La disciplina degli OGM
La commercializzazione e sperimentazione di OGM in Europa sono disciplinate in primo luogo dalla direttiva 2009/41/CE[1] che regola l'impiego confinato di microrganismi geneticamente modificati in modo da limitare le possibili conseguenze negative sulla salute umana e sull'ambiente. Il provvedimento, diretto in particolare a prevenire gli incidenti e consentire il controllo dei rifiuti, è stato recepito con il D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 91.
La materia è altresì regolata dalla Direttiva 2001/18/CE[2] concernente l'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati, che include la loro immissione in commercio ovvero la messa a disposizione di terzi, dietro compenso o gratuitamente, all'interno della Comunità. Tale direttiva è stata recepita in Italia dal D.lgs. 8 Luglio 2003, n. 224.
Successivamente sono stati pubblicati nuovi Regolamenti relativi alla commercializzazione, tracciabilità ed etichettatura degli ogm che integrano la prima regolamentazione dei novel food della fine degli anni ’90: il Regolamento 1829/2003/CE che istituisce procedure comunitarie per l'autorizzazione e vigilanza degli alimenti e mangimi geneticamente modificati (prodotti "da" un OGM, ma non quelli "con" un OGM) e stabilisce norme per l'etichettatura di tali alimenti e mangimi; e il Regolamento 1830/2003/CE che istituisce un quadro normativo per la tracciabilità dei prodotti contenenti OGM e degli alimenti e dei mangimi ottenuti da OGM, che oltre a facilitare un’accurata etichettatura è diretto ad agevolare l'attuazione di misure di gestione del rischio, incluso il ritiro di prodotti dal mercato.
Le disposizioni sanzionatorie delle violazioni dei detti regolamenti sono state approvate con il D.lgs. 21 marzo 2005, n. 70.
Va infine detto nel 2001, in attuazione delle direttive 98/95/CE e 98/96/CE, è stato adottato il D.lgs. 212/2001 il quale prevede, in apparente contrasto con la normativa comunitaria (ove si prevede che le varietà OGM autorizzate a livello europeo possano liberamente circolare su tutto il territorio comunitario), che la messa in coltura di prodotti sementieri contenenti OGM sia soggetta ad autorizzazione del Ministero delle politiche agricole e forestali, di concerto con i Ministri dell’ambiente e della salute, sulla base di un parere tecnico previamente espresso da una Commissione di esperti (12 membri) di nomina ministeriale e regionale (art.1, co.2).
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Il procedimento di autorizzazione degli ogm
Il d.lgs n. 224/2003, basato sul principio di precauzione, stabilisce le misure volte a proteggere la salute umana, animale ed ambientale, relativamente alle attività di rilascio di OGM definiti come organismi, diversi dall'essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto si verifica in natura mediante accoppiamento o incrocio o con la ricombinazione genetica naturale), con riferimento alla:
L'organo competente alla verifica e rilascio dei provvedimenti autorizzativi è individuato nel Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, d'intesa, per quanto di rispettiva competenza, con i Ministri della salute, del lavoro e delle politiche sociali, delle politiche agricole e forestali, delle attività politiche e dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
Chiunque intende effettuare un'emissione deliberata nell'ambiente di un OGM è tenuto a presentare preventivamente una notifica all'autorità nazionalecompetente, accompagnato da:
a) un fascicolo tecnico con le informazioni dettagliate riportate all' allegato III;
b) la valutazione del rischio ambientale;
c) la valutazione del rischio per l'agrobiodiversità, i sistemi agrari e la filiera agroalimentare.
Ricevuta la notifica, l'Autorità nazionale competente effettua un’istruttoria preliminare, al termine della quale ne trasmette copia ai Ministeri della salute e delle Politiche agricole e forestali, all'APAT (Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici) ed alle Regioni e Province Autonome competenti.
E' prevista anche una procedura di consultazione ed informazione pubblica.
Si provvede, poi, allo scambio di informazioni con la Commissione europea e le autorità competenti degli altri Stati membri, mentre viene inviata al notificante ed alla Commissione europea la relazione di valutazione. Si rilascia, quindi, al notificante, l'autorizzazione scritta all'emissione e si stabiliscono i requisiti di etichettatura ed imballaggio.
Qualora necessario, gli organi di competenza possono, con provvedimento d'urgenza, limitare o vietare temporaneamente l'immissione sul mercato, l'uso o la vendita sul territorio nazionale di un OGM.
L'Autorità nazionale competente invia alla Commissione europea una sintesi di ogni notifica ricevuta e anche delle decisioni definitive adottate nei confronti delle stesse, includendovi le eventuali ragioni per le quali una notifica è stata respinta.
L'Autorità nazionale competente una volta l'anno trasmette alla Commissione europea un elenco degli OGM il cui rilascio è stato autorizzato mediante le procedure differenziate e semplificate, quindi degli OGM i cui rilasci non sono stati autorizzati.
Presso l'autorità nazionale competente è istituito un pubblico registro informatico dove sono annotate le localizzazioni degli OGM emessi. Un sistema analogo è istituito presso le Regioni e le Province Autonome, al fine di annotarvi le localizzazioni degli OGM coltivati per il monitoraggio di eventuali loro effetti.
Chiunque coltiva OGM deve comunicare alle Regioni e Province Autonome competenti per territorio la localizzazione delle coltivazione e conserva per dieci anni le informazioni relative agli OGM coltivati ed alla loro localizzazione.
Contestualmente, deve apporre adeguati cartelli di segnalazione che indicano chiaramente la presenza di OGM.
Soglie di tolleranza
I regolamenti CE 1829/2003 e 1830/2003 prevedono due soglie di tolleranza in caso di contaminazione accidentale:
• per gli OGM autorizzati, lo 0.9 %;
• per gli OGM non autorizzati - ma oggetto di una positiva valutazione da parte delle autorità scientifiche competenti - lo 0.5%, in osservanza di quanto previsto dall'art. 47 del reg. CE 1829/2003 e solo per un periodo transitorio valido fino al 19 aprile 2007.
Etichettatura
Ai sensi dell'art. 21 della direttiva 2001/18/CE come modificata dall'art. 7 del reg. CE 1830/03 cit. concernente la tracciabilità e l'etichettatura di alimenti e mangimi geneticamente modificati, in tutte le fasi di immissione sul mercato, lo Stato membro deve presentare etichettature ed imballaggi conformi alle specifiche indicate nelle relative autorizzazioni.
Per i prodotti per i quali non possono essere escluse tracce non intenzionali e tecnicamente inevitabili di OGM autorizzati (la dimostrazione è a carico del produttore), il regolamento CE fissa nella soglia dello 0.9 % il limite di contaminazione al di sotto del quale tali prodotti non devono essere etichettati, fatta salva la disciplina in materia di sementi.
Sono esenti da obbligo di etichettatura i prodotti animali e/o di origine animale (es. carne, uova, prodotti lattiero-caseari) che derivano da animali nutriti con mangimi geneticamente modificati o curati con medicinali GM nonché gli alimenti ottenuti con l'ausilio di coadiuvanti tecnologici geneticamente modificati utilizzati nei processi di trasformazione delle materie prime alimentari (ad es. lieviti, batteri, enzimi geneticamente modificati).
Per la legislazione nazionale si veda il sito del Ministero dell’ambiente http://bch.minambiente.it/IT/Legislazione/comunitaria%20e%20nazionale/index.asp
Per la legislazione regionale si veda il link
http://bch.minambiente.it/IT/Legislazione/regionale/index.asp
La coesistenza tra agricoltura convenzionale, biologica e transgenica
A completamento del quadro legislativo sopra delineato, l'Italia ha emanato il D.L. n. 279/2004 «Disposizioni urgenti per assicurare la coesistenza tra le forme di agricoltura transgenica, convenzionale e biologica (convertito con modificazioni dalla L. n. 5/2005), con il quale è stata data attuazione alla raccomandazione della Commissione 2003/556/CE.
Il principio ispiratore del legislatore nazionale è quello di evitare che l’adozione di una qualsiasi metodologia colturale possa compromettere lo svolgimento delle altre pratiche colturali, stabilendo pertanto che l’introduzione di colture transegiche avvenga non solo senza recare pregiudizio alle attività preesistenti, ma anche senza comportare la necessità di modificare o adeguare le normali tecniche di coltivazione e allevamento (art. 2).
Per consentire poi una scelta reale tra i diversi prodotti (convenzionali, biologici, transgenici), tanto da parte degli agricoltori quanto dei consumatori - tenuto conto che nel corso del processo di produzione i semi ed il polline possono essere trasportati a grande distanza e che nelle successive fasi di raccolta, trasporto e stoccaggio dei prodotti vegetali non si può escludere la contaminazione - viene fatto obbligo di praticare le colture transgeniche all'interno di filiere separate rispetto a quelle convenzionali o biologiche.
Il decreto legge aveva inoltre introdotto (art.8) una sostanziale moratoria sull’utilizzo di OGM in agricoltura nel nostro Paese, destinata ad essere rimossa solo quando tutte le regioni avessero adottato i Piani regionali di coesistenza tra colture tradizionali, biologiche e transgeniche (ossia le regole tecniche volte ad evitare ogni forma di commistione e ad assicurare la separazione delle filiere). I Piani di coesistenza dovevano essere redatti nel rispetto delle norme quadro definite con decreto del Ministro agricolo sulla base di linee-guida disposte da un apposito Comitato di esperti.
Tuttavia la sentenza della Corte costituzionale n. 116 del 2006 ha dichiarata l’illegittimità di numerose disposizioni del decreto-legge, annullando nella sostanza tutte le norme funzionali all’adozione dei Piani di coesistenza regionali (Comitato consultivo, linee-guida, DM-quadro, Piani di coesistenza e relative sanzioni) in quanto lesive delle competenze legislative regionali.
Il decreto pertanto appare ora significativamente ridimensionato, mentre alle regioni è stata riconosciuta la piena ed immediata competenza in materia, anche in ordine all’uso di OGM.
Tuttavia, nonostante la dichiarazione di illegittimità costituzionale del decreto-legge n.279/2004 (e conseguentemente del venir meno della “moratoria formale“ ivi prevista), sul territorio nazionale non vengono attualmente coltivati OGM (“moratoria sostanziale”), in quanto nessuna autorizzazione è stata rilasciata sulla base del decreto legislativo n.212 del 2001; la coltivazione, assai contenuta, è realizzata ai soli fini di ricerca.
Giurisprudenza sugli Ogm
Con la sentenza n. 183 depositata in data 19 gennaio 2010, il Consiglio di Stato ha accolto l'appello di un’azienda agricola in relazione al diniego da parte del MIPAAF di procedere all’istruttoria sulla richiesta di autorizzazione alla messa in coltura di varietà di mais geneticamente modificate iscritte nel catalogo comune europeo, motivato con la mancata adozione, da parte delle regioni, delle norme idonee a garantire la coesistenza tra colture convenzionali, biologiche e transgeniche (piani regionali). Il Consiglio di Stato ha precisato che: “il rilascio dell’autorizzazione alla coltivazione non può essere condizionato alla previa adozione dei piani di coesistenza. Pertanto, non si può ritenere che in attesa dei c.d. piani di coesistenza regionali, venga meno l’obbligo di istruzione e conclusione dei procedimenti autorizzatori”. Alla luce di ciò il MIPAAF dovrà attivare il procedimento finalizzato alla verifica delle condizioni per il rilascio dell'autorizzazione richiesta, previo parere della Commissione per i prodotti sementieri geneticamente modificati. Sulla questione il sottosegretario Buonfiglio ha risposto all’interrogazione a risposta immediata 5-02572 Cenni nella seduta della Commissione Agricoltura della Camera del 10 marzo 2010.
Il TAR del Lazio con sentenza n. 2378/2010, depositata il 17 febbraio 2010, ha accolto i ricorsi proposti dalla Soc Monsanto Agricoltura Italia Spa in relazione alla mancata risposta del MIPAAF alle istanze finalizzate ad ottenere l’iscrizione nel registro nazionale delle varietà di specie agrarie di mais geneticamente modificati nonché la messa in coltura di ulteriori ibridi di mais. La sentenza ha negato la legittimità della posizione del Ministero secondo cui il rilascio delle autorizzazioni sarebbe subordinato all’attuazione da parte delle Regioni del principio di coesistenza tra colture tradizionali, biologiche e transgeniche di cui al decreto legge n. 279/2004. Il Tar ha precisato che “il citato Dicastero deve farsi carico del rispetto della disposizione contenuta nell’art. 2 del D.L. n. 279/2004 disciplinando, anche in via diretta, le modalità con cui garantire la compresenza delle diverse colture in uno stesso territorio, in forza del potere sostitutivo ancora riconosciuto allo Stato dall’art. 117, comma 5, della Cost. in caso di mancata attuazione degli obblighi comunitari riguardanti non solo la necessità di evitare limitazioni nella utilizzazione e nella circolazione di OGM ma anche di salvaguardare la biodiversità dell'ambiente naturale, garantire la libertà di iniziativa economica, il diritto di scelta dei consumatori e la qualità e la tipicità della produzione agroalimentare nazionale”.
[1] Dir. 6 maggio 2009, n. 2009/41/CE sull'impiego confinato di microrganismi geneticamente modificati (di rifusione della Direttiva 90/219/CE).
[2] Tale direttiva ha abrogato la precedente direttiva n. 90/220/CEE.