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Le elezioni presidenziali in Iran - Risultati

Lo scenario pre-elettorale

Dal punto di vista economico, la situazione dell'Iran nell'imminenza delle elezioni presentava elementi di particolare delicatezza: pur non essendo ancora la Repubblica islamica in fase tecnicamente recessiva, sembra tuttavia che i dati del 2009 mostreranno una sostanziale stabilità del PIL, laddove – negli ultimi otto anni – il PIL era invece cresciuto alla notevole media annuale del 5,8%, pressoché esclusivamente in ragione degli alti prezzi dei prodotti petroliferi. Alla sostanziale stagnazione produttiva del paese corrisponde un fenomeno peraltro cronico nell'economia iraniana, ovvero un tasso di inflazione elevato, che attualmente oscilla intorno al 20%, con le comprensibili indesiderate conseguenze sui prezzi dei beni di prima necessità e soprattutto su quelli immobiliari. Nel caso specifico dell'Iran, poi, queste dinamiche macroeconomiche sono state ulteriormente aggravate dall'impianto largamente statalistico e assistenziale dell'economia, come ad esempio emerge dall’ampiezza dei sussidi statali a produttori di beni di largo consumo come il pane o la benzina, erogati allo scopo di contenere a fini sociali i prezzi di tali beni.

La recente decisa riduzione dei prezzi internazionali dei prodotti petroliferi ha reso estremamente onerosa per lo Stato iraniano la prosecuzione dell'erogazione dei sussidi su vasta scala, i quali poi, come effetti collaterali, hanno prodotto un abbassamento del livello di produttività complessivo in ragione della mancata concorrenza, e un fortissimo aumento del livello di consumo dei prodotti oggetto di sussidi.

In tale contesto la politica economica del presidente Ahmadinejad sembra aver privilegiato maggiormente il patto con i ceti sociali che lo avevano condotto alla vittoria elettorale del 2005, rispetto alle ricette degli economisti: infatti, se il mancato innalzamento dei tassi di interesse nel momento di massimo afflusso di capitali dai proventi petroliferi ha contribuito all'innalzamento dell'inflazione e dei valori immobiliari, un comportamento contrario avrebbe certamente scontentato larghe porzioni della società iraniana, cui era stata esplicitamente promessa una cospicua partecipazione sul proventi del petrolio - peraltro, nei mesi più recenti, nettamente in calo. Nell'ottica delle elezioni presidenziali, le politiche di Ahmadinejad sono state pesantemente criticate sia dal candidato conservatore Rezaei che da quello riformista Mousavi, più propensi a istanze di liberalizzazione, mentre l'altro candidato riformista Karroubi è apparso difficilmente distinguibile dalle posizioni (almeno sul piano delle ricette di politica economica) del presidente in carica. Sta di fatto che nell'economia iraniana il concetto di liberalizzazione si presenta come estremamente problematico sia per fattori costituzionali - in base ai quali esiste un solo settore, dei tre in cui è suddivisa l'economia, in cui è consentito l'accesso ai capitali privati, e tale settore non riguarda le imprese di carattere strategico né quelle di carattere cooperativo -, sia per fattori tradizionali, dati dalla scarsa dimestichezza di larga parte degli iraniani con i concetti e con la pratica stessa dell'economia di mercato, che invece spesso viene identificata con il clientelismo e la corruzione, in ragione della effettiva conduzione dei pochi esperimenti passati, quando spesso le aziende privatizzate sono divenute appannaggio di personaggi privilegiati dell'entourage del potere.

Nell'imminenza della consultazione si è finalmente chiarito il quadro delle candidature, che ha visto opporsi due candidati conservatori e due candidati riformatori.

Tra i conservatori la candidatura di spicco è stata senza dubbio quella del presidente uscente Ahmadinejad, che tuttavia solo all'inizio di maggio ha ufficializzato la propria posizione, probabilmente allo scopo di evitare una lunga campagna elettorale nella quale anche da parte conservatrice potessero emergere critiche al presidente in carica, soprattutto con riguardo alla sua politica economica. La strategia privilegiata sembra aver avuto successo, in quanto i principali potenziali sfidanti del campo conservatore come il sindaco di Teheran Qalibaf e il presidente del parlamento Larijani non hanno neanche presentato le proprie candidature

Chi invece ha deciso di accettare la sfida del presidente è stato Rezaei, anch'egli proveniente dal corpo dei Pasdaran, e in seguito divenuto stretto collaboratore dell'Ayatollah Khamenei: in seguito, Rezaei ha assunto la segreteria del Consiglio di discernimento - un organismo con competenze di risoluzione delle controversie tra gli organi dello Stato. Se le chances di vittoria di Rezaei sono subito apparse pressoché nulle, non va dimenticato che egli appare vicino alla Guida Suprema Khamenei, ma con buone relazioni anche con il potente e talvolta ambiguo ex capo dello Stato Rafsanjani. Nel complesso gioco istituzionale che determina gli equilibri politici in Iran, è stato probabilmente proprio per accontentare la Guida Suprema Khamenei che Rezaei ha presentato la propria candidatura, magari per evitare una vittoria troppo rotonda di Ahmadinejad al primo turno e costringerlo al ballottaggio.

Il fronte riformista si è presentato alle presidenziali con due candidature ben distinte ed entrambi credibili, e quindi sostanzialmente diviso. L'unico candidato di provenienza religiosa, Karroubi, ha ricoperto in passato in due occasioni la carica di presidente del parlamento, mentre l'altro candidato, Mousavi, non può vantare cariche istituzionali recenti, anche se è stato primo ministro della Repubblica islamica fra il 1981 e il 1989 (durante la fase della guerra contro l’Iraq). Entrambi i candidati hanno duramente criticato la politica economica di Ahmadinejad, ma, come già accennato, il solo Mousavi è sembrato prospettare una difficile alternativa di liberalizzazione. Sulla figura di Mousavi ha puntato molto l'ex presidente riformista Khatami, che in febbraio aveva peraltro annunciato la propria diretta partecipazione alle presidenziali, ritirando poi la candidatura. L'appoggio di Khatami ha fatto comunque presagire una maggiore forza della candidatura di Mousavi, e lo stesso Khatami non ha mancato di invitare più volte Karroubi al ritiro.

La comprensione dell'articolazione delle candidature in vista delle elezioni presidenziali necessita di alcune ulteriori precisazioni in merito allo scenario politico istituzionale della Repubblica islamica, a partire dal ruolo della Guida suprema, l'ayatollah Khamenei: questi, pur privo di un rapporto diretto con la popolazione, su cui invece ha puntato e punta moltissimo Ahmadinejad, gode delle più importanti prerogative costituzionali, e manovra una grande quantità di risorse finanziarie facenti capo alle fondazioni caritatevoli, come la Fondazione dei Martiri o quella degli Oppressi. Il rapporto della Guida Suprema con il potere politico di volta in volta emergente si ispira conseguentemente da un lato a evitare un proprio eccessivo coinvolgimento nella dialettica politica, esaltando invece il ruolo di garante del sistema; e dall'altro nella funzione di limitazione di ogni eccesso di potere nelle mani di uno o dell'altro degli attori politici. Comunque, nell'imminenza delle elezioni, è emersa abbastanza chiaramente la preferenza di Khamenei per il presidente in carica, nonostante alcuni screzi dei mesi precedenti.

Per quanto riguarda invece l'ayatollah Rafsanjani, siamo in presenza di una figura al tempo stesso molto potente e molto defilata, che dopo la sconfitta nelle elezioni presidenziali del 2005 ha saputo mantenere buona parte del proprio potere tramite la presidenza del Consiglio di discernimento e quella dell'Assemblea degli esperti. Nonostante alcune politiche tecnocratiche messe in opera quando (1989-1997) ricopriva la carica di presidente della Repubblica islamica, Rafsanjani non si è apertamente schierato con il riformismo di Mousavi, preferendo probabilmente continuare a giocare il ruolo di punto di equilibrio e di collegamento tra i due schieramenti principali.

Va infine ricordato il forte ruolo propulsivo di Mohammed Khatami nella formazione e nel sostegno della candidatura di Mousavi, che non ha peraltro potuto impedire la divisione del fronte riformista, in parallelo con la divisione che la figura stessa di Khatami provoca sulla scena politica tra chi ancora lo sostiene con grande fervore e chi invece si mostra deluso dal suo operato come presidente della Repubblica (dal 1997 al 2005). In ogni caso, Khatami sembra aver legato in modo pressoché indissolubile il proprio successo politico a quello di Mousavi, mettendo evidentemente in conto anche i riflessi negativi di una sconfitta di quest'ultimo.

I risultati elettorali e le reazioni internazionali e interne

Le elezioni del 12 giugno 2009 si sono risolte in una netta affermazione di Ahmadinejad: su un totale di votanti di oltre 39 milioni, pari a un’affluenza dell’84,7 per cento, il presidente uscente ha ottenuto il 62,6 per cento delle preferenze, quasi il doppio dell’avversario principale – Mousavi -, cui sono andati il 33,7 per cento dei suffragi. Assolutamente trascurabili i risultati degli altri due candidati: particolarmente deludente la performance di Karroubi (0,85%), mentre il candidato conservatore Rezaei ha ottenuto appena l’1,73 per cento dei voti.

I dati ufficiali di cui sopra sono stati immediatamente oggetto di dura contestazione da parte dei sostenitori di Mousavi, che hanno accusato il governo di aver dato vita a pesanti brogli elettorali: la protesta si è ben presto trasferita nelle piazze dell’intera capitale, ove si sono susseguiti scontri tra i reparti antisommossa dei Pasdaran e migliaia di giovani appartenenti al fronte riformista. La preoccupazione delle autorità per la situazione di tensione risulta anche dall’interruzione delle comunicazioni telefoniche mobili, dopo che nei giorni precedenti era stata disabilitata la funzione di invio di SMS: cionondimeno, le scene degli scontri a Teheran hanno ugualmente fatto il giro del mondo, grazie all’enorme potenza della rete Internet.

Lo stesso Mousavi ha subito dato a intendere di non voler assolutamente accettare il verdetto elettorale ufficiale, e si è appellato alla Guida Suprema Khamenei, ricevendone però inizialmente solo un richiamo alla calma e alla presa d’atto della sconfitta. Il 14 giugno Mousavi ha presentato al Consiglio dei Guardiani della Costituzione, supremo organo giurisdizionale in materia costituzionale ed elettorale, richiesta di annullamento della consultazione elettorale appena svoltasi. Nelle stesse ore, tuttavia, a Mousavi è stato di fatto impedito qualsiasi contatto con esponenti politici riformisti, le cui file sono state peraltro falcidiate da una serie di arresti. Anche il giornale di riferimento di Mousavi è stato chiuso, mentre è stato interdetto l’accesso a “youtube”.

L’atteggiamento di Mousavi è riuscito comunque a insinuare nella Comunità internazionali pesanti riserve sulla regolarità delle elezioni iraniane: gli Stati Uniti, ad esempio, hanno preso in considerazione le accuse del fronte riformista, attenendosi a una grande prudenza – anche se non hanno mancato di rinnovare gli auspici di una ripresa di collaborazione con l’Iran. In Israele la reazione è stata di presa d’atto dell’illusorietà di ogni prospettiva di dialogo con l’Iran, sulla scorta della riconferma dell’oltranzista Ahmadinejad: evidente il collegamento critico con le prospettive aperte dal nuovo approccio di Obama verso Teheran [1]. Nel fronte arabo, nonostante i formali complimenti del segretario della Lega araba Amr Moussa ad Ahmadinejad, sono emerse posizioni variegate, tra le quali mette conto ricordare la preoccupazione di alcuni analisti per la ricomparsa di una facciata aggressiva del potere a Teheran. Questa tendenza – aggravata dalla maggiore esposizione della stessa Guida Suprema, oggi apertamente schierata con Ahmadinejad – potrebbe dissolvere definitivamente ogni residua possibilità di instaurare un rapporto normalizzato con i paesi occidentali.

La reazione italiana non ha nascosto grande preoccupazione per le violenza divampate dopo la proclamazione dei risultati elettorali. In una nota del Ministero degli Affari esteri si è auspicata la cessazione degli scontri, contestualmente all’’accertamento della piena regolarità delle elezioni. La preoccupazione italiana è legata anche all’invito già rivolto all’Iran di partecipare al G8/Esteri di fine giugno a Trieste, ove ci si augura di coinvolgere l’Iran in un serio progetto di stabilizzazione del conflitto afghano.

Anche i capi delle diplomazie francese e tedesca hanno criticato la brutalità delle forze di sicurezza iraniane contro i manifestanti.

La prosecuzione dei disordini ha provocato l’annullamento della prevista visita di Ahmadinejad in Russia, mentre la Guida Suprema, nell’esortare Mousavi a perseguire con calma le vie legali per le proprie rimostranze, ha attribuito a forze ostili e occulte la regia dei tumulti.

Si ricorda, infine, che anche il candidato conservatore Rezaei ha presentato un ricorso in merito alla regolarità del voto.

 

 

 


  • [1] Si ricorda che il Presidente degli Stati Uniti aveva recentemente lanciato messaggi distensivi al popolo iraniano in occasione della festività del Capodanno in Iran, e, ancora, in occasione del discorso pronunciato durante la visita al Cairo. Tale apertura di credito ha fatto immaginare, a molti commentatori, scenari positivi in merito a un possibile nuovo ruolo internazionale di Teheran. Non va tuttavia dimenticato che la reazione dei vertici del potere iraniano alle aperture di Obama è stata invece molto cauta, e che addirittura comportamenti opposti rispetto a quelli attesi si sono affacciati: basta ricordare il recente lancio di un missile a lunga gittata, capace di raggiungere anche il territorio israeliano, che ha prodotto tra l'altro l'annullamento della prevista visita del ministro degli esteri italiano Frattini in Iran.