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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione VIII
46.
Mercoledì 25 luglio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Alessandri Angelo, Presidente ... 3

Audizione del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Corrado Clini, sulle politiche per la tutela delle risorse idriche e per la difesa del territorio dal rischio idrogeologico (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Alessandri Angelo, Presidente ... 3 5 11 14
Clini Corrado, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ... 3 6 11
Braga Chiara (PD) ... 7
Bratti Alessandro (PD) ... 9
Cosenza Giulia (PdL) ... 11
Margiotta Salvatore (PD) ... 9
Mariani Raffaella (PD) ... 6
Piffari Sergio Michele (IdV) ... 10
Realacci Ermete (PD) ... 9
Vatinno Giuseppe (Misto-ApI) ... 8
Viola Rodolfo Giuliano (PD) ... 5
Zamparutti Elisabetta (PD) ... 8
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONE VIII
AMBIENTE, TERRITORIO E LAVORI PUBBLICI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 25 luglio 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ANGELO ALESSANDRI

La seduta comincia alle 14,45.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Corrado Clini, sulle politiche per la tutela delle risorse idriche e per la difesa del territorio dal rischio idrogeologico.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Corrado Clini, sulle politiche per la tutela delle risorse idriche e per la difesa del territorio dal rischio idrogeologico.
Do, la parola al Ministro Clini, che ringrazio.

CORRADO CLINI, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Sul dissesto idrogeologico potrei dire che non c'è molto da aggiungere rispetto a quello che avevo detto qui in Commissione nel mese di dicembre dello scorso anno. L'urgenza di un piano nazionale per la sicurezza e la manutenzione del territorio rimane, anche se il progetto che avevo illustrato non è ancora diventato una proposta del Governo soprattutto per ragioni di compatibilità economica.
Il progetto prevedeva, infatti, la realizzazione di una serie di azioni combinate tra le amministrazioni pubbliche e il settore privato, in parte finanziate con risorse pubbliche e in parte incentivate attraverso il credito d'imposta, finalizzate ad assicurare mediamente investimenti nell'ordine di 1,2 miliardi di euro all'anno per vent'anni, in modo tale da realizzare quel complesso di interventi che avevamo identificato, sulla base dei dati raccolti attraverso i piani regionali per l'assetto idrogeologico, e che ammonta a circa 40 miliardi di euro. Avevamo stimato che più o meno il 40 per cento di questi interventi poteva essere finanziato con risorse pubbliche e il 60 per cento con investimenti privati incentivabili con il credito di imposta.
Questo pacchetto di proposte, che peraltro ho presentato lo scorso 21 marzo a Vernazza, in occasione dell'incontro del Presidente Napolitano con le popolazioni delle Cinque Terre e della Liguria che erano state colpite dagli eventi estremi del 25 ottobre 2011, non ha ancora avuto la possibilità di diventare una proposta del Governo. La ragione non riguarda il merito della proposta quanto, piuttosto, la difficoltà della sua copertura finanziaria.
Gli unici interventi che siamo riusciti ad attivare sono quelli che hanno consentito il recupero di quasi un miliardo di euro di Fondi strutturali non utilizzati e ancora disponibili per il periodo 2007-2013, che abbiamo rimesso in circolazione. Di questi, circa 670 milioni di euro sono stati destinati alle regioni del Mezzogiorno e un centinaio, invece, alle regioni del Nord. Questi soldi coprono una parte dei


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programmi di intervento che erano stati individuati attraverso accordi di programma sottoscritti nel 2010 tra le regioni e il Ministero dell'ambiente e recuperano solo in parte lo stanziamento di 1,2 miliardi di euro che la legge finanziaria 2010 aveva destinato alla protezione del territorio e alla prevenzione del dissesto idrogeologico, stanziamento poi sostanzialmente azzerato nella manovra del 2011 per ripianare il debito pubblico.
Attraverso quindi recuperato con una delibera del CIPE della primavera di quest'anno 870 milioni di euro che abbiamo riallocato a favore delle regioni. Inoltre, nel cosiddetto «decreto sviluppo» abbiamo finalizzato le erogazioni di crediti a tasso agevolato alle imprese che operano anche nel settore della manutenzione del territorio e nella messa in sicurezza del territorio.
Questi sono gli unici interventi che siamo riusciti ad attivare, ma un programma organico di interventi per la protezione del territorio non è stato possibile adottarlo.
Rimango, tuttavia, dell'opinione che un piano di interventi per la tutela del territorio sia uno strumento per la crescita perché mette in sicurezza territori esposti che altrimenti, in caso di eventi estremi, devono subire danni di valore economico molte volte superiore al costo della prevenzione. La Liguria illustra molto bene questa situazione perché, laddove erano stati fatti interventi di prevenzione, non ci sono stati danni. Questo ha perciò, in primo luogo, un valore economico positivo: è un investimento e non un costo.
In secondo luogo, un piano per la tutela del territorio è in grado di generare occupazione aggiuntiva perché mette in moto interventi diffusi che richiedono competenze articolate e perciò consente anche di allargare la platea degli occupati a professioni e competenze diverse.
In terzo luogo, continuo a essere dell'opinione, non condivisa dalla Ragioneria generale dello Stato, che nel caso di questi interventi la valutazione del costo vada fatta sul ciclo economico e non sul rapporto tra la mancata entrata e il vantaggio che si ha in termini di entrate aggiuntive nel corso dell'esercizio. Un intervento di manutenzione del territorio richiede infrastrutture e la realizzazione di attività che hanno un ritorno stimabile in due o tre anni.
Se, dunque, il credito d'imposta si applica e si misura in termini di effetti sull'anno in cui viene erogato, è chiaro che sia un costo. Se invece si misura nel ciclo economico dell'intervento, ha un vantaggio, come dimostra chiaramente l'applicazione della detrazione fiscale delle spese per l'efficienza energetica degli edifici (il cosiddetto «del 55 per cento»).
Questo tema è rimasto aperto con la Ragioneria generale dello Stato. Abbiamo visto nella discussione sul «cosiddetto decreto sviluppo» come è stato difficile allungare i tempi del 55 per cento al giugno 2013. È un tema che rimane aperto e io spero che, passata questa fase di approvazione dei decreti-legge che abbiamo in corso, lo si potrà riprendere, anche perché temo che la variabilità climatica che abbiamo già sperimentato negli anni scorsi possa ripresentarsi puntualmente in autunno e determinare effetti che poi di nuovo ci costringono a rincorrere i danni.
Per quanto riguarda le politiche in materia di tutela delle acque e di gestione delle risorse idriche, invece, la novità è la condanna subita dallo Sto italiano il 19 luglio 2012. Siamo stati condannati dalla Corte di giustizia europea per inadempienze nel settore fognario e della depurazione delle acque reflue urbane. Le criticità contestate dalla Commissione europea riguardano complessivamente circa 1.800 agglomerati. Il rischio concreto è quello di una condanna consistente da parte dalla Corte di giustizia per inadempienza. Come in altri casi, per esempio i rifiuti di Napoli, se non riusciremo ad attivare rapidamente misure che sostanzialmente dimostrino che la condanna della Corte e le prescrizioni sono state rispettate, andremo di nuovo incontro a una sanzione pecuniaria importante.
Al riguardo, posso dire che a fronte del fabbisogno di investimenti di 65 miliardi di euro in trent'anni, che abbiamo valutato


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anche in relazione al merito delle procedure europee, siamo riusciti a mobilizzare con una delibera del CIPE del 30 aprile 2012 risorse finanziarie per 1 miliardo e 643 milioni di euro, che sono destinati all'adeguamento dei sistemi fognari e depurativi. Al riguardo, posso dire, sapendo di essere ascoltato anche fuori da questa riunione, che le risorse che abbiamo messo in moto rischiano però di non essere utilizzate in maniera efficace perché sono riassegnate alle stesse autorità che negli anni precedenti non le hanno utilizzate. Si pone dunque un problema di governance molto importante e molto critico, che dovrebbe essere oggetto di valutazione.
In genere in passato si nominavano dei commissari, i quali a loro volta non hanno risolto la maggior parte dei problemi. Probabilmente bisognerebbe introdurre un criterio di responsabilità diretta degli amministratori che non corrispondono agli obblighi. Altrimenti il giro rimane un giro senza conclusione e il rischio è che questi soldi, che in gran parte sono fondi europei, alla fine debbano essere restituiti alla Commissione europea. Questo è il tema. Noi abbiamo recuperato risorse che non erano state utilizzate e le abbiamo riassegnate alle autorità competenti perché le utilizzino. Il problema è che non abbiamo la sicurezza che questo avvenga.
Insieme al Nucleo operativo ecologico (NOE) dei Carabinieri sto valutando di istituire una task force dedicata alla verifica e al monitoraggio della spesa per verificare che queste risorse vengano effettivamente impiegate per gli obiettivi a cui sono state destinate. Va detto, inoltre, che, a sei anni di distanza dall'approvazione del decreto legislativo n. 152 del 2006 in tema di governance del ciclo delle acque, siamo ancora fermi in merito alla costituzione delle autorità distrettuali, che non sono state ancora costituite. Le autorità di bacino nazionali continuano a operare in surroga rispetto alle autorità distrettuali, ma questo non consente di raggiungere l'obiettivo del decreto n. 152 del 2006, che era quello di avere autorità in grado di assicurare una gestione integrata del ciclo delle acque. Ed anche questo elemento incide negativamente in generale sulla capacità di programmazione e di spesa delle regioni.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Clini e do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

RODOLFO GIULIANO VIOLA. Il Ministro, che ringrazio, ha svolto una disamina della situazione e per la verità il quadro è molto preoccupante.
Se non ho capito male, Ministro, il miliardo di euro stanziato nel 2010 per gli accordi di programma con le regioni è stato recuperato, sia pure in parte per questioni aperte con la Ragioneria generale dello Stato. Noi avevamo presentato diverse mozioni, anche unitarie, che evidenziavano l'enormità del problema della messa in sicurezza del territorio. La stima complessiva dei lavori che dovrebbero essere compiuti nel settore, in base agli atti del Ministero, è di oltre 40 miliardi di euro, che aggiunti a quelli del ciclo di depurazione diventano un centinaio di miliardi di euro. È l'ordine di grandezza sul quale siamo assestati.
Concordo con lei, Ministro, quando dice che se riuscissimo a mobilitare risorse per affrontare questi temi, metteremmo in moto un pezzo di economia fondamentale per il Paese, producendo un effetto anticiclico ed evitando i danni che derivano dagli eventi climatici estremi. Su questo l'analisi è condivisa e siamo tutti d'accordo. Il punto è come trovare le risorse ulteriori rispetto a quelle disponibili ma insufficienti.
In coda al suo intervento il Ministro ha indicato una delle poche cose che potremmo fare, cioè intervenire sulla governance del sistema. Sono d'accordo, perché ho l'impressione che l'attuale governance sia troppo parcellizzata e divisa in centri di spesa che molto spesso confliggono fra loro. Abbiamo i Piani di assetto idrogeologico (PAI) promossi dalle autorità di bacino, che a volte sono interregionali, mentre una parte della competenza appartiene


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invece ai consorzi di bonifica. Il collega Dussin e io abbiamo presentato una risoluzione in Commissione, che è diventata «storica» per quanto tempo è rimasta in discussione prima di essere approvata, in cui sottolineavamo, ad esempio, la necessità di prevedere accordi interregionali perché i fiumi non rispettano i confini delle regioni.
Nel tempo che ci rimane da qui alla fine della legislatura andrebbe fatto un tentativo per semplificare il sistema, in maniera tale che le limitate risorse siano allocate in centri di spesa ben definiti anche a livello territoriale - è evidente che dal centro non si può governare tutto - e che siano realmente spese. Come ripeto, la governance dovrebbe essere diversa. Uno studio del professor Rusconi dell'Università di Venezia mostra la farraginosità del sistema attuale, cosa che impedisce di realizzare gli interventi.
Per quanto mi riguarda, resta la grande preoccupazione di come individuare ulteriori risorse. È una mia opinione personale, che non impegna quindi il mio partito, che questo sia possibile attraverso lo stesso meccanismo che abbiamo applicato al ciclo integrato dell'acqua, cioè una tariffa che permetta di recuperare una parte delle risorse necessarie per questi interventi.
Accanto a questo, voglio dire con grande forza che se ci sono condanne per inadempienze, le sanzioni dell'Unione europea nei confronti del nostro Paese non possono essere attribuite all'intero sistema-Paese: è ora di cominciare ad attribuire a ciascuno le proprie responsabilità. Io sono stato sindaco del mio comune per quattordici anni e nei primi cinque anni non ho fatto altro che posare tubi, realizzare fognature e allacciare la rete fognaria. Non serviva a vincere le elezioni perché era un lavoro che non si vedeva, ma era un modo per provare a correggere un'arretratezza del sistema. Allora le risorse c'erano: erano quelle erogate a fondo perduto dallo Stato. Vedo che tutti annuiscono. Proviamo a metterci d'accordo su norme che ci salvaguardino. Come ha detto giustamente il Ministro, le responsabilità andrebbero attribuite a chi non ha adempiuto i propri compiti.

RAFFAELLA MARIANI. Ringrazio il Ministro. La volta scorsa avevo sollecitato la richiesta di informazioni più dettagliate sul DPCM di ripartizione fra Ministero dell'Ambiente e Autorità per l'energia elettrica e il gas delle funzioni in materia di regolazione e vigilanza in materia di acque, che il Governo, stando alle sue parole, stava per emanare.

CORRADO CLINI, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. È stato firmato.

RAFFAELLA MARIANI. Bene. Alla luce della recente sentenza n. 199/2012 della Corte costituzionale, vorremmo capire meglio i contenuti di tale provvedimento e farle rilevare che in questo momento, come se non bastasse il caos generale in cui versa il quadro normativo, l'Autorità per l'energia elettrica e il gas nella scrittura delle regole relative al sistema tariffario per la gestione del servizio idrico integrato sta entrando in conflitto o trovando sovrapposizioni con le competenze delle autorità d'ambito. Questo non aiuta a fare chiarezza e anzi aggiunge incertezze nella gestione dei pochi interventi finanziati che potrebbero partire.
È un tema delicatissimo che rischia di aggravare la situazione di sostanziale blocco degli investimenti nel settore della gestione dei servizi pubblici locali, soprattutto nel settore delle acque. È vero che si somma ad altre questioni, ma è altrettanto vero che dopo la citata sentenza della Corte costituzionale occorrerebbe chiarire definitivamente di chi sono le competenze e dove si può intervenire.
Con riguardo ai fondi a disposizione del Ministero dell'ambiente, voglio dire che alcuni di noi hanno fatto le ore piccole in Commissione per segnalare che anche l'ambiente doveva essere perso in considerazione nel cosiddetto «decreto sviluppo». Con grande fatica e con un conflitto fortissimo all'interno delle Commissioni


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di merito abbiamo strappato la proroga dell'attuale regime del 55 per cento fino al giugno del 2013. Purtroppo, come temevamo, però, ingenti risorse del Ministero dell'ambiente sono state destinate a finanziare provvedimenti per noi non prioritari, e mi riferisco a quello per la promozione dell'auto elettrica, su cui avevamo ragionato anche in questa Commissione.
Tutto è importante e ha a che vedere con l'ambiente, ma mentre noi ci troviamo a dover rispondere alle urgenze e alle emergenze relative all'assetto idrogeologico che le regioni ci sottopongono quotidianamente, anche per via di pagamenti che non vengono saldati - penso alla regione Liguria e alla Toscana che da ultime hanno subito gravi calamità -, dobbiamo purtroppo assistere alla destinazione delle poche risorse disponibili a temi che questa Commissione non aveva inserito tra le priorità delle politiche ambientali.
Per noi è, inoltre, dirimente che l'azione del Governo sui temi dell'assetto idrogeologico e delle acque proceda congiuntamente a quella delle Commissioni parlamentari competenti. L'appello che rivolgiamo al Governo è a un migliore coordinamento e a un più stabile rapporto con la Commissione perché l'ambiente è stato la cenerentola di quella discussione in Parlamento come credo in Consiglio dei ministri. Per noi è inaccettabile. Le regioni poi si rivolgono al Parlamento perché sia fatta giustizia rispetto a danni che non hanno niente di meno di quelli derivanti da eventi sismici e o altri tipi di calamità.
Veder trasferire risorse su provvedimenti meno importanti ha creato grande disagio.

CHIARA BRAGA. Ringrazio il Ministro, che ha completato il quadro già tracciato nella precedente audizione e ha confermato le preoccupazioni e le osservazioni critiche anticipate dai colleghi intervenuti prima di me.
Non vorrei aggravare ulteriormente un quadro già fosco, ma il rischio di sanzioni per il nostro Paese esiste non solo per le inadempienze in materia di qualità e depurazione delle acque, ma anche per la mancata attuazione della direttiva europea sulla definizione dei distretti idrografici e dei relativi piani di investimento. La scadenza della direttiva 2000/60 sulla messa in atto delle misure previste il 22 dicembre di quest'anno è prossima e noi siamo in notevole ritardo. Accanto alla preoccupazione di ingenerarci per individuare risorse, credo che la priorità sia questa.
Si tratta però anche di una pre-condizione. Possiamo ragionevolmente auspicare che in questi tempi difficili si moltiplichino gli sforzi per portare a compimento il riordino delle competenze, dei ruoli e degli strumenti. La mancata approvazione dei piani di distretto, infatti, blocca una serie di possibilità per le stesse autorità di distretto. In assenza degli strumenti necessari è difficile attuare i principi contenuti nelle direttive europee e recepiti dal nostro ordinamento, come, ad esempio, il principio del «chi inquina paga» o quello del «recupero dei costi». Rinnoviamo, quindi, l'appello a dare corso all'impegno formale che il Ministero si era assunto in Aula nel corso della discussione di alcune mozioni condivise, per altro, da tutti i gruppi parlamentari.
Altra questione è valutare come rendere più snello e operativo il sistema di coordinamento dell'attività del Ministero con le regioni e con le autorità di bacino o con le costituende autorità di distretto. Abbiamo preso atto che la scorsa settimana si è tenuta una riunione del comitato istituzionale, che sembra non si riuniva da mesi anche per ragioni legate al suo funzionamento. Ci viene segnalato infatti che il comitato è così ampio che, banalmente, garantire il numero legale diventa complicato. Pensare a uno snellimento, riconoscendo al Ministero dell'ambiente un ruolo di coordinamento anche rispetto agli altri ministeri, potrebbe essere una misura a costo zero in grado di rafforzare le possibilità d'azione e d'intervento.
Vorrei porre al Ministro due domande dirette e puntuali. Conosciamo la difficoltà di reperire le risorse necessarie per i piani di messa in sicurezza del territorio e per l'attuazione


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degli accordi di programma sottoscritti con le regioni. Il mio gruppo si chiede e chiede al Ministro quale sia l'orientamento del Governo rispetto al mantenimento dei commissari straordinari per la gestione di questi strumenti. Noi abbiamo contestato la scelta fin dall'inizio, ma adesso siamo a un punto in cui forse varrebbe la pena considerare l'utilità o meno del mantenimento di queste strutture.
Questi commissari, infatti, continuano a drenare risorse che sono già scarse e che potrebbero essere destinate più utilmente altrove. Vorremmo capire se il Governo sia orientato a risolvere questa situazione o se invece abbia maturato una valutazione tale da motivare il mantenimento delle strutture commissariali in questione.
L'ultima questione riguarda invece l'attuazione della direttiva sulla valutazione e gestione del rischio alluvioni. Sappiamo che c'è l'impegno del nostro Paese a predisporre le mappe di pericolosità e di rischio idraulico, che sono la pre-condizione per evitare di dover fronteggiare eventi drammatici come quelli che purtroppo si verificano sempre più di frequente sul nostro territorio. Al riguardo, vorremmo conoscerne lo stato di avanzamento in materia e sapere anche in che modo si sta cercando di trovare le risorse, sicuramente meno consistenti, ma comunque necessarie, anche per la messa in rete e la condivisione tra Ministro, ISPRA e altri soggetti delle informazioni e degli strumenti utili all'adeguamento delle mappe della pericolosità e del rischio idraulico.

ELISABETTA ZAMPARUTTI. Ringrazio il Ministro per la sua presenza e per la relazione.
Mi interessa capire in primo luogo quanti interventi, rispetto a quelli previsti dagli accordi di programma stipulati con le regioni nel 2010 per la mitigazione del rischio idrogeologico, è stato possibile avviare e quanti eventualmente sono stati realizzati grazie alle risorse che, seppur con ritardo, siete riusciti a recuperare. Sarebbe sufficiente una stima.
In secondo luogo, facci presente che io mi sono fatta promotrice di due mozioni parlamentari sulla tutela del territorio che sono state votate in Aula. L'ultima conteneva una richiesta al Governo affinché sia rafforzato il ruolo della figura professionale del geologo nella pubblica amministrazione. Continuo a ritenere, infatti, che il geologo sia il professionista che più di qualunque altro debba essere valorizzato e utilizzato dalla pubblica amministrazione in un Paese come il nostro, dove, nonostante la grave situazione legata al dissesto idrogeologico, questa figura è invece fortemente penalizzata, se non addirittura discriminata. Vorrei quindi sapere se su questo fronte sono stati compiuti dei passi avanti o se sono in corso delle iniziative. Penso soprattutto al coinvolgimento dei geologi nei comuni che presentano maggiori criticità dal punto di vista del dissesto idrogeologico.
Nella precedente audizione lei ha parlato delle difficoltà che la spending review sta creando all'assetto organizzativo del suo Ministero. Mi risulta che con il «decreto Sarno» sia stata istituita una segreteria tecnica per la tutela del territorio che negli anni è diventata un punto di riferimento in materia di difesa del suolo e di prevenzione del rischio idrogeologico. Vorrei sapere se e come la spending review incida su questa struttura ministeriale.
Da ultimo vorrei sapere se ci sia o meno l'intenzione di porre fine all'indecorosa prassi diffusa nel nostro Paese di utilizzare gli oneri di urbanizzazione per far fronte alla spesa corrente. Un intervento forte su questo fronte consentirebbe quanto meno di porre un argine al consumo di suolo legato all'urbanizzazione. Mi pare, infatti, che intervenendo su questo settore si potrebbe attenuare la situazione di grave dissesto in cui versa il nostro Paese.

GIUSEPPE VATINNO. Per quanto riguarda la prevenzione del dissesto idrogeologico, come Alleanza per l'Italia, riteniamo fondamentale e determinante per la qualità dell'azione ambientale impegnarsi, data la particolare conformazione del nostro


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Paese, nella prevenzione. A tal fine lanciamo l'idea - abbiamo già organizzato un convegno su questo - di una conferenza nazionale sul problema del dissesto idrogeologico. Chiediamo, quindi, al Governo se sia possibile, nel limite del tempo di questa legislatura, impegnarsi in tal senso.
La responsabilizzazione delle autorità competenti che non spendono i fondi, soprattutto quelli di origine europea, è davvero uno scandalo tipicamente italiano. Se si osservano i dati in maniera analitica, come io ho fatto, si scopre un grande divario tra quanto diamo e quanto riusciamo a prendere. In quest'ottica mi sembra molto interessante la proposta del Ministro di responsabilizzare queste autorità, introducendo un qualche vincolo di natura giuridica che impegni al controllo sulle spese non effettuate quando si potevano effettuare.
Chiediamo pertanto maggiore attenzione a questo tema che riteniamo fondamentale e ribadiamo l'importanza di una conferenza nazionale. Da tanti anni dovrebbe essere organizzata anche quella per un piano nazionale sull'energia, ma non si riesce mai a fare.

ALESSANDRO BRATTI. Ho solo una domanda. Sono d'accordo con il collega Viola perché credo che la cosa migliore sarebbe riuscire a far pagare direttamente le regioni che non spendono i fondi europei disponibili. Non c'è altro modo per responsabilizzare. Così come abbiamo visto sia per i rifiuti che per i depuratori, così anche tutto il resto non funziona in alcune regioni.
Le vorrei chiedere se c'è qualcuno che sappia esattamente - lei ha detto di aver dato l'incarico al NOE - quali sono le zone in cui ancora i depuratori non ci sono e quali quelle in cui invece i depuratori non funzionano nonostante siano stati finanziati e costruiti. La tipologia delle disfunzioni è infatti varia e variegata. Ce ne sono di tutti i tipi e di tutti i generi. Alcuni depuratori per esempio sono costruiti «sotto dimensione». I soldi dunque a volte sono stati spesi - anche proficuamente per altri interessi -, ma i depuratori non funzionano lo stesso.
Presso il Ministero o presso ISPRA o qualche altre organismo è noto lo stato dell'arte del sistema depurativo nel Paese?

SALVATORE MARGIOTTA. Il capogruppo Mariani ha parlato di destinazione di fondi del Ministero dell'ambiente a sostegno della diffusione dell'auto elettrica. Sarebbe bene acquisire dal Ministro notizie complete sul fatto che quei fondi siano stati effettivamente sottratti al dissesto idrogeologico. La collega Braga ha, invece, parlato dei commissari straordinari al dissesto idrogeologico nominati dal precedente Governo. A me è sembrato davvero strano che in un decreto-legge così complesso come quello sulla spending review, dove si cerca di racimolare soldi dappertutto, non si sia ragionato sui commissari straordinari al dissesto idrogeologico, che per quanto ne so costano e sono sufficientemente improduttivi.

ERMETE REALACCI. Si potevano togliere i commissari e lasciare al Ministero una segreteria tecnica.

SALVATORE MARGIOTTA. Esattamente. Avremmo tifato per questa soluzione!
Una richiesta delicata, ma che io trovo ormai ineludibile è quella di verificare la possibilità di utilizzare anche risorse private nell'approccio al dissesto idrogeologico. È complicato. Non è come costruire una strada e mettere un pedaggio in modo tale che il privato rientri immediatamente dall'investimento, ma forse possono esserci dei meccanismi, come ad esempio l'utilizzo di aree degradate su cui far intervenire il privato. Penso che si debba sforzare un po' la fantasia. Il fabbisogno è tale che con i finanziamenti pubblici non ce la faremo mai.
Torno a insistere sul riutilizzo delle acque reflue a valle della depurazione nel sistema terziario e infine penso che probabilmente sarebbe utile al Ministero accorpare la difesa del suolo alla gestione


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delle risorse idriche, visto che sono due materie che vanno ormai di pari passo.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Parto dalla questione che porrò all'attenzione del Governo nel question time di domani.
La condanna da parte della Corte europea sulla depurazione delle acque è parte di un procedimento che inizia nel 2009. Non dobbiamo prendere atto di una condanna, ma del fatto che l'Unione europea ci richiama da tre anni su questo problema. Stiamo parlando di una vicenda avviata con il recepimento di una direttiva già nel 1991. Questo percorso, che dalle città più grandi come abitanti equivalenti scende mano a mano a quelle più piccole, doveva portare entro il 2000 e poi entro il 2005 a un sistema di depurazione degli scarichi controllato e corrispondente ai parametri delle direttive europee.
La cosa più evidente è che, al di là di qualche comune del Friuli, della Liguria e Frascati nel Lazio, tutti gli altri comuni elencati nella condanna della Corte europea sono in Calabria, in Sicilia, in Puglia e in Campania. Si dice che le risorse non ci sono, ma non c'erano già prima del 1991, quando nel piano nazionale affermammo che servivano 65.000 miliardi di lire per sistemare il ciclo integrato delle acque con le depurazioni e quindi bisognava passare attraverso il finanziamento in tariffa. A distanza di venticinque anni lo Stato sta fallendo, ma servono ancora risorse!
Se buona parte del territorio ha realizzato un percorso, attraverso l'uso di risorse che provenivano quasi esclusivamente dalle tariffe, significa o che qualcun altro non ha applicato questi criteri o che ha realizzato opere inutili. Ho visto anch'io in Calabria depuratori appesi alle montagne che non hanno funzionato un giorno perché servirebbero chilometri di tubazioni per arrivare al mare o, in altri casi, impianti la cui portata è insensata.
Abbiamo anche prorogato di un anno le autorità d'ambito, che però dovrebbero avere piani decennali o quinquennali di investimento delle risorse. Dovremmo, quindi, avere cognizione di ciò di cui stiamo discutendo. Il Ministro ha parlato di 1.800 agglomerati inadempienti. Detto così, potrebbe anche essere poco visto che in Italia abbiamo case sparse dappertutto. Se invece si tratta di 1.800 città tra 2.000 e 15.000 abitanti, la cosa è molto più grave. È bene che ce ne rendiamo conto.
Anche in tema di dissesto idrogeologico in Italia si applica già qualche buona pratica. In Piemonte o in alcune province della Lombardia si accantonano quote per la difesa del territorio attraverso la tariffa e si utilizzano risorse in funzione della prevenzione e degli investimenti per la difesa dal rischio idrogeologico.
Sono d'accordo sull'esigenza di un maggiore coinvolgimento dei geologi, ma se in Sicilia ancora oggi, dopo il «decreto Sarno», non ci sono i piani per la difesa del suolo solo perché si litiga su quale geologo debba intervenire, allora è giusto dire che non ci interessa quale sia il tecnico incaricato: quel che ci serve è una effettiva capacità progettuale. Dobbiamo capire dove e se sia necessario intervenire. Altrimenti si va a istinto. Qualcuno è più fortunato o più furbo, mentre altri sono condannati ad arrangiarsi senza soluzioni e proposte.
Come ripeto, è grave, dopo che l'Unione europea comincia a diffidarci già dal 2009, arrivare a una condanna nel 2012. Ma dal 2009 a oggi non abbiamo fatto proprio nulla? Spero che la risposta del Ministro sia rassicurante, ma se siamo esattamente nella situazione del 2009, quando l'Unione europea ci ha messo in mora, faccio fatica a capire cosa si possa fare.
Il Ministro ha parlato di quel miliardo di euro che era sparito e poi è stato ritrovato. Anche un euro può servire a qualcosa, anche se le risorse sembrano non bastare mai. Non dobbiamo illuderci e le istituzioni devono prenderne coscienza. Qui abbiamo dibattuto sulla gestione dell'acqua e sulla privatizzazione del servizio idrico integrato. C'è stato per fortuna un referendum e gli italiani hanno dato un'indicazione chiara. Si è voluto riprendere la legge e dire che non ci


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saranno interessi, ma che si deve trovare comunque il modo di privatizzare il sistema, e a questo andiamo incontro.
Quella parte dell'Italia che l'Unione europea non ha richiamato credo che però abbia dimostrato che le cose si possono fare programmandole nel tempo. Nessun sindaco è stato in grado nel 1991 di adeguarsi alla direttiva CEE dalla sera alla mattina, però ha programmato il percorso. Lo dico perché - purtroppo i colleghi che hanno presentato le risoluzioni legate al problema dei depuratori non sono tutti presenti - forse solo le procure riescono a spaventare gli amministratori che inquinano e devastano l'ambiente citandoli in giudizio. Mi dispiace che succeda questo, ma forse dobbiamo prendere atto che oggi non esistono altre strade.
Tra l'altro, si tratta di comuni votati al turismo e che dunque più di tutti dovrebbero tenere all'ambiente e alla qualità del mare, cioè a ciò che possiamo vendere all'estero ed esportare senza andare via. Le nostre coste sono le uniche esportazioni che non ci costano nulla perché sono i turisti a venire da noi.
Così però non riusciremo mai a risollevare queste zone del Paese.

GIULIA COSENZA. Dal 2007 a oggi penso di aver usato tutti gli strumenti parlamentari a mia disposizione per sollevare il problema dei depuratori e devo dire che confido molto in lei, Ministro, perché sono sicura che conosca più di noi tale problematica e sappia quanto stia danneggiando il nostro Paese.
L'altra volta le ho chiesto se avesse intenzione di fare un piano nazionale sui depuratori e individuare un organismo ministeriale che potesse coordinare l'attività delle regioni. Come lei prima ha ben detto, c'è un problema di governance che ormai conosciamo bene. Le chiedo come intenda risolverlo o se intenda avviare una soluzione. Ha detto di considerare una potenzialità il piano nazionale per il problema idrogeologico. È giusto, perché queste sono tutte pre-condizioni affinché il nostro Paese si possa sviluppare. Stiamo però penalizzando il mare, che racchiude potenzialità enormi per un Paese come il nostro, che ha tanti chilometri di costa e deve puntare sul turismo soprattutto al sud.
È chiaro che ora il problema è quello di individuare un organismo e uno strumento che possano avviare il percorso, ma lei il problema lo conosce meglio di noi.

PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Clini per la replica.

CORRADO CLINI, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro dell'ambiente al quale faceva riferimento l'onorevole Mariani è stato adottato dallo scorso Consiglio dei Ministri. Si tratta di un provvedimento programmatorio perché da un lato attribuisce all'Autorità per l'energia elettrica e il gas le competenze in materia di tariffazione e dall'altro identifica le competenze del Ministero in termini di programmazione e indirizzo.
Ora ci misuriamo con l'applicazione perché, come sapete, l'Autorità per l'energia elettrica e il gas è un organismo indipendente. Il Ministero non può dare a questa authority una direttiva, ma può creare il frame, la cornice, all'interno della quale essa dovrà operare. Questo richiede una modalità operativa che al momento non abbiamo ancora identificato, ovvero l'abbiamo definita ma non è ancora diventata operativa, anche perché aspettiamo che il DPCM venga pubblicato in Gazzetta Ufficiale.
Vi posso dire che nel frattempo l'Autorità per l'energia elettrica e il gas ha avviato un percorso, secondo la sua procedura, destinando, se non erro, l'uno per mille delle tariffe al rafforzamento della struttura, cioè prevedendo la costituzione di un'unità interna che si occuperà della questione. A essere molto franco, però, le iniziative che sono già state prese dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas non sono state comunicate ufficialmente al Ministero.
Il tema è molto semplice e anche molto delicato. Così come la politica energetica


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non può essere gestita dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas, così la politica per le acque non può essere gestita da tale authority. Stiamo cercando di affrontare il tema senza intervenire sulla sua autonomia, ma richiamando in maniera consistente e concreta il ruolo dell'amministrazione statale, avendo presente - e ho insistito su questo - che il referendum è un punto di riferimento dal quale non si può prescindere.
C'è stata una discussione a proposito del fatto che in questo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dovesse o meno essere richiamato il referendum ovvero il decreto del Presidente della Repubblica che ha proclamato i risultati del referendum. Talune opinioni, infatti, ritenevano che il risultato del referendum si potesse bypassare. La sentenza della Corte costituzionale ha chiarito definitivamente quali sono i termini della questione. Il nodo centrale che abbiamo di fronte oggi è, quindi, quello di assicurare la sostenibilità economica di un servizio pubblico tutelando un bene pubblico.
Credo che non sarà una discussione facile perché è evidente, considerando le problematiche che dobbiamo affrontare, che non ci possiamo aspettare che da questo derivi, almeno in tempi brevi, una riduzione delle tariffe. Credo anzi che ci sarà un problema diverso, soprattutto nelle regioni nelle quali la qualità della gestione del servizio idrico è più lontana dai benchmark che ci vogliamo dare.
Sempre rispetto al rapporto tra le amministrazioni pubbliche che a vario titolo hanno competenze in materia di tutela delle acque e l'Autorità per l'energia elettrica e il gas, noi ci siamo preoccupati che nel DPCM la definizione della tariffa tenesse assolutamente conto dei piani delle autorità d'ambito, in maniera tale da poter raffrontare la tariffa con i programmi di investimento. Anche in questo caso si tratterà di capire in che modo riusciremo a trovare un punto di equilibrio tra l'autonomia dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas e gli obiettivi e i programmi che devono essere definiti dalle autorità competenti.
Legato a questa problematica abbiamo poi il tema della depurazione delle acque, che fa ovviamente parte del ciclo integrato di gestione delle acque. In questo caso, la situazione è quella che è stata descritta. È ovvio che la condanna dalla Corte di giustizia non riguarda tutta l'Italia. Riguarda aree specifiche del nostro Paese che, nonostante la procedura d'infrazione fosse stata avviata nel 2009, sono ancora in grande ritardo rispetto agli obiettivi da raggiungere.
Riguardo a questo, io vi ho già detto che sto cercando - per essere chiari il tema interessa sempre le stesse regioni - di capire in che modo io possa attivare una funzione di monitoraggio, in maniera tale da avere il riscontro delle iniziative che vengono adottate, da un lato, per utilizzare le risorse pubbliche messe a disposizione e, dall'altro, per corrispondere agli obiettivi che consentano anche di superare la condanna.
Certamente potrebbe essere efficace una misura che riconosca la responsabilità e il conseguente danno derivante dall'inadempimento degli obblighi e dalla conseguente eventuale sanzione comminata dagli organismi europei. Potrebbe anche essere opportuno, ma c'è un tema che è difficile affrontare. Mi riferisco all'evidenza della procedura e delle modalità seguite per spendere le risorse pubbliche in molte regioni del sud. Esse hanno una caratteristica molto particolare: c'è il depuratore e non ci sono i collettori oppure ci sono i collettori e non c'è il depuratore oppure mancano i tre chilometri del depuratore oppure mancano gli allacci nelle situazioni critiche. Questo non è casuale. Non siamo in presenza di situazioni che avvengono perché sono finiti i soldi. Non è vero. Si prefigura una gestione delle risorse pubbliche che consente di spendere senza però ottenere il risultato. Il rischio è che questa mancanza di risultato sia un obiettivo e non una circostanza casuale.
A questo proposito potrebbe essere opportuno, anzi sicuramente sarà necessario adottare una misura nazionale conseguente alla condanna per affrontare in chiave nazionale il tema della depurazione,


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anche se il piano della depurazione potrebbe configurarsi come un'azione-cornice che non riesce a entrare nel merito di queste problematiche reali e diffuse in particolare nelle regioni del Mezzogiorno.
Si tratta di problematiche che abbiamo già riscontrato e di cui abbiamo anche un'analisi abbastanza puntuale. Nella ricognizione dello stato dell'arte degli interventi ai fini dell'individuazione di progetti da finanziare nell'ambito della delibera del CIPE del 30 aprile scorso abbiamo, infatti, acquisito un quadro informativo abbastanza preciso di quale sia lo stato dell'arte. Il tema aperto, volendo rispettare le regole della democrazia, è quello dell'efficienza non solo della spesa, ma anche della catena delle decisioni.
Io personalmente non sono in grado di dare una risposta perché ho alcune risposte d'istinto che non è opportuno che vi dica, come qualche volta capita (mi hanno detto che già oggi su Youtube c'è qualcosa che ho detto non essendomi accorto di essere ripreso, quindi è meglio che mi astenga da commenti spontanei). Il tema è però davvero complicato. Proveremo a richiamare di nuovo i presidenti di regioni e province e quelli che hanno le responsabilità nei territori oggetto della condanna. Probabilmente la misura più efficace potrebbe essere quella - sarebbe un utile supporto - di richiamare personalmente la responsabilità di chi non attua e di chi non spende le risorse. Potrebbe essere un deterrente a rispondere agli obblighi che sono stati previsti.
Per quanto riguarda l'utilizzo per scopi diversi dei fondi stanziati per la mitigazione del dissesto idrogeologico, la prima cosa che voglio dire è che sono assolutamente a favore dell'auto elettrica. Credo anche che sia un utile supporto all'eccesso di offerta elettrica che c'è nel nostro Paese perché altrimenti dovremmo chiudere le centrali. L'Italia per carenza di rete e di interconnessioni non può vendere o fatica a vendere all'estero l'eccesso di produzione di elettricità e questo ne aumenta il costo. Avere almeno la possibilità di far entrare in rete questa elettricità per alimentare la mobilità elettrica è un'ottima scelta, ma questo non ha niente a che vedere con l'utilizzazione di fondi destinati ad altri obiettivi ambientali.
La mia opinione è che il sistema dell'auto elettrica dovrebbe essere soprattutto incentivato attraverso forme o di fiscalità o di riduzione del costo dell'elettricità, tenendo conto che l'elettricità che va in rete per l'auto elettrica altrimenti sarebbe persa. Credo, quindi, che il tema dovrebbe essere affrontato in maniera un po' diversa. Il Sottosegretario Fanelli ha cercato disperatamente di spiegare che non era il caso di utilizzare per la mobilità elettrica risorse che, per quanto non nominalmente destinate al dissesto idrogeologico, avrebbero potuto essere utilizzabili a questo fine. Credo che ad oggi la dotazione del Ministero dell'ambiente destinata allo sviluppo dell'auto elettrica sia di 70 milioni di euro per il prossimo anno, di ulteriori 60 per l'anno successivo e di ancora 60 milioni di euro per l'ultimo anno del triennio. Poiché siamo arrivati all'ultima tappa dell'iter parlamentare del provvedimento che dispone tale utilizzo di fondi, il gioco è finito. Avevamo detto di essere contrari proprio perché non vedevamo il nesso. La strategia per l'auto elettrica avrebbe infatti bisogno di strumenti diversi.
Riguardo ai commissari straordinari per la gestione degli accordi di programma con le regioni per la realizzazione degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico, io sono molto in imbarazzo perché il tema della loro soppressione è stato riproposto più volte e in sede parlamentare ha trovato un'opposizione molto forte. Ci sono due emendamenti, che mi pare siano stati presentati da tutti i gruppi in sede di spending review al Senato, che prevedono l'abolizione dei commissari straordinari, i quali costano 1.850.000 euro all'anno. Considerato che abbiamo pochissimi soldi, queste risorse potrebbero essere allocate più utilmente a supporto dei servizi regionali.
In verità il tema dei commissari straordinari è ancora più complicato perché in alcune regioni i commissari hanno consolidato un'amministrazione parallela a


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quella della regione, creando dei conflitti. È una scelta da tutti i punti di vista discutibile, che noi abbiamo ripetutamente considerato non utile, proponendo la soppressione delle strutture commissariali. Allo stato attuale so che i due emendamenti sono ammessi, ma l'esito del voto è difficile da prevedere, anche perché a quanto pare la lobby pro commissari è abbastanza presente all'interno del Parlamento e in modo trasversale.
Ancora sul dissesto idrogeologico, faccio presente che le risorse che abbiamo messo in moto con la delibera del CIPE e le altre che abbiamo recuperato e che stiamo allocando attraverso il fondo speciale coprono non più del 45 per cento del valore degli accordi di programma sottoscritti. Direi che quindi siamo nelle mani della prossima legge di stabilità. Il tentativo che io farò è quello di indicare alcune priorità - e questa lo è sicuramente - in modo da bloccare i fondi per alcune destinazioni e fare sì che siano rapidamente utilizzabili.
A proposito della mappa del rischio alluvioni e della vulnerabilità del territorio, voi sapete che una mappa c'è già ed è una mappa più generale di rischio idrogeologico, che in parte incorpora anche questa tematica. Noi abbiamo comunque due obblighi nei confronti della Commissione europea: da un lato quello del recepimento della direttiva alluvioni e dall'altro quello della predisposizione del piano di adattamento ai cambiamenti climatici. Entrambi questi obblighi fanno riferimento a matrici informative comuni, e questa è una di quelle.
È uno dei temi che rientrano nel rapporto dialettico un po' complicato tra ISPRA e Ministero dell'ambiente. Io avevo chiesto che questi documenti fossero già pronti alla fine del giugno 2012, ma come vedete non li abbiamo ancora. Stiamo sollecitando e presto attiveremo una task force che si occupi della questione perché abbiamo bisogno di avere questi documenti al più tardi entro settembre 2012.
Due ultime cose. La prima riguarda il giusto richiamo che è stato fatto allo snellimento delle procedure che riguardano il funzionamento delle attuali autorità di bacino e di quelle che dovrebbero diventare poi autorità di distretto. L'organizzazione attuale è, diciamo, un po' «barocca». Secondo la regola che tutti devono esserci e avere lo stesso ruolo, alla fine diventa complicato garantire il numero legale, ma non solo. Si tratta di capire se, attraverso le autorità di distretto, riusciremo a trovare una forma di semplificazione (forse al nostro ufficio legislativo verrà in mente qualcosa di interessante). Certamente serve una norma di rango primario per risolvere il problema. Se riusciremo a sfruttare la delega contenuta nel disegno di legge comunitaria in corso di esame al Senato, quella potrebbe essere un'occasione per intervenire anche sul pacchetto acqua, tenendo altresì conto dei rapporti ancora da definire tra Autorità per l'energia elettrica e il gas e Ministero.
In ogni caso, torno a dire su questo ultimo punto che il DPCM è stato firmato (in Consiglio dei Ministri Corrado Passera ed io abbiamo dovuto dichiarare pubblicamente che eravamo d'accordo, dato che per tre settimane la tesi era stata che, siccome c'era un conflitto fra me e lui, il DPCM non poteva essere firmato dal Presidente del Consiglio).

PRESIDENTE. Ringrazio gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,55.

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