La situazione delle persecuzioni in danno delle minoranze cristiane nel mondo che emerge nell’edizione 2011 dell’Index mondial de persécution pubblicato annualmente a cura dell’ONG, di matrice cristiano-evangelica, Portes Ouvertes [1], delinea il quadro riassunto di seguito [2]
Index mondial de persécution
In dodici paesi viene registrato il massimo grado di severità della persecuzione. Apre la classifica la Corea del Nord, seguita da Iran, Afghanistan, Arabia Saudita, Somalia, Maldive, Yemen, Iraq, Uzbekistan, Laos, Pakistan ed Eritrea; per Afghanistan, Iraq e Pakistan il risultato è ulteriormente aggravato dall’indicazione di una tendenza al peggioramento rispetto ai dati relativi all’Index 2010.
Segue un blocco di 16 paesi connotati da un grado medio di severità della persecuzione: si tratta di Mauritania, Buthan, Turkmenistan, Cina, Qatar, Vietnam, Egitto, Cecenia, Isole Comore, Algeria, Nigeria (nord), Azerbaigian, Libia, Oman, Myanmar e Quwait. In questo blocco, a fronte della tendenza al miglioramento fatta registrare da Mauritania e Cina, nord Nigeria e Algeria presentano un quadro ancor peggiore di quello relativo al 2010.
La terza sezione è composta da un gruppo di 23 paesi con inferiore livello di severità della persecuzione: si tratta di Brunei, Turchia, Marocco, India, Tagikistan, Emirati Arabi Uniti, Nord Sudan, Zanzibar (Tanzania), Tunisia, Siria, Gibuti, Giordania, Cuba, Bielorussia, Etiopia, Territori Palestinesi, Barhein, Kirgizistan, Bangladesh, Indonesia, Sri Lanka, Malaysia, e Russia. Quanto alla tendenza rispetto all’anno precedente, peggiorano Turchia, Marocco, Tunisia, Siria e Russia e migliora solo Sri Lanka.
L’Index, curato dal Dipartimento ricerche di Portes Ouvertes International, monitora le variazioni di situazione delle condizioni delle comunità cristiane in complessivamente 77 paesi, traendo da questi la “classifica” dei 50 paesi dove i cristiani sono maggiormente perseguitati. Il ranking considera sia gli atti persecutori sia le condizioni sottese alla persecuzione, qualificando come quadro peggiore quello in cui operano sinergicamente in senso anticristiano sia l’autorità pubblica sia il contesto culturale.
Nell’Index si sottolinea chela Corea del Nord si conferma per il quinto anno consecutivo il peggior paese per gli oltre 400 mila cristiani (su una popolazione totale di 24 milioni) che, tra l’altro, sono sottoposti al divieto di trasmettere la propria fede all’interno della famiglia e possono essere puniti per il semplice possesso della Bibbia.
Come sottolineato anche nell’edizione 2010 del Rapporto annuale sulla libertà religiosa nel mondo dell’ACS (Aiuto alla Chiesa che Soffre) [3], il regime nord coreano, fondato sul culto della personalità dei leader cui l’ideologia della Juche attribuisce natura divina, nega in maniera assoluta la libertà religiosa. La repressione dei cristiani nel paese, che non dispongono di luoghi di culto (con l’unica eccezione della chiesa di Changchung nella capitale Pyongyang) si fonda su una doppia accusa nei loro confronti: di slealtà verso il paese e connivenza con l’occidente.
La Corea del Nord è altresì classificata CPC (Country of Particular Concern) nell’ultimo rapporto annuale, pubblicato a maggio 2010, della Commission on International religious freedom-USCIRF [4].
Otto dei dieci paesi in testa alla classifica delle persecuzioni anticristiane indicati nell’Index sono paesi musulmani. In Iran, che si conferma il secondo paese (circa 375 mila i cristiani, 0,5% dei 75 milioni di abitanti, CPC per il Dipartimento di Stato americano) l’islam sciita rimane la religione di Stato e gli appartenenti alle minoranze religiose riconosciute (cristiani, ebrei e zoroastriani) sono considerati cittadini di seconda classe (“dhimmi”) e, come sottolinea il report di ACS, perseguitati non in modo diretto ma con motivazioni etniche o politiche. In Afghanistan, terzopaese nell’Index, risulta particolarmente sotto pressione quella parte della minoranza cristiana (circa lo 0,1% della popolazione) convertitasi dall’Islam. Scenario analogo in Arabia Saudita (quarto per l’Index e CPC per gli Usa). In Somalia, dove la minoranza cristiana rappresenta lo 0,1% dei circa 9,4 milioni di abitanti, la persecuzioni si localizzano principalmente nella parte meridionale del paese, nella quasi totalità sotto il controllo delle milizie islamiste radicali.
Particolarmente grave è la situazione delle comunità cristiane in Iraq, che nell’Index di Portes Ouvertes passa dalla 17a posizione all’8ae che il Dipartimento di Stato ha inserito nella lista dei paesiCPC. Nel Rapporto 2010 di Aiuto alla chiesa che soffre si legge che durante il 2009 e nel primo semestre 2010 “le violenze inflitte ai cristiani dell’Iraq non sono cessate, passando da fasi di calma relativa a periodi di vere e proprie persecuzioni”.Il più elevato numero di aggressioni è stato registrato a Mossul, città a maggioranza sunnita dove i cristiani vivono sotto il regime della shari’a e dalla quale si è registrato un massiccio esodo di persone di fede cristiana.
Dei 29,6 milioni di iracheni (stima luglio 2010), il 97% è rappresentato da musulmani (per due terzi sciiti e per un terzo sunniti); i cristiani rappresentano l’1,8% del totale e tra questi i cattolici ammontano a 301.000.
Anche il Pakistan (risalito dalla 14a all’11a posizione nell’Index, che, come accennato, ne ha evidenziato la tendenza all’ulteriore peggioramento, nonché classificato CPC dal Dipartimento di Stato americano) viene in evidenza tra i paesi più pericolosi per i cristiani. Nonostante la Repubblica islamica si dichiari formalmente laica e sebbene la Costituzione (1973) affermi il principio dell’uguaglianza tra i cittadini davanti alla legge, non mancano nell’ordinamento del paese centro asiatico leggi discriminatorie. In particolare, la legge anti-blasfemia, introdotta nel 1986 dal dittatore Zia-ul-Haq, è prevista alla sezione 296, paragrafi B e C del Codice penale pakistano.
Con la finalità di difendere da offese e ingiurie l’Islam e il suo profeta Maometto, la norme puniscono con l’ergastolo chi offende il Corano e prevedono la condanna a morte per chi insulta il Profeta. In Pakistan vigono, inoltre, le cd. Ordinanze Hudood, norme di diritto penale basate sul Corano approvate nel 1979, sotto la giunta militare del generale Zia-ul-Haq. Composte da quattro parti e destinate a regolare i temi della proprietà, dell'adulterio e delle proibizioni religiose, prevedono la flagellazione e la lapidazione per i comportamenti incompatibili con la legge islamica (adulterio, gioco d’azzardo, consumo di alcool). Tali fonti normative rappresentano, come sottolineato dalle organizzazioni di soccorso alle minoranze cristiane, strumenti di discriminazione e violenza, nonché mezzi per procedere ad una radicale islamizzazione del Pakistan.
La popolazione del Pakistan, 184,4 milioni di abitanti stimati nel luglio 2010 (settimo paese al mondo per consistenza demografica), conta 1.098.000 cattolici. I cristiani, complessivamente, pesano il2,2% della popolazione,i musulmani, prevalentemente sunniti, rappresentano il 96,2% del totale.
Nel Rapporto 2010 di ACS si legge che le accuse a carico dei presunti blasfemi “sono spesso false o motivate da interessi meschini, generano scandali e spingono folle inferocite a farsi giustizia da sé” e che non mancano casi in cui giudici hanno comminato la pena di morte sotto la pressione di folle aizzate da mullah locali “anche senza alcuna prova contro gli accusati”. Secondo dati della Commissione per la giustizia e la pace dell’episcopato pakistano (Ncjp) dall’entrata in vigore della legge anti blasfemia nel 1986 al 2010 almeno 993 persone sono state incriminate con l’accusa di aver profanato il Corano o diffamato il profeta Maometto: 479 erano musulmani, 120 cristiani, 340 Ahmadi (corrente musulmana considerata eretica da sunniti e sciiti perché non riconosce Maometto come ultimo profeta), 14 indù e 10 di altre religioni. Occorre osservare che, sebbene non vi siano state sino ad oggi esecuzioni capitali in applicazione della legge antiblasfemia, l’esistenza stessa di tale normativa consente abusi ed interpretazioni discriminatorie; proprio ad un utilizzo pretestuoso ed extragiudiziale della legge viene imputata la morte di almeno 50 cristiani dal 2001 ad oggi e quella in numero ancor maggiore di appartenenti alla minoranza musulmana degli ahmadi. La diffusione, dopo il 2001, del sentimento anti-occidentale conseguente l’intervento militare in Iraq e Afghanistan – sottolinea il Rapporto 2010 di ACS - ha ulteriormente acuito il problema della legge antiblasfemia. Lo stesso Governo pakistano ammette la gravità della questione quando, per voce del ministro per i diritti umani Syed Mumtaz Alam Gillaniintervenuto in Parlamento, pur con riferimento alla più vasta categoria dei diritti umani, ha indicato in oltre 11 mila i casi di violazione nell’ultimo triennio, 8mila dei quali ancora pendenti.
La vicenda di Asia Bibi
La legge antiblasfemia è salita agli onori della cronaca internazionale con la vicenda (iniziata al 19 giugno 2009) di Asia Bibi, cittadina pakistana di religione cristiana della provincia del Punjab (Pakistan orientale), denunciata per blasfemia e condannata alla pena capitale dal Tribunale distrettuale di Nankana. La condanna a morte della prima donna pakistana in base alla legge sulla blasfemia ha suscitato la reazione immediata della comunità internazionale, sollecitata anche da un appello del Pontefice Benedetto XVI (17 novembre). Contro tale sentenza, la famiglia di Asia Bibi ha presentato ricorso (8 novembre 2010) presso l'Alta Corte provinciale di Lahore, capitale della provincia del Punjab. Quanto alla reazione in Italia, la rete televisiva SAT-TV2000, vicina alla Conferenza episcopale, ha lanciato una campagna di mobilitazione dell’opinione pubblica internazionale, anche per richiamare l’attenzione sulle persecuzioni subite dai cristiani a causa della loro professione di fede. In difesa della libertà religiosa intesa come diritto fondamentale si sono attivate anche le autorità italiane. Il ministro degli esteri, Franco Frattini, in occasione della sua visita nella capitale pakistana Islamabad (11 novembre 2011) ha posto al centro dell’agenda degli incontri bilaterali la riaffermazione dell’interesse italiano per i diritti delle minoranze e per la libertà religiosa, ed ha chiesto al Governo pakistano un più efficace impegno in questo campo. Nel sollevare con le autorità pakistane il caso di Asia Bibi, il ministro Frattini, che ha definito la donna una nuova “Sakineh cristiana”, ha ottenuto dal ministro pakistano per le minoranze, Shahbaz Bhatti, l’assicurazione di un approfondimento delle accuse mosse alla Bibi, in vista del passaggio giudiziario presso l’Alta corte provinciale di Lahore. Il premierpakistano Syed Yousuf Raza Gilani ed il ministro degli esteri Mehmood Qureshi, dal canto loro,hanno garantito l’impegno a non consentire l’abuso della legge sulla blasfemia finalizzato alla discriminazione delle minoranze cristiane.
Come diffuso da fonti di stampa il 22 novembre 2010, in base alle risultanze dell’approfondimento Asia Bibi è innocente. Nel consegnare il dossier al presidente Zardari, che lo aveva richiesto al fine di valutare la concessione della grazia, Bhatti, ha dichiarava di aver sostenuto con il presidente la necessità di modificare la legge sulla blasfemia “perché bisogna impedire che faccia vittime innocenti come è successo nel caso di Asia Bibi''.Durante l’incontro tra i due leaders politici pakistani sarebbe stata decisa l’istituzione di una commissione permanente per la messa a punto di una proposta di abrogazione o modifica della legge sulla blasfemia.
La reazione dei movimenti religiosi islamici pachistani propugnatori dell’esecuzione della sentenza capitale pronunciata dal tribunale distrettuale di Nankana nei confronti di Asia Bibi e del tutto contrari ad ogni ipotesi di modifica della legge sulla blasfemia ha determinato un aspro scontro tra i poteri dello Stato, concretizzatosi anche in una disposizione risalente allo scorso dicembre dell’Alta Corte di Lahore, il massimo organo giudiziario della provincia pachistana, che chiedeva al premier e al presidente, il quale stava valutando tale ipotesi, di astenersi da qualsiasi azione mirante a far ottenere la grazia alla donna; la crisi si è successivamente avvitata in una spirale di violenza che ha avuto esito il 4 gennaio 2011 nell’omicidio, da parte di una guardia del corpo, del governatore del Punjab, Salman Taseer, personalmente mobilitatosi a favore della grazia. In un clima nel quale, come rilevato dagli osservatori, si evidenzia la debolezza dell’esecutivo costretto a soddisfare la volontà dell’ala estremista del Paese per non sconvolgere gli equilibri di potere, anche laproposta di modifica della legge antiblasfemia volta ad eliminare la previsione della pena di morte per tale reato, è stata ritirata all’inizio di febbraio. La proposta era un’iniziativa della parlamentare Sherry Rehman, esponente del Pakistan People’s Party (PPP), il partito di maggioranza del premier Yousuf Raza Gilani: il riallineamento della Rehman, minacciata di morte dai fondamentalisti islamici, sulle posizioni del PPP e del premier, nella valutazione degli analisti, ha chiuso la porta ad ogni discussione di modifica della legge. Anche la costituzione del Comitato per la promozione di emendamenti alla legge sulla blasfemia è stata smentita dallo stesso ministro cristiano per le minoranze religiose Shahbaz Bhatti nei primi giorni di febbraio. Bhatti, immagini del quale sono state bruciate in piazza, a Karachi, assieme a quelle di Benedetto XVI nel corso di manifestazioni, ha chiarito che l’intenzione di Zardari di formare un gruppo di studio per eventualmente emendare la “legge nera” è stata bloccata dalla reazione dei fondamentalisti scatenatasi su “incomprensioni e malintesi” riguardo alle intenzioni del governo. Il ministro ha tuttavia sottolineato la necessità di prevenire abusi nell’applicazione della legge ed ha ribadito l’innocenza di Asia Bibi, che andrebbe scarcerata. Nonostante tali dichiarazioni, tuttavia, non è ancora stato possibile trasferire Asia Bibi in un carcere più idoneo a garantirne la sicurezza, ritenuta inadeguata dallo stesso direttore dell’attuale luogo di detenzione. Gli integralisti islamici, nel frattempo, stanno esercitando forti pressioni per il rilascio dell’assassino del governatore Tasee e minacciano di uccidere la donna se dovesse uscire dal carcere o essere trasferita. Sul Pakistan ed in particolare sull'assassinio del governatore Salmaan Taseer il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione il 20 gennaio 2011.
Si rammenta, infine, che tra i paesi dell’Index che hanno fatto segnare un deterioramento della situazione dei cristiani figurano l’Algeria, Marocco, Tunisia, Siria e Turchia.
Quanto all’India (32a nell’Index e ricompresa nella Watch List Usa), dove la minoranza cristiana ha una consistenza di circa 57 milioni di persone (approssimativamente il 4,7% della popolazione), il report di Aiuto alla Chiesa che soffre lo classifica come paese con limitazioni alla libertà religiosa sottolineando, in particolare, la frustrazione della comunità cristiana dello Stato orientale dell’Orissa per la mancata giustizia alle vittime dei “pogrom anticristiani del 2008”, quando la comunità cristiana fu bersaglio di attacchi da parte di radicali indù che causarono, tra il resto, decine di vittime.
A tale riguardo si segnala che, come accennato, nel corso della sua visita a Islamabad dell’11 novembre 2010 il ministro degli affari esteri, Franco Frattini, sollevando il caso di Asia Bibi, aveva posto il problema della tutela delle minoranze cristiane, ottenendo l’impegno sia ad un’applicazione non discriminatoria della legge antiblasfemia, sia alla revisione degli atti dell’inchiesta riguardanti la donna. Mentre rimane alta l’attenzione sugli sviluppi della vicenda della cittadina pakistana, in un’intervista rilasciata il 15 novembre al quotidiano online “Il Sussidiario”, il Ministro ha annunciato l’intenzione del Governo italiano di presentare, con il sostegno dei paesi europei, una risoluzioneall’Assemblea generale dell’ONU per difendere la libertà religiosa, anche con riferimento ai cristiani perseguitati in Iraq e in tutto il Medio Oriente. Nella risoluzione, ha precisato il ministro, verrà sottolineata "l'assoluta inviolabilità del diritto a professare la propria religione e l'assoluta inviolabilità del diritto a esprimere il proprio credo, non solamente in privato ma anche con gesti pubblici". Il capo della diplomazia italiana ha rammentato la mobilitazione italiana a soccorso dei cristiani iracheni gravemente feriti nell’attentato alla cattedrale di Bagdad (31 ottobre 2010) [5], 26 dei quali sono stati trasportati in Italia per ricevervi le necessarie cure mediche e la richiesta, formulata alle autorità di sia Bagdad sia, successivamente, di Islamabad, di riservare ai cristiani quote nelle pubbliche amministrazioni locali e provinciali.
All’iniziativa italiana si è affiancata quella di un gruppo di parlamentari francesi che, il 22 dicembre 2010, ha lanciato un appello affinché la Francia diventi portavoce dei cristiani d’Oriente sostenendo un progetto di risoluzione nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu volto alla solenne riaffermazione dei diritti di tutte le minoranze a praticare liberamente e in sicurezza il proprio credo. I timori espressi dai sottoscrittori dell’appello hanno tragicamente trovato conferma nella strage - imputata ad elementi vicini ad Al Qaeda - del 31 dicembre 2010 ad Alessandria d’Egitto presso chiesa copta Al-Qiddissine, che ha causato la morte di 21 persone.
A livellocomunitario si segnala che il 20 gennaio 2011 il Parlamento europeo ha approvato a larghissima maggioranza una risoluzioneappoggiata da tutti i gruppi politici sulla urgente questione della libertà di religione nel mondo [6] che, in sostanza, sottolinea la necessità che l’Europa si schieri a difesa dei propri valori, a favore dei diritti umani e della libertà religiosa, senza ignorare che un’elevata percentuale delle vittime del terrorismo di matrice islamica è cristiano e richiamando pertanto le istituzioni comunitarie a tenerne conto quando preparano “accordi coni paesi terzi”.La risoluzione, tra il resto “chiede all'alto rappresentante [per la politica estera] dell'Unione, alla luce dei recenti eventi e della necessità crescente di analizzare e comprendere l'evoluzione delle questioni culturali e religiose nelle relazioni internazionali e nelle società contemporanee, di predisporre in seno alla Direzione diritti umani del Servizio europeo per l'azione esterna una capacità permanente per seguire la situazione delle restrizioni governative e sociali alla libertà religiosa e ai diritti ad essa correlati e di riferire annualmente in merito al Parlamento”.
Il 21 febbraio 2011 i ministri degli affari esteri dell’Unione Europea hanno approvato un documento ufficiale [7] in cui “condannano fermamente gli attacchi contro i cristiani ed i loro luoghi di culto, i pellegrini musulmani e le altre comunità religiose” ed esprimono “profonda preoccupazione per il numero crescente di manifestazioni di intolleranza e discriminazione fondate sulla religione, di cui sono testimonianza le violenze e gli atti di terrorismo condotti recentemente in diversi Paesi”. L’approvazione del documento è avvenuta dopo settimane di esitazioni, denunciate dal ministro Franco Frattini come manifestazioni, riportano fonti di stampa, di “laicismo esasperato che nuoce alla credibilità dell’Europa”. Si rammenta, infatti, che un testo in discussione nel precedente Consiglio degli affari esteri (31 gennaio) era stato ritirato proprio perché privo, tra l’altro, di riferimenti chiari, sostenuti dall’Italia, alle minoranze religiose, in particolare alle comunità cristiane vittime di recenti stragi ad Alessandria d’Egitto (21 morti e 79 feriti ) e a Baghdad (58 morti e 75 feriti il 31 ottobre).
Il 21 gennaio 2011 il Comitato dei Ministri dei 47 Stati membri del Consiglio d’Europa ha adottato all’unanimità una dichiarazione sui recenti attacchi alle comunità cristiane e sulla necessità di difendere la libertà religiosa di tutti i credenti; nel documento si condannano “vigorosamente” tali atti come pure tutte le forme di incitamento all’odio e alla violenza religiosa, e si sottolinea il carattere di diritto inalienabile della libertà di pensiero, coscienza e religione.
Il 27 gennaio 2011 l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha adottato la Raccomandazione 1957 (2011) che condanna le violenze contro i cristiani in Medio Oriente, basato sul rapporto dell’on. Luca Volontè, nella quale si evidenzia anche che la sparizione delle comunità cristiane del vicino e medio oriente sarebbe catastrofica per lo stesso Islam, in quanto significherebbe la vittoria del fondamentalismo. Sette degli undici membri della delegazione turca presenti in aula hanno votato contro il documento.
Il 21 gennaio 2011 il Bureau dell’Assemblea parlamentare dell’Unione del Mediterraneo, riunitasi a Roma, a Palazzo Madama, sotto la presidenza dei presidenti del Senato, Renato Schifani, e della Camera, Gianfranco Fini, ha rilasciato una nota di solidarietà agli stati e alle popolazioni colpite dai recenti gravissimi attacchi terroristici, ribadendo altresì l’impegno dell’Assemblea dell’Unione del Mediterraneo a porre la questione della libertà di culto e del dialogo religioso tra le proprie priorità.
Ancora sul versante delle organizzazioni multilaterali si segnala che dal 5 gennaio 2011 il prof. Massimo Introvigne fondatore del Cesnur (Centro studi sulle nuove religioni) è Rappresentante OSCE per la lotta contro il razzismo, la xenofobia e la discriminazione e l’intolleranza contro i cristiani e i membri di altre religioni.
Il Rappresentante opera attraverso azionidiplomatiche e Country visits limitate agli Stati Osce e talora condotte insieme al Rappresentante per la lotta all’antisemitismo e a quello per la lottaall’islamofobia. In un recente intervento svolto a Belgrado [8], Introvigne ha affermato che le azioni che intende svolgere nell’esercizio del mandato trovano il loro fondamento nei rischi per la libertà religiosa evidenziati dal pontefice Benedetto XVI in occasione del discorso annuale al corpo diplomatico (10 gennaio 2011). Tra tali rischi viene in evidenza la situazione determinata dal tentativo dell’Islam ultrafondamentalista di porre fine all’esistenza bimillenaria di comunità cristiane nel Vicino Oriente; il rischio derivante dalla sopravvivenza di ordinamenti giuridici e sociali che postulano il controllo dello Stato sulla società (è il caso della Cina continentale, della Corea del Nord e del Laos) nonché quelli connessi alla “cristianofobia” dell’Occidente.
Quanto all’attività del Parlamento italiano, è noto che il tema delle persecuzioni delle minoranze cristiane è al centro dell’attenzione delle Camere. Tale attenzione si è da ultimo concretizzata nell'approvazione, a larghissima maggioranza, il 12 gennaio 2011 della risoluzione n. 6-00052 presentata dall'on. Mazzocchi ed altri, concernente iniziative volte a far cessare le persecuzioni nei confronti dei cristiani nel mondo. Il documento richiama preliminarmente il messaggio del pontefice Benedetto XVI del 1° gennaio 2011, "Libertà religiosa via per la pace", che denuncia la grave mancanza di libertà religiosa di cui soffrono tanti esseri umani tra i quali cristiani in molti paesi e sottolinea come il termine «cristianofobia», che descrive compiutamente questo fenomeno di portata universale, è stato adottato dall'ONU sin dal 2003 e dal Parlamento europeo nel 2007.
La risoluzione impegna il Governo a far valere con ogni forma di legittima pressione diplomatica ed economica il diritto alla libertà religiosa, in particolare dei cristiani e di altre minoranze perseguitate, laddove risulti minacciata o compressa, per legge o per prassi, sia direttamente dalle autorità di governo sia attraverso un tacito assenso e l'impunità dei violenti; a far valere nelle relazioni diplomatiche ed economiche, bilaterali o multilaterali, la necessità di un effettivo impegno degli Stati per tolleranza e libertà religiosa, fino al diritto sancito alla «libertà di cambiare religione o credo»; a tener conto del rispetto dei diritti umani nei paesi con cui ci sono scambi economici, in coerenza e in applicazione degli articoli 8 e 19 della nostra Costituzione; a richiedere in ambito internazionale di concerto con i partner dell'Unione europea la rimozione delle limitazioni dei diritti umani, ed in particolare della libertà religiosa, in quei paesi dove vige la sharia; a proseguire nell'impegno perché la risoluzione sulla libertà religiosa sia effettivamente implementata negli Stati dell'ONU e ad istituire un «Osservatorio sulla condizione dei cristiani nel mondo» per monitorare e valutare l'applicazione di tali impegni.
Quanto alle attività dell’Assemblea della Camera su tale tema sin dalle prime fasi della legislatura si segnalano l'interpellanza urgente 2-00151 dell'on. Di Virgilio ed altri in tema di iniziative in relazione ai ripetuti episodi di violenza e persecuzione nei confronti dei cristiani nel mondo svolta nella seduta del 23 ottobre 2008. Nella seduta del il 10 novembre 2008 l'Assemblea ha adottato la mozione n. 1-00058 d’iniziativa dell’on. Evangelisti ed altri, riguardante le sistematiche persecuzioni anticristiane nello Stato indiano dell’Orissa, che impegna il Governo a “porre in essere azioni adeguate volte a contrastare la persecuzione delle comunità cristiane e di qualsiasi altra rappresentanza religiosa in India, in Iraq e in ogni altro Paese nel quale si verifichino atti di intolleranza”; nella medesima seduta sono state approvate le mozioni 1-00037 dell'on. Volontè ed altri e 1-00052 dell'on. Bertolini ed altri, nonché la risoluzione 6-00010 degli onn. Cota e Gibelli, che impegnano il Governo ad intraprendere, in sede sia bilaterale sia multilaterale, iniziative volte alla protezione delle comunità cristiane del distretto indiano di Kandhamal, fatte oggetto di gravi e ingiustificate violenze. Il 20 novembre 2008 l'Assemblea ha discusso l'interpellanza urgente 2-00197 a prima firma dell'on. Renato Farina incentrata sulla violenza subita di cristiani in Iraq. Il 18 febbraio 2009 l’Assemblea ha svolto l’interrogazione a risposta immediata n. 3-00393, a firma dell’on. Piffari riguardante l’adozione di provvedimenti per garantire un concreto ed adeguato contrasto delle persecuzioni religiose nei confronti delle minoranze cristiane nel mondo. L’interrogazione a risposta immediata n. 3-00834, dell’onorevole Vietti, (seduta del 13 gennaio 2010) era invece incentrata sulle violenze nei confronti di comunità cristiane di Iraq, Pakistan, India, Nigeria, Vietnam, Filippine, Malaysia ed Egitto: dal dibattito è emerso l’auspicio di un ulteriore rafforzamento dell’azione già condotta dal governo italiano presso i partner internazionali, in ambito europeo come in ambito Onu.
Le ripetute violenze subìte dalla comunità cristiana della città di Mossul, in Iraq, sono invece state al centro dell’interpellanza n. 2-00630 dell’onorevole Castagnetti discussa dall’Assemblea della Camera il 4 maggio 2010. Nella seduta del 27 gennaio 2011 l'Assemblea ha svolto l'interpellanza urgente n. 2-00938 a prima firma dell'onorevole Renato Farina in merito ai casi di Sakineh Mohammadi Ashtiani e Asia Bibi e nei confronti del Governo del Pakistan in relazione alla legge sulla blasfemia.
In relazione alle attività della Commissione Affari esteridella Camera sul tema delle persecuzioni delle minoranze cristiane, si rammenta la discussione dell'interrogazione 5-00281 d'iniziativa dell'on. Migliori sulla tutela delle comunità cristiane e della Chiesa cattolica in Turchia, dell'interrogazione n. 5-02352 dell'on. Leoluca Orlando sulla tutela della comunità cristiana residente nella provincia del Nord Kivu della Repubblica democratica del Congo (seduta del 20 gennaio 2010) e, il 25 novembre 2010, dell'interrogazione degli onn. Polledri e Pini n. 5-03573 vertente anche su soprusi e violenze ai danni delle minoranze cristiane del Pakistan, non sempre raggiunte dagli interventi umanitari e di soccorso successivi all’alluvione che all’inizio di agosto 2010 ha colpito il paese. Anche in diverse audizioni svolte nell'ambito dell’indagine conoscitiva sulla tutela dei diritti umani sono emerse in evidenza problematiche connesse al tema delle persecuzioni delle minoranze cristiane.
Il Report USCIRF 2010, che si riferisce al periodo aprile 2009 – marzo 2010, e che è redatto sulla base di un’estesa rete di fonti quali missioni in loco, ONG, gruppi religiosi, agenzie governative statunitensi e governi stranieri, documenta abusi e limitazioni della libertà di religione in 28 paesi nel mondo, così suddivisi:
§ CPC-Countries of Particular Concern. Sono classificati CPC i paesi i cui governi hanno commesso o tollerato violazioni enormi, sistematiche e protratte della libertà religiosa, compresi atti quali tortura, detenzioni prolungate senza imputazioni, sparizioni. La designazione di un paese a CPC comporta l’adozione, da parte del Presidente (che ne ha delegato il Segretario di Stato) di azioni adeguate. Cinque paesi ossia Iraq, Nigeria, Pakistan, Turkmenistan, e Vietnam risultano di nuova designazione, e altri otto, Birmania (Myanmar), Cina, Eritrea, Iran, Corea del Nord, Arabia Saudita, Sudan e Uzbekistan sono confermati in tale status, per un totale di 13 paesi CPC nel 2010.
§ In un’apposita Watch List vengono inseriti i paesi sottoposti a stretto monitoraggio delle violazioni della libertà religiosa commesse o tollerate dai governi, focalizzando per ciascuno le tendenze negative in atto e fornendo ai policymakers la possibilità di intervenire in senso preventivo. La lista consta di 12 paesi: Afghanistan, Bielorussia, Cuba, Egitto, India, Indonesia, Laos, Federazione Russa, Somalia, Tagikistan, Turchia e Venezuela.
Ulteriori tre paesi, Bangladesh, Kazakistan e Sri Lanka risultano
closely monitored.