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Temi dell'attività Parlamentare

Energia geotermica

Storia della normativa geotermica in Italia

Nel 1927 fu varata la legge mineraria, basata sul principio che la disponibilità del sottosuolo dovesse essere svincolata da quella della superficie, e in cui per la ricerca e coltivazione mineraria era stabilito un regime concessorio, che consentiva le attività soltanto a quei soggetti fisici e giuridici che dimostravano di avere capacità tecniche ed economiche idonee a svolgere il programma dei lavori approvato con il Decreto di concessione e/o permesso di ricerca.

La legge fissava nel Ministero dell’Economia Nazionale – Direzione Generale delle Miniere, l’unico interlocutore del Ricercatore e/o Concessionario per l’autorizzazione allo svolgimento delle attività minerarie. La gestione ed il controllo erano attuati dal Ministero attraverso il Corpo delle Miniere, con i suoi organi territoriali (Distretti minerari). I proprietari dei fondi compresi nel perimetro del Permesso di ricerca e/o Concessione mineraria non potevano opporsi ai lavori, fermo restando il diritto al risarcimento dei danni. Inoltre, entro il perimetro di ogni titolo minerario le attività di esplorazione e coltivazione erano considerate opere di pubblica utilità, urgenti ed indifferibili e quindi soggette ad un iter autorizzativo privilegiato.

Tale legislazione, seppure aggiornata in molti aspetti (soprattutto riguardanti la sicurezza degli operatori sugli impianti, ed integrata in tempi recenti con leggi di settore del 1986 riguardanti gli Idrocarburi e la Geotermia, che hanno trasferito le competenze dal Corpo delle Miniere all’Ufficio Nazionale Minerario Idrocarburi e Geotermia, e perciò dai Distretti Minerari alle Sezioni dell’UNMIG) è rimasta valida fino all’entrata in vigore del decreto legislativo n. 112 del 1998, Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59.

La crisi petrolifera verificatasi nel 1973-1974 diede un forte impulso alla ricerca ed alla coltivazione, sia degli idrocarburi sia delle risorse geotermiche, su tutto il territorio nazionale.

Per quanto riguarda la geotermia, infatti, risale a quel periodo il forte sviluppo delle ricerche volte a migliorare le conoscenze tecnologiche e geo-minerarie italiane su vasti territori della fascia costiera tirrenica, tra l’Arno a Nord e Napoli a Sud, interessando le Regioni Toscana, Lazio e Campania. Ricerche geotermiche profonde furono condotte dall’Enel e dalla Joint Venture Enel–Agip ai Campi Flegrei, a Roccamonfina, ai Colli Albani, ai Monti Sabatini, ai Monti Cimini, ai Monti Vulsini, al Monte Amiata, e nella zona tradizionale di Larderello-Travale.

Questo periodo coincise quindi con una ripresa d’interesse a livello nazionale verso la geotermia; ed infatti i successi riportati nella esplorazione profonda in alcune aree diedero luogo a molte attese nei confronti della geotermia che si presentava come una promessa per contribuire a far fronte ad una parte dei bisogni energetici nazionali.

La normativa di gestione della risorsa geotermica, agli inizi degli anni ’70 regolata ancora dalla legge del 1927 prima richiamata, mostrava i suoi limiti a fronte degli sviluppi tecnologici degli impianti di perforazione e soprattutto delle maggiori profondità previste e raggiunte con i pozzi di produzione. Inoltre, altre esigenze di carattere ambientale, o relative ai rapporti con il territorio nei quali si svolgevano le attività di esplorazione, oppure anche di sicurezza per il personale, indussero il Parlamento ad adottare una legge specifica per la geotermia, e cioè la ”legge geotermica” n. 896 del 9 dicembre 1986, come legge di settore per il rilancio della geotermia in Italia, e successivamente il suo Regolamento di attuazione con il DPR n. 395 del 9 dicembre 1991.

Tale legge fu la prima del corpo legislativo italiano ad adottare una regolamentazione assimilabile alle successive normative di Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA). Questa valutazione venne affidata congiuntamente al neonato Ministero dell’Ambiente, al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, al Ministero dell’Agricoltura, ed a quello della Sanità, nonché alle Regioni ed ai Comuni interessati, con il coordinamento del Ministero dell’Industria che svolgeva anche le funzioni di Autorità proponente.

In quel periodo, altre leggi, ancorché non armonizzate con le norme minerarie, condizionavano però fortemente, se non la ricerca e coltivazione del calore in quanto tale, la “gestione” del fluido vettore del calore, nonché i gas incondensabili associati al fluido stesso; furono pertanto emesse allo scopo varie norme sulla reiniezione dei fluidi geotermici esausti con la legge n. 319 del 10 maggio 1976, e sulle emissioni in atmosfera con il DPR n. 203 del 24 maggio 1988. D’altra parte, la legge n. 319/1976 (meglio nota come “Legge Merli”) e le sue successive modifiche ed integrazioni, prevedevano che le condense dei fluidi geotermici non potevano essere scaricate in superficie prima di essere adeguatamente trattate; cosa, che risultava in alcuni casi estremamente oneroso. Di conseguenza, per cercare di risolvere in altro modo il problema della gestione dei reflui geotermici, furono accelerati fortemente nel campo di Larderello gli studi e le sperimentazioni sulla reiniezione dei reflui negli stessi serbatoi di provenienza dei fluidi estratti. I benefici ottenuti con questa operazione cominciarono a verificarsi quasi subito e con effetti crescenti, al punto tale che in questi ultimi anni è stato notato un aumento della pressione del fluido nel serbatoio geotermico veramente notevole rispetto a quella esistente prima dell’inizio della reiniezione. D’altra parte, le norme sulle emissioni in atmosfera dei reflui gassosi hanno fatto avviare una serie di studi ed esperienze volti a minimizzare l’impatto sulle popolazioni residenti. Essi sono sfociati in un brevetto dell’Enel di abbattimento praticamente totale dell’idrogeno solforato e del mercurio nei gas di scarico delle centrali, cui è stato dato nome AMIS (Abbattimento di Mercurio ed Idrogeno Solforato).

Un aspetto importante sancito dalla legge 896/1986 è stato il riconoscimento di un contributo una tantum ai Comuni sede d’impianto (fissato dalla legge geotermica in 20.000 £/kWe) in funzione della potenza di targa della centrale geotermoelettrica installata, e della relativa produzione, a fronte dei disagi che l’impianto e le sue pertinenze creano nel territorio del Comune. Il valore unitario del contributo ha subito incrementi con il tempo in funzione della svalutazione monetaria. Sempre con la stessa legge viene riconosciuto ai Comuni coinvolti nel titolo minerario, in proporzione alla percentuale di territorio vincolato (con un minimo di 60 % al comune sede della centrale), ed alla Regione, un contributo in funzione dell’energia elettrica prodotta nell’anno. Anche tale importo ha successivamente subito cambiamenti: alcuni per norme di legge, altri perché legati al valore della tariffa elettrica di vendita dell’energia.

A seguito del referendum che impose la moratoria sulle centrali nucleari, con le leggi n. 9 e n. 10 del gennaio 1991 il Governo volle dotare l’Italia di un Piano Energetico Nazionale (PEN) allo scopo di far fronte alle crescenti esigenze di energia elettrica, ed alla necessità quindi di sviluppare forme “alternative” di energia.

Con tale obiettivo furono introdotti nella legislazione molteplici riferimenti allo sviluppo ed incremento dell’impiego delle Fonti di Energia Rinnovabile (FER), e stabilite norme su alcuni aspetti particolari del settore dell’energia, ma senza che vi fosse una chiara definizione della strategia energetica nazionale nel medio e lungo termine, sia per quanto riguarda la tipologia di impianti da utilizzare, sia per quanto concerne il “mix” di produzione (gas, carbone, olio combustibile, FER, etc.). A parte ciò, la legge 9/1991 conteneva norme sul rilascio delle concessioni idroelettriche, sulla costruzione degli elettrodotti, e sulla pianificazione della costruzione degli impianti di produzione elettrica; mentre la legge 10/1991, dando un formale riconoscimento al ruolo che lo sviluppo delle fonti rinnovabili può giocare, insieme ad altri fattori, nel “migliorare le condizioni di compatibilità ambientale, dell’utilizzo dell’energia a parità di servizio reso, e di qualità della vita”, dettava norme sul risparmio energetico, sul miglioramento della compatibilità ambientale e sull’uso razionale dell’energia. Con questa legge furono anche definite quali fonti energetiche le FER comprendano, e fu così specificato che esse sono: l’energia solare, il vento, l’energia idraulica, le risorse geotermiche, le maree, il moto ondoso, e la trasformazione dei rifiuti organici ed inorganici e dei prodotti vegetali. Inoltre, fu inserito nella legislazione italiana il concetto che l'utilizzazione delle FER deve essere considerata di pubblico interesse e di pubblica utilità, e che le relative opere vanno equiparate a quelle dichiarate indifferibili ed urgenti ai fini dell'applicazione delle leggi sulle opere pubbliche; concetto per altro già vigente per la geotermia in quanto risorsa mineraria.

Successivamente, la delibera CIPE n. 137 del 1998, “Linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra”, ha riconosciuto alla produzione di energia da FER un ruolo estremamente rilevante ai fini della riduzione delle emissioni dei gas serra, paragonabile ai contributi richiesti ad altre importanti attività per la riduzione di tali emissioni.

Il Decreto Bersani, all’interno di una riforma complessiva del settore elettrico nazionale dedicata alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, richiamava la necessità, anche con riferimento agli impegni internazionali previsti dal protocollo di Kyoto, di “…incentivare l’uso delle energie rinnovabili, il risparmio energetico, la riduzione delle emissioni di anidride carbonica, e l’utilizzo delle risorse energetiche nazionali”. A tal fine, ai produttori di energia elettrica fu fatto obbligo di immettere in rete, fin dal 2001, una quota di energia prodotta da fonti rinnovabili mediante impianti nuovi o ripotenziati in data successiva all’entrata in vigore del decreto stesso. Tale obbligo rispondeva al fine di dare un sostanziale contributo al raggiungimento dell’obiettivo di produzione di elettricità da FER assegnato all’Italia dalla citata direttiva europea.

Successivamente, il DM 11 novembre 1999 recante Direttive per l'attuazione delle norme in materia di energia elettrica da fonti rinnovabili di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'articolo 11 del D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79 ha inteso facilitare lo sviluppo e l’uso di FER per la produzione di energia elettrica attraverso una forma di incentivazione economica costituita dai cosiddetti “certificati verdi” (CV).

Il decentramento amministrativo realizzato con la suddetta legge n. 59 del 15 marzo 1997 ha delegato alle Regioni la competenza amministrativa sulle risorse geotermiche conservando allo Stato il potere legislativo e di indirizzo.

Il decreto legislativo n. 112 del 31 marzo 1998, all’art. 34, stabilisce che “le funzioni degli uffici centrali e periferici dello Stato relative ai permessi di ricerca ed alle concessioni di coltivazioni di minerali solidi e risorse geotermiche sulla terraferma sono delegate alle regioni, che le esercitano nell’osservanza degli indirizzi della politica nazionale nel settore minerario e dei programmi nazionali di ricerca”.

Inoltre, la legge n. 59/1997 sopra citata ha previsto la possibilità per le Regioni di dotarsi di un proprio piano energetico detto PER (Piano Energetico Regionale) che, tenendo anche conto dei fattori ambientali locali, deve costituire uno strumento di programmazione regionale di fondamentale importanza per la definizione di politiche di sviluppo del relativo territorio.

Pertanto, allo scopo di semplificare le procedure autorizzative e dare tempi certi per la realizzazione degli impianti elettrici e delle linee di trasporto dell’energia (sia elettrica che di fluidi energetici), lo Stato ha emanato il D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, con il quale, in particolare, attraverso l’art. 12, comma 3, è stato istituito un procedimento unico presso la Regione competente che si conclude con una Conferenza dei servizi, incaricata tra l’altro di emanare un decreto omnicomprensivo valido sia per la costruzione e l’esercizio dell’impianto di produzione elettrica, che di tutte le opere ad esso connesse.

La segnalazione dell'Antitrust sulla "legge geotermica"

Nell’esercizio dei poteri di segnalazione di cui all’articolo 21 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (con parere inviato al Parlamento, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e al Ministero dello Sviluppo economico in data 12 settembre 2008) ha posto in evidenza possibili distorsioni della concorrenza derivanti da alcune disposizioni della legge 9 dicembre 1986, n. 896 (legge geotermica).

In particolare, la legge n. 896/1986:

  • attribuisce ad Enel, nei territori delle province di Grosseto, Livorno, Pisa e Siena, l’esclusiva in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche di interesse nazionale (articolo 3, comma 6);
  • riconosce ad Enel ed Eni, in caso di concorso di più istanze relative alla stessa zona e a parità di condizioni, una preferenza nell’assegnazione del permesso di ricerca (articolo 3, comma 3) e della concessione di coltivazione (articolo 10, comma 2), singolarmente o in con titolarità;
  • prevede una durata trentennale della concessione di coltivazione e la possibilità di una sua proroga per “periodi non superiori a dieci anni ciascuno” (articolo 10, comma 3).

L’Antitrust ha sottolineato l’esigenza di un intervento legislativo che consenta di precisare il quadro normativo di riferimento, nel senso di prevedere espressamente procedure che garantiscano una concorrenza per il mercato nell’assegnazione dei permessi di ricerca e delle concessioni di coltivazione di risorse geotermiche. In tal senso, la permanenza di diritto o di fatto di una riserva in capo ad Enel, in alcune zone del territorio italiano, per lo sfruttamento di una risorsa dalla quale si genera energia elettrica, nonché più in generale la sussistenza di un regime preferenziale nell’assegnazione delle concessioni geotermiche ad Enel ed Eni in caso di concorso di più istanze, non risultano coerenti con l’assetto ormai liberalizzato del mercato della generazione di energia elettrica. Tali norme appaiono, infatti, residui di un passato regime di monopolio legale nello sfruttamento delle risorse del sottosuolo presenti sul territorio.

La delega contenuta nella "legge sviluppo"

La legge n. 99/2009, nota come “legge sviluppo”, all’articolo 27, comma 28, ha delegato il Governo ad adottare, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della stessa legge (cioè entro il 9 febbraio 2010) uno o più decreti legislativi per determinare un nuovo assetto della normativa in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche che

  • garantisca un regime concorrenziale per l'utilizzo delle risorse geotermiche ad alta temperatura
  • semplifichi i procedimenti amministrativi per l'utilizzo delle risorse geotermiche a bassa e media temperatura.

Le risorse geotermiche sono generalmente classificate in: alta temperatura (oltre i 150°C), media temperatura (tra 90°C e 150°C) e bassa temperatura (meno di 90°C).

Le risorse geotermiche ad alta temperatura sono solitamente utilizzate per la produzione di energia elettrica. L'Italia è stato il primo paese al mondo ad utilizzare la geotermia ad alta temperatura per produrre energia elettrica in grandi centrali: la prima centrale geotermica fu realizzata a Larderello (PI), nel 1913.

Oltre ai grandi impianti, che utilizzano indirettamente il calore ad alta temperatura proveniente dal sottosuolo, per alimentare delle turbine per la produzione di elettricità, esiste anche un'altra geotermia: la geotermia a bassa temperatura o "a bassa entalpia", che è la forma di geotermia ideale per le applicazioni di piccola scala, connesse allo sfruttamento del sottosuolo come serbatoio termico dal quale estrarre calore durante la stagione invernale ed al quale cederne durante la stagione estiva.

Inoltre, mentre la geotermia “tradizionale” (ad alta e media temperatura) resta comunque una fonte energetica limitata a specifici contesti territoriali, la geotermia a bassa temperatura non ha limiti geografici.

Il riassetto deve avvenire in un contesto di sviluppo sostenibile del settore e assicurando la protezione ambientale.

La delega deve essere esercitata senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e con le risorse umane, strumentali e finanziarie previste a legislazione vigente.

I princìpi e criteri direttivi della delega sono i seguenti:

a)     garantire, in coerenza con quanto già previsto all’articolo 10, comma 3, della legge 9 dicembre 1986, n. 896, l’allineamento delle scadenze delle concessioni in essere facendo salvi gli accordi intercorsi tra regioni ed operatori, gli investimenti programmati e i diritti acquisiti;

Si ricorda che il citato comma 3 prevede che la concessione possa essere accordata per la durata massima di trenta anni, e prorogata per periodi non superiori a dieci anni ciascuno.

Si segnala anche che il comma 2 del medesimo articolo 10 disponeva una preferenza nell’assegnazione della concessione, a parità di condizioni, all'ENEL o all'ENI, singolarmente o in contitolarità paritetica. Tale disposizione è stata abrogata dal comma 29 dell’art. 27 della legge n. 99/2009, con effetto dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di riassetto della normativa geotermica (su cui v. infra).

b)     stabilire i requisiti organizzativi e finanziari da prendere a riferimento per lo svolgimento, da parte delle regioni, delle procedure concorrenziali ad evidenza pubblica per l’assegnazione di nuovi permessi di ricerca e per il rilascio di nuove concessioni per la coltivazione di risorse geotermiche ad alta temperatura;

c)     individuare i criteri per determinare, senza oneri né diretti né indiretti per la finanza pubblica, l’indennizzo del concessionario uscente relativamente alla valorizzazione dei beni e degli investimenti funzionali all’esercizio delle attività oggetto di permesso o concessione, nel caso di subentro di un nuovo soggetto imprenditoriale;

d)     definire procedure semplificate per lo sfruttamento del gradiente geotermico o di fluidi geotermici a bassa e media temperatura;

e)     abrogare regolamenti e norme statali in materia di ricerca e coltivazione di risorse geotermiche incompatibili con la nuova normativa.

Si ricorda, peraltro, che l’articolo 27, comma 29, della legge n. 99/2009 ha disposto l’abrogazione, con effetto dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui sopra, dei citati articoli 3, commi 3 e 6, e 10, comma 2, secondo periodo, della legge 9 dicembre 1986, n. 896.

Il decreto di riassetto della normativa geotermica

Il D.Lgs. 11 febbraio 2010, n. 22 di riassetto della normativa in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche, è stato emanato in attuazione della delega contenuta nell'articolo 27, comma 28, della legge 23 luglio 2009, n. 99.

Il decreto è composto da 19 articoli, raggruppati in cinque capi:

  • CAPO I (artt. 1 e 2) - Disposizioni preliminari e programmatiche;
  • CAPO II (artt. 3-5) - Disposizioni sulla ricerca;
  • CAPO III (artt. 6-10) - Disposizioni sulla coltivazione;
  • CAPO IV (artt. 11-17) - Norme comuni alla ricerca e alla coltivazione;
  • CAPO V (artt. 18 e 19) - Norme finali e transitorie.

Su tale decreto è intervenuto successivamente il D.Lgs. 28/2011 di recepimento della direttiva UE sulle fonti rinnovabili.

    La geotermia in Italia e nel mondo

    Secondo gli ultimi dati del Gestore per i Servizi Energetici (GSE), si stima che i 31 impianti geotermoelettrici presenti in Italia a fine 2008 abbiano una produzione complessiva annuale attorno ai 5.520 GWh di potenza, grazie ad una capacità installata di 711 MW.

    Il parco impianti geotermoelettrici in Italia è molto stabile per numerosità, potenza e produzione: tra il 1997 e il 2008, il tasso medio annuo di crescita è pari allo 0,9% per la numerosità, al 2,2% per la potenza e al 3,2% per la produzione.

    Riguardo alla distribuzione della potenza installata in Italia nel 2008 secondo le classi di potenza, il GSE ha calcolato che il “67,7% degli impianti (21 di 31) appartengono alla classe compresa tra 10 e 20 MW ed hanno in media potenza pari a 17,2 MW. La classe tra 20 e 100 comprende il 16,1% degli impianti che hanno potenza media pari a 41,2 MW. Nella classe più piccola in termini di MW installati ci sono il 12,9% degli impianti”.

    Le installazioni geotermoelettriche si trovano in Italia nella sola regione Toscana, come esplicitato dalle carte tematiche contenute nel rapporto, con la provincia di Pisa che detiene il primato con il 45,2% sul totale delle 31 centrali dislocate lungo la superficie nazionale, seguita rispettivamente da Siena (29,0%) e Grosseto (25,8%).

    La Nazione, nel confronto con i principali Paesi che detengono il maggior numero di impianti geotermici, ricopre il terzo posto, seconda solamente a Stati Uniti e Messico.

    Facendo un’attenta analisi tra la produzione geotermica italiana sulla produzione lorda da FER e quella lorda totale, il GSE ha dichiarato che nel primo caso rappresenta il 9,5%, nel secondo l'1,7%.

    Sempre il GSE ha valutato che per quanto concerne la produzione elettrica tramite la geotermia – settore in cui l’Italia, come abbiamo visto, gioca un ruolo da protagonista a livello mondiale – vi sono ormai limitate possibilità di ulteriore sviluppo. Vi sono invece ottime possibilità per gli usi a bassa entalpia, un settore che sta conoscendo un forte sviluppo ovunque, ad eccezione del nostro Paese.

    Le applicazioni geotermiche legate all’uso diretto del calore sono quelle più sviluppate nella UE: 18 Paesi su 27 utilizzano in tal senso risorse a media o bassa entalpia per un totale (escluse le pompe a calore geotermiche) di 2.490 MWt installati, con una produzione energetica di 793 mila tonnellate equivalenti di petrolio.

    Va detto che le statistiche sugli usi diretti del calore geotermico sono difficili da effettuare, sia per la mancanza di una metodologia comune di calcolo, sia perché sono innumerevoli le applicazioni non contabilizzate (quasi tutte quelle termali, ma anche gran parte delle serre e della climatizzazione di edifici isolati).

    Ad esempio gli usi termici in Ungheria – il Paese ove la tecnologia è maggiormente sviluppata - si ritiene siano ampiamente sottovalutati dalle statistiche ufficiali (725 MWt). Lo stesso, seppur in modo minore, per l’Italia, che è al secondo posto nella graduatoria dell’Unione europea (circa 500 MWt), seguita dalla Francia (307 MWt).

    Le prospettive di sviluppo degli usi diretti geotermici a media e bassa entalpia sono ottime in molti Paesi. In particolare in Francia, ove si punta a triplicare gli usi attuali entro il 2015, anche grazie a forme di incentivi basati sulle “tonnellate di CO2 evitate”: gli incentivi statali ammontano a 400 ¤/t di CO2 evitata, cui possono aggiungersi ulteriori sovvenzioni regionali.

    Per quanto concerne le applicazioni a bassissima entalpia, il GSE rileva che l’utilizzo delle pompe a calore geotermico sono in rapida diffusione in molti Paesi europei. È tuttavia difficilissimo contabilizzarle, sia perché alcuni (Paesi Bassi, Belgio) non le differenziano dalle pompe di calore ad aria, sia perché la maggior parte dei Paesi non dispone di statistiche affidabili in tal senso. L’Unione Europea è comunque l’area di maggiore diffusione di questa tecnologia nel mondo.

    Secondo valutazioni di EurObserv’ER, a fine 2006 erano installate circa 600.000 pompe a calore geotermico nella UE, per una potenza di circa 7.300 MWt. In tale anno il mercato ha per la prima volta superato le 100.000 pompe vendute.

    La Svezia è il Paese con il maggior numero di installazioni (oltre 40.000 a fine 2006), seguita da Germania (28.600 unità), Francia (20.000), Austria (7.235) e Finlandia (4.500). In Italia questo settore è quasi totalmente assente, mentre è in forte espansione in Germania, Francia, Austria, nei Paesi Baltici e Svizzera.

    Con l’emanazione del decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22, di riassetto della normativa in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche (v. supra), secondo il Ministro dello sviluppo economico la geotermia verrà utilizzata maggiormente non solo per la produzione di elettricità, ma anche come fonte diretta di calore per il riscaldamento. In questo modo la geotermia, fonte rinnovabile seconda in Italia solo all’energia idroelettrica, otterrà maggiore impulso. Attualmente con la geotermia si producono 5 miliardi di chilowattora l’anno, sufficienti ai bisogni di elettricità di oltre un milione e mezzo famiglie, corrispondenti a circa 6 milioni di persone. Tale risorsa rappresenta ora il 10% delle fonti rinnovabili italiane. Con un aumento della produzione di energia dalla geotermia si contribuirà a ridurre la dipendenza energetica nazionale dall’estero e si concorrerà a contenere le emissioni di gas serra (CO2).

    Fra le stime effettuate dagli operatori di settore, generalmente concordi nel ritenere possibile un mantenimento dei tassi di sviluppo delle applicazioni geotermoelettriche e una crescita esponenziale degli utilizzi diretti, l’Unione Geotermica Italiana ha indicato come raggiungibile un incremento della potenza installata al 2020 di 700 MW per la generazione elettrica e di 6.000 MW per gli utilizzi diretti. Per quanto riguarda questi ultimi, in particolare, è atteso un boom delle applicazioni termiche industriali e – soprattutto – civili che, già notevolmente sviluppate attraverso tecnologie consolidate nei Paesi del nord Europa, rappresentano oggi in Italia un mercato in attivazione e dall’elevato potenziale. Nel nostro Paese, storicamente sede di applicazioni di eccellenza nel campo termale, ittico e florovivaistico (si pensi, ad esempio, nella sola Toscana, ai 4 milioni di utenti termali, agli impianti di itticoltura di Orbetello e ai vivai di Radicondoli), si sta assistendo, ad esempio, ad un interessante processo di downscale delle applicazioni delle pompe di calore a sonda geotermica che, forti di alcune istallazioni “simbolo” per l’intero panorama comunitario (es. il teleriscaldamento della città di Milano, progetto avviato dalla multiutility A2A), appaiono potersi diffondere con la capillarità tipica di Paesi quali Germania, Svizzera e Svezia.

    L'Unione europea e la geotermia

    L’Unione europea definisce «energia geotermica»: energia immagazzinata sotto forma di calore sotto la crosta terrestre.

    Fra le fonti energetiche rinnovabili, se si escludono le bassissime entalpie, le risorse geotermiche sono certamente le meno uniformemente distribuite sul territorio comunitario.

    Con ciò, nel gennaio 2008 la Commissione europea, al termine di un lavoro di valutazione sugli scenari energetici comunitari, ha affidato proprio al tema della cattura del calore geotermico attraverso pompe di calore un ruolo centrale nel proprio Climate action and renewable energy package introducendone, a tale scopo, uno specifico meccanismo di contabilizzazione ai fini del raggiungimento degli obiettivi nazionali di produzione di energia da fonti rinnovabili.

    La declinazione comunitaria delle priorità di utilizzo della risorsa geotermica in chiave di vettoriamento dei flussi termici a scapito della generazione elettrica è stata poi ribadita nel marzo 2009 attraverso la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione degli usi delle energie da fonti rinnovabili. Questa, al fine di dare attuazione degli indirizzi espressi nel pacchetto clima-energia del 2008, ha formalizzato la metodologia per il calcolo della quantità di calore generata attraverso pompe di calore a sonda geotermica da considerarsi rinnovabile e ha introdotto l’obbligo per gli Stati Membri di implementare (entro il 31 dicembre 2012) schemi di qualificazione e certificazione per gli installatori di impianti geotermici a bassa entalpia o a pompa di calore con sonda geotermica. La direttiva ha inoltre stabilito l’obbligo per gli Stati Membri di valutare all’interno dei propri Piani Energetici Nazionali in forma prioritaria il ricorso alle reti di teleriscaldamento geotermiche ai fini del raggiungimento dei propri obiettivi al 2020, ma non ha previsto specifiche misure per il comparto geotermoelettrico.

    La minore attenzione verso le alte entalpie può essere legata, almeno in parte, al fatto che i due principali progetti di ricerca nei quali erano riposte molte risorse al fine di ottenere una dimostrazione della replicabilità su scala comunitaria degli sfruttamenti dei bacini geotermici di consistenza ordinaria non hanno fruttato i risultati sperati (a Basilea, il tentativo di fratturazione delle hot dry rocks ha comportato significative complicazioni in termini di sismicità indotta e, a Soultz, i costi per lo sfruttamento di serbatoi profondi a media entalpia traverso cicli binari non ha evidenziato performance economiche soddisfacenti). Vista la presenza, proprio in Italia, di favorevoli “territori laboratorio” (contesti nei quali una risorsa idonea è reperibile con relativa semplicità), è stato in più sedi posto il problema della necessità di guidare gli investimenti in ricerca secondo criteri di marginalità economica e valorizzazione delle migliori risorse disponibili prima che della generalizzabilità degli approcci. È stato questo uno dei temi sostenuti dal Centro di Eccellenza per la Geotermia di Larderello nel l’incontro internazionale organizzato dall’European Geothermal Energy Council nel febbraio 2009 a Bruxelles. In questa occasione è stata ufficialmente consegnata alla Regione Toscana, regione riconosciuta leader per lo sfruttamento delle risorse geotermiche, la “Dichiarazione di Bruxelles”, documento teso a fissare le priorità nella agenda della ricerca internazionale per il raggiungimento di importanti obiettivi, tra i quali, la riduzione al 2030 del 30% dei costi di generazione geotermoelettrica convenzionale e del 50% per quelli di generazione attraverso cicli alimentati con basse entalpie.

    Per il settore geotermoelettrico, nella sua storia, l’Italia rappresenta a livello europeo non solo un fondamentale bacino di competenze tecniche, ma anche il Paese con le maggiori esperienze amministrative dettate dall’evoluzione di un complesso sistema di regolazione integrato che, assumendo la risorsa quale patrimonio indisponibile dello Stato, ne gestisce le competenze concorrenti e trasversali legate alla tutela dell’ambiente, all’energia, alla concorrenza e, più in generale, all’unità giuridica dell’ordinamento. Proprio alla natura dell’evoluzione di questo sistema normativo è però legata una sua inadeguatezza a rispondere alle più recenti evoluzioni relative allo sviluppo delle utilizzazioni a bassa e bassissima entalpia quali, ad esempio, la realizzazione di pompe di calore con sonda geotermica ad uso civile. Questa materia, infatti, gestita in maniera disomogenea sul territorio nazionale in virtù della delega delle competenze alle regioni, è concordemente indicata dagli operatori di settore quale meritevole di aggiornamenti al fine di garantire una maggiore integrazione con le discipline urbanistiche e edilizie, oltre che con le materie amministrative ed ambientali.

    Sotto la spinta degli operatori della grande distribuzione e delle grandi utenze termiche aggregate (es. palazzetti dello sport, quartieri residenziali, etc.), la diffusione degli impianti a bassa e bassissima entalpia sta così oggi progredendo sul territorio nazionale a macchia di leopardo fra contesti nei quali le competenze amministrative sono mantenute dalle Regioni e contesti nei quali le competenze sono attribuite alle Province, fra procedure semplificate per le quali è richiesta la sottomissione di dati tecnici non dettagliati anche in caso si reiniezione dei fluidi e procedure per le quali si rendono necessarie valutazioni specialistiche complesse (es. analisi isotopiche, modellazioni 3D, implementazione di reti di monitoraggio, etc.).

    Non giustificata da eventuali gap tecnologici del sistema produttivo italiano che, anzi, vanta punte di eccellenza mondiali ad esempio nel settore della compressione dei fluidi e della lavorazione delle leghe speciali, la crescita rallentata di una filiera industriale sulle basse e bassissime entalpie appare da attribuirsi ai limitati volumi e alla relativa immaturità della domanda impiantistica.

    Una risposta, in tal senso, è attesa, oltre che dall’introduzione di sistemi di certificazione e qualificazione in recepimento a livello nazionale della direttiva comunitaria precedentemente illustrata, anche dallo sviluppo di leggi regionali che coordino la materia nel rispetto degli obiettivi indicati nei rispettivi piani energetici regionali.

    Nel marzo 2009, in occasione di un Geothermal Expo di Offenburg, sono emerse dalla sessione dedicata agli operatori del settore geotermico italiano chiare indicazioni circa l’opportunità di sostenere la crescita del numero di installazioni a bassa e bassissima entalpia attraverso la produzione di linee guida condivise autorevoli e condivise, la sensibilizzazione e la formazione dei progettisti e la messa a disposizione degli investitori di registri di installatori accreditati sulla base della loro capacità di implementare le migliori tecniche disponibili.