Il settore dell'assistenza sociale è quello in cui tipicamente concorrono, per competenze e risorse, lo Stato, le regioni e gli enti locali e nel quale non è semplice identificare e ripartire con nettezza le attribuzioni di ciascuno dei tre livelli di governo. Attualmente lo Stato non ha ancora definito i livelli essenziali delle prestazioni sociali da garantire su tutto il territorio nazionale, anche se è spesso intervenuto in via diretta in tale ambito, sebbene, dopo la riforma costituzionale del 2001, l'art. 46, comma 3, della legge 289/2002 (legge finanziaria 2003) - tenendo conto della competenza legislativa residuale e non piú concorrente delle Regioni in materia di servizi sociali - ha introdotto una specifica procedura per la determinazione dei LIVEAS.
Le azioni delle regioni - che hanno rivendicato una competenza legislativa esclusiva in tema di assistenza - hanno riguardato settori diversi e si sono intersecate con le iniziative dello Stato e con quelle degli enti locali, principalmente i comuni, che tradizionalmente gestiscono i servizi sociali.
Nel corso della XVI Legislatura si è registrata una sensibile diminuzione dei finanziamenti destinati alle politiche sociali.
Nelle politiche di assistenza, il principale strumento per il finanziamento degli interventi e dei servizi sociali è il Fondo nazionale per le politiche sociali, le cui risorse, definite dalle manovre finanziarie annuali, sono ripartite con decreto ministeriale tra il Ministero del lavoro della salute e delle politiche sociali, l’INPS, le regioni, le province autonome e i comuni. Alcuni recenti provvedimenti normativi hanno ridotto gli interventi finanziati a valere sul Fondo. La legge di stabilità per il 2011 (legge 220/2010) ha stanziato per le politiche sociali 273,8 milioni di euro, da ripartirsi tra le regioni e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. La legge di stabilità 2012 (legge 183/2011) ha destinato al FNPS 69,954 milioni di euro. Infine la legge di stabilità 2013 (legge 228/2012), all'articolo 1, comma 271, incrementa di 300 milioni di euro per l'anno 2013 lo stanziamento del FNPS. Conseguentemente, il capitolo di bilancio (3671) del Fondo, allocato presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, è dotato di 344.178.000 euro per il 2013.
Al fine di garantire l'attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni assistenziali da garantire su tutto il territorio nazionale con riguardo alle persone non autosufficienti è istitutito, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali il Fondo nazionale per le non autosufficienze. Le risorse assegnate al Fondo per il 2010, ripartite con decreto, sono pari a 400 milioni di euro. Per il 2011, il Decreto interministeriale 11 novembre 2011 ha assegnato al Fondo risorse per 100 milioni di euro, stanziati dall'art. 1, comma 40, della legge 220/2010 (legge di stabilità 2011), finalizzati fra l'altro ad interventi integrati socio-sanitari per i malati di sclerosi laterale amiotrofica. Successivamente, il D.L. 95/2012, all’articolo 23, comma 8, ha previsto che la dotazione del Fondo di finanziamento di interventi urgenti e indifferibili, sia incrementata di 658 milioni di euro per l'anno 2013 e ripartita con D.P.C.M., per incrementare fra l’altro la dotazione del Fondo non autosufficienti, finalizzato al finanziamento dell'assistenza domiciliare prioritariamente nei confronti delle persone gravemente non autosufficienti, inclusi i malati di sclerosi laterale amiotrofica. Il D.P.C.M non è mai stato emanato e il Fondo, in conseguenza di quanto stabilito dall'articolo 2, comma 264, della legge di stabilità 2013 (legge 228/2012), ha subito un definanziamento di 631,7 milioni; la dotazione finanziaria del Fondo risulta pertanto interamente decurtata, residuando al Fondo soltanto 263 euro per l’anno 2013. In ultimo, la legge di stabilità 2013, al comma 151, autorizza la spesa di 275 milioni di euro per l'anno 2013, per gli interventi di pertinenza del Fondo per le non autosufficienze, ivi inclusi quelli a sostegno delle persone affette da sclerosi laterale amiotrofica (SLA). Ulteriori 40 milioni confluiranno nel Fondo, dai risparmi attesi dal piano straordinario di verifiche INPS sulle invalidità.
Fra le misure di carattere più squisitamente sociale, si ricorda la Carta acquisti, istituita dal decreto legge 112/2008, che prevede benefici destinati a nuclei familiari in difficoltà. Il decreto legge 5/2012 ha configurato una nuova carta acquisti prevedendo una sperimentazione per favorirne la diffusione tra le fasce della popolazione in condizione di maggiore bisogno.
E' stato infine esaminato e non concluso un disegno di legge (A.C. 4566) recante la delega legislativa al Governo per la riforma fiscale e assistenziale . La riforma della materia socio-assistenziale si poneva l’obiettivo di riqualificare e riordinare la relativa spesa, al fine di superare le sovrapposizioni e le duplicazioni di servizi e prestazioni, e, in particolare, ridefinire gli indicatori (ISEE) volti ad individuare la reale situazione economica dei singoli cittadini, con attenzione ai nuclei familiari. Al proposito, l'articolo 5 del decreto legge 201/2011 ha demandato ad un regolamento governativo, previa Intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’ISEE.
Alcune misure a tutela della disabilita sono contenute in provvedimenti approvati dal Parlamento o che non hanno potuto concludere il relativo percorso parlamentare. La legge 107/2010 è diretta al riconoscimento della sordocecità come disabilità specifica unica, sulla base degli indirizzi contenuti nella dichiarazione scritta sui diritti delle persone sordocieche del Parlamento europeo, e disciplina la percezione in forma unificata delle indennità spettanti ai soggetti citati nonché le modalità dell'accertamento della disabilità unica.
Altre misure sono contenute in proposte di legge il cui esame presso la XII Commissione affari sociali della Camera non si è concluso, tra le quali si ricordano le norme che estendono alle associazioni che operano per la tutela dei diritti delle persone disabili l’applicazione di alcune misure previste per gli istituti di patronato e di assistenza sociale, le disposizioni che intervengono sui criteri previsti al fine di ottenere determinate prestazioni economiche assistenziali a favore degli invalidi civili nonché le norme dirette a prevedere misure di assistenza in favore dei disabili gravi privi del sostegno familiare, vale a dire privi del nucleo familiare o con famiglie sprovviste dei mezzi necessari per assisterli o curarli.
Gli interventi nel settore previdenziale si inseriscono nella direzione tracciata con le riforme adottate nelle precedenti legislature, volte a garantire la sostenibilità di lungo periodo del sistema pensionistico attraverso l’adeguamento dei requisiti per l’accesso ai trattamenti.
In tale contesto particolare rilievo assume, nella prima fase della legislatura (che ha visto, peraltro, anche la totale abolizione del divieto di cumulo tra pensione e redditi da lavoro) l’introduzione legislativa del principio dell'adeguamento periodico quinquennale ed automatico dell'eta' pensionabile sulla base dell'incremento della speranza di vita accertato dall'ISTAT. Raccomandata anche a livello internazionale come misura essenziale per assicurare l’autostabilità dei sistemi previdenziali, in quanto capace di sottrarre alla discrezionalità politica il progressivo innalzamento dei requisiti pensionistici imposto dall’invecchiamento della popolazione (fenomeno particolarmente avanzato in Italia), la norma ha inizialmente fissato al 2015 il primo adeguamento, con modalità tecniche demandate ad un apposito regolamento di delegificazione. Successivamente, la norma è stata ripetutamente rivista al fine di anticiparne gli effetti al 2013 (primo adeguamento di 3 mesi) e di fissare i successivi aggiornamenti al 2016 e 2019 (dopodiché gli aggiornamenti avranno cadenza biennale).
Con la sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 13 novembre 2008, che ha condannato l’Italia per aver mantenuto in vigore una normativa in forza della quale i dipendenti pubblici hanno diritto a percepire la pensione di vecchiaia a età diverse a seconda che siano uomini o donne, si apre nel Paese un ampio dibattito sulla previdenza nel pubblico impiego e, più in generale, sul ruolo femminile nel mondo del lavoro e sulla conciliazione tra tempi di lavoro e tempi familiari, fino ad investire la questione delle norme di “favore” per il pensionamento femminile (più “generose” in Italia rispetto ad altri Paesi europei). Sul piano legislativo la sentenza è stata recepita definendo un graduale e progressivo percorso di innalzamento della eta' pensionabile delle donne nel pubblico impiego , fino al raggiungimento dei 65 anni, a regime, nel 2018.
L’intervento sulle dipendenti pubbliche ha indotto il legislatore, di lì a poco, a intervenire anche sulle lavoratrici del settore privato, attraverso il progressivo adeguamento del requisito anagrafico per il pensionamento di vecchiaia (adeguamento successivamente accelerato dalla riforma Fornero).
L'aggravarsi della crisi economica internazionale porta, tra il 2000 e il 2011, all’adozione di un’altra misura di carattere strutturale per il contenimento della spesa previdenziale, consistente nel posticipo delle decorrenze dei trattamenti (c.d.finestre). Fermi restando i requisiti pensionistici previsti per legge, gli interventi hanno comportato di fatto il rinvio della decorrenza dei trattamenti di vecchiaia fino a 12 mesi per i lavoratori dipendenti e fino a 18 mesi per i lavoratori autonomi, con un ulteriore aggravio (da 1 a 3 mesi) per le pensioni di anzianità (ossia per i soggetti che, indipendentemente dall’età anagrafica, avessero raggiunto i 40 anni di contribuzione).
A fronte del sostanziale inasprimento dei requisiti previdenziali ottenuto con le nuove “finestre”, il legislatore appresta una disciplina speciale per il collocamento a riposo dei soggetti che hanno svolto lavori usuranti , garantendo ad essi, a determinate condizioni, l’applicazione di specifici benefici(volti a consentire l’accesso anticipato al pensionamento), che verranno peraltro significativamente ridotti dalla successiva riforma Fornero (dati recenti sull’attuazione delle norme segnalano, peraltro, un tasso di accoglimento delle domande significativamente più basso di quanto preventivato, dovuto con tutta probabilità ai gravosi oneri probatori previsti, soprattutto con riferimento ai periodi lavorativi più risalenti nel tempo).
Altre misure di contenimento della spesa previdenziale adottate in tale fase hanno portato all’introduzione di requisiti più stringenti per l'accesso alla pensione di reversibilita' (con l’obiettivo di arginare usi impropri dell’istituto) ad una disciplina più onerosa per le ricongiunzioni di periodi contributivi e alla riduzione dei trattamenti pensionistici piu' elevati .
A livello europeo, con la presentazione nel 2010 del Libro verde
la Commissione europea ha avviato una riflessione sulla riforma dei sistemi pensionistici. Sul libro verde la XI Commissione (Lavoro) della Camera ha approvato il 10 novembre 2010 un documento finale
. Successivamente, nel febbraio 2012 la Commissione europea ha presentato il Libro bianco
nel quale, in particolare, propone di creare migliori opportunità per i lavoratori anziani; incoraggiare gli Stati membri a promuovere vite lavorative più lunghe, correlando l'età della pensione con la speranza di vita, limitando l'accesso al pre-pensionamento e eliminando il divario pensionistico tra gli uomini e le donne; sviluppare sistemi pensionistici privati complementari e potenziandone la sicurezza; rendere le pensioni integrative compatibili con la mobilità, varando leggi a tutela dei diritti pensionistici dei lavoratori mobili e promuovendo l'istituzione di servizi di ricostruzione delle pensioni in tutta l'UE.
All’interno di una più generale politica di ammodernamento delle pubbliche amministrazioni
(e, in qualche misura, in antitesi con i coevi interventi volti all’innalzamento dell’età pensionabile) si collocano invece le misure volte a precludere il prolungamento dell’attività lavorativa dei dipendenti pubblici con maggiore anzianità. A tal fine la permanenza in servizio per un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo (in precedenza configurata come diritto soggettivo del dipendente) è stata dapprima rimessa alla discrezionalità della PA di appartenenza (chiamata a valutare la presenza di specifiche esigenze organizzative) e, successivamente, di fatto esclusa (dalla riforma Fornero). Inoltre, viene riconosciuta alle PA la facoltà di risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici con 40 anni di anzianità contributiva.
Nell’ambito delle politiche di contenimento della spesa pubblica, un importante filone di interventi ha investito il sistema degli enti previdenziali pubblici , con l’obiettivo di migliorare l'efficienza amministrativa complessiva del settore. In tale contesto si segnalano dapprima la soppressione di IPSEMA, IPOST ed ENAM (confluiti, rispettivamente, in INAIL, INPS ed INPDAP) e, successivamente, la soppressione di INPDAP ed ENPALS, con conseguente trasferimento delle funzioni all'INPS (oggetto di un ampio processo di riorganizzazione e, soprattutto, di misure di risparmio che passano attraverso puntuali obiettivi di contenimento delle spese di funzionamento e di personale).
Anche il sistema delle Casse previdenziali private (il cui equilibrio finanziario, in alcuni casi, appariva precario) è stato investito da un importante processo di riforma, che ha portato dapprima alla rimodulazione del contributo integrativo (rimesso alla definizione, entro una forchetta fissata per legge, di ciascuna Cassa ed utilizzabile, in parte, per l’incremento dei montanti individuali) e, successivamente (Governo Monti) all’adozione di misure volte (pena sanzioni e l’automatico passaggio al contributivo pro-rata) ad imporre alle Casse interventi idonei a garantire la sostenibilità finanziaria di lungo periodo (50 anni). Sotto la spinta del legislatore il sistema delle Casse si è prontamente attivato, adottando misure che portano a ritenere sostanzialmente conseguiti gli obiettivi di riequilibrio finanziario richiesti.
A seguito dell’aggravarsi della crisi del debito e delle sollecitazioni provenienti da autorevoli istituzioni internazionali, la materia previdenziale è stata oggetto di una complessiva riconsiderazione da parte del Governo Monti. La riforma previdenziale adottata con l’articolo 24 del DL 201/2011 (c.d. riforma Fornero), in particolare, ha introdotto il sistema di calcolo contributivo pro-rata per tutti; ha portato a 66 anni il limite anagrafico per il pensionamento di vecchiaia; ha velocizzato il processo di adeguamento dell’età pensionabile delle donne nel settore privato (66 anni dal 2018); per quanto concerne il pensionamento anticipato, ha abolito il previgente sistema delle quote, con un considerevole aumento dei requisiti contributivi (42 anni per gli uomini e 41 anni per le donne) e l’introduzione di penalizzazioni economiche per chi comunque accede alla pensione prima dei 62 anni; ha aumentato le aliquote contributive per commercianti, artigiani e lavoratori agricoli.
All’indomani dell’approvazione della riforma, che in molti casi aveva comportato uno spostamento in avanti dell’età di pensionamento anche di molti anni, si è tuttavia ben presto (e con forza) posta all’attenzione delle forze politiche e del Governo la questione dei soggetti prossimi all’età di pensionamento sulla base della disciplina previgente che, in quanto beneficiari di particolari istituti o sulla base di accordi aziendali, sarebbero fuoriusciti dal mercato del lavoro prima della maturazione dei nuovi requisiti. Per far fronte alla questione degli esodati , che accompagna (con una intensa attività parlamentare che ha visto protagonista la Commissione lavoro della Camera) gli ultimi mesi della legislatura, il legislatore è intervenuto a più riprese al fine di ampliare la platea dei beneficiari della disciplina transitoria prevista della riforma (consistente nel riconoscimento dei requisiti pensionistici previgenti) garantendo copertura previdenziale ad un totale di circa 140.000 lavoratori (fino al 2014).