I prezzi di molti prodotti alimentari sono andati progressivamente aumentando a partire dal 2006, raggiungendo per la prima volta dei livelli particolarmente elevati nei primi mesi del 2008, quando, secondo i dati ISTAT, il ritmo di crescita dei prezzi del comparto (+4,9% nel primo trimestre; + 5,8% nel secondo trimestre) si sono collocati di circa due punti al di sopra del tasso medio di inflazione.
Il fenomeno ha destato un forte allarme nell’opinione pubblica ed è stato ricondotto dagli osservatori sia a fattori di ordine internazionale (forte crescita della domanda proveniente dai paesi emergenti e tendenziale riduzione dei raccolti, dipendente sia da negativi andamenti climatici, sia dalla maggiore utilizzazione di aree agricole per produzioni bio-energetiche), sia a fattori di ordine interno, legati soprattutto ai meccanismi di formazione dei prezzi lungo la catena di trasmissione dal produttore al consumatore finale.
La tendenza al rialzo è proseguita, e se nel del 2011 l'aumento è arrivato a +14%, il 2012 si è comunque chiuso in Italia con un incremento medio dei prezzi agricoli del 2,1%, determinato da una crescita del 2,9% nel comparto delle coltivazioni vegetali e dell'1,1% nell'aggregato zootecnico. Il dato è rilevato da ISMEA secondo il quale l'indice dei prezzi all'origine dei prodotti agricoli è arrivato nel 2012 a 132,5 (l'indice è calcolato assumendo come base l'anno 2000=100). Va peraltro precisato che le difficoltà che incontra il settore sono soprattutto evidenziate dall'andamento a forbice della crescita dei prezzi, aumentati sì per i prodotti, ma cresciuti in modo molto più marcato per i beni acquistati dagli agricoltori come mezzi tecnici (così l'INEA, La dinamica dei prezzi e il rapporto di scambio in agricoltura, nell'annuario dell'agricoltura italiana 2012, parte I,cap. II).
Sui mercati internazionali, la nuova manifestazione di un rialzo mondiale dei prezzi, ed il timore per il riaffacciarsi di una crisi alimentare mondiale simile a quella degli anni 2007-2008, hanno da ultimo prodotto un comunicato congiunto FAO, IFAD e WFP.
Il Direttore generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Alimentazione e l'Agricoltura (FAO), il Presidente del Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (IFAD) e il Direttore esecutivo del Programma Alimentare Mondiale (WFP) hanno diramato nel mese di settembre del 2012 un appello per un'azione internazionale rapida e coordinata che eviti una nuova crisi. Tra i fattori che hanno determinato il rialzo dei prezzi e una loro forte volatilità, il comunicato ricorda: le crescenti destinazioni di stock alimentari per usi non alimentari, e una più forte speculazione finanziaria.
La Commissione Agricoltura della Camera, tra le prime iniziative assunte all’avvio della XVI Legislatura, ha pertanto deliberato, approvandone il programma nella seduta del 26 giugno 2008, lo svolgimento di una indagine conoscitiva sull’andamento dei prezzi nel settore agroalimentare, al fine di acquisire un quadro informativo qualificato sulla situazione e sui suoi sviluppi, nonché sull’ampio ventaglio di analisi e proposte avanzate nel corso del dibattito sviluppatosi sull’argomento.
Nella seduta del 26 maggio 2009, come detto, la Commissione ha approvato il documento conclusivo dell’indagine, nel quale si sottolinea come l’incremento dei prezzi di vendita dei prodotti agroalimentari abbia “creato una ricchezza che si è dissipata nella filiera produttiva senza arrivare al primo anello della catena, ovvero al produttore; al contempo, a causa dell’aumento dei prezzi-acquisto sopportato dalle aziende agricole, la redditività delle stesse si è ridotta drasticamente. Gli attori che hanno subito maggiormente gli effetti del rialzo dei prezzi sono stati quindi gli estremi della filiera produttiva”.
I fattori di ordine interno che determinano nel nostro paese l’aumento dei prezzi dei prodotti agroalimentari sono quindi così individuati:
In questo quadro mancano efficaci meccanismi di monitoraggio e controllo dei prezzi ed appare fragile l’apparato ispettivo e sanzionatorio, mentre in alcune aree caratterizzate da elevata densità mafiosa le organizzazioni criminali hanno assunto un ruolo centrale nel controllo dei mercati, con la possibilità di incidere nella fissazione dei prezzi dei prodotti e promuovere condotte monopolistiche.
Il documento enuncia quindi un ampio quadro di proposte di intervento, finalizzate a correggere le attuali distorsioni a vantaggio soprattutto degli agricoltori, cui deve essere assicurata una redditività a fronte di un adeguato investimento, e dei consumatori, ai quali occorre garantire una trasparente informazione ed un prezzo equo.
Gli interventi proposti si articolano nelle seguenti direzioni:
Nello stesso 2008, il tema è stato affrontato anche a livello comunitario: nella sua Comunicazione sui prezzi dei prodotti alimentari in Europa del 9 dicembre 2008, la Commissione UE ha compiuto una ricognizione delle dinamiche e delle prospettive dei prezzi agricoli, ed ha affrontato in particolare le questioni relative al funzionamento della catena di approvvigionamento alimentare, esaminando una serie di ipotesi di intervento. In merito, tre le possibili direttrici individuate: interventi volti ad affrontare e mitigare gli effetti dello shock dei prezzi agricoli nel breve e medio termine; interventi volti ad aumentare l’offerta e la sicurezza alimentari a lungo termine; interventi intesi a contribuire allo sforzo globale per ridurre gli effetti dei rincari sulle popolazioni povere.
La revisione della PAC per il periodo 2014-2020 - avviata nel corso del 2011 da parte dell'Unione europea con la presentazione di un pacchetto di provedimenti - include anche l'approvazione di un nuovo regolamento sul sostegno allo svilippo rurale, proposto nel mese di ottobre 2011(Com(2011) 627 def).
Secondo le previsioni, riferite nella proposta della Commissione, la pressione sui redditi agricoli proseguirà: gli agricoltori affrontano infatti rischi maggiori, la produttività rallenta e il margine si riduce a causa dell'aumento dei prezzi dei mezzi di produzione. Ne consegue che non solo il sostegno al reddito dovrà essere mantenuto, ma che sarà anche "necessario rafforzare gli strumenti che permettono una migliore gestione dei rischi e una reazione più adeguata in situazioni di emergenza.". Gli strumenti individuati per la gestione di tali rischi comprendono - così il considerando (37) - sia il tradizionale sostegno a fronte dei premi che gli agricoltori pagano per assicurare il raccolto, gli animali e le colture, che la più nuova costituzione di fondi di mutualizzazione che risarciscano gli agricoltori delle perdite causate da epizoozie, avversità fitosanitarie o emergenze ambientali: tali misure dovrebbero estendersi anche agli agricoltori che subiscano un drastico calo di reddito. La stabilizzazione dovrebbe comportare il versamento di contributi ai fondi di mutualizzazione per il pagamento delle compensazioni dovute agli agricoltori, alle seguenti condizioni: che la perdita di reddito sia superiore al 30% rispetto ai parametri di riferimento; che l'integrazione erogata dal fondo non superi il 70% della perdita di reddito; che l'aliquota massima dell'aiuto sia pari al 65% delle spese ammissibili.
Per quanto riguarda i rischi connessi alle calamità, le norme di riferimento nazionali sono scritte nel D.Lgs. n. 102/2004, che ha rivisto la normativa sul fondo di solidarietà nazionale in agricoltura (FSN). Tale Fondo consente di sostenere il comparto primario, quando deve far fronte ai danni alle produzioni agricole e zootecniche causati da calamità naturali o eventi eccezionali, con le seguenti misure: stipula di polizze assicurative agevolate; interventi di compensazione dei danni, solo per i rischi non assicurabili.
Il D.M. 31 luglio 2002, sulle “Modalità operative e gestionali dei fondi di mutualità e solidarietà per la copertura dei rischi climatici in agricoltura”, ha consentito ai consorzi di difesa, ed alle cooperative (e loro consorzi), previo adeguamento degli statuti e su autorizzazione della regione, di istituire fondi rischi che possono intervenire sia per il risarcimento dei danni sulle produzioni agricole degli associati, sia facendo ricorso alla copertura assicurativa.
L'adesione al fondo è volontaria ed aperta a tutti i soci dell'organismo associativo, che possono sempre ricorrere singolarmente alla copertura assicurativa.
Nel regolamento dell'organismo associativo, approvato dalla regione territorialmente competente, debbono essere definiti modalità e limiti di copertura dei rischi con le risorse finanziarie del fondo, che può porre a proprio carico tutti i rischi assunti in garanzia, oppure cedere parte di essi a una o più imprese di assicurazione, o partecipare a fondi rischi regionali, interregionali o nazionali, che concorrono al pagamento dei risarcimenti. La contabilità del fondo deve essere tenuta separata dalle altre attività.
Relativamente invece alle situazioni di crisi di mercato determinate dal crollo dei prezzi, i tentativi di introdurre una disciplina di sostegno del reddito si sono scontrati finora con la totale preclusione comunitaria, che ha ritenuto sufficienti gli interventi delineati nelle singole organizzazioni di mercato (OCM).
Per primo il D.L. n. 22/05, con l'art. 1-bis introduceva "lo stato di crisi di mercato" in caso di riduzione del reddito medio annuale del 30 per cento rispetto al reddito medio del triennio precedente: le norme erano subordinate all'autorizzazione da parte della Commissione europea, che infatti le censurava con la Comunicazione Com(2005) 74 def escludendo la possibilità di erogare aiuti di Stato miranti a lenire crisi di mercato conseguenti alla riduzione dei prezzi.
Allo scopo di superare i rilievi formulati dalla Commissione, il Governo è nuovamente intervenuto sulla materia con il decreto-legge n. 182/2005, che ha stabilito che i descritti aiuti potessero essere concessi come aiuti de minimis in base al reg. (CE) 1860/2004.
La legge n. 296/06 finanziaria 2007 (art. 1, comma 1072) aveva poi previsto l'istituzione di un apposito Fondo destinato al finanziamento di misure volte a “favorire la ripresa economica e produttiva delle imprese agricole colpite da gravi crisi di mercato”: la norma non ha tuttavia avuto applicazione, anche a causa delle obiezioni avanzate dalla Commissione europea, e lo stanziamento del Fondo è stato via via destinato ad altre finalità con diversi provvedimenti legislativi, a cominciare dalla finanziaria per il 2008 (L. n. 244/07, comma 123 dell'art. 2, e comma 111 dell'art. 3).
Pare corretta la strada da ultimo intrapresa con il D.L. n. 179/12, con ulteriori misure di crescita. Le disposizioni dell’articolo 36, commi 2-bis e 2-ter, sono dirette a consentire la nascita di fondi mutualistici che siano destinati alla stabilizzazione dei redditi, ed alla stabilizzazione delle relazioni contrattuali tra gli imprenditori che sottoscrivano contratti di rete.
Per una gestione condivisa del rischio e per la stabilizzazione dei redditi, il comma 2-bis ha disposto che presso ISMEA venga istituito un fondo mutualistico nazionale, alimentato con i contributi volontari degli agricoltori. Le entrate del Fondo potranno essere costituite anche da contributi dello Stato, purché compatibili con le disposizioni comunitarie. Il comma 3-bis ha disposto che un fondo di mutualità possa anche essere previsto con i contratti di rete sottoscritti da imprenditori del comparto agricolo con l’assistenza delle organizzazioni professionali di categoria, allo scopo di stabilizzare le relazioni contrattuali tra i contraenti: in tal caso si applicano le disposizioni definite per l’istituzione - con i contratti di rete - di fondi patrimoniali comuni, scritte all’art. 3, comma 4-ter del D.L. n. 5/09. La sottoscrizione dei contratti di rete può essere fatta da imprenditori che perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato, e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa. Il contratto può anche prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso.
Da ultimo sono state anche reperite le risorse che andranno ad interventi di sostegno del comparto agricolo, nelle fasi di crisi di mercato. La ricognizione delle somme residuate dagli stanziamenti statali disposti nel corso degli anni in favore del comparto bieticolo-saccarifero - che ormai non può beneficiare di alcun aiuto - ha consentito di intercettare 19,7 milioni di euro tuttora presenti nel bilancio di AGEA: un decreto del Mipaaf, di concerto con il dicastero dell’economia, definirà le modalità applicative delle nuove disposizioni, e quantificherà le risorse da destinare ad ogni singola misura.
Dal 24 ottobre 2012 sono diventate obbligatorie le condizioni poste dall’articolo 62 del D.L. n. 1/12, decreto per le liberalizzazioni, che richiede per la cessioni di prodotti agricoli e alimentari contratti scritti e termini di pagamento a 30 o 60 giorni. Le nuove regole possono anche essere correlate alla crisi economica in corso, con conseguente calo dei consumi, che ha prodotto la segnalazione di pratiche commerciali sleali. L’intervento ha pertanto l’obiettivo di aumentare la trasparenza e l’efficienza nei rapporti di filiera, eliminare i comportamenti scorretti e speculativi, migliorare la gestione finanziaria dei rapporti.
La nuova disciplina - una delle più significative per il comparto, fra quelle introdotte nel corso delle legislatura - regola i contratti di cessione di prodotti agricoli e alimentari, esclusi quelli conclusi con un consumatore finale: a pena di nullità le norme impongono la forma contrattuale scritta ed indicano il contenuto obbligatorio. Lo scopo che ha mosso il legislatore è quello di garantire maggiore trasparenza nei rapporti tra i diversi operatori della filiera agroalimentare, e di assicurare una maggiore tutela al contraente più debole, rappresentato in genere dal produttore agricolo, in posizione di soggezione nei confronti dell'industria alimentare o della grande distribuzione. Basti pensare che nell'area comunitaria il peso dell'agricoltura nella filiera alimentare sarebbe passato dal 29% nel 2000 al 24% nel 2005, mentre nello stesso periodo quella dell'industria alimentare, del settore all'ingrosso e della distribuzione avrebbe registrato un incremento (così la Commissione UE nella propriaComunicazionedel 18/11/2010 sul futuro della PAC).
L'articolo 62 ha sancito quanto segue:
La nullità peraltro non era solo conseguente al mancato rispetto della forma, ma anche della mancata indicazione di uno dei seguenti elementi richiesti dal legislatore: durata, quantità, caratteristiche del prodotto, prezzo, modalità di consegna, modalità di pagamento. Il D.L. n. 179/12, con le ulteriori misure per la crescita del Paese approvate allo spirare della legislatura (legge di conversione n. 221, del 17 dicembre), ha:
- escluso dagli obblighi di cui all'articolo 62 i contratti conclusi fra imprenditori agricoli (con il comma 6-bis dell'art. 36);
- abrogato le disposizioni che sanzionano con la “nullità” la mancanza nel contratto degli elementi che il medesimo primo comma rende obbligatori (art. 36-bis);
Le attese modalità applicative delle disposizioni sono state infine adottate con il D.M. n. 199/12, che precisa che sono esclusi dall'applicazione dell'art. 62 i conferimenti effettuate dagli imprenditori alle cooperative o alle organizzazioni di produttori, ed i conferimenti tra imprenditori ittici (compresi gli acquacoltori). Il provvedimento reca anche un elenco delle pratiche commerciali sleali, tratto dai “Principi di buone prassi” frutto di un dialogo multilaterale, avviato dalla Commissione europea.
L'entità delle innovazioni introdotte ha suscitato una intensa attività di sindacato ispettivo, nell'ambito del quale merita menzionare la risoluzione conclusiva 8/00182approvata con il più largo consenso da parte della XIII Commissione Agricoltura. Il documento, proposto prima che venisse definito il decreto interministeriale n. 199, invitava il Governo ad adottare le disposizioni attuative "nel più breve tempo possibile", nel contempo fornendo una davvero lunga serie di indirizzi per la redazione del provvedimento, che avrebbe dovuto essere "il più funzionale possibile alle esigenze del comparto, privo di eccessi di burocrazia e di aggravi per le imprese, soprattutto per le piccole e medie imprese agricole".
La vendita diretta rappresenta per l’agricoltore un modo per incrementare i margini di guadagno derivanti dalla sua attività, perché elimina i numerosi passaggi che si verificano lungo la filiera prima che il prodotto giunga al consumatore finale. La lunghezza della filiera è la prima causa del forte incremento dei prezzi, senza che che ne derivi alcun beneficio al produttore iniziale.
Le numerose iniziative collettive di vendita gestite direttamente dai produttori agricoli - sorte per ridurre il divario fra la crescita dei prezzi al consumo a fronte della riduzione dei prezzi alla produzione - hanno trovato un riconoscimento ed una regolazione con l'approvazione del D.Lgs. n. 228/2001, cosiddetta legge di orientamento agricolo, in deroga alla disciplina generale del commercio stabilita con il D.lgs. n. 114/98. L'articolo 4 del provvedimento, diretto alla modernizzazione del settore, ha consentito agli imprenditori agricoli di vendere direttamente al dettaglio i propri prodotti, ma non solo i propri dal momento che la norma menziona "i prodotti provenienti in misura prevalente" dall'azienda. La possibilità di vendita peraltro si estende ai prodotti derivati, ottenuti con la manipolazione o trasformazione dei prodotti sia agricoli che zootecnici. Le norme infine pongono un tetto alle entrate derivanti dalla vendita diretta - aggiornato con la finanziaria 2007 - oltre il quale la vendita dei prodotti rientra nella normale attività commerciale regolata dal citato decreto n. 114, e non gode più dei benefici previsti per i prodotti agricoli (ad esempio della ridotta aliquota IVA).
L'articolo 4 ha poi definito (commi 2-4) le modalità di esercizio dell’attività di vendita diretta nella forma itinerante: in tal caso - così la norma prima di essere modificata - l'attività deve essere preceduta da una comunicazione al comune del luogo ove ha sede l’azienda, e la vendita può essere esercitata solo trascorsi 30 giorni dalla ricezione della comunicazione. L'art. 27 del D.L. n. 5/12 sulle semplificazioni, ha conservato l'obbligo di comunicazione, ma ha anticipato l'inizio dell'attività dalla data di invio della comunicazione.
La disciplina dell'intero articolo 4 è stata poi estesa anche agli enti e associazioni con l'art. 4 del D.lgs. n. 99/2004.
Invero una forma di vendita diretta era stata consentita fin dal 1999, per consentire la vendita di prodotti non conformi alle norme sull'igiene delle produzioni alimentari stabilite dall'UE perché prodotti secondo metodiche particolari e locali, senza le quali perderebbero le loro caratteristiche organolettiche. Di questi prodotti è permessa la sola vendita diretta, anche per via telematica, limitata al consumatore finale (inclusi gli esercizi di somministrazione e ristorazione), e circoscritta territorialmente alla provincia della zona tipica di produzione (così l'art. 10 della legge n. 526/99).
Per la realizzazione dei mercati agricoli a vendita diretta, la Finanziaria 2007 (legge n. 296/2006, comma 1065) aveva disposto che entro 3 mesi fosse adottato un decreto del Ministro delle politiche agricole per la definizione degli standard dei mercati e le modalità di vendita, per assicurare la trasparenza dei prezzi. L'attuazione data con il D.M. 20 novembre 2007, che ha così consentito la nascita anche in Italia dei mercati degli agricoltori - i cosiddetti "farmers markets", fissa le linee guida per tutto il territorio nazionale e fornisce indicazioni chiare ed uniformi alle amministrazioni comunali.
Con lo scopo di valorizzare e promuovere i prodotti alimentari provenienti da filiera corta - la cui area di produzione sia situata a breve distanza dal luogo di consumo finale - nonché dei prodotti di particolare pregio qualitativo - ossia quelli provenienti da coltivazioni biologiche, a denominazione tutelata, tipici o tradizionali - la Commissione Agricoltura ha avviato nel mese di novembre del 2009 l'esame di talune proposte parlamentari (C.1481 e abbinate), alle quali nel tempo se ne sono aggiunte altre. La Commissione ha proseguito i lavori, a decorrere dalla seduta del 28/2/12, in comitato ristretto senza tuttavia arrivare all'approvazione di un testo definitivo entro la legislatura.
I prodotti di provenienza locale sono rimasti pertanto privi di una disciplina, anche perché non è mai stato presentato in Parlamento lo schema di un disegno di legge che il Governo aveva preannunciato nel marzo del 2010, provvedimento che avrebbe definito i principi fondamentali in materia di mercati agricoli riservati alla vendita diretta da parte degli imprenditori agricoli, e avrebbe dovuto promuovere la domanda e l'offerta dei prodotti agricoli a chilometro zero, provenienti da filiera corta.
Ciò malgrado, la necessità di salvaguardare l'ambiente riducendo l'inquinamento correlato al trasporto delle merci, e la pari necessità di ricorrere a prodotti più salubri perché consumati in prossimità della produzione, hanno prodotto intese che hanno privilegiato il consumo delle produzioni da filiera corta. La Conferenza Unificata ha approvato Provv. 29-4-2010 n. 2/C.U.una Intesa sulle linee di indirizzo nazionale per la ristorazione scolastica, che per la defizione del capitolato, suggerisce di dare priorità agli alimenti a filiera corta, cioè all'impiego " di prodotti che abbiano viaggiato poco e abbiano subito pochi passaggi commerciali prima di arrivare alla cucina o alla tavola. Per favorire l'utilizzo di tali alimenti, possono essere attribuiti punteggi diversi per le diverse provenienze premiando i prodotti locali". La Conferenza Stato-regioni ha poi approvato l'Intesa 16-12-2010 n. 246/CSRsulle linee di indirizzo nazionale per la ristorazione ospedaliera e assistenziale. Tra le modalità di approvvigionamento, viene definito interessante - perché coniuga aspetti di sostenibilità ambientale, legame con il territorio e sostegno all'economia locale - "l'utilizzo di prodotti locali attraverso convenzioni con fornitori di zona, in un processo definito filiera corta o chilometri zero che, accorciando le distanze tra luogo di produzione e consumo, determina un minor utilizzo di sistemi di trasporto, imballaggio, energia, minor numero di passaggi, con evidenti effetti sull'ambiente.".
L'intervento legislativo regionale nella materia non è in ogni caso precluso, ma non può esimersi dal rispetto del quadro legislativo comunitario. Così, la legge della regione Puglia del13 dicembre 2012, n. 43 che prevede "Norme per il sostegno dei Gruppi acquisto solidale (GAS) e per la promozione dei prodotti agricoli da filiera corta, a chilometro zero, di qualità", ha prodotto l'impugnativa dinnanzi alla Corte Costituzionale da parte del Governo "perché contiene disposizioni in contrasto con la normativa comunitaria in materia di libera circolazione delle merci e, pertanto, viola l'art. 117, primo comma e l'art. 120 della costituzione" (CdMsedutadell'8 febbario 2013).
Vale segnalare che anche le istituzioni europee mostrano interesse per l'agricoltura di piccola scala e la filiera corta. Su questi temi il 20 aprile 2012 si è svolta a Bruxelles, alla presenza del Commissario europeo per l'Agricoltura e lo Sviluppo Rurale, e del Commissario sulla Salute e le politiche a tutela dei consumatori, una Conferenzache si è focalizzata, tra l'altro, sul sostegno ai piccoli agricoltori tramite la PAC e sulle strategie da usare per stimolare l'interesse dei consumatori nei confronti delle produzioni locali.