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Temi dell'attività Parlamentare

La situazione politica iraniana e i rapporti con la Comunità internazionale

 

La contesa che contrappone l’Iran alla Comunità internazionale riguarda un processo (l’arricchimento dell’uranio, fase principale del ciclo di produzione del combustibile nucleare) che non è – di per sé - proibito dal Trattato di non proliferazione del 1968 (TNP), in quanto esso è sì necessario per la fabbricazione di ordigni nucleari, ma lo è anche per la produzione di energia.

Tuttavia, il problema ha origine da violazioni accertate da parte dell’Iran degli obblighi internazionali in materia nucleare che risalgono ormai a diversi anni fa. Infatti nel 2002 - grazie alla denuncia di un gruppo dissidente – la Comunità internazionale seppe dell’esistenza di due impianti tenuti fino ad allora segreti dalle autorità di Teheran: ad Arak, un reattore ad acqua pesante ed a Natanz, un impianto per l’arricchimento dell’uranio. Tali attività non erano state notificate all’ Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), come prescritto dal Trattato.

Nel 2003 (quindi durante la presidenza Khatami) l’Iran, anche per reagire al discredito internazionale derivato dalla clamorosa scoperta, si impegnò a sospendere ogni attività di arricchimento dell’uranio. 

L’ascesa di Ahmadinejad alla Presidenza della Repubblica islamica nell’agosto del 2005 e il suo dichiarato proposito di riprendere le attività di arricchimento dell’uranio su larga scala ha destato allarme nella Comunità internazionale.

In ogni caso, i fattori su cui sembra convergere un consenso internazionale sono due. Da un lato la fase critica che attraversa già oggi il processo di non-proliferazione (crescenti critiche alle potenze del club nucleare per il mancato disarmo; indizi convergenti di una intensificazione del contrabbando di materiale nucleare, pressioni proliferatrici costanti): in questo contesto il raggiungimento dell’obiettivo da parte dell’Iran potrebbe rappresentare un colpo definitivo per il TNP. Inoltre, data la rete di rapporti dell’Iran con gruppi armati in tutto il Medio Oriente, il possesso di armi nucleari potrebbe amplificare il rischio (già alto) del trasferimento di tecnologie nucleari ad organizzazioni terroristiche.

Pur aderendo, fin dal 1970, al Trattato di Non proliferazione (TNP), l’Iran non ha garantito il pieno accesso degli ispettori dell’AIEA ad alcune infrastrutture regolarmente denunciate, ed ha in un primo tempo accolto, ma in seguito apertamente disatteso, l’invito della stessa AIEA a sospendere il proprio programma di arricchimento dell’uranio.

Sin dal febbraio 2003, l’AIEA ha confermato l’esistenza in Iran di un avanzato programma nucleare; da allora ha cominciato a diffondersi il sospetto che tale programma avesse in realtà una segreta destinazione militare. Da parte sua, Teheran ha sempre sostenuto che gli scopi del programma di nuclearizzazione sono pacifici.

Va comunque tenuto presente, su un piano più generale, che la questione delle attività nucleari dell'Iran non può venire disgiunta dal peso che dall'eventuale conseguimento di un armamento nucleare l'Iran stesso è portato ad attribuire in termini di incremento della propria influenza regionale. È noto infatti come l'Iran sia il principale sponsor di movimenti come lo sciita Hezbollah in Libano e il sunnita Hamas in Palestina, mediante i quali esercita di fatto un'influenza rilevante in entrambe le situazioni, con il costante obiettivo di erodere le posizioni di forza di Israele.

L’obiettivo forse più importante per l’Iran è però quello di porsi come modello - pur non essendo storicamente l'Iran un paese arabo - per le aspirazioni di vaste masse islamiche dei paesi arabi, che nell’Iran possono vedere un'alternativa interessante e credibile al predominio di consolidate oligarchie nei rispettivi paesi. In altri termini, ben al di qua del catastrofico scenario di un'effettiva utilizzazione delle armi nucleari, si intende sostenere che sarebbe assai più difficile contrapporsi alla crescita dell'egemonia nella regione, ovvero alle azioni poste in essere da movimenti che siano appoggiati dall'Iran, qualora il possesso di armi nucleari da parte di quest'ultimo rendesse a priori impossibile ogni azione di forza contro il suo territorio.

Altrettanto importante è tuttavia il legame della questione nucleare con le dinamiche politiche interne del regime di Teheran: premesso che il conseguimento di una autonoma capacità nucleare del paese appare obiettivo largamente condiviso anche nei diversi schieramenti politici, il cammino evidentemente tormentato, anche dal punto di vista iraniano, per giungervi, si modula di volta in volta sugli equilibri politici esistenti e le loro immediate prospettive. Tutto ciò non va inteso semplicisticamente nel senso che una leadership moderata e riformista, come ad esempio quella passata di Khatami, sia automaticamente più propensa ad una trattativa con la Comunità internazionale in merito al nucleare, poiché in tal modo si dimenticherebbe la popolarità che tale questione riveste nei vari strati del paese.

E’ forse meglio porre al centro dell'osservazione il livello di stabilità percepito dalle forze al potere, le quali solo in caso di un forte consolidamento della loro posizione potrebbero permettersi di concedere aperture, che in ogni caso provocherebbero critiche. Viceversa, in una situazione di instabilità dei gruppi dirigenti - come incidentalmente sembra quella attuale - è assai arduo che questi possano crearsi ulteriori difficoltà in ragione di una maggiore collaborazione con l'AIEA e la Comunità internazionale.

 

Le sanzioni ONU

Dopo una serie di tentativi di mediazione frustrati dal reiterato diniego iraniano di collaborazione con l’AIEA, il Consiglio di Sicurezza dell'ONU approvava quattro successivi regimi di sanzioni contro il programma nucleare:

Dicembre 2006 – UNSCR 1737: sancisce il divieto di vendita o trasferimento di qualsiasi materiale relativo al programma nucleare inclusi la componentistica e l’equipaggiamento che potrebbe avere applicazioni militari (materiale dual use). Inoltre la risoluzione esorta a congelare i beni di individui e società considerati legati al programma nucleare e in particolare all’attività di arricchimento.

Marzo 2007 – UNSCR 1747: Colpisce anche il programma balistico, la banca Sepah, e congela i beni di persone fisiche e società (riconducibili ai Pasdaran) connesse al programma nucleare. Proibisce l’importazione e l’esportazione di armi da e per l’Iran.

Marzo 2008 – UNSCR 1803: La risoluzione 1803, prevede un inasprimento dell’embargo commerciale che comprende ora la tecnologia dual use (prodotti che hanno impiego sia civile sia militare), un più severo regime di ispezioni delle merci in entrata e in uscita dal Paese, il congelamento dei conti appartenenti ad alcune banche e società iraniane ed il divieto di rilascio di visti d’entrata al personale impiegato nel programma nucleare. La 1803 inoltre estende la lista di persone connesse al programma da monitorare (congelamento dei beni e interdizione dai voli internazionali).

Le iniziative internazionali per una soluzione negoziata sono state rilanciate nel giugno 2008 dal gruppo dei paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (USA, Russia, Gran Bretagna, Francia e Cina) e dalla Germania (c.d. gruppo “5+1”), che hanno definito alcune proposte di mediazione. Tali proposte rappresentano il frutto dell’iniziativa congiunta di americani ed europei e derivano dalla decisione degli USA di ammorbidire le proprie posizioni intransigenti. In cambio di un pacchetto di incentivi il gruppo “5+1” ha chiesto all’Iran di rinunciare alla prosecuzione delle attività di arricchimento di uranio. L’Alto Rappresentante dell’Unione europea, Javier Solana, ha presentato in quella circostanza una serie di proposte riguardanti la cooperazione nel settore della costruzione di centrali ad acqua leggera di ultima generazione per scopi civili, quello delle infrastrutture, l’aviazione civile, lo sviluppo umano e l’assistenza umanitaria.

A queste richieste, Teheran ha risposto da un lato dichiarandosi ufficialmente non legata a nessun tipo di scadenza nello svolgimento del negoziato e, dall’altro, con il lancio di nuovi missili, in grado di colpire Israele, durante manovre militari effettuate nel Golfo dai Guardiani della rivoluzione.

Il 23 giugno 2008 il Consiglio dell’Unione europea, con la decisione n. 475, ha adottato una nuova serie di provvedimenti restrittivi dell’operatività del sistema finanziario iraniano, volti a sottrarre fonti di finanziamento ai programmi nucleari del paese.

Le sanzioni europee contro il regime iraniano hanno colpito ancora una volta il sistema finanziario e ampliano la lista degli individui, ricercatori e militari del corpo dei Guardiani della rivoluzione, che sarebbero coinvolti nel programma nucleare e balistico iraniano.

Con l’avvento della nuova Amministrazione statunitense, anche in consonanza con quanto anticipato da Barack Obama durante la campagna elettorale, è cresciuta l’aspettativa per un atteggiamento meno rigido nei confronti di Teheran: così ad esempio la riunione del “gruppo 5+1” del 4 febbraio 2009 ha salutato con favore l’intenzione del nuovo Presidente di avviare un dialogo costruttivo con l’Iran, pur richiamando quest’ultimo ad ottemperare finalmente alle richieste dell’ONU. La risposta iraniana è stata ancora una volta di rivendicazione del proprio diritto a perseguire autonomamente la strada dell’energia nucleare, nel pieno esercizio della sovranità nazionale.

Tuttavia, le speranze di una ripresa costruttiva dei negoziati sono state già nei giorni precedenti offuscate dall’annuncio, durante il G-20 di Pittsburgh, dell'esistenza nei pressi della città santa iraniana di Qom di un altro impianto per l'arricchimento dell'uranio - del quale gli americani erano per loro ammissione a conoscenza già da due anni -, di cui solo pochi giorni prima, consapevoli di essere stati scoperti, gli iraniani avevano dato una generica notifica all'AIEA.

L'Iran è stato accusato di aperta violazione delle regole internazionali in materia di non proliferazione, e si è visto richiedere l'immediata disponibilità a consentire agli ispettori dell'AIEA l'accesso al nuovo sito nucleare.

Tre giorni dopo, il 28 settembre, data che nel 2009 coincideva con lo Yom Kippur ebraico, i pasdaran iraniani hanno proceduto al lancio sperimentale di due tra i missili più potenti in loro possesso, capaci di raggiungere obiettivi ben oltre mille km, e dunque agevolmente anche il territorio israeliano.

Nonostante queste premesse, l'appuntamento del 1º ottobre a Ginevra è sembrato aprire prospettive positive, poiché ha registrato anzitutto il primo incontro bilaterale tra Iran e Stati Uniti dopo trent’anni, e il disgelo dei rapporti con il Gruppo 5+1. L'Iran si è dimostrato disponibile a favorire un’ispezione dell’AIEA all'impianto di Qom in tempi brevissimi, ma soprattutto ha accettato la prospettiva di esportare il proprio uranio per consentirne l'arricchimento all'estero, con i relativi controlli sulla esclusiva destinazione civile. È stato inoltre fissato un nuovo incontro per la fine del mese di ottobre.

L'atmosfera positiva ristabilitasi è sembrata proseguire per diverse settimane. Alla fine di ottobre però l’Iran cominciava a porre alcune condizioni, anzitutto quella di non inviare tutto l'uranio previsto se non gradualmente, in diverse spedizioni: ma la posizione di Teheran emergeva a tutto tondo il 7 novembre, quando il capo della Commissione per la sicurezza nazionale e la politica estera dell'Iran ha escluso completamente la possibilità di dar seguito alla bozza di accordo con l’AIEA.

Il 18 novembre la presa di posizione negativa di Teheran veniva ribadita autorevolmente dal ministro degli esteri Mottaki, che avanzava la controproposta di tenere l'uranio nel paese, seppure sotto supervisione, in cambio dell’immediata consegna di combustibile atomico per gli impieghi nel campo della sanità.

L'atteggiamento complessivo dell'Iran - diveniva chiaro - era quello dell'alternanza di aperture e di dilazioni, ma nella direzione sostanziale di un rifiuto delle proposte della Comunità internazionale.

L’AIEA ha diffuso un ulteriore rapporto il 18 febbraio 2010, il primo da quanto l’Agenzia è sotto la guida del nuovo direttore, il giapponese Yukiya Amano. Per la prima volta, notano i cronisti e gli esperti, l’AIEA prende una posizione netta sul controverso programma nucleare iraniano, menzionando la preoccupazione circa la possibilità che l'Iran stia effettivamente lavorando alla produzione di una testata nucleare. I rappresentanti dei 35 Paesi che fanno parte del Consiglio dei governatori che ha successivamente esaminato il rapporto, ne ha deciso il rinvio al Consiglio di sicurezza dell’ONU.

Solo pochi giorni prima, il 6 febbraio, Ahmadinejad aveva ordinato al direttore dell’Agenzia atomica iraniana, Ali Akbar Salehi, di procedere all’arricchimento dell’uranio al 20%. L’annuncio, considerato una nuova provocazione nei confronti delle potenze occidentali che stavano tentando di mettere un freno alla corsa nucleare di Teheran, è arrivato proprio nei giorni nei quali l’accordo proposto dal gruppo 5+1 sembrava finalmente realizzabile.

I continui e repentini cambiamenti di posizione di Ahmadinejad – sempre oscillanti tra aperture alla possibilità di fare arricchire il proprio uranio all’estero e la rivendicazione intransigente dell’arricchimento in proprio – ha prodotto negli ultimi mesi un sempre maggiore consenso internazionale verso l’adozione di nuove misure sanzionatorie per fare pressione sul regime iraniano.

Le lunghe trattative condotte dagli Stati Uniti, soprattutto nei confronti delle due potenze più riluttanti, Russia e Cina, entrambe con diritto di veto nel Consiglio di sicurezza, si sono finalmente tradotte in una proposta che tutti i paesi del gruppo 5+1 hanno accettato di discutere per la prima volta in una conference call il 25 marzo 2010. Proprio il giorno precedente alla prima stesura della bozza di risoluzione, tuttavia, l’Iran aveva siglato con Turchia e Brasile un accordo che prevedeva lo scambio, da realizzarsi in territorio turco, di 1.200 kg di uranio iraniano debolmente arricchito (al 3,5%) con 120 kg di barre di combustibile nucleare (arricchito al 20%), destinate ad un reattore per la ricerca medica di Tehran (17 maggio 2010).

L’approvazione del quarto regime di sanzioni ONU (UNSCR 1929) del giugno 2010 da parte dei cinque membri permanenti è stata resa possibile dall'eliminazione dei riferimenti al comparto energetico e dai frenetici colloqui fra la diplomazia americana e quelle di Russia e Cina. I due principali alleati della Repubblica Islamica, come per le sanzioni precedenti, hanno così mitigato significativamente l’intenzione occidentale di allargare il regime sanzionatorio al settore petrolifero e a quello creditizio.

Inoltre, il fatto che Turchia e Brasile si siano fatte portatrici di una soluzione alternativa alle sanzioni - respinta dai 5+1(Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania, Russia e Cina) poiché non fornisce sufficienti garanzie – oltre a rappresentare un sintomo dell’ascesa di queste nazioni e delle ambizioni che queste hanno sullo scacchiere internazionale, ha rischiato di minare la credibilità dei 5+1 e di comportare per Stati Uniti e UE che spingevano per un quarto round di sanzioni ONU una perdita di potere negoziale.

Giugno 2010 – UNSCR 1929: La risoluzione aggiunge un individuo e alcune “entità” alla blacklist precedente. La maggior parte delle società colpite da sanzioni sono connesse alla Difesa e ai Pasdaran, mentre le altre sono legate direttamente a IRISL (Islamic Republic of Iran Shipping Line), la Marina mercantile del Paese, già saldamente in mano ai Pasdaran. La risoluzione introduce un nuovo meccanismo per le ispezioni dei cargo da e per l’Iran alla ricerca di materiali illeciti e fa appello a tutte le nazioni per l’abbordaggio di navi sospette dirette nel Paese. Inoltre, più dei precedenti regimi sanzionatori, la 1929 mira ad impedire l’approvvigionamento di componenti per il programma balistico, mentre vi sono clausole specifiche nel testo della risoluzione che si riferiscono al settore militare e proibiscono la vendita di armi pesanti (elicotteri d’assalto e missili). Il quarto regime di sanzioni contro l’Iran restringe altresì la libertà finanziaria del regime andando a colpire mediante l’interdizione all’espatrio ed il congelamento dei beni individui, società e istituti di credito, che la Comunità internazionale ritiene fondamentali per i programmi nucleare e balistico.

 

Le sanzioni bilaterali

USA

A livello bilaterale, il Senato e la Camera dei Rappresentanti USA hanno già approvato a fine 2009 una legge che autorizza il Presidente a estendere le sanzioni contro società che esportano carburante in Iran o che lo assistono nel colmare il suo deficit di raffinazione. La legislazione di fatto proibisce a queste società di fare affari anche in America, precludendo loro il mercato più proficuo al mondo.

Da quando Washington ha deciso di percorrere la via delle sanzioni bilaterali, molti alleati hanno deciso di fare lo stesso fra cui, UE, Canada, Australia, Giappone e Corea del Sud. L’obiettivo di tutte queste sanzioni, che vanno ben oltre la risoluzione 1929, è quello di impedire l’accesso al capitale straniero, arrestare l’investimento nel settore energetico iraniano e impedire l’approvvigionamento di componenti per i programmi nucleare e balistico

 

Unione europea

A giugno 2010, il Consiglio dei Ministri degli Esteri dell'UE ha deliberato un nuovo regime di sanzioni bilaterali nei confronti dell’Iran per il suo controverso programma nucleare. Le sanzioni, rese effettive dalla Decisione del Consiglio europeo del 26 luglio 2010, prevedono il divieto all’investimento e in particolare alla fornitura di assistenza tecnica e al trasferimento di tecnologia per quanto riguarda il settore energetico iraniano. Il divieto sarà applicato anche a quelle società che esportano carburante o che assistono il Paese nella raffinazione, mirando a colpire la particolare vulnerabilità dell’Iran, che è uno dei principali produttori di greggio al mondo, ma paradossalmente ha una limitata capacità di raffinazione.

La IRISL e altre società iraniane per il trasporto aereo di merci (air-cargo) non saranno più autorizzate al transito nelle acque territoriali o negli spazi aerei degli Stati membri UE. I Paesi UE si sono impegnati a ispezionare tutti i voli cargo con origine o destinazione in Iran, ad eccezione dei voli misti passeggeri-cargo. Entreranno in vigore anche una serie di restrizioni ad personam nei confronti di membri delle Guardie Rivoluzionarie, i cui beni custoditi nella UE saranno congelati.

Particolare importanza ha anche la moratoria all’erogazione di servizi finanziari al regime iraniano o a società iraniane, ivi incluso la stipulazione di polizze di assicurazione, elemento vitale nel campo dei trasporti internazionali, specie via mare. Per quanto riguarda le banche, l’UE si impegna a monitorare assiduamente le sussidiarie di istituti iraniani sotto la sua giurisdizione, in particolare richiedendo che ogni trasferimento di denaro superiore ai 35mila euro riceva previa autorizzazione e che quelli superiori ai 10mila debbano essere notificati alle autorità. Alle banche iraniane è anche proibito aprire succursali nel blocco dei Ventisette. L’UE ha anche stilato una “lista nera” di 40 individui e 50 società, considerati vicini al regime, i cui beni saranno congelati e i cui spostamenti all’interno del territorio dell’Unione saranno ristretti, soggetti all’approvazione dello Stato membro in questione, o proibiti del tutto.

La pressione finanziaria di USA e UE non si avverte esclusivamente su petrolio e gas: anche importanti banche europee (Deutsche Bank, HSBC, ABN-AMRO, Credit Suisse e altre) hanno preso la decisione di disinvestire dal Paese in seguito a conversazioni con Stuart A. Levey, sottosegretario del Dipartimento del Tesoro per il finanziamento del terrorismo. Questo rende molto difficile al regime ottenere lettere di credito all’estero, crediti all’esportazione, e trasferire fondi dall’Iran e in Iran. Questo sviluppo dimostra come gli USA e l’UE siano pronte ad agire insieme per restringere le risorse finanziarie a disposizione del costoso programma nucleare iraniano.

A seguito delle sanzioni, la Repubblica Islamica è stata costretta a trasferire centinaia di milioni di dollari da banche europee a quelle di Paesi amici, come ad esempio Dubai, al fine di evitarne il congelamento. Dubai, alleato degli Stati Uniti, continua a gestire un ingente volume di affari con Teheran, il cui volume si aggira intorno ai 12 miliardi di dollari. Al contempo rassicura i propri partner occidentali circa la propria adesione alle sanzioni. Dubai rappresenta per l’Iran una delle più efficaci destinazioni (peraltro geograficamente conveniente) per aggirare gli ostacoli delle sanzioni e il piccolo Emirato è da tempo divenuto il gestore non ufficiale di larga parte delle importazioni iraniane. In seguito all’approvazione delle sanzioni, le autorità di Dubai hanno congelato i beni di quattro individui ma si sono astenuti dallo spingersi oltre.

 

La situazione interna

Economia

L'economia iraniana è dominata da una forte mano pubblica che ha come obiettivo l'autosufficienza in molti settori dell'economia. Il mercato risulta quindi in molti casi distorto e ciò genera sprechi, corruzione, eccessiva burocratizzazione e contrabbando. La crescita nel 2009 e nel 2010 è rallentata a causa della crisi economica e finanziaria globale, ma precedentemente si era mantenuta costantemente sopra il 5%.

I flussi commerciali sono dominati dall'export di petrolio e gas, essendo il territorio iraniano (soprattutto la costa occidentale) ricco di risorse energetiche. Paradossalmente, mancando un'industria di raffinazione del petrolio, il Paese è costretto ad reimportare ben il 40% del proprio fabbisogno di benzina e prodotti raffinati. Inoltre il governo, per una questione di consenso interno, è costretto a tenere basso il prezzo domestico degli idrocarburi, spendendo così ben il 12% del PIL nazionale. Nonostante la crisi finanziaria non abbia inciso particolarmente sull'economia iraniana, il prezzo del petrolio è comunque sceso e ciò toglierà fondi alla politica di spesa pubblica degli ultimi anni. Attualmente, con l'aumentare delle proteste nei confronti del regime, un possibile taglio della spesa pubblica, sarebbe ancor più pericoloso e potrebbe aumentare i sentimenti antigovernativi che serpeggiano tra molti strati della popolazione.

I problemi maggiori sono rappresentati da inflazione, sempre a doppia cifra, alimentata dalla dipendenza dall'export di petrolio e dalla generosa spesa pubblica, e disoccupazione, anch'essa a due cifre. L'Iran ha un tasso di crescita della popolazione molto alto (l'età media è inferiore ai 30 anni) e vi è una forte pressione demografica che il mondo del lavoro iraniano non riesce ad assorbire.

 

I diritti umani in Iran

Il ruolo assunto dal potere religioso all'interno della vita politica iraniana e la presenza di forti minoranze nel territorio (Azeri, Baluci, Kurdi) sono caratteristiche che già di per sé costituiscono una terreno per potenziali violazioni dei diritti umani. Il progressivo restringimento delle libertà fondamentali nel corso degli anni ha raggiunto l'apice dopo gli scontri avvenuti nel giugno 2009 a seguito dei risultati elettorali, che hanno confermato per la seconda volta Ahmadinejad quale Presidente.

Se vi sono dubbi sulla regolarità della consultazione elettorale, è invece del tutto certo che il regime iraniano ha fortemente limitato la libera espressione del dissenso, sia nei confronti della popolazione, sia nei confronti dei leader della protesta. Gli scontri del 2009 hanno evidenziato in misura maggiore gli abusi che il regime perpetra nei confronti degli arrestati e dei prigionieri: tra le più frequenti vi è la detenzione arbitraria, la tortura, le amputazioni "giudiziarie", le pubbliche fustigazioni e le pubbliche confessioni di colpevolezza.

Per ciò che riguarda la pena di morte, l'Iran è tra i primi posti per numero di esecuzioni e secondo Amnesty International nel 2009 ve ne sarebbero state 388, delle quali ben 112 tra lo scoppio della protesta del giugno 2009 e l'insediamento del nuovo governo avvenuto il 5 agosto (più di due al giorno). Sempre collegate alle proteste vi sono state forti limitazioni nell'uso di Internet e anche il blocco delle telecomunicazioni mobili. Sono stati istituiti processi farsa e posti sotto maggiore attenzione attivisti e difensori dei diritti umani.

Un caso recente di comminazione di pena capitale ha posto l'Iran nuovamente sotto i riflettori della pubblica opinione: il "caso Sakineh". La vicenda riguarda una donna accusata di adulterio e successivamente di esser complice dell'uccisione del marito. Condannata alla fustigazione e a 10 anni di carcere, successivamente le venne comminata la pena di morte per lapidazione. Grazie alla mobilitazione internazionale la pena è stata sospesa nel settembre 2010, ma il caso rimane pendente.

 

L'Onda verde

L'Onda Verde fa riferimento ad un movimento di protesta sorto dopo i risultati delle elezioni presidenziali del giugno 2009 che richiedeva la destituzione del Presidente Ahmadinejad. I protestanti accusavano il governo di aver modificato il risultato dei conteggi elettorali, dove il candidato riformista Mir Hossein Mousavi superò di poco il 30% delle preferenze, riportando circa la metà dei voti del candidato conservatore Ahmadinejad.

Le dimostrazioni da pacifiche si sono trasformate in violente e la polizia ha reagito incarcerando numerose persone e limitando l'accesso ai mezzi di comunicazione per evitare che le immagini travalicassero i confini nazionali. La repressione è stata eseguita dalla milizia scelta dei Pasdaran, i Basij, i quali hanno dovuto fronteggiare i tumulti più gravi registrati dal Paese dal 1979. Il governo iraniano ha accusato alcuni Stati occidentali, in primo luogo la Gran Bretagna, di aver fomentato attraverso i servizi segreti queste rivolte, le quali alla fine del 2009 avevano portato all'arresto di migliaia di manifestanti ed oppositori politici. Proteste simili ma in tono minore si sono svolte davanti alle maggiori ambasciate iraniane all'estero, ad esempio negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, come pure in Italia.

Il malcontento però non ha attecchito su tutto il territorio e il movimento verde non possiede un reale programma di attuazione politica, né un leader carismatico capace di trasformare questa energia in un consenso politico determinante (molti osservatori non ritengono che né Mousavi né Karoubi abbiano adeguate capacità di leadership). Il movimento però tende ad espandersi e prevale per il momento l'elemento spontaneo. La lunga fase di contestazione sembra aver messo in ombra uno dei pilastri della rivoluzione islamica, ovvero la legittimazione democratica, seppur concessa ad un'élite di esperti giuridico-religiosi. Inoltre all'interno della stessa élite politica e religiosa sembrano nascere le prime divisioni interne che potrebbero preludere ad una rottura del blocco conservator-religioso che fino ad ora ha governato il Paese.

 

Gli ultimi sviluppi

Nel corso della sessione annuale di apertura dei lavori dell’Assemblea Generale dell’ONU, alla fine di settembre 2010 il presidente iraniano Ahmadinejad è tornato a indirizzare accuse infamanti agli Stati Uniti – che pure avevano preannunciato un atteggiamento di apertura verso Teheran -, e in particolare quella di essere responsabili perfino dell’attacco alle Twin Towers del 2001. Se il presidente Obama ha replicato con moderazione, mantenendo sullo sfondo la possibilità del dialogo, gli Stati Uniti hanno però accentuato la pressione per una rigorosa applicazione dei recenti aggravamenti sanzionatori: infatti alla fine di settembre gli USA hanno ottenuto da quattro grandi compagnie petrolifere europee – l’ENI, la Shell, la Total e la norvegese Statoil – l’impegno a porre fine progressivamente ad ogni attività in Iran, rifiutando altresì di impegnarsi in qualsiasi progetto per il futuro. Gli USA sono in grado di ottenere molto dagli ambienti industriali e finanziari internazionali, grazie alla possibilità di precludere a chi non applica seriamente le sanzioni l’accesso al grande mercato statunitense. La pressione sulle compagnie petrolifere mira a provocare effetti pesanti in un Paese come l’Iran che, paradossalmente, importa quasi la metà del carburante, dipendendo per la raffinazione del petrolio – nonché per l’estrazione e la commercializzazione del gas – dalla collaborazione delle aziende occidentali.

Nelle stesse ore, poi, sono state preannunciate da parte americana sanzioni commerciali e finanziarie contro la filiale elvetica della Compagnia petrolifera nazionale dell’Iran, sempre allo scopo di scoraggiare i rapporti di affari con Teheran.

Alla metà di ottobre 2010 vi è stata la visita ufficiale di Ahmadinejad in Libano, nel corso della quale sono stati ribaditi i legami con la vasta parte del Paese dei cedri che segue Hezbollah, ma anche il ruolo centrale degli investimenti iraniani in Libano, assai cresciuti dopo la guerra con Israele del 2006 per le necessità della ricostruzione. Del resto, il recente progressivo rientro del Libano, incluso lo schieramento politico guidato da Saad Hariri, nell’orbita siriana, ha favorito una percezione positiva della visita del presidente iraniano, durante la quale sono stati siglate ulteriori intese economiche per un valore di 450 milioni di dollari.

 

 

Per quanto concerne il dossier nucleare iraniano, a distanza di un anno dal fallimento della ripresa dei negoziati tra Teheran e i Paesi del Gruppo 5+1 (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania), il 15 ottobre 2010 il negoziatore iraniano sul nucleare Jalili e il Ministro degli esteri Mottaki hanno reagito positivamente alla proposta del giorno precedente - fatta trapelare da un portavoce dell'Alto rappresentante UE per la politica estera - di fissare a metà novembre una possibile ripresa dei colloqui. Al proposito il Ministro degli Affari esteri italiano Frattini ha salutato con favore la presa di posizione iraniana, sottolineando tuttavia la necessità di passare a risultati concreti, e non solo sulla questione del nucleare, ma anche in rapporto ai diritti umani in Iran. Il presidente iraniano Ahmadinejad, due giorni dopo, ha però messo le mani avanti, preannunciando la volontà di non recedere dal programma nucleare, e accusando le controparti di perseguire una tattica di indebolimento dell’Iran, avendo proposto la ripresa dei negoziati solo dopo l'approvazione di sanzioni rafforzate. Ahmadinejad non ha poi fatto mancare le consuete minacce contro Israele, preannunciando anche che un argomento centrale dei possibili nuovi colloqui con il Gruppo 5+1 dovrà essere quello dell'armamento nucleare di Tel Aviv.

In questo non facile scenario è stato semmai il terreno della crisi afghana a costituire l'opportunità di un incontro tra Teheran e la Comunità internazionale. Il 18 ottobre, infatti, nel corso dei colloqui organizzati a Roma dal Ministero degli esteri italiano per discutere della strategia di transizione per l'Afghanistan, l'inviato speciale USA Holbrooke ha di fatto riconosciuto il ruolo dell'Iran per una soluzione pacifica della questione afghana. L'inviato speciale del presidente iraniano Ghanezadeh, non a caso, ha partecipato all'incontro, giudicandolo positivamente. In particolare l’inviato iraniano ha chiarito che le preoccupazioni di Teheran riguardano la sicurezza, i traffici illeciti di droga che muovono dall'Afghanistan investendo consistentemente proprio l'Iran, e la presenza di forze straniere in Afghanistan, Paese che confina per circa 600 km con l'Iran, e proprio nella provincia afghana occidentale di Herat, teatro operativo dei militari italiani. Nel complesso, dunque, la Conferenza del 18 ottobre a Villa Madama è stata un notevole successo: ad essa hanno partecipato significativamente ben 10 Paesi membri dell'Organizzazione della Conferenza islamica, e tra questi, come già detto, addirittura un rappresentante dell'Iran.