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Temi dell'attività Parlamentare

Albania: scheda-paese politico-parlamentare

Il quadro istituzionale

In base alla nuova costituzione albanese del 1998 (adottata dopo la crisi del 1997, per dettagli cfr. infra), l’Albania è, dal punto di vista della forma di governo, una repubblica parlamentare; il Parlamento monocamerale, l’Assemblea della Repubblica di Albania, è composto da 140 deputati eletti per quattro anni con un sistema elettorale proporzionale basato su circoscrizioni regionali. In base alla legge elettorale approvata nel dicembre 2008, i seggi sono ripartiti in primo luogo tra le coalizioni di partiti formate precedentemente alle elezioni, utilizzando la formula D’Hondt, e quindi tra i partiti che compongono le coalizioni utilizzando la formula Saint-League. Esiste una soglia di sbarramento del 5 per cento per le coalizioni e del 3 per cento per i singoli partiti.

Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento con un mandato di cinque anni. Il Presidente della Repubblica nomina il primo ministro sulla base dell’indicazione della coalizione di partiti che detiene la maggioranza parlamentare. Il primo ministro designato si deve presentare con il governo al Parlamento per ottenere la conferma entro dieci giorni; nel caso in cui il primo ministro designato non ottenga la conferma del Parlamento, il Presidente della Repubblica nomina un nuovo primo ministro; se anche in questo caso, il Parlamento non conferma la nomina, un nuovo primo ministro può essere eletto direttamente dal Parlamento nei dieci giorni successivi; in caso contrario il Presidente della Repubblica scioglie l’Assemblea (art. 96 della Costituzione).

Secondo Freedom House, l’Albania, pur essendo una “democrazia elettorale”, è uno “Stato parzialmente libero”, mentre il Democracy Index 2010 dell’Economist Intelligence Unit la definisce “regime ibrido”. La Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa[1], che ha fornito assistenza all’Albania nel processo di approvazione della Costituzione del 1998, rileva che comunque tale Costituzione risulta in linea con gli standard del Consiglio d’Europa per quel che concerne la democrazia, i diritti umani e lo Stato di diritto. Anche la legge elettorale approvata nel 2008 è stata ritenuta dalla Commissione di Venezia e dall’OSCE un significativo passo in avanti anche se veniva indicata la necessità di alcune modifiche per garantire una piena adesione agli standard internazionali (in particolare si sosteneva la necessità di intervenire, tra le altre cose, sui requisiti per la raccolta delle firme ai fini della presentazione delle liste da parte dei partiti non già presenti in Parlamento; sui requisiti giudicati ambigui per le candidature femminili; sulla disciplina per l’accesso ai media e ai finanziamenti elettorali che potrebbero svantaggiare i partiti non già presenti in Parlamento). Nel parere della Commissione europea del novembre 2010 sulla domanda di adesione dell’Albania all’Unione europea viene posto come condizione per l’avvio dei negoziati di adesione il necessario livello di conformità ai criteri di Copenhagen necessari a garantire la democrazia e lo stato di diritto. In proposito, vengono indicati tra gli obiettivi prioritari il buon funzionamento del parlamento sulla base di un dialogo costante e costruttivo fra tutti i partiti politici; la modifica delle norme elettorali in conformità con le raccomandazioni OSCE e la garanzia dello svolgimento di elezioni secondo gli standard internazionali.

Secondo l’OSCE, le ultime elezioni legislative del 28 giugno 2009 si sono caratterizzate per progressi significativi con riferimento ai processi di registrazione e di identificazione degli elettori, alla legislazione in materia elettorale, adottata in maniera consensuale dai due maggiori partiti, allo svolgimento delle elezioni stesse e al contenzioso elettorale. Ciononostante, le elezioni “non hanno realizzato pienamente la potenziale capacità dell’Albania di aderire ai più alti standard internazionali in materia di elezioni”. In particolare, sono denunciate la “politicizzazione” di aspetti tecnici del processo elettorale, quali lo scrutinio e il conteggio dei voti, che hanno rallentato le operazioni di voto in alcune zone, e alcune violazioni delle norme elettorali durante la campagna elettorale. Secondo Freedom House, se la Costituzione riconosce la piena libertà di espressione, le interferenze del potere economico e politico pongono limiti allo sviluppo di una stampa completamente indipendente ed i giornalisti risultano significativamente esposti a rischi di azioni legali e anche ad intimidazioni fisiche. La libertà di riunione e di associazione è invece effettivamente garantita e le organizzazioni non governative, anche se sottofinanziate, appaiono esercitare una crescente influenza sulla vita pubblica albanese.

La situazione politica interna

Presidente della Repubblica albanese è, dal 2007, Bamir Topi (n. 1957).

Primo ministro è, dal 2005, Sali Berisha (n. 1944), leader del partito democratico.

 

Protagonista della vita politica dell’Albania post-comunista, Sali Berisha venne eletto presidente della Repubblica albanese nel 1992; costretto alle dimissioni nel 1997, quando, a seguito delle rivolte seguite al crollo delle “piramidi finanziarie”, il partito socialista vinse le elezioni parlamentari (in quell’anno si colloca anche la missione militare internazionale di assistenza all’Albania guidata dall’Italia denominata “Alba”), Berisha guidò l’opposizione del partito democratico, abbandonando i lavori parlamentari tra il 1998 e il 2002. Berisha è stato nominato primo ministro nel 2005, a seguito della vittoria del partito democratico nelle elezioni parlamentari di quell’anno.

 

La coalizione di governo è composta dalla Coalizione alleanza del cambiamento (composta dal partito democratico, dal partito repubblicano albanese, dal partito per la giustizia e l’integrazione) e dal movimento socialista per l’integrazione, guidato da Ilir Meta e costituito nel 2005 da una scissione del partito socialista.

I risultati elettorali del 2009 (cfr. tabella sotto) non sono stati riconosciuti dalla principale forza di opposizione, il partito socialista, guidato dal sindaco di Tirana Edi Rama. In particolare, il partito socialista ha denunciato numerose irregolarità elettorali, mai accertate: il collegio elettorale della Corte d’appello ha stabilito che lo svolgimento delle elezioni era stato regolare e che la decisione su un eventuale riconteggio dei voti sarebbe spettata alla Corte costituzionale, la quale tuttavia non avrebbe mai ricevuto alcun ricorso in merito. Per circa otto mesi l’opposizione ha boicottato i lavori parlamentari, rifiutandosi di prendere parte alle sedute. Solo nel febbraio 2010, per evitare la decadenza dal mandato parlamentare, i deputati socialisti hanno iniziato a riprendere parte ai lavori parlamentari.

Questa situazione, oltre alla crisi economica internazionale che ha provocato il rincaro dei generi di prima necessità, si pone sullo sfondo delle tensioni che stanno caratterizzando il paese dal gennaio 2011. Di seguito si fornisce una sintetica cronologia degli ultimi eventi:

13 gennaio: si dimette il vicepremier Ilir Meta, leader del movimento socialista per l’integrazione, a seguito della diffusione di un video che lo ritrarrebbe nel marzo 2010 nell’atto di esercitare pressioni sull’allora ministro dell’economia per l’assegnazione di un appalto governativo; il primo ministro Berisha, nell’accettare le dimissioni, rinnova comunque la sua fiducia in Meta;

21 gennaio: nella manifestazione di protesta davanti al palazzo del governo di Tirana, convocata dal partito socialista, che vede la partecipazione di circa 20 mila persone, tre persone rimangono uccise (una quarta persona morirà in seguito alle ferite riportate il 3 febbraio) in scontri con la polizia (secondo la BBC, nel corso della manifestazione, alcuni manifestanti avrebbero lanciato pietre contro i poliziotti);

25 gennaio: in una conferenza stampa, il procuratore capo di Tirana, Ina Rama (solo omonima del leader socialista) difende la scelta di emettere alcuni mandati di arresto nei confronti di appartenenti alla guardia repubblicana, la forza incaricata di proteggere le massime cariche dello Stato, in seguito alla diffusione di un video che dimostrerebbe che colpi d’arma da fuoco sono stati sparati dal palazzo del governo; il primo ministro Berisha ha invece contestato la decisione della procura, richiedendo un’indagine separata da parte di una commissione parlamentare d’inchiesta sull’accaduto, che costituirebbe, a suo giudizio, un tentativo di colpo di stato ai danni del suo governo, del quale farebbero parte anche le decisioni della procura di Tirana;

28 gennaio: una nuova manifestazione di protesta organizzata dal partito socialista si svolge a Tirana. Il partito socialista richiede le elezioni anticipate;

 

 


29 gennaio: la Commissione parlamentare d’inchiesta sui fatti del 21 gennaio delibera, con i voti della sola maggioranza, l’acquisizione dei tabulati telefonici del 21 gennaio di una quarantina di utenze: tra queste quelle riconducibili al presidente della Repubblica Topi, al primo ministro Berisha, al leader socialista Rama, al procuratore di Tirana Ina Rama e al capo dei servizi segreti Bahri Shaqiri;

31 gennaio: con un appello televisivo, il presidente della Repubblica Topi invita i partiti a collaborare per superare la crisi;

4 febbraio: nuove manifestazioni di protesta si svolgono nelle quattro principali città dell’Albania;

16 febbraio: il Parlamento albanese revoca l’immunità all’ex vice-primo ministro Meta.

Si ricorda che l’Albania è dal 2009 membro della NATO e, nello stesso anno, ha presentato domanda per l’adesione all’Unione europea, anche se i relativi negoziati non sono ancora stati avviati.

 

Indicatori internazionali sul paese[2]:

  • Libertà politiche e civili: Stato “parzialmente libero” (Freedom House); regime “ibrido”  (Economist)
  • Indice della libertà di stampa:  80 su 178
  • Libertà religiosa: assenza di eventi significativi (ACS); situazione di rispetto concreto (USA)
  • Corruzione percepita: 87  su 178
  • Variazione PIL 2009: + 3,3 per cento

 

   


Risultati delle elezioni parlamentari del 28 giugno 2009 (per alcune informazioni sull’orientamento politico delle forze citate nella tabella cfr. box sotto):

 

 

 

Partito

Seggi

% voti

Partito democratico

68

40

Partito socialista

65

40,8

Movimento socialista per l’integrazione

4

4,8

Partito dell’unità per i diritti umani

1

-

Partito repubblicano

1

-

Partito per la giustizia e l’integrazione

1

-

 

 

 

 

 

 

 

 

Principali forze politiche albanesi[3] 

In conseguenza della nuova legge elettorale del 2008, le forze politiche albanesi si sono riorganizzate in quattro coalizioni.

In particolare, come già si è ricordato, nelle elezioni del 2009 è risultata vincente la coalizione Alleanza per il cambiamento, di centro destra, composta dal partito democratico, guidato dal primo ministro Sali Berisha, e da altri movimenti di centro-destra, tra i quali si segnala il partito repubblicano, guidato da Fatmir Mediu, e il partito per la giustizia e l’integrazione, guidato da Tahir Muchedini.

Successivamente alle elezioni, l’Unione per il cambiamento ha formato un accordo di governo con il Movimento socialista per l’integrazione, guidato da Ilir Meta e nato nel 2005 da una scissione del partito socialista, che si era presentato alle elezioni con altri quattro piccoli partiti raccolti nella coalizione Alleanza socialista

Un’altra coalizione di centro-destra, il polo della libertà, ha aggregato intorno al partito cristiano democratico albanese, guidato da Nard Ndoka,altritre piccoli movimenti.

Le principali forze di opposizione si sono invece raccolte nell’Unione per il cambiamento, di centro-sinistra, composta dal partito socialista, guidato da Edi Rama, e da altri movimenti tra i quali si segnala il partito dell’unità per i diritti umani, rappresentativo della minoranza greca e guidato da Vangjel Dule.

 

 

Fonti: Unione interparlamentare, OSCE, Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa,The Statesman’s Yearbook 2011, Freedom House, Human Rights Watch, Economist Intelligence Unit, Fondazione Robert Schuman, CIA World Factbook, Ansa.



[1]   La Commissione europea per la Democrazia attraverso la legge del Consiglio d’Europa, meglio nota come “Commissione di Venezia”, è un’istituzione consultiva del Consiglio in materia costituzionale, composta da esperti designati per quattro anni dagli Stati membri, nata con lo scopo di fornire assistenza costituzionale agli Stati che lo richiedano. Dal 2002 la partecipazione alla Commissione è aperta anche a Stati non membri del Consiglio d’Europa (tra questi si segnalano Cile, Perù, Brasile, Marocco, Tunisia, Algeria, Israele, Corea del Sud)

[2]    Gli indicatori internazionali sul paese, ripresi da autorevoli centri di ricerca, descrivono in particolare: la condizione delle libertà politiche e civili secondo le classificazioni di Freedom House e dell’Economist Intelligence Unit; la posizione del paese secondo l’indice della corruzione percepita predisposto da Transparency International e secondo l’indice della libertà di stampa predisposto da Reporters sans Frontières; la condizione della libertà religiosa secondo i due rapporti annuali di “Aiuto alla Chiesa che soffre” (indicato con ACS) e del Dipartimento di Stato USA (indicato con USA); il tasso di crescita del PIL come riportato dall’Economist Intelligence Unit; la presenza di situazioni di conflitto armato secondo l’International Institute for Strategic Studies (IISS). Per ulteriori informazioni sulle fonti e i criteri adottati si rinvia alla nota esplicativa presente in Le elezioni programmate nel periodo febbraio-aprile 2011 (documentazione e ricerche n. 85, 9 febbraio 2011).

[3]    Fonte: Unione interparlamentare; CIA World Factbook, Fondazione Robert Schuman