Dal 2008 la situazione in Afghanistan è connotata da un ininterrotto peggioramento del quadro della sicurezza, che ha visto una sempre più aggressiva azione della guerriglia talebana, la moltiplicazione di attentati e scontri e l’aumento del numero delle vittime. La situazione si è ulteriormente deteriorata, nonostante la crescente presenza militare internazionale, nei primi cinque mesi del 2009, quando è stato rilevato un incremento del 60% rispetto all’anno precedente degli attacchi alle truppe straniere e governative, soprattutto nello Helmand, il cuore della produzione di oppio, ma anche a Kandahar, Kunar e Khost, confinanti con il Pakistan . I primi dati complessivi relativi al 2009 indicano in oltre trecento militari statunitensi, circa cinquecento internazionali e oltre mille afghani addetti alla sicurezza i soggetti che hanno perso la vita nel paese nel corso dell’anno.
Il complesso delle forze antigovernative - un coacervo più ampio della sola rete dei talebani – non solo ha consolidato il proprio controllo nelle aree pashtun al sud e al sud-est ma ha anche destabilizzato aree un tempo tranquille, a nord e a ovest del paese.
Nella comunità internazionale, negli ultimi anni, si è andata sempre più consolidando la convinzione che per fare fronte alle criticità del quadro afghano non è sufficiente il solo intervento militare, peraltro indispensabile per il mantenimento delle condizioni di sicurezza, ma risulta necessario un approccio globale al problema.
Sul versante statunitense, il comprehensive approach alla questione afghano-pakistana postula la distruzione di Al Qaeda in Afghanistan e in Pakistan e punta a stabilizzare l’area da un lato incrementando la presenza militare in Afghanistan e intensificando le azioni contro gli insorgenti e, dall’altro, fornendo un maggior sostegno organizzativo e finanziario alla crescita civile dei due paesi.
Quanto alla NATO, il concetto di comprehensive approach, già promosso dalla Nato nel 2008, è stato ribadito dall’Alleanza atlantica nel Vertice di Strasburgo-Kehl (3-4 aprile 2009), dove i paesi membri hanno deciso, tra l’altro, di sostenere il rafforzamento delle istituzioni afghane inviando ulteriore personale militare e civile all’interno di nuove missioni istituite nell’ambito della missione ISAF.
Il 20 agosto 2009 in Afghanistan, in un contesto contrassegnato, nelle settimane precedenti il voto, da un’escalation di azioni violente, si sono svolte le elezioni presidenziali e quelle per il rinnovo dei 34 consigli provinciali . I sondaggi pre-elettorali davano per favorito il presidente in carica Hamid Karzai, il leader pashtun già a capo del governo interinale e poi di quello provvisorio, confermato alla presidenza dal voto del 2004 .
Il lunghissimo spoglio delle schede elettorali, nel corso del quale si era andata sempre più chiaramente profilando la riconferma di Karzai al primo turno (per la quale era necessario il 50% più uno dei voti) è terminato il 17 settembre 2009, quando la Commissione elettorale indipendente afghana (IEC) ha reso pubblico l’esito dello scrutinio della totalità dei seggi, che assegnava al presidente uscente Hamid Karzai il 54,6% dei voti (3.093.256 in cifra assoluta), all’ex ministro degli esteri Abdullah Abdullah il 27,8% (1.571.581 voti) e a Ramazan Bashardost il 9,19% (520.627 voti). Ha votato il 38,7% degli afghani per un totale di 5.662.758 voti validi.
La diffusione di risultati dai quali discendeva la riconferma di Karzai al primo turno non rappresentava, tuttavia, la proclamazione ufficiale del vincitore in quanto, nel frattempo, era stato avviato il riconteggio dei voti in molti seggi a seguito di denunce di brogli, episodi di intimidazione e irregolarità da parte dei principali contendenti, sostenute anche da dichiarazioni degli osservatori dell’Unione europea.
In data 8 settembre 2009, la ECC (Electoral Complaints Commission), organismo preposto all’esame dei ricorsi connessi al procedimento elettorale, riformata proprio in vista delle presidenziali del 2009 aveva reso noto di aver trovato prove convincenti di brogli nelle elezioni presidenziali. La ECC aveva pertanto ordinato il riconteggio del 10% dei voti, riguardante circa 2.500 seggi, individuati sulla base di precisi criteri . La schermaglia sulle delicatissime conseguenze dell’esito del riconteggio dei voti ha visto coinvolti attori interni e internazionali e anche l’individuazione di una metodologia condivisa - un controllo a campione delle schede sospette - è stata frutto di negoziazione tra i due organismi preposti al controllo del processo elettorale in Afghanistan, ECC e IEC.
Come è noto, il risultato del nuovo conteggio aveva attribuito a Karzai una percentuale di preferenze inferiore alla maggioranza assoluta, rendendo necessario il turno elettorale di ballottaggio tra i due più forti contendenti, Hamid Karzai e Abdullah Abdullah, faticosamente deciso per il 7 novembre 2009. Tuttavia, dopo la decisione di Abdullah di ritirarsi dalla competizione, il 2 novembre la Commissione elettorale indipendente afghana proclamava Hamid Karzai vincitore delle elezioni del 20 agosto.
La prima reazione del mondo talebano alla conclusione della vicenda elettorale veniva diffusa il 3 novembre con un comunicato in cui, chiedendo alla nazione afghana di restare ''unita contro i nemici e la cospirazione'' e di lottare per la realizzazione di un governo islamico, i talebani affermavano che ogni decisione sull’esito delle elezioni era stata presa a Washington per essere poi solo riportata in Afghanistan. E proprio al mondo talebano si è rivolto Karzai nel suo primo appello dopo la rielezione, al quale ha chiesto la deposizione delle armi e la partecipazione al processo di pace nel paese.
Il tema centrale per tutta la comunità internazionale della lotta alla corruzione e quindi della credibilità di Karzai ha fatto da sfondo a momenti di attrito tra le autorità di Kabul e le Nazioni Unite e si è ripresentato successivamente alla rielezione di Karzai. Il 7 novembre 2009 il governo afghano aveva accusato il rappresentante Onu a Kabul, Kai Eide, di non aver agito ''come una autorità internazionale imparziale'' e di aver infranto “norme internazionalmente accettabili” avendo invitato Karzai a condurre “una vigorosa azione contro la corruzione”, pena la perdita del sostegno internazionale. Due giorni dopo l’Assemblea generale ha approvato all’unanimità una risoluzione non vincolante che, tra il resto, oltre a ribadire l’impegno delle Nazioni Unite nella ricostruzione dell'Afghanistan e nella lotta ai talebani , chiede a Karzai di “stabilire un’amministrazione più efficace, onesta e trasparente, a livello locale, provinciale e nazionale, nella lotta contro la corruzione”.
In quegli stessi giorni, a Kabul, il ministro dell'Interno afghano, Hanif Atmar, durante una conferenza in cui è apparso affiancato da alti ufficiali afghani, americani e britannici ha annunciato l’intenzione di costituire un’unità di polizia dedicata ad investigare sulla corruzione e a combattere un fenomeno diffuso tra i dirigenti di alto livello.
Nel discorso pronunciato durante la cerimonia di insediamento, svoltasi il 19 novembre 2009 nel palazzo presidenziale di Kabul, Karzai, come sottolineato da diversi osservatori, ha mostrato di aver recepito, almeno nelle intenzioni, rilievi e critiche della comunità internazionale per il sostanziale fallimento della sua precedente gestione. Il presidente ha presentato un programma di governo per il prossimo quinquennio fitto di impegni e basato sul principio che “è un fatto riconosciuto che la sicurezza e la pace in Afghanistan non possono essere ottenute con la violenza e i combattimenti'', da cui deriva che “una politica di riconciliazione nazionale” è tra le priorità del futuro esecutivo.
Il presidente ha rivolto un invito a cooperare per la riconciliazione del paese a tutti i candidati delle presidenziali, e in particolare “a mio fratello Abdullah Abdullah” (che peraltro ha respinto a stretto giro l’invito, sostenendo che la proclamazione della vittoria di Karzai è illegittima). Tra gli obiettivi del suo mandato Karzai ha indicato il miglioramento delle relazioni con gli Usa, dei quali ha riconosciuto “i grandi sacrifici in vite umane e risorse” e la progressiva assunzione di responsabilità da parte afghana per la sicurezza del paese che “permetterà nei prossimi 5 anni il progressivo disimpegno delle forze internazionali”. In tema di buon governo e lotta alla corruzione Karzai, riconosciuta la necessità di “una lotta senza quartiere a questo fenomeno” si è impegnato a scegliere con attenzione persone dal profilo adeguato per mettere fine “alla cultura dell'impunita' e della violazione delle leggi”.
I segnali di buona volontà, particolarmente forti nell’ammissione che il fenomeno della corruzione in Afghanistan ha raggiunto livelli impressionanti, hanno provocato reazioni positive negli ambienti diplomatici internazionali.
Gli analisti hanno sottolineato che il successo di Karzai nella transizione verso la piena sovranità dell'Afghanistan dipenderà dalla capacità del capo dello Stato di ampliare il proprio consenso politico, aprendo il governo a quei settori che il presidente afghano ha definito “compatrioti insoddisfatti che non sono direttamente legati al terrorismo” e che al momento collaborano con i talebani. Altro elemento ritenuto suscettibile di accelerare la distensione e permettere un progressivo disimpegno occidentale è lo sviluppo di una cooperazione regionale, con il Pakistan, ma con India, Iran e con paesi arabi e islamici.
Gli osservatori hanno sottolineato che l'ipotesi dell'apertura di un dialogo con la componente talebana che accetti una qualche misura di condivisione del potere in cambio dell'abbandono delle armi è il fatto politicamente nuovo del secondo mandato di Karzai. L’ipotesi del dialogo con i talebani moderati, sostenuta anche dal presidente americano Barak Obama in un’intervista rilasciata nel marzo 2009 al New York Times e che da allora fa da sfondo all’attività dei protagonisti della politica estera Usa, è continuamente richiamata da Karzai; a tale scopo il presidente ha annunciato a più riprese il progetto di invitare alcuni leader talebani a partecipare a una Loya Jirga, il gran consiglio di capi tribali, per arrivare a una riconciliazione con i ribelli; da ultimo, fonti afghane hanno indicato come data plausibile un momento successivo alla Conferenza internazionale sull’Afghanistan in programma il 28 gennaio a Londra. SI sottolinea da parte di molti analisti come Karzai mantenga tale linea di apertura sul delicato tema della riconciliazione nazionale dell’Afghanistan nonostante il persistente atteggiamento oppositivo delle organizzazioni talebane, che subordinano ogni ipotesi di contatto al ritiro incondizionato delle truppe Nato e Isaf.
Nel tentativo di agevolare un dialogo partito totalmente in salita Karzai ha auspicato la rimozione dei nomi di alcuni leader talebani dalla “lista nera” del Consiglio di sicurezza dell'Onu, come ha riferito l’agenzia di stampa afghana Pajhwok il 25 novembre 2009 con riferimento ai nomi del mullah Mohammad Omar (che ha esplicitamente rifiutato l’offerta di dialogo formulata da Karzai) e del capo del movimento Hezb-i-Islami, Gulbadin Hekmatyar. Significativamente, il 17 dicembre 2009 il Consiglio di sicurezza ha approvato la creazione di una nuova figura di ombudsman incaricato di valutare le richieste di eliminazione dalla black list di specifici individui.
Intanto il processo di costituzione del nuovo governo afghano appare alquanto difficoltoso. Sottoposto a pressioni interne e internazionali per la scelta di persone dai curricula irreprensibili e costretto a tenere conto delle indicazioni degli alleati locali che gli hanno consentito la riconferma della leadership in occasione delle elezioni, Karzai ha reiterato per ben tre volte al Parlamento la richiesta di rinviare l’adempimento costituzionale consistente nell’approvazione dei 25 ministri proposti dal presidente. Ciò ha prodotto l’irritazione della presidenza della Camera bassa, giunta a minacciare comunque la chiusura dei lavori parlamentari per la prevista pausa invernale anche senza aver proceduto all’approvazione di ministri. Va sottolineato che alla vigilia dell’ultima richiesta di proroga i parlamentari afghani avevano ricevuto dal procuratore della repubblica, Abdul Jabbar Sabit intervenuto a una seduta a porte chiuse, un elenco di nomi di ministri, ex ministri ed altre personalità con problemi giudiziari.
La lista di ministri finalmente presentata dal presidente Karzai il 19 dicembre 2009 ha smentito quegli analisti che ne avevano interpretato la lunga gestazione come segnale della formazione di una squadra di rottura con il passato: dei 23 ministri allora indicati – mancava, tra l’altro, il titolare degli esteri - ben 12 erano già presenti nel precedente governo, oggetto di critiche per corruzione, mentre 11, tra i quali alcuni tecnocrati, erano volti nuovi. Il dibattito e il voto parlamentare, svoltisi il 2 gennaio 2010, hanno comportato l’approvazione di solo 7 dei ministri (a quel punto saliti a 24, sempre in assenza di indicazioni sul titolare degli esteri) proposti da Karzai e la bocciatura di ben 17 candidati. Il Parlamento ha approvato la nomina dei titolari dei dicasteri chiave della Difesa, Abdul Rahim Wardak, e degli Interni, Mohammad Hanif Atmar, sostenuti dalla comunità internazionale e ha respinto, tra gli altri, l’unica donna indicata da Karzai, Hasan Banu Ghazanfar, destinata al ministero per le questioni femminili, Ismail Khan, uno dei capi della guerriglia anti-sovietica poi leader della guerra contro i talebani (riproposto al ministero dell'energia già occupato nel precedente governo) nonché la nomina di due strettissimi collaboratori del presidente Karzai, Sayed Mohammad Amin Fatimi (candidato alla Sanità) e Amirzai Sangin (candidato all'Informazione). Quanto al dicastero degli esteri, la scelta del titolare è stata differita a dopo la Conferenza di Londra prevista per il 28 gennaio 2010, cui parteciperà il ministro uscente Rangin Dadfar Spanta.
A seguito di tale situazione Karzai, che come rilevato dagli osservatori non vuole presentarsi a Londra con un governo incompleto, il 4 gennaio 2010 ha firmato un decreto di sospensione della consueta chiusura invernale del Parlamento per qualche settimana, e il 9 gennaio ha presentato una lista dei 17 ministri destinati a rimpiazzare le nomine respinte; si tratta di nomi nuovi in quanto, come sottolineato dal portavoce del Parlamento Hasseeb Noori, lo stesso candidato non può essere presentato due volte.
Si rammenta che, da ultimo, L’Afghanistan è stato incluso dagli Stati Uniti nella “lista nera” di 14 paesi i cui cittadini saranno sottoposti a controlli speciali prima di imbarcarsi sui voli diretti negli Usa, compilata dopo il fallito attentato sul volo Delta diretto a Detroit ad opera di un cittadino nigeriano. Contro tale decisione ha protestato l’ambasciatore afghano a Washington, Said Jawad che ha definito ''ingiusta'' la decisione che penalizza i cittadini afghani, spesso vittime del terrorismo.
Il 1° dicembre 2009, l’attesa nuova strategia per l’Afghanistan e il Pakistan è stata resa pubblica dal presidente degli Stati Uniti, Barak Obama in un discorso tenuto davanti ai cadetti dell’accademia militare di West Point. Il presidente ha annunciato l’invio di 30mila ulteriori soldati statunitensi, che saranno schierati sul fronte prima dell’estate 2010, e ha indicato il luglio 2011 come data di inizio di un graduale ritiro delle truppe Usa. Ai paesi alleati Obama ha chiesto di associarsi all’impegno americano. La nuova strategia statunitense si basa su due elementi, entrambi contrassegnati dal rilievo dato al fattore tempo: massiccio rafforzamento della presenza militare, come richiesto dai vertici militari, ma con tempi di dislocazione dei nuovi contingenti nel teatro di guerra più rapidi di quelli prefigurati dagli stessi militari, e con un’aspettativa di risultati (in definitiva, lo smantellamento di Al Qaeda) in tempi brevi; nuove pressioni sul governo dell’appena confermato presidente afghano Karzai, che è chiamato ad assolvere precisi compiti di sicurezza e stabilità – di cui Washington verificherà l’attuazione – a scadenze molto più ravvicinate rispetto ai cinque anni per il “progressivo disimpegno delle forze internazionali” indicato dal presidente afghano nel discorso di insediamento del 19 novembre 2009. Al Pakistan, che con l’Afghanistan costituisce - sottolinea l’amministrazione americana – un’unica partita nella battaglia contro al Qaeda, Obama, in una lettera inviata al presidente Asif Ali Zardari, ha offerto una partnership strategica allargata, fondata su una più ampia cooperazione economica e militare e una più decisa mediazione per la soluzione dei contrasti con l’India, ma che esige che Islamabad rinunci ad usare i gruppi estremisti per perseguire obiettivi politici.
A Karzai, in particolare, Obama ha chiesto impegni precisi, tra cui l'istituzione di tribunali anti-corruzione. Le forze Usa saranno affiancate da unità specifiche dell'esercito afghano in un nuovo sforzo (i tentativi in questo senso sono sino ad ora falliti) di trasformare le forze locali in una entità combattente autonoma. Il piano prevede la prospettiva di una presenza ridotta di truppe Usa in Afghanistan per anni a venire, sul modello di quanto avvenuto in altri paesi come Germania, Giappone, Corea del Sud e Bosnia.
I costi militari diretti della nuova strategia in Afghanistan sono stati calcolati dalla Casa Bianca in 25-30 miliardi nell'anno fiscale 2010 che si chiude il prossimo ottobre.
La new strategy americana per l’Afghanistan è il risultato di una riflessione interna all’Amministrazione e con gli alleati e di un dibattito negli Usa, dove l’opinione pubblica si era nettamente divisa sulla possibilità di inviare nuove truppe, durati tre mesi.
Quanto alla NATO, una nota di agenzia diramata da Bruxelles il 2 dicembre si legge che ''almeno 5.000 soldati in più in Afghanistan e, dopo questi, forse alcune altre migliaia extra'' saranno schierati dagli Alleati a fianco dei 30mila statunitensi, per imprimere un’accelerazione alla missione. Pur rammentando i diversi tempi di decisione dei singoli stati, il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen si è detto fiducioso - prosegue la nota – di avere almeno 5.000 soldati in più e, dopo questi, anche qualche altro migliaio extra” precisando che “saranno contributi aggiuntivi rispetto a quelli che erano già attesi per il 2010''. Tale numero corrisponde alle attese dell'amministrazione Usa, quantificate dal segretario alla difesa Robert Gates tra i cinque e i settemila uomini. Rasmussen ha ribadito che l’Alleanza non lascerà “nessuna provincia o distretto finché non saremo sicuri che le forze locali saranno in grado di farcela da sole'', ha affermato che è cruciale mantenere il carattere multilaterale della missione poiché “è in gioco l'equilibrio della Nato ed è importante che l'operazione in Afghanistan non sia percepita come una operazione solo americana''. Infine nella riunione dei ministri degli esteri dei paesi appartenenti ad ISAF, svoltasi in ambito NATO il 4 dicembre, i ministri partecipanti hanno espresso, come risulta dalla dichiarazione conclusiva, il loro appoggio alle decisioni statunitensi e hanno salutato con favore “l’intenzione di altri Stati appartenenti alla missione di incrementare la loro presenza militare o civile in Afghanistan”. Nel comunicato stampa emesso a conclusione della riunione (vedi www.nato.int) il contributo militare aggiuntivo a quello statunitense è stimato in circa 7000 unità per il 2010, con la possibilità di ulteriori incrementi.
Per quanto attiene al contingente italiano, il Ministro della difesa Ignazio La Russa nel corso di un’audizione svolta il 10 dicembre 2009 presso le commissioni riunite esteri e difesa della Camera e del Senato ha prospettato un incremento complessivo del contingente nazionale di 1.000 unità nel corso del 2010, precisando che la parte più consistente di tale incremento sarà realizzata nel secondo semestre; con il decreto-legge 1/2010 (A.C. 3097) di proroga delle missioni internazionali, del quale è in corso alla Camera l’esame della legge di conversione, è stato disposto l’incremento di 170 unità.