La legge 23 novembre 2012, n. 215, ha introdotto disposizioni volte a promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nelle amministrazioni locali.
Viene in primo luogo modificata la normativa per l’elezione dei consigli comunali. Per i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti, la legge, riprendendo un modello già sperimentato dalla legge elettorale regionale della Campania, prevede una duplice misura:
Per tutti i comuni con popolazione fino a 15.000 abitanti è comunque previsto che nelle liste dei candidati è assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi.
In secondo luogo, il sindaco ed il presidente della provincia sono tenuti a nominare la giunta nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi e gli statuti comunali e provinciali devo stabilire norme per “garantire”, e non più semplicemente “promuovere”, la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali non elettivi del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti.
Nella legge sulla par condicio, viene infine sancito il principio secondo cui i mezzi di informazione, nell’ambito delle trasmissioni per la comunicazione politica, sono tenuti al rispetto dei principi di pari opportunità tra donne e uomini sanciti dalla Costituzione
Una ulteriore misura volta a favorire la parità di genere nella politica è stata introdotta dalla legge di riforma del finanziamento della politica che prevede la decurtazione del 5% dei contributi per i partiti che presentano un numero di candidati del medesimo sesso superiore ai due terzi del totale. La disposizione si applica alle elezioni politiche, europee e regionali (art. 1, comma 7, L. 96/2012).
Per quanto riguarda la disciplina dei partiti, l’Assemblea della Camera, nell’ambito della proposta di legge approvata definitivamente il 5 luglio 2012 (legge n. 96 del 2012), in materia di finanziamento dei partiti e movimenti politici ha introdotto un emendamento (em. 1.212, Amici ed altri), in base al quale i contributi pubblici spettanti a ciascun partito o movimento politico sono diminuiti del 5 per cento qualora il partito o il movimento politico abbia presentato nel complesso dei candidati ad esso riconducibili per l'elezione dell'assemblea di riferimento un numero di candidati del medesimo genere superiore ai due terzi del totale, con arrotondamento all'unità superiore.
Parallelamente, la Commissione affari costituzionali della Camera ha esaminato alcune proposte di legge finalizzate ad introdurre una disciplina organica dei partiti politici, in attuazione dell’articolo 49 della Costituzione. Alcune di queste prevedono misure di riequilibrio della rappresentanza di genere negli organi dirigenti del partito; di particolare rilievo la previsione del limite della rappresentanza di ciascun genere fissato a due terzi (A.C. 244 e A.C. 506) o al 55% (A.C. 4194). Una proposta (A.C. 1722) reca anche l’obbligo di formare le liste di candidati per qualsiasi elezione in misura eguale di uomini e donne.
Infine, si segnala che diverse delle proposte di legge di riforma del sistema elettorale nazionale presentate in Parlamento nel corso della legislatura prevedono misure volte a promuovere le pari opportunità nell’accesso alle cariche elettive. Alcune proposte hanno questo unico obiettivo e non intervengono a modificare altre parti della legge elettorale (A.C. 687 e A.C. 1410 alla Camera e A.S. 2, A.S. 17, A.S. 93, A.S. 104, A.S. 257 e A.S. 708 al Senato). Altre proposte prevedono misure di riequilibrio della rappresentanza nell’ambito di interventi complessivi sul sistema elettorale.
Nel complesso, le proposte di legge in materia di riequilibrio di genere presentano soluzioni diverse in ordine all’ambito di applicazione, al rapporto numerico tra i due sessi, all’ordine di successione delle candidature e, infine, alle modalità sanzionatorie. Tali soluzioni possono essere così sintetizzate:
§ è previsto l’obbligo di rispettare una proporzione tra i due sessi nelle candidature: le liste devono presentare lo stesso numero di candidati uomini e di candidati donne; ovvero nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai 2/3 o al 60% del totale dei candidati;
§ si interviene sull’ordine di successione delle candidature, per rendere effettiva la parità di genere nell’offerta elettorale: le proposte che introducono la rappresentanza paritaria dei due sessi nelle candidature prevedono l’obbligo dell’alternanza dei due generi (un uomo, una donna, un uomo ecc.), mentre le proposte che scelgono una proporzione diversa (2/3, 60%) vietano la successione immediata di più di due candidati dello stesso sesso;
§ si prevedono sanzioni nel caso di mancata applicazione delle disposizioni in materia di parità: nella maggior parte dei casi, l’inammissibilità delle liste, oppure la nullità delle candidature, o la riduzione dei rimborsi elettorali.
Il testo unificato approvato dalla Commissione affari costituzionali del Senato nella seduta dell'11 ottobre 2012 prevede:
§ per le cc.dd. ‘liste bloccate’ l’obbligo di presentare i candidati successivi al primo in ordine alternato di genere, a pena di inammissibilità della lista;
§ per le liste di candidati da eleggere con il voto di preferenza, una quota di lista pari ad almeno un terzo per i candidati del sesso meno rappresentato, a pena di inammissibilità, e l’espressione del voto attraverso la cd. doppia preferenza di genere.
Un emendamento approvato successivamente ha peraltro sostituito alla doppia preferenza la cd. tripla preferenza di genere, riconoscendo all’elettore la possibilità di esprimere fino a tre preferenze; nel caso di espressione di più di una preferenza, la scelta deve comprendere candidati di entrambi i generi, pena l'annullamento della seconda e terza preferenza.
Il Parlamento ha approvato la legge n. 120/2011, che reca disposizioni in materia di parità di accesso agli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in mercati regolamentati. La nuova legge è volta a superare il problema della scarsa presenza di donne negli organi di vertice delle società commerciali e, in particolare, nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa. A tal fine è previsto un “doppio binario” normativo: per le società non controllate da pubbliche amministrazioni, la disciplina in materia di equilibrio di genere è recata puntualmente dalle disposizioni di rango primario. Tali disposizioni si intendono applicabili anche alle società a controllo pubblico. In particolare, si dispone che lo statuto societario deve prevedere che il riparto degli amministratori da eleggere sia effettuato in base a un criterio che assicuri l'equilibrio tra i generi, dovendo il genere meno rappresentato ottenere almeno un terzo degli amministratori eletti. Per un approfondimento, si rinvia al temaParità di accesso agli organi delle società quotate.
L’attuazione del principio delle pari opportunità e delle parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione ed impiego è il tema del D.Lgs. 25 gennaio 2010, n. 5. Il decreto recepisce la direttiva 2006/54/CE che riunifica e sostituisce una serie di precedenti atti in materia di pari opportunità. Il provvedimento interviene innanzitutto con alcuni correttivi al codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al D.Lgs. 198/2006, precisando che esso è finalizzato all’adozione delle misure volte ad eliminare ogni discriminazione basata sul sesso che comprometta o impedisca il riconoscimento, il godimento o l'esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo. Inoltre, la parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compresi quelli dell'occupazione, del lavoro e della retribuzione, come anche in quello della formulazione e attuazione di leggi, regolamenti, atti amministrativi, politiche e attività.
In secondo luogo, viene ampliata la definizione di discriminazione, che riguarda anche ogni trattamento meno favorevole subito in ragione dello stato di gravidanza, di maternità o di paternità, nonché in conseguenza del rifiuto di atti di molestie o di molestie sessuali, mentre il divieto di ogni forma di discriminazione viene esteso alle promozioni professionali. Ulteriori novelle al Codice riguardano il divieto di discriminazione nelle forme pensionistiche complementari collettive, il concetto di vittimizzazione, la possibilità per i contratti collettivi di lavoro prevedere misure specifiche - ivi compresi codici di condotta, linee guida e buone prassi - per la prevenzione delle forme di discriminazione come le molestie e le molestie sessuali.
Il D.Lgs. 5/2010 interviene inoltre (articolo 2) sulle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al D.Lgs. 151/2001, nel senso di vietare qualsiasi discriminazione per ragioni connesse al sesso con particolare riguardo ad ogni trattamento meno favorevole per lo stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell’esercizio dei relativi diritti. Inoltre, le norme sul divieto di licenziamento delle lavoratrici nel periodo di gravidanza si applicano anche in caso di adozione e di affidamento.
Da ultimo, viene modificata la disciplina dei vari organi impegnati sul fronte delle pari opportunità. In particolare, è aumentato il numero dei componenti designati da alcune parti sociali e sono ampliati i compiti del Comitato nazionale per l'attuazione dei principi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici, istituito presso il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, mentre si mantiene il mandato quadriennale con un rinnovo limitato a due volte delle consigliere e dei consiglieri di parità.
Infine, viene modificata la composizione della Commissione per le pari opportunità di cui al D.P.R. 115/2007 e quella del Comitato per l'imprenditoria femminile. Le funzioni di questi due organi, alla scadenza dei medesimi saranno peraltro defintivamente trasferite al Dipartimento Pari opportunità della Presidenza del Consiglio a seguito del riordino degli organi collegiali disposto dal decreto-legge sulla 'spending review' (articolo 12, comma 20, del D.L. 95/2012).
Per quanto riguarda il sostegno alla genitorialità, la legge di riforma del mercato del lavoro (L. 92/2012, art. 4, commi 24-26).
- ha introdotto per i padri lavoratori dipendenti un giorno di congedo di paternità obbligatorio e due giorni di congedo facoltativo, questi ultimi peraltro alternativi al congedo obbligatorio di maternità. Il congedo deve essere fruito entro i primi 5 mesi di vita del figlio o della figlia e dà diritto ad un’indennità pari al 100% della retribuzione;
- ha riconosciuto alla madre lavoratrice, per gli undici mesi successivi al congedo di maternità, la possibilità di fruire di voucher per l'acquisto di servizi di baby-sitting o di servizi per l'infanzia. Tale possibilità è peraltro riconosciuta nei limiti delle risorse stanziate ed in alternativa al congedo parentale.
Alla nuova disciplina è stata data attuazione con il D.M. 22 dicembre 2012.
In materia di congedi di maternità e congedi parentali è inoltre intervenuto alla fine del 2012 il cd. decreto “salva-infrazioni” (art. 3 D.L. n. 216/2012), il cui contenuto è successivamente confluito nella legge di stabilità 2013 (L. 228/2012, art. 1, commi 336-339).
Le nuove disposizioni:
- estendono alle pescatrici autonome della piccola pesca gli istituti dell’indennità di maternità e del congedo parentale previsti per le lavoratrici autonome;
- rimettono allacontrattazione collettiva la determinazione delle modalità di fruizione delcongedo parentale su base oraria;
- prevedono che il lavoratore e il datore di lavoro concordano, ove necessario, adeguate misure di ripresa dell'attività lavorativa al termine del periodo di congedo parentale.
Agli organismi di parità è infine attribuito il compito di scambiare le informazioni disponibili con gli organismi europei corrispondenti.
In tema di conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, l’articolo 38 della legge 18 giugno 2009, n. 69, ha modificato l'articolo 9 della legge 53/2000, che introduce la sperimentazione di azioni positive per la conciliazione. La norma, a carattere sperimentale, ha subìto nel tempo alcune modifiche per meglio rispondere ai bisogni di conciliazione emersi nel corso dell'attuazione. La modifica, da ultimo contenuta nel citato art. 38 ha ampliato la platea dei potenziali beneficiari ed aggiornato il novero degli interventi finanziabili, rendendo necessaria la stesura di un nuovo regolamento di attuazione, adottato con D.P.C.M. 23 dicembre 2010, n. 277.
All’inizio del XVI legislatura, è stata abrogata, a pochi mesi dall’entrata in vigore, la legge n. 188/2007, volta a contrastare il fenomeno delle cd. “dimissioni in bianco”, che prescriveva per le dimissioni la forma scritta, attraverso l’utilizzo di moduli prestampati o disponibili on line di data certa (art. 34, comma 10, lettera l), D.L. n. 112/2008).
Sul tema è nuovamente intervenuta la legge di riforma del mercato del lavoro, che ha introdotto una diversa disciplina. La nuova normativa subordina l’efficacia delle dimissioni ad una convalida in sede amministrativa o sindacale o, in alternativa, alla sottoscrizione di apposita dichiarazione del lavoratore o della lavoratrice in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro (art. 4, commi 17-23, L. n. 92/2012).
La legge di riforma del mercato del lavoro inoltre ha esteso da 1 a 3 anni di vita del bambino (o di ingresso in famiglia del minore) il periodo di convalida obbligatoria, da parte del servizio ispettivo del ministero del lavoro, delle dimissioni della lavoratrice madre (art. 4, comma 16, L. n. 92/2012).