Il fenomeno dei lavoratori precari della pubblica amministrazione (intendendo per tali i lavoratori con contratto a tempo determinato e con altre forme contrattuali flessibili) si è accumulato nel tempo ed è in parte collegato al blocco del turnover, di cui ha spesso costituito una forma di elusione. Secondo gli ultimi dati disponibili (Conto annuale 2012 della RGS, analisi di specifici dati nel periodo 2007-2011), i precari della P.A. sono poco più di 200.000 (di cui poco più di 130.000 precari della scuola).
Le politiche sviluppate nel corso della legislatura sono state indirizzate al contenimento del fenomeno e, in prospettiva, al suo progressivo riassorbimento. In tale prospettiva, i provvedimenti più importanti sono stati, nella fase iniziale della legislatura, l’articolo 49 del D.L. 112/2008 e l’articolo 17 del D.L. 78/2009 (modificativi dell’articolo 36 del D.Lgs. 165/2001, che ha introdotto il lavoro flessibile nella P.A.)
Il nuovo impianto normativo, nel ribadire il principio che le assunzioni avvengono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato (seguendo le apposite procedure di reclutamento previste dall’articolo 35 del D.Lgs. 165/2001), prevede la possibilità per le amministrazioni pubbliche di avvalersi, in caso di esigenze temporanee ed eccezionali, dei contratti flessibili previsti dal diritto civile. Ai contratti collettivi nazionali si demanda (ferma restando la competenza delle amministrazioni in ordine all’individuazione delle necessità organizzative in coerenza con quanto stabilito dalla legge) la disciplina in materia di contratti di lavoro a tempo determinato, di contratti di formazione e lavoro, di altri rapporti formativi e di somministrazione di lavoro (alla quale comunque non è possibile ricorrere per l’esercizio di funzioni direttive e dirigenziali), in applicazione di quanto previsto dalle rispettive normative di settore, con riferimento alla individuazione dei contingenti di personale utilizzabile. Al fine di favorire la stabilizzazione del personale precario, viene riconosciuta, per gli anni 2001-2012, la possibilità di inserire, nei bandi concorsuali per le assunzioni a tempo indeterminato, clausole volte a valorizzare l’esperienza professionale maturata, nonché a garantire una riserva di posti (nel limite del 40%).
Il contrasto alla precarizzazione si è sviluppato dapprima attraverso la previsione di una durata massima del rapporto di lavoro flessibile, con l’introduzione del divieto per le P.A. di ricorrere all’utilizzo del medesimo lavoratore con più tipologie contrattuali per periodi di servizio superiori ai tre anni nell’arco dell’ultimo quinquennio (articolo 49, D.L. 112/2008). Successivamente, tale vincolo di utilizzo è stato rimosso (con esclusione dei contratti a tempo determinato, per i quali resta invece fermo il limite di 36 mesi previsto dalla disciplina generale di cui al decreto legislativo 368/2001) e, contestualmente, è stato introdotto l’obbligo per le P.A. di redigere un rapporto informativo annuale (da inviare al Parlamento) sulle tipologie di lavoro flessibile e sui lavoratori socialmente utili (LSU) utilizzati, con l’obiettivo di poter disporre di un quadro sempre aggiornato del fenomeno e di attuare più efficaci controlli (articolo 49 del D.L. 112/2008).
Al fine di responsabilizzare maggiormente i dirigenti ed assicurare, per questa via, il rispetto della normativa, è stato previsto che la violazione delle disposizioni relative all’utilizzo dei contratti flessibili è fonte di responsabilita' dirigenziale, con la conseguenza che di esse si tiene conto anche in sede di valutazione dell’operato del dirigente (ai sensi dell’articolo 5 del D.Lgs. 286/1999); inoltre, al dirigente responsabile di irregolarità nell’utilizzo del lavoro flessibile non può essere corrisposta la retribuzione di risultato e, in caso di dolo o colpa grave, la P.A. può rivalersi sul dirigente per i danni che essa ha dovuto liquidare al lavoratore.
Vincoli puntuali all’utilizzo di rapporti di lavoro flessibili sono stati introdotti dall’articolo 9, comma 28, del DL 78/2010, il quale ha previsto che le P.A. (a decorrere dal 2011) possono avvalersene nel limite del 50 per cento della spesa sostenute, per le stesse finalità, nell’anno 2009. Il provvedimento dispone, inoltre, che tali vincoli costituiscono principi generali ai fini del coordinamento della finanza pubblica, a cui devono adeguarsi le regioni, le province autonome e gli enti del S.S.N., nonchè (per effetto dell’articolo 4, commi 102 e 103, della L. 183/2011) le Camere di commercio e gli enti locali.
Nella fase terminale della legislatura si è posto con forza il problema dei numerosi contratti a tempo determinato prossimi alla scadenza. Un ampio ed articolato quadro del fenomeno, con l’indicazione delle possibili linee di azione (nel breve termine e a regime) è stato tracciato dal Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione nell’audizione del 5 dicembre 2012 in XI Commissione (Lavoro) della Camera. Le soluzioni prospettate hanno trovato una prima traduzione normativa con articolo 1, commi 400-401, della L. 228/2012 (legge di stabilità 2013), che (in vista della stipulazione di un Accordo quadro volto a definire deroghe alla disciplina generale sui contratti a termine, di cui al D.Lgs. 368/2001) ha autorizzato le pubbliche amministrazioni, fermi restando i vincoli finanziari previsti dalla normativa vigente e fatti salvi gli accordi decentrati eventualmente già sottoscritti, a prorogare i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato in essere al 30 novembre 2012, che superino il limite di 36 mesi comprensivi di proroghe e rinnovi (o il diverso termine previsto dai contratti collettivi nazionali di comparto), fino al 31 luglio 2013, previo accordo decentrato con le organizzazioni sindacali. Al fine di garantire un percorso di stabilizzazione, la norma ha altresì stabilizzato la previsione normativa (per l’innanzi limitata al biennio 2011-2012, ai sensi dell’articolo 17, commi 11-13, del D.L. 78/2009) in base alla quale le P.A. possono prevedere, nei bandi concorsuali per le assunzioni a tempo indeterminato, una riserva di posti (nel limite del 40%) a favore di titolari di rapporti di lavoro a termine con la P.A. che abbiano maturato almeno tre anni di servizio.