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La crisi umanitaria nel Nord e Sud Kivu

Le cause del conflitto

Le cause conflitto che da anni affligge le regioni del Nord e del Sud Kivu, nella parte orientale della Repubblica democratica del Congo (RDC) – non l’unico nella regione dei Grandi Laghi - sono molteplici e strettamente interconnesse, ma da imputarsi prevalentemente agli ingenti giacimenti minerari di cui la regione è ricca.

Si tratta non solo di uranio, oro e diamanti ma, anche di coltan (columbite e tantalite), indispensabile per il funzionamento di telefonini gsm, computer e per la componentistica aeronautica.

Negli ultimi tempi, tuttavia, anche in conseguenza di una diminuzione del prezzo del coltan, i profitti più ingenti vengono tratti nel Kivu dall’estrazione della cassiterite (biossido di stagno), di cui il Congo detiene un terzo delle riserve mondiali. La cassiterite, che in genere si trova nelle stesse miniere da cui si estrae il coltan, viene anch’essa impiegata nella costruzione di apparecchiature elettroniche. E’ particolarmente richiesta in quanto nuove leggi per la protezione dell’ambiente, in vigore ad esempio nell’Unione europea e in Giappone, prevedono che il piombo utilizzato in molte leghe di metallo venga sostituito dallo stagno (facilmente estraibile dalla cassiterite) ogni volta che questo è possibile.

Tali ricchezze sono oggetto di saccheggio e di commercio illegale da parte di diversi gruppi di ribelli che, finanziati e sostenuti dagli stati vicini come Rwanda, Uganda e Burundi, trasportano i minerali in questi paesi che, a loro volta, li esportano verso il mondo occidentale, creando un giro di affari di milioni di dollari.

Alla lotta per il controllo delle risorse nel Kivu si intrecciano motivazioni di carattere etnico e politico, anche se in un quadro estremamente frastagliato di etnie e nazionalità, accompagnato da una estrema mutevolezza delle alleanze. Appare sempre più chiaro che, in molte occasioni, l’appartenenza etnica è stata strumentalizzata per alimentare il conflitto al fine di continuare a garantirsi lo sfruttamento delle risorse minerarie.

E’ bene ricordare, tuttavia, che l’attuale crisi del Nord Kivu affonda le sue radici nella guerra civile cominciata nel 1996 e nel fallimento degli accordi di pace del 2002 che non riuscirono a portare a compimento il processo di integrazione e di pacificazione dei gruppi armati che per anni si erano fronteggiati. Così come un peso senz’altro rilevante è da attribuirsi alla corruzione dei governi centrali (fortissima fino alla permanenza al potere di Laurent-Désiré Kabila) e dei governatori delle province, che si sono spesso arricchiti a spese della popolazione mantenuta nella miseria più estrema. (Il Corruption Perceptions Index di Transparency International assegna alla RDC per il 2009 il 162° posto su 180 paesi).

Gli attori principali

Il sanguinoso conflitto nel Kivu vede oggi fronteggiarsi da un lato l’esercito regolare congolese (Forces Armées de la République Démocratique du CongoFARDC) e dall’altro i ribelli ruandesi delle FDLR (Forces Démocratiques de Liberation du Rwanda). Le FDLR hanno stabilito le loro basi nel Congo orientale fin da quando, dopo il genocidio del 1994, gli estremisti Hutu coinvolti nel massacro lasciarono a migliaia il Rwanda. Delle FDLR fanno parte personaggi-chiave del genocidio ruandese, oltre a ex membri dell’esercito ruandese o semplici profughi, tutti di etnia Hutu.

Durante la Seconda Guerra del Congo (1998-2002)[[ La Guerra scoppiò nell’agosto 1998 quando il Ruanda e l’Uganda decisero di scendere in campo per sostenere i ribelli congolesi che stavano cercando di rovesciare l’allora presidente Laurent Kabila. Angola, Zimbabwe e Namibia mandarono truppe in appoggio del governo. Joseph Kabila (figlio di Laurent, al potere dopo l’assassinio del padre nel 2001) riuscì a negoziare un accordo di pace (Accordo di Pretoria, 30 luglio 2002) che prevedeva il ritiro delle forze ruandesi che occupavano il Congo orientale in cambio dell’impegno internazionale a disarmare le milizie Hutu e i combattenti delle ex-FAR (Forze armate ruandesi, l’esercito nazionale ruandese fino al 1994). Con l’Accordo del 17 dicembre 2002, inoltre, il governo congolese, i ribelli e i partiti di opposizione misero fine a cinque anni di guerra civile e decisero la formazione di un governo di unità nazionale guidato da Joseph Cabila]] le FDLR hanno combattuto al fianco dell’allora governo congolese nella battaglia per sradicare il più grande movimento ribelle dell’epoca, il RCD-Goma (Rally for Congolese Democracy), di cui Laurent Nkunda (v. infra) era uno dei leader. Il RCD-Goma, sostenuto dal governo ruandese formato da Tutsi, è entrato poi a far parte del governo di transizione che si è formato nel 2003 al termine di quel conflitto.

Nonostante gli accordi di pace del 2002, le regioni del Kivu settentrionale e meridionale hanno continuato per tutti questi anni a conoscere il conflitto, in forme alternativamente gravi o meno gravi.

Già a partire dai primi mesi seguiti al ritiro delle truppe ruandesi (avvenuto nell’ottobre 2002) il Kivu era teatro di scontri tra le FARDC e milizie ribelli, fra le quali le FDLR, a riprova del fatto che il Rwanda continuava a giocare un ruolo destabilizzante all’interno della RDC [1].

Uno dei principali protagonisti del conflitto nel Kivu è il generale Laurent Nkunda, tutsi congolese, di lingua ruandese, che combatte la Seconda Guerra Congolese al fianco del Ruanda. Dal 2003 entra formalmente a far parte dell’esercito della RDC e nel 2004 riceve il grado di generale. Ciononostante, nel giugno 2004 si avvale dell’appoggio del Rwanda per prendere il controllo della città di Bukavu (nel Kivu meridionale) con la motivazione di dover proteggere i civili tutsi sotto minaccia. Solo un’intensa azione diplomatica farà arretrare Nkunda, che però ha continuato a costituire una seria minaccia per il processo di stabilizzazione del paese.

Nel luglio 2006 Laurent Nkunda fonda un nuovo movimento che ha sede nel Nord Kivu, il Congresso nazionale per la difesa del popolo (CNDP) di cui entrano a far parte molti membri di disciolti gruppi di ribelli filoruandesi. Il CNDP è un movimento politico con un braccio armato, l’ANC (Congolese National Army).

All’inizio del 2007 comincia un processo di integrazione delle milizie ribelli, e di quelle del CNDP in particolare, nelle Forze armate congolesi, che tuttavia fallisce a settembre dello stesso anno con il ritorno del CNDP ad attività autonome e in contrasto con le FARDC. Da quel momento, la situazione fino ad allora considerata di “bassa conflittualità” nel Kivu subisce un peggioramento. Anche altri gruppi di ribelli hanno impegnato nello stesso periodo le forze militari congolesi in un confronto armato. Fra di essi, secondo quanto riferisce il Rapporto del Gruppo di esperti dell’ONU distribuito dal Consiglio di sicurezza il 12 dicembre 2008, c’è la Coalition of Congolese Patriotic Resistance (PARECO), probabilmente il terzo gruppo armato (per dimensioni) dopo FDLR e CNDP. Creato il 15 marzo 2007 e formato da elementi di varie etnie, è attivo sia nel Nord che nel Sud del Kivu ed ha difeso i propri territori respingendo sia le FARDC che le forze del CNDP.

Un momento importante nel percorso di integrazione dei gruppi ribelli nella società e nelle istituzioni (più volte interrotto e ripreso), noto con il nome di “Programma Amani” (“Pace” in swahili) è la firma dell’Accordo di Goma del 23 gennaio 2008 con il quale i 22 gruppi armati che operavano nel Nord-Kivu e in Ituri si erano impegnati con il governo del Congo per un immediato cessate il fuoco. La tregua, durata fino al mese di agosto 2008, è stata rotta dall’ex generale Nkunda che ha altresì deciso la fuoriuscita dal Programma Amani. A partire da una schermaglia a Ntamugenga (Territorio di Rutshuru) il 28 agosto 2008, si è determinata una seria escalation di combattimenti nel Nord Kivu tra le forze delle FARDC e quelle del CNDP. Inoltre,  una serie di ostilità verificatesi su diversi fronti hanno in alcuni casi contrapposto FARDC, FDLR e il PARECO da un lato, al CNDP dall’altro. Questo nuovo round di combattimenti diffusi ha causato 250mila nuovi profughi.

Mentre nel 2008 i combattimenti avvenivano principalmente tra l’esercito congolese e il CNDP, nel 2009 il conflitto ha assunto un nuovo volto, quando gli eserciti regolari congolese e ruandese si sono alleati per sferrare un’offensiva nel Nord e nel Sud del Kivu diretta a cacciare i miliziani dell’FDLR da quelle regioni. Tale cambiamento, avvenuto a partire dai primi mesi del 2009, non ha portato alcun giovamento alla popolazione civile, anche se ha creato le condizioni per la firma di un Trattato di pace (Goma, 23 marzo 2009) tra il governo congolese e il CNDP. Il Trattato disegnava un processo di riconciliazione che prevedeva, tra l’altro, l’accettazione da parte del CNDP alla propria trasformazione in un partito politico in cambio della scarcerazione dei suoi membri.

Contrariamente a quanto si era sperato, le due operazioni congiunte (e in particolare Kimia II, durata fino alla fine del 2009) non hanno portato la pace e la sicurezza nelle regioni orientali del Congo: la già grave situazione umanitaria è stata infatti esasperata dalle orribili violenze sulla popolazione civile - sia da parte delle forze governative che da parte delle forze ribelli – che le hanno accompagnate.

Sviluppi recenti

Il Rapporto compilato da un Gruppo di esperti delle Nazioni Unite (Final report of the Group of Experts on the Democratic Republico of the Congo -  S/2009/603) presentato al Consiglio di sicurezza nel novembre 2009 sostiene che le operazioni militari contro l’FDLR – condotte dalle forze armate congolesi con il sostegno dell’ONU - non sono riuscite nell’obiettivo di smantellare le strutture politica e militare dell’organizzazione: il numero crescente di defezioni da parte dei combattenti dell’FDLR e la rimozione di alcune delle loro basi sono considerati solo un parziale successo, considerato il fatto che tale gruppo riesce continuamente a ricomporsi in altri siti e a rafforzare le proprie fila con nuove reclute. 

All'inizio del 2009, caschi blu, truppe regolari congolesi (50.000 uomini schierati in Kivu) e nuclei di esercito ruandese delle RDF (Rwandan Defence Force) sferrarono l'attacco all’FDLR, con due operazioni: “Umoja Wetu” (“La nostra unione”), e “Kimia II” (quest’ultima - “Quiete” in Swahili - condotta con il supporto diretto delle Nazioni Unite).

La convinzione era che la sproporzione delle forze avrebbe portato ad una rapida e sicura sconfitta dei ribelli. Ma dopo qualche ritirata iniziale, l’FDLR ha ripreso il controllo della regione, anche con la complicità – in alcuni casi – delle truppe regolari. I caschi blu dell’ONU, inoltre, avrebbero assistito a tali eventi incapaci di garantire un livello sufficiente di sicurezza ai civili.

La ricchissima regione orientale del Congo resta dunque nelle mani dei ribelli ruandesi, mentre la popolazione versa in una crisi umanitaria tra le più gravi del pianeta.

Il rapporto dell’ONU afferma che l’FDLR continua a godere di un residuale ma ancora significativo supporto da parte di alti ufficiali delle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo, in particolare nel Sud Kivu, e che beneficia anche di alleanze strategiche con altri gruppi armati sia nel Nord che nel Sud Kivu. Inoltre, l’FDLR utilizza una rete di sostegno estera – regionale e internazionale – da cui riceve armi e finanziamenti e della quale si è servita per contrastare sul campo gli effetti di Kimia II.

Il Rapporto dà poi conto dello stato dell’assimilazione di gruppi armati non statali nelle FARDC, avvenuto attraverso un processo di integrazione rapida nel gennaio 2009, grazie anche alle citate operazioni condotte congiuntamente da FARDC e RDF (l’esercito ruandese). Nonostante questo, tuttavia, gli ufficiali provenienti dal Congresso nazionale per la difesa del popolo (CNDP), e in particolare il Generale Bosco Ntaganda (v. infra), continuano a detenere le armi pesanti acquistate durante il periodo della ribellione e a controllare attività lucrose e amministrazioni locali parallele. Nel corso dell’ultimo anno, secondo il Rapporto dell’ONU, gli ufficiali del CNDP impiegati dalle forze regolari nell’operazione Kimia II hanno tratto profitto dalla loro dislocazione in aree minerarie attraverso il commercio illegale di minerali (cassiterite soprattutto).

Prima di unirsi all’esercito della RDC, Bosco Ntaganda è stato il leader del CNDP, ex membro del Rwandan Patriotic Army e vice di Laurent Nkunda alla guida dell’FPLC (Forces patriotiques pour la libération du Congo), il disciolto gruppo di ribelli Tutsi. Ntaganda ha deposto e sostituito Nkunda alla guida del CNDP nel gennaio 2009, poco prima del suo arresto (Nkunda si trova ora in una località segreta del Rwanda).

Dal maggio 2008, Ntaganda – noto anche con il soprannome di “Terminator” - è ricercato dalla Corte penale internazionale che lo accusa di crimini di guerra e di aver costretto bambini di meno di 15 anni a combattere nelle fila dell’FPLC.

La crisi umanitaria

Secondo un Rapporto pubblicato da Human Rights Watch (HRW) il 13 dicembre 2009 (“You Will Be Punished”- Attacks on Civilians in Eastern Congo), gli attacchi contro i civili sono stati diffusissimi e spietati; le popolazioni locali sono state accusate di “collaborazionismo” dall’una e dall’altra parte e deliberatamente prese di mira per essere “punite”. HRW ha fornito le prove dell’uccisione deliberata di oltre 1.400 civili tra gennaio e settembre 2009, la maggioranza dei quali erano donne, bambini e anziani. Gli attacchi erano accompagnati anche da stupri. In una regione già conosciuta come “la peggiore nella quale essere donna o bambino”, la situazione ha così subito un ulteriore deterioramento. Nei primi nove mesi del 2009, secondo il rapporto di HRW, sono stati registrati presso centri sanitari sia nel Nord che nel Sud Kivu oltre 7.500 casi di violenza sessuale contro donne e ragazze: il doppio di quelli registrati nel 2008 e, probabilmente, solo una frazione di quelli realmente accaduti.

In aggiunta agli assassinii, migliaia di civili sono stati rapiti e costretti a lavoro forzato per il trasporto di armi, munizioni o altro materiale ancora sia dall’esercito regolare che dai ribelli. Alcuni uomini sono morti per la pesantezza dei carichi o sono stati uccisi se rifiutavano di collaborare. Tra gennaio e settembre 2009 più di 900mila persone sono state costrette a fuggire per trovare rifugio nella foresta o in campi profughi. Durante gli attacchi (da parte delle FADRC o dell’FDLR) sono stati saccheggiati e bruciati case e villaggi.

Il Rapporto di HRW riporta in allegato alcune tabelle contenenti dati molto dettagliati raccolti nel corso di 23 missioni nel Nord e Sud Kivu tra gennaio e ottobre 2009. I dati in esse contenuti sono, secondo i redattori del Rapporto, solo parziali. Secondo questi dati, i civili uccisi dai combattenti dell’FDLR sarebbero 701; i civili uccisi dall’esercito congolese e da quello ruandese nelle operazioni Umoja Wetu e Kimia II,732;i casi documentati di civili stuprati da miliziani dell’FLDR sono 290; i casi documentati di stupri di civili da parte di soldati congolesi o ruandesi sono 347.

Le due operazioni congiunte hanno avuto tuttavia, anche secondo l’opinione di HRW, il merito di neutralizzare in parte le strutture dell’FLDR: nel corso di nove mesi di operazioni militari 1087 miliziani sono stati rimpatriati in Rwanda tramite il programma DDRRR dell’ONU (Disarmament, Demobilization, Repatriation, Reintegration, and Resettlement), numero che rappresenta un significativo aumento rispetto al 2008.

La violenza nei confronti della popolazione civile nelle regioni orientali della Repubblica Democratica del Congo è stata inserita dall’Organizzazione Medici Senza Frontiere tra le prime dieci peggiori crisi umanitarie nella lista pubblicata online il 12 dicembre 2009. MSF denuncia l’uccisione di centinaia di persone, lo stupro di migliaia di donne, di bambini e talvolta anche di uomini. Migliaia di persone hanno dovuto lasciare la loro casa (230mila nei soli primi quattro mesi del 2009 nel Nord Kivu) e, secondo MSF, il terrore è preda di coloro che sono rimasti, vittime di continue ritorsioni “giustificate” dal solo sospetto di un loro presunto appoggio a questa o a quell’altra parte in conflitto.

Episodi di terrore sono riportati puntualmente da MSF: gruppi di persone in attesa di essere vaccinate finite sotto il fuoco incrociato dei combattenti ­- nonostante le garanzie di sicurezza ricevute in precedenza da entrambe le parti – in quello che MSF definisce “un evidente abuso dell'azione umanitaria a scopi militari''. Gli attacchi, sempre secondo MSF sarebbero stati sferrati con sistematicità in ognuno dei siti in cui si stava realizzando la campagna di vaccinazioni.

Riguardo gli sfollati, una nota diffusa il 26 gennaio 2010 dall’UNICEF ha reso noto che nella provincia del Nord Kivu migliaia di civili sono stati costretti negli ultimi due mesi a lasciare le proprie case in fuga dalle operazioni militari e dagli atti di banditismo e saccheggio. Dal dicembre dello scorso anno, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha registrato 15.508 nuovi sfollati interni che hanno cercato rifugio e nelle dozzine di campi gestiti dall’UNHCR. Quest’ultima ondata di spostamenti forzati porta la popolazione dei campi a 116mila sfollati interni. L’UNHCR gestisce 47 campi per sfollati nella regione.

Anche in questo caso i dati sono incompleti perché molti dei nuovi sfollati, come accennato, avrebbero trovato rifugio nei boschi e presso altre famiglie. Le stime dicono che il numero totale di sfollati interni nelle province orientali della RDC si aggirerebbe intorno ai 2,1 milioni di persone.

La missione dell'ONU

Il 23 dicembre 2009 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 1906 con la quale ha prorogato il mandato della missione MONUC (Mission de l’Organisation des Nations Unies en RD Congo) fino al 31 marzo 2010.

MONUC è la seconda più grande missione messa in campo dalle Nazioni Unite (al primo posto UNAMID, in Darfur) ed è autorizzata ad impiegare fino a 19.815 militari, 760 osservatori militari e oltre 1.400 appartenenti alle forze di polizia. La risoluzione pone tra le priorità di MONUC quella di assicurare la protezione dei civili, oltre al disarmo, la smobilitazione dei gruppi armati e il rimpatrio dei gruppi armati stranieri.

Il rinnovo del mandato per soli cinque mesi sta ad indicare, secondo l’ONU, la consapevolezza diffusa che è necessaria un’ampia revisione del ruolo di MONUC, oltre a mostrare attenzione verso la crescente preoccupazione manifestata dal governo di Kinshasa circa la presenza di tale missione. Il Presidente Kabila aveva chiesto un piano di ritiro delle truppe entro il 30 giugno, in coincidenza con il 50° anniversario dell’indipendenza della DRCongo.

Il 16 dicembre 2009, in un briefing al Consiglio di sicurezza, Alan Doss, Rappresentante speciale del Segretario generale nella RDC e responsabile di MONUC, aveva riferito che le manovre militari condotte con l’esercito congolese (Kimia II), durate nove mesi,''hanno avuto ampio successo anche se riconosciamo che hanno avuto conseguenze umanitarie molto gravi''. Doss aveva anche aggiunto che i ribelli dell’FDLR continuano a costituire una grande minaccia.

Ma il citato Rapporto di HRW pubblicato qualche giorno prima sembra attribuire a MONUC delle responsabilità più rilevanti. Secondo HRW, MONUC avrebbe fornito un supporto fondamentale all’operazione Kimia II, ma avrebbe sottovalutato alcuni elementi cruciali contenuti nel parere giuridico espresso il 13 gennaio 2009 dall’Ufficio Affari legali dell’ONU e non avrebbe fissato le condizioni per il rispetto del diritto umanitario internazionale, come stabilito nel suo mandato, prima di cominciare le attività di supporto alle operazioni.

Del resto, nei primi giorni dello scorso mese di novembre, Alain LeRoy, il capo del Dipartimento ONU per le operazioni di peacekeeping in seguito ad una visita in Congo aveva dichiarato che la collaborazione con Kimia II era un compito complesso, proprio in riferimento all’aspetto della protezione della popolazione civile che fa parte del mandato di MONUC. LeRoy aveva anche annunciato che investigatori di MONUC avevano riscontrato l’uccisione di almeno 62 civili nell’area di Lkweti da parte di soldati dell’esercito regolare e che MONUC avrebbe dovuto sospendere le attività di sostegno alla 213a Brigata dell’esercito congolese implicata in tali crimini.

La BBC online in una notizia del 29 aprile 2009, rivela l’esistenza di rapporto interno dell’esercito congolese, datato 4 aprile 2009, cui un corrispondente della BBC avrebbe avuto accesso, che comprova l’assegnazione al generale Bosco Ntaganda di un ruolo chiave nella catena di comando delle operazioni militari condotte con il supporto di MONUC. Nel documento citato dalla Bbc si affermava che l'ex leader ribelle aveva infatti l’incarico di vice coordinatore della missione Kimia II e partecipava quindi a tutte le riunioni di coordinamento, così come alle operazioni col ruolo di consigliere del comandante. Questo avveniva nonostante MONUC si fosse impegnata a non servirsi di alcuna persona sospettata di crimini di guerra mentre Ntaganda è inseguito dal 2008 da un mandato di arresto della Corte penale internazionale.

I Vertici di MONUC, tuttavia, avevano negato l’esistenza di tale rapporto.

L’Operazione Kimia II terminata il 31 dicembre 2009 ha lasciato il posto alla nuova operazione Amani Leo, le cui linee di azione sono state illustrate da Alan Doss nel citato briefing del 16 dicembre. I principali obiettivi della nuova operazione sono quelli di proteggere la popolazione civile, ripulire le aree strategiche occupate dai militari ribelli, prendere il controllo dei territori liberati dalla presenza dell’FDLR e assistere il governo congolese a ripristinare l’autorità dello Stato in queste zone.

La missione dell'Unione europea

EUPOL RD CONGO, la missione dell’Unione europea di sostegno alla riforma del settore della sicurezza, lanciata nel 2007, ha dispiegato due “antenne”, una a Goma (Nord Kivu) e l’altra a Bukavu (Sud Kivu) per contribuire al processo di stabilizzazione della regione. I due team operano prevalentemente nei settori di polizia, dei diritti umani, della protezione dei bambini, dell’uguaglianza di genere e della lotta alla violenza sessuale.

La missione dell’Unione europea organizza periodicamente attività di formazione: dal 9 al 20 novembre 2009, ad esempio, EUPOL ha organizzato un corso per la formazione di ufficiali di polizia giudiziaria del corpo di polizia nazionale congolese del Nord e Sud Kivu. Il corso aveva per tema la preparazione degli ufficiali di polizia nel campo della lotta contro la violenza sessuale.

Gli aiuti dall'Italia

L’on Margherita Boniver, inviato speciale del ministro degli Esteri per le emergenze umanitarie e le situazioni di vulnerabilità, si è recata a Goma l’8 gennaio 2010 dove ha inaugurato il reparto di pediatria di urgenza e neonatologia dell'ospedale generale di Goma e il centro sociale Don Bosco Maison Gahinja per l'accoglienza dei bambini di strada. Entrambe le strutture sono frutto dell’impegno profuso dalla cooperazione italiana negli ultimi anni.  

A seguito della crisi del 2008, il Ministero degli esteri ha effettuato donazioni all’UNHCR per un totale di 900 mila euro: 400 mila euro erano destinati agli aiuti di prima necessità agli sfollati con fondi dell’Ambasciata italiana a Kinshasa che ha operato in collaborazione con UNHCR; 500 mila euro sono stati destinati al soccorso dei civili in fuga verso l’Uganda.


  • [1] Rapporto del Gruppo di esperti sulla DRC al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, 15 luglio 2004 (S/2004/55)