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Temi dell'attività Parlamentare

Yemen: scheda-paese politico-parlamentare

Il quadro istituzionale

Dal punto di vista della forma di governo, lo Yemen è una Repubblica presidenziale. Il presidente è eletto con un mandato di sette anni, senza limiti alla rieleggibilità.

Il Parlamento è bicamerale. La Camera dei rappresentanti è composta da 301 membri eletti per sei anni con sistema maggioritario uninominale a turno unico (le elezioni, previste per il 2009, sono state annullate e posticipate al 2011). La seconda camera, la Shura è composta da 111 membri di nomina presidenziale.

Per Freedom House lo Yemen è uno Stato non libero mentre il Democracy Index 2010 dell’Economist Intelligence Unit lo classifica come “regime autoritario”. Al riguardo, con riferimento al rispetto delle libertà politiche e civili, fonti indipendenti individuano una limitata competizione politica tra il partito del presidente Saleh, il Congresso generale del popolo, forza egemone del paese, e i principali partiti di opposizione, pure presenti in Parlamento, il partito islamista Islah e il partito socialista yemenita. Osservatori indipendenti hanno individuato nelle ultime elezioni consistenti irregolarità, anche con riferimento alle procedure di registrazione degli elettori. I mezzi di comunicazione di massa sono di proprietà statale e il codice penale persegue le critiche al Capo dello Stato e la pubblicazione di materiale che potrebbe diffondere “spirito di dissenso tra il popolo”.   La libertà di riunione e di associazione è invece generalmente rispettata, sia pure in presenza di episodi di restrizione.

La Costituzione riconosce quella islamica come la religione di Stato e individua nella legge islamica, la Sharia, la fonte della legislazione statale.

 

La situazione politica interna

Capo dello Stato, dalla riunificazione del paese nel 1990, è Ali Abdullah Saleh (n. 1942), già presidente della Repubblica araba dello Yemen del Nord dal 1978.

Lo Yemen è caratterizzato da una situazione resa instabile dalla persistente rivalità tra Nord e Sud, sopravvissuta alla riunificazione del 1990, dalla contrapposizione con la minoranza sciita degli Houti nel Nord e dalla presenza di Al Qa’ida, secondo alcuni osservatori inizialmente tollerata dal governo di Saleh e poi contrastata, a seguito delle pressioni USA e dell’Arabia Saudita.  

Nel gennaio 2011 anche lo Yemen è stato interessato dall’ondata di manifestazioni popolari di protesta che stanno coinvolgendo il Nord Africa e il Medio Oriente. Al riguardo, come già sopra rilevato, con riferimento ai dati socio-economici assunti nel presente dossier come parametro rilevante per l’interpretazione degli eventi, si segnala che il tasso di crescita del PIL yemenita nel 2009 è stimato al 3,8 per cento; inoltre nel medesimo anno: il PIL pro-capite è pari a 1108 dollari; la popolazione di età compresa tra i 15 e i 24 anni risulta pari al 22 per cento della popolazione complessiva e quella tra i 15 e i 29 anni al 30 per cento della popolazione; il tasso di scolarizzazione secondaria è del 37 per cento e quello di disoccupazione giovanile (vale a dire quello dei soggetti compresi tra i 15 e i 24 anni) è del 18,7 per cento (20,5 maschile, 13,5 femminile).

 

Di seguito, si fornisce una cronologia degli avvenimenti yemeniti, dallo scoppio delle proteste a oggi:

 

18 febbraio: scontri tra militari e manifestanti antiregime nella città di Taez, con un bilancio di due morti tra i dissidenti.

21 febbraio: arriva a dodici il conto dei morti dall’inizio delle proteste, che hanno toccato anche il nord del paese. Intanto, il presidente Saleh ha confermato la sua volontà a portare a termine il proprio mandato.

28 febbraio: il presidente Saleh ha proposto all’opposizione un governo di unità nazionale per porre fine ai disordini nei quali sono morte già ventiquattro persone.

1 marzo: Saleh rimuove cinque governatori dalle province meridionali.

4 marzo: ancora scontri tra i manifestanti e le forze dell’esercito: le frange sciite del nord del paese, da anni in lotta con il governo centrale, si sono schierate a favore della protesta. In seguito agli scontri nella regione di Umran, sono stati uccisi cinque manifestanti. Intanto, più di centomila studenti hanno allestito un nuovo sit-in attorno all’università statale.

10 marzo: il presidente Ali Abdallah Saleh, in un discorso televisivo pronunciato alla nazione, ha promesso una nuova costituzione per il Paese, da sottoporre a referendum popolare. Rapida è stata la risposta dell’opposizione, la quale ha definito tardiva e poco convincente la nuova proposta.

11 marzo: la polizia ferisce quattordici persone ad Aden, a Sanaa 40 mila manifestanti invadono il centro per il cosiddetto ‘venerdì del non ritorno’, mentre ad Hadramaut sono stati uccisi quattro poliziotti in un agguato; l’UNHCR invita il governo ad aprire un’inchiesta relativamente alle violenze occorse.

12 marzo: altri quattro manifestanti vengono uccisi nella città di Mukalla, tra cui uno studente di 12 anni; i manifestanti prendono d’assalto la prefettura e la stazione di polizia del villaggio di al-Maarif.

13 marzo: altre due persone uccise dalla polizia antisommossa.

14 marzo: 3 soldati restano uccisi negli scontri nel nord del paese.

15 marzo: uomini armati appartenenti ad una tribù locale della zona ad est di Sanaa sabotano uno dei più lunghi oleodotti dello Yemen.

16 marzo: sale a 120 il numero dei feriti durante gli scontri tra manifestanti e polizia nella città portuale di Al-Hudaida, nello Yemen occidentale.

18 marzo: dopo la strage di quarantasei manifestanti (poi saliti a 52 a causa delle morti in ospedale) e 400 feriti a Sanaa nella piazza dell’università, il presidente Ali Abdullah Saleh impone lo stato d’emergenza; anche il presidente USA Obama si pronuncia sull’accaduto, affermando che i responsabili delle stragi dovranno risponderne.

19 marzo: proseguono le proteste internazionali contro le violenze da parte di Obama, Asthon e Ban ki-moon, mentre anche l’Ambasciatore yemenita in Libano ed il direttore dell’agenzia ufficiale d’informazione Saba si dimettono.

20 marzo: dopo quasi due mesi di manifestazioni di piazza il presidente licenzia il governo; si dimettono per protesta contro le stragi anche l’ambasciatore yemenita all’Onu ed il ministro per i diritti umani; una folla immensa, la più vasta dagli inizi della rivolta, offre omaggio ai 52 feretri uccisi a Sanaa il 18 marzo. I ribelli sciiti zaiditi riescono ad avere la meglio sull’esercito nella zona nord.

21 marzo: si complica la situazione per il presidente Saleh, dopo le dimissioni del generale Ali Moshen al-Ahmar, alto ufficiale delle forze armate, passato dalla parte dei ribelli. Altri due generali, il governatore di Aden, così come l’ambasciatore yemenita in Arabia Saudita, oltre al capo della tribù Hashid, tra le più importanti del paese, si schierano con il movimento di protesta antigovernativa. In risposta, i carri armati prendono posizione intorno al palazzo presidenziale, la banca centrale ed il ministero della difesa.

22 marzo: il presidente Saleh ha proposto di indire elezioni parlamentari prima della fine del 2011, preannunciando la sua intenzione di dimettersi successivamente a tali elezioni. L'opposizione yemenita ha rifiutato l'offerta del presidente.

 

Indicatori internazionali sul paese:

Libertà politiche e civili: Stato “non libero” (Freedom House); regime autoritario (Economist)

Indice della libertà di stampa: 170 su 178

Libertà religiosa: gravi limitazioni alla libertà religiosa (ACS); Islam religione di Stato e limitazioni alla libertà delle altre religioni  (USA)

Corruzione percepita: 146 su 178

Variazione PIL 2009: + 3,8 per cento (stima)

Situazione di conflitto armato interno

 

Risultati delle elezioni parlamentari del 2003:

 

Partito

Seggi

% voti

Congresso generale del popolo

238

 58,8

Islah

46

22,6

Partito nasserista

3

1,9

Ba’ath

2

0,7

 

 

 Principali partiti e movimenti della società civile yemenita[1]

 

I partiti legalmente riconosciuti sono 22: il Congresso generale del popolo, partito del presidente Saleh esercita un ruolo egemone nella vita politica yemenita; la congregazione yemenita per la riforma (Islah) è un partito islamista di caratterizzazione anche tribale, inizialmente alleato del Congresso generale del popolo e dal 1997 all’opposizione. L’alleanza tra Congresso generale del popolo e Islah era motivata dalla contrapposizione al partito socialista yemenita, partito rappresentativo dello Yemen del Sud.

Alle ideologie panarabiste si rifanno invece il Partito nasserista e il partio Ba’ath:



[1]   Fonte: Economist Intelligence Unit