A seguito della dimissioni del presidente Ben Alì nel gennaio 2011, la Tunisia ha avviato un processo di transizione istituzionale, che vivrà un momento importante nelle elezioni dell’Assemblea costituente del 24 luglio 2011. Di seguito si forniscono elementi in ordine al sistema istituzionale vigente al momento dell’avvio della transizione: la Repubblica di Tunisia è, dal punto di vista della forma di governo, una repubblica presidenziale. Il Presidente della Repubblica è eletto direttamente dai cittadini con un mandato di cinque anni contestualmente all’elezione della Camera dei deputati. In base alla riforma costituzionale del 2002, è stato eliminato il limite di tre mandati consecutivi presidenziali introdotto nel 1988 (in precedenza era prevista la carica di “presidente a vita”); conseguentemente il presidente può essere rieletto senza limiti di mandato. Il Presidente della Repubblica è anche capo del governo e può sciogliere la Camera dei Deputati nel caso questa sfiduci il governo.
Sempre in base alla riforma del 2002, che ha introdotto una seconda camera, la Camera dei consiglieri, il Parlamento è bicamerale. La Camera dei deputati è composta da 214 membri, eletti con un mandato di cinque anni; 161 seggi sono assegnati con sistema maggioritario uninominale a turno unico e i rimanenti con sistema proporzionale, tra i candidati nei collegi uninominali non eletti che hanno ottenuto il maggior numero dei voti. La Camera dei consiglieri è composta da 126 membri, eletti con un mandato di sei anni; due terzi dei membri sono eletti con suffragio indiretto dalle assemblee locali, mentre un terzo è di nomina presidenziale.
Freedom House definisce la Tunisia “Stato non libero”, mentre il Democracy Index 2010 dell’Economist Intelligence Unit lo classifica come regime autoritario (cfr. infra la tabella Gli indicatori internazionali del paese). Al riguardo, con riferimento alle condizioni delle libertà politiche e civili, si segnala che solo i partiti ufficialmente riconosciuti possono partecipare alle elezioni; in particolare, in base ad una modifica costituzionale del 2008, possono candidarsi alla presidenza della Repubblica solo i leader da almeno due anni di partiti riconosciuti o coloro che ottengano sostegno alla propria candidatura da 30 parlamentari o componenti delle assemblee elettive locali.
Pur esistendo, a fianco di quelle statali, alcune emittenti private, i mezzi di comunicazione di massa sono sotto il controllo governativo. La stampa indipendente risulta particolarmente debole in quanto, tra le altre cose, la diffamazione viene perseguita penalmente e i giornalisti sono perseguibili anche per reati attinenti il “disturbo dell’ordine pubblico”. La libertà di associazione e di riunione risulta ostacolata da una normativa restrittiva in materia di registrazione delle associazione e di accesso ai finanziamenti (che, in particolare, rende molto difficile prescindere dai finanziamenti governativi).
I rivolgimenti del gennaio 2011, che hanno condotto alla dimissioni del presidente Ben Alì (cfr. infra) non hanno fin qui determinato modifiche costituzionali, anche se è stata consentita la registrazione e la legalizzazione di tutti i partiti politici, saliti rapidamente al numero di 37. Sulla transizione istituzionale in corso sono esposte, nel box sottostante, le prime valutazioni della Commissione di Venezia per l’assistenza costituzionale del Consiglio d’Europa, organo del quale la Tunisia è Stato membro[1]
La Commissione di Venezia e il processo di transizione in Tunisia
Una delegazione della Commissione di Venezia si è recata in Tunisia dal 16 al 18 marzo 2011. In quella occasione sono state concordate le modalità di assistenza della Commissione al processo di riforme costituzionali ed elettorali tunisine. Secondo quanto dichiarato dal presidente della Commissione, Gianni Buquicchio, la Commissione predisporrà, in occasione delle prossime elezioni dell’Assemblea costituente del 24 luglio, attività di formazione intensive per trecento-quattrocento funzionari con riferimento alle operazioni di voto e di scrutinio. Sui criteri del sistema elettorale per le elezioni della Costituente Buquicchio ha sottolineato l’esigenza di assicurare la maggiore rappresentanza possibile della società civile, provvedendo ad evitare l’eventuale frammentazione attraverso soglie di sbarramento o la possibilità di accorpamento tra più liste. Secondo Buquicchio, inoltre, l’Assemblea costituente dovrebbe rimanere in carica per un anno, al fine di varare la Costituzione e le indispensabili riforme economiche e sociali.
La situazione politica interna
Capo dello Stato provvisorio, è, a seguito delle dimissioni e dell’abbandono del paese del presidente Ben Alì(n. 1936), in base alla Costituzione tunisina, il presidente della Camera dei deputati Foued Mebazaa. Primo ministro di un governo provvisorio è stato nominato, dopo le dimissioni del primo premier insediatosi al momento delle dimissioni di Ben Alì, Mohammed Gannouchi, Beji Caid Essebsi (n. 1927).
La Tunisia è stato il primo paese coinvolto dall’ondata di manifestazioni popolari di protesta che stanno interessando il Nord Africa e il Medio Oriente. Al riguardo con riferimento ai dati socio-economici assunti come possibile parametro interpretativo degli eventi, si segnala che il tasso di crescita del PIL tunisino nel 2009 è stata del 3,1 per cento; inoltre nel medesimo anno: il PIL pro-capite è pari a 3.800 dollari; la popolazione di età compresa tra i 15 e i 24 anni risulta pari al 19 per cento della popolazione complessiva e quella tra i 15 e i 29 anni al 29 per cento della popolazione; il tasso di scolarizzazione secondaria è del 66 per cento e quello di disoccupazione giovanile (vale a dire quello dei soggetti compresi tra i 15 e i 24 anni) è del 27,3 per cento (maschile: 27,1 per cento; femminile: 27,8 per cento).
Di seguito si fornisce una cronologia degli ultimi eventi tunisini:
17 dicembre: le proteste hanno inizio nella città di Sidi Bouzid, 200 km a sud di Tunisi, dove un laureato disoccupato Mohamed Bouazizi si dà fuoco per protestare contro le autorità che gli ingiungono la chiusura di un chiosco per la vendita di frutta e verdura aperto senza autorizzazione; Bouazizi morirà per le ustioni riportate; le autorità inviano ingenti forze di polizia per tentare di sedare, senza successo, le proteste;
24 dicembre: nonostante le promesse governative di misure a sostegno dello sviluppo economico di Sidi Bouzid, le proteste si estendono ad altre città vicine;
27 dicembre: manifestazione di giovani disoccupati, attivisti dei diritti umani e sindacalisti a Tunisi;
31 dicembre: le proteste degli avvocati in tutto il paese sono oggetto della repressione da parte della polizia;
28 dicembre: con un discorso televisivo il presidente Ben Alì promette nuove misure per lo sviluppo, intima di non istigare le violenze ed annuncia le dimissioni del ministro delle comunicazioni Romdhani e del governatore della provincia di Sidi Bouzid Ben Jalloul;
8-9 gennaio: scontri nelle città di Thala e di Kassarine che provocano 14 morti;
12 gennaio: il presidente Ben Alì annuncia le dimissioni del ministro dell’interno;
14 gennaio: il presidente Ben Alì abbandona il paese per l’esilio in Arabia Saudita; secondo alcuni analisti alla protesta popolare si è unita la pressione per ottenere l’allontanamento di Ben Alì da parte di esponenti del suo partito, l’RCD, e delle forze armate (che non hanno preso parte alle repressioni delle proteste di piazza); l’interim della presidenza viene assunto dal primo ministro Mohammed Ghannouchi;
15 gennaio: come richiesto dalle manifestazioni di protesta che proseguono a Tunisi, l’interim della presidenza viene affidato, in coerenza con la costituzione, al presidente della Camera Foued Mebazaa;
17 gennaio: Ghannouchi forma un nuovo governo provvisorio di coalizione incaricato di organizzare libere elezioni presidenziali e parlamentari entro 60 giorni; ne fanno parte esponenti del partito democratico progressista, dell’ex partito comunista Ettajdid e del Forum democratico per il lavoro e le libertà; l’RCD mantiene il controllo di ministeri-chiave come la difesa, gli interni e le finanze, circostanza che provoca tensioni con i partner della coalizione di governo;
18 gennaio: I ministri espressi dal principale sindacato del paese (UGTT), Ben Jaafar del Forum democratico per la libertà e il lavoro e Ibrahim di Ettajdid non prestano giuramento per l’eccessiva presenza nel governo di esponenti dell’RCD; rientra in Tunisia Moncef Marzouki, storico oppositore laico di Ben Alì.
19 gennaio: Vengono legalizzati tre partiti politici ed è annunciata l’amnistia per i prigionieri politici.
20 gennaio: Rimosso il divieto alla distribuzione in Tunisia del quotidiano francese Le Monde e Libération; il governo annuncia il riconoscimento di tutti i partiti politici finora al bando; i ministri appartenenti all’RCD annunciano le loro dimissioni dal partito del quale viene sciolto il Comitato centrale.
27 gennaio: Si dimette il ministro degli esteri Morjane già esponente dell’RCD, così come i ministri dell’interno, della difesa e delle finanze dei quali il primo ministro annuncia le dimissioni; il rimpasto di governo immette esponenti tecnici ed indipendenti nel governo, mentre gli esponenti dell’RCD conservano solo i ministeri dell’industria e della pianificazione; il primo ministro assume l’impegno a convocare elezioni entro sei mesi.
30 gennaio: Rached Ghannouchi, leader in esilio di Hizb al-Nahda, movimento islamista legato ai Fratelli musulmani che non ha ufficialmente preso parte alle proteste, rientra in Tunisia.
4 febbraio: Il governo tunisino annuncia la volontà di sottoscrivere la Convenzione internazionale contro la tortura.
6 febbraio: Vengono sospese le attività dell’RCD
9 febbraio: Il Parlamento tunisino approva la legge che consente al presidente ad interim di emettere decreti con forza di legge in materie quali i diritti dell’uomo come definiti dalle convenzioni internazionali; l’organizzazione dei partiti politici; la riforma del codice elettorale; l’amnistia. Si inizia a registrare un consistente flusso di migranti che dalle coste tunisine approdano all’isola di Lampedusa, destinato ad incrementarsi nei giorni successivi
13 febbraio: si dimette il ministro degli esteri Ounais, al centro di polemiche per aver definito “amica della Tunisia” il ministro francese degli esteri Michelle Alliot Marie, oggetto a sua volta in Francia di forte contestazioni per aver viaggiato durante le vacanze di Natale su un aereo di proprietà dell’allora presidente tunisino Ben Alì. Al suo posto verrà nominato, il 21 febbraio Mouldi Kefi.
18 febbraio: il governo approva con un decreto-legge un’amnistia generale
21 febbraio: il governo tunisino richiede l’assistenza della Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa per l’elaborazione di una nuova Costituzione
25 febbraio: il governo annuncia che le elezioni anticipate si svolgeranno al più tardi alla metà di luglio 2011, anche se rimane non chiarito se si tratterà di elezioni parlamentari, presidenziali o di entrambe
27 febbraio: sull’onda delle nuove proteste popolari che lo giudicano troppo vicino al regime di Ben Alì, Gannouchi si dimette dall’incarico di primo ministro, viene sostituito con Beji Caid Essebsi, già ministro del primo leader tunisino post-indipendenza Bourghiba.
1° marzo: legalizzato il movimento islamico Ennahda (cfr. infra)
3 marzo: il presidente della Repubblica provvisorio Mebazaa annuncia per il 24 luglio le elezioni di un’Assemblea costituente
4 marzo: si forma il governo Essebsi, composto in maggior parte da tecnici, come richiesto dalle forze sociali tunisine, a partire dal sindacato UGTT, già sindacato ufficiale durante il regime di Ben Alì e che appare destinato ad esercitare un ruolo consistente nella transizione
5-9 marzo: vengono sciolte la polizia politica e l’RCD.
14 marzo: annunciata la costituzione di un Consiglio superiore per la realizzazione degli obiettivi della Rivoluzione, della riforma politica e della transizione democratica, con compiti di consulenza del governo in ordine alla transizione istituzionale: lo compongono settantuno membri in rappresentanza di partiti politici, organizzazioni e associazioni a carattere nazionale ed esponenti della società civile (sindacati come l’Ugtt, gli ordini degli avvocati e dei notai, l’associazione dei magistrati, le organizzazioni di tutela dei diritti dell’uomo, le associazioni femministe, il sindacato dei giornalisti, la confindustria tunisina).
15 marzo: viene negata l’autorizzazione alla costituzione di un partito islamista. Il numero di partiti ufficialmente riconosciuti dalla caduta del regime di Ben Alì sale a 37.
24 marzo: viene annunciato che la Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa per l’assistenza costituzionale si recherà in Tunisia per la formazione degli operatori elettorali (cfr. supra)
1° aprile: viene annunciata la rimozione del divieto per le donne tunisine di apparire con il velo sulle foto delle carte di identità
8 aprile: a seguito delle proteste di cittadini rimasti imbottigliati nel traffico e di esercenti di attività commerciali, il ministero dell’interno ribadisce con una nota il divieto di occupare strade e altri luoghi pubblici per l’effettuazione della preghiera islamica del venerdì.
Indicatori internazionali sul paese[2]:
Libertà politiche e civili: Stato “non libero” (Freedom House); regime autoritario (Economist)
Indice della libertà di stampa: 164 su 178
Libertà religiosa: assenza di eventi significativi (ACS); Islam religione di stato (USA)
Corruzione percepita: 59 su 178
Variazione PIL 2009: + 3,1 per cento
Risultati elettorali delle elezioni parlamentari tunisine del 2009:
Partito | Seggi | % voti |
Rassemblement costituzionale democratico (RCD) | 161 | 84,6 |
Movimento socialdemocratico | 16 | 4,6 |
Partito di unità popolare | 12 | 3,4 |
Unione democratica | 9 | 2,6 |
Partito social-liberale | 8 | 2,2 |
Partito verde per il progresso | 6 | 1,7 |
Movimento Ettajdid | 2 | 0,5 |
Principali partiti e movimenti della società civile tunisina[3]
Rassemblement costituzionale democratico: denominazione assunta nel 1988 dal partito Neo-Dastour, che aveva guidato la Tunisia dall’indipendenza, è stato, fino alla caduta di Ben Alì e al suo scioglimento agli inizi di marzo, il partito egemone della società civile tunisina (la costituzione di altri partiti è consentita in Tunisia dal 1981; gli altri partiti legalmente riconosciuti si sono prevalentemente caratterizzati come partiti satellite dell’RCD)
Movimento dei socialisti democratici: registrato nel 1983 e partito riconosciuto legalmente durante il regime di Bel Alì è guidato da Ismail Boulhaya
Partito di unità popolare, guidato da Mohammed Bouchiha, registrato nel 1983, sostenitore di un’economia fortemente pianificata
Partito social-liberale: fondato nel 1988, riconosciuto legalmente durante il regime di Bel Alì, guidato da Mondher Thabet è considerato vicino all’RCD
Partito verde per il progresso: fondato nel 2006, riconosciuto legalmente durante il regime di Ben Alì, guidato da Mongi Khamassi
Partito democratico progressista: fondato nel 1988, non riconosciuto legalmente durante il regime di Ben Alì e guidato da Najbi Chebbi, ministro per lo sviluppo regionale nel governo Ghannouchi, di impostazione laica perseguitato dalle forze di sicurezza durante la presidenza di Ben Alì
Forum democratico per la libertà e il lavoro: fondato nel 1994 da Mustafa Ben Jafaar, di impostazione laica, radicato tra gli intellettuali, gli attivisti per i diritti umani e i professionisti; il suo programma richiede libere elezioni, amnistia per i prigionieri politici e eliminazione del ruolo egemone nella vita politica tunisina dell’RCD
Ettajdid: “Rinnovamento”, nato nel 1994 dalla trasformazione del partito comunista, riconosciuto legalmente, guidato da Ahmed Ibrahim con posizioni di centro-sinistra. Ibrahim è stato ministro dell’istruzione nel governo Ghannouchi
Congresso per la Repubblica: illegale dal 2002 il partito guidato da Moncef Marzouki, di impostazione laica, chiede l’instaurazione di un regime democratico, rispettoso dei diritti umani e civili
Ennahda: “Rinascita”, movimento islamista moderato, legato ai fratelli musulmani e fondato nel 1988, messo al bando nei primi anni Novanta, guidato da Rachid Ghannouchi (solo omonimo del primo ministro Ghannouchi), per 23 anni in esilio a Parigi
[1] La Commissione europea per la Democrazia attraverso la legge del Consiglio d’Europa, meglio nota come “Commissione di Venezia”, è un’istituzione consultiva del Consiglio in materia costituzionale, composta da esperti designati per quattro anni dagli Stati membri, nata con lo scopo di fornire assistenza costituzionale agli Stati che lo richiedano. Dal 2002 la partecipazione alla Commissione è aperta anche a Stati non membri del Consiglio d’Europa (tra questi si segnalano Cile, Perù, Brasile, Marocco, Tunisia, Algeria, Israele, Corea del Sud)
[2] Gli indicatori internazionali sul paese, ripresi da autorevoli centri di ricerca, descrivono in particolare: la condizione delle libertà politiche e civili secondo le classificazioni di Freedom House e dell’Economist Intelligence Unit; la posizione del paese secondo l’indice della corruzione percepita predisposto da Transparency International (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di minore corruzione percepita) e secondo l’indice della libertà di stampa predisposto da Reporters sans Frontières (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di maggiore libertà di stampa); la condizione della libertà religiosa secondo i due rapporti annuali di “Aiuto alla Chiesa che soffre” (indicato con ACS) e del Dipartimento di Stato USA (indicato con USA); il tasso di crescita del PIL come riportato dall’Economist Intelligence Unit; la presenza di situazioni di conflitto armato secondo l’International Institute for Strategic Studies (IISS). Per ulteriori informazioni sulle fonti e i criteri adottati si rinvia alla nota esplicativa presente in Le elezioni programmate nel periodo febbraio-aprile 2011 (documentazione e ricerche n. 85, 9 febbraio 2011).
[3] Fonte: Carnegie Endowment for international peace