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L'evoluzione del quadro politico in Iraq

Tra gli elementi che caratterizzano la situazione irachena di questi ultimi mesi va anzitutto considerato che il 17 novembre 2008 l'Amministrazione statunitense il governo di Baghdad hanno firmato due accordi bilaterali destinati a regolare i rapporti di sicurezza tra i due paesi già a partire dall'inizio di quest’anno. Mentre il secondo accordo, sul quale non vi sono dei dettagli sufficienti, sarebbe un accordo quadro strategico per disciplinare le relazioni economiche, commerciali, scientifiche, tecnologiche, culturali e sanitarie tra i due paesi; il primo dei due accordi è importante anzitutto perché prevede un preciso calendario per il ripristino della piena sovranità irachena e il ritiro del forze armate statunitensi dall’ Iraq entro il 2011.

L'accordo in questione, dal punto di vista tecnico, è un accordo sullo status delle forze (SOFA), abbastanza simile a numerosi altri accordi stipulati dagli Stati Uniti con vari paesi, ad esempio con i membri della NATO - si stima che siano in tutto il mondo tra 80 e 115, molti dei quali tuttora segreti.

Per quanto concerne in particolare il ritiro delle forze statunitensi, esso prevede che entro il 30 giugno 2009 le forze da combattimento si ritirino dai centri abitati nelle proprie basi, mentre entro il 31 dicembre 2011 sarà completato il ritiro completo dal paese, nel quale non vi dovranno essere basi militari statunitensi permanenti. Il completo ritiro entro il 2011 include anche la componente civile della presenza statunitense. Si tenga presente che giuridicamente il recupero del pieno controllo della sovranità sul territorio iracheno è già avvenuto dal 1° gennaio 2009, e che la presenza statunitense fino alla fine del 2011 è resa possibile solo dall'autorizzazione fornita dallo stesso governo iracheno.

Naturalmente, il raggiungimento dell'accordo sul ritiro delle forze statunitensi è stato possibile per il netto miglioramento della situazione della sicurezza in Iraq nel 2008, tant'è vero che attualmente ben 13 delle 18 province sono ritornate formalmente sotto l'esclusivo controllo delle forze di sicurezza irachene.

Più in generale, la definizione del calendario per il ritiro statunitense sembra presupporre il pieno ritorno dell’Iraq nel seno della Comunità internazionale, e la fine dello status in qualche modo eccezionale del paese iniziato con l'invasione del Kuwait nell'estate del 1990. Solo in questo modo, del resto, è spiegabile l'accettazione da parte delle Nazioni Unite della richiesta irachena di non rinnovare, in base al Capitolo VII della Carta dell'ONU, il mandato di autorizzazione della presenza internazionale in Iraq. A conferma di tutto ciò, si tenga presente che il governo iracheno, in funzione del livello di ristabilimento della sicurezza nel paese, potrebbe anche richiedere un anticipo nel ritiro completo delle forze statunitensi rispetto alla data del 31 dicembre 2011. Viene quindi di fatto a configurarsi una limitazione temporanea della giurisdizione irachena sulle forze statunitensi, che però non potrà protrarsi oltre il 2011: nel frattempo gli Stati Uniti manterranno piena giurisdizione sulle proprie forze nel paese ma, solo all'interno delle “installazioni ed aree concordate”. Inoltre gli Stati Uniti manterranno la giurisdizione sui propri dipendenti militari e civili in Iraq, con l'eccezione di gravi reati compiuti da uno di essi non in servizio - ma anche in questo caso gli Stati Uniti si riservano il diritto di detenere l'accusato.

Per quanto concerne comunque il futuro ruolo degli Stati Uniti nei confronti dell'Iraq, è previsto l'impegno americano, sempre su richiesta delle autorità di Baghdad, di continuare a proteggere la sicurezza interna ed esterna dell’Iraq finanche con strumenti militari, anche se, come si è accennato, gli Stati Uniti non dovrebbero più mantenere basi militari nel paese. La questione è delicata soprattutto per quanto concerne i futuri rapporti dell'Iraq con l'Iran e la Siria, e l'accordo con gli Stati Uniti non a caso prevede che l'intero territorio iracheno non venga usato come base di attacco o di transito per un'azione militare contro i paesi limitrofi. Sarà tuttavia la concreta applicazione dell'accordo di sicurezza iracheno-statunitense a delineare l'effettivo ruolo militare di Washington in Iraq.

Non vi è però alcun dubbio sulla correlazione tra le prospettive di successo nell'applicazione dell'accordo di sicurezza tra Stati Uniti e Iraq ed un primo fattore essenziale, ovvero il progredire delle capacità delle forze di sicurezza irachene nell'acquisire il pieno controllo della situazione del proprio paese. A tal fine appare determinante la strategia sia delle milizie sciite sia di quelle sannite, non integrate nelle forze nazionali di sicurezza, con riferimento al periodo successivo alla fine dell'occupazione statunitense. Va al proposito ricordato che diversi atteggiamenti delle milizie non regolari hanno senz'altro favorito il miglioramento sensibile della situazione della sicurezza: si ricorda anzitutto la tregua annunciata e poi attuata dalla milizia sciita fedele a Moqtada al Sadr, ma anche la decisione dei principali capi tribali e gruppi ribelli sunniti di abbandonare l'insurrezione, schierandosi invece con le forze multinazionali e le forze di sicurezza irachene. Non va naturalmente dimenticata la nuova strategia portata avanti dal generale americano Petraeus, con il deciso rafforzamento del contingente militare statunitense nel 2007, parallelamente al potenziamento delle capacità aggressive dell'intelligence USA.

Naturalmente gli Stati Uniti potranno influenzare decisivamente sia l'attuazione dell'accordo di sicurezza, sia più in generale le condizioni del nuovo assetto iracheno: in proposito saranno certamente determinanti i nuovi indirizzi della Casa Bianca dopo la vittoria di Obama, ma anche, in ragione della gravissima crisi finanziaria degli USA, le valutazioni sulla sostenibilità di un elevato livello di impegno del paese nei confronti dell’Iraq.

 

Lo scenario del 2009 in Iraq vede ancora segnali contraddittori: il passaggio della cosiddetta “zona verde” di Baghdad, in cui sono concentrate tutte le principali istituzioni del paese, sotto il controllo delle forze irachene, come pure del controllo sul secondo aeroporto nazionale, quello di Bassora (1° gennaio 2009), ha segnato senza dubbio un ulteriore punto positivo - si ricorda tuttavia che fino al mese di settembre 2009 vi saranno anche ufficiali americani ad assistere l'attività delle forze irachene, come pure ridotti contingenti ugandesi e peruviani. Già il 2 gennaio, tuttavia, un attentato suicida compiuto a sud della capitale ha provocato la morte di 23 persone in occasione di un pranzo di capi tribali sciiti che si recavano alle annuali celebrazioni dell’Ashura. Un ulteriore segnale di normalizzazione della vita irachena è stata il 5 gennaio l'inaugurazione della nuova ambasciata americana, a seguito della quale è stato abbandonato il palazzo già residenza di Saddam Hussein: va registrato che il nuovo complesso costituisce la più grande rappresentanza diplomatica statunitense nel mondo, articolata su una ventina di edifici per una superficie di oltre 400.000 m².

Il 31 gennaio 2009 si sono svolte in Iraq le elezioni provinciali, con la partecipazione di oltre 14.000 candidati - tra cui quasi 4000 donne - esponenti di più di 400 partiti, gruppi o movimenti politici. La consultazione riguardato ha 14 delle 18 province dell'Iraq, con esclusione delle tre province autonome curde e della provincia in cui si trova la città di Kirkuk, oggetto di una difficile trattativa fra i diversi gruppi del paese.

Le elezioni hanno visto una notevole vittoria del partito che fa capo al premier al Maliki, i cui seguaci avevano presentato una lista improntata a un carattere laico e denominata “Per lo stato di diritto”. Il partito del premier si è aggiudicato il controllo di 9 province, a fronte di un netto ridimensionamento dei partiti religiosi, e anzitutto di quello che fa capo ad al Hakim, alleato di  Maliki nella compagine di governo. Tra i partiti di ispirazione sciita hanno parimenti registrato una sconfitta, anche se di minori proporzioni, quelli sostenuti dalla corrente di Moqtada al Sadr. Per quanto concerne i sunniti, essi hanno  invece riportato buoni risultati sia nella provincia di Ninive, limitrofa alla zona curda settentrionale, sia nei governatorati di Diyala (nord-est) e di Al-Anbar (ovest). Non va dimenticato tuttavia che proprio il 5 febbraio, giorno in cui sono stati resi noti i risultati preliminari della consultazione relativi al 90% delle schede, si è verificato un attentato suicida compiuto da una donna in una cittadina a circa 200 km. nord-est di Baghdad, che ha provocato 15 morti, mentre il 13 febbraio un'altra donna kamikaze ha colpito pellegrini sciiti facendone strage (35 morti e circa 70 feriti). Va comunque ricordato che il mese di gennaio 2009 ha registrato il più basso numero di vittime di attentati dall'invasione dell’Iraq del 2003.

Il rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite in Iraq, De Mistura, ha sostenuto che il costante ricorso di al Qaeda ad attentatori suicidi donne, bambini e persino portatori di handicap sarebbe una dimostrazione di grave debolezza e di mancanza di alternative, per di più in un contesto in cui gli attentati non scatenano come in passato ritorsioni tra le diverse comunità, e quindi falliscono il loro obiettivo di dividere e destabilizzare il paese.

Va infine considerato un nodo politico ed economico di primaria importanza che caratterizzerà i prossimi mesi in Iraq, ossia la prevista approvazione di una regolamentazione sulla gestione delle risorse petrolifere del paese: va infatti ricordato che tale argomento costituisce potenzialmente un fattore dirompente della compagine nazionale proprio in quanto le risorse petrolifere non sono dislocate omogeneamente nel paese, ma prevalentemente nel Nord curdo e nel sud sciita; in assenza di un’accorta regolamentazione di legge il loro sfruttamento taglierebbe fuori quasi del tutto dai relativi proventi i gruppi sunniti prevalenti nella zona centrale dell'Iraq.

La stessa prima ricordata questione di Kirkuk è legata alla presenza in loco del secondo giacimento dell'Iraq, e la rivendicata incorporazione della città nella zona autonoma curda sarebbe di per sé suscettibile di garantire l'autonomia economica della regione. Alla preferenza dei curdi per la tenuta di un referendum si contrappone la proposta di rappresentanti arabi, sunniti e turcomanni di Kirkuk per un accordo di condivisione dei poteri di governo della città. Una recente legge, approvata all'unanimità dal Parlamento di Baghdad, ha stabilito che una Commissione, in cui sono rappresentati tutti i gruppi coinvolti nella contesa, presenti propri suggerimenti entro i primi tre mesi del 2009.