa Commissione sui temi dello spettacolo e del cinema in particolare. Lo faccio anche questa volta cercando di fare tutti insieme, possibilmente, un passo in avanti, giacché l'esigenza di una riforma complessiva dello spettacolo dal vivo è un'esigenza condivisa da tutti e da molti anni ormai.
Io credo che questa legislatura possa essere la legislatura nel corso della quale possiamo, finalmente, approvare una nuova legge generale di riforma del settore dello spettacolo dal vivo. Per questa ragione, il Governo non ha presentato una propria proposta di legge, ma, per rispetto al Parlamento e a questa Commissione, ha consentito e, se mi permettete, ha incoraggiato e assecondato la presentazione di una proposta di legge del Parlamento.
Sono state presentate molte proposte di legge sulla riforma dello spettacolo dal vivo da parte di tutti i gruppi parlamentari rappresentati in questa Commissione. Credo che, per iniziare questo dibattito, prenderemo come punto di riferimento quella dell'onorevole Gabriella Carlucci.
Al Senato, viceversa, per le ragioni che ho espresso, ho incoraggiato e assecondato l'inizio di una discussione sul cinema, partendo da una proposta di legge dell'opposizione.
Penso che questi due lavori potranno condurre in Parlamento all'approvazione - spero in maniera condivisa - di una proposta di legge di riforma.
Come sapete, nel frattempo, sugli organi di stampa e tra le forze politiche e culturali del nostro Paese, si è aperto un dibattito sulle modalità e sulle forme di finanziamento della cultura in Italia. Questa discussione è stata suscitata da un intellettuale, uno scrittore del calibro di Alessandro Baricco, il quale ha sostenuto, in sintesi, che il denaro pubblico non deve essere l'unico introito dell'impresa culturale e che - questa è la sostanza del suo ragionamento, credo - non bisogna aver paura di lasciare campo anche all'iniziativa privata nell'ambito della cultura.
Egli ha aggiunto, inoltre, che - questo è forse il punto che ha fatto maggiormente


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discutere - le risorse sottratte ai teatri, in generale, andrebbero indirizzate alla scuola e alla televisione, dove, a suo avviso, si gioca davvero la partita culturale più importante del nostro Paese.
Credo che Baricco abbia aperto una discussione non semplicemente provocatoria, ma intelligente, che ha messo in evidenza, soprattutto, come la verità non si trovi soltanto da una parte e l'errore dall'altra, e che tutti dobbiamo compiere uno sforzo nel condurre una ricerca per trovare un punto di equilibrio fra esigenze diverse.
Ritengo, infatti, che non abbiano ragione coloro che sostengono che la cultura debba essere finanziata totalmente, o in misura predominante, dallo Stato e che si lamentano se lo Stato diminuisce, anche a causa delle circostanze economiche particolarmente difficili, il finanziamento alla cultura.
D'altra parte, non credo che abbiano ragione neppure coloro che ritengono che la cultura, come avviene in altri Paesi democratici del mondo, debba essere finanziata soltanto attraverso la mano dei privati.
Penso che l'esperienza del nostro Paese ci aiuti a trovare un saggio punto di equilibrio fra queste due opposte concezioni del ruolo dello Stato nell'economia e, in particolare, anche nella cultura.
Credo che si debba cercare questo punto di equilibrio, partendo innanzitutto dalla realtà, ossia dall'esperienza che abbiamo vissuto in Italia e che viviamo in questo particolare momento, vessato, come sappiamo, da problemi di risorse e di bilancio.
Qual è la realtà italiana? Qual è la nostra esperienza?
Penso che la nostra esperienza si possa riassumere in due riflessioni. La prima è che le risorse a favore della cultura sono limitate.
Non possiamo - come io stesso e tutti noi abbiamo fatto nelle varie discussioni, parlamentari e non - lamentarci del fatto che i finanziamenti alla cultura, da parte dello Stato italiano, siano inferiori rispetto alle risorse destinate a tale settore in tutti gli altri Paesi europei, e poi, oggi, dire invece esattamente l'opposto, ossia che tali stanziamenti sono sufficienti.
Penso che la realtà ci dica innanzitutto che i fondi a favore della cultura in Italia sono insufficienti, e non da oggi. Quindi, sfuggiamo dalla propaganda politica. Tali risorse sono inadeguate da sempre, direi.
Ho letto alcuni saggi di Spadolini che risalgono a decenni fa e che sembrano scritti oggi. Anche trent'anni fa, infatti, si diceva che le risorse per la cultura erano insufficienti e che non si riusciva a tutelare il patrimonio storico dell'Italia.
Quindi, quelli al nostro esame sono problemi che si trascinano da decenni e che sono quasi sempre gli stessi. Riaffermo, dunque, il punto che le risorse a favore della cultura sono insufficienti.

BENEDETTO FABIO GRANATA. Solo Bottai non si lamentò mai, ma allora i soldi c'erano...

SANDRO BONDI, Ministro per i beni e le attività culturali. ... si trovavano...
La seconda riflessione che nasce dalla realtà - se vogliamo guardarla con occhi onesti, politicamente ed intellettualmente - è che nel campo della cultura ci sono molti sprechi.
Molti finanziamenti e molte spese dovrebbero e potrebbero essere razionalizzati. Inoltre, vi sono molte risorse programmate e investite che non riusciamo a spendere e rimangono non spese. Questa è la realtà, se vogliamo riconoscerla per quella che è.
Credo che in questo quadro dobbiamo trovare il punto d'equilibrio di cui parlavo in precedenza.
Da questa realtà nasce l'invocazione, da parte di tutti, delle riforme: di quella dello spettacolo dal vivo, che abbiamo già cominciato a discutere in Commissione e che spero che andrà presto in Aula, e in particolare di quella - parlerò poi del cinema - delle fondazioni lirico-sinfoniche, che è un punto dolente di tutto il sistema dello spettacolo italiano. Infatti, è il settore che, nell'ambito del FUS, il Fondo unico per lo spettacolo, attrae le


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maggiori risorse disponibili nel campo della cultura italiana e, al tempo stesso, è il campo nel quale abbiamo accumulato i debiti più ingenti nel corso di questi ultimi dieci anni.
Non so se ho già riferito a questa Commissione di aver avuto un incontro con tutti i sovrintendenti delle fondazioni lirico-sinfoniche e con tutti i sindaci delle città interessate, sia di destra sia sinistra. Ebbene, tutti, dai sindaci ai sovrintendenti - è stato diffuso in proposito anche un comunicato - hanno giudicato non più rinviabile una riforma di questo settore.
Vi annuncio in questa occasione che sto preparando un provvedimento di riforma delle fondazioni lirico-sinfoniche, che intendo presentare prossimamente al Governo, ma solo dopo che sarò riuscito ad ottenere - come ho più volte annunciato e in qualche modo promesso - le risorse necessarie per reintegrare i finanziamenti del FUS a livello dell'anno trascorso; il che non ci consente di fare i grandi progetti che sarebbero necessari, ma semplicemente di sopravvivere nelle condizioni già difficili degli anni passati.
Tuttavia, sopravvivere, nelle condizioni in cui ci troviamo oggi dal punto di vista economico, è già un piccolo miracolo, se mi consentite.
Quindi, il mio obiettivo è quello di reintegrare il FUS e, successivamente, di procedere, con maggiore autorevolezza, determinazione e anche forza politica, a presentare al Governo, alle forze politiche, al Parlamento e a tutto il mondo dello spettacolo una proposta di riforma del settore, che ormai, a detta di tutti (credo anche di coloro che siedono in questa Commissione, a qualunque forza politica appartengano), non è più rinviabile.
Per quanto riguarda il cinema, infine, penso che la situazione sia più incoraggiante rispetto ad altri settori dello spettacolo. Questo lo si deve al fatto che negli anni precedenti, grazie all'impegno di tutti - ma in particolare, devo riconoscerlo, dell'onorevole Carlucci e, ultimamente, anche grazie al Governo - sono stati approvati importanti provvedimenti a favore del cinema.
Si tratta di provvedimenti modello, perché vanno nella direzione di diminuire l'intervento dello Stato e di aumentare parallelamente quello dei privati, attraverso strumenti di detassazione fiscale dei contributi alla cultura, e al cinema in particolare, che hanno sollevato in grande misura, e solleveranno sempre di più, le condizioni in cui si trova il cinema italiano. Anzi, consentiranno a tale settore di procedere più speditamente nel lavoro che gli è proprio.
Sempre per quanto riguarda il cinema, la situazione è più incoraggiante e meno drammatica, anche perché - grazie al mio impegno e a quello dei miei collaboratori - abbiamo affrontato uno dei punti centrali della promozione del cinema italiano, che, storicamente, riguarda Cinecittà.
Ho deciso, subito dopo aver assunto questa responsabilità, di commissariare Cinecittà, dal momento che la situazione, a detta degli amministratori precedenti, dal punto di vista finanziario era insostenibile.
Dopo pochi mesi, il lavoro del commissario straordinario ha consentito di abbattere, quasi azzerandolo, l'ingente debito contratto da Cinecittà, che ammontava a decine e decine di milioni di euro.
Oltre a ciò, abbiamo nominato i nuovi vertici di Cinecittà, accorpato l'Istituto Luce a Cinecittà, nominato il nuovo amministratore delegato, ridotto il consiglio di amministrazione e nominato un nuovo presidente, attraverso nomine non di lottizzazione politica - nessuno può accusarmi di aver agito in tal senso -, ma di competenza specifica nell'ambito del cinema.
Alcune di queste nomine erano già state sperimentate in passato - penso all'amministratore delegato dell'Istituto Luce che è diventato amministratore delegato di Cinecittà -, mentre altre non erano state sperimentate direttamente da noi, ma nell'ambito del cinema, come quella del nuovo presidente di Cinecittà.
Questa è la situazione generale che avevo il dovere di illustrarvi quest'oggi.
Credo che sulla base dei princìpi generali esposti - non sono entrato nel


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merito dei singoli provvedimenti che ho annunciato dato che non sono ancora pronti, ma potremo comunque farlo in altra occasione - si possa riscontrare in questa Commissione una larga convergenza.

PRESIDENTE. Grazie, signor Ministro. Do ora la parola ai colleghi deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

EMILIA GRAZIA DE BIASI. Signor presidente, vorrei ringraziare il Ministro Bondi per la sua presenza e per la sua esposizione.
Innanzitutto desidero muovere un piccolo rilievo procedurale a quanto lei, signor Ministro, ha dichiarato.
Sono contenta del fatto che vi sia una sintonia molto forte fra tutti noi per procedere ad una riforma dello spettacolo dal vivo e sono felice che ci sia anche un buon orientamento del Governo in questa direzione, perché ciò significa che potremo lavorare.
Tuttavia, sarà il Comitato ristretto a decidere quale dovrà essere il testo base. Del resto, ritengo che non debba essere il Governo a farlo e non è scritto da nessuna parte che si debba trattare di un testo piuttosto che di un altro. Dunque, rimanderei la discussione al Comitato ristretto, che è la sede propria per trattare tale argomento, al di là di quanto decideremo.
Come lei sa, tengo molto all'autonomia del Parlamento, quindi, almeno in questo campo, la prego di lasciarci discutere.
In secondo luogo, condivido la sua analisi, anche se la trovo fin troppo buona, circa il dibattito suscitato da Baricco su La Repubblica, perché penso che in quelle parole sia riscontrabile un tema piuttosto rilevante.
Baricco certamente parla di un nuovo rapporto tra pubblico e privato - come lei sa, parla con una persona che non è prevenuta da questo punto di vista -, tuttavia lo spostamento di attenzione sulla formazione e sulla televisione da lui proposto crea un vulnus molto forte sui beni culturali e sul teatro.
Tale aspetto non è indifferente e, a mio avviso, si colloca in una impostazione teorica leggermente arretrata.
Sarebbe necessario svolgere un ragionamento in questo senso, perché, nell'epoca della convergenza multimediale, «farsela» con il teatro non mi sembra un'operazione molto muscolare. Questa è la mia opinione, che peraltro ho dichiarato pubblicamente. Comunque, mi premeva, anche solo per un attimo, interloquire con lei su questo punto.
Penso, inoltre, che si ponga un problema gigantesco rispetto al ruolo dello Stato. Abbiamo davvero bisogno - speriamo che con il federalismo fiscale vi sia un'apertura in questa direzione - di rivedere la struttura dell'intervento dello Stato nel campo della cultura, non soltanto in relazione al privato e, quindi, al reperimento delle risorse, ma anche relativamente alla loro redistribuzione.
Ritengo, ad esempio, che alcuni strumenti - compreso lo stesso FUS - vadano rivisti, perché il panorama dello spettacolo italiano è molto cambiato. Oggi, parliamo infatti, di industria cinematografica. Siamo usciti dalla artigianalità ormai da molti anni.
Le risorse culturali sono certamente limitate, e non da oggi.
Signor Ministro, mi permetta di dire che è vero che le risorse sono limitate e che tutti i Governi tendono a considerare la cultura come un aspetto marginale - perché, per dirla brevemente, non la ritengono un investimento, ma una spesa -, però è anche vero che i tagli di quest'anno sono molto pesanti. Ne è prova il fatto che lei stesso ha dichiarato - e personalmente accolgo con favore la sua affermazione - che si potrà cominciare ad operare se ci sarà il ripristino del FUS, a partire dalle fondazioni lirico-sinfoniche e, mi permetto di dire, anche dallo spettacolo dal vivo, perché senza copertura finanziaria sarà difficile fare la riforma.
Vorrei anche che ci rassicurassimo su un punto. Al di là dei tagli, è vero che esistono degli sprechi, ma è anche vero che vi sono oramai strumenti normativi che sono stati definiti nelle precedenti


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finanziarie, che possono fluidificare la spesa e orientarsi in modo differente.
Penso dunque che agendo in tale senso, sia possibile non soltanto procedere ad accantonamenti - quindi a tagli sugli sprechi, di fatto -, ma anche ad una redistribuzione dei finanziamenti e delle risorse, sulla base anche di elementi di qualità.
Non voglio rubare tempo ai colleghi, considerato che l'audizione è particolarmente dedicata al mondo del cinema - penso che avremo molte altre occasioni di confrontarci sullo spettacolo dal vivo, o almeno me lo auguro -, ma le vorrei segnalare alcune urgenze.
Mi riferisco innanzitutto alla situazione con l'Unione europea. Vorrei sapere a che punto siamo sulle deleghe, sul tax credit e sul tax shelter, sia per l'esercizio, che per la produzione. Entrambi, infatti, richiedevano un parere dell'Unione europea. Se non ho capito male manca il parere sull'esercizio, mentre quello sulla produzione c'è. Le chiedo dunque un chiarimento su questo punto, perché mi sembra molto importante la scelta che è stata fatta fin dalla finanziaria del 2007, circa l'inserimento del tax credit e del tax shelter. È un dibattito che abbiamo già svolto, ma ora si tratta di attuare tali orientamenti. Vorrei quindi capire se l'Unione europea è uno scoglio, o se lo abbiamo superato e si può procedere in questa direzione.
Inoltre, per quanto concerne l'esercizio, signor Ministro, sono molto preoccupata perché si pone un problema di enormi dimensioni circa la politica del credito, che - come lei sa - riguarda le sale cinematografiche e la loro digitalizzazione. Questo è un problema serio, perché c'è un nuovo credito imposto con un nuovo regolamento.
Peraltro, voglio segnalare che il costo di ristrutturazione per il passaggio al digitale di ogni schermo, e dunque di riconversione, ammonta a 140-150 mila euro a schermo. Dal momento che l'Italia deve procedere alla digitalizzazione entro il 2012, penso che vi siano dei tempi obbligati. Tuttavia, si pone un problema molto serio, perché non vi è copertura per il momento, quindi vi è incertezza per la parte che riguarda l'esercizio.
So che lei ha incontrato Perotti in diverse occasioni e ho letto anche le rassicurazioni che ha dato, però vorrei capire quale sia la situazione del credito, aspetto molto importante per la filiera produttiva e importantissimo per lo spettacolo dal vivo.
Del resto, se continuiamo ad effettuare tagli, senza concedere un minimo di apertura al credito e, quindi, alla possibilità di avere anticipi che evitino di dover pagare interessi bancari così alti, credo che la situazione diventerà molto complicata. Pertanto, le chiederei di prestare un'attenzione particolare al riguardo.
Si pone, poi, un problema molto serio che riguarda Cinecittà. Anche in questo caso, mi chiedo se non dobbiamo ragionare, in prospettiva, sopra un'agenzia del cinema che, tuttavia, richiederebbe fondi e finanziamenti.
Nella nostra proposta, ad esempio, come lei sa, è stata inserita la tassa di scopo, ma non credo che sia una questione di semplice soluzione.
Vorrei capire quanto possiamo effettivamente ragionare sulla leva della fiscalità come possibilità effettiva di incentivare la produzione, soprattutto di film italiani di qualità, sapendo che il cinema italiano versa in buone condizioni (in Italia il 30 per cento del mercato è italiano, mentre, solo qualche anno fa, la percentuale si attestava al 15 per cento). Ciò sta a significare che la legge Urbani ha funzionato. Insomma, seppur con luci e ombre ovviamente, sono stati compiuti dei passi in avanti.
Vorrei inoltre capire meglio che cosa intende fare il Governo in rapporto a Cinecittà; quale trasformazione avverrà in quella sede; se Cinecittà effettivamente, in tendenza, diventerà o meno come l'agenzia del cinema francese; se, come mi auguro, convergeranno in quell'ambito, ossia in un luogo solo che rispetti l'identità di industria culturale, i finanziamenti pubblici e privati; se la leva fiscale avrà davvero una sua importanza.


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Vorrei anche comprendere se si manterrà, come è accaduto in passato, l'incentivazione ai film italiani di qualità (penso, ad esempio, al premio «Schermi di Qualità») e, quindi, se riusciremo effettivamente ad incentivare la qualità.
Vorrei citare ancora due questioni per essere breve, anche se vi sarebbero molti altri argomenti da affrontare.
Innanzitutto vorrei sapere come intendete comportarvi per contrastare il fenomeno della pirateria, ormai diventato un aspetto assolutamente stringente, che coinvolge non solo la cultura della legalità, ma anche il tema gravissimo del rispetto del diritto d'autore che, come sempre accade, viene assolutamente dimenticato e violato. Fra l'altro, esistono leggi - la stessa legge Urbani - che contrastano il fenomeno della pirateria, tuttavia sappiamo anche che quelle norme, una volta approvate, sono state dimenticate. Non c'è, quindi, un'attenzione piena al riguardo.
Il secondo tema riguarda il rapporto con la televisione. Diciamocelo molto chiaramente: oggi le televisioni, RAI e Mediaset in particolare, ma ormai anche Sky, acquistano pochissimi film. Esse, infatti, investono prevalentemente sulla fiction, e non sul cinema, come previsto invece dalla legge n. 122 del 1998.
Quindi, si scorge un problema costituito dalla forte compresenza della mancanza di acquisto di film e della loro proiezione non in prime time, ma nelle ore tarde; tale circostanza depotenzia completamente il prodotto e il mercato, lo deprime davvero tantissimo. Penso che anche questo sia uno dei punti importanti della questione.
Cito solamente un dato a questo proposito: Rai1 ha trasmesso soltanto tre film e non in prime time. Questo è un fatto notevole, visto e considerato che esistono strutture di holding che, invece, sono deputate alla produzione e alla distribuzione del cinema.
La stessa Sky acquista meno film e di minor qualità. Quindi, evidentemente, tale problema non riguarda la piattaforma, ma è legato invece proprio alla struttura della televisione italiana, in relazione al cinema; il che significa che le piccole case di distribuzione, quelle di qualità, sono destinate a morire, perché si tende a favorire le grandi case di distribuzione.
Vorrei citare un piccolo scandalo (uso questo termine, ma vorrei semplicemente esemplificare), in riferimento alla produzione di Il Divo e di Gomorra, che sono stati due successi internazionali. Ebbene, Il Divo, prodotto con fondi statali non è stato acquistato dalla RAI. Questo è paradossale!
Penso che dovremmo tutti riflettere su questo aspetto, perché il circuito dovrebbe essere virtuoso. Dovrebbe essere un circuito di mercato, non dico protetto, ma sicuramente agevolato, che dovrebbe tendere ad elevare la qualità del servizio pubblico radiotelevisivo e, contemporaneamente, del prodotto cinematografico.
È sconcertante che lo Stato stanzi dei finanziamenti e poi un altro pezzo di Stato, ossia il servizio pubblico radiotelevisivo, non lo acquisti.
Mi fermo qui anche se resterebbe ancora da affrontare il tema dell'IVA, ma purtroppo non c'è tempo per trattare anche questo aspetto. Mi piacerebbe, tuttavia, avere un confronto, anche più ravvicinato, su questi elementi di economia della cultura, che mi sembrano decisivi.

PRESIDENTE. Almeno per concludere i lavori di oggi - alle 16 saremo impegnati in Aula - darei la parola all'onorevole Levi, all'onorevole Granata e all'onorevole Giulietti. Rimangono iscritti a parlare gli onorevoli Ginefra, Carlucci e Goisis, ai cui interventi seguirà la replica del Ministro.

RICARDO FRANCO LEVI. Signor Ministro, la ringrazio di essere presente in Commissione oggi. Lei ha toccato temi di vasto respiro. Ha parlato della preparazione, e del grande lavoro ad esso sotteso, per il varo di una nuova legge per lo spettacolo dal vivo; ha parlato della sua intenzione di promuovere una riforma degli enti lirici e sinfonici, condizionandola alla ricostituzione - come suo impegno preciso - del Fondo unico dello spettacolo sui livelli precedenti e ha concluso,


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affrontando un altro grande tema: quello del cinema.
Parliamo di temi di vasta importanza che si inquadrano nell'attività ben più ampia del suo Dicastero. Questi temi sono tanto vasti che lei, inevitabilmente, ci ha dato appuntamento ad un'altra occasione per riprendere la discussione.
Tutto questo mi impone di rivolgerle una domanda che, inevitabilmente, ha anche elementi personali: ci sarà un'altra occasione di discutere con lei, in qualità di Ministro per i beni culturali? Abbiamo saputo, infatti, che lei è candidato ad assumere un ruolo politico di primaria importanza nel suo partito. Non le chiedo se questo succederà o meno, perché tale aspetto è in grembo agli dei, ma vorremmo capire quali sono le sue intenzioni: se considera che questo eventuale impegno possa essere compatibile con la guida del Ministero; oppure se lei non considera che le cose stiano così e, dunque, ci dobbiamo preparare ad avere un altro responsabile del Dicastero dei beni culturali. Del resto, conosciamo l'importanza della guida in tutte le vicende istituzionali.
Mi scuso se la domanda è direttamente personale, ma sentivo che fosse mio dovere rivolgergliela.

BENEDETTO FABIO GRANATA. Ringrazio il presidente che mi ha dato l'opportunità di intervenire e anche il Ministro che oggi ha voluto sottolineare alcuni passaggi importanti dell'azione del suo Dicastero, proprio davanti a questa Commissione, con particolare riferimento alla legge che speriamo possa rappresentare un punto d'incontro, tra i lavori della Commissione, le diverse sensibilità e il Parlamento, per ridare centralità al Parlamento circa un tema così importante.
Devo innanzitutto compiacermi per il metodo che il Ministro ha voluto sottolineare, ossia l'idea che in due settori chiave, strategici per certi versi, delle attività culturali della nazione - lo spettacolo dal vivo e il cinema - si arrivi ad una metodologia che ridia centralità ai rami del Parlamento e allo stesso tempo restituisca forza ad una prospettiva che, per nostra fortuna, è fortemente caratterizzante dell'attività della Commissione cultura.
Mi riferisco al fatto che parliamo di argomenti che, per certi versi, sono precondizione della politica e dell'identità culturale della nazione stessa e che quindi non hanno necessità di trovare a tutti i costi conflitti o posizionamenti diversi.
Credo che sia molto importante questo metodo e condivido, altresì, alcune considerazioni svolte in questa sede. Quindi auspico, anch'io, che da parte della Commissione ci sia un maggior coinvolgimento, compatibilmente con l'attività ministeriale, su queste riflessioni.
Non me ne deve volere nessun ammiratore di Baricco, ma le sue considerazioni, come quelle di ogni intellettuale, mi sono sembrate caratterizzate da un'eccessiva semplificazione (uso un eufemismo).
Badate, bisogna dire con forza qualcosa di nuovo, anche se in realtà, si tratta di un concetto molto antico: alcune questioni legate alle attività culturali sono eminentemente pubbliche. La cultura è un grande fatto pubblico.
Ci sono delle attività che devono essere sostenute non perché debbono produrre qualcosa, ma proprio perché producono cultura e hanno dei costi molto elevati. Tuttavia, il prodotto di queste attività è proprio la capacità di mantenere inalterato il grande filo rosso della cultura nazionale che è legato alla lirica, ad esempio, uno dei tasselli caratterizzanti, o al teatro.
Quindi, dare per scontata una sorta di equazione, secondo la quale è bene passare tutto in mano ai privati, in maniera tale che queste attività siano produttive, mi sembra una semplificazione davvero eccessiva.
Ovviamente, poiché l'affermazione in questione è stata fatta da Baricco, ha avuto ammiratori bipartisan. Se, invece, fosse stata espressa da qualche esponente di partito, soprattutto di centrodestra, aria notoriamente meno propensa ad avere sensibilità accentuate nei confronti della


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difesa della cultura come grande fatto pubblico, certamente sarebbe stato crocefisso.
Il tema dunque è centrale, perfettamente coerente e consequenziale alla riflessione più vasta che il Ministero ha fatto partire. Lo dico in questa sede senza nessuna intenzione polemica, ma anzi affinché sia di stimolo, perché è questo che la Commissione e il Parlamento devono fare nei confronti del Governo.
La grande questione che dobbiamo affrontare è quella della capacità di uscire da una fase in cui il patrimonio culturale italiano è stato caratterizzato da grandissima sapienza e da scarsa managerialità, senza rischiare di passare ad una fase in cui ci sia solo managerialità senza nessuna sapienza.
Insomma, occorre trovare - lo do per scontato - una grande capacità di equilibrio tra la necessità della conoscenza, e quindi della ricerca, e la necessità della tutela e della custodia, senza che ciò diventi una sorta di feticistica chiusura di un piccolo mondo antico che ritiene di avere una ragione sociale esclusiva.
A questo proposito cito spesso, in una mia diversa e più piccola esperienza di Governo, il museo regionale di Messina, che espone ventotto quadri molto importanti - tra gli altri ce ne sono due di Antonello da Messina e due di Caravaggio -, ma che presenta un piccolo particolare.
Sono consapevole dell'importanza che hanno i magazzini delle istituzioni museali giacché sono fondamentali per la ricerca, per le pubblicazioni e per tante altre questioni. Mi sembra sproporzionato, tuttavia, che un museo - come quello di Messina - esponga ventotto opere di grande rilievo e, contestualmente, tenga in deposito 790 dipinti restaurati da ben quindici anni (parlo di dipinti importanti del Seicento e del Settecento).
Questo è un caso esemplificativo di una mentalità di chiusura che si è manifestata. In questo lavoro - penso di parlare anche rappresentando una posizione che va oltre gli schieramenti partitici -, tale sensibilità è molto presente.
Vogliamo dire con chiarezza, signor Ministro, che per lei possiamo rappresentare un punto di forza in questa politica, ma a una condizione (anche se non possiamo permetterci di porre alcun tipo di condizione). È necessario attuare un coinvolgimento della Commissione rispetto a taluni passaggi, fortemente caratterizzati da pesi e contrappesi, che devono essere sempre presenti, in cui la grande spinta ad una maggiore managerialità nell'organizzazione del sistema della cultura italiana non vuole e non deve prescindere dalla ragione sociale finale che non è di tipo produttivistico, ma è legata all'attività culturale, in quanto portatrice della memoria condivisa della nazione.
È necessaria una grande riforma di tipo legislativo. Esiste un monumento legislativo. Lo dico dopo Fiuggi, al cospetto probabilmente del mio nuovo coordinatore di partito. Non c'è nessuna nostalgia per il ventennio, ma certamente la legge Bottai del 1939 rappresenta tutt'oggi un monumento legislativo.
Infatti, tutte le volte che si è provato a toccare la legge Bottai, soprattutto per quanto riguarda il tema estremamente delicato e spinoso della tutela del paesaggio, sono state attuate delle operazioni che alla fine si sono rivelate peggiorative.
Ebbene, questa grande spinta legislativa, in chiave di modernizzazione del settore, è auspicabile. È necessario, tuttavia, che si proceda con una grande dose di memoria storica della più grande infrastruttura immateriale dell'Italia che è proprio il bagaglio culturale.
Svolgo un'ultima considerazione, che può sembrare anche scherzosa. Rispondo all'onorevole Levi che, leale come sempre, ha posto un tema non spinoso, ma legato all'attualità della politica, anche di tipo mediatico.
Per la prima volta, dopo una certa forma di considerazione, quasi un luogo comune, per cui è stata attribuita alla sinistra una sorta di egemonia culturale e gramsciana, potrò almeno vantarmi del fatto che il segretario del mio partito sia anche Ministro della cultura.


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È la prima volta che succede, quindi vogliamo prenderci questa piccola soddisfazione, invitando il Ministro Bondi a non dimettersi e a mantenere i due incarichi.

GIUSEPPE GIULIETTI. Signor presidente, non vorrei associarmi al dibattito interno. Sulla soglia del congresso e su quella della legge Bottai mi fermo, perché non vorrei dare la sensazione alla presidente che si sia già creato un gruppo trasversale. Abbiamo ancora delle distinzioni con l'onorevole Granata!
Al di là delle battute, condivido quanto detto dall'onorevole De Biasi sulle questioni di merito e alcune valutazioni poste adesso dall'onorevole Granata.
Ad ogni modo, signor Ministro, le vorrei rivolgere alcune domande. Non so che cosa accadrà in futuro, ma credo che sia necessario porre con molta chiarezza alcune questioni.
Baricco o non Baricco, si rende evidente un problema che ha posto l'onorevole Granata e che mi permetto di sottolineare, anche perché prima di Baricco qualcun altro aveva già scritto di tali temi in questo Paese, sia nel mondo della ricerca, sia in quello dell'università e dell'accademia.
Il punto è che lo spazio pubblico di discussione e di formazione non deve mai essere messo in discussione. Il privato può essere complementare o residuale, ma lo spazio pubblico è laico e deve consentire - lei lo sa - il confronto delle diverse opinioni, che non sono quelle della destra e della sinistra, ma quelle del linguaggio, dell'arte, dell'espressione teatrale, della ricerca scientifica e della pluralità dei linguaggi.
Lo spazio pubblico può garantire la pluralità. Il privato può rispondere affermando di essere un teatro o un cinema di tendenza, e dunque di garantire il proprio punto di vista, che può essere quello del profitto, quello ideologico o di una chiesa, ma non è spazio pubblico di discussione.
Questo è un aspetto rilevante, ed è un punto chiave. La complementarità del privato, se questo lei intendeva dire, mi trova assolutamente d'accordo. Tuttavia ci deve essere uno spazio, che chiamo «di formazione del dibattito e dello spirito pubblico», che deve essere assolutamente garantito come diritto universale.
Lei ha parlato anche di una rete televisiva che si ponga il problema della pubblicità, ma su di questa parlerò alla fine.
Tornando a noi, questo ragionamento che cosa comporta, signor Ministro? L'universalità del diritto all'accesso. È necessario garantire, a chi non ha, la possibilità di vedere un museo, di entrare in una biblioteca, di godere in televisione dei migliori film, dei migliori spettacoli e delle migliori note; non delle peggiori, non di quelle del supermercato, inteso in senso tradizionale.
Chi non ha deve poter accedere ai momenti migliori della produzione culturale. Questa è stata una grande conquista democratica. Questo è lo spazio pubblico. In quest'ambito è possibile trovare l'intreccio con il privato. Guai se fosse sostitutivo!
Questo discorso non è astratto. Mi ispiro anche ad una riflessione che lei svolse, pur nel dissenso tra le parti, sul tema dell'accesso al bello. Che cos'è l'accesso al bello, se non l'accesso all'universalità di ciò che è meglio?
Il bello può essere poi declinato in diversi modi, ma significa consentire alla propria popolazione di tentare di elaborare il meglio nei linguaggi, nello stile, nell'ascolto, nella parola.
Pertanto, se lei afferma che esiste un livello di autonomia non delegabile e non rinunciabile, qual è questo livello?
Passiamo adesso all'aspetto politico e raccolgo l'appello dell'onorevole Granata.
In che modo questa Commissione con la sua presidente e con tutte le forze politiche - io sarei totalmente disponibile - arriva a una presa di posizione comune e reiterata? Non mi riferisco solo al tema del reintegro integrale del FUS, dal momento che in queste ore stiamo andando in direzione opposta, con il rischio che i nuovi fondi strutturali non arrivino al ministero.


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Dobbiamo decidere con chiarezza quale sia l'esigenza minima - se è questa, condivido l'appello del Ministro - e la dobbiamo tradurre in una presa di posizione politica che non si limiti a dire qual è il livello minimo, ma indichi quali sono le risorse minime necessarie per impedire la chiusura dello spazio pubblico e dove e come prelevare le risorse aggiuntive per consentire la realizzazione di ciò che è stato detto in questa sede.
La legge sullo spettacolo dal vivo - di cui parlano molto bene, seriamente e in modo impegnato la collega Carlucci ed altri - e sul cinema non si fa solo attraverso la redistribuzione dello spirito, ma anche mediante l'individuazione dei meccanismi materiali che consentano la nascita di nuovi soggetti. Non so se sono stato chiaro.
Sono favorevolissimo a tale punto di vista, ma questo comporta l'assunzione della proposta dell'onorevole Granata, in quanto risultano fondamentali il coinvolgimento del Parlamento e delle Commissioni, un coinvolgimento non strumentale sulle leggi di settore e un clima di discussione collettiva. Dopodiché, si può esprimere il proprio assenso o il proprio dissenso al riguardo, ma senza spirito d'ordine. So che lei chiarirà questo concetto, ma bisogna evitare che si insinui nelle menti la strana idea che si possa commissariare ciò che non piace, sia esso ai beni archeologici o a Ostia. Non dico che sia sempre così, ma che occorre evitare l'idea... (Commenti dell'onorevole Granata). Questo è un altro paio di maniche. Non mi ha sentito dire alcunché su Cinecittà. Sono abituato a dire pubblicamente anche ciò che condivido. Dico di fare attenzione a non avere a giorni alterni un'idea di accentramento e di decentramento, perché così facendo la discussione collettiva funziona male.
Per quanto riguarda il cinema - non parlo dello spettacolo dal vivo, perché il tema è già stato posto -, pensa, signor Ministro, di illustrare le linee guida per Cinecittà in questa Commissione, fermo restando che personalità come il dottor Ciccuto o il dottor Sovera rappresentano un punto di riferimento solido?
Del resto, lei capisce che quanto ha detto deve tradursi in una modalità organizzativa e operativa di Cinecittà e dintorni.
A tale riguardo - mi rivolgo anche ai colleghi che amano il cinema e che risiedono nel nord-est - manifesto una grande preoccupazione per la prossima mostra del cinema. Le chiedo se ritiene che ci saranno le condizioni strutturali e se davvero il nuovo palazzo sarà aperto nel 2011. Infatti, vi sono delle situazioni di grave difficoltà che possono portare ulteriori problemi alla Mostra del Cinema di Venezia, che è la più grande rassegna internazionale e nazionale e che non può essere messa fra parentesi.
In questo senso, Ministro Bondi, riprendendo le considerazioni formulate dalla collega De Biasi sulle reti televisive - le risparmio le polemiche sul conflitto di interessi e quant'altro -, faccio presente che vi è un'operazione che può essere attuata a costo zero. Parlo della promozione del cinema e del teatro in televisione, della convocazione dei grandi network televisivi e della riproposizione della serata cinema che è stata cancellata.
Sono le grandi aziende della televisione, signor Ministro, che oltre a chiedere le leggi per sé, potrebbero versare lo 0,5 per cento dei loro introiti per la costituzione - al riguardo consegno la mia proposta alla Commissione - di un grande fondo per i giovani autori e i giovani talenti. Oltre a vagheggiare una riforma della televisione che non si farà, Ministro, cerchiamo risoluzioni comuni su aspetti possibili e delegabili al suo ministero.

DARIO GINEFRA. Signor presidente, avrei voluto svolgere un intervento più articolato. Approfitto comunque della presenza del Ministro e delle considerazioni svolte, perché non vorrei che optasse per la segreteria del partito e di colpo perdessimo un interlocutore.


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Esiste un'urgenza che riguarda il mondo della lirica e del pubblico spettacolo che si riassume nella riapertura del Teatro Petruzzelli. Vorrei, Ministro Bondi, che ci desse qualche chiarimento in più sulla consegna del bene e sull'atteso parere dell'Avvocatura generale dello Stato, onde evitare che le notizie siano semplicemente quelle che apprendiamo da un susseguirsi di dichiarazioni sulla stampa che molto spesso travisano anche il pensiero dei protagonisti.
Si tratta di un bene che interessa la cultura nazionale, per cui mi auguro che in questa sede possano già arrivare delle notizie dettagliate.

PRESIDENTE. Resta fermo, onorevole Ginefra, il suo diritto a intervenire la prossima volta.
Nel ringraziare il Ministro Bondi per la disponibilità manifestata, rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 16.

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